Archivio del Tag ‘Bruxelles’
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Magaldi: diventi progressista, o “morirà” anche Zingaretti
Povero Nicola Zingaretti: è stato eletto segretario di un partito di zombie. Ce l’ha, un piano per l’Italia? Perché finora non è pervenuto nemmeno un indizio. L’unica cosa che sappiamo è che Zingaretti, almeno, è un leader: non carismatico, ma corretto. Buon presidente della Regione Lazio. Umanamente schietto e leale, diversissimo dal “finto buono” Walter Veltroni e dai suoi troppi epigoni, fino al velenoso Renzi. Meglio del surreale Martina, comunque, e dell’impalpabile Giachetti. Se non altro, Zingaretti è un politico capace anche di vincerle, le maratone. Così almeno lo vede Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt, che all’amletico neo-segretario domanda: è sicuro di sapere cosa vuol fare, da grande? Delle due, l’una: o trasforma il Pd in un soggetto progressista, post-keynesiano, o finirà prestissimo come tutte le altre dimenticabili meteore della “ditta”. Se non trova il coraggio della sincerità, insiste Magaldi, Zingaretti sarà travolto, già a partire dalle europee di maggio. «Cari italiani – dovrebbe dire – sappiate che vi abbiamo preso in giro per 25 anni. Ci siamo detti “di sinistra”, ma abbiamo applicato soltanto l’agenda economica del neoliberismo mercantile e finanziario, arrivando allo “Stato minimo” auspicato dai grandi privatizzatori». Come si esce dall’incubo? Riscoprendo Keynes, assicura Magaldi: «Il capitalismo è indispensabile ma va coinugato con lo Stato, in Italia e in Europa. Sarebbe la rivoluzione progressista che cambierebbe tutto: che ne pensa, Zingaretti?».Ce lo faccia sapere alla svelta, dice il presidente del Movimento Roosevelt, perché il tempo stringe: se il nuovo leader del Pd non si sbriga a chiarire che l’Italia non può restare sottomessa agli oligarchi Ue, anche il presidente del Lazio – pur dignitoso, come dirigente – durerà lo spazio di un mattino. E’ fondamentale il coraggio di una rottura con gli ultimi 25 anni del centrosinistra, dice Magaldi, in web-streaming su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights”: l’equivoco dei “nostri” al governo, da Prodi in poi, è finito meno di un anno fa con il boom dei 5 Stelle e l’exploit della Lega. Indietro non si torna: e se ora gli italiani sono scontenti anche dei gialloverdi perché a loro volta poco coraggiosi con Bruxelles, figurarsi che futuro avrebbe un remake del Pd in versione-stuoino. Di tutto, ci ha regalato quel partito: dal velleitarismo parolaio di Veltroni ai grotteschi mormorii di Bersani, prono al pareggio di bilancio in Costituzione imposto dal governo Monti. A seguire, nel museo degli orrori, i maggiordomi Letta e Gentiloni, intervallati dal fanfarone inconcludente Renzi, tutto chiacchiere e inchini alla Merkel. Ma peggio: nel Pd, aggiunge Magadi, ha imperversato un figuro come Padoan, anti-keynesiano da giovane (quand’era marxista) e poi anche da ministro, ormai convertito a suon di poltrone – come tanti altri – al neo-feudalesimo ordoliberista che ha materialmente fabbricato la rovina dell’Italia, col prezioso contributo del servizievole centrosinistra.Se la sente, Zingaretti, di affrontare l’operazione-verità? Magaldi la considera l’unica vera chance, per veder tornare in pista il Pd. E’ proprio così difficile, diventare progressisti? Forse a provarci è il sindaco di Milano, Beppe Sala: a patto che non si fermi alle manifestazioni pro-migranti. Magaldi lo invita al convegno del 3 maggio a Milano, in cui il Movimento Roosevelt affronterà un impegnativo confronto con tre giganti: Carlo Rosselli, profetico fautore del socialismo liberale; Olof Palme, visionario artefice del miglior welfare europeo; e Thomas Sankara, rivoluzionario proto-sovranista panafricano. Tre massoni progressisti: il primo assassinato dai fascisti, il secondo dai poteri oscuri della futura Ue e il terzo dall’imperialismo coloniale occidentale. Rosselli e Palme conciliavano socialismo e capitalismo, mentre il comunista Sankara voleva un’Africa libera e autonoma, sostenibile, senza migranti in fuga. Pietre miliari, da cui dovrebbe partire oggi qualsiasi movimento politico progressista. Ci pensi, Zingaretti. E soprattutto, insiste Magaldi, abbia il coraggio di gettare a mare gli ultimi due decenni del finto (e defunto) centrosinistra, che di progressista – nei fatti – non ha mai avuto nulla. Faccia tabula rasa, Zingaretti, e cominci a scrivere una storia nuova, sincera, di cui l’Italia ha disperatamente bisogno.Un primo banco di prova? L’obbrobriosa regionalizzazione della scuola. E’ stata proposta in Lombardia e Veneto, ma non da Salvini: dal governo Gentiloni. «Se ne leggessero il testo – dice Patrizia Scanu, segretaria del Movimento Roosevelt – i padri costituenti si rivolterebbero nella tomba». Motivo: programmi solo locali, gestiti da dirigenti di nomina regionale. Un progetto-vergogna, «in perfetta linea con la “Buona Scuola” di Renzi, a sua volta erede della scuola-azienda delle ministre Moratti e Gelmini». Rischio immediato: scuole di serie B, per formare ragazzi rassegnati a lavori precari, degradanti e sottopagati, con buona pace dell’istruzione pubblica garantita dall’unità nazionale come fabbrica di pari opportunità per tutti. Come la vede, Zingaretti, la faccenda? E soprattutto, andrà oltre le solite ciance sull’Europa? «L’Italia – dice Magaldi – ha una grande possibilità: può esercitare una vera leadership, sia in Europa che nel Mediterraneo: a Bruxelles chiedendo una Costituzione europea finalmente democratica, come quella che sarebbe piaciuta a Olof Palme, e in Africa lanciando una partnership strategica che consenta agli africani di rendersi autonomi, come voleva Sankara». Certo, il Pd resta un partito-zombie: sta a Zingaretti resuscitarlo, se vuole.Povero Nicola Zingaretti: è stato eletto segretario di un partito di zombie. Ce l’ha, un piano per l’Italia? Perché finora non è pervenuto nemmeno un indizio. L’unica cosa che sappiamo è che Zingaretti, almeno, è un leader: non carismatico, ma corretto. Buon presidente della Regione Lazio. Umanamente schietto e leale, diversissimo dal “finto buono” Walter Veltroni e dai suoi troppi epigoni, fino al velenoso Renzi. Meglio del surreale Martina, comunque, e dell’impalpabile Giachetti. Se non altro, Zingaretti è un politico capace anche di vincerle, le maratone. Così almeno lo vede Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt, che all’amletico neo-segretario domanda: è sicuro di sapere cosa vuol fare, da grande? Delle due, l’una: o trasforma il Pd in un soggetto progressista, post-keynesiano, o finirà prestissimo come tutte le altre dimenticabili meteore della “ditta”. Se non trova il coraggio della sincerità, insiste Magaldi, Zingaretti sarà travolto, già a partire dalle europee di maggio. «Cari italiani – dovrebbe dire – sappiate che vi abbiamo preso in giro per 25 anni. Ci siamo detti “di sinistra”, ma abbiamo applicato soltanto l’agenda economica del neoliberismo mercantile e finanziario, arrivando allo “Stato minimo” auspicato dai grandi privatizzatori». Come si esce dall’incubo? Riscoprendo Keynes, assicura Magaldi: «Il capitalismo è indispensabile ma va coinugato con lo Stato, in Italia e in Europa. Sarebbe la rivoluzione progressista che cambierebbe tutto: che ne pensa, Zingaretti?».
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Quasi 2 milioni di italiani col Pd, rimasto all’Età della Pietra
Favoloso Pd: dopo Renzi e l’avatar Martina, ecco Zingaretti (il nulla), vittorioso su Giachetti (altro nulla) e sullo stesso Martina (idem). Il nulla è il contenuto politico dei tre alfieri delle primarie 2019, che avrebbero mobilitato 1,7 milioni di italiani: impegnatissimi a discettare, appunto, sul vuoto cosmico che il partito ha prodotto, dopo la bruciante sconfitta dello scorso anno. Non una parola sulle cause della disfatta, che ha inevitabilmente portato a Palazzo Chigi i velleitari gialloverdi, cioè gli “incompetenti” 5 Stelle e il “razzista” Salvini. Non finisce di stupire, la base del Pd: se i dirigenti non rappresentano più una sorpresa per nessuno, avendo ampiamente dato spettacolo di sé in termini di mediocrità assoluta, stupisce la tenacia di militanti ed elettori, probabilmente convogliati verso i gazebo soprattutto grazie alla martellante campagna mediatica contro l’orco leghista, ben orchestrata anche dalla manifestazione oceanica pro-migranti organizzata alla vigilia del 3 marzo dal milanese Sala per contestare i tanti aspetti inaccettabili del decreto-sicurezza. A parte questo, però, il Pd – inteso come corpo politico-sociale – sembra rimasto all’età della pietra, prigioniero di un’altra epoca, ancora ipnotizzato dall’illusione ottica dell’Unione Europea come superpotere illuminato, apolitico e neutrale nonché necessariamente non-italiano, viste le storiche colpe del Belpaese-cicala, gravato dal suo vergognoso debito pubblico.Per il Pd, la storia è ferma al 1992, all’europeismo bancario e tecnocratico di Ciampi, tuttalpiù alla super-bufala ulivista dell’oligarca Prodi, asceso al cielo solo grazie alla guerra psicologica contro l’Uomo Nero. Sono passati 25 anni, e sembra che gli elettori Pd non abbiano ancora capito che il vero pericolo per l’Italia non era Berlusconi, ma i poteri oligarchici eurocratici che proprio nel centrosinistra hanno incessamente reclutato alleati docili e servizievoli, da D’Alema e Renzi, cui affidare lo smantellamento progressivo del welfare, la super-tassazione inferta alle aziende, la disoccupazione-choc e la chemio-economy eseguita dal duo tragico Monti-Fornero, cioè i mercenari che – attraverso Napolitano – hanno deformato la Costituzione, sfigurandola con l’inserimento proditorio del pareggio di bilancio approvato senza fiatare dall’infimo Bersani. Nulla di tutto ciò traspare, nemmeno in lontananza, dall’analisi post-sconfitta esalata a mezza voce dal Pd già renziano. Niente di vagamente paragonabile alle riflessioni prodotte in Francia dal gauchista Mélenchon, o in Gran Bretagna dal laburista Corbyn. La cosiddetta sinistra (nominale) italiana non va oltre Zingaretti, Giachetti e Martina. L’altra notizia è che la disfida, interamente disputata a colpi di sbadigli, ha attratto quasi due milioni di elettori sani di mente.Dov’era, in questi anni, il popolo del Pd? Dove si è informato? Cosa ha letto? Chi ha ascoltato? Non c’è stato un dirigente del partito – non uno – capace di indicare le cause del doloroso divorzio tra il Pd e gli italiani, messi in ginocchio da un’euro-crisi sapientemente pilotata grazie all’occhiuta regia di micidiali strateghi come Mario Draghi. Zero assoluto, dal Pd, sul rapporto con Bruxelles: la recessione è accettata come normalità fisiologica, la sottomissione viene subita come destino (anche quando Germania e Francia annunciano ad Aquisgrana il ritorno persino formale al Sacro Romano Impero). Facile, sparare su Di Maio e Toninelli. Comodo, prendersela con lo sgradevole Salvini. Ma se tornasse a Palazzo Chigi, il Pd cosa farebbe? Probabilmente, le stesse cose che ne hanno causato lo sfratto nel 2018. Cos’è cambiato, nell’ultimo anno? Niente. Basta ascoltare Zingaretti, Martina e Giachetti. I buoni sono all’opposizione perché i cattivi sono al governo. E i cattivi sono al governo perché evidentemente gli italiani sono cretini, oltre che un po’ fascisti e xenofobi. Le parole democrazia, sovranità e trasparenza non dicono niente, allo pseudo-europeismo del Pd, ancora e sempre a disposizione dei neoliberisti, i grandi privatizzatori universali. Pazienza per i nano-dirigenti, usi a obbedir tacendo, ma è decisamente sconcertante constatare come, in quel nulla, ripongano ancora una certa fiducia quasi due milioni di elettori italiani.(Giorgio Cattaneo, “Quasi 2 milioni di italiani con il Pd, il partito superstite che è rimasto all’Età della Pietra”, dal blog del Movimento Roosevelt del 4 marzo 2018).Favoloso Pd: dopo Renzi e l’avatar Martina, ecco Zingaretti (il nulla), vittorioso su Giachetti (altro nulla) e sullo stesso Martina (idem). Il nulla è il contenuto politico dei tre alfieri delle primarie 2019, che avrebbero mobilitato 1,7 milioni di italiani: impegnatissimi a discettare, appunto, sul vuoto cosmico che il partito ha prodotto, dopo la bruciante sconfitta dello scorso anno. Non una parola sulle cause della disfatta, che ha inevitabilmente portato a Palazzo Chigi i velleitari gialloverdi, cioè gli “incompetenti” 5 Stelle e il “razzista” Salvini. Non finisce di stupire, la base del Pd: se i dirigenti non rappresentano più una sorpresa per nessuno, avendo ampiamente dato spettacolo di sé in termini di mediocrità assoluta, stupisce la tenacia di militanti ed elettori, probabilmente convogliati verso i gazebo soprattutto grazie alla martellante campagna mediatica contro l’orco leghista, ben orchestrata anche dalla manifestazione oceanica pro-migranti organizzata alla vigilia del 3 marzo dal milanese Sala per contestare i tanti aspetti inaccettabili del decreto-sicurezza. A parte questo, però, il Pd – inteso come corpo politico-sociale – sembra rimasto all’età della pietra, prigioniero di un’altra epoca, ancora ipnotizzato dall’illusione ottica dell’Unione Europea come superpotere illuminato, apolitico e neutrale nonché necessariamente non-italiano, viste le storiche colpe del Belpaese-cicala, gravato dal suo vergognoso debito pubblico.
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Q-Anon: guerra segreta contro il Deep State, anche in Ue
Se è una fiaba, è bellissima. Infatti, testate come “Wired” e il quotidiano web “Next” di Enrico Mentana l’hanno già dichiarata una schifezza, nient’altro che una bufala. Stefano Fait, consulente strategico internazionale per aziende ed entità pubbliche, la prende sul serio. Si tratta di Q-Anon, sigla-fantasma che sta invadendo il web. Distilla informazioni spesso preziose, sempre esatte, precise, coerenti. Lo stile, dice Fait, è quello dell’intelligence militare Usa. Campo d’azione: guerra psicologica. Obiettivo: colpire e affondare il maledetto Deep State che ha globalizzato il capitalismo finanziario più predatorio, criminale e terrorista. Il piano: rovesciare l’élite neoliberista planetaria, che ha in pugno i grandi media. Non mi stupirei, dice Fait – intervistato da Fabio Frabetti a “Border Nights” – se domani si scoprisse che Trump, Putin e Xi-Jinping sono segretamente alleati, in questa operazione di portata epocale. Passaggi cruciali: le elezioni europee e poi le presidenziali americane, che Q-Anon prevede saranno precedute da una vigilia turbolenta e violentissima. In Europa, la bistrattata Italia gialloverde gioca il ruolo dell’ariete contro il sistema Ue-Bce. Immediata risposta francese, i Gilet Gialli: una regia unica. La rivolta in Francia, stranamente organizzatissima, è scattata dopo il fatale tweet di Trump: «Make France great again».Che cos’è Q-Annon? Il solito network di “whistleblower”, come Wikileaks? Non esattamente: Anonimo-Q sarebbe «un’intelligence mista, militare e civile», riassume “Border Nights” sul suo sito. «Un’unità speciale, cabina di regia congiunta all’interno di Nsa e Dia, rivali di Cia e Fbi». Struttura-ombra, che sarebbe stata creata nientemeno che da John Fitzgerald Kennedy, e che ora ne starebbe «vendicando la morte». Le informazioni trasmesse tramite forum selezionati (“4chan” e poi “8chan”, come Jackie Chan) sono «una via di mezzo tra codici da decifrare e moderne parabole in linguaggio sapienziale, come le potrebbero formulare esperti di intelligence militare». In sostanza, Q-Anon «dissemina idee e nozioni nelle coscienze delle persone, fungendo da catalizzatore cognitivo e spirituale, prima ancora che politico». Cosa vuole Q-Anon? «La graduale rimozione di una mafia globalizzata che ha preso il controllo di quasi tutte le nazioni-chiave del mondo, a partire dal sistema bancario», gestendo direttamente «traffico di esseri umani e di organi, traffico di armi e di droga, segreti industriali». Obiettivo finale: «La creazione di una cittadinanza consapevole e resiliente, che prevenga il ripetersi di questa mostruosità».Fondamentalmente, secondo Fait, assistiamo al passaggio di consegne del potere «dall’élite bancaria psicopatica o sociopatizzata a una nuova élite scientifico-militare», che per molti versi assomiglia a quella che governa “Tomorrowland”, la “terra di domani”, nell’omonimo film. Rischio: una volta preso il comando, i “buoni” potrebbero comportarsi esattamente come i “cattivi”, secondo lo schema orwelliano della “Fattoria degli animali”. Stefano Fait è consapevole del pericolo, ma si dichiara costretto a registrare l’avvento di Q-Anon come una realtà inedita e assolutamente credibile. «Mi occupo principalmente di decifrare il presente per anticipare il futuro per aziende e amministrazioni pubbliche», spiega. «Q-Anon coinvolge decine di milioni di persone in tutto il mondo. I maggiori quotidiani e le Tv internazionali ne parlano, celebrità citano le formule rituali nelle reti sociali. Non si può fingere che non stia accadendo nulla». Secondo Fait, l’operazione Q-Anon «ha tutto quel che occorre per diventare il più vasto fenomeno sociale da quando esiste Internet, superando in intensità il Sessantotto e i figli dei fiori». Da cosa lo deduce? Dalla cronometrica, micidiale precisione dei “drop” immessi nella rete: contengono previsioni dettagliatissime, che rivelano l’autorevolezza delle fonti. E cioè: gli uomini del Pentagono che stanno proteggendo Trump.Geopolitica, innanzitutto: è in corso una guerra a tutto campo. Pietra miliare, la Brexit: «Sono convinto che la Gran Bretagna ne uscirà bene: non ci sarà nessun accordo con Bruxelles, non ci sarà nessun replay del referendum e il Regno Unito ci guadagnerà, dal divorzio, con grande scorno degli eurocrati». Poi l’Italia: «Da fonti certe – aggiunge Fait – so che l’opzione gialloverde era sul tappeto già prima delle elezioni. Missione: creare un governo non suddito di Bruxelles». I gialloverdi sono ammaccati, non sono riusciti a ottenere nulla – se non l’ostilità feroce dell’Ue. «Ne pagheremo il prezzo», dice Fait, «ma molto dipenderà dalle europee di maggio: nessuno sogna che le forze populiste-sovraniste possano davvero vincere, ma si spera che crescano abbastanza da acquisire sufficiente potere negoziale per impedire all’eurocrazia di proseguire con l’attuale politica di austerity». Dall’Europa – dove l’altra pedina sono i Gilet Gialli – i misteriosi promotori di Q-Anon si aspettano un successo, che aiuti Trump a restare alla Casa Bianca tra due anni. In altre parole: il piano procede se i vari Merkel e Macron rimediano una forte battuta d’arresto.Attento “esegeta” degli indizi cifrati di Q-Anon, Fait invita a indossare gli occhiali giusti, al di là delle retoriche politicanti cavalcate dalla disinformazione quotidiana del mainstream. Trump, per esempio: ha abbattuto le tasse e fatto volare l’occupazione, attacca Wall Street e la Fed, ha “smontato” molte regole globaliste del Wto. Attenzione: il Russiagate si sta sgonfiando, per ammissione dei suoi stessi “inventori”. Politica estera? Altri successi: le due Coree si stanno pacificando, e l’Isis sta sparendo dal Medio Oriente (dopo che gli Usa hanno dato via libera alla Russia, in Siria). Come aveva agito, Trump, in prima battuta? Abbaiando. Lo scopo: illudere il Deep State e dare tempo alla trattativa. Ma non solo: decifrando Q-Anon, Fait sfodera un ragionamento sofisticato: «Minacciare un imminente intervento militare ha un effetto preciso: fa uscire allo scoperto la rete nascosta del “nemico interno”, che a quel punto si attiva e diventa finalmente riconoscibile, agli occhi della contro-intelligence che la sta mappando». E’ esattamente quello che sta succedendo in Venezuela, scommette Fait: «Le minacce contro Maduro – roboanti come quelle contro Kim e Assad, finite nel nulla – porteranno alla luce le pedine del vecchio potere globalista e i loro legami. L’obiettivo finale è battere i peggiori settori del Deep State, annidati sia tra i sostenitori di Maduro che tra quelli di Guaidò».Troppo bello per essere vero? L’ennesima leggenda del web? Stefano Fait non la pensa così, anche se resta giustamente cauto: aspettiamo qualche mese, dice, e vedremo se le previsioni di Q-Anon saranno esatte. In ogni caso, aggiunge, la struttura-ombra sembra davvero impegnata nella “madre di tutte le battaglie”: spazzare via il peggior neoliberismo, che considera frutto – almeno, negli Usa – di veri e propri “traditori della patria”, divenuti mercenari (plutocrati cinici e apolidi, senz’altra bandiera che il denaro). C’è davvero una specie di esercito della salvezza, dietro la ruvida maschera di Trump? Secondo gli scettici, si tratta della solita trappola: è solo una guerra di potere, interna all’élite. Vale anche per la periferia dell’impero: basti vedere il cedimento italiano sul deficit e la conferma della legge Lorenzin sui vaccini. Tutto è teoricamente ambivalente, osserva Fait: se oggi Big Pharma intasca il grande business dei vaccini “sporchi”, non è detto che, domani, vaccini di nuova generazione – finalmente “puliti” e sicuri – non possano giovare alla salute dell’umanità.Si stanno verificando vere e proprie stranezze, come l’anomala insistenza parallela – di Trump e di Putin – sulla diffusione della temuta tecnologia G5. Molti esperti avvertono: le onde al altissima frequenza potrebbero “friggere” il cervello. E se domani – si domanda Fait – il G5 venisso reso sicuro, e impiegato per mettere fine alla politica della scarsità artificiale? Idem le cosiddette scie chimiche. «Scandaloso il silenzio dei media: i cieli di Tokyo sono puliti, come quelli cinesi, mentre da noi sono rigati dalle scie persistenti rilasciate dagli aerei». Ma, di nuovo: «Siamo certi che non siano un dispositivo a nostra tutela, per contrastare le alterazioni del clima?». Lo stesso Fait non vende certezze, si ferma onestamente alle domande. Però insiste: l’operazione Q-Anon ha l’aria di essere molto seria, più di quanto possiamo immaginare.Se è una fiaba, è bellissima. Infatti, testate come “Wired” e il quotidiano web “Next” di Enrico Mentana l’hanno già dichiarata una pagliacciata, nient’altro che una bufala. Stefano Fait, consulente strategico internazionale per aziende ed entità pubbliche, la prende sul serio. Si tratta di Q-Anon, sigla-fantasma che sta invadendo il web. Distilla informazioni spesso preziose, sempre esatte, precise, coerenti. Lo stile, dice Fait, è quello dell’intelligence militare Usa. Campo d’azione: guerra psicologica. Obiettivo: colpire e affondare il maledetto Deep State che ha globalizzato il capitalismo finanziario più predatorio, criminale e terrorista. Il piano: rovesciare l’élite neoliberista planetaria, che ha in pugno i grandi media. Non mi stupirei, dice Fait – intervistato da Fabio Frabetti a “Border Nights” – se domani si scoprisse che Trump, Putin e Xi-Jinping sono segretamente alleati, in questa operazione di portata epocale. Passaggi cruciali: le elezioni europee e poi le presidenziali americane, che Q-Anon prevede saranno precedute da una vigilia turbolenta e violentissima. In Europa, la bistrattata Italia gialloverde gioca il ruolo dell’ariete contro il sistema Ue-Bce. Immediata risposta francese, i Gilet Gialli: una regia unica. La rivolta in Francia, stranamente organizzatissima, è scattata dopo il fatale tweet di Trump: «Make France great again».
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Casaleggio massone, ma guai a dirlo all’Italietta gialloverde
Cari amici 5 Stelle, prendete nota: il vostro amato fondatore e ideologo, Gianroberto Casaleggio, era massone. Chi lo afferma? Gioele Magaldi, naturalmente, cioè il “grembiulino” che più di ogni altro, in Italia, ha svelato l’identità liberomuratoria di moltissimi potenti, da Ciampi a Napolitano, da D’Alema a Draghi. Proprio sicuro, Magaldi, che Casaleggio senior indossasse il grembiulino? «Lo immaginavo, ma non ne ero certo. Ora invece ho acquisito la documentazione che lo comprova», afferma l’autore del saggio “Massoni”, in diretta web-streaming su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights”. Beninteso: per Magaldi, severo giudice dei “cattivi massoni” al comando dell’Ue, stare in massoneria può essere un titolo di merito. L’importante è non essere ipocriti: il governo gialloverde ha addirittura messo al bando – a parole – la presenza dei massoni nell’esecutivo, pur sapendo che il club pullula di grembiulini (da Tria a Moavero, solo per citare alcuni ministri). Che faccia faranno, Di Maio e Di Battista, nello “scoprire” che anche il compianto Casaleggio era massone? Chi può dirlo: oggi staranno a leccarsi le ferite per la batosta alle regionali in Sardegna, che segue a ruota quella appena rimediata in Abruzzo. Inutile lamentarsi, dice Magaldi, è il minimo che gli potesse capitare: avevano promesso di tutto e non hanno mantenuto niente. Ma niente paura, sono in buona compagnia: con loro c’è Renzi, altro fanfarone, e presto anche Salvini vedrà sgonfiarsi la bolla che finora l’ha fatto volare.E’ una panoramica a tutto campo, quella che Magaldi offre nella video-chat settimanale con Frabetti. Tema: l’inconsistenza dei 5 Stelle come specchio dell’evanescenza generale del sistema politico italiano, dopo tante chiacchiere spese sul cambiamento di cui ancora non c’è traccia. Renzi? «Triste spettacolo, vederlo in televisione a “Non è l’Arena” con Giletti su “La7”: non una parola sui suoi errori, solo l’esecrazione per quella che considera la gogna mediatica alla quale è stato sottoposto per via della vicenda giudiziaria che ha coinvolto i suoi genitori». Parentesi: c’è da domandarsi se sia davvero il caso di infliggere gli arresti (sia pure domiciliari) per reati non terribili. Stesso dicasi per Roberto Formigoni, pessimo esponente del più retrivo clericalismo affaristico, che in Lombardia ha privatizzato ampie fasce di sanità. Di nuovo: è proprio indispensabile la punizione del carcere? Senza con questo contestare i magistrati, Magaldi precisa: «Sul piano politico, fa male vedere che solo qualcuno paga per tutti, mentre chi è troppo potente resta intoccabile». Ma se il declino del “Celeste” si accompagna a quello della Compagnia delle Opere, in auge con la Chiesa conservatrice di Wojtyla e Ratzinger, suona surreale la performance televisiva del Renzi vittimista, versione 2019. Tecnicamente: uno zombie, ormai osteggiato anche nel suo partito. E senza neppure l’onestà elementare – politica, intellettuale – di ammettere di aver fallito su tutta la linea.Il buon Matteo, dice Magaldi, avrebbe dovuto dire, sinceramente: come erede della sinistra italiana avrei dovuto trovare il coraggio di rompere con l’austerity di Bruxelles e quindi imporre la giusta quota di deficit per far ripartire l’occupazione, anziché vendere la fuffa del Jobs Act (insieme a un’orrida riforma della Costituzione). Il Chiacchierone di Rignano ricorda qualcuno: per la precisione, i giovani leoni che promettevano agli italiani un futuro di lusso, addirittura a 5 Stelle. Letteralmente, reddito di cittadinanza significa che l’essere italiani darebbe diritto, di per sé, a una somma di denaro – a prescindere dal reddito e dalle condizioni dei singoli e delle famiglie. Invece, il Di Maio che vende la “sconfitta della povertà” si riduce a elargire un magrissimo sussidio sotto forma di card per acquisti, ma solo dopo una folle trafila bizantina per selezionare i requisiti per i pochissimi “fortunati”. Molto meglio, sostiene Magaldi, il “diritto al lavoro” sancito per legge, in Costituzione, come chiede il Movimento Roosevelt: «Lo Stato sarebbe obbligato a trovare un lavoro a tutti, e questo consentirebbe ai giovani di non dipendere più finanziariamente dalle famiglie».Facile a dirsi: bello, il libro dei sogni firmato Magaldi. E i soldi? Appunto: quelli bisogna conquistarseli, insiste Magaldi, risolvendosi a portare fino in fondo il braccio di ferro con Bruxelles. Dove sta scritto che i paesi Ue debbano sottostare al diktat arbitrario del rigore di bilancio, sorvegliato da tecno-massoni neoliberisti per lo più agli ordini di potentati finanziari privatistici? I patti erano chiari, sembra dire Magaldi ai gialloverdi: non dovevate rovesciare il tavolo europeo, come promesso alle elezioni? Poi non lamentatevi, se non l’avete fatto: vi mancano i fondi per realizzare i programmi, quindi è logico che gli elettori vi stiano scaricando. Per ora tocca ai 5 Stelle, ma presto potrebbe venire il turno di Salvini, sostiene Magaldi: sul problema-migranti (reale, sentito) finora ha campato alla grande, ma attuando solo la “pars destruens”, senza curarsi troppo del futuro. E’ bastato, per ora, a deviare l’attenzione generale dal fallimento del governo nei confronti di Bruxelles. Ma domani il ballon d’essai potrebbe sgonfiarsi, quando anche gli elettori leghisti chiederanno conto, a Salvini, del mancato rispetto delle promesse elettorali più forti, come la radicale riforma fiscale giustamente ventilata. Il 30 marzo, a Londra, il Movimento Roosevelt presieduto da Magaldi farà sentire la voce degli economisti keynesiani nel convegno che chiede a gran voce “Un New Deal rooseveltiano per l’Europa”. Prendano appunti, i 5 Stelle: probabilmente il tema sarebbe piaciuto a Gianroberto Casaleggio, massone visionario.Cari amici 5 Stelle, prendete nota: il vostro amato fondatore e ideologo, Gianroberto Casaleggio, era massone. Chi lo afferma? Gioele Magaldi, naturalmente, cioè il “grembiulino” che più di ogni altro, in Italia, ha svelato l’identità liberomuratoria di moltissimi potenti, da Ciampi a Napolitano, da D’Alema a Draghi. Proprio sicuro, Magaldi, che Casaleggio senior avesse frequentato qualche loggia? «Lo immaginavo, ma non ne ero certo. Ora invece ho acquisito la documentazione che lo comprova», afferma l’autore del saggio “Massoni”, in diretta web-streaming su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights”. Beninteso: per Magaldi, severo giudice dei “cattivi massoni” al comando dell’Ue, stare in massoneria può essere un titolo di merito. L’importante è non essere ipocriti: e invece il governo gialloverde ha addirittura messo al bando – a parole – la presenza dei massoni nell’esecutivo, pur sapendo che il club pullula di grembiulini (da Tria a Moavero, solo per citare alcuni ministri). Che faccia faranno, Di Maio e Di Battista, nello “scoprire” che anche il compianto Casaleggio era massone? Chi può dirlo: oggi staranno a leccarsi le ferite per la batosta alle regionali in Sardegna, che segue a ruota quella appena rimediata in Abruzzo. Inutile lamentarsi, dice Magaldi, è il minimo che gli potesse capitare: avevano promesso di tutto e non hanno mantenuto niente. Ma sono in buona compagnia: con loro c’è Renzi, altro fanfarone, e presto anche Salvini vedrà sgonfiarsi la bolla che finora l’ha fatto volare.
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Cade ogni politico, se non serve più al potere che ci domina
un po’ di vertigine, il saggio “Psyops” di Solange Manfredi, che illumina settant’anni di “guerra psicologica”, condotta in Italia. Indovinato: siamo il paese-cavia per eccellenza, dove sono state testate le peggiori tecniche di manipolazione, anche le più sanguinose (Gladio). Nessun’altra nazione, in Europa – ricorda l’autrice, in un’intervista alla trasmissione web-radio “Forme d’Onda” – ha subito altrettante atrocità, a causa del terrorismo “false flag”, sotto falsa bandiera, che ha utilizzato servizi segreti e pedine dell’estremismo per mettere in piedi gli agguati degli anni di piombo e le stragi impunite nelle piazze. Pensiamo a una sigla come la Falange Armata: ha firmato 500 rivendicazioni, tra il ‘92 il ‘94, quando Tangentopoli abbatteva la Prima Repubblica e le bombe affidate alla manolavanza mafiosa condizionavano il sanguinoso esordio della Seconda, nata per sacrificare l’Italia del benessere e portarla a soccombere di fronte all’oligarchia finanziaria di Maastricht e del Trattato di Lisbona. L’Isis? E’ l’ultimo capolavoro della strategia della tensione a livello internazionale, riprodotta fedelmente secondo il modello sperimentato in Italia. C’è il referendum per la secessione della Scozia dal Regno Unito? Benissimo, e chi decapita, l’Isis, il giorno prima? Ovvio: uno scozzese. Negli Usa si vota per limitare ulteriormente le libertà del cittadino, con la scusa della sicurezza? E quindi è proprio un ostaggio americano, alla vigilia, a offrire la gola alla mannaia dello Stato Islamico.La regia è scandalosamente evidente, dice Solange Manfredi, così come il movente – per nulla connesso con Allah – dello stesso fondamentalismo religioso mediorientale, creato a tavolino per evitare che il Medio Oriente svoltasse verso il socialismo. Negli anni ‘50, ricorda l’autrice del saggio, i paesi arabi erano largamente laici. «Prima del golpe occidentale che portò al potere Saddam, l’Iraq aveva un ministro donna e si preparava a dare l’indipendenza ai curdi». Così, il governo di Baghdad è stato “suicidato”. Tutto ciò è orrendo? Certamente, ma dobbiamo sapere che è la regola. La storia non lo ammette? Lo si può capire: spesso è il sistema stesso a scriverla, imponendo la sua versione alla scuola. Storia, cioè guerre: nessuno dei conflitti che ricordiamo – dice Solange Manfredi – è stato innescato dai motivi ufficialmente noti. Dietro ogni guerra c’è una causa segreta, e il casus belli è sempre un’invenzione o comunque una manipolazione: da Pearl Harbor, dove il bombardamento giapponese era perfettamente atteso, al Golfo del Tonchino, in cui nessuna artiglieria vietnamita sparò mai contro la flotta Usa. Fino ovviamente all’11 Settembre, servito come alibi per invadere l’Iraq e l’Afghanistan, per poi terremotare tutto il Medio Oriente.Cronologia recente: primavere arabe, caduta di Mubarak in Egitto, morte di Gheddafi in Libia, guerra in Siria contro Assad, devastazione dello Yemen. Emergenze umanitarie e crisi dei migranti? Appunto. C’è sempre un’attenta regia che predispone gli scenari, pur scontando anche l’imprevedibilità relativa delle variabili. Certo, i colpi principali vanno spesso a segno: Mattei viene ucciso quando fa diventare l’Italia troppo ingombrante a livello geopolitico, e Moro è assassinato per gambizzare l’economia mista, pubblico-privata, che dovrà cedere il passo al neoliberismo. A sua volta, lo svedese Palme soccombe prima che possa diventare segretario generale dell’Onu, impedendo – fra le altre cose – la nascita dell’Ue nella sua attuale configurazione antidemocratica e antipopolare. Ma se gli eroi restano mosche bianche (Moro fu minacciato da Kissinger in modo brutalmente mafioso), la regola è invece un’altra: il politico di turno – Renzi, Formigoni – viene fatto uscire di scena quando non serve più, al potere che ne aveva assistito l’ascesa.Un meccanismo del quale il soggetto (premier, capo-partito, ministro) non è neppure pienamente consapevole, il più delle volte, salvo che per un aspetto: appena raggiunge la vetta, dice Fausto Carotenuto a “Border Nights”, la sua vita di trasforma in un inferno. Motivo: «Il suo primo pensiero, la mattina, diventa questo: chi ce l’ha con me? Chi vorrebbe farmi fuori?». Di manipolazione, Carotenuto se ne intende: per anni ha orientato il lavoro dei servizi segreti Nato. Oggi è approdato a una scelta drastica: la rinuncia sostanziale alla politica, giudicata impraticabile perché interamente manipolata. Un grande inganno, un gioco di specchi in cui nessuno è davvero quel che dice di essere. Dal canto suo, analizzando a fondo la storia italiana contemporanea sulla base di migliaia di documenti desecretati, a cominciare da quelli che comprovano l’arruolamento della mafia e di molti uomini-chiave del nazifascismo, da parte degli Usa, per controllare l’Italia post-bellica in senso anti-Urss, Solange Manfredi insiste su un punto: non è detto che i politici su cui il potere investe siano per forza mediocri, ma è essenziale che abbiano almeno un punto debole (da usare al momento oppurtuno, per liquidarli).In altre parole: un cavaliere senza macchia non diventerà neppure assessore. E se qualcuno sfugge al controllo – come Sankara – durerà al massimo una manciata di mesi, prima di venir tolto di mezzo. Il connotato etico dell’analisi si basa sulla distanza tra la verità ufficiale e quella sottostante, tra la democrazia ideale e sostanziale (espressa “in purezza”) e la post-democrazia attuale, completamente svuotata, ormai dominata in modo sempre più evidente dall’invadenza di gruppi di potere privatistici, economici e finanziari. Peraltro, sottolinea Gioele Magaldi nel suo saggio “Massoni” uscito a fine 2014, non è certo piovuta dal cielo neppure la sacrosanta democrazia cui fa giustamente riferimento Solange Manfredi: la prassi dell’uguaglianza – pari opportunità, diritto di voto, Stato laico, legge sovrana emanata dal Parlamento eletto dai cittadini – è il frutto storico dell’impegno settecentesco della massoneria, che ha “fabbricato” la Rivoluzione Francese e poi creato gli Usa. Viviamo dunque in una specie di colossale laboratorio zootecnico, come sostiene Marco Della Luna? Siamo prigioneri di uno smisurato allevamento planetario, popolato da masse interamente manipolate?Probabilmente è così da sempre, suggerisce Paolo Rumor nel saggio “L’altra Europa” basato sulle rivelazioni dell’esoterista francese Maurice Schumann, tra i fondatori dell’europeismo novecentesco già durante la Seconda Guerra Mondiale. La tesi: un organismo-fantasma, denominato “la Struttura”, reggerebbe le sorti del pianeta in modo ininterrotto, da qualcosa come 12.000 anni. Le 36 Ur-Lodges supermassoniche presentate da Magaldi potrebbero esserne l’estrema propaggine contemporanea? Dilaga il cosiddetto complottismo, anche perché il potere – sempre reticente – si è fatto aggressivo e sfacciato, nella sua alluvione quotidiana di “fake news”, cioè menzogne ufficiali truccate da notizie. Per un osservatore coraggioso e indipendente come Massimo Mazzucco, non manca il risvolto positivo: è vero che l’intrasfruttura web è comuque sempre controllata dai soliti poteri fortissimi, ma milioni di persone – proprio sulla Rete – oggi possono condividere informazioni preziose, non ortodosse, non convalidate dall’ufficialità. Informazioni di cui fino a ieri sarebbe stato impensabile disporre, e che tuttora – non a caso – sono irrintracciabili sui media mainstream, giornali e televisioni.Sta letteralmente esplodendo anche il fenomeno della nuova archeologia, che probabilmente costringerà gli storici a rivedere le narrazioni correnti sulla stessa origine dell’umanità sulla Terra. Narrazioni secolari cadono in pezzi: le ultime scoperte inducono a retrodatare (di parecchi millenni) monumenti fortemente simbolici come le piramidi, mentre affiorano un po’ ovunque i reperti che spingono gli studiosi della paleo-astronautica a ritenere che i nostri antenati siano venuti in contatto, nella notte dei tempi, con esseri sbarcati dallo spazio (probabilmente, i nostri “fabbricatori genetici”). Di qualcosa del genere parla il biblista Mauro Biglino, per anni traduttore dell’Antico Testamento per conto delle Edizioni San Paolo: il suo Yahvè – alla lettera – non ha nulla di “divino”. Non è eterno, né onnisciente, né onnipotente. E il suo rapporto col cielo è mediato dal Kavod, un velivolo rombante e pericoloso. Sono ancora gli Elohim come Yahvè a dominarci, attraverso i loro fiduciari terrestri? «Se un giorno si scoprisse che è così non me ne stupirei», dice Biglino, che però aggiunge: «Immagino che l’attuale esplosione demografica non fosse prevista: siamo oltre 7 miliardi, cioè tantissimi. Troppi, per qualsiasi potere dominante». Come dire: la partita è aperta, forse ce la possiamo giocare. Davvero?Il fatalismo complottistico è ben rappresentanto da celebrità come Davide Icke: i suoi invincibili Rettiliani finiscono per ricordare un po’ gli alieni molesti evocati da Corrado Malanga attraverso le sue ricerche, interamente fondate sull’ipnosi regressiva: ipotetici nemici troppo superiori per poter essere contrastati? La convinzione dell’esistenza di uno strapotere insormontabile (almeno, per via ordinaria) induce lo stesso Carotenuto a consigliare di lasciar perdere la politica: è tempo perso, dice. Meglio dedicarsi amorevolmente al prossimo: non è solo etico, ma anche funzionale. Ed è l’atteggiamento che il sistema di dominio più teme, perché è virtualmente contagioso. I politici? Ometti, per lo più. Scelti, dice Solange Manfredi, in base alle loro debolezze. Non sempre, certo: non tutti. Ma la lezione è utile per chi oggi assiste con delusione al declino del governo gialloverde, che ha ceduto su tutta la linea per sottomettersi ai poteri che usano Bruxelles per dominare i paesi come l’Italia. Guai, però, a sottovalutare il popolo: è vero che è sempre condizionato da precise élite, ammette Magaldi; ma da sole – aggiunge – quelle élite non le potrebbero fare, le rivoluzioni. Quella di cui si sente il bisogno oggi ha un nome preciso, si chiama democrazia. Rappresenta un’eresia della storia, un prodotto recentissimo. Di fabbricazione massonica? Certo. Ma alzi la mano chi vorrebbe tornare al potere del dittatore, all’arbitrio del monarca o del Papa-Re. Forse, come dice Mazzucco, la buona notizia è che oggi, nonostante tutto, se ne può parlare: in fondo gli orizzonti sono aperti, come non era mai successo.Sembra il nostro paladino, finalmente: l’amico del popolo. E invece è il loro uomo, l’ennesimo. Scelto per durare il necessario, capace di cavalcare l’onda grazie alle sue qualità, al suo appeal mediatico. Ma il “casting” iniziale ha individuato anche il punto debole, già in partenza. Esempio: corruzione, sete di potere e denaro. Oppure ambizione smodata, passione per le donne, o magari abuso di droghe e altre debolezze private. Saranno i tasti da pigiare al momento opportuno, quando l’ometto non servirà più e andrà bruciato. Di colpo, il suo dossier – compilato fin dall’inizio e pronto da anni – finirà ai magistrati (e alla stampa). Risultato: morte civile. Succede sempre, di continuo, secondo uno schema cinico e quasi noioso, nella sua monotonia. Formigoni e Renzi? Sembrano solo gli ultimi nomi della lista. Poi ci sono altri personaggi, di ben maggior peso. Magari finiscono in esilio ad Hammamet, o peggio: assassinati come Moro, fatti esplodere in aria come Mattei. Via loro, avanti un altro. Il gioco continua, perché serve a non cambiare mai le regole. E i padroni di quelle regole non siamo noi, salvo rarissime eccezioni, destinate a durare poco – come Olof Palme, premier svedese freddato da un killer nell’86, o Thomas Sankara, rivoluzionario leader del Burkina Faso massacrato nell’87 dopo soli quattro anni di governo, in cui aveva creduto di poter mettere fine, per davvero, alla schiavitù finanziaria dell’Africa.
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Gas, l’Eni sfratta il Belgio dal Venezuela: perciò ci odiano
Non so se qualcun altro l’ha già scritto. La ragione del rabbioso attacco di Verhofstadt a Conte sta esattamente nelle sue parole dal minuto 0:34 al minuto 1:04 qui, ed è un embolo di gas Lng, piuttosto raro fra gli umani, ma non fra quelli come lui. Roba da tanti, ma tanti soldi. Al belga sono rimasti piantati a metà trachea il Venezuela e Putin, e soprattutto la mite posizione italiana su di essi. Per questo ci odia, e, ancor più di lui, ci odia la Exmar, che come avrete di certo letto sui giornali è la corporation navale belga che gli paga le parcelle mentre ’sto lobbista siede a fare il parlamentare europeo. Una storia multimiliardaria di Lng (gas naturale liquefatto), le cui maggiori comparse sono: un incontro dell’ottobre 2017 fra Putin e l’iraniano colosso petrolifero Nioc; un contratto andato in malora l’anno precedente fra la Exmar e la canadese Pacific Exploration & Production Corporation in Colombia; la Carribean Flng, che è la mega-chiatta per la lavorazione e il trasporto del Lng strapagata dalla Exmar, che oltretutto se la fece recapitare dalla Cina con l’ambizione di farci una montagna di soldi, ma rimasta piantata ad arrugginirsi per via dei sopraccitato contratto andato a vuoto e anche di un secondo contratto andato a puttane, poi graziata all’ultimo dall’odierno arcinemico latino americano del Venezuela, cioè il presidente argentino Macri; l’Eni che si lavora il Lng di Maduro mentre i belgi della Exmar schiumano alla bocca per vederlo morto.Il Belgio è un paese di sfigati, che dopo aver ammazzato 11 milioni di congolesi, per rimanere poi a mani vuote, circa 130 anni fa (il cobalto e il coltan, che oggi nell’It e nella Smart Tv-Smart Phones Industry valgono più dei diamanti, se li sono presi i Kabila, l’americana Glencore e gli israeliani), si sono distinti di recente per aver avvelenato i maiali di tutt’Europa con la diossina, e poi sono rimasti sfigati. Possono vantare solo quella cloaca di politica autocratica e infestata di lobbies che è Bruxelles, ma mica tanto altro. La loro Exmar è dal 1981 che si è fatta un nome nel mondo per i servizi di trasporto navale e di rigassificazione soprattutto di gas naturale, che viene trasformato in Lng. Ne vanno fieri, e che ci sia un paese in Ue che non solo gli piscia in testa sugli idrocarburi con l’Eni, ma che è pure ‘amico’ di due giganti odiosi per la Exmar nel business Lng come Russia e Venezuela, be’, questo per Verhofstadt e per le ambizioni smisurate di chi ce l’ha a busta paga, la Exmar appunto, è stato troppo. Fra poche righe capirete il perché. Tutto il resto della sua sparata su Italia vs Ue, immigrazione, gran valori di Spinelli, Ciampi e Bonino, la recessione, i populismi, sono stati pretesti. Contano i soldi, follow the money, eh?Un po’ di background in breve. Dunque, nel luglio 2017 i padroni di ’sto Verhofstadt, la Exmar, si fa recapitare dall’altra parte del pianeta questa mega-chiatta chiamata Carribean Flng che avevano costruito a costi stratosferici nella speranza di concludere un accordo multi-milionario con l’Iran. Ma nel novembre successivo la Gazprom di Putin arriva a Tehran, incontra la Nioc (la regina degli idrocarburi iraniana) e di colpo tutto per la Exmar va storto. L’Iran, si disse allora, avrebbe usato altri vascelli per il Lng, quelli norvegesi, e gli oleodotti russi dell’amico Vladimir. Questo aprì ulcere gastriche in Belgio dove ci passava un pallone da calcio, soprattutto perché era la seconda volta che la super-chiatta della Exmar veniva cestinata con milioni di dollari di perdite: era successo nel 2016 nel sopraccitato flop in Colombia in associazione con la fallita canadese Pacific Exploration & Production Corporation. I padroni di Verhofstadt ora hanno buchi contabili che si vedono dalla Luna con ’sta mega-chiatta Carribean Flng piantata sul gozzo mentre altri si stanno spartendo l’immane mercato del gas Lng.Putin è il target N.1 dell’odio della Exmar, e non solo per la faccenda dell’Iran del 2017, ma anche perché in tutto l’affare Nord Stream 2 (il super-gasdotto dalla Russia alla Germania) le mega-chiatte della Exmar e tutti i suoi servizi aggiunti per il trasporto del gas Lng sono ovviamente tagliati fuori. La corporation belga e il suo scagnozzo lobbista Verhofstadt sono impotenti contro Mosca in Ue. Per ovvi motivi, “l’amico del tuo nemico è il tuo nemico”, cioè tradotto: l’Italia di Salvini che è di casa in Russia diventa oggetto d’odio alla Exmar-Verhofstadt. Ma non solo. C’è il Venezuela. Caracas, come si sa, è un colosso di idrocarburi, ora ingabbiato dalle sanzioni Obama-Trump, ma lo stesso una miniera d’infinite ricchezze anche di gas Lng. Infatti si sappia che, sorprendentemente, uno del 10 maggiori esportatori al mondo di Lng è Trinidad & Tobago nei Caraibi, ma la sua vera fonte è la compagnia petrolifera di Stato di Caracas, la Pdvsa. A Bruxelles gli ulcerati della Exmar stanno solo a guardare tutto quel ben di Dio in mano al “socialista” Maduro, a cui loro non hanno significativi accessi, mentre l’Eni sì, eccome. ‘Sti italiani, di nuovo in mezzo alle palle, eh? Allora che si fa?Be’, com’è noto, nell’America Latina esiste oggi un gruppo di nazioni totalmente baciapile di Washington che si chiama il Gruppo di Lima, e chi le capeggia? L’Argentina del presidente Macri. E allora, si dicono gli ulcerati della Exmar a Bruxelles, dove la piazziamo ’sta emorragia di milioni di dollari che si chiama super-chiatta Carribean Flng? Eh, da un signor nessuno mondiale del gas Lng, cioè proprio da Macri, ma la rinominiamo Tango Flng, giusto per smussare un po’ le figurette di cacca del passato. E giù a ingoiare magoni, loro e il loro servetto Verhofstadt. Insomma, quello che doveva essere per i padroni di Verhofstadt l’inizio di un business multi-milionario nel 2016, finisce a far da carretta per il mediocre business dell’Lng in Argentina, mentre è proprio l’Italia che ostacola l’appoggio dell’infame Ue al golpe americano in Venezuela che avrebbe aperto ogni singolo rubinetto di petrolio e gas Lng agli Usa e ai Verhofstadt-Exmar-Bruxelles per mano del cagnolino di Washington, Juan Guaidò. Poi Salvini che strizza l’occhio a Putin, quello dei due mega-calci in culo alla Exmar e al suo prezzolato Verhofstadt… dai, le ulcere di sti belgi non hanno retto. Non so se serve sapere altro. Non credo. Ora sapete che significava il bau-bau di ’sto cane da guinzaglio. Poi, lo ribadisco, Conte non Conta in effetti una mazza, ma con ’sta storia i burattini non c’entrano proprio per nulla.(Paolo Barnard, “A Verhofstadt è partito l’embolo di Lng, il ‘burattino’ Conte non c’entra”, dal blog di Barnard del 15 febbraio 2019).Non so se qualcun altro l’ha già scritto. La ragione del rabbioso attacco di Verhofstadt a Conte sta esattamente nelle sue parole dal minuto 0:34 al minuto 1:04 qui, ed è un embolo di gas Lng, piuttosto raro fra gli umani, ma non fra quelli come lui. Roba da tanti, ma tanti soldi. Al belga sono rimasti piantati a metà trachea il Venezuela e Putin, e soprattutto la mite posizione italiana su di essi. Per questo ci odia, e, ancor più di lui, ci odia la Exmar, che come avrete di certo letto sui giornali è la corporation navale belga che gli paga le parcelle mentre ’sto lobbista siede a fare il parlamentare europeo. Una storia multimiliardaria di Lng (gas naturale liquefatto), le cui maggiori comparse sono: un incontro dell’ottobre 2017 fra Putin e l’iraniano colosso petrolifero Nioc; un contratto andato in malora l’anno precedente fra la Exmar e la canadese Pacific Exploration & Production Corporation in Colombia; la Carribean Flng, che è la mega-chiatta per la lavorazione e il trasporto del Lng strapagata dalla Exmar, che oltretutto se la fece recapitare dalla Cina con l’ambizione di farci una montagna di soldi, ma rimasta piantata ad arrugginirsi per via dei sopraccitato contratto andato a vuoto e anche di un secondo contratto andato a puttane, poi graziata all’ultimo dall’odierno arcinemico latino americano del Venezuela, cioè il presidente argentino Macri; l’Eni che si lavora il Lng di Maduro mentre i belgi della Exmar schiumano alla bocca per vederlo morto.
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Magaldi: niente è come sembra, e in troppi stanno barando
Viviamo strani giorni, cantava Battiato. Prendi l’Italia: in soli cinque anni ha voltato le spalle al conducator Renzi, trionfatore alle europee con il 40%, per dare una chance all’alieno governo gialloverde. Ma non doveva regnare in eterno, il Fanfarone di Rignano? Com’è possibile che si sia letteralmente estinto, consegnando il paese (provvisoriamente) agli apprendisti stregoni grillini e ai vetero-leghisti già forcaioli, abilmente riciclati da Salvini? Esecutivo bifronte, in tutti i sensi: diviso ormai sul 90% del programma, e incagliato su troppi nodi difficili da sbrogliare. Tanto peggio per i 5 Stelle, i più esposti al vento contrario: facile alzare la voce coi migranti, grazie a una politica low-cost, tutta immagine e quasi senza stanziamenti. Più complicato esaudire il sogno costoso del reddito di cittadinanza sbandierato da Di Maio. Tutti colpevoli, in ogni caso. Il loro peccato? Uno: non aver osato assolvere al compito ricevuto dagli elettori, e cioè riscattare l’Italia liberandola dalla tagliola di un’Ue finita in mano a un potentissimo clan di oligopolisti prezzolati. Lo afferma Gioele Magaldi, il primo a cantare fuori dal coro neo-sovranista di fronte al cedimento del governo Conte sul deficit 2019. Il presidente del Movimento Roosevelt è stato anche il primo (oltre che l’unico) a smascherare il teatrino dell’austerity: dietro il rigore – ha spiegato nel saggio “Massoni” – c’è assenzialmente un club di supermassoni reazionari. Ecco perché, anziché sparare a casaccio contro “l’Europa”, sarebbe più utile fare nomi e cognomi.Lo stesso dicasi per l’altro tasto dolente, assai caro a tanta parte del popolo del web: l’odiato imperialismo yankee, il Deep State che trasforma la superpotenza egemone in uno strumento di violenza e guerra, sfruttamento e oppressione (tema in auge praticamente sempre, ora rinverdito dalle vistose pressioni Usa sul Venezuela di Maduro). A costo di ripetersi, Magaldi insiste: sono stato proprio io – dice, in web streaming su YouTube – a spiegare, più precisamente di altri, quale America ha fatto del male agli americani e al resto del mondo. Brutto spettacolo: le trame golpiste della superloggia “Three Eyes”, il neoliberismo a mano armata, i neocon. Ma erano americani anche i Roosevelt e i Kennedy, così come Martin Luther King. E se tutte le potenze mondiali hanno sempre e solo perseguito la logica mercantile del dominio, almeno – dice Magaldi, convinto atlantista – gli Stati Uniti restano la prima democrazia del mondo e la prima repubblica a essersi dotata di un governo parlamentare elettivo, sulla scorta di una Costituzione che proclamò l’estrema eresia del “diritto alla felicità”, per tutti, in un mondo allora retto soltanto da imperi e monarchie, senza diritti e senza suffragio universale. Questo ovviamente non assolve l’America dai suoi peccati, ma almeno – sottolinea Magaldi – dovrebbe imporre il sano esercizio dei distinguo: buoni e cattivi non sono mai la stessa cosa, anche se coabitano sotto la stessa bandiera.Viviamo strani giorni, inutile negarlo: i 5 Stelle sprofondano alle regionali in Abruzzo facendo impallidire il 40% incassato un anno fa dagli abruzzesi alle politiche, ma lo stesso Salvini – pensando a Renzi – farebbe meglio a non dormire sugli allori. E se il voto è diventato così volatile, ragiona Magaldi, è perché gli italiani sono veramente stufi di essere presi in giro: l’allora padrone del Pd aveva solo finto di sfidare Bruxelles, e i gialloverdi sembrano scivolare lungo la stessa china. Non avendo osato tener duro sul deficit per alimentare la crescita, saranno costretti – vista l’inevitabile flessione del Pil – a procedere con sanguinosi tagli lineari. Strani giorni, appunto: mentre diventano sempre più evanescenti le categorie del Novecento, destra e sinistra, visti soprattutto gli imbarazzanti portavoce del centrodestra e del centrosinistra, stenta ancora ad affermarsi una visione del presente più realistica, capace cioè di fotografare il vero scontro: da una parte l’apolide oligarchia del denaro, dall’altra i difensori della sovranità democratica (che non è né di destra né di sinistra, ma è stata confiscata dai poteri privatizzatori col servile contributo di entrambi gli schieramenti, che per tutta la Seconda Repubblica hanno solo e sempre fatto finta di combattersi, per poi eseguire i dettami neoliberali della medesima élite transnazionale).Strani giorni, questi, in cui Di Maio – in preda al panico pre-elettorale da sondaggi – organizza fuori tempo massimo uno sgangherato gemellaggio con frange dei Gilet Gialli, ottenendo uno scontro diplomatico con la Francia, in rivolta contro il supermassone Macron. Più che azzoppato, il ducetto dell’Eliseo: praticamente impresentabile, eppure capace di siglare il tragicomico Trattato di Aquisgrana con Angela Merkel, con la quale poi Giuseppe Conte si intrattiene amabilmente al bar, sparlando dei suoi “azionisti” politici, i 5 Stelle. Tanto teatro, e pochissima sostanza commestibile. Non è sul tavolo – su nessun tavolo – il cambio di paradigma, keynesiano, per il quale Gioele Magaldi si batte. In queste sabbie mobili, il Movimento Roosevelt annuncia inziative di sapore strategico nei prossimi mesi. A Londra il primo appuntamento, il 30 marzo: un’agenda da aggiornare con Nino Galloni, Guido Grossi, Ilaria Bifarini, Antonio Maria Rinaldi e altri cervelli dell’economia democratica, per chiarire che – obbedendo a questa Ue – non si va da nessuna parte.Poi in Sicilia è in arrivo un forum sui migranti, per ribadire che il Mediterraneo e l’Africa si possono (e si devono) abbracciare, con una visione strategica di partnership, nel segno del rispetto per la sovranità del terzo mondo. Una battaglia costata la vita a Thomas Sankara, cui il Movimento Roosevelt dedicherà un convegno a Milano, il 3 maggio. L’evento milanese vuol recuperare la memoria di Sankara ma anche di Carlo Rosselli, alfiere italiano del socialismo liberale «assassinato dai fascisti ma detestato anche dai comunisti». Due icone, per il fronte progressista universale che si richiama ai diritti dell’uomo, esattamente come lo svedese Olof Palme, altro massone progressista, ucciso a Stoccolma dai sicari dell’oligarchia euro-atlantica che progettava questa globalizzazione e questa Unione Europea. Globalizzazione che poi ha realizzato, sottolinea Magaldi, con il pieno contributo di supermassoni neo-aristocratici mediorientali, asiatici, cinesi e russi.Ecco perché è così difficile, oggi, “nazionalizzare” una geopolitica ormai interamente “privatizzata” da opachi comitati d’affari, che – all’occorrenza – si dedicano anche al terrorismo, alle “rivoluzioni colorate”, ai maxi-attentati come quello dell’11 Settembre per poi incassare i dividendi della “guerra infinita” (Iraq e Afghanistan, Libia e Siria), fino all’estrema propaggine dell’orrore, incarnata dall’Isis del supermassone Al-Baghdadi. Ci stanno sanguinosamente prendendo in giro? Esatto, ribadisce Magaldi. E la via d’uscita, insiste, è una sola: si chiama democrazia. Un’Ue non-democratica non può continuare a tiranneggiare il governo italiano, che sarà pieno di difetti ma è stato votato dai cittadini. E se Lega e 5 Stelle fingono di dormire, Magaldi scommette sul cantiere del “Partito che serve all’Italia”: un modo per dire che, prima o poi, il velo dovrà cadere. Obiettivo: smascherare il vero avversario e consentire allo Stato di tornare a spendere per i cittadini, mettendo fine allo scandalo silenzioso dell’avanzo primario, con gli italiani che – da troppi anni – versano allo Stato più denaro, sotto forma di tasse, di quanto il governo non ne spenda per loro.Viviamo strani giorni, cantava Battiato. Prendi l’Italia: in soli cinque anni ha voltato le spalle al conducator Renzi, trionfatore alle europee con il 40%, per dare una chance all’alieno governo gialloverde. Ma non doveva regnare in eterno, il Fanfarone di Rignano? Com’è possibile che si sia letteralmente estinto, consegnando il paese (provvisoriamente) agli apprendisti stregoni grillini e ai vetero-leghisti già forcaioli, abilmente riciclati da Salvini? Esecutivo bifronte, in tutti i sensi: diviso ormai sul 90% del programma, e incagliato su troppi nodi difficili da sbrogliare. Tanto peggio per i 5 Stelle, i più esposti al vento contrario: facile alzare la voce coi migranti, grazie a una politica low-cost, tutta immagine e quasi senza stanziamenti. Più complicato esaudire il sogno costoso del reddito di cittadinanza sbandierato da Di Maio. Tutti colpevoli, in ogni caso. Il loro peccato? Uno: non aver osato assolvere al compito ricevuto dagli elettori, e cioè riscattare l’Italia liberandola dalla tagliola di un’Ue finita in mano a un potentissimo clan di oligopolisti prezzolati. Lo afferma Gioele Magaldi, il primo a cantare fuori dal coro neo-sovranista di fronte al cedimento del governo Conte sul deficit 2019. Il presidente del Movimento Roosevelt è stato anche il primo (oltre che l’unico) a smascherare il teatrino dell’austerity: dietro il rigore – ha spiegato nel saggio “Massoni” – c’è essenzialmente un club di supermassoni reazionari. Ecco perché, anziché sparare a casaccio contro “l’Europa”, sarebbe più utile fare nomi e cognomi.
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Magaldi: 5 Stelle, bugie sul Venezuela e fallimenti in Italia
Mascalzoni: o siete ignoranti, all’oscuro dei fatti, o siete addirittura in malafede. E non si sa cosa sia peggio, visto che sedete addirittura al governo. Pazienza, se si trattasse dei soliti “leoni da tastiera”, che sui social diffondono falsità e distribuiscono insulti in modo sleale, protetti dall’anonimato, convinti di restare impuniti in eterno. Ma se si rivestono cariche istituzionali, non si può scadere fino a questo punto. Specie se, come in Venezuela, è in gioco la sicurezza di quasi 30 milioni di persone, ormai alle prese con un’emergenza umanitaria. Sono tantissimi i venezuelani di origine italiana, ieri vicini al governo socialista di Hugo Chavez e ora spaventati e mortificati: dall’invereconda autocrazia dell’indegno Nicolas Maduro, e dal silenzio ufficiale dell’Italia, il cui governo non prende posizione in modo netto sulla crisi in corso. E’ esasperato, Gioele Magaldi, di fronte all’opaca neutralità dei 5 Stelle: non riconoscendo Juan Guaidò come “presidente ad interim”, i pentastellati finiscono per supportare Maduro, cioè il politico fallimentare di cui la stragrande maggioranza dei venezuelani vorrebbe liberarsi. «Avevo dato del cialtrone ad Alessandro Di Battista – tuona Magaldi, in web-streaming su YouTube – ma ora allo stesso giudizio associo anche il vicepremier Luigi Di Maio, allineatosi a Di Battista, esattamente come il presidente della Camera, Roberto Fico».L’accusa: è semplicemente folle dare del “golpista” a Guaidò, solo perché è sostenuto dagli Usa. «L’autoproclamato presidente non ha fatto nulla che non fosse previsto dalla Costituzione del Venezuela: e il governo italiano non può fingere di non saperlo, come invece fanno i 5 Stelle». Scandisce i termini della questione, il presidente del Movimento Roosevelt: per chi non l’avesse ancora capito, ribadisce, Guaidò non è un “signor nessuno” messo lì dalla perfida America per rovesciare un governo legittimo. E’ il presidente del Parlamento. E la Costituzione del suo paese – in circostanze straordinarie, come queste – gli conferisce il potere, legale, di disconoscere il presidente in carica, sostituendolo in via strettamente provvisoria. Con un unico obiettivo: indire elezioni. Dove starebbe il golpismo? Per colpo di Stato si intende: presa del potere con metodi violenti, mediante l’uso della forza. Guaidò vuole forse cacciare Maduro per insediarsi stabilmente alla presidenza? No: si limita a compiere un passaggio costituzionale necessario, per imporre a Maduro il ripristino della legalità democratica. Vuole che i venezuenali possano tornare a votare. L’ultima volta che l’hanno fatto, lo scorso anno, il partito di Maduro ha praticamente vinto da solo: l’opposizione incarnata da Guaidò non si era neppure candidata, non ravvisando l’agibilità democratica della consultazione. Come si può parlare, seriamente, di golpe?Certo, il Venezuela è ricchissimo di petrolio: ha la prima riserva petrolifera del mondo, e ora è boicottato dagli Stati Uniti. Come ricorda Eugenio Benetazzo, c’è proprio il petrolio nel destino di Caracas, nel bene e nel male: usando i proventi del greggio, Hugo Chavez riuscì a condurre uno spettacolare programma di welfare, di stampo socialista. Maduro avrebbe voluto imitarlo, ma il crollo del prezzo del barile gliel’ha impedito. E quando il paese è scivolato nella crisi, l’erede di Chavez – a differenza del suo precedessore – non ha esitato a ricorrere alla repressione, di fronte alle proteste popolari. Maduro ha forzato ripetutamente la Costituzione, cosa che invece Chavez s’era ben guardato dal fare: aveva proposto una modifica costituzionale in senso presidenziale, ma aveva accettato (democraticamente) il verdetto contrario dei venezuelani. «Maduro – sintetizza Magaldi – ha letteralmente rovinato il gran lavoro svolto da Chavez». Non ci credete? E allora, suggerisce il presidente del Movimento Roosevelt, magari leggetevi su “L’Intellettuale Dissidente” le illuminanti analisi di un osservatore privilegiato come Giuseppe Angiuli, grande estimatore di Chavez e oggi rassegnato a descrivere “la triste parabola del socialismo bolivariano”, con ormai quasi 3 milioni di venezuali in fuga – per fame – nei paesi vicini.Lo fa notare lo stesso Benetazzo: è vero, il regime di Maduro si è trovato ad affrontare difficoltà serissime ed è stato progressivamente “accerchiato”. Ma la sua evidente incapacità è ormai diventata un problema insormontabile: al di là dell’avversione ideologica per il governo di Caracas, paesi come Brasile, Argentina ed Ecuador percepiscono Maduro come un ostacolo da rimuovere, non essendo in grado di impedire che il Venezuela si trasformi in una bomba sociale, nel teatro regionale di una catastrofe umanitaria. Alle Sette Sorelle – fa notare Gianni Minà – fa gola il petrolio venezuelano: il loro grande obiettivo è appropriarsi della Pdvsa, la compagnia petrolifera nazionale, tuttora statale. Tutto sembra congiurare contro Maduro: l’Ue lo ha scaricato, e la Banca d’Inghilterra rifiuta di restituire al Venezuela l’ingente riserva aurea di cui il paese virtualmente dispone, nei forzieri di Londra. Ma in tutto questo – insorge Magaldi – come si fa a non vedere da che parte sta, Juan Guaidò? Non agisce a nome delle perfide multinazionali, bensì del popolo venezuelano mortificato e affamato dalla crisi che Maduro non ha saputo affrontare, preferendo silenziare l’opposizione e reprimere ferocemente le proteste, anche calpestando la Costituzione che Hugo Chavez aveva sempre rispettato.Magaldi considera Guaidò un patriota, un vero sindacalista civile del suo paese. Un uomo coraggioso, pronto a rischiare la pelle in nome della democrazia. Il suo partito, “Voluntad Popular”, non è affatto neoliberista: è di ispirazione dichiaratamente liberaldemocratica. Magadi è trasparente: lui stesso, precisa, milita nello stesso network massonico internazionale di Guaidò, quello che si dichiara progressista e si oppone al dominio neo-oligarchico che ha confiscato la democrazia in tutto il pianeta. Come dire: di Guaidò potete fidarvi. In Venezuela, antichi supporter di Chavez masticano amaro, di fronte a quello che interpretano come un tradimento, e vedono in Guaidò un leale traghettatore. Ipotesi: un nuovo Venezuela, non più affamato né “normalizzato”, non ridotto a colonia neoliberale. Un paese senza più il carisma del chavismo, certo, ma senza neppure «gli eccessi statalistici che, in altri tempi, in Cile, prepararono le condizioni del golpe Usa che costò la vita ad Allende, altro massone progressista». Ma, a parte l’orientamento politico di Guaidò, «socialdemocratico, non certo reazionario», l’oppositore di Maduro – insiste Magaldi – riveste oggi un profilo istituzionale perfettamente legale, che solo un cieco potrebbe non vedere. Per questo, aggiunge il presidente del Movimento Roosevelt, la vacuità bugiarda e cialtrona dei 5 Stelle, di fronte alla tragedia venezuelana, è pari alla fellonia parolaia del “governo del cambiamento”, che in Italia non sta cambiando proprio niente.Sparare proclami a vanvera su uno scenario lontano come il Venezuela, fa notare Magaldi, serve anche a distrarre l’attenzione dell’opinione pubblica sulle miserie domestiche dell’infimo governo gialloverde. Nelle parole dei leader pentastellati risuonano echi terzomondisti e vetero-antiamericanisti? Male, dice Magaldi (atlantista dichiarato), perché è facile giocare con gli slogan, come fanno gli anonimi “eroi” del web complottista. L’imperialismo yankee è brutto? «Tutte le potenze del mondo, da sempre, attuano politiche di quel tipo». L’egemonia Usa è stata determinante per l’Italia? Eccome: «Ma chi demonizza gli Stati Uniti dimentica cos’era, l’Italia feroce di Mussolini con le sue leggi razziali. Dimentica che, senza il Piano Marshall, il paese – in macerie – non sarebbe mai diventato quello del boom economico. I detrattori degli Usa avrebbero preferito l’egemonia dell’Urss? Volevano che l’Italia diventasse come l’Albania? La Cecoslovacchia? L’Unghieria?». Ovvio, non c’è rosa senza spine: e l’Italia ne ha assaggiate parecchie. Bombe nelle piazze, stragismo, strategia della tensione, tentativi di golpe. Tutta roba americana, anche quella. Chi lo dice? Sempre Magaldi, nel saggio “Massoni”.Col piglio dello storico e del politologo, l’autore ha svelato retroscena mai prima chiariti: erano massoni statunitensi i burattinai della Loggia P2 di Licio Gelli, con la sua rete di servizi deviati e terroristi pilotati. Ma erano massoni statunitensi – di segno opposto, progressista – gli uomini come Arthur Schlesinger Jr., capaci di manovrare dietro le quinte per sventare tutti e tre i tentativi di colpo di Stato organizzati dai signori della “Three Eyes” capitanata da Kissinger, l’ispiratore del golpe in Cile, dall’onnipresente David Rockefeller (grande padrino della Trilaterale) e dal raffinato stratega Zbigniew Brzezinski, l’uomo che arruolò Osama Bin Laden in Afghanistan. Poi però, annota Magaldi, lo stesso Brzezinski ci riomase male, quando Bin Laden lasciò la “Three Eyes” per approdare alla “Hathor Pentalpha” dei Bush, cupola eversiva e terroristica, capace di progettare (con l’11 Settembre) la strategia della tensione internazionale che stiamo ancora scontando, per imporre – a mano armata – la peggior forma di globalizzazione. Uno schema a cui il pavido Obama non ha osato opporsi, e che oggi vede come il fumo negli occhi l’outsider assoluto che siede alla Casa Bianca, Donald Trump, l’uomo che oggi vorrebbe liberarsi di Maduro. Come dire: niente è come sembra, l’apparenza inganna. Più che gli Stati, la geopolitica la dettano gruppi ristretti, in lotta fra loro. Ma appena sale la tensione, ricompaiono le bandiere: e il derby lo vince l’emotività. Peccato veniale, prendere lucciole per lanterne, a patto che non si sieda al governo di un paese come l’Italia.Magaldi è stato un franco sostenitore del governo Conte, come unico possibile esecutivo “eretico” rispetto al dogma finto-europeista. Aveva scommesso sulla freschezza dei 5 Stelle e sulla conversione nazionale di Salvini, a capo di una Lega non più nordista. Sperava che l’esecutivo avesse il coraggio di resistere alle pressioni internazionali, esercitate prima ancora che il governo nascesse, con il “niet” su Paolo Savona all’economia. Ad ogni sconfitta, leghisti e grillini hanno alzato la voce: grandi proclami, per nascondere l’imbarazante verità. L’ipotesi di deficit al 2,4%? Troppo debole, per aiutare l’economia. Ma si sono dovuti rimangiare pure quella, piegandosi agli oligarchi di Bruxelles. Non hanno osato tener duro, i gialloverdi, neppure di fronte al clamoroso assist offerto in Francia, contro l’establishment eurocratico, dai Gilet Gialli. L’ultima cosa che oggi possono permettersi di fare, i 5 Stelle, è di dire stupidaggini su Juan Guaidò, insiste Magaldi: prima di parlare, si leggano la Costituzione del Venezuela. E smettano di essere ipocriti: «Il governo è pieno di massoni, anche se nel “contratto” (in modo discriminatorio, ledendo un diritto democratico) avevano scritto che non avrebbero dato spazio a esponenti della massoneria». Peggio: «Qualche settimana fa, esponenti della maggioranza erano venuti a chiedere la mia personale intercessione per essere aiutati, a livello europeo, dai circuiti massonici progressisti». E adesso vogliono farci la lenzioncina sul Venezuela?O siete ignoranti, all’oscuro dei fatti, o siete addirittura in malafede. E non si sa cosa sia peggio, visto che sedete addirittura al governo. Pazienza, se si trattasse dei soliti “leoni da tastiera”, che sui social diffondono falsità e distribuiscono insulti in modo sleale, protetti dall’anonimato, convinti di restare impuniti in eterno. Ma se si rivestono cariche istituzionali, non si può scadere fino a questo punto. Specie se, come in Venezuela, è in gioco la sicurezza di quasi 30 milioni di persone, ormai alle prese con un’emergenza umanitaria. Sono tantissimi i venezuelani di origine italiana, ieri vicini al governo socialista di Hugo Chavez e ora spaventati e mortificati: dall’invereconda autocrazia dell’indegno Nicolas Maduro, e dal silenzio ufficiale dell’Italia, il cui governo non prende posizione in modo netto sulla crisi in corso. E’ esasperato, Gioele Magaldi, di fronte all’opaca neutralità dei 5 Stelle: non riconoscendo Juan Guaidò come “presidente ad interim”, i pentastellati finiscono per supportare Maduro, cioè il politico fallimentare di cui la stragrande maggioranza dei venezuelani vorrebbe liberarsi. «Avevo dato del cialtrone ad Alessandro Di Battista – tuona Magaldi, in web-streaming su YouTube – ma ora allo stesso giudizio associo anche il vicepremier Luigi Di Maio, allineatosi a Di Battista, esattamente come il presidente della Camera, Roberto Fico».
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Annullare la Brexit? Ora il divorzio mette in croce Corbyn
Un sondaggio riservato, commissionato dalla campagna pro-Ue “Best for Britain” (che vede tra i suoi finanziatori principali lo speculatore George Soros) suggerisce che gli elettori britannici sarebbero meno propensi a sostenere il Labour qualora il partito dovesse impegnarsi in maniera decisa a fermare la Brexit. Lo rivela il “Guardian”: quasi un terzo degli intervistati avrebbe dichiarato che, in questa circostanza, voterebbe con meno probabilità i laburisti. Un numero simile di cittadini ha affermato che la posizione sul tema non muterebbe l’atteggiamento verso la formazione guidata da Corbyn. Solo il 25% del campione, scrive Andrea Genovese su “Contropiano”, ha dichiarato che un impegno “europeista” del Labour costituirebbe una maggior motivazione per sostenere la compagine. “Best for Britain”, che sta spingendo per un secondo referendum Ue, ha commissionato il sondaggio prima che i parlamentari votassero sull’accordo negoziato da Theresa May con l’Ue (poi clamorosamente respinto dalla Camera dei Comuni). Quanto ai flussi elettorali, il sondaggio afferma che una svolta in favore del secondo referendum ad opera del Labour potrebbe far guadagnare al partito il 9% degli elettori conservatori, ma causerebbe la perdita dell’11% degli attuali sostenitori laburisti.Per la formazion di Corbyn sarebbe una perdita solo parzialmente compensata dal maggiore interesse con il quale guarderebbero al Labour i simpatizzanti dei piccoli partiti pro-Ue, cioè Verdi e Liberaldemocratici. Il leader Jeremy Corbyn, osserva Genovese, si trova in una situazione delicatissima, «stretto tra le smanie europeiste dei settori centristi del suo partito» (71 parlamentari del Labour sostengono apertamente la campagna per un secondo referendum) e la necessità di «rassicurare l’elettorato tradizionale laburista che, soprattutto nel Nord dell’Inghilterra, ha votato in maniera consistente per la Brexit». Fallita la mozione di sfiducia al governo May (che è rimasto in piedi) e incassata l’indisponibilità dei Liberal-Democratici a sostenere simili tentativi in futuro, l’obiettivo di portare il paese a elezioni anticipate appare lontano. La sua strategia, ricorda Genovese, Jeremy Corbyn l’aveva messa a punto lo scorso settembre a Liverpool: «Superare in avanti le divisioni causate dalla Brexit (da assumere come dato acquisito pur preservando l’accesso all’Unione Doganale), tramite un programma socialmente avanzato col quale parlare alla maggioranza della popolazione, provando a mettere in crisi, nel gioco parlamentare, Theresa May, e a guadagnare le urne anticipate».La strada di Corbyn si fa stretta, secondo “Contropiano”: l’inizio dei colloqui parlamentari ha anche segnalato l’avvio di grandi manovre per riunire Conservatori, Nazionalisti, Centristi e la destra interna laburista intorno ad un nuovo accordo sulla Brexit. Un accordo che, per gli oppositori interni del segretario del Labour, «potrebbe anche avere l’utilità di azzoppare un leader sgradito e del tutto eccentrico rispetto alla recente tradizione del partito, completamente genuflessa ai diktat neoliberisti». A Corbyn guarda anche il variegato panorama – piuttosto disperso – dei progressisti europei che avevano tifato per il “Remain”, nella speranza che proprio il partito laburista (radicalmente rinnovato da Corbyn in senso socialista) potesse fare da contrappeso, nell’ambito dell’Unione Europea, allo strapotere del patto mercantilista franco-tedesco, al quale si sono incresciosamente allineati sia i socialisti francesi che l’Spd tedesca e il Pd italiano. Con la Brexit, i progressisti europei hanno perso – in Corbyn – un alleato potenzialmente strategico. Che ora, come scrive il “Guardian”, dovrà provare a sopravvivere, politicamente, tra le mille insidie (anche interne) innescate dal tormentato divorzio da Bruxelles.Un sondaggio riservato, commissionato dalla campagna pro-Ue “Best for Britain” (che vede tra i suoi finanziatori principali lo speculatore George Soros) suggerisce che gli elettori britannici sarebbero meno propensi a sostenere il Labour qualora il partito dovesse impegnarsi in maniera decisa a fermare la Brexit. Lo rivela il “Guardian”: quasi un terzo degli intervistati avrebbe dichiarato che, in questa circostanza, voterebbe con meno probabilità i laburisti. Un numero simile di cittadini ha affermato che la posizione sul tema non muterebbe l’atteggiamento verso la formazione guidata da Corbyn. Solo il 25% del campione, scrive Andrea Genovese su “Contropiano”, ha dichiarato che un impegno “europeista” del Labour costituirebbe una maggior motivazione per sostenere la compagine. “Best for Britain”, che sta spingendo per un secondo referendum Ue, ha commissionato il sondaggio prima che i parlamentari votassero sull’accordo negoziato da Theresa May con l’Ue (poi clamorosamente respinto dalla Camera dei Comuni). Quanto ai flussi elettorali, il sondaggio afferma che una svolta in favore del secondo referendum ad opera del Labour potrebbe far guadagnare al partito il 9% degli elettori conservatori, ma causerebbe la perdita dell’11% degli attuali sostenitori laburisti.
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Sapelli: solo gli Usa ci salvano dalla catastrofe euro-tedesca
Si avvicina una recessione di lungo periodo. Viene da lontano, certamente: in primis dalla Cina, che rimane solo una bomba demografica anziché produttiva. Ma viene anche da vicino: dall’Europa, che si sta dilacerando politicamente in una disgregazione sociale inedita per via della deflazione secolare che la mancanza di investimenti ha prodotto proprio a partire dalla Germania e dalle nazioni del Nord, dalla Lega Anseatica e dalla marca svedese, con i venti freddi di una gelata che sembra non aprirsi mai alla primavera. Lo scrive, sul “Sussidiario”, lo storico dell’economia Giulio Sapelli, attento osservatore dell’attualità. «Occorre alzare le dighe degli investimenti produttivi con l’azione delle imprese pubbliche e private», sostiene. «Occorre cambiare profondamente la politica economica europea». Bruxelles invece – impegnata nello scontro con Londra dopo la Brexit – non coglie l’urgenza di questo cambiamento di rotta. «Per comprendere la gravità di questa regressione culturale dobbiamo ritornare con la mente a un contesto non solo economico ma anche internazionale che un tempo era profondamente diverso da quello odierno, perché non aveva irrigidito i sistemi di cambio tra le monete e le regole commerciali e del debito pubblico, in quella gabbia d’acciaio che è oggi l’Eurozona».Sapelli ricorda il novembre del 1975, quando a Rambouillet, sotto l’attenta regia di Valéry Giscard d’Estaing, si celebrò il primo G6, ossia la riunione di capi di Stato e di governo di Francia, Germania Ovest e Gran Bretagna, Stati Uniti, Giappone e Italia. «Erano anni difficili, seguiti alla Guerra del Kippur dell’agosto 1973 con la crisi petrolifera e l’aumento del prezzo del greggio di ben quattro volte in sei mesi, e soprattutto con l’avvento di quella che allora si chiamava “stagflazione”, ossia una stagnazione con inflazione, tutto il contrario di quel che accade oggi». Giscard si accordò con Helmut Schmidt, «il più grande cancelliere tedesco dopo la Seconda Guerra Mondiale», per coordinare le maggiori cinque potenze dell’Occidente, più i nipponici. «La preoccupazione era immensa. I “trent’anni gloriosi” di crescita ininterrotta europea e mondiale, seguiti al 1945, pareva dovessero terminare. E questo colse tutti di sorpresa». Ma attenzione: furono proprio gli Stati Uniti, ricorda Sapelli, a imporre la partecipazione dell’Italia alla riunione di Rambouillet. «Solo la perseveranza di Aldo Moro, allora presidente del Consiglio, e del ministro degli esteri Mariano Rumor, consentirono all’Italia di partecipare a quel summit», aggirando l’Eliseo.«Quel vertice fu decisivo per il nostro paese – scrive Sapelli – perché da allora nessuno osò più escluderci dalle riunioni delle potenze mondiali in cui si decideva l’avvenire del mondo». Da quella riunione «scaturirono degli obiettivi profondamente diversi da quelli di oggi», cioè obiettivi «fondati su un impegno di cooperazione, tutti incentrati sull’economia reale: investimenti per ridurre la disoccupazione, controllo delle quantità monetarie eccedenti i target concordemente fissati dalle banche centrali per contenere l’inflazione, controllo, eliminazione e determinazione dei livelli di consumo energetico per far fronte all’aumento dei prezzi». Oggi, tutto è cambiato. Innanzitutto, come si è visto nel G7 svoltosi in Giappone, «il problema non è più l’inflazione, ma la deflazione che produce una stagnazione che può essere secolare». Ecco perché il pemier Shinzo Abe propone una politica di “deficit spending”, «rifiutando di aumentare le tasse nel suo paese», per contrastare non l’inflazione ma la terribile deflazione che condanna il Sol Levante, da un trentennio, alla non-crescita.E poi, continua Sapelli, è cambiato anche il contesto europeo: «L’equilibrio di potenza nel Vecchio Continente è stato completamente rovesciato a favore della Germania riunificata, che cresce grazie al surplus commerciale immenso che essa realizza imponendo a tutte le altre nazioni, attraverso le regole dei trattati europei, un regime di bassi salari e quindi di bassi costi dei beni intermedi che importa, così da realizzare i magnifici surplus di esportazione». Quarantotto anni dopo Rambouillet, osserva Sapelli, gli Usa sono ora in ritirata dall’Europa. «Ma hanno tuttavia ancora un disegno imperiale mondiale, anche se le divisioni profonde nel gruppo di comando delle disgregate élite nordamericane non lo rendono visibile come si dovrebbe, come tutto il mondo meriterebbe». Sapelli si attende dagli Stati Uniti «ciò che gli Usa ci diedero quarant’anni or sono, ossia la non esclusione dall’equilibrio di potenza mondiale fondato sull’alleanza transatlantica e quindi dai flussi del commercio mondiale». Ed è proprio questa perseveranza transatlantica, secondo Sapelli, la migliore risposta all’avvento della Brexit. «Di questo sono pochissimi in Italia ad avere contezza, a cominciare dagli imprenditori». Eppure, «comprendere tutto ciò è decisivo, perché solo il legame con gli Usa ci può salvare dal prossimo tsunami mondiale».Secondo l’economista, si addensano infatti le nubi e si alzano le maree di uno tsunami «molto più grande di quello del 2008». La causa? Sta «nella tendenza alla deflazione europea, che minaccia tutta l’economia mondiale e segnala la potenza distruttiva del nazionalismo economico tedesco». Ed evidenzia «l’utopia, altrettanto distruttiva, delle cure monetarie alla crisi». L’eccesso di finanza “perversa” (derivati, collateralizzazione del debito), non si sconfigge «con l’eccesso di emissione di moneta, come fa la Bce». Mario Draghi? «E’ prigioniero della sua formazione neoclassica». La moneta, a suo parere, può curare i mali della recessione imminente. È pur vero che sollecita le “riforme strutturali” dei governi, ma – per Sapelli – qui sta l’inganno: «Le riforme che sollecita favoriscono la crisi». In cosa consistono? «Alte tasse, riduzione dei debiti tout court, senza distinguere tra il debito che fa bene (investimenti pubblici per creare lavoro e quindi domanda interna), pervicace negazione di ogni intervento pubblico nell’economia, laddove non è sperpero parassitario, ma creazione di sana occupazione». In compenso, la Bce – che non muove un dito per gli Stati – annuncia di voler salvare grandi imprese, nei guai a causa delle loro spericolate speculazioni finanziarie.Se queste politiche verranno ancora una volta attuate, conclude Sapelli, non faranno altro che «aumentare l’enorme bolla di liquidità che gonfia le nuvole della tempesta». Sarebbe bello, dice, poter tornare a Rambouillet, «gettandosi alle spalle i tempi della finanza “evoluta” perché speculativa e devastante, e dell’Europa fondata sulla deflazione che non condivide sovranità ma la sottrae, in una guerra infinita tra le potenze continentali». È ora di tornare all’età della ragione, scandisce Sapelli: sarebbe la miglior risposta alla Brexit. A farci paura, aggiunge, dev’essere «la non consapevolezza della tragedia imminente», e non invece «il ritorno della storia al suo posto», ossia la fuoriuscita del Regno Unito «da un’Europa a cui quell’impero non ha mai guardato se non con preoccupazione per le potenze via via dominanti che potevano nei secoli minacciare il suo potere mondiale: la Spagna, la Francia e infine, ieri come oggi, la Germania». Aggiunge Sapelli: «Solo la pressione Usa protesa alla sconfitta dell’Urss costrinse il Regno Unito ad abbandonare l’Efta nel 1976 e a entrare con una clausola opzionale fondata sulla non adozione dell’euro all’Europa Unita. Ora l’Urss è crollata e la bomba atomica inglese non serve più in funzione antisovietica». La storia riprende il suo corso, «nonostante la gabbia artificiale e drammaticamente catastrofica della politica istituzionale e della politica economica europea».Si avvicina una recessione di lungo periodo. Viene da lontano, certamente: in primis dalla Cina, che rimane solo una bomba demografica anziché produttiva. Ma viene anche da vicino: dall’Europa, che si sta dilacerando politicamente in una disgregazione sociale inedita per via della deflazione secolare che la mancanza di investimenti ha prodotto proprio a partire dalla Germania e dalle nazioni del Nord, dalla Lega Anseatica e dalla marca svedese, con i venti freddi di una gelata che sembra non aprirsi mai alla primavera. Lo scrive, sul “Sussidiario”, lo storico dell’economia Giulio Sapelli, attento osservatore dell’attualità. «Occorre alzare le dighe degli investimenti produttivi con l’azione delle imprese pubbliche e private», sostiene. «Occorre cambiare profondamente la politica economica europea». Bruxelles invece – impegnata nello scontro con Londra dopo la Brexit – non coglie l’urgenza di questo cambiamento di rotta. «Per comprendere la gravità di questa regressione culturale dobbiamo ritornare con la mente a un contesto non solo economico ma anche internazionale che un tempo era profondamente diverso da quello odierno, perché non aveva irrigidito i sistemi di cambio tra le monete e le regole commerciali e del debito pubblico, in quella gabbia d’acciaio che è oggi l’Eurozona».
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Schiaffo di Trump: declassa l’Ue, da Stato a ‘organizzazione’
Martedì 8 gennaio 2019, secondo fonti ufficiali, l’amministrazione Trump ha declassato lo status diplomatico della missione Ue a Washington, senza informarne Bruxelles né la missione stessa. Il declassamento da Stato nazionale a organizzazione internazionale rovescia una decisione presa nel 2016 dall’amministrazione Obama, che conferiva all’Ue un ruolo diplomatico più forte a Washington, e viene visto a Bruxelles come un affronto che riflette l’antipatia generale dell’amministrazione Trump verso l’Ue. Il presidente si è schierato a favore della Brexit e ha definito l’Ue «un nemico». Il cambiamento, che è stato segnalato per prima dall’emittente tedesca “Deutsche Welle”, significa potenzialmente che la missione dell’Ue avrebbe meno potere e accesso limitato all’amministrazione statunitense. «Ci risulta che ci sia stato un recente cambiamento nel modo in cui la lista delle priorità diplomatiche è implementata dal protocollo degli Stati Uniti», ha detto Maja Kocijančič, portavoce per gli affari esteri e la politica di sicurezza dell’Ue, che ha poi aggiunto: «Non abbiamo ricevuto alcuna comunicazione dell’avvenuto cambiamento».«Stiamo discutendo assieme ai dipartimenti competenti nell’amministrazione le possibili implicazioni per la delegazione dell’Ue a Washington», ha affermato Kocijančič. «Ci aspettiamo che la prassi diplomatica stabilita negli ultimi anni venga rispettata». Alla richiesta di un commento, il Dipartimento di Stato ha inviato un messaggio automatico dicendo che, a causa dello “shutdown” governativo, «le comunicazioni con i media saranno limitate a eventi e questioni che riguardano la sicurezza di vite umane o la protezione di beni, o ritenute essenziali per la sicurezza nazionale». «Questo è un colpo basso all’Unione Europea del tutto irragionevole da parte dell’amministrazione Trump», ha detto Nicholas Burns, già sottosegretario di Stato per gli affari politici durante l’amministrazione di George W. Bush. «Tutto ciò in concomitanza con la campagna di Trump volta a raffigurare l’Ue come un concorrente, e non un partner, degli Stati Uniti. Continua, da parte dell’amministrazione Trump, la delegittimazione delle organizzazioni internazionali e dell’organizzazione sovranazionale che è l’Ue. Gli americani dovrebbero ricordare che l’Ue è il nostro più grande partner commerciale e il più grande investitore nella nostra economia», ha aggiunto Burns, secondo il quale «l’intera politica di Trump nei confronti dell’Ue continua a essere fuorviante e inefficace».(Julian Borger, “L’amministrazione Trump declassa lo status dell’Ue negli Stati Uniti, senza informare Bruxelles”, dal “Guardian” dell’8 gennaio 2019, articolo ripreso da Margherita Russo su “Voci dall’Estero”. Nel silenzio generale dei principali media italiani – scrive il newsmagazine – è passata la notizia secondo la quale il presidente Trump ha declassato l’Unione Europea allo status di semplice organizzazione internazionale. Il “downgrade” dello status diplomatico «non dovrebbe suscitare alcuna sorpresa, essendo soltanto la correzione della decisione alquanto azzardata di Obama di considerare l’Ue allo stesso rango di uno Stato sovrano». Eppure, sottolinea “Voci dall’Estero”, viene considerato – sia a Bruxelles che nei circoli di potere vicini alle amministrazioni precedenti a Trump – come un affronto, che rifletterebbe l’antipatia dell’attuale amministrazione americana verso l’Ue. «Un ulteriore colpo alla già traballante costruzione europea, in vista del sempre più probabile stravolgimento che si prospetta per le prossime elezioni del Parlamento Europeo»).Martedì 8 gennaio 2019, secondo fonti ufficiali, l’amministrazione Trump ha declassato lo status diplomatico della missione Ue a Washington, senza informarne Bruxelles né la missione stessa. Il declassamento da Stato nazionale a organizzazione internazionale rovescia una decisione presa nel 2016 dall’amministrazione Obama, che conferiva all’Ue un ruolo diplomatico più forte a Washington, e viene visto a Bruxelles come un affronto che riflette l’antipatia generale dell’amministrazione Trump verso l’Ue. Il presidente si è schierato a favore della Brexit e ha definito l’Ue «un nemico». Il cambiamento, che è stato segnalato per prima dall’emittente tedesca “Deutsche Welle”, significa potenzialmente che la missione dell’Ue avrebbe meno potere e accesso limitato all’amministrazione statunitense. «Ci risulta che ci sia stato un recente cambiamento nel modo in cui la lista delle priorità diplomatiche è implementata dal protocollo degli Stati Uniti», ha detto Maja Kocijančič, portavoce per gli affari esteri e la politica di sicurezza dell’Ue, che ha poi aggiunto: «Non abbiamo ricevuto alcuna comunicazione dell’avvenuto cambiamento».
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Italia assediata, Francia e Germania ci imporranno Draghi
Se il governo Conte crolla di colpo, c’è già pronto Cottarelli. Ma il vero pericolo si chiama Mario Draghi: il presidente uscente della Bce potrebbe ripiegare su Palazzo Chigi, se non andasse in porto il piano principale che lo riguarda, cioè arrivare alla presidenza del Fmi e sottrarre il Fondo Monetario all’egemonia Usa, per metterlo al guinzaglio di Berlino e Parigi. Secondo l’analisi di Gianfranco Carpeoro, per l’Italia si è acceso l’allarme rosso: l’incredibile Trattato di Aquisgrana, che demolisce qualsiasi prospettiva comunitaria proiettando anche ufficialmente Germania e Francia nel ruolo di “padrone” neo-coloniali dell’Ue, ha come vittima principale proprio il Belpaese. A Roma non si perdona l’insubordinazione del governo gialloverde, l’unico esecutivo teoricamente all’opposizione di Bruxelles. Lo dimostra la “macchina del fango” scatenatasi contro Lega e 5 Stelle, per indebolirne la leadership. Il polverone sul padre di Di Maio (lavoro nero) e su quello di Di Battista (debiti), unitamente alla mazzata giudiziaria sui leghisti (maxi-risarcimento da 49 milioni di euro) a questo servono: a impedire che l’elettorato italiano si sollevi, nel caso in cui una crisi pilotata – banche, spread – precipitasse il paese nella bufera, replicando le condizioni del “golpe bianco” che nel 2011 consentì alla “sovragestione” europea di costringere alla resa Berlusconi e imporre il commissariamento dell’Italia, tramite Monti.Autore del saggio “Dalla massoneria al terrorismo”, che svela i retroscena supermassonici di area Nato dietro ai recenti attentati affidati in Europa alla manovalanza dell’Isis, Carpeoro individua la Loggia P1 (mai riconosciuta, ufficialmente) come la vera “quinta colonna” del peggior potere internazionale, utilizzata per manipolare e indebolire la politica italiana, grazie al prezioso contributo di un establishment “collaborazionista”, reclutato da poteri stranieri per dominare il nostro paese. L’oligarchia Ue è in fibrillazione, in vista delle europee, dal momento in cui Lega e 5 Stelle – con tutti i loro limiti – hanno inserito l’Italia in una traiettoria di collisione con Bruxelles. Da qui le pressioni della Bce e della Banca d’Italia, le impennate dello spread e il “niet” di Mattarella per impedire a Paolo Savona l’accesso al ministero dell’economia. Infine, il lungo braccio di ferro sul deficit 2019 – non ancora concluso – con il governo italiano sottoposto alla minaccia della procedura d’infrazione. Obiettivo dei “sovragestori”: spuntare le armi dei gialloverdi e costringerli a rimediare una figuraccia davanti ai loro elettori, non consentendo loro di mantenere nessuna delle promesse elettorali. Guai se il “virus” della ribellione italiana – aumentare il deficit, violando il rigore di Maastricht – dovesse propagarsi in altri paesi, incoraggiando analoghe svolte politiche. Ad aumentare la tensione ha contribuito certamente anche la rivolta francese dei Gilet Gialli, capaci di spaventare seriamente i poteri che hanno insediato Macron all’Eliseo.Ora, su questo scenario già instabile piomba come un macigno l’inaudito accordo siglato da Francia e Germania, che toglie qualsiasi residua credibilità alla dimensione comunitaria dell’Ue: i due paesi si impegnano a coordinare le loro politiche economiche, fino al punto di istituire formalmente un “Consiglio dei ministri franco-tedesco”. «Si tratta di un atto gravissimo e senza precedenti», dichiara Carpeoro, in web-streaming su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights”. Un accordo apertamente ostile agli altri partner europei, «al quale si uniranno sicuramente anche quei lestofanti degli olandesi, che hanno già contribuito a impoverire l’Italia introducendo una normativa fiscale sleale, che ha sottratto al nostro paese ingenti risorse, attraverso il trasferimento in Olanda della domiciliazione fiscale di grandi aziende italiane». Con il nuovo trattato, dice Carpeoro, l’asse franco-tedesco getta la maschera e si prepara a colpire l’Italia in modo frontale, contando anche sull’immancabile collaborazione delle “quinte colonne” interne, «sempre pronte, come già nel Rinascimento, ad allearsi con lo straniero pur di far cadere il governo in carica».Ora il cerchio si stringe, par di capire: il Trattato di Aquisgrana – con l’Italia esclusa dall’Europa che conta – piomba come un fulmine su una situazione già molto allarmante, con la spada di Damocle della procedura d’infrazione (sempre presente) e la lettera della Bce che chiede alle banche italiane di liberarsi dei crediti inesigibili, dopo che il governo ha appena compiuto il salvataggio della genovese Carige. All’affronto franco-tedesco, dice Carperoro, l’Italia dovrebbe rispondere in modo simmetrico: cercando di siglare analoghi trattati – altrettanto ostili – con paesi mediterranei, come la Spagna e la stessa Grecia. Lo farà? Difficile dirlo: bombardato dai grandi media, tutti allineati al potere Ue, il governo Conte potrebbe cedere. Di Maio è stato bersagliato da un killeraggio inaudito, e presto potrebbe venire il turno di Salvini. L’unico vero alleato dell’Italia, cioè Donald Trump, appare isolato. Starebbe sostanzialmente evaporando una certa “sovragestione” americana esercitata fin dall’inizio sui 5 Stelle, quand’era il neocon Michael Ledeen, esponente del Jewish Institute, ad accompagnare Di Maio nei santuari del potere finanziario supermassonico. Ora si punta a indebolire e “sovragestire” l’imprudente Salvini, sommerso dalle polemiche (giustificate) per aver partecipato alla cena romana con l’entourage Pd di Maria Elena Boschi, che sulle banche interveniva per motivi di famiglia.Tutto questo, sintetizza Carpeoro, non fa che indebolire l’Italia: se il governo Conte dovesse cadere all’improvviso, sarebbe spianata la strada per il solito – orrendo – governo “tecnico”, i realtà pilotato dalla consueta élite supermassonica e, nel caso, affidato al neoliberista Carlo Cottarelli, già dirigente del Fmi, tra i massimi responsabili della catastrofe che ha messo in ginocchio la Grecia sotto i colpi dell’austerity. In prospettiva, comunque, secondo Carpeoro la minaccia maggiore viene da Draghi: proprio sul presidente della Bce, ormai in scadenza, punterebbero le oligarchie reazionarie europee per commissariare l’Italia in modo devastante, se a Draghi non riuscirà di conquistare la guida del Fondo Monetario Internazionale con l’obiettivo di sottrarlo all’influenza statunitense. Il piano: mettere il Fmi a completo servizio dell’ordoliberismo europeo: quello che oggi utilizza Francia e Germania come potenze neo-coloniali, come già alla vigilia della Prima Guerra Mondiale, per spegnere sul nascere qualsiasi tentazione di riforma dell’Ue in senso democratico. Uno scenario che i “sovragestori” temono possa rafforzarsi se alle prossime europee dovesse imporsi l’onda “populista” in diversi paesi, grazie anche al “cattivo esempio” dell’odiata Italia gialloverde, cioè il paese a cui il Trattato di Aquisgrana punta a “spezzare le reni”.Se il governo Conte crolla di colpo, c’è già pronto Cottarelli. Ma il vero pericolo si chiama Mario Draghi: il presidente uscente della Bce potrebbe ripiegare su Palazzo Chigi, se non andasse in porto il piano principale che lo riguarda, cioè arrivare alla presidenza del Fmi e sottrarre il Fondo Monetario all’egemonia Usa, per metterlo al guinzaglio di Berlino e Parigi. Secondo l’analisi di Gianfranco Carpeoro, per l’Italia si è acceso l’allarme rosso: l’incredibile Trattato di Aquisgrana, che demolisce qualsiasi prospettiva comunitaria proiettando anche ufficialmente Germania e Francia nel ruolo di “padrone” neo-coloniali dell’Ue, ha come vittima principale proprio il Belpaese. A Roma non si perdona l’insubordinazione del governo gialloverde, l’unico esecutivo teoricamente all’opposizione di Bruxelles. Lo dimostra la “macchina del fango” scatenatasi contro Lega e 5 Stelle, per indebolirne la leadership. Il polverone sul padre di Di Maio (lavoro nero) e su quello di Di Battista (debiti), unitamente alla mazzata giudiziaria sui leghisti (maxi-risarcimento da 49 milioni di euro) a questo servono: a impedire che l’elettorato italiano si sollevi, nel caso in cui una crisi pilotata – banche, spread – precipitasse il paese nella bufera, replicando le condizioni del “golpe bianco” che nel 2011 consentì alla “sovragestione” europea di costringere alla resa Berlusconi e imporre il commissariamento dell’Italia, tramite Monti.