Archivio del Tag ‘business’
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Frode e usura? Per le banche sono la regola, non l’eccezione
Il problema dei banchieri che mangiano i depositi e gli investimenti dei clienti viene presentato dai mass media in modo deliberatamente fuorviante, cioè come circoscritto a casi anomali e isolati di cattivo esercizio dell’attività bancaria e di insufficiente sorveglianza da parte degli organi di controllo, mentre al contrario da sempre la frode e l’usura e le falsità in bilancio (come pure i codiddetti prestiti predatori e quelli fatti a società di amici, che non li rimborseranno) sono tra le più costanti ed efficienti fonti di reddito dei banchieri; e il sistema bancario italiano, nonostante i suoi circa 300 miliardi di crediti deteriorati e non dichiarati in bilancio, galleggia ancora solo perché le pratica usualmente nella complessiva tolleranza delle autorità di controllo, compresa quella giudiziaria (e che altro potrebbero fare, le autorità di controllo?). Tali pratiche sono la regola del business bancario perché rendono moltissimo, non sono affatto una deviazione. Lo conferma il fatto che i dipendenti delle banche in default riferiscono di essere stati sistematicamente indotti dai loro superiori a smerciare ai risparmiatori titoli-bidone, sotto minacce varie.La lista delle banche decotte si sta allungando rapidamente, e continuerà ad allungarsi. Probabilmente il fenomeno verrà pilotato per sopprimere banche locali e territoriali, in favore di quelle più ampie. La classe finanziaria, da quando esiste (cioè dalla Prima Guerra Punica) ad oggi, si è sempre industriata per creare nuovi strumenti giuridici, finanziari, e recentemente anche tecnologici, con cui incrementare (e possibilmente legalizzare) le frodi e l’usura verso i propri clienti, il fisco, le pubbliche amministrazioni. Lo ha fatto pagando la politica e gli organi di controllo, e stringendo alleanze di potere. Nei secoli. Pensiamo solo a come i banchieri, anche i più grossi, in tempi recenti hanno fregato gli enti pubblici con i contratti derivati costruiti da esperti per buggerare contraenti. I governanti del tempo lo sapevano, ma non intervennero, se non con un decreto ambiguo, che permetteva la continuazione delle frodi.In particolare, negli ultimi decenni, attraverso un metodico lavoro di lobbying sulla classe politica, tra le altre cose utili a questi scopi ha ottenuto dal legislatore, negli anni ’90, il ripristino della banca universale, cioè l’abolizione della separazione tra banche di credito e risparmio e banche di investimento finanziario, nonché, dagli anni ’80 fino all’ultima riforma renziana, la privatizzazione graduale della gestione del finanziamento del debito pubblico e della Banca Centrale di emissione (vedi il golpe monetario del 16 dicembre 2006 e la riforma-regalo del decreto legge 133/2013, che ho analizzato rispettivamente nei saggi “Euroschiavi” e “Sbankitalia”). Con la prima delle due riforme, i banchieri si sono fatti autorizzare a usare, con leve temerarie, i soldi dei depositanti per compiere azzardate speculazioni in vere proprie truffe sui mercati finanziari, regolati e non, mandando spesso le banche a gambe all’aria dopo averne estratto l’attivo patrimoniale ed esserselo intascato, distribuendone parte come bonus ai gestori criminali.Con la seconda riforma, si sono fatti controllori di se stessi – quindi è da sciocchi meravigliarsi se le banche centrali, da loro controllate, anziché impedire questi abusi, li nascondono e li agevolano. Aggiungiamo che, direttamente e indirettamente, la Banca d’Italia è ora partecipata maggioritariamente da finanzieri stranieri. Ovviamente, questo esito non poteva non essere previsto e voluto. Con queste premesse, viene da sé che anche la “giustizia” non punisca praticamente mai i banchieri delinquenti. E che anzi la politica si impegni per togliere alla popolazione l’uso della moneta cartacea, emessa dalla banca centrale, per imporle l’uso di quella elettronica, che è creata a costo zero dai banchieri privati e che questi possono azzerare semplicemente con un click del mouse. Se pensiamo a quanto inaffidabile (e in conflitto di interessi con la gente) si è dimostrata la classe dei banchieri, la scelta di affidarle addirittura la creazione e il mantenimento in esistenza della moneta – bene pubblico essenziale – manifesta concretamente quanto è servile e criminale la cosiddetta casta politica.Se non lo fosse, tutelerebbe i depositanti in un modo semplicissimo: farebbe una legge in base alla quale i soldi depositati in banca, salvo diverso accordo, rimangano di proprietà del depositante, e non divengono di proprietà della banca (come avviene oggi): in tal modo, quand’anche la banca fallisca, i depositi sarebbero al sicuro. E farebbe una seconda legge per ripristinare la legge Glass-Steagall e per nazionalizzare la banca centrale e magari anche le banche di importanza strategica. Invece questi politicanti complici hanno costruito un sistema in cui la gente comune e gli imprenditori, devono depositare il denaro in banche che da un lato non remunerano i depositi (né le obbligazioni) con ragionevoli tassi di interesse, e dall’altro li possono arrischiare in operazioni pericolose o addirittura sottrarli (per esempio, mediante acquisizioni fraudolente, come quella multimiliardaria della Banca Antonveneta, fino a perderli, senza mai pagare il fio.Quando oggi si parla all’opinione pubblica del problema della sicurezza bancaria e della necessità di riforme, tutte la questione viene appiattita sul presente, sui fatti ultimamente occorsi, e presentata in modo cronachistico, aneddotico. Dalla narrazione viene rigorosamente tenuta fuori la suddetta realtà strutturale, la prospettiva storica dei rapporti tra banchieri, frodi, politica, legislazione, e gli ultimi episodi, dal disastro-scandalo del Monte dei Paschi di Siena, vengono presentati come novità, incidenti, azioni individuali, anziché come episodi di una vicenda che va avanti da secoli, e in cui il potere finanziario ottiene sempre la meglio, cioè riesce a continuare il suo business, perché lavora con metodo, perseveranza e orizzonti di lungo periodo. Eppure sono molti decenni che avvengono bancarotte bancarie e che ogni volta i tromboni istituzionali promettono che è stata l’ultima volta. In effetti, la gente comune preferisce e capisce meglio le narrazioni giornalistiche in chiave aneddotica e morale, emotiva, dove ci sono colpevoli individuali con cui prendersela, che le complesse e lunghe analisi economiche, strutturali, che spiegano le cose in termini di fattori impersonali.Alle volte, dopo crisi di particolare gravità socio economica, avvengono reazioni politiche che lanciano riforme per tutelare gli interessi dell’economia reale, dei lavoratori, dei risparmiatori, contro quelli della rapace classe bancaria. Così fu, nella Roma antica, con certe riforme dei Gracchi e, in tempi recenti, con la legislazione del tipo Glass-Stegall, la quale, a seguito della crisi del ’29, nella metà degli anni ’30, impose in molti paesi la separazione tra banche di credito e risparmio e banche di investimento finanziario. Ma dopo simili riforme, ogni volta, nel medio-lungo periodo, attraverso il suo metodico lavoro di condizionamento e di corruzione, la classe bancaria (che, a differenza del popolo, è organizzata, attenta e consapevole, nonché lungimirante), regolarmente recupera le posizioni perdute neutralizzando le riforme che ne limitano la libertà di azione e profitto, e avanza verso nuove conquiste di potere e sfruttamento sulla società.Proprio quest’ultima, interminabile crisi economica, con i suoi banchieri super-truffatori che diventano ministri e capi di governo per gestire i disastri da loro stessi creati, e addirittura dettano le regole della sana economia, è l’apoteosi di quanto sopra, e ha trasferito ampie quote del reddito nazionale dai lavoratori e produttori di ricchezza reale ai capitalisti finanziari improduttivi, impadronendosi anche di ulteriori quote di potere politico. Se teniamo presente questa realtà storica, le odierne promesse del governo di fare una riforma del settore del credito nell’interesse dei risparmiatori e a tutela dei loro diritti, appaiono essere pura ipocrisia, l’ennesima frottola da piazzista di provincia – anche senza bisogno di ripercorrere la storia del suo partito politico, e dei suoi alleati cattolici, in relazione alle riforme fatte in materia bancaria dagli anni ’80 ad oggi, tutte meticolosamente studiate per consentire ai banchieri lucrosi abusi di ogni sorta a spese della società civile e produttiva. Le fortune dei politicanti derivati dal vecchio Pci sono dovute proprio alla loro alleanza strutturale col capitalismo finanziario, con la sua capacità di pagare-comprare-remunerare-finanziare i suoi servitori più di ogni altro gruppo organizzato, e coi suoi interessi contrapposti al resto della società. Contrapposti, perché per il capitalismo finanziario le crisi economiche e le guerre sono storicamente le migliori opportunità di profitti ed affermazione.In conclusione, è ovvio rilevare come, anche alla prova dei fatti, il dogma dell’indipendenza dei banchieri centrali dai poteri pubblici come condizione per una sana finanza, tanto caro agli europeisti, fa acqua da tutte le parti. Non solo perché quei banchieri centrali, di fatto, stanno dando migliaia di miliardi gratis ai banchieri per operazioni finanziarie mentre non fanno arrivare liquidità all’economia reale, ma anche perché in realtà questo dogma è servito a rendere le banche centrali indipendenti dei controlli pubblici, però (guardacaso!) dipendenti e possedute dai banchieri privati, in modo che questi possono fare quello che vogliono anche con risparmio dei cittadini, controllando l’organo che dovrebbe controllarli, e continuando a presentare bilanci aggiustati ad arte per nascondere le perdite.(Marco Della Luna, “Frode e usura, normalità bancaria”, dal blog di Della Luna del 24 dicembre 2015).Il problema dei banchieri che mangiano i depositi e gli investimenti dei clienti viene presentato dai mass media in modo deliberatamente fuorviante, cioè come circoscritto a casi anomali e isolati di cattivo esercizio dell’attività bancaria e di insufficiente sorveglianza da parte degli organi di controllo, mentre al contrario da sempre la frode e l’usura e le falsità in bilancio (come pure i cosiddetti prestiti predatori e quelli fatti a società di amici, che non li rimborseranno) sono tra le più costanti ed efficienti fonti di reddito dei banchieri; e il sistema bancario italiano, nonostante i suoi circa 300 miliardi di crediti deteriorati e non dichiarati in bilancio, galleggia ancora solo perché le pratica usualmente nella complessiva tolleranza delle autorità di controllo, compresa quella giudiziaria (e che altro potrebbero fare, le autorità di controllo?). Tali pratiche sono la regola del business bancario perché rendono moltissimo, non sono affatto una deviazione. Lo conferma il fatto che i dipendenti delle banche in default riferiscono di essere stati sistematicamente indotti dai loro superiori a smerciare ai risparmiatori titoli-bidone, sotto minacce varie.
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L’imam filo-Pd e la fiction del terrore, da Osama all’Isis
“La verità è così preziosa che bisogna proteggerla sempre con una cortina di bugie”. (Winston Churchill). Il livello di propaganda che emana dai media in questa grande campagna d’autunno all’insegna della strategia della tensione globale ha ormai superato ogni limite di tolleranza, per non dire di decenza. Credo che oramai questa cosa del “più la bugia è grossa e più la gente la crederà” stia loro sfuggendo di mano. La saggezza popolare, quella che, nella scritta sul muro qui sopra, sfida il nemico fantasmatico a palesarsi nel reale per un virile e decisivo fare a cazzotti, è sempre pronta a vedere la nudità dell’imperatore e ogni volta che appare un nuovo nemico già ex-amico, una nuova compagine terroristica dal nome improbabile, un nuovo babau – anche se non è ancora stato trovato un caratterista all’altezza dell’Osama Bin Laden fatto morire nell’epico finale della serie “Al Qaeda” – è sempre meno disposta a crederci. La grossezza della bugia deve diventare quindi enormità, essa si gonfia fino a che un giorno, inevitabilmente, non potrà che esplodere in faccia a coloro che l’hanno creata ed hanno continuato a gonfiarla a dismisura credendo di poterlo fare all’infinito.Si comincia a credere sempre meno alla narrazione di ogni ennesimo attentato anche se non si appartiene alla categoria dei complottisti, perché nel mondo dell’informazione mainstream 2.8, stanno esagerando, secondo me, con quella che ormai non è nemmeno più affabulazione ma pura mitopoiesi. E’ una cascata di menzogne con l’aggravante della presunzione dell’idiozia totale dell’ascoltatore. Le palle, di tutti i colori, rotolano in salotto dal televisore trasformandocelo in un’area bimbi dell’Ikea. La creazione del nemico è fatta di caratteristi ed improbabili macchiette che lo risulterebbero anche in un film di 007, dei quali ormai si lanciano al pubblico solo i pochi brandelli rimasti dopo che si sono fatti immancabilmente esplodere, tra cui sempre gli incredibili passaporti intonsi. A volte sono solo nomi senza volto, Carneadi assurti agli onori della cronaca per ancor meno del quarto d’ora sindacale. Immagini fuggenti che però rimangono bene impresse nella mente, come solo i fantasmi riescono a fare.Vogliamo parlare dei famigerati filmati dell’Isis mandati regolarmente alla Signora Katz (alla quale scommetto nessuna intelligence va a chiedere come faccia ad avere sempre il canale aperto con l’Isis)? Lì vale il trucco del “non possiamo ovviamente mostrarvene le immagini”. E’ noto che basta offrire un lieve input al nostro inconscio per farlo scatenate in immaginazioni degne del peggior incubo. All’inizio il messaggio è “Jihadi John è un terrorista islamico che ha tagliato la testa ad un prigioniero occidentale”. Poi vi fanno vedere uno vestito ed incappucciato di nero (il Babau) con un coltello in mano e il prigioniero inginocchiato. Vi descrivono cosa accade in seguito ma non vi fanno vedere ovviamente le immagini, tanto voi ve le figurate lo stesso il più crude possibile e meglio di qualsiasi Eli Roth alla regia. Una volta stabilito il collegamento islamico=tagliagole attraverso lo shock emotivo della decapitazione fantasticata, senza contare l’evocazione di un archetipo come il sacrificio umano, basterà solo nominare “Isis” o anche solo “coltello”, e tutti risponderanno correttamente con la vampata di terrore che paralizza e sconvolge e l’odio verso il boia fantasma di turno.Siamo cani infedeli, è vero, ma cani di Pavlov. Questo è nient’altro che condizionamento operante.Un arnese vecchio come il cucco ma che, a quanto pare, ancora funziona. Non so se ve ne siete accorti ma, con questi ultimi attentati interpretati dai caratteristi islamici, gli sceneggiatori globalisti dello spin-off di “Al Qaeda”, ovvero “Isis”, stanno cercando di palestinizzare l’Europa. E visto che il masterplan in Europa è il governo unico, la sbobba unica europea che governi il meticciato ingovernabile del prossimo regno delle corporation post Ttip, dopo Parigi la prossima location del tour della paura non può che essere Bruxelles. E’ ovvio che, se il terrorismo minaccia Bruxelles, ci vuole più Europa. Con la speranza forse che “sarà l’Isis a far nascere l’Europa” (“il discorso di Hollande tocca un punto cruciale: che è stata colpita l’Europa, non la Francia. E che quando si parla di confini non si parla di quelli nazionali. Forse la tragedia di Parigi può essere la svolta per il Vecchio Continente”).Un’altra cosa che non credo riusciranno a reggere in eterno, oltre le spudorate menzogne, è l’imposizione della dissonanza cognitiva tra Islam terrorista cattivo / Islam di pace e moderato. Già si fatica a capire perché, mentre si sta facendo di tutto per farci percepire gli islamici come terroristi sanguinari e tagliagole, e quindi farceli odiare, allo stesso tempo ci stiano riempiendo di islamici a strafottere, con l’obbligo di accoglierli, amarli e di non indulgere nell’islamofobia (una delle cinquanta sfumature del piagnonismo minoritario politicamente corretto). Ma come si fa? Pretenderebbero che li odiassimo (come Netanyahu, ad esempio) e allo stesso tempo li amassimo cristianamente come Papa Francesco. La percezione quantistica dell’Islam. “Ti odio e poi ti amo e poi ti amo e poi ti odio e poi ti amo”, cantava Mina, ma era una canzone. Qui siamo in guerra e in guerra non è concepibile non sapere chi è il nemico o ondeggiare nell’indeterminazione, a meno che ciò non serva a qualcuno e noi siamo solo pupazzi ammaestrati o i cani di Pavlov di cui sopra.E’ ovvio che non tutti i musulmani sono jihadisti e wahabiti e che non tutti gli imam sono come quello a Brest che insegna ai bambini che la musica è haram e che chi l’ama sarà tramutato in porco, altrimenti non esisterebbe la pregevolissima musica mediorientale.D’altra parte nelle manifestazioni di condanna degli islamici al terrorismo (dallo slogan chiaramente spin #notinmyname), nonostante il tentativo di farle passare per oceaniche dalla solita informazione che esegue solo gli ordini, si è trattato di appena 400-500 gatti tra il solito piddinume da parata ed esclusi l’omaccia della Cgil, il Landini ingolfato, il centrodestra in tracce (Casini e Cicchitto) e le istituzioni in contumacia. A Milano hanno rischiato di essere stati di più al raduno degli ex-paninari in S.Babila. Insomma il “da che parte stanno” che in guerra è di prammatica e durante la Seconda Guerra Mondiale mandò i giapponesi d’America in campi di concentramento, è ancora per noi un mistero. Perciò, quando senti l’Allahu akbar gridato dai saraceni appena sbarcati, è l’antico sangue templare che ti ribolle nelle vene o solo il timore che, una volta in Europa, l’islamico pacifico e moderato getti la maschera e vada a dar di rota alla vecchia scimitarra?Vi è un’innegabile ambiguità islamica che permette a qualcuno di manipolarla a scopo di creazione del caos. Ciò che mi sembra interessante chiedersi, a questo punto, è perché diavolo le istituzioni islamiche, più che scendere inutilmente e vergognosamente in quattro gatti in piazza in favore di telecamera, non denuncino l’evidente strumentalizzazione globalista dei suoi estremisti jihadisti a progetto per scopi che paiono servire più che altro i loro nemici storici ed il loro alleato in bisinissi l’Arabia Saudita, per non parlare dei doppiogiochisti turchi, da sempre con un piede nell’Islam e l’altro in Europa. Perché insomma queste istituzioni moderate, di pace e fratellanza, che dovrebbero rappresentare i buoni ed onesti tra i musulmani, non dicano: “Ci siamo accorti anche noi che è un grande inganno e vogliamo denunciarlo perché ci danneggia come danneggia voi”. Invece, zitti.Cari saraceni, non è che ci state credendo veramente a questa reconquista, per caso? Non crederete anche voi, spero, alla telenovela della Katz con il trailer della Tour Eiffel che crolla nel prossimo episodio? Pensate che facendo i piddini e campagna elettorale per loro, ciò possa servire alla causa del profeta? Ci costringete quindi proprio ad odiarvi, noi che volevamo solo amarvi? Perché sappiate che islamico + piddino raddoppia i punti e si completa prima la raccolta.(Barbara Tampieri aka Lameduck, “Il tempo dell’inganno universale”, da “L’Orizzonte degli Eventi” del 22 novembre 2015).“La verità è così preziosa che bisogna proteggerla sempre con una cortina di bugie”. (Winston Churchill). Il livello di propaganda che emana dai media in questa grande campagna d’autunno all’insegna della strategia della tensione globale ha ormai superato ogni limite di tolleranza, per non dire di decenza. Credo che oramai questa cosa del “più la bugia è grossa e più la gente la crederà” stia loro sfuggendo di mano. La saggezza popolare, quella che, nella scritta sul muro qui sopra, sfida il nemico fantasmatico a palesarsi nel reale per un virile e decisivo fare a cazzotti, è sempre pronta a vedere la nudità dell’imperatore e ogni volta che appare un nuovo nemico già ex-amico, una nuova compagine terroristica dal nome improbabile, un nuovo babau – anche se non è ancora stato trovato un caratterista all’altezza dell’Osama Bin Laden fatto morire nell’epico finale della serie “Al Qaeda” – è sempre meno disposta a crederci. La grossezza della bugia deve diventare quindi enormità, essa si gonfia fino a che un giorno, inevitabilmente, non potrà che esplodere in faccia a coloro che l’hanno creata ed hanno continuato a gonfiarla a dismisura credendo di poterlo fare all’infinito.
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Putin: Isis, la recita è finita. Erdogan gli compra il petrolio
«La coalizione guidata dagli Usa ha iniziato a sorvolare i cieli di Iraq e Siria un anno prima dell’inizio delle nostre operazioni militari: sono convinto che abbiano visto tutto», dice il ministro degli esteri russo, Sergeij Lavrov. Hanno “visto tutto” (il traffico di petrolio dal territorio controllato dall’Isis alla Turchia) ma «non hanno fatto nulla, per qualche ragione sconosciuta». E’ un colpo da ko quello sferrato da Putin il 2 dicembre 2015: la Russia esibisce prove, anche fotografiche e satellitari, del traffico di petrolio che l’Isis trafuga e rivende in Turchia per finanziarsi. E al vertice del business inconfessabile c’è la famiglia Erdogan, l’oligarca alla guida di Ankara (paese Nato) e il figlio, Bilal. Entrambi, accusa Mosca, fanno lucrosi affari coi tagliagole del Califfato, come sostiene il portavoce del Cremlino, Dmitrij Peskov. Per la prima volta, viene strappato il velo sui “misteri” dell’Isis: quello che già si sapeva diventa verità ufficiale: non solo la Cia ha sempre sostenuto lo Stato Islamico insieme alla Francia e agli alleati del Golfo, sauditi e Qatar in primis, ma l’altro grande alleato, la Turchia, vede coinvolta la famiglia presidenziale nello scandalo del contrabbando di greggio.E’ la prima risposta, devastante, che la Russia rivolge alla Turchia dopo l’abbattimento del bombardiere Sukhoi-24 sul confine con la Siria. “Incidente” non seguito da scuse ufficiali di Ankara, che ha evidentemente cercato la rissa per sparigliare le carte sul terreno, dopo l’energica azione militare di Mosca che ha radicalmente cambiato lo scenario, mettendo in fuga l’invincibile Califfato sostenuto sottobanco da sunniti e occidentali. Mentre ora i bombardieri di Mosca volano scortati dai caccia, equipaggiati con missili aria-aria, e i cieli sono stati sigillati dallo scudo missilistico allestito dall’esercito russo (batterie di S-400 e sorveglianza speciale da parte della Flotta del Mar Nero), la Russia reagisce con misure durissime contro Ankara: bando su frutta e verdura, stop ai voli charter e ai pacchetti turistici, ripristino dei visti e divieto di assumere manodopera turca. E’ solo il primo passo, avvisa Mosca, perché la lista può essere estesa. Per ora il Cremlino evita di colpire i prodotti manifatturieri. E nulla trapela sui grandi progetti a rischio, come la prima centrale nucleare turca e il gasdotto Turkish Stream, che avrebbero ripercussioni anche sull’economia e sugli interessi geopolitici russi.Una bastonata mirata, dunque, senza danneggiare troppo l’economia. La stampa russa ipotizza contromisure turche che spaziano dal boicottaggio del Turkish Stream, che costringerebbe Mosca a rivedere la propria strategia energetica verso l’Europa, alla chiusura del Bosforo e dello stretto dei Dardanelli alle navi da guerra russe dirette in Siria, sfruttando le differenti interpretazioni della controversa legislazione marittima. Malgrado tutto, Ankara sembra però voler tentare il disgelo, non avendo percepito il sostegno dei leader occidentali dopo l’annuncio delle sanzioni russe. Evidente l’imbarazzo nell’area Nato: così come ha colpito la Turchia, l’informazione russa sul sostegno all’Isis (con dossier anche fotografici) potrebbe colpire anche gli altri sostenitori occulti del Califfato, che ora si affannano a inseguire i russi sulla via dei bombardamenti, dopo aver sostenuto per anni, sottobanco, la guerra del Califfo per rovesciare Assad e ridurre la Siria come la Libia. Qualcosa è cambiato, dopo lo storico accordo tra Obama e l’altro grande sponsor della Siria, l’Iran. Licenziato il generale Allen, che dirigeva il sostegno americano all’Isis, Obama ha dato il suo ok all’intervento militare di Putin.Nessuno, peraltro, si aspettava che Mosca mettesse in campo una tale potenza di fuoco, e con tanta celerità. Tutti spiazzati, gli ex “amici” dell’Isis, a cominciare da Israele, che ha regolarmente bombardato le milizie libanesi di Hezbollah impegnate in Siria contro il Califfato. Secondo svariati osservatori, proprio il progressivo venir meno del sostegno occulto allo Stato Islamico può aver generato tensioni e ricatti, dalla strage di Parigi contro la Francia di Hollande alle possibili minacce contro Erdogan, grande “padrino” dell’Isis attraverso la frontiera-colabrodo fra Siria e Turchia, comodamente utilizzata dai jihadisti per trovare ripario, ottenere armamenti e finanziarsi attraverso il traffico di petrolio. Ora, l’ennesima svolta di Mosca – l’offensiva mediatica, dopo quella militare – mette a nudo la farsa che ha finora tenuto in piedi l’Isis, che utilizza vasta manovalanza da paesi portati alla disperazione dalle guerre occidentali ma è stato lasciato crescere impunemente solo per un cinico calcolo. Il sacrificio del jet russo abbattuto (dopo quello dell’altro aereo, il volo di linea fatto esplodere sul Sinai, con più morti di quelli nelle strade di Parigi) ha indotto Mosca a cambiare passo. La recita è finita. Chi ha organizzato e sostenuto l’Isis, d’ora in poi, dovrà aspettarsi di tutto.«La coalizione guidata dagli Usa ha iniziato a sorvolare i cieli di Iraq e Siria un anno prima dell’inizio delle nostre operazioni militari: sono convinto che abbiano visto tutto», dice il ministro degli esteri russo, Sergeij Lavrov. Hanno “visto tutto” (il traffico di petrolio dal territorio controllato dall’Isis alla Turchia) ma «non hanno fatto nulla, per qualche ragione sconosciuta». E’ un colpo da ko quello sferrato da Putin il 2 dicembre 2015: la Russia esibisce prove, anche fotografiche e satellitari, del traffico di petrolio che l’Isis trafuga e rivende in Turchia per finanziarsi. E al vertice del business inconfessabile c’è la famiglia Erdogan, l’oligarca alla guida di Ankara (paese Nato) e il figlio, Bilal. Entrambi, accusa Mosca, fanno lucrosi affari coi tagliagole del Califfato, come sostiene il portavoce del Cremlino, Dmitrij Peskov. Per la prima volta, viene strappato il velo sui “misteri” dell’Isis: quello che già si sapeva diventa verità ufficiale: non solo la Cia ha sempre sostenuto lo Stato Islamico insieme alla Francia e agli alleati del Golfo, sauditi e Qatar in primis, ma l’altro grande alleato, la Turchia, vede coinvolta la famiglia presidenziale nello scandalo del contrabbando di greggio.
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Chi ci porta in guerra, e perché i giornali non lo rivelano
Mille cisterne di petrolio dell’Isis, dirette in Turchia, distrutte in pochi giorni dai caccia russi. Poi l’abbattimento del Sukhoi-24, col mitragliamento di uno dei piloti mentre scendeva col paracadute. E il ministro degli esteri turco che dice al collega russo Lavrov che i militari di Ankara, quei pasticcioni, non avevano capito che l’aereo sul confine turco-siriano fosse russo. Una farsa pericolosa, su cui Obama si è limitato a dire che “la Turchia ha il diritto di difendersi”, come se il bombardiere Su-24 stesse minacciando la sicurezza turca. Conseguenze? Imprevedibili. Secondo Pepe Escobar, Mosca potrebbe chiudere i rubinetti del gas (da cui la Turchia dipende), armare segretamente i separatisti curdi dell’Anatolia e, intanto, spedire gli “Spetznaz” – i temibili reparti speciali – in missione punitiva tra le montagne dove si annidano i guerriglieri turcomanni, quelli che hanno mitragliato il paracadutista compiendo un crimine di guerra particolarmente odioso, sanzionato dalla Convenzione di Ginevra del 1977. Il “colpo alla schiena” sferrato a Putin ci spinge verso una guerra più vasta?
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Craig Roberts: schiavi e padroni (di tutto, anche degli Stati)
Una nuova schiavizzazione delle popolazioni occidentali è in atto su diversi livelli. Uno di cui sto parlando da almeno dieci anni è la delocalizzazione del lavoro. Gli Stati Uniti, ad esempio, partecipano sempre meno alla produzione dei beni e dei servizi che finiscono sul loro mercato. Ad un altro livello stiamo esperendo la finanziarizzazione dell’economia occidentale, della quale Michael Hudson è uno dei maggiori esperti (“Killing the host”). La finanziarizzazione è il processo di rimozione di ogni tipo di presenza pubblica nell’economia e la conversione del surplus economico nel pagamento di interessi al settore finanziario. Questi due fattori privano la gente di prospettive economiche. Una terzo li priva dei diritti politici. Il Tpp e il Ttip eliminano la sovranità politica e spostano il controllo sulle grandi aziende. Questi cosiddetti “partenariati commerciali” non hanno nulla a che fare con il business. Questi accordi negoziati in segreto accordano immunità alle grandi aziende nei confronti delle leggi nazionali dei paesi in cui operano.Questo obiettivo viene raggiunto inquadrando ogni intromissione nei profitti aziendali da parte di leggi esistenti o potenziali come una limitazione agli affari, per la quale le aziende possono intentare causa ai governi “sovrani”. Per esempio il divieto in Francia ed altre nazioni riguardo gli Ogm verrebbe annullato dal Ttip. La democrazia viene semplicemente sostituita dalle regole aziendali. Avrei voluto parlare di più di tutto questo. Comunque altri, come Chris Hedges, stanno facendo un buon lavoro per spiegare la stretta del potere che sta eliminando i governi rappresentativi. Le grandi aziende comprano il potere a basso prezzo. Hanno comprato la Camera dei Rappresentanti negli Usa per meno di 200 milioni di dollari. Questo è quanto è stato dato al Congresso per proseguire con “Fast Track”, che permette al braccio delle corporation, il Rappresentante del Commercio Usa, di negoziare segretamente senza spinta o supervisione da parte del Congresso stesso.In altre parole un agente delle grandi aziende si relaziona con altri suoi simili nelle nazioni che compromettono la “partnership” e questo gruppetto di gente profumatamente prezzolata scrive accordi che soppiantano la legge a favore degli interessi aziendali. Nessuna delle persone coinvolte rappresenta gli interessi delle nazioni o delle loro popolazioni. I governi delle nazioni aderenti alla partnership possono solo votare sì o no all’accordo… e verranno pagati profumatamente per votare nel modo giusto. Una volta che queste partnership sono attive, i governi stessi sono come privatizzati. Legislature, presidenti, primi ministri e giudici non hanno più alcuna ragione di esistere. I tribunali aziendali decidono le leggi e il funzionamento delle corti.È probabile che questa “partnership” avranno conseguenze indesiderate. Per esempio, Russia e Cina non fanno parte degli accordi, così come Iran, Brasile, India e Sud Africa, benchè, separatamente, il governo indiano sembra essere stato comprato dai grandi capitali agricoli statunitensi e sia sulla strada della distruzione del proprio sistema autosufficiente di produzione del cibo. Questa nazioni saranno depositarie della sovranità nazionale e del controllo pubblico, mentre libertà e democrazia saranno estinte in Occidente e presso i suoi vassalli asiatici. Rivoluzioni violente per tutto l’Occidente e la completa eliminazione dell’“un per cento” è un altro scenario possibile. Ad esempio, una volta che la popolazione francese avrà scoperto di aver perso il controllo sulla propria dieta a vantaggio della Monsanto e dell’agribusiness statunitense, i membri del governo francese che hanno condotto il paese verso una prigione alimentare di cibo tossico probabilmente verranno fatti a pezzi per le strade. Eventi di questo tipo sono possibili in Occidente solo se le popolazioni scopriranno di aver totalmente perso il controllo su ogni aspetto della loro vita e che l’unica scelta è tra la rivoluzione o la morte.(Paul Craig Roberts, “La ri-schiavizzazione delle genti occidentali”, da “Counterpunch” del 10 novembre 2015, tradotto da “Come Don Chisciotte”).Una nuova schiavizzazione delle popolazioni occidentali è in atto su diversi livelli. Uno di cui sto parlando da almeno dieci anni è la delocalizzazione del lavoro. Gli Stati Uniti, ad esempio, partecipano sempre meno alla produzione dei beni e dei servizi che finiscono sul loro mercato. Ad un altro livello stiamo esperendo la finanziarizzazione dell’economia occidentale, della quale Michael Hudson è uno dei maggiori esperti (“Killing the host”). La finanziarizzazione è il processo di rimozione di ogni tipo di presenza pubblica nell’economia e la conversione del surplus economico nel pagamento di interessi al settore finanziario. Questi due fattori privano la gente di prospettive economiche. Una terzo li priva dei diritti politici. Il Tpp e il Ttip eliminano la sovranità politica e spostano il controllo sulle grandi aziende. Questi cosiddetti “partenariati commerciali” non hanno nulla a che fare con il business. Questi accordi negoziati in segreto accordano immunità alle grandi aziende nei confronti delle leggi nazionali dei paesi in cui operano.
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Prima dell’acqua potabile, Messina avrà il plastico del Ponte
Berlusconi ci aveva provato con la Protezione Civile di Bertolaso, il suo ras delle Grandi Opere e dei Grandi Eventi per il business del ventunesimo secolo: un Italia da trasformare interamente in un lucroso enorme luna park per turisti. Varie ed eventuali implicazioni criminali di quel tentativo a parte, dal punto di vista politico-economico anche Matteo Renzi sembra pensare ad un progetto del genere, almeno fin da quando ha sostituito Lupi alle Infrastrutture (ex Lavori Pubblici) con il suo fedelissimo Delrio. Non sorprende quindi che abbia appena conferito alla Protezione Civile poteri straordinari, dopo aver affondato Marino consegnando il Giubileo al renziano Team Expo, del quale ogni giorno i media embedded tessono le lodi con toni agiografici. Anche il Vaticano sembra partecipare attivamente al programma. Millenario fiuto per gli affari. E l’odore dei soldi inasprisce la guerra fra bande. Oltretevere come nel Pd. Per il riutilizzo dell’area Expo sono già in arrivo almeno duecento milioni di euro.Non ci sarebbe stato bisogno in realtà di nessun Vatileaks per sapere che la Chiesa Cattolica è una delle multinazionali più avide e corrotte del pianeta. E la gestione delle attrazioni e dei flussi turistici è sempre stata una delle sue specialità. Renzi è un animatore turistico, e fare dell’Italia il suo villaggio probabilmente è proprio il compito che gli è stato assegnato. Perché il progetto in realtà non è soltanto berlusconiano. Questa è anche l’idea che le classi dirigenti d’Europa e del resto del mondo hanno dell’Italia: un resort di loro proprietà dove venire ad ammirare panorami, monumenti, e culi, al dolce canto dei tenorini di Sanremo.Quindi il premier che gli serve in Italia è un curatore, un commissario, come Monti, ma con un’immagine mediatica più accattivante. Un commissario cazzaro. E gli serve una Costituzione truccata come una Volkswagen apposta per mantenere il Commizzaro al suo posto il più possibile.Secondo gli ultimi sondaggi, in un eventuale ballottaggio il Movimento 5 Stelle batterebbe il Pd. L’Italicum sarà quindi modificato in modo che assegni la maggioranza assoluta dei seggi al perdente. Poi il Team Expo sostituirà Camera e Senato con due padiglioni. Alla maggioranza del resto degli italiani resteranno i ruoli di cameriere stagionale, sguattero precario, guida turistica abusiva. Pizzaiolo. Cubista. Sfondo da selfie. Agli intellettuali, quello di posteggiatori. Meno i turisti capiranno l’italiano, più apprezzeranno i loro stornelli. Messina avrà il plastico del ponte prima dell’acqua potabile. Mentre il Commizzaro s’impegnerà a dimostrare ai Casamonica d’essere un giostraio più abile di loro.(Alessandra Daniele, “Il Comizzaro”, da “Carmilla online” dell’8 novembre 2015).Berlusconi ci aveva provato con la Protezione Civile di Bertolaso, il suo ras delle Grandi Opere e dei Grandi Eventi per il business del ventunesimo secolo: un Italia da trasformare interamente in un lucroso enorme luna park per turisti. Varie ed eventuali implicazioni criminali di quel tentativo a parte, dal punto di vista politico-economico anche Matteo Renzi sembra pensare ad un progetto del genere, almeno fin da quando ha sostituito Lupi alle Infrastrutture (ex Lavori Pubblici) con il suo fedelissimo Delrio. Non sorprende quindi che abbia appena conferito alla Protezione Civile poteri straordinari, dopo aver affondato Marino consegnando il Giubileo al renziano Team Expo, del quale ogni giorno i media embedded tessono le lodi con toni agiografici. Anche il Vaticano sembra partecipare attivamente al programma. Millenario fiuto per gli affari. E l’odore dei soldi inasprisce la guerra fra bande. Oltretevere come nel Pd. Per il riutilizzo dell’area Expo sono già in arrivo almeno duecento milioni di euro.
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E così compriamo dall’Isis i capolavori distrutti per finta
Poche settimane fa Paolo Gentiloni e Dario Franceschini, rispettivamente ministri degli Esteri e dei Beni e delle attività culturali e del Turismo, celebravano il “successo” per il “sì” del Consiglio esecutivo dell’Unesco alla proposta italiana di istituire meccanismi per l’uso dei “caschi blu della cultura”. Una task force internazionale dunque che dovrà intervenire laddove il patrimonio dell’umanità viene messo a rischio da catastrofi naturali o da attacchi terroristici. La decisione è infatti arrivata dopo i video pubblicati dallo Stato Islamico sulla distruzione dei siti archeologici (Nimrud, Hatra, Khorsabad, Palmira) in Iraq e in Siria da parte dei suoi miliziani. Peccato però che gli indignati non fanno altro che rinsaldare la strategia mediatica e le casse del Califfato invece che impedire questo scempio. In realtà dietro alla furia iconoclasta si nasconde un business da milioni di dollari. A rivelarlo è stata l’archeologa francolibanese Joanne Farchakh, intervistata dal giornalista Robert Fisk per l’“Independent”.«L’Isis prima vende le statue, i reperti, qualunque cosa richiesta dai compratori sul mercato internazionale», racconta al quotidiano inglese: «Prende il denaro e poi fa saltare in aria il tempio da cui queste cose provenivano così da distruggere tutte le prove». Da un lato dunque le riprese possono essere vere e proprie messe in scena per nascondere questo commercio di statue, ceramiche, mosaici, bassorilievi, monete, frontoni di pietra e affreschi; dall’altro può accadere che la demolizione avviene solo parzialmente così da non far sapere quali pezzi sono stati venduti dopo il saccheggio. La scoperta di questo traffico occulto che coinvolge Stato Islamico, compratori privati delle capitali del mondo dell’arte e gruppi organizzati della criminalità turca, i quali permetterebbero il transito verso l’Europa e gli Stati Uniti, è stato ampiamente documentato da diversi esperti. Tra questi Mark Altaweel, archeologo americano di origini irachene nonché docente all’Università College di Londra, il quale in un’intervista rilasciata all’emittente televisiva “Russia Today” ha mostrato i siti di antiquariato inglesi che vendono a prezzi stratosferici resti artistici provenienti da Siria e Iraq.Altaweel è una figura molto autorevole, tanto che il quotidiano “The Guardian” si era fatto portare quest’estate a spasso nella regione per svolgere un’inchiesta volta a scoprire il luogo di provenienza di molti oggetti sparsi nel mercato occidentale dell’antiquariato. Le sue conclusioni vanno nella stessa direzione di quelle di Joanne Farchakh che nell’intervista ha spiegato come «l’Isis ha saputo imparare dai suoi errori, quando iniziò a distruggere i siti in Siria e in Iraq, arrivarono con i martelli, gli autocarri, distrussero ogni cosa più velocemente possibile e ne fecero un filmato brevissimo. Nimrud venne fatta saltare in aria in un giorno, ma il filmato che ne uscì fu di soli 20 secondi. Non so quanta sia l’attenzione che si può catturare con un video così breve». Ora però che ci sono i compratori è cambiata la strategia. L’arte è un business raffinato quanto quello del petrolio e delle armi.Adesso infatti – spiega l’archeologia francolibanese – «l’evento viene annunciato da una grande esplosione, poi arrivano, frammentate, le sequenze dettagliate di quello che è avvenuto». Come con la distruzione di Palmira, dove sono state documentate prima le esecuzioni dei soldati siriani nel tempio romano, poi sono stati mostrati gli esplosivi legati attorno alle antiche colonne, ancora la decapitazione del coraggioso custode in pensione del tempio e soltanto alla fine la distruzione del sito. Un evento costruito ad arte sia per i media, che ormai si erano rifiutati di mandare in onda altro sangue, sia per i mercanti d’arte, perché “più a lungo dura la devastazione, più salgono i prezzi dei reperti rubati”. Insomma i “caschi blu della cultura” più che recarsi nelle aree minacciate dallo Stato Islamico dovrebbero seguire il traffico occulto che conduce nelle principali capitali occidentali.(Sebastiano Caputo, “Dietro alla furia iconoclasta dell’Isis un business da milioni di dollari”, da “Il Giornale” del 9 novembre 2015).Poche settimane fa Paolo Gentiloni e Dario Franceschini, rispettivamente ministri degli Esteri e dei Beni e delle attività culturali e del Turismo, celebravano il “successo” per il “sì” del Consiglio esecutivo dell’Unesco alla proposta italiana di istituire meccanismi per l’uso dei “caschi blu della cultura”. Una task force internazionale dunque che dovrà intervenire laddove il patrimonio dell’umanità viene messo a rischio da catastrofi naturali o da attacchi terroristici. La decisione è infatti arrivata dopo i video pubblicati dallo Stato Islamico sulla distruzione dei siti archeologici (Nimrud, Hatra, Khorsabad, Palmira) in Iraq e in Siria da parte dei suoi miliziani. Peccato però che gli indignati non fanno altro che rinsaldare la strategia mediatica e le casse del Califfato invece che impedire questo scempio. In realtà dietro alla furia iconoclasta si nasconde un business da milioni di dollari. A rivelarlo è stata l’archeologa francolibanese Joanne Farchakh, intervistata dal giornalista Robert Fisk per l’“Independent”.
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Chemioterapia? No, grazie: non guarisce e uccide prima
“Non somministrerò ad alcuno, neppure se richiesto, un farmaco mortale”, recita il Giuramento di Ippocrate. Quanti medici lo rispettano? E che dire degli oncologi che prescrivono la chemioterapia, così come i governi che li obbligano a seguire il protocollo anti-cancro basato su chemio e radioterapia? Poco nota al grande pubblico è la vasta ricerca condotta per 23 anni dal professor Hardin Jones, fisiologo dell’Università della California, presentata già nel 1975 a Berkeley. Oltre a denunciare l’uso di statistiche falsate, Jones prova che i malati di tumore che non si sottopongono alle terapie canoniche sopravvivono più a lungo. Il professor Jones dimostra che le donne malate di cancro alla mammella che hanno rifiutato le terapie convenzionali mostrano una sopravvivenza media di 12 anni e mezzo, quattro volte superiore a quella (di appena 3 anni) raggiunta dalle donne che accettano le cure complete. Un’altra ricerca, pubblicata su “The Lancet”, rivela che, su 188 pazienti affetti da carcinoma inoperabile ai bronchi, la vita media di quelli trattati con la chemio è stata di 75 giorni, contro i 120 dei pazienti non trattati.Se queste ricerche sono veritiere, osserva Marcello Pamio, autore di “Cancro SpA, leggere attentamente le avvertenze”, una persona malata di tumore ha statisticamente una percentuale maggiore di sopravvivenza se non segue i protocolli terapeutici ufficiali. «Con questo non si vuole assolutamente spingere le persone a non farsi gli esami», ma si vogliono fornire semplicemente «informazioni che normalmente vengono oscurate». Informazioni spesso decisive per trovare la giusta terapia. «La scelta è sempre e solo individuale: ogni persona deve assumersi la propria responsabilità, deve prendere in mano la propria vita. Dobbiamo smetterla di delegare il medico, lo specialista, il mago, il santone che sia. Nessun altro deve poter decidere al posto nostro». Tra le cose che normalmente il sistema sanitario non ci racconta, oltretutto, c’è l’auto-guarigione: un’altissima percentuale di individui è affetta (senza saperlo) da tumori “in situ”, neutralizzati e resi inoffensivi dall’organismo. Lo ha spiegato Luigi De Marchi, psicologo clinico, autore di saggi conosciuti a livello internazionale: moltissimi di noi convivono con tumori inoffensivi, “incapsulati” all’interno del corpo.Parlando con un amico anatomo-patologo del Veneto sui dubbi dell’utilità delle diagnosi e delle terapie anti-tumorali, De Marchi si sentì rispondere: «Sapessi quante volte, nelle autopsie sui cadaveri di vecchi contadini delle nostre valli più sperdute, ho trovato tumori regrediti e neutralizzati naturalmente dall’organismo: era tutta gente che era guarita da sola del suo tumore ed era poi morta per altre cause, del tutto indipendenti dalla patologia tumorale». Ma allora, si domandò De Marchi, la tanto conclamata diffusione delle patologie cancerose negli ultimi decenni è solo un’illusione ottica? E’ prodotta dalla diffusione delle diagnosi precoci di tumori che un tempo passavano inosservati e regredivano naturalmente? «E se il tanto conclamato incremento della mortalità da cancro fosse solo il risultato dell’angoscia di morte prodotta sia dalle diagnosi precoci e dal clima terrorizzante degli ospedali, sia della debilitazione e intossicazione del paziente prodotte dalle terapie invasive, traumatizzanti e tossiche della medicina ufficiale?». Dubbio atroce: l’angoscia da diagnosi infausta e l’avvelamento da chemioterapia possono sabotare la capacità di auto-guarigione?«Con quanto detto da Luigi De Marchi – confermato anche da autopsie eseguite in Svizzera su cadaveri di persone morte non per malattia – si arriva alla sconvolgente conclusione che moltissime persone hanno (o avevano) uno o più tumori, ma non sanno (o sapevano) di averli», continua Pamio sul sito di “Arianna”, editrice specializzata in informazione alternativa, anche medica. Dall’indagine autoptica elvetica, eseguita su migliaia di persone decedute in incidenti stradali, è risultato qualcosa di sconvolgente: il 38% delle donne tra i 40 e 50 anni presentava un tumore al seno, il 48% degli uomini sopra i 50 anni aveva un tumore alla prostata, e il 100% delle donne e uomini sopra i 50 anni presentava un tumore alla tiroide. Attenzione: tutti tumori “in situ”, cioè incapsulati dal corpo e resi innocui. «Nel corso della vita è infatti “normale” sviluppare tumori: la stessa medicina sa bene che sono migliaia le cellule tumorali prodotte ogni giorno dall’organismo. Vengono distrutte o fagocitate dal sistema immunitario, se l’organismo funziona correttamente». Molti tumori regrediscono o rimangono incistati per lungo tempo, quando la forza risanatrice di ognuno è libera di agire. E se invece l’organismo viene gravemente debilitato da farmaci invasivi?Il più pericoloso è proprio la chemioterapia, il cui principio terapeutico è brutalmente semplice: si usano sostanze chimiche altamente tossiche per uccidere le cellule cancerose.Tuttavia, «non essendo in grado di distinguere le cellule sane da quelle neoplastiche (impazzite)», cioè i tessuti tumorali da quelli sani, «questa feroce azione mortale colpisce e distrugge l’intero organismo vivente». In altre parole, «si sono dimenticati di dirci che queste sostanze di sintesi sono dei veri e propri veleni». Racconta una paziente: «Il fluido altamente tossico veniva iniettato nelle mie vene. L’infermiera che svolgeva tale mansione indossava guanti protettivi perché se soltanto una gocciolina del liquido fosse venuta a contatto con la sua pelle l’avrebbe bruciata». Corollario: giorni interi in preda al vomito, perdita dei capelli, debilitazione catastrofica. «Ero una morta che camminava». Un malato di tumore viene avvertito che la chemio gli provocherà (forse) nausea, vomito e perdita dei capelli, ma siccome la chemio è l’unica cura ufficiale riconosciuta «si devono stringere i denti e firmare il consenso informato, cioè si sgrava l’azienda ospedaliera da qualsiasi responsabilità».In Italia, l’Istituto Superiore di Sanità ha stampato un fascicolo dal titolo “Esposizione professionale a chemioterapici antiblastici” per tutti gli addetti ai lavori, infermieri e medici che maneggiano fisicamente le fiale per la chemio. Sfogliando l’elenco dei veleni che compongono il cocktail letale, c’è de restare secchi. Ad esempio, gli “antraciclinici” sono “potenzialmente mutageni e cancerogeni” e possono produrre “cardiomiopatia cronica”, mortale nel 50% dei casi. Altra sostanza, la “procarbazina”: anch’essa cancerogena e mutagena, è anche teratogena (malformazione nei feti) e il suo impiego è associato a un rischio del 5-10% di leucemia acuta, che aumenta per i soggetti trattati anche con radioterapia. Un altro documento, sempre del ministero della sanità (commissione oncologica nazionale), avverte i sanitari del pericolo dell’esposizione ai veleni chemioterapici: «Si parla espressamente dei rischi per operatori e pazienti». Testualmente: «Nonostante numerosi chemioterapici antiblastici siano stati riconosciuti dalla Iarc (International Agency for Research on Cancer) e da altre autorevoli agenzie internazionali come sostanze sicuramente cancerogene o probabilmente cancerogene per l’uomo, a queste sostanze non si applicano le norme del Titolo VII del D.lgs n. 626/94 “Protezione da agenti cancerogeni”».«Infatti, trattandosi di farmaci – continua il documento ministeriale – non sono sottoposti alle disposizioni previste dalla Direttiva 67/548/Cee e quindi non è loro attribuibile la menzione di R45 “Può provocare il cancro” o la menzione R49 “Può provocare il cancro per inalazione”». Quindi queste sostanze, nonostante provochino il cancro, non possono essere etichettate come cancerogene (R45 e R49) semplicemente perché sono considerate “farmaci”. L’agenzia, scrive Pamio, è arrivata a queste definizioni prevalentemente attraverso la valutazione del rischio “secondo tumore”, che nei pazienti trattati con chemioterapici antiblastici può aumentare con l’aumento della sopravvivenza. «Infatti, nei pazienti trattati per neoplasia è stato documentato lo sviluppo di tumori secondari non correlati con la patologia primitiva». Massima allerta anche alla voce “smaltimento”: «Tutti i materiali residui dalle operazioni di manipolazione dei chemioterapici antiblastici (mezzi protettivi, telini assorbenti, bacinelle, garze, cotone, fiale, flaconi, siringhe, deflussori, raccordi) devono essere considerati rifiuti speciali ospedalieri». Vanno bruciati in inceneritore, a 1000 gradi, e non senza rischi: «La termossidazione, pur distruggendo la molecola principale della sostanza, può comunque dare origine a derivati di combustione che conservano attività mutagena».È pertanto preferibile «effettuare un trattamento di inattivazione chimica (ipoclorito di sodio) prima di inviare il prodotto ad incenerimento», conclude il ministero, secondo cui sono un pericolo anche le urine dei pazienti sottoposti al trattamento: «Dovrebbero essere inattivate prima dello smaltimento, in quanto contengono elevate concentrazioni di principio attivo». Nemmeno si trattasse di scorie nucleari: ma che razza di sostanze chimiche sono mai queste? «L’amara conclusione, che si evince dall’Istituto Superiore di Sanità, è che l’oncologia moderna per curare il cancro utilizza delle sostanze chimiche che sono cancerogene (provocano il cancro), mutagene (provocano mutazioni genetiche) e teratogene (provocano malformazioni nei discendenti)», scrive Pamio. «C’è qualcosa che non torna: perché ad una persona sofferente dal punto di vista fisico, psichico e morale, debilitata e sconvolta dalla malattia, vengono iniettate sostanze così tossiche?».Parlano chiaro i bugiardini dei farmaci velenosi, come le “mostarde azotate”. Incredibile ma vero, scrive sempre il ministero, queste sostanze-killer «furono prodotte per la prima volta negli anni ’20 e ’30 come potenziali armi chimiche». Particolarmente imbarazzante, oggi, il bilancio dell’oncologia dopo quarant’anni di inutile accanimento chemioterapico: oltre a non guarire dal tumore, i pazienti vengono intossicati e subiscono la proliferazione di tumori secondari, provocata proprio da componenti per “armi di distruzione di massa”, loro somministrate per via endovenosa. E’ il business del secolo, accusano i critici: non è un caso che Big Pharma si premuri di gettare discredito sulle terapie alternative, ormai sempre più diffuse viste le elevate possibilità di guarigione che sembrano offrire, senza peraltro compromettere l’organismo. Chemioterapia? No, grazie. «Per “curare” il tumore oggi vengono utilizzati degli “agenti vescicanti”, prodotti militari usati nelle guerre chimiche», conclude Marcello Pamio. «Anche se la ”guerra al cancro” viene portata avanti con ogni mezzo dall’establishment, ritengo che ci sia un limite a tutto».“Non somministrerò ad alcuno, neppure se richiesto, un farmaco mortale”, recita il Giuramento di Ippocrate. Quanti medici lo rispettano? E che dire degli oncologi che prescrivono la chemioterapia, così come i governi che li obbligano a seguire il protocollo anti-cancro basato su chemio e radioterapia? Poco nota al grande pubblico è la vasta ricerca condotta per 23 anni dal professor Hardin Jones, fisiologo dell’Università della California, presentata già nel 1975 a Berkeley. Oltre a denunciare l’uso di statistiche falsate, Jones prova che i malati di tumore che non si sottopongono alle terapie canoniche sopravvivono più a lungo. Il professor Jones dimostra che le donne malate di cancro alla mammella che hanno rifiutato le terapie convenzionali mostrano una sopravvivenza media di 12 anni e mezzo, quattro volte superiore a quella (di appena 3 anni) raggiunta dalle donne che accettano le cure complete. Un’altra ricerca, pubblicata su “The Lancet”, rivela che, su 188 pazienti affetti da carcinoma inoperabile ai bronchi, la vita media di quelli trattati con la chemio è stata di 75 giorni, contro i 120 dei pazienti non trattati.
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Scordatevi sicurezza e privacy, Facebook è in ascolto
Una cosa alla quale siamo diventati tutti troppo abituati è il fatto che la nostra realtà possa venire manipolata per assomigliare a qualcosa di totalmente diverso. Invadere un’altra nazione è un atto di difesa, elezioni corrotte vengono spacciate come democrazia in azione, un numero maggiore di pistole (o armi nucleari) assicurano la pace, il commercio e gli investimenti stranieri aumentano i posti di lavoro a casa. La logica orwelliana è diventata una cosa normale. Ciò che voglio affrontare qui è un altro tipo di manipolazione: il modo in cui Facebook e gli altri social media usano le informazioni che, per la maggior parte inconsapevolmente, gli forniamo – incluse le conversazioni che facciamo nella privacy della nostre case – per pubblicizzare prodotti che non abbiamo richiesto e che quasi certamente non vogliamo, e passare dati al governo. Non sono di sicuro il primo a scoprire questa capacità straordinaria: molti si sono dichiarati sbalorditi e arrabbiati quando si sono resi conto che parole usate nelle conversazioni su Facebook e Twitter, messaggi, location, status, così come quelle usate nelle conversazioni private fra le mura delle proprie case, venivano quasi immediatamente captate e convertite in annunci pubblicitari.Nomini un certo sport, ed ecco che appare la pubblicità di un’agenzia di prenotazione biglietti. Dici che ti piacerebbe guidare una Lexus ed ecco che compare una pubblicità sulla Lexus. Parli di una vacanza e una pubblicità su Facebook ti raccomanda una spiaggia Hawaiana o un piccolo hotel a Parigi che – guarda caso! – avevi appunto nominato ieri! E’ paranoia? Facebook (o Instagram, Google, o Yahoo) è in grado di origliare le nostre conversazioni? Facebook ammette senza tanti problemi che il suo modello di business si basa sui dati che inseriamo o trasmettiamo on-line, che una volta che ci siamo iscritti i dati sostanzialmente diventano proprietà di Facebook, e che – come ha affermato Mark Zuckerberg, Ceo di Facebook – alla maggior parte delle persone non interessa poi così tanto davvero, della loro privacy. Chiaramente, Facebook & Co. si difendono dicendo che stanno semplicemente rispondendo ai tuoi bisogni e che, se lo desideri, puoi sempre ridurre (ma non eliminare) la quantità di pubblicità, semplicemente selezionando una lista nelle impostazioni di programma. Ma per quanto riguarda il fatto dell’ascolto, Facebook sostiene che l’utente sia l’unico a controllare il microfono, e che, secondo il capo della sicurezza di Facebook, si debba autorizzare Facebook ad attivarlo. Per caso qualcuno si ricorda di una richiesta di autorizzazione?Sembra che si possa disattivare la funzione microfono in Windows o nell’applicazione mobile Facebook sullo smartphone o sul tablet. Ma “off”, significa davvero del tutto “off”? Sembrerebbe di no. L’esperienza mia e di mia moglie dopo aver disattivato il microfono sul suo computer, afferma il contrario. Da notare che le pubblicità sono apparse pochi secondi dopo la nostra conversazione. * Jodi ha fatto un commento sull’attrice Robin Wright Penn. Subito, sono comparse pubblicità su film di Sean Penn.* Abbiammo discusso di magliette per i nipoti. Ecco comparire pubblicità proprio per quelle magliette. * Jodi ha parlato della nostra sfida a Scarabeo, lasciata in sospeso. La pubblicità del gioco Yahtzee è comparsa all’istante. * Jodi stava descrivendo il suo aspetto in relazione alla sua età, per esempio le linee di espressione ed i capelli bianchi, ed è comparsa una pubblicità per la linea “Age Rewind” di Maybelline. E allora uno si chiede, ok, ma spiare non è illegale, un’invasione della privacy?Ci sono state proteste sul larga scala circa lo spionaggio di Facebook sugli smartphone, ma nessuno cambio di policy da parte di Facebook, a quanto ne so. A livello legale, uno studio belga – e tra l’altro, gli europei sono molto più infastiditi e attenti alle manovre sospette di Facebook di quanto non lo siano gli americani – mette in evidenza che il “ritirarsi” dalla pubblicità non è lo stesso che dare consenso informato e diretto. Inoltre, Facebook non chiede il nostro consenso per acquisire dati da altre fonti, per raccogliere dati di localizzazione forniti dagli smartphone, per usare foto o altri dati (come il “like”) inseriti dall’utente. Penso che una corretta interpretazione del report belga e dei chiarimenti più recenti di Facebook sulla sua politica (2015), sia che Facebook può raccogliere ed usare ogni tipo di informazione risultante dall’uso di Facebook da parte dell’utente e dallo strumento utilizzato per accedervi. “Ogni tipo di informazione” significa assolutamente ogni dato l’utente abbia inserito, sia su se stesso che su persone terze, sia comunicato per scritto, a voce, o attraverso immagini. Anche se si decide di chiudere l’account Facebook, tutti i dati forniti restano in suo possesso.E c’è un’ulteriore questione, ancora più dannosa: la raccolta e l’uso dei dati provenienti dai social media da parte delle agenzie governative, in particolare l’ Agenzia per la Sicurezza Nazionale (Nsa). Questa pratica, portata allo scoperto da Edward Snowden, include la partecipazione di Facebook, Apple e numerose altre aziende tecnologiche nel programma Prism della Nsa, per raccogliere dati direttamente dalle aziende piuttosto che semplicemente tramite Internet. L’Unione Europea sta ora contestando questa invasione della privacy. Nel 2000, l’Ue ha accettato la proposta americana di istituire un programma di “Safe Harbor” – Porto Sicuro – per il trasferimento agli Stati Uniti dei dati personali raccolti in Europa da Facebook, Google e Amazon. Quell’accordo è stato rivalutato dall’avvocato generale della Corte di giustizia europea, che ha concluso che esso viola i diritti fondamentali degli europei. L’avvocato generale ritiene che i dati possano «venire utilizzati dalla Nsa e da altre agenzie di sicurezza degli Stati Uniti nel corso di una sorveglianza indiscriminata di massa».La Corte di giustizia europea ha appena confermato tale opinione, e dichiarato non valido il programma “Safe Harbor”. La decisione della Corte di giustizia è che il Safe Harbor «debba essere considerato come qualcosa che compromette l’essenza stessa del diritto fondamentale al rispetto della vita privata». E’ un colpo duro, sebbene non fatale, per Facebook e per gli altri soggetti coinvolti nel trasferimento di dati in Europa. Gli europei hanno fatto pressioni a queste aziende, in particolare a Google e Amazon, anche circa altre questioni, come nel caso della legislazione antitrust. Idealmente, la decisione della Corte di giustizia e la altre azioni europee incoraggeranno gli americani ad organizzare le loro battaglie per una maggiore tutela della privacy ed una maggior trasparenza sul modo in cui i giganti della tecnologia conducono i loro affari. L’invasione della privacy sui social media vi preoccupa, o considerate la perdita della privacy come il prezzo della socializzazione? Come avete gestito la vostra privacy sul vostro computer, smartphone, o tablet? Avete avuto esperienze di “spionaggio” come quelle che ho nominato?(Mel Gurtov, “La distorsione della realtà: Facebook è in ascolto”, da “Counterpunch” del 13 ottobre 2015, tradotto da “Come Don Chisciotte”. Professore emerito di scienze politiche alla Portland State University, Gurtov è editorialista di “Asian Perspective”, trimestrale di politica internazionale, e scrive sul blog “In the Human Interest”).Una cosa alla quale siamo diventati tutti troppo abituati è il fatto che la nostra realtà possa venire manipolata per assomigliare a qualcosa di totalmente diverso. Invadere un’altra nazione è un atto di difesa, elezioni corrotte vengono spacciate come democrazia in azione, un numero maggiore di pistole (o armi nucleari) assicurano la pace, il commercio e gli investimenti stranieri aumentano i posti di lavoro a casa. La logica orwelliana è diventata una cosa normale. Ciò che voglio affrontare qui è un altro tipo di manipolazione: il modo in cui Facebook e gli altri social media usano le informazioni che, per la maggior parte inconsapevolmente, gli forniamo – incluse le conversazioni che facciamo nella privacy della nostre case – per pubblicizzare prodotti che non abbiamo richiesto e che quasi certamente non vogliamo, e passare dati al governo. Non sono di sicuro il primo a scoprire questa capacità straordinaria: molti si sono dichiarati sbalorditi e arrabbiati quando si sono resi conto che parole usate nelle conversazioni su Facebook e Twitter, messaggi, location, status, così come quelle usate nelle conversazioni private fra le mura delle proprie case, venivano quasi immediatamente captate e convertite in annunci pubblicitari.
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Marijuana libera, e il Colorado incassa 175 milioni in tasse
Torna il dibattito sulla legalizzazione della marijuana: la crescita dell’anti-proibizionismo è una tendenza globale che ha già condotto a decisioni in questo senso in Uruguay e in alcuni Stati americani e città europee. «I risultati di un secolo di proibizionismo sono disastrosi», riconosce Paolo Bartolini: l’azione di contrasto dell’offerta «ha ottenuto il solo effetto di concentrarla in pochissime, potentissime, ferocissime mani». Zero risultati anche nel contrasto della domanda, che ha continuato a crescere ovunque. «In compenso, questo immenso buco nell’acqua ha costi giganteschi: finanziari, sociali, civili, criminali ed etici». Il motivo lo chiariscono gli economisti, tutti largamente anti-proibizionisti: «Rendere illegale una merce che è consumata da milioni di persone ha il solo effetto di aumentarne il prezzo e creare mafie potentissime in grado col tempo di comprarsi banche, grandi e piccole imprese, patrimoni immobiliari, media, fette crescenti di partiti, parlamenti e governi». Enormi masse di denaro “nero” «rappresentano una minaccia mortale per la democrazia e il sistema di mercato».La lotta alla droga, inoltre, assorbe ingenti risorse di polizia, giudiziarie, carcerarie. «Tanto per dare una idea, il problema del sovraffollamento da terzo mondo delle nostre carceri verrebbe praticamente di colpo risolto dalla legalizzazione», scrive Bartolini su “Micromega”. «Gli immensi ritardi della nostra giustizia penale si ridimensionerebbero». Per non parlare della finanza pubblica: le stime sui mancati introiti fiscali della tassazione di un commercio tanto imponente parlano di miliardi. Altrove, poi, il narcotraffico è un fattore permanente di destabilizzazione: «Nel 2006 il presidente messicano Calderòn decise di usare l’esercito dichiarando “guerra alla droga”. Da allora tale guerra ha prodotto la sbalorditiva cifra di 60.000 morti, che arrivano a 100.000 se si contano gli scomparsi. Ci sono paesi interi la cui economia è stata distrutta dalla transizione dell’agricoltura alla produzione di droghe, come l’Afghanistan, ormai avviato a divenire la prima monocoltura di papavero da oppio del pianeta».I sostenitori del proibizionismo non negano questo disastro, continua Bartolini, ma dicono che è il minore dei mali possibili. Motivazione etica: uno Stato non può legalizzare cose che fanno male. «Questo argomento – ribatte Bartolini – assume un sapore tragicomico in una società devastata da dipendenze di ogni genere, cominciando con quella dallo shopping e continuando con videogiochi, videopoker, slot, calcio, tv, sesso, pornografia, alcol, sigarette, tanto per menzionare qualcuna delle più comuni. E ovviamente una alluvione di droghe chimiche legali, elegantemente definite psico-farmaci». Infatti, «esistono una quantità di cose che sono legali, possono fare malissimo e sono persino pubblicizzate». E allora, perché pigliarsela solo con alcune droghe? «Il proibizionismo è in ritirata perché non esiste una risposta a questa domanda». O meglio, «non ne esiste una nobile», dal momento che «sono legali le droghe prodotte dalle case farmaceutiche e sono illegali quelle prodotte da contadini del terzo mondo o autoprodotte».Inoltre, l’anti-proibizionismo riduce le dipendenze: «Il calo costante e spettacolare del consumo di tabacco negli ultimi decenni in tutto l’Occidente dimostra che le campagne informative funzionano». Se una sostanza viene percepita come realmente pericolosa, il suo consumo diminuisce. Campagne come quelle anti-fumo «costano una frazione insignificante del costo di quell’immenso apparato messo su per la guerra alla droga». Secondo la polizia doganale americana, il 2014 ha registrato per la prima volta un calo delle importazioni di marijuana dal Messico (- 24%), che erano invece costantemente cresciute per 50 anni. Un primo successo del proibizionismo? Al contrario: «Sono le prime conseguenze di un anno abbondante di legalizzazione in due Stati americani, Colorado e Washington. Semplicemente, la vendita legale di marijuana ha rubato il mercato ai cartelli dei narcos». Inoltre, la marijuana legale è di migliore qualità, priva di tagli, senza gli additivi della marijuana illegale (ammoniaca, fibra di vetro e lana di roccia, che simulano i cristallini tipici della marijuana). Tutto questo lascia prevedere una diminuzione nel lungo periodo dei costi sanitari connessi all’uso di additivi dannosi per la salute.Quanto ai rischi paventati dai proibizionisti – aumento dei crimini, del consumo e degli incidenti stradali – non ve ne è alcuna traccia nelle statistiche, osserva ancora Bertani: in Messico molti vedono la legalizzazione negli Usa come l’unica salvezza dal definitivo disfacimento del paese, devastato dai cartelli. Infine, non proprio un dettaglio: il Colorado prevede un gettito fiscale di 175 milioni di dollari nei prossimi due anni che consentirà una sostanziosa riduzione della pressione fiscale. E le previsioni dello Stato di Washington sono intorno ai 600 milioni di dollari nei prossimi cinque anni. «Tutti soldi che verranno trasferiti dalle tasche dei narcos messicani a quelle dei due Stati americani», conclude Bartolini. Ecco perché «il proibizionismo è un lusso che non possiamo più permetterci». Marijuana libera significa due cose: più soldi pubblici e meno mafia. «Le mafie si occupano anche di altre cose oltre alla droga, ma questa rimane il loro core business. La legalizzazione delle droghe le indebolirebbe molto. La platea proibizionista è ampia e variegata. Ma la prima fila, quella dei sostenitori più accesi, è occupata dalle mafie».Torna il dibattito sulla legalizzazione della marijuana: la crescita dell’anti-proibizionismo è una tendenza globale che ha già condotto a decisioni in questo senso in Uruguay e in alcuni Stati americani e città europee. «I risultati di un secolo di proibizionismo sono disastrosi», riconosce Paolo Bartolini: l’azione di contrasto dell’offerta «ha ottenuto il solo effetto di concentrarla in pochissime, potentissime, ferocissime mani». Zero risultati anche nel contrasto della domanda, che ha continuato a crescere ovunque. «In compenso, questo immenso buco nell’acqua ha costi giganteschi: finanziari, sociali, civili, criminali ed etici». Il motivo lo chiariscono gli economisti, tutti largamente anti-proibizionisti: «Rendere illegale una merce che è consumata da milioni di persone ha il solo effetto di aumentarne il prezzo e creare mafie potentissime in grado col tempo di comprarsi banche, grandi e piccole imprese, patrimoni immobiliari, media, fette crescenti di partiti, parlamenti e governi». Enormi masse di denaro “nero” «rappresentano una minaccia mortale per la democrazia e il sistema di mercato».
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Mitterrand: basta deficit, troppi soldi (e potere) ai cittadini
Perché ancora oggi ci sono persone senza cibo o acqua mentre altre vivono nell’abbondanza? Perché ancora oggi ci sono persone senza un lavoro e altre che ne hanno svariati? Perché ancora oggi ci sono persone senza casa e altre che ne hanno svariate? Perché ancora oggi ci sono persone senza soldi e altre con tanti soldi? Se davvero esiste una soluzione ai problemi della gente, perché nessuno la metta in pratica? Perché tutti si occupano sempre degli effetti dei problemi, trascurando le cause? Perché nessuno ci spiega qual è la causa? Perché se qualcuno conosce la causa, nessuno mette in campo la soluzione? Qual è la soluzione? Quotidianamente guardiamo, ascoltiamo e leggiamo del problema dei soldi che non ci sono, della disoccupazione che aumenta, dell’economia che non va bene perché i soldi non ci sono, degli imprenditori e dello Stato che non possono assumere perché non ci sono i soldi; del fatto che il debito pubblico aumenta perché l’economia non va bene perché mancano i soldi e quindi bisogna tagliare le spese ed aumentare le tasse in modo da abbassare i decifit annuali e il debito pubblico.Spesso addirittura ci dicono che dobbiamo fare il surplus di bilancio: che in sostanza significa che lo Stato incassa più di quando spende, perché se abbassiamo il debito i “mercati” (che semplicemente sono dei privati da alcuni anni abilitati a prestarci i soldi – incredibile, ma vero…) ci guarderanno con occhio differente e le agenzie di rating americane che controllano la vita dei singoli Stati in giro per il mondo (la vita di tutti noi), saranno più felici e non ci declasseranno. Ma chi sono i proprietari di questi maledetti soldi? Ci sono persone che essendo promotrici di queste “politiche criminali” finalizzate all’arricchimento dei singoli a discapito di tutti gli altri, conoscono ovviamente anche la risoluzione dei nostri problemi: risoluzione/soluzione che potrebbe essere applicata nel giro di pochi mesi e servirebbe a mettere al sicuro miliardi di vite attualmente letteralmente abbandonate a se stesse o in estremo pericolo).Oggi gli Stati si dividono in due categorie: quelli che possiedono una moneta sovrana e quelli che non hanno moneta sovrana. Le monete sovrane, per essere considerate veramente tali, devono seguire tre criteri fondamentali: devono essere di proprietà dello Stato che le emette, non devono essere convertibili in nessun materiale concreto tipo oro o argento e devono essere fluttuanti, il che significa che non possono essere cambiate a un tasso fisso con altre monete, quindi vengono lasciate fluttuare sui mercati, che decidono di volta in volta i tassi di cambio. Il dollaro, la sterlina e lo yen, ad esempio, sono monete sovrane perché rispettano questi tre criteri. Le monete non sovrane, invece, sono monete che non hanno nessuna proprietà. Gli Stati a moneta sovrana spendono inventando la moneta e accreditano i conti correnti di coloro che vendono loro beni o servizi. Gli Stati a moneta sovrana, quindi, creano ricchezza quando spendono e tolgono ricchezza ai cittadini quando tassano. Da ciò si deduce che, se tutti gli Stati a moneta sovrana spendono più di quanto tassano, questo arricchisce la società.Negli Stati a moneta sovrana il debito pubblico non è il debito dei cittadini ma la loro ricchezza. Quindi, se uno Stato a moneta sovrana decide di eliminare o pareggiare il debito, esso cesserà l’arricchimento dei cittadini. Immaginiamo che oggi nasce lo Stato X, che abbiamo un debito zero e che il Governo appena eletto dal popolo il primo anno decide di costruire 10 caserme, 100 scuole, 1000 ospedali, 10.000 Università, 100.000 strade eccetera… quindi, cosa fa il governo? Semplicemente inventa la moneta, accredita i conti corrente delle persone che lavorano per la costruzione di queste opere, quindi spende e distribuisce ricchezza. Immaginiamo che il primo anno il governo spende 100 monete per costruire questi beni e tassa il popolo per 70 monete, quindi chiude il bilancio annuale con un debito di 30 monete. Cosa succede a fine anno? Semplicemente il governo ha arricchito il popolo di 30 monete perché ha creato un debito di 30 monete. Quindi: se il governo che possiede moneta sovrana crea debito, genera ricchezza e fa sì che le persone possano avere monete per fare la spesa, comprare casa, fare un viaggio, acquistare una macchina, eccetera.Immaginiamo invece la situazione opposta. Il governo decide di costruire altri beni, quindi paga le aziende private che gli forniscono questi beni e, naturalmente, assume ancora altro personale. Questa volta, però, il governo inventa e spende ancora 100 monete per pagare gli stipendi di coloro che gli forniscono questi beni e servizi ma tassa il popolo per 160 monete, quindi chiude il bilancio annuale in attivo, non fa alcun debito ed anzi: pareggia il debito che aveva accumulato nei primi due anni (il governo, in sostanza, in 3 anni di lavoro ha speso 300 monete ed ha incassato 300 monete). Cosa succede? Semplice: succede che i cittadini dello Stato X non avranno in tasca più nessuna moneta, quindi nessuno potrà più spendere finché il governo non deciderà di fare debito chiudendo il bilancio in passivo generando ricchezza. Il debito è la nostra ricchezza, e se i governi che possiedono moneta sovrana decidono di abbassare il debito anche di un solo punto, questo sottrae ricchezza ai popoli: azzerarlo, come sicuramente avrete compreso, è impossibile.Questo ragionamento, naturalmente, vale solo per gli Stati che possiedono la cosiddetta moneta sovrana: cioè tutti gli Stati proprietari della propria moneta (proprio come lo era l’Italia qualche anno fa: adesso, grazie all’euro, abbiamo perso la nostra sovranità e non possiamo più stampare, non possiamo più creare moneta, non possiamo più avere una vera politica, non possiamo più fare scelte autonome. Dice Paul Krugman, Premio Nobel per l’Economia: «Adottando l’euro, l’Italia si è ridotta allo stato di una nazione del Terzo Mondo che deve prendere in prestito una moneta straniera, con tutti i danni che ciò implica». L’unica alternativa che oggi tutti i paesi che non possiedono una moneta sovrana hanno a disposizione per cercare di sopravvivere è quella di chiedere la moneta ai mercati dei capitali privati che successivamente strangolano e distruggono questi paesi con gli interessi.L’altra possibilità che questi paesi hanno per sopravvivere, naturalmente, è quella di licenziare, non assumere, assumere attraverso contratti precari che costano poco, chiedere la moneta al popolo attraverso le tasse che aumentano quotidianamente, privatizzare, liberalizzare, svendere, innalzare l’età pensionabile, tagliare gli stipendi, tagliare le pensioni, tagliare i fondi alla cultura, alla ricerca, alla scuola, alle università, alla sanità, ai servizi sociali e locali e chi più ne ha più ne metta: ecco spiegata la quotidianità di tantissimi paesi ed il meccanismo all’interno della quale attualmente si trova anche il nostro paese. La moneta in generale, comunque, non è mai di proprietà dei cittadini privati o delle banche: essi possono solo usarla, prendendola in prestito dalle banche o guadagnandola attraverso il lavoro. I soldi sono un mezzo che lo Stato spende per primo e solo successivamente tutti i cittadini ne usufruiscono, spendendoli a loro volta.Hanno tolto ad alcuni Stati la possibilità di stampare moneta e hanno fatto credere ad altri che possono ancora stampare, che il debito sovrano di un paese è un vero debito per il preciso fine descritto in maniera impeccabile dall’economista Joseph Halevi: «Quello che è in gioco è la totale privatizzazione della finanza pubblica e dunque la distruzione degli Stati». Come ci spiega il “Rapporto Grandi Disuguaglianze Crescono” di Oxfam, presentato nel gennaio 2015: «La ricchezza detenuta da meno dell’1% della popolazione mondiale supererà nel 2016 quella del restante 99%.» François Mitterand, parlando con Halevi a proposito del tema inflazione, deflazione, disoccupazione, precarietà e naturalmente del tema della piena occupazione, affermava: «La gente deve togliersi di mezzo. La piena occupazione darebbe troppo potere al popolo. La deflazione, la disoccupazione e i lavori precari, invece, glielo sottraggono».Ok, ma quanto e fino a quando può spendere uno Stato? Randall Wray, tra i più importanti e accreditati economisti e monetaristi del mondo: «Se capiamo come funzionano i sistemi monetari, se comprendiamo che il denaro è solo impulsi elettronici o carta straccia inventata dal Tesoro e dalla Bc, allora possiamo dire che il governo a moneta sovrana può inventarsi tutti gli impulsi elettronici che vuole, con essi può pagare tutti gli stipendi che vuole, comprare tutto ciò che vuole. Possiamo avere la piena occupazione, il business può vendergli tutto ciò che deve vendere se il governo vuole comprarglielo. Può il governo permettersi queste spese? Certo, perché il governo non esaurirà mai gli impulsi elettronici, dunque non farà mai bancarotta; preme un bottone e gli stipendi appaiono sui computer delle banche. L’unico limite è l’inflazione, ma se il governo spende per aumentare la produttività nel settore privato, allora l’inflazione non è più un problema».Per quale motivo, se è così semplice raggiungere l’obiettivo della piena occupazione, esso non sia mai stato perseguito? Ancora Wray: «Non è successo perché innanzi tutto ci sono un sacco di politici ed economisti che non capiscono nulla dei sistemi monetari, cioè non sanno capire che il denaro è solo impulsi elettronici e carta straccia. Poi ci sono molti individui nelle posizioni chiave del potere che sono opposti ideologicamente a questa idea, cioè vogliono la disoccupazione, gli piace, gli dà schiere di lavoratori a stipendi sempre più ridotti e possono competere sui mercati esteri sempre meglio. Ma soprattutto questo, si faccia attenzione: se i cittadini, che formano gli Stati ed eleggono i governi, si rendessero conto che i governi possono spendere quanto vogliono senza limiti di debito, allora il settore pubblico acquisirebbe una percentuale della ricchezza nazionale troppo grossa».Eccesso di inflazione? Lo Stato introduce una tassa temporanea, in modo da togliere di mezzo gli eventuali soldi in eccesso e la situazione è risolta. In conclusione: se il settore pubblico acquisisse una percentuale della ricchezza troppo grossa, i privati non avrebbero più ragione d’esistere, avrebbero un ruolo troppo marginale, un ruolo di scarsa importanza, pochi soldi, troppo poco potere, sarebbero dei normali lavoratori: non sarebbero più intoccabili e onnipotenti come lo sono diventati oggi. Questo è il motivo per cui ci lasciano vivere nell’attuale mondo che funziona al contrario e con la quotidiana paura del debito e dell’inflazione che ci viene quotidianamente “imposta” da tutti i loro amici inseriti nell’informazione ufficiale.(Vincenzo Bellisario, estratti da “Riepilogo generale finalizzato alla comprensione dei meccanismi monetari ed economici in favore della piena occupazione applicabili in Italia e nel mondo”, intervento pubblicato sul sito del Movimento Roosevelt il 18 ottobre 2015).Perché ancora oggi ci sono persone senza cibo o acqua mentre altre vivono nell’abbondanza? Perché ancora oggi ci sono persone senza un lavoro e altre che ne hanno svariati? Perché ancora oggi ci sono persone senza casa e altre che ne hanno svariate? Perché ancora oggi ci sono persone senza soldi e altre con tanti soldi? Se davvero esiste una soluzione ai problemi della gente, perché nessuno la metta in pratica? Perché tutti si occupano sempre degli effetti dei problemi, trascurando le cause? Perché nessuno ci spiega qual è la causa? Perché se qualcuno conosce la causa, nessuno mette in campo la soluzione? Qual è la soluzione? Quotidianamente guardiamo, ascoltiamo e leggiamo del problema dei soldi che non ci sono, della disoccupazione che aumenta, dell’economia che non va bene perché i soldi non ci sono, degli imprenditori e dello Stato che non possono assumere perché non ci sono i soldi; del fatto che il debito pubblico aumenta perché l’economia non va bene perché mancano i soldi e quindi bisogna tagliare le spese ed aumentare le tasse in modo da abbassare i decifit annuali e il debito pubblico.
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Cancro “incurabile”, il business infinito della chemioterapia
Da decenni, il cancro viene inutilmente fronteggiato con la chemioterapia: l’oncologia ospedaliera non guarisce quasi nessuno, e i tumori stanno aumentando in modo esponenziale. In parallelo, c’è il boom delle cure alternative: in questo settore si registrano guarigioni in costante aumento, ma i numeri sono ancora limitati e comunque esclusi dall’ufficialità. Ovvio, sottolineano gli “alternativi”: per il sistema è pericoloso far sapere che si può guarire anche solo con erbe, biofarmaci e dieta, cioè con quattro soldi, mentre il sistema ospedaliero (chemio e radio) costa una follia, oltre a non salvare nessuno. Di recente, Paolo Barnard ha acceso una contro-polemica, accusando di slealtà gli “alternativi” che speculerebbero sull’altrui dolore, contrabbandando soluzioni miracolose quanto irrealistiche. La riprova? I potenti della terra, a partire dal boss della Goldman Sachs, Lloyd Blankfein, ricorrono alla chemio. «In realtà – replica a distanza Paolo Franceschetti, autore di un sito sulle cure alternative esistenti – i super-potenti sono i primi a ricorrere a metodi alternativi: lo stesso Berlusconi ha evitato la chemio ed è guarito grazie alla terapia Di Bella».«Se sei un americano, hai una possibilità su tre di avere un cancro nel corso della tua vita», scrive Michael Snyder in un post ripreso dal blog di Maurizio Blondet. «Praticamente chiunque in America conosce qualcuno che ha il cancro o che ne è già morto». Eppure, negli anni ‘40, a sviluppare il cancro era solo un americano su 16. «Deve essere accaduto qualcosa che ha provocato questa crescita esplosiva, e che induce a ritenere che il cancro sorpasserà presto le cardiopatie diventando la prima causa di morte». Secondo l’Oms, ogni anno vengono diagnosticati 14 milioni di nuovi casi nel mondo, ed è atteso un incremento del 70% nei prossimi due decenni. «Esistono davvero poche parole capaci di fare tanta paura come la parola “cancro”, e nonostante i miliardi spesi nella ricerca e nel suo progresso tecnologico, questa piaga continua ad allargarsi e a mietere vittime. Come è possibile?». Sconcertante la débacle statistica della disciplina oncologica: a differenza di ogni altro settore della medicina, questa non riesce praticamente mai a curare efficacemente i pazienti, a cui peraltro non sa diagnosticare le cause dell’insorgenza patologica (cosa che invece fa la medicina olistica, basata anche sull’analisi dell’alimentazione).In compenso, il business del cancro va a gonfie vele: oggi, continua Snyder, in America si spende più denaro per trattare il cancro che qualunque altra malattia. Secondo la “Nbc”, solo lo scorso anno si è trattato di 100 miliardi di dollari in farmaci anti-cancro, tutti largamente inefficaci: «Mentre i prezzi delle medicine continuano a scendere costantemente, la spesa per le medicine contro i tumori hanno raggiunto un nuovo traguardo: 100 miliardi di dollari nel 2014». Un incremento di 75 miliardi di dollari in cinque anni, secondo un’indagine dell’Ims Institute for Healthcare Informatics. Cento milioni di dollari sarebbero già una cifra pazzesca, osserva Snyder, ma 100 miliardi sono mille volte quella cifra. «Non mi pare ci sia bisogno di dire che ci sono un sacco di persone, là fuori, che stanno diventando smisuratamente ricche grazie a questi trattamenti. E il costo di alcuni di essi è semplicemente assurdo. Sempre secondo la “Nbc”, due dei farmaci commercializzati più recentemente costano 12.500 dollari per un mese di terapia». Farmaci, peraltro, non risolutivi: poco più di metà dei pazienti può sperare di sopravvivere per 5 anni al massimo.«Viviamo in una società estremamente tossica, e che lo diventa ogni giorno di più», scrive Snyder. «E una volta che hai sviluppato il cancro, ai dottori non è permesso prescrivere trattamenti “alternativi”. Quello che possono fare è prescriverti terapie che il sistema gli dice di prescriverti». Idem in Italia: i sanitari devono attenersi al protocollo standar, quello che non guarisce quasi mai nessuno e si basa, ad esempio, sulla chemio. «E’ una terapia mostruosa, che spesso uccide il paziente invece di uccidere il tumore», continua Snyder. «Molti pazienti vivono un ciclo infernale dopo l’altro, sperando che possa essere risolutivo. Avete mai parlato con qualcuno che ha vissuto questo calvario? E’ straziante». Dice il dottor Ralph Moss, autore del libro “L’industria del cancro”: «Non c’è alcuna prova che la chemioterapia prolunghi la sopravvivenza nella gran parte dei casi. E questa è la grande bugia sulla chemioterapia, che ci sia in qualche modo una correlazione tra la riduzione del tumore e l’allungamento della vita di un paziente». Allora perché gli oncologi spingono tanto per la chemio?Secondo le analisi di Steven Levitt e Stephen Dubner, quelli di “Freakanomics”, «gli oncologi sono tra i medici più pagati, la media dei loro redditi cresce più di quella di qualsiasi altro specialista, e più della metà dei loro guadagni proviene dalla vendita e somministrazione della chemioterapia». Il loro modello di business «è differente da quello degli altri medici», scrive Snyder, «perché non è che tu puoi andare a comprarti la chemioterapia in farmacia». Negli Usa, «gli oncologi la comprano all’ingrosso, poi gonfiano il prezzo e mettono in conto alle compagnie di assicurazione». Questo profitto legalizzato sui farmaci contro il cancro è un caso unico, negli Stati Uniti. «Fanno soldi sulle terapie che dicono ti salveranno la vita. E’ un conflitto di interessi gigantesco. Ti vendono le terapie, e ti fanno pagare il privilegio di iniettartele. Non lo fa nessun altro medico». Il nostro sistema è profondamente guasto e corrotto, conclude Snyder. «Ma non cambierà niente nell’immediato futuro, perché grazie ad esso si guadagnano centinaia di miliardi di dollari».Da decenni, il cancro viene inutilmente fronteggiato con la chemioterapia: l’oncologia ospedaliera non guarisce quasi nessuno, e i tumori stanno aumentando in modo esponenziale. In parallelo, c’è il boom delle cure alternative: in questo settore si registrano guarigioni in costante aumento, ma i numeri sono ancora limitati e comunque esclusi dall’ufficialità. Ovvio, sottolineano gli “alternativi”: per il sistema è pericoloso far sapere che si può guarire anche solo con erbe, biofarmaci e dieta, cioè con quattro soldi, mentre il sistema ospedaliero (chemio e radio) costa una follia, oltre a non salvare nessuno. Di recente, Paolo Barnard ha acceso una contro-polemica, accusando di slealtà gli “alternativi” che speculerebbero sull’altrui dolore, contrabbandando soluzioni miracolose quanto irrealistiche. La riprova? I potenti della terra, a partire dal boss della Goldman Sachs, Lloyd Blankfein, ricorrono alla chemio. «In realtà – replica a distanza Paolo Franceschetti, autore di un sito sulle cure alternative esistenti – i super-potenti sono i primi a ricorrere a metodi alternativi: lo stesso Berlusconi ha evitato la chemio ed è guarito grazie alla terapia Di Bella».