Archivio del Tag ‘Bruxelles’
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Salvini santifica la Thatcher, cioè la nonna dell’Ue-horror
Due icone contrapposte e inconciliabili, Margaret Thatcher ed Enrico Berlinguer, si affacciano sul pratone leghista di Pontida. Le ha evocate Matteo Salvini, nel rituale bagno di folla in cui – edizione 2019, post-Papeete – ha cercato di farsi “perdonare” per la perdita del governo, che gli è stato sfilato di mano dagli stessi poteri che gli avevano impedito di ampliare il deficit, abbattere la tassazione, dare il via libera all’autonomia regionale del Nord-Est. Sacro e profano: è ancora una volta “Maria” a introdurre l’orazione civile del Capitano crociato, che prova a scommettere sulle imminenti regionali – Umbria ed Emilia – lanciando anche la minaccia dei referendum (in primis, legge elettorale maggioritaria) come strumento di una riscossa che evidentemente non vede alle porte. La paura è indovinabile: restare all’angolo, scaricato infine dal “popolo” leghista. Scontato l’esilio mediatico, dopo tanta sovraesposizione. Scontata anche la rabbia dei militanti verso il mainstream giornalistico e disinformatore, braccio armato dello “Stato parallelo” che governa l’Italia per conto di Bruxelles, grazie al Pd e ora anche ai grillini, caricati a forza da Grillo sul carrozzone franco-tedesco di Ursula von der Leyen.Anche se non lo sanno, i leghisti di Pontida si comportano come i NoTav degli esordi, diffidenti verso la stampa, ostili alle istituzioni centrali come qualsiasi gruppetto di antagonisti: invitano Mattarella ad “andare a quel paese”, coprono di insulti Gad Lerner, rifilano un pugno a una telecamera di “Repubblica”. A eccedere in animosità non sono i giovinastri dei centri sociali demonizzati da Salvini, ma pensionati e casalinghe (come tanti NoTav, appunto), tutti esasperati dallo sconcio in mondovisione del ripugnante Conte-bis rifilato come punizione biblica alla larghissima maggioranza degli italiani. Di Salvini alla fine i leghisti approvano tutto: l’esibizione dei bambini “strappati” (da proteggere dagli abusi del sistema-Bibbiano), l’esposizione delle donne candidate alle regionali a Perugia e Bologna, i neo-leghisti sardi e campani. Virulento l’attacco sul fisco, da campagna elettorale permanente: Flat Tax secca, aliquota unica al 15%. Toni lontanissimi dalla prudenza governativa del Salvini ministro, irridente verso le “letterine” di Juncker ma poi anche troppo silenzioso di fronte all’umiliazione rimediata di fronte alla richiesta di espansione del deficit.«Mai con la sinistra», tuona Salvini, come se ancora esistesse una sinistra italiana, schierata coi lavoratori: una bandiera comoda da sventolare, in un senso o nell’altro, solo per fare cassa. Specie se si distingue tra l’attuale Pd e “i comunisti di una volta, persone serie”, a partire dal Berlinguer santificato a Pontida (emblema di abnegazione trasparente alla causa degli ultimi, salvo poi convincere gli operai ad accettare l’austerità come destino, la piena sottomissione sociale). Suscita inquietudine il richiamo a Oriana Fallaci, eletta come maestra di pensiero “da studiare nelle scuole”, come se la grande giornalista – evocando lo “scontro di civiltà” con l’Islam – non avesse preso una madornale cantonata, non vedendo cosa c’era davvero (e chi c’era, dalle parti della Casa Bianca) dietro la strage mostruosa dell’11 Settembre. Il Salvini di Pontida prende lucciole per lanterne anche su un altro cavallo di battaglia della propaganda più stantia del tradizionalismo provinciale italiano – la droga – senza distinguere tra narcotraffico, mafia e cannabis terapeutica.Il colmo, il Salvini post-ministeriale lo raggiunge elevando la peggior governante europea del dopoguerra, Margaret Thatcher, al rango di regina della politica: il faro del sovranista Salvini è dunque la madrina del cancro neoliberista che ha sventrato le nazioni europee, demolendo dalle fondamenta la legittimità democratica e la missione civile dello Stato sociale? Frastornati dal cocente tradimento subito a Roma, i leghisti si stringono comprensibilmente attorno al loro leader: capiscono che non aveva alternative, non poteva far altro che “staccare la spina” e tornare in campo dall’esterno, come outsider, ma con alle spalle una vastissima quota di elettorato. Di fronte ai leghisti di Pontida, Salvini potrà anche magnificare la Thatcher (detestata dagli inglesi, che hanno impiegato decenni a dimenticarla). Agli altri italiani, non leghisti ma delusi dai 5 Stelle e stomacati dal Pd, Salvini farà bene a spiegare perché allora ce l’ha tanto con i Thatcher italiani, come Monti e Fornero, che si sono limitati ad applicare alla lettera le feroci ricette della Strega del Nord, la loro grande maestra. E’ sicuro, Salvini, di sapere davvero cosa vuol fare da grande?(Giorgio Cattaneo, “Salvini santifica la Thatcher, cioè il neoliberismo dell’Europa-horror”, dal blog del Movimento Roosevelt del 16 settembre 2019).Due icone contrapposte e inconciliabili, Margaret Thatcher ed Enrico Berlinguer, si affacciano sul pratone leghista di Pontida. Le ha evocate Matteo Salvini, nel rituale bagno di folla in cui – edizione 2019, post-Papeete – ha cercato di farsi “perdonare” per la perdita del governo, che gli è stato sfilato di mano dagli stessi poteri che gli avevano impedito di ampliare il deficit, abbattere la tassazione, dare il via libera all’autonomia regionale del Nord-Est. Sacro e profano: è ancora una volta “Maria” a introdurre l’orazione civile del Capitano crociato, che prova a scommettere sulle imminenti regionali – Umbria ed Emilia – lanciando anche la minaccia dei referendum (in primis, legge elettorale maggioritaria) come strumento di una riscossa che evidentemente non vede alle porte. La paura è indovinabile: restare all’angolo, scaricato infine dal “popolo” leghista. Scontato l’esilio mediatico, dopo tanta sovraesposizione. Scontata anche la rabbia dei militanti verso il mainstream giornalistico e disinformatore, braccio armato dello “Stato parallelo” che governa l’Italia per conto di Bruxelles, grazie al Pd e ora anche ai grillini, caricati a forza da Grillo sul carrozzone franco-tedesco di Ursula von der Leyen.
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Grillo decisivo: dalla “rivoluzione” alla palude giallorossa
Vuoi vedere che c’è un nesso tra il voltafaccia di Grillo, improvvisamente innamoratosi del “partito di Bibbiano e della Boschi”, e le indagini su suo figlio Ciro, indiziato per stupro, emerse solo dopo l’accordo per il Conte-bis anche se i fatti risalirebbero a luglio? L’ipotesi è maliziosamente ventilata su “Micidial” da Massimo Bordin, vicino all’elettorato dei 5 Stelle: chi votò Di Maio nel 2018 lo fece «perché contrario alla politica del governo precedente, guidato da un partito – il Pd – a torto o a ragione considerato la quintessenza del “sistema”». Come accettare che ora il M5S vada a braccetto con Renzi? Voltagabbana, d’accordo: ma non è che li hanno minacciati? Suona perlomeno sospetto, sostiene Bordin, il perfetto sicronismo tra le rotture simmetriche di Salvini e Grillo per staccare la spina al governo gialloverde. Alla richiesta di Salvini (elezioni anticipate), Grillo ha risposto a stretto giro di posta, sdoganando improvvisamente il Pd. Ma a parte le dietrologie di Bordin, dichiaratamente sopra le righe («questo pezzo è ironico e vietato ai cretini: dunque non leggetelo, se non avete senso dell’umorismo») c’è chi pensa che il M5S non sia mai stato altro, fin dall’inizio, che un semplice contenitore di dissenso, per dirottare la rabbia popolare verso esiti innocui. Solo gatekeeping per elettori ingenui? Non la pensa così Gioele Magaldi: senza i 5 Stelle, dice, la politica italiana sarebbe ancora congelata nel vecchio freezer.Eminente dietrologo, autore del saggio “Massoni” in cui smaschera i maggiori protagonisti della politica italiana rivelandone l’identità supermassonica (l’affiliazione alle superlogge internazionali), Magaldi inforca gli occhiali della politologia per rivendicare giustizia per i 5 Stelle: solo la “discesa in campo” di Grillo – sostiene, in video-chat su YouTube – ha reso fluido il panorama politico italiano, prima ingessato nel finto scontro tra centrodestra e centrosinistra. Due forze che hanno paralizzato per decenni qualsiasi riforma progressista, sottoponendo entrambe il paese alla ricetta imposta dal neoliberismo imperante, somministrato agli europei (sotto forma di austerity) attraverso la tecnocrazia di Bruxelles. Taglio dei deficit, aumento delle tasse, privatizzazioni e precarizzazione del lavoro. Vero obiettivo, fissato dall’élite neo-oligarchica della massoneria reazionaria: impedire allo Stato di continuare a produrre benessere diffuso. Il sociologo Luciano Gallino la chiamò “lotta di classe alla rovescia”, sintetizzando: è stata un’operazione storica, che ha drenato risorse dal basso verso l’alto, grazie alla finanziarizzazione globalizzata dell’economia che ha impoverito la classe media, erodendo i risparmi e costringendo i giovani alla disoccupazione o alla precarietà di lavoretti iper-flessibili e sottopagati. Risultato automatico: il boom dei grillini e ora della Lega.E’ stato proprio Grillo, ricorda Magaldi, a terremotare la palude italiana: senza di lui, staremmo ancora a parlare (in modo sempre più surreale) di destra e sinistra. Terminologie sepolte dalla storia e dall’attualità, oggi tornate in voga in modo abusivo: il nuovo ministro dell’economia Roberto Gualtieri, in quota alla componente teoricamente “di sinistra” del governo “giallorosso”, in realtà «viene dai bassi ranghi della cucina neoliberista e neoaristocratica europea», vale a dire «la destra economica più reazionaria». Non a caso, Gualtieri fu addirittura «applaudito da Christine Lagarde», la lady di ferro del Fmi che mise in ginocchio il popolo greco, costringenolo alla fame. Per contro, tra le fila della Lega spiccano gli unici economisti virtualmente “di sinistra” sulla scena politica, come i keynesiani Alberto Bagnai (Senato) e Antonio Maria Rinaldi (Parlamento Europeo). Meglio rottamarla, la dicotomia destra-sinistra, se serve solo a imbrogliare le carte. E il primo a farlo – ricorda sempre Magaldi – fu proprio Beppe Grillo, dieci anni fa, con il movimento creato insieme a Gianroberto Casaleggio. Lo stesso Magaldi, peraltro, non ha mai fatto sconti ai grillini, colpevoli di troppe confusionarie incongruenze e qualche imperdonabile ipocrisia. Per esempio, quella sulla massoneria: demonizzata in pubblico ma frequentata sottobanco.«Era massone, Gianroberto Casaleggio», dice Magaldi: «E fu lui stesso a dirmi che non intendeva rivelarlo». Il figlio, Davide, lo ha smentito a mezzo stampa: «Mio padre non è mai stato massone». Casaleggio junior, però, si è sottratto all’invito di Magaldi: «Partecipi con me a un incontro pubblico: gli spiegherò quando e come suo padre fu iniziato massone, e perché non voleva che si sapesse». Da Casaleggio a Di Maio, il passo è breve: «In modo ipocrita e anche incostituzionale, i 5 Stelle hanno vietato ufficialmente ai massoni l’accesso al Movimento e all’area gialloverde, pur sapendo che il primo governo Conte era imbottito di massoni, da Tria a Moavero, per non parlare dei sottosegretari». Primo: discriminare qualcuno per la sua appartenenza è contrario alla Costituzione. Secondo: era massone Meuccio Ruini, coordinatore della Costituente. «Niente di strano: se l’Italia fosse meno ipocrita, ammetterebbe che la stessa democrazia – libertà, diritti, suffragio universale – è una conquista storica della massoneria». Ma a parte i grembiulini, a sconcertare è stato il vuoto politico dei 5 Stelle. Ai tanti proclami non è mai seguito quasi nulla. In un solo anno, i grillini al governo hanno disatteso tutte le loro promesse: elettori traditi sull’obbligo vaccinale, sul Muos e gli F-35, sulle trivelle in Adriatico, sull’Ilva di Taranto, sul gasdotto Tap, e infine anche sul Tav Torino-Lione. Politica alternativa? Non pervenuta. Mai una parola chiara sul paradigma economico da adottare. Un caso?A proposito di gatekeeping: già nel 2016, Grillo tentò in modo tragicomico di traslocare il gruppo europarlamentare, lasciando l’Ukip populista di Farage per gli ultra-euristi dell’Alde. E questo, dopo aver agitato lo spettro di un referendum sull’euro. Almeno a parole, la Lega lo ha affrontato davvero, il problema-Bruxelles (i grillini, mai). Era stato Salvini, infatti, a candidare all’economia Paolo Savona: già ministro con Ciampi – e non a caso temuto da Draghi e Juncker – Savona avrebbe avuto l’autorevolezza necessaria a rinegoziare condizioni favorevoli all’Italia. Azzoppato sul nascere, il governo gialloverde si è ridotto alla misera elemosina del “reddito di cittadinanza” trasformato in un’amara beffa, mentre solo la Lega (con le pensioni facilitate da Quota 100) ha messo mano, davvero, all’economia delle famiglie. La Flat Tax? Sabotata con le dimissioni forzate del suo ideatore, Armando Siri, e poi insabbiata da Tria e da Conte insieme all’altro escamotage leghista per aggirare l’euro-rigore, cioè l’introduzione di moneta parallela (“minibiot”, crediti fiscali scambiabili). Dai grillini, nessuna vera battaglia. Ma peggio: i 5 Stelle hanno gatto harariki facendo eleggere la tedesca Ursula von der Leyen, candidata della Merkel, alla Commissione Europea: un ceffone plateale, rifilato a Salvini (e agli italiani).Checché ne pensi Bordin, che evoca il possibile giallo politico sul figlio di Grillo, non stupisce più di tanto il voltafaccia del Beppe nazionale, che ora ha costretto Di Maio a ingoiare Renzi e accettare Conte come nuovo “leader di fatto”, perfetto supplente per la smarrita scolaresca grillina, terrorizzata all’idea di perdere la poltrona in caso di elezioni anticipate. Nemmeno Salvini, peraltro, sarebbe sufficiente a cambiare le regole del gioco. A differenza della maggioranza degli osservatori, Magaldi sostiene comunque che il leader della Lega abbia scelto accuratamente di rompere, consapevole del fatto che, viceversa, sarebbe finito in trappola: la nuova finanziaria lo avrebbe costretto a deludere gli elettori, grazie all’azione frenante esercitata da Conte su ordine dei poteri eurocratici anche attraverso i consueti terminali italiani, dal Quirinale a Bankitalia. Ci si sono messi anche i giornali, che hanno gonfiato la barzelletta del Russiagate, polpetta avvelenata cucinata da servizi segreti (di quelli italiani la delega è rimasta a Conte, non al ministro dell’interno). Ma neppure i magistrati hanno scherzato: quelli siciliani hanno accusato Salvini di “sequestro di persona” per aver impedito lo sbarco di migranti (che in realtà erano liberi di andarsene altrove). E quelli di Genova hanno condannato la Lega a versare 49 milioni di euro allo Stato: il conto esorbitante di un ammanco presunto, solo teorico, calcolato in base ai rimborsi elettorali pluriennali, e non legato alla cifra contestata a Bossi (inferiore al milione di euro) quando Salvini era solo consigliere comunale a Milano. Messaggio chiarissimo: tagliare i fondi a un partito, impedendogli materialmente di fare politica, significa privare gli elettori di precisi diritti democratici. Evidente il fine: sbarazzarsi di Salvini, con ogni mezzo. Magari il più classico: la congiura di palazzo all’italiana, attingendo all’endemico trasformismo parlamentare, alla faccia degli elettori.Attenzione: Salvini non ha subito gli eventi. Secondo Magaldi, al contario, li ha calcolati con precisione e tempismo. Se ha tardato tanto a staccare la spina (Giorgetti premeva per la rottura già alle europee) è stato per lasciare pochissimo tempo all’inciucio, di fronte allo spettro dell’aumento dell’Iva nel caso saltasse la finanziaria: se avessero voluto davvero evitare le elezioni, o almeno un super-rimpasto (cacciando Conte e Tria) i “traditori” avrebbero dovuto ribaltare la loro posizione dalla sera alla mattina, di fronte agli italiani – come infatti è avvenuto. Risultato: lo sconcio è visibile dalla Luna. E questo pone Salvini (non vittima, ma regista dell’operazione) in una posizione privilegiata: potrà demolire ogni giorno gli eroi del Conte-bis, preparandosi all’incasso. Non senza prima “aver studiato”, aggiunge Magaldi: Salvini sa benissimo che la sua Lega – già profondamente migliorata, rispetto al Carroccio nordista di Bossi – non è ancora adeguata alla guida del paese. Per molti aspetti è assai meglio della concorrenza, ma non basta: occorre crescere ancora in senso keynesiano, per sfidare la Disunione Europea – non con l’arma spuntata del sovranismo, opportunistico e miope, ma chiedendo a Bruxelles una Costituzione democratica capace di restituire vera sovranità ai cittadini europei.Senza riscrivere i trattati non si va da nessuna parte: il Conte di turno non potrà che replicare gli inchini di Letta, Renzi e Gentiloni, sperando solo nelle briciole (come quelle che ora probabilmente saranno elargite, assolutamente insufficienti a rilanciare l’economia italiana). Primo passo: chiedere di stralciare dal bilancio le misure salva-Italia. E cioè: taglio del cuneo fiscale per le aziende, abbattimento delle tasse per tutti, investimenti produttivi e rigenerazione delle infrastrutture strategiche. Temi su cui insiste il Movimento Roosevelt presieduto da Magaldi, tra i padri del cantiere politico del “Partito che serve all’Italia”. Obiettivo: rianimare la prospettiva progressista, resuscitando la democrazia sostanziale. «Non serve creare l’ennesimo partitino autoreferenziale», chiarisce Magaldi: occorre un partito di massa, capace di cavalcare «le praterie che si sono aperte». Alle europee un elettore su tre ha votato Lega, ma quasi metà degli aventi diritto ha disertato le urne: italiani nauseati dal Pd, delusi dai 5 Stelle, non convinti da Salvini. Magaldi appare fiducioso: presto o tardi, sembra dire, la verità risulterà evidente anche ai più sprovveduti. E chi ancora dorme sarà svegliato dalle “meraviglie” del Conte-bis, condannato in partenza a obbedire ai diktat di chi ha messo l’Italia nei guai. Con buona pace dei grillini, che hanno sconcertato il loro elettorato. Oggi risalirebbero nei sondaggi manistream? Strano: alle ultime regionali sono letteralmente scomparsi. E ora il voto in Umbria e in Emilia dirà cosa resta, davvero, del grande bluff pentastellato.08:37 11/09/2019Vuoi vedere che c’è un nesso tra il voltafaccia di Grillo, improvvisamente innamoratosi del “partito di Bibbiano e della Boschi”, e le indagini su suo figlio Ciro, indiziato per stupro, emerse solo dopo l’accordo per il Conte-bis anche se i fatti risalirebbero a luglio? L’ipotesi è maliziosamente ventilata su “Micidial” da Massimo Bordin, vicino all’elettorato dei 5 Stelle: chi votò Di Maio nel 2018 lo fece «perché contrario alla politica del governo precedente, guidato da un partito – il Pd – a torto o a ragione considerato la quintessenza del “sistema”». Come accettare che ora il M5S vada a braccetto con Renzi? Voltagabbana, d’accordo: ma non è che li hanno minacciati? Suona perlomeno sospetto, sostiene Bordin, il perfetto sicronismo tra le rotture simmetriche di Salvini e Grillo per staccare la spina al governo gialloverde. Alla richiesta di Salvini (elezioni anticipate), Grillo ha risposto a stretto giro di posta, sdoganando improvvisamente il Pd. Ma a parte le dietrologie di Bordin, dichiaratamente sopra le righe («questo pezzo è ironico e vietato ai cretini: dunque non leggetelo, se non avete senso dell’umorismo») c’è chi pensa che il M5S non sia mai stato altro, fin dall’inizio, che un semplice contenitore di dissenso, per dirottare la rabbia popolare verso esiti innocui. Solo gatekeeping per elettori ingenui? Non la pensa così Gioele Magaldi: senza i 5 Stelle, dice, la politica italiana sarebbe ancora congelata nel vecchio freezer.
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Sisci: prima la Brexit, il nostro futuro si deciderà a Londra
Il vero destino dell’Italia si deciderà a Londra, quando si capirà se funzionerà o meno la Hard Brexit di Boris Johnson, che intanto ha chiuso il Parlamento britannico per cinque settimane. Prima di allora, sostiene il sinologo Francesco Sisci, sarà arduo leggere il futuro politico italiano: Usa, Europa e Cina vogliono prima sapere come si metteranno le cose, tra il Regno Unito e Bruxelles. Finora, se si eccettuano le interferenze di Macron e le voci di un allentamento europeo dei vincoli di bilancio, l’impatto della politica estera sulla crisi italiana si è limitata al tweet di Donald Trump a sostegno di Giuseppe Conte, mentre Steve Bannon si è affrettato a dire che Trump non appoggerà mai il governo M5S-Pd. In realtà, sostiene Sisci, intervistato da Marco Tedesco sul “Sussidiario”, l’Italia è la variabile di una partita molto più grande, che riguarda i rapporti tra Stati Uniti ed Europa. E a decidere il risultato saranno le sorti della Brexit, dice Sisci, editorialista di “Asia Times”. Da qui dunque occorre partire. Il “no deal”, l’uscita della Gran Bretagna senza nessun accordo con l’Ue, «significa che la Hard Brexit può effettivamente essere il tentativo di una minoranza di imporre le proprie convinzioni alla maggioranza». Non a caso, è eplosa la protesta degli inglesi per la chiusura delle Camere.Comunque, spiega Sisci, alla Brexit si è arrivati per errore: David Cameron voleva solo rinegoziare, con Bruxelles, per trasformare il Regno Unito in un ponte europeo tra Usa e Cina. E come sappiamo, non ci è riuscito. La minaccia della Brexit, ricorda l’analista, è stata un’idea di Cameron per strappare più concessioni dall’Ue nel 2016. «Il piano di Cameron non era quello di uscire dall’Ue, ma di mostrare la consistenza, che si supponeva ingente ma non maggioritaria, dei pro-Brexit. Il referendum sarebbe fallito con un piccolo margine, e questo avrebbe dato a Cameron la possibilità di negoziare con Bruxelles da una posizione rafforzata». Un azzardo pericoloso, come si è visto. Ma perché rischiare? Qual era l’obiettivo? «Dietro c’era un altro piano, ammirevole per la sua ambizione e visione: trasformare la Gran Bretagna nel prossimo crocevia di scambi tra Stati Uniti, Ue e Cina. Per realizzarlo – spiega Sisci – Cameron aveva bisogno di ottenere più diritti speciali dall’Ue. Il Regno Unito avrebbe fatto da facilitatore su ogni lato del triangolo». Invece, il referendum del 23 giugno 2016 ha cambiato tutto.«Il piano è fallito miseramente, e non solo per il referendum. Un altro lato del triangolo è franato: i legami Usa-Cina stavano peggiorando. Nel 2016, l’America stava diventando molto nervosa con la Cina su questioni commerciali, ma anche strategiche e di diritti umani, e Donald Trump è arrivato al potere alla fine del 2016 giurando di rinegoziare il commercio con Pechino». Ma senza un risultato positivo sulla Brexit, riassume Tedesco sul “Sussidiario”, Londra non aveva più un ruolo speciale per discutere migliori accordi tra Cina, Ue e Stati Uniti. «L’ambizioso piano britannico aveva bisogno di rapporti scorrevoli su ogni lato dell’architettura di comunicazioni economico-commerciali tra Regno Unito, Ue, Stati Uniti e Cina», conferma Sisci. E quei rapporti «si erano ormai incrinati su più lati». Da quel momento in poi, continua l’analista, «la Gran Bretagna ha proseguito il suo progetto per uscire dall’Ue, ma senza un piano chiaro». E cioè: «Senza sapere molto bene cosa avrebbe ottenuto, lasciando l’Unione». Era tuttavia molto chiaro ciò che il Regno Unito, lasciando l’Ue, avrebbe perduto. E questo dilemma «ha provocato l’attuale, profonda spaccatura nella politica britannica».Molti parlamentari inglesi oggi «vorrebbero trovare un modo per uscire dal pasticcio, evitare la Brexit vera senza perdere troppo la faccia», aggiunge Sisci. «Johnson, evidentemente, lo percepisce e lo sa, e sente che l’unico modo per arrivare alla Brexit è aggirare il Parlamento». Ci riuscirà? «Non lo sappiamo. Ma questa decisione è un duro doppio colpo per l’architettura politica del Regno Unito e dell’Unione Europea». I due sistemi come accuseranno la botta? E cosa farà il resto del mondo? Finora è rimasto sconvolto davanti al duello commerciale tra Cina e Stati Uniti. In che modo il dramma britannico interferirà con esso? Alla luce di tiutto questo, continua Sisci, «si capisce bene perché gli Stati Uniti e l’Ue hanno visto con preoccupazione l’attuale crisi politica italiana, che stava conducendo il paese a caotiche elezioni anticipate: preferirebbero che l’Italia si stabilizzasse con una certa parvenza di governo, come lo è il nuovo governo di coalizione possibile tra M5S e Pd». Insomma, l’ultima cosa che gli Stati Uniti e l’Unione Europea volevano, mentre si trovavano di fronte al dramma britannico, era «impantanarsi in un incomprensibile complotto italiano con riverberi europei e globali», anche se Salvini rappresentava pur sempre, almeno virtualmente, una spina nel fianco del sistema di potere oligarchico che si ripara dietro l’Ue, imponendo il massimo rigore a paesi come l’Italia. E ora?«Sicuramente – ragiona Sisci – anche un euroscettico americano vede che la leadership franco-tedesca in Europa sarebbe rafforzata dall’uscita frenetica e indisciplinata della Gran Bretagna dall’Ue, e ciò rappresenterebbe un forte freno contro qualsiasi paese dell’Unione che aspettasse il momento giusto per lasciarla». In passato, gli Usa «sostenevano la Brexit per indebolire la Ue», e questo «è comprensibile», ma il caos britannico di questi giorni «nei fatti rafforza l’Unione», e ciò «pone gli Usa davanti a un bivio». Ovvero: «Se gli Stati Uniti guidassero una qualche forma di riconciliazione tra Regno Unito e Ue, Washington dimostrerebbe a Bruxelles che ancora una volta l’Unione Europea ha bisogno dell’America e che gli europei da soli non sanno badare a se stessi». Per Sisci, «potrebbe essere un’occasione d’oro per Trump di riscattare un importante punto d’appoggio politico in Europa». E se invece gli Stati Uniti sosterranno la Hard Brexit, che oggi forse è una posizione minoritaria nel Regno Unito? Una simile scelta «potrebbe minare ulteriormente il ruolo americano nel vecchio continente». E questo, avverte Sisci, «a sua volta potrebbe avere conseguenze enormi anche con la Cina, poiché Pechino potrebbe vedere una debolezza degli Stati Uniti in Europa e forse trarne vantaggio». Dopotutto, la “Belt and Road Initiative” termina in Europa.E in questo contesto terremotato, che potrebbe accrescere l’egemonia Usa sull’Europa, che fine farà l’Italia? «Con i suoi intrighi incomprensibili», il Belpaese «non deve rompere le scatole». E’ meglio che si rassegni a «fare la legge di bilancio». Poi «se ne riparla a fine anno o all’inizio del 2020, quando la questione Brexit si sarà chiarita». Il tweet di Trump come endorsement a Conte? «E’ chiaro che c’è un interesse americano e franco-tedesco a non avere i pasticci italiani fra i piedi», afferma Sisci, secondo cui non c’è un vero sostegno per Conte. Semmai c’è una debolezza di Salvini, «che non si è reso conto di come certe sue azioni e agende “sovraniste” andassero contro interessi molto generali, in Europa e oltre Atlantico». In questa fase, aggiunge l’analista, gli Stati Uniti e l’Ue vedono Pd e 5 Stelle come l’ultimo dei problemi: «In questo momento, il mondo non vuole dall’Italia controversie incomprensibili». Se però il Pd rappresenta il vecchio establishment europeista, anti-italiano e dunque “affidabile” per i dominatori di Bruxelles, la stampa internazionale appare molto confusa sui 5 Stelle: «È concorde solo nel vederne la debolezza intellettuale e progettuale». E comunque, attenzione: «Ricordiamoci che l’obiettivo era non avere elezioni e una crisi politica italiana in coincidenza con la Hard Brexit».Il vero destino dell’Italia si deciderà a Londra, quando si capirà se funzionerà o meno la Hard Brexit di Boris Johnson, che intanto ha chiuso il Parlamento britannico per cinque settimane. Prima di allora, sostiene il sinologo Francesco Sisci, sarà arduo leggere il futuro politico italiano: Usa, Europa e Cina vogliono prima sapere come si metteranno le cose, tra il Regno Unito e Bruxelles. Finora, se si eccettuano le interferenze di Macron e le voci di un allentamento europeo dei vincoli di bilancio, l’impatto della politica estera sulla crisi italiana si è limitata al tweet di Donald Trump a sostegno di Giuseppe Conte, mentre Steve Bannon si è affrettato a dire che Trump non appoggerà mai il governo M5S-Pd. In realtà, sostiene Sisci, intervistato da Marco Tedesco sul “Sussidiario”, l’Italia è la variabile di una partita molto più grande, che riguarda i rapporti tra Stati Uniti ed Europa. E a decidere il risultato saranno le sorti della Brexit, dice Sisci, editorialista di “Asia Times”. Da qui dunque occorre partire. Il “no deal”, l’uscita della Gran Bretagna senza nessun accordo con l’Ue, «significa che la Hard Brexit può effettivamente essere il tentativo di una minoranza di imporre le proprie convinzioni alla maggioranza». Non a caso, è esplosa la protesta degli inglesi per la chiusura delle Camere.
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La Merkel assume Conte, il cameriere della Trattoria Italia
«Da quando l’Unione Europea di Merkel e Macron lo ha promosso cameriere capo della trattoria Italia, il professore di Volturara Appula si è montato la testa: si è persuaso di valere quanto Winston Churchill», scrive Pietro Senaldi, direttore di “Libero”, a proposito di Giuseppe Conte, il candidato del Vaticano scelto dai poteri forti per affondare il governo gialloverde, licenziare Salvini e riportare il controllo dell’Italia sotto la custodia del Pd, che ha perso tutte le elezioni degli ultimi anni (politiche, regionali, europee). Non si nasconde Angela Merkel, madrina di Conte, a cui l’allora premier gialloverde spiegava, in birreria, come avrebbe impedito a Salvini di governare. La cancelliera – racconta Goffredo De Marchis su “Repubblica” – non ha perso tempo: ha telefonato al Pd per ordinare che il Conte-bis si faccia ad ogni costo. «Il retroscena – scrive Andrea Indini sul “Giornale” – la dice lunga sulle pressioni internazionali per non far tornare gli italiani al voto». Obiettivo: «fermare la formazione di un esecutivo sovranista», specie ora che la Merkel ha subito in Sassonia l’exploit di “Alternative für Deutschland”, al 27% stando agli exit poll. «La Merkel perde a casa sua e impone il governo in Italia», sintetizza lo stesso Salvini, sempre sul “Giornale”.Nel frattempo, a Roma, in soli quattro giorni di trattative si è già capito che le liti per formare il governo-vergogna non sono che l’antipasto: «Cinquestelle e Pd sono destinati a fare a cazzotti per tutta la durata della loro esperienza insieme», scrive Senaldi, sul giornale di cui Vittorio Feltri è direttore editoriale. «I dissidi sono tali che stavolta Conte sarà costretto a lavorare, non potrà fare il semplice portavoce di idee altrui». Di fatto, «c’è grande attesa per le poltrone più che per il programma, che arriverà da Bruxelles o direttamente da Berlino». Continua Senaldi: «L’impomatato ricandidato a Palazzo Chigi si è fatto garante presso il Quirinale e il Pd (tra i due soggetti non c’è molta differenza) dell’accordo col M5S». Problema: «In realtà lui i Cinquestelle non li controlla. Si fa forte dell’investitura che gli ha dato Grillo, ma il comico guru è un bipolare, un giorno dice una cosa ma subito dopo già ne pensa un’altra». Altre carte, Conte non ne ha in mano: è vero che ha alle spalle Bergoglio, Merkel e Macron, ma – sul piano tattico – quello romano si annuncia come una specie di Vietnam: «Sull’ambiguità di Casaleggio junior non può contare, mentre la trimurti pentastellata ha interessi divergenti e non voga al suo comando».Di Battista? «Vuole tornare al voto per recuperare uno stipendio». Quanto a Di Maio, «già fatto quasi fuori dal M5S, non può acconsentire all’ulteriore ridimensionamento al governo che per lui vorrebbero i dem, il Colle, i grillini e il premier stesso». Roberto Fico tifa per l’inciucio, ma senza lasciare la comoda poltronissima della Camera. «L’esperienza giallorossa sarà burrascosa», vaticina Senaldi. I grillini? Sono «una maionese impazzita peggio del Pd, che al confronto è un monolite di coerenza e compattezza privo di individualismi». Per Senaldi, «Zingaretti e compagni fanno lo stesso errore che fu di Bersani e Renzi e li trattano come politici normali: propongono, mediano, ragionano. Non serve a nulla: per spuntare qualcosa col M5S bisogna imitare Salvini, altro politico senza schema, che li ascoltava, diceva loro di sì e poi faceva quello che voleva lui». Il Pd inoltre ha un altro guaio, speculare a quello dei 5 Stelle: «Neppure i dem hanno un vero segretario che può condurre i negoziati, visto che l’accordo è sponsorizzato da Renzi e che Zingaretti non entrerà nel governo. Ecco spiegato il caos, alimentato dalla figura di Conte, che virtualmente ha acquisito potere». Ma il professore «è considerato troppo vicino a Mattarella e all’Europa, quindi i grillini non gli vogliono consegnare le chiavi della macchina e rivendicano un vicepremier».Morale, la trattativa langue e la rissa sembra senza fine: «Siamo certi che continuerà anche dopo il varo del governo, che difficilmente durerà molto», dice ancora Senaldi, anche se la rediviva Daniela Santanchè, ora in quota a Fratelli d’Italia, confida al “Fatto Quotidiano”: «Non mi sento di escludere che alla fine Forza Italia decida di astenersi sulla fiducia a Conte, dando dunque soccorso a questa alleanza tra perdenti che darà vita a un governo tra trombati, in cui la “golden share” appartiene a gente come Matteo Renzi e Maria Elena Boschi». In questa situazione, dice ancora Senaldi, quando si inizierà a parlare di programmi, sarà il caos, «e non solo perché, mettendo insieme i venti punti di Di Maio e i cinque di Zingaretti non si fa neppure un ambo». Non ci sarebbe da stupirsi se i nuovi alleati di governo “si menassero” più dei precedenti, aggiunge il direttore di “Libero”: «La sintesi dei progetti di M5S e Pd (più immigrati, meno sicurezza, più spesa e meno etica per tutti) ha l’instabilità nel dna. È improbabile poi che, dopo anni passati a cercare di diventare una sinistra riformista, il Pd si consegni mani e piedi a Fratoianni e Boldrini, i cui voti però saranno indispensabili per prolungare la vita del governo». Gli sponsor dell’esecutivo giallorosso affermano che deve partire per salvare l’Italia? «Viste le premesse, pare destinato ad affondarla ancora di più».Il Quirinale, chiosa Senaldi, «potrebbe risparmiarci questo spettacolo: i film horror con il finale già scritto non valgono la pena». In proposito, sempre “Libero” si rivolge direttamente al Colle: «Sergio Mattarella sembrava essere stato chiaro: il governo che Conte sta cercando di costituire dovrà avere unità di vedute e di intenti». Vedute e intenti che però, «in questo matrimonio, dove i coniugi non hanno alcuna intenzione di unirsi, sembrano parecchio differenti». Non bastava l’inimicizia del passato: Pd e M5S non potranno mai andare d’accordo, soprattutto nella lunga battaglia per le poltrone. E qui, secondo “Libero”, il ruolo del presidente della Repubblica è fondamentale. Costantino Mortati, giurista e costituzionalista eletto nel ‘46 deputato per la Dc, diceva: «Compito del presidente della Repubblica è quello di accertare la concordanza tra corpo elettorale e parlamentare». Il quotidiano di Senaldi e Feltri riprende le parole di Mortati: il Colle «assolve a tale ruolo attraverso l’impiego dell’istituto dello scioglimento anticipato, quando vi siano elementi tali da renderlo necessario o anche solo opportuno in termini di gravi disarmonie fra attività degli eletti e sentimento del popolo». Perché ostinarsi col mostruoso Conte-bis, che ha contro la maggioranza degli elettori? «La storia – scrive “Libero” – sembra insegnare parecchio, e forse ogni tanto va ascoltata. Come in questo caso, dove gli italiani hanno il diritto di dire la loro».«Da quando l’Unione Europea di Merkel e Macron lo ha promosso cameriere capo della trattoria Italia, il professore di Volturara Appula si è montato la testa: si è persuaso di valere quanto Winston Churchill», scrive Pietro Senaldi, direttore di “Libero”, a proposito di Giuseppe Conte, il candidato del Vaticano scelto dai poteri forti per affondare il governo gialloverde, licenziare Salvini e riportare il controllo dell’Italia sotto la custodia del Pd, che ha perso tutte le elezioni degli ultimi anni (politiche, regionali, europee). Non si nasconde Angela Merkel, madrina di Conte, a cui l’allora premier gialloverde spiegava, in birreria, come avrebbe impedito a Salvini di governare. La cancelliera – racconta Goffredo De Marchis su “Repubblica” – non ha perso tempo: ha telefonato al Pd per ordinare che il Conte-bis si faccia ad ogni costo. «Il retroscena – scrive Andrea Indini sul “Giornale” – la dice lunga sulle pressioni internazionali per non far tornare gli italiani al voto». Obiettivo: «fermare la formazione di un esecutivo sovranista», specie ora che la Merkel ha subito in Sassonia l’exploit di “Alternative für Deutschland”, al 27% stando agli exit poll. «La Merkel perde a casa sua e impone il governo in Italia», sintetizza lo stesso Salvini, sempre sul “Giornale”.
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Grillo coi nemici dell’Italia che vogliono Draghi al Quirinale
Mister Europa osserva divertito il massacro politico italiano andato in scena in mondovisione. E’ vomitevole la marmellata di democrazia confezionata grazie al prezioso tritacarne del signor Beppe Grillo, sceso in campo a muso duro – dando ordini ai suoi valletti in Parlamento, terrorizzati all’idea di tonare al voto – per blindare il piccolo potere italiano e restituirlo interamente all’establishment europeo. Grillo obbedisce al vero potere che tiene in pugno il Belpaese dai tempi del Britannia, il grazioso panfilo che lo stesso giorno, il 2 giugno 1993, ospitò a bordo l’allora giovane direttore generale del Tesoro e il comico genovese vicino a De Mita, cacciato dalla Rai nel 1986 per una fatale battutaccia sulle ruberie dei socialisti. Mario e Beppe, due destini che tornano a incrociarsi: è grazie a Grillo se oggi il mitico Super-Mario vede avvicinarsi a grandi passi il Quirinale, quando cioè Mattarella – tra un paio d’anni – vedrà scadere il suo mandato alla presidenza della Repubblica. Sbagliava, chi scorgeva in Draghi un candidato di ferro per Palazzo Chigi dopo Conte: puntando proprio al Colle, il sommo banchiere europeo non ha commesso l’errore di rendersi inevitabilmente impopolare, mettendosi a capo di un governo-vergogna come quello che oggi Renzi e il fantasma di Di Maio si apprestano a sorreggere, calpestando la volontà popolare degli italiani.Si commenta da solo lo sconcio offerto al pubblico, anche internazionale: un governo di nani obbedienti, coalizzati per disperazione e con sprezzo del ridicolo. Missione: emarginare Salvini, come vuole il padrone, e impedire agli elettori di tornare a votare. La classica manovra di palazzo, che comporterà conseguenze spiacevoli per i congiurati: il discredito definitivo del Pd e l’estinzione politica dei 5 Stelle, condannati a essere presi a pesci in faccia dagli elettori di oggi e di domani. Si aprono praterie sconfinate per chiunque ambisca a portarsi a casa i milioni di voti in fuga dall’increscioso e indecente equivoco pentastellato. Ma intanto, al padrone interessa innanzitutto “la roba”: vale a dire le 500 nomine pesanti in arrivo l’anno prossimo, nei posti che contano. Sfrattato l’intruso leghista grazie al signor Beppe e ai suoi diligenti camerieri travestiti da parlamentari, i posti-chiave saranno scelti accuratamente tra Berlino, Parigi e Bruxelles; i nomi saranno comunicati a tempo debito ai prestanome italiani, in quota al Pd e ai 5 Stelle. Dopo il varo dell’impresentabile Conte-bis, quello sarà il secondo step della Lunga Marcia. Il terzo, definitivo, si avrebbe con l’incoronazione del venerabile maestro Mario Draghi, come tredicesimo presidente della Repubblica italiana.La leggenda di Super-Mario? Salvatore dell’euro e santo protettore della sventurata Penisola. Vero il contrario, purtroppo: di formazione progressista e keynesiana, studente cresciuto alla corte dell’insigne ecomomista democratico Federico Caffè (scomparso nel nulla dalla sua abitazione romana nel 1987), Draghi è l’emblema stesso del tradimento: il cattivo allievo, lo ribattezzò Bruno Amoroso, formatosi con Caffè insieme a Nino Galloni. Amoroso e Galloni hanno tenuto alto l’onore dell’antico maestro, tramandandone la lezione. Che è questa: lo Stato non è una famiglia, perché – a differenza delle famiglie e delle aziende – dispone del potere monetario. Può emettere moneta in modo virtualmente illimitato. Ergo: il deficit, in termini di spesa pubblica strategica, è puro ossigeno per i cittadini, le famiglie, le imprese. Viceversa, il suo contrario – il pareggio di bilancio – condanna l’economia. E se migliaia di imprese si arrendono alla crisi, strangolate dalle tasse, il loro business viene letteralmente rastrellato dai grandi gruppi, dotati di elevato potenziale finanziario. L’alleanza storica tra multinazionali, banche d’affari e vertice politico in Europa ha un nome esemplare: Mario Draghi.Per via delle altissime responsabilità rivestite nel disastro sociale europeo, proprio Super-Mario rappresenta al meglio, da grande tecnocrate, il potere oligarchico che ha piegato i governi, confiscato la democrazia, ridotto le elezioni a pura ritualità. Lo si vede anche oggi, ancora una volta, con l’immondo esito della crisi parlamentare italiana. In Europa, la menzogna neoliberista (più tagli, più cresci) è aggravata dalla prassi mercantile dell’ordoliberismo di marca teutonica: all’impoverimento programmato del popolo si aggiuge la sottomissione sociale dei dominati. Dopo la Grecia, l’Italia è scandalosamente in cima alla classifica dello sfruttamento: da moltissimi anni il nostro paese, a cui i tizi come Draghi rimproverano di aver vissuto “al di sopra delle sue possibilità”, è addirittura in avanzo primario. Ovvero: lo Stato spende, per i cittadini, meno di quanto i cittadini versino in tasse. In questo, proprio Draghi – massimo sacerdote dell’austerity (altrui) – incarna il massimo tradimento possibile della dottrina di Keynes e di Caffè, economisti progressisti cui si deve – nel mondo, e anche in Italia – l’archiettura dell’economia statale espansiva che permise ai popoli di risollevarsi, accedendo a stagioni di grande benessere, mobilità sociale, futuro da costruire con fiducia e ottimismo.Tutto questo doveva finire: non per via di leggi economiche, ma a causa di determinazioni politiche, in parte palesi (il neoliberismo di Milton Friedman e soci) e in parte occulte, di matrice iniziatica. Già nell’Ottocento, il medico francese Joseph Alexandre Saint-Yves, marchese d’Alveydre, teorizzò la dottrina della “sinarchia”. In spiccioli: la politica è un affare troppo serio perché sia lasciata al popolo bue. A guidarlo dev’essere un’élite illuminata. Questa élite reazionaria si è nascosta, nel Novecento, dovendo subire l’offensiva delle democrazie sociali, le conquiste dei diritti del lavoro. Poi è rimersa, lentamente, a partire dagli anni Settanta. In Europa, l’Italia era un boccone golosissimo: eravamo il paese del boom, trainato dal maggior conglomerato industriale d’Europa, l’Iri, gestito dallo Stato. Le vaste inefficienze dell’Iri, di origine clientelare, erano largamente compensate dalle enormi ricadute sull’indotto privato. A demolire l’Iri fu chiamato il tecnocrate di turno, l’allora semisconisciuto Romano Prodi, mentre a Draghi – direttore del Tesoro – fu chiesto di oliare lo smembramento privatizzatore gli altri gioielli industriali italiani: Telecom, Eni, Enel, Comit, Credito Italiano.Dal Britannia in poi, Mario Draghi si è fatto apprezzare dai padroni del mondo, che l’hanno ricompensato da par loro. Una marcia trionfale: Goldman Sachs, Bankitalia, Bce. Ora, Draghi ha rifiutato di sostituire Christine Lagarde al vertice del Fmi. Si è tenuto libero per Palazzo Chigi? No: per il Quirinale. Vanta crediti importanti, sulla strada del Colle. D’intesa con Napolitano, nel 2011 disarcionò Berlusconi (ultimo premier eletto dagli italiani, nel 2008: da allora, alla guida del governo si sono succeduti soltanto politici non eletti dai cittadini, da Monti fino a Conte). E’ la declinazione italica della “sinarchia” del marchese Saint-Yves d’Alveydre: guai a lasciare che il popolo si governi da sé. A tener aperta la strada del Quirinale per Mario Draghi è il finto outsider e falso rivoluzionario Beppe Grillo: solo grazie all’inventore dei 5 Stelle il super-banchiere dell’élite può sperare, domani, di raggiungere la meta. Non è solo, ovviamente: oltre a Grillo e al solito servizievole Pd, Draghi può contare sulle potenti superlogge massoniche internazionali in cui milita. E’ affiliato a ben 5 Ur-Lodges di stampo reazionario: si chiamano “Three Eyes” e “Pan-Europa”, “Edmund Burke”, “Der Ring” e “Compass Star-Rose/Rosa-Stella Ventorum”. E’ per questi signori che in fondo lavorano Beppe Grillo e il suo figurante sistemato a Palazzo Chigi, il carneade “Giuseppi” Conte, sedicente “avvocato degli italiani”: un piccolo e infido mestierante, di cui oggi i connazionali farebbero volentieri a meno.Mister Europa osserva divertito il massacro politico italiano andato in scena in mondovisione. E’ vomitevole la marmellata di democrazia confezionata grazie al prezioso tritacarne del signor Beppe Grillo, sceso in campo a muso duro – dando ordini ai suoi valletti in Parlamento, terrorizzati all’idea di tonare al voto – per blindare il piccolo potere italiano e restituirlo interamente all’establishment europeo. Grillo obbedisce al vero potere che tiene in pugno il Belpaese dai tempi del Britannia, il grazioso panfilo che lo stesso giorno, il 2 giugno 1993, ospitò a bordo l’allora giovane direttore generale del Tesoro e il comico genovese vicino a De Mita, cacciato dalla Rai nel 1986 per una fatale battutaccia sulle ruberie dei socialisti. Mario e Beppe, due destini che tornano a incrociarsi: è grazie a Grillo se oggi il mitico Super-Mario vede avvicinarsi a grandi passi il Quirinale, quando cioè Mattarella – tra un paio d’anni – vedrà scadere il suo mandato alla presidenza della Repubblica. Sbagliava, chi scorgeva in Draghi un candidato di ferro per Palazzo Chigi dopo Conte: puntando proprio al Colle, il sommo banchiere europeo non ha commesso l’errore di rendersi inevitabilmente impopolare, mettendosi a capo di un governo-vergogna come quello che oggi Renzi e il fantasma di Di Maio si apprestano a sorreggere, calpestando la volontà popolare degli italiani.
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Sapelli: siamo spacciati, a Roma nasce il governo Macron
Un governo fragile destinato a durare 6 mesi? Macché. Il Conte-bis durerà fino all’elezione del prossimo presidente della Repubblica. «E Mattarella potrebbe fare il bis», dice il professor Giulio Sapelli, storico dell’economia, intervistato da Federico Ferraù per il “Sussidiario”. Occorre andare in Africa per capire l’orrendo inciucio tra 5 Stelle e Pd, che in realtà è un governo Macron, sostiene Sapelli: nel continente nero la Francia vuole “prendersi tutto” e può contare sull’aiuto (retribuito) delle nostre “compagnie di ventura”, che stavolta permetteranno a Parigi di “finire il lavoro”. «Di fatto, comincia – anzi, riprende – la svendita dell’Italia al capitalismo franco-tedesco», proprio alla vigilia del rinnovo dei vertici delle partecipate italiane, dall’Inps all’Enel, da Leonardo all’Eni. «Il nuovo governo si va formando a tempo di record proprio per questo» afferma Sapelli, che racconta: «Pochi giorni fa ho avuto occasione di vedere il Pireo. È pieno di cinesi coperti d’oro. I greci fanno ormai solo i camerieri, gli autisti e i suonatori. Huawei è dappertutto». Il nostro destino è questo? «Sì, il nostro destino è quello che Einaudi aveva indicato all’inizio del 900: la divisione ricardiana del lavoro affida all’Italia l’agricoltura e il turismo. Oggi ci resterà solo quest’ultimo».L’accenno al “ricardismo” richiama “l’economia del granturco” teorizzata dall’inglese David Ricardo e ripresa oggi – in modo paradossale – dall’economia “neoclassica” che ci domina, attraverso l’oligarchia Ue. Tesi: per poter investire, devi prima risparmiare. Era vero nell’800, oggi fa ridere (da quando c’è la moneta “fiat”, illimitata e a costo zero). Ma è il punto cardinale dell’austerity artificiale imposta da Bruxelles, cui ora l’Italia “giallorossa” sembra pronta a piegarsi in modo sconcertante. Dal canto suo, Sapelli è esplicito: «In Italia si insedia il governo Macron. Del resto lo ha annunciato trionfalmente “Repubblica” nel bel mezzo della crisi di governo, il 21 agosto, con una prima pagina memorabile perché scandalosa: “Con l’estrema destra non funziona mai”. Chiediamoci se una cosa del genere può succedere su “Le Monde”». E che dire del tweet di Trump che benedice Conte? «Qualcuno gli ha chiesto di farlo», risponde Sapelli, che precisa: «Intendo: lo ha chiesto al Dipartimento di Stato. Alcuni amici mi hanno detto che la diplomazia americana non ne sapeva nulla». Sarebbe gravissimo, osserva Ferraù. «Non è da meno il G7 di Biarritz», rincara la dose Sapelli. «Si è mai visto un ministro iraniano (Mohammad Javad Zarif) che arriva di soppiatto? La Francia è sempre stata una potenza di mediazione. Certo sono cambiate le modalità».Nel XVIII secolo, riassume il professor Sapelli, la Francia se n’è andata dall’America del Nord perché non ha potuto frenare gli inglesi, limitandosi ad appoggiare gli insorti. Da allora, dice, si è ritirata in Africa. «Ed è all’Africa che bisogna guardare per capire cosa sta succedendo in Europa». Il 7 luglio a Niamey, in Niger, è stato firmato l’accordo di libero scambio (Afcta) tra gli Stati africani. Che cosa comporta? «È la creazione di un mercato comune africano, e l’unica potenza europea egemone in grado di approfittarne è la Francia». Parigi, spiega Sapelli, «intende dominare il Mediterraneo». Concretamente, «vuol dire impossessarsi delle rotte energetiche e di quelle logistiche». Attenzione: è un controllo «che la Francia dividerà con la Cina». Secondo Sapelli, a essersi realizzato è il vecchio disegno del nazionalista Sun Yat-sen, fondatore del Kuomintang, pre-maoista. «Sun Yat-sen era affiliato alla massoneria francese. Sognava una vocazione occidentale della Cina: un disegno che Mao ha soltanto interrotto». E il Conte-bis? «Il nuovo governo Conte, a benedizione francese, si spiega con il fatto che Parigi deve assolutamente governare l’Italia se vuole realizzare il suo progetto espansionistico. Si tratta di un governo a vocazione geopolitica eterodiretta da parte francese».A questo proposito, Ferraù fa giustamente notare il ruolo di Sandro Gozi: alla vigilia della crisi di governo, l’esponente renziano del Pd è diventato consulente di Macron per gli affari europei. «Un arruolamento volontario, che risponde evidentemente a questo compito». E cioè: tradire l’Italia, a favore della Francia. Quindi chi comanda, adesso, a Roma? «Le nuove compagnie di ventura, i parenti odierni degli Sforza, che si vendevano a tutti». Il Movimento 5 Stelle? «E’ la compagnia di ventura più organica, più malleabile e per questo più funzionale agli obiettivi altrui». Quanto durerà, il Governo del Tradimento? «Sono due gli obiettivi che determineranno la sua durata», risponde Sapelli. «Il primo è l’elezione del prossimo presidente della Repubblica. Perché non un Mattarella-bis? L’altro obiettivo è la trasformazione dell’Italia in una piattaforma logistica per l’entrata della Francia in Africa e la svendita di ciò che resta del nostro apparato industriale a Francia, Germania e Cina». E gli Stati Uniti acconsentono? «Gli americani un po’ non capiscono, un po’ sono divisi», sostiene Sapelli. «Trump è sotto scacco per lo stesso motivo di Salvini, per avere aperto alla Russia. In più sono divisi tra la componente Bush-clintoniana, ispirata dal globalismo finanziario esasperato, e quella del gruppo che sostiene Trump».L’Italia ha chiuso, quindi? Siamo finiti, come paese? «L’unica speranza sono le piccole e medie imprese, però devono capire quello che sta accadendo», dice Sapelli. «Soprattutto devono capire che non possono esistere da sole, anche se da sole hanno fatto miracoli». Bisogna che le piccole imprese italiane «si impegnino per salvare un segmento delle grandi imprese e per cambiare la politica economica europea». Una rappresentanza politica ce l’hanno già: è la Lega. «Non hanno ancora afferrato, però, che in questa guerra non si fanno prigionieri». Il Nord, cioè il bacino elettorale di Salvini, produce l’80% del nostro Pil. Impossibile sperare in una proiezione nazionale? «L’Italia avrebbe dovuto fare come Polonia, Bulgaria, Ungheria», dice ancora Sapelli: «Ognuno di questi paesi ha superato le divisioni politiche interne e ha trattato con l’Europa da paese unito. Noi invece abbiamo mancato tutti gli appuntamenti che potevano aiutarci in questa direzione, dal contrasto al terrorismo alla stagflazione. E abbiamo fallito perché l’Italia continua ad essere un paese di compagnie di ventura».Se i 5 Stelle suscitano raccapriccio per il loro scandaloso voltafaccia, come definire il Pd? «Un insieme di cacicchi l’un contro l’altro armati, con una compagnia di ventura egemone, quella di Renzi». Altri pericoli in vista: «M5S e Pd vanno assimilandosi, perché anche nel Pd la base sociale e quella territoriale si vanno estinguendo», ragiona Sapelli. «Zingaretti, invece di sostenere il nuovo governo, avrebbe potuto dedicarsi a una rifondazione territoriale. Non lo farà: e questo sarà la fine, del Pd e sua». Resta solo la Lega, a quanto pare, a tifare Italia. «L’unica speranza è che oltre alle piccole medie imprese intercetti e rappresenti la borghesia nazionale. Il problema della Lega – aggiunge Sapelli – è che non ha un pensiero politico», almeno per ora. Ma la lettura dello scempio in corso resta incompleta, se non si considera l’azione del Papa: «Il Vaticano ha svolto un ruolo fondamentale, che andrà approfondito», precisa Sapelli. «Abbiamo assistito a un ritorno della religione in politica, dissimulato da preoccupazioni sociali e teologiche. Il mio caro vecchio Péguy si rivolta nella tomba», aggiunge il professore, riferendosi allo scrittore francese Charles Péguy, cattolico ma inviso all’alto clero per la sua opposizione all’ingerenza ecclesiastica nell’attività politica. Per Sapelli, nel concorrere alla caduta di Salvini, Bergoglio ha commesso un azzardo: «La Chiesa deve stare attenta – chiosa il professore – perché l’adesione alla società dei diritti potrebbe esserle fatale».Un governo fragile destinato a durare 6 mesi? Macché. Il Conte-bis durerà fino all’elezione del prossimo presidente della Repubblica. «E Mattarella potrebbe fare il bis», dice il professor Giulio Sapelli, storico dell’economia, intervistato da Federico Ferraù per il “Sussidiario”. Occorre andare in Africa per capire l’orrendo inciucio tra 5 Stelle e Pd, che in realtà è un governo Macron, sostiene Sapelli: nel continente nero la Francia vuole “prendersi tutto” e può contare sull’aiuto (retribuito) delle nostre “compagnie di ventura”, che stavolta permetteranno a Parigi di “finire il lavoro”. «Di fatto, comincia – anzi, riprende – la svendita dell’Italia al capitalismo franco-tedesco», proprio alla vigilia del rinnovo dei vertici delle partecipate italiane, dall’Inps all’Enel, da Leonardo all’Eni. «Il nuovo governo si va formando a tempo di record proprio per questo» afferma Sapelli, che racconta: «Pochi giorni fa ho avuto occasione di vedere il Pireo. È pieno di cinesi coperti d’oro. I greci fanno ormai solo i camerieri, gli autisti e i suonatori. Huawei è dappertutto». Il nostro destino è questo? «Sì, il nostro destino è quello che Einaudi aveva indicato all’inizio del 900: la divisione ricardiana del lavoro affida all’Italia l’agricoltura e il turismo. Oggi ci resterà solo quest’ultimo».
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Lutto per l’Italia, ostaggio di Grillo. E l’Europa ci guarda
C’è qualcosa di oscuro e di atroce nel tradimento dei 5 Stelle, visibile dalla Luna. Nati come antidoto alla “casta”, pur di evitare il giudizio degli elettori ora si rifugiano tra le braccia di Matteo Renzi e soci, campioni dell’establishment nazionale asservito ai poteri marci – italiani, europei e planetari – che in trent’anni hanno ridotto la quarta potenza industriale del mondo a paese mediterraneo periferico e saccheggiato, ricattato dalla Bce, messo in ginocchio di fronte agli usurai di Bruxelles. Il ribaltone imposto al governo gialloverde, dopo aver costretto Matteo Salvini ad abbandonarlo, non è solo un colpo mortale inferto alla democrazia italiana: è un coltellata per tutti gli europei, Gilet Gialli in testa, che avevano osato guardare al caos italiano come laboratorio del possibile cambiamento, sia pure nato in modo sgangheratissimo e proseguito anche peggio, con un esecutivo subito impaurito di fronte al ricatto dello spread. E a celebrare il funerale della democrazia non è neppure un politico classico, ma un ex comico particolarmente abile, cinico e spietato, che in questi anni ha investito sull’odio e sulla rabbia per creare dal nulla un’enorme massa di manovra. E’ lui, il supremo manipolatore Beppe Grillo, a suonare le campane a morto: e non è solo italiano, il lutto per la fine del “governo del cambiamento” in cui, meno di un anno fa, credeva ancora oltre il 60% degli elettori del Belpaese.Vista da fuori, la crisi italiana è una catastrofe: a vincere sono i peggiori, che spengono sul nascere il sussulto democratico (confuso, contraddittorio) nato nel 2018 dalla rivolta dei cittadini esasperati dagli abusi dell’impero finto-europeista, mercantilista e bugiardo, squallidamente privatistico anche se ammantato di istituzionalità. E’ un complotto che viene da lontano, accusa Salvini dal Quirinale, indicando tra i mandanti le oligarchie di Parigi, Berlino e Bruxelles. Non è privo di colpe lo stesso Salvini: gli errori tattici sembrano averlo spiazzato di fronte all’incredibile disinvoltura trasformistica dei congiurati grillini e renziani, semplici manovali della cospirazione contro l’Italia. Ma il capo della Lega si è esposto a facili accuse anche infamanti, con la sua visione unilaterale della tragedia dell’immigrazione: accuse disoneste, che avrebbe potuto neutralizzare allargando l’orizzonte all’Africa, alle vere cause del malessere africano e ai suoi possibili rimedi. L’errore più grande compiuto da Salvini sta probabilmente nell’essersi rifugiato nella solitudine del cosiddetto sovranismo, falsa piattaforma di opportunismi nazionalistici che infatti hanno puntualmente isolato la Lega dopo il grande successo delle europee. Non lo si sarebbe potuto liquidare così facilmente, Salvini, se avesse combattuto, in modo dialettico e inclusivo, per reclamare una Costituzione Europea finalmente democratica.Ma gli errori ottici di Salvini, peraltro non irrimediabili, non sono nulla in confronto allo scempio di verità e di decenza di cui si sono macchiati i 5 Stelle pilotati da Grillo, pronti a voltare le spalle nel modo più spregevole ai cittadini italiani che appena 14 mesi fa li avevano eletti con un mandato chiarissimo: restituire sovranità democratica alle persone comuni. Dopo aver appaltato la politica che conta (esteri, economia) a mercenari non-eletti come Conte, Tria e Moavero, il signor Grillo ha gettato la maschera: prima silurando Salvini attraverso Angela Merkel (Ursula von der Leyen alla Commissione Europea) e ora imponendo ai parlamentari pentastellati – contro la stessa base grillina, ancora una volta costretta al silenzio – il disperato, desolante matrimonio servile con il padrone europeo tramite il suo tradizionale proconsole italiano, il detestato Pd, ancora e sempre al servizio dell’establishment che ha svenduto il paese. La scommessa di Grillo è tristemente imbarazzante: dimostra che i grillini sarebbero dei poveri idioti, raggirabili anche stavolta. In realtà, milioni di elettori stanno già abbandonando la navicella populista, che è comunque servita – al regime di cui Grillo è l’occulto, grande protagonista – a non inquadrare mai il bersaglio vero, indispensabile per cambiare realmente le regole del gioco, cioè il rapporto tra governanti e governati.E’ possibile che gli attivisti grillini aprano finalmente gli occhi di fronte a un simile spettacolo, e imparino a non fidarsi mai più dei demagoghi autoritari ed estremisti, amici del popolo solo a parole ma in realtà nemici della democrazia. Li si riconosce a distanza, da una caratteristica invariabile: ai decibel, alle urla e ai Vaffa non corrisponde mai un piano preciso, fatto di soluzioni realistiche. Di qui l’inevitabile vaghezza dei programmi, che poi si traduce regolarmente in un nulla di fatto, nella migliore delle ipotesi, dopo gli altisonanti proclami rivoluzionari. Nella peggiore delle ipotesi, invece – quella italiana, incarnata dai 5 Stelle – la finta rivoluzione (alimentata dalla passione sincera di migliaia di attivisti) – finisce nella vergogna: parlamentari ricattati dal terrore di perdere la poltrona fingono di non udire lo sdegno dei loro stessi elettori e si accasano con la cricca dei perdenti, ripetutamente bocciati dagli italiani, per tenere in piedi un esecutivo pronto a obbedire ai diktat di Bruxelles. E’ il capolavoro di Grillo: dimostrare – all’Italia, e non solo – che la politica è un sordido imbroglio, e che i maggiori imbroglioni sono proprio loro, gli ex “avvocati del popolo”.Gli europei guardano, e prendono nota: dopo la falsa partenza dell’Italia gialloverde, il terreno del possibile riscatto democratico viene ora accuratamente diserbato. L’intero Parlamento di un paese avanzato, membro del G7, è manipolato da un privato cittadino, elusivo e potentissimo: mai presentatosi alle elezioni, mai neppure sottopostosi al vaglio di un regolare congresso di partito. Ha dunque ragione, Grillo, nel mostrare che al popolo bue si può davvero far credere qualsiasi cosa? Come sempre, dal letame nascono i fiori: oggi la verità finalmente emerge, anche se in modo feroce. Se il Movimento 5 Stelle è servito essenzialmente a depistare la richiesta popolare di cambiamento, dando tempo all’establishment di prendere le sue contromisure, di fronte al declino – consenso a picco, 6 milioni di voti persi in un solo anno – il signor Grillo ha deciso di suicidare la sua creatura rendendo al potere l’ultimo servizio possibile: il governo-ignominia col Pd, fingendo di non sentire che gli italiani vorrebbero tornare alle urne, per dire la loro. Giullare di razza, l’ex comico genovese non viene mai meno al senso dello spettacolo: sul suo blog si raffigura come una specie di Mosè, di fronte alle acque del Mar Rosso che si separano per intervento divino. Peccato che nella Bibbia non ci sia nessun Mar Rosso: il popolo dell’Esodo si limitò a guadare uno Yam-Suf, un acquitrino. Una palude, come quella in cui Giuseppe Grillo, detto Beppe, ha deciso di far annegare i suoi 5 Stelle, ormai utili solo come compari provvisori dell’ex impresentabile Matteo Renzi.(Giorgio Cattaneo, “Lutto per l’Italia, ostaggio di Grillo. E l’Europa ci guarda”, dal blog del Movimento Roosevelt del 29 agosto 2019).C’è qualcosa di oscuro e di atroce nel tradimento dei 5 Stelle, visibile dalla Luna. Nati come antidoto alla “casta”, pur di evitare il giudizio degli elettori ora si rifugiano tra le braccia di Matteo Renzi e soci, campioni dell’establishment nazionale asservito ai poteri marci – italiani, europei e planetari – che in trent’anni hanno ridotto la quarta potenza industriale del mondo a paese mediterraneo periferico e saccheggiato, ricattato dalla Bce, messo in ginocchio di fronte agli usurai di Bruxelles. Il ribaltone imposto al governo gialloverde, dopo aver costretto Matteo Salvini ad abbandonarlo, non è solo un colpo mortale inferto alla democrazia italiana: è un coltellata per tutti gli europei, Gilet Gialli in testa, che avevano osato guardare al caos italiano come laboratorio del possibile cambiamento, sia pure nato in modo sgangheratissimo e proseguito anche peggio, con un esecutivo subito impaurito di fronte al ricatto dello spread. E a celebrare il funerale della democrazia non è neppure un politico classico, ma un ex comico particolarmente abile, cinico e spietato, che in questi anni ha investito sull’odio e sulla rabbia per creare dal nulla un’enorme massa di manovra. E’ lui, il supremo manipolatore Beppe Grillo, a suonare le campane a morto: e non è solo italiano, il lutto per la fine del “governo del cambiamento” in cui, meno di un anno fa, credeva ancora oltre il 60% degli elettori del Belpaese.
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Terrore e menzogne: tutto, purché l’Italia non rialzi la testa
Qualunque cosa accada o non accada all’Italia, ombelico fragile e vittima predestinata dell’ordoliberismo post-democratico europeo, non si può prescindere dal ricordare la grande menzogna che ammorba il pianeta dall’11 settembre 2001, il maxi-attentato alle Torri Gemelle di Manhattan. L’impensabile era già in marcia da molti anni, certo: il Memorandum Powell per la riscossa storica delle oligarchie, la “crisi della democrazia” promossa dalla Trilaterale, la liquidazione di Allende e Sankara, Olof Palme e Aldo Moro, l’ipocrita “terza via” battuta da Blair e Clinton per rottamare la sinistra classica e lanciare la post-sinistra mercantilista dei Prodi, degli Schroeder, dei Renzi. Ma fu il fatidico 2001 a metter fine nel modo più brutale al breve sogno del globalismo mite vagheggiato da Gorbaciov dieci anni prima, che aveva dato al pianeta una meravigliosa e breve illusione: poter finalmente vivere un disgelo universale, con la fine della guerra fredda, cominciando a rimettere insieme i cocci di un mondo devastato dall’ingiustizia. Oggi sono i vigili del fuoco di New York a invocare la riapertura del caso 11 Settembre, sostenendo che le Twin Towers sarebbero state minate con esplosivi.Dopo 18 anni, tuttavia, a tener banco è ancora la verità ufficiale: aerei dirottati da fanatici islamisti ispirati da Osama Bin Laden, l’ex socio dei Bush ed ex fiduciario della Cia che poi il signor Obama ha raccontato al mondo di aver fatto assassinare il 2 maggio 2011 ad Abbottabad, in Pakistan, da un reparto speciale di Navy Seals poi stranamente morti a loro volta, abbattuti da fuoco amico a Kabul. Spesso si evita di mettere in relazione l’11 Settembre, e quindi la conseguente devastazione del mondo tuttora in corso a suon di guerre, con l’evento quasi altrettanto simbolico che lo precedette: l’inaudito delirio di violenza esploso al G8 di Genova, due mesi prima. A indicare la connessione è Wayne Madsen, all’epoca dirigente della Nsa: Madsen sostiene che la strategia della tensione affidata ai misteriosi black bloc, accuratamente preparata dalla National Security Agency, doveva servire a stroncare una volta per tutte il caotico movimento NoGlobal, di cui l’élite finanziaria pare avesse una gran paura.Fu casuale la scelta di provocare quella mattanza proprio in Italia? Il nostro paese era già stato durissimamente colpito dal terrorismo, incluso quello delle stragi nelle piazze, fino all’epilogo del sequestro Moro: fu allora immolato un politico grigio ma tenace, che in fondo incarnava l’irriducibile diversità italiana, inconciliabile con il progetto turbo-mercantile in cantiere, truccato da europeismo. Non doveva sopravvivere, l’anomalia italiana, con la sua economia-boom sorretta dal decisivo volano pubblico dell’Iri, il complesso industriale più grande d’Europa. Nel romanzo “Nel nome di Ishmael”, per il quale Francesco Cossiga si complimentò con l’autore, Giuseppe Genna, si mette in luce un dettaglio inquietante: il nesso tra i “sacrifici rituali di bambini” e l’omicidio politico. Oscura “firma” di sapore occulto, contro-iniziatico, a marcare il ricorso al terrorismo come “instrumentum regni”, in particolare contro l’Italia, dai tempi di Enrico Mattei.Quella dell’11 Settembre fu una strage immane: 3.000 morti nel crollo delle torri, più altre 12.000 vittime accertate nei giorni e mesi seguenti, a causa della nube d’amianto che avvolse i quartieri circostanti. E’ umanamente concepibile, un ipotetico auto-attentato di quelle proporzioni? Purtroppo sì, dicono i dietrologi: viceversa, il clan Bush non sarebbe mai riuscito a mobilitare l’opinione pubblica americana a supporto della “guerra infinita” scatenata in Afghanistan e in Iraq, che ha aperto le porte dell’attuale inferno quotidiano, estesosi in paesi come la Libia e la Siria. A Palazzo Chigi, dal 2001, si sono alternati Berlusconi e Prodi, quindi Monti, Letta, Renzi, Gentiloni, Conte. Tutti governi che si sono mossi al di sotto della politica, all’ombra di tabù intoccabili: l’insindacabilità del Sacro Romano Impero franco-tedesco e l’altrettanto indicibile verità-ombra che sembra annidarsi dietro i sinistri eventi che aprirono il millennio, la follia di Genova e la mostruosa carneficina andata in scena a New York.Oggi l’Italia è alle prese con le consuete, deprimenti cronachette politiche, affidate all’estro di statisti del calibro di Matteo Renzi e Luigi Di Maio, Giuseppe Conte e Nicola Zingaretti. Nelle retrovie della tifoseria svettano Giorgia Meloni e Alessandro Di Battista, mentre a Matteo Salvini viene imputato l’assurdo crimine di aver aperto una crisi politica insensata, tale da mandare a casa il glorioso, formidabile governo gialloverde. Eppure, anche se sembra impossibile, tutta l’Europa guarda all’Italia. L’Europa e non solo: se la Russia di Putin è stata tirata in ballo in modo tragicomico dall’improbabilissimo Russiagate, proprio il Belpaese è conteso da Usa e Cina, ad esempio per le implicazioni anche geo-strategiche dell’affare Huawei inerente la rete wireless 5G. Più in generale, l’Italia politica aveva comunque fatto notizia, a livello internazionale, un anno fa, varando l’unico governo europeo teoricamente all’opposizione di Bruxelles, dopo l’opaco terrorismo casalingo dell’Isis nel vecchio continente, e prima ancora della quasi-insurrezione francese dei Gilet Gialli.Tanta preoccupazione per gli sviluppi nazionali italiani suggerisce l’idea, solo in apparenza stravagante, che il nostro disastrato e meraviglioso paese sia in qualche mondo centrale, per il futuro del mondo, secondo una drastica linea di discrimine: la verità, una volta per tutte, oppure la menzogna, ancora e sempre. Quando l’Italia era diventata la quarta potenza industriale del pianeta, con Craxi a Palazzo Chigi, lo Stato era ancora sostanzialmente catto-consociativo, governato largamente dalla Dc ma co-gestito dal Pci. Forte della maggior presenza industriale pubblica del continente, il nostro era il paese più strano d’Europa: prospero e risparmiatore, politicamente stabile nonostante l’enorme instabilità dei singoli governi, lealmente atlantista ma non ostile all’Urss, apertamente filo-arabo senza però mai essere anti-israeliano. Il paese dei record, nonostante le sue piaghe storiche: divario Nord-Sud, elevata corruzione, mafia, dilagante evasione fiscale. Un paese pericoloso, per i concorrenti: resiliente, pieno di contraddizioni e di eccellenze, virtualmente indistruttibile. Dunque una nazione da piegare, da sottomettere, possibilmente con l’immancabile complicità dell’establishment nazionale.C’era quasi riuscito Mario Monti: iper-tassazione, Fiscal Compact, tagli al welfare, legge Fornero sulle pensioni e pareggio di bilancio in Costituzione. Tutte norme ammazza-Italia, scrupolosamente votate dal Pd di Pierluigi Bersani, che oggi – come se niente fosse accaduto, in questi anni – cinguetta soavemente, sostenendo che i mali italici si risolverebbero semplicemente debellando l’evasione, come se (a monte) non esistessero il macigno chiamato Unione Europea e il suo braccio armato, l’Eurozona, cui la Germania aderì su pressione della Francia solo a patto di ottenere in cambio lo scalpo industriale dell’Italia. In questi mesi turbolenti e mediocri, gli estimatori dei tanti Bersani d’Italia (i Saviano, i Fazio, gli Scalfari) non hanno trovano di meglio che dare del fascista a Salvini, tifando per il nemico di turno dell’Italia (Macron) nella speranza che riuscisse a disarcionare il puzzone, l’orco, l’usurpatore del potere regio. Nemmeno Salvini si è elevato, peraltro: agitando crocifissi nei comizi non è riuscito a sovrastare gli infimi avversari, l’ipocrita congrega finto-buonista che friggeva all’idea di aver perso le antiche poltrone, regalate (al barbarico leghista e all’indecente scolaresca dei grillini) da elettori semplicemente esasperati, traditi e abbandonati a se stessi, nauseati dalla sedicente sinistra.Campioni del mondo nell’arte della truffa, i 5 Stelle hanno evitato accuratamente di indicare la causa del problema-Italia. Salvini l’ha fatto, fermandosi però alle parole: questo è bastato, comunque, a trasformarlo in un bersaglio. Il capo della Lega è l’unico a non aver barato: Berlusconi aveva solo finto di voler avviare una grande riforma liberale, e Prodi – peggio ancora – aveva venduto agli italiani le meravigliose sorti e progressive di Eurolandia, cioè la condanna al rigore eterno. Salvini almeno evita di raccontare bugie, ma non è sufficiente. E la verità – tutta la verità – richiede una statura speciale, perché non può che passare per gli infami snodi irrisolti che stanno alla base dell’infausto esordio del terzo millennio: a partire dalla madre di tutte le menzogne, la versione ufficiale sull’11 Settembre. In parte, gli economisti progressisti reclutati dalla Lega – Bagnai, Rinaldi – hanno sdoganato intere parti della verità più imbarazzante, come il divorzio Tesoro-Bankitalia che trasformò di colpo il virtuoso debito pubblico italiano in tragedia nazionale. Ma è come se all’Italia, oggi, si chiedesse altro: la capacità di rialzare la testa, con un atto di coraggio che smonti l’unica vera arma – la paura – su cui si basano le oscure forze che hanno progettato l’11 Settembre e le sue guerre, l’Isis e la cosiddetta crisi, ben orchestrata dall’attuale regime finanziario e antisociale che si nasconde dietro il profilo istituzionale dell’Unione Europea.(Giorgio Cattaneo, “Terrore, ricatti e menzogne: purché l’Italia non rialzi la testa”, dal blog del Movimento Roosevelt del 27 agosto 2019).Qualunque cosa accada o non accada all’Italia, ombelico fragile e vittima predestinata dell’ordoliberismo post-democratico europeo, non si può prescindere dal ricordare la grande menzogna che ammorba il pianeta dall’11 settembre 2001, il maxi-attentato alle Torri Gemelle di Manhattan. L’impensabile era già in marcia da molti anni, certo: il Memorandum Powell per la riscossa storica delle oligarchie, la “crisi della democrazia” promossa dalla Trilaterale, la liquidazione di Allende e Sankara, Olof Palme e Aldo Moro, l’ipocrita “terza via” battuta da Blair e Clinton per rottamare la sinistra classica e lanciare la post-sinistra mercantilista dei Prodi, degli Schroeder, dei Renzi. Ma fu il fatidico 2001 a metter fine nel modo più brutale al breve sogno del globalismo mite vagheggiato da Gorbaciov dieci anni prima, che aveva dato al pianeta una meravigliosa e breve illusione: poter finalmente vivere un disgelo universale, con la fine della guerra fredda, cominciando a rimettere insieme i cocci di un mondo devastato dall’ingiustizia. Oggi sono i vigili del fuoco di New York a invocare la riapertura del caso 11 Settembre, sostenendo che le Twin Towers sarebbero state minate con esplosivi.
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Fatale Russiagate: dietro la crisi, gli 007 di Conte e Macron
Col passare dei giorni è apparso sempre più evidente, in controluce, il vero scontro andato in scena nella strana “crisi di ferragosto”, quello cioè che ha opposto Matteo Salvini e Giuseppe Conte. La fine del governo gialloverde – già in agonia a causa del fallimento politico dei 5 Stelle, incapaci di tener fede alle proprie promesse e pronti a frenare la spinta riformatrice leghista (dai minibot alla Flat Tax) – è letteralmente esplosa con il cosiddetto Russiagate. Sulle intercettazioni dei colloqui moscoviti di Gianluca Savoini, “ambasciatore” della Lega dalle parti del Cremlino, si è prontamente scatenata la stampa maninstream, dall’“Espresso” al “Fatto Quotidiano”. Pessimo, Salvini, nel fingere di non avere strettissimi rapporti con Savoini. Peraltro, non risulta alcuna transazione di denaro dalla Russia alla Lega, men che meno per tramite dell’Eni. Perché mai il Carroccio avrebbe avuto bisogno di denaro extra, comunque non incassato? Forse per resistere all’abnorme richiesta di dover “restituire” 49 milioni, in realtà mai sottratti allo Stato? La cifra imputata è infatti il totale dei rimborsi elettorali percepiti negli anni, anche lecitamente, mentre l’antico illecito (di Bossi e Belsito, non di Salvini) ammontava a meno di un milione.La maxi-stangata giudiziaria ha messo in ginocchio la Lega, esponendola alla tentazione di una sorta di questua per poter sopravvivere politicamente? Nel caso, al Carroccio è stata tesa una trappola, a Mosca. Da chi? E’ più che un sospetto: dai servizi segreti italiani, gestiti da Conte. L’avvocato democristiano venuto dal nulla, indicato da Grillo e stimato da De Mita nonché dal Vaticano, alla nascita del governo gialloverde aveva tenuto per sé la delega ai servizi, che negli esecutivi precedenti (Renzi e Gentiloni) era rimasta come di consueto al ministro dell’interno (Minniti). Segnale eloquente: gli azionisti occulti del Movimento 5 Stelle non si fidavano di Salvini e non intendevano lasciare nelle sue mani l’arma dell’intelligence. Ma peggio: Conte ha cambiato i vertici dei servizi italiani, che negli anni scorsi si erano distinti per professionalità e lealtà istituzionale. «Avevamo il miglior apparato antiterrorismo del mondo», ha detto Gianfranco Carpeoro, autore del saggio “Dalla massoneria al terrorismo”, lasciando intendere che – mentre i kamikaze facevano strage in tutta Europa, grazie alle puntuali “distrazioni” delle polizie di Francia, Germania, Belgio, Spagna e Gran Bretagna – gli agenti italiani sventavano attentati (una trentina) progettati sul territorio nazionale.Obiettivo: dimostrare agli eversori (certo non islamici) che c’era almeno un paese, in Europa, che poteva essere sottratto alla strategia della tensione targata Isis. Quel paese, l’Italia, era anche – che coincidenza – l’unico a essere, teoricamente, all’opposizione di Bruxelles, soprattutto grazie alla Lega di Salvini. «A premere perché fossero cambiati i vertitici dei nostri servizi segreti – ha detto sempre Carpeoro – è stato Jacques Attali, massone reazionario e mentore di Macron, attivissimo nel mettere i bastoni tra le ruote al governo italiano, con ogni mezzo». L’operazione è andata in porto nei mesi scorsi, poco prima che i giornalisti de “L’Espresso” fossero imbeccati sul famoso incontro al Metropol tra Savoini e alcuni uomini di seconda fila del potere russo. Prima domanda: perché mai l’intelligence di Putin avrebbe dovuto mettere in imbarazzo l’amico Salvini? Vale anche per il “sovranista” Trump: perché mai usare la Cia per colpire la Lega? Di qui il sospetto che la “manina” sia stata quella dei servizi italiani rinnovati da Conte. Questo spiegherebbe anche l’intransigenza di Salvini nel voler liquidare ad ogni costo l’avvocato venuto in apparenza dal nulla, ma in realtà solidamente gestito dai veri “padroni” del Movimento 5 Stelle, pronti a schierare i grillini con la Merkel per far eleggere Ursula von del Leyen alla Commissione Ue, contro Salvini e contro gli interessi nazionali italiani.Col passare dei giorni è apparso sempre più evidente, in controluce, il vero scontro andato in scena nella strana “crisi di ferragosto”, quello cioè che ha opposto Matteo Salvini e Giuseppe Conte. La fine del governo gialloverde – già in agonia a causa del fallimento politico dei 5 Stelle, incapaci di tener fede alle proprie promesse e pronti a frenare la spinta riformatrice leghista (dai minibot alla Flat Tax) – è letteralmente esplosa con il cosiddetto Russiagate. Sulle intercettazioni dei colloqui moscoviti di Gianluca Savoini, “ambasciatore” della Lega dalle parti del Cremlino, si è prontamente scatenata la stampa maninstream, dall’“Espresso” al “Fatto Quotidiano”. Pessimo, Salvini, nel fingere di non avere strettissimi rapporti con Savoini. Peraltro, non risulta alcuna transazione di denaro dalla Russia alla Lega, men che meno per tramite dell’Eni. Perché mai il Carroccio avrebbe avuto bisogno di denaro extra, comunque non incassato? Forse per resistere all’abnorme richiesta di dover “restituire” 49 milioni, in realtà mai sottratti allo Stato? La cifra imputata è infatti il totale dei rimborsi elettorali percepiti negli anni, anche lecitamente, mentre l’antico illecito (di Bossi e Belsito, non di Salvini) ammontava a meno di un milione.
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Wall Street Journal: lasciate che gli italiani votino Salvini
Il governo di coalizione italiano è caduto martedì, e va bene così. La difficoltosa intesa tra la Lega, di destra, e il Movimento Cinque Stelle, orientato a sinistra, ha funzionato a fatica per la maggior parte dei suoi 14 mesi al potere. E se nuove elezioni aprono la strada a qualcuno che si possa proporre per tenere la barra più saldamente – e autonomamente – è molto meglio. In caso di elezioni, il vincitore più probabile sarebbe il leader della Lega, Matteo Salvini. Il sostegno alla Lega è salito a quasi il 40% secondo la maggior parte dei sondaggi d’opinione, dal 18% che il partito aveva ottenuto alle elezioni dell’anno scorso. Ciò è in parte dovuto alla linea dura del partito sull’immigrazione, una questione sulla quale Salvini ha assunto un ruolo guida come ministro dell’interno nell’attuale governo. Ma anche il suo orientamento in campo economico ha avuto un ruolo nella sua ascesa politica. La Lega si è guadagnata la reputazione di partito pro-business, e Salvini propone un taglio delle aliquote fiscali sulle società come elemento centrale del suo piano per rilanciare l’economia italiana.Questa mossa fiscale è alla radice delle recenti lotte di Roma contro l’Unione Europea. I ragionieri di Bruxelles si aggrappano a previsioni economiche largamente inventate per opporsi alla volontà di Salvini di sperimentare la riforma fiscale. I partner della coalizione di Salvini hanno peggiorato le cose con le grandiose promesse dei Cinque Stelle di espandere la spesa sociale, una sconsideratezza che l’Ue dovrebbe scoraggiare. Questi contrasti creano un’incertezza che non piace ai mercati. I timori di una uscita dell’Italia dall’Eurozona o dalla Ue sembrano esagerati, finché gli italiani appoggiano l’appartenenza all’Eurozona e si fidano dell’Ue più di quanto si fidino del loro governo nazionale, secondo un recente sondaggio Eurobarometro. La principale minaccia per la stabilità politica e per l’Ue ora è che Bruxelles faccia cambiare idea agli italiani, contrastando gli sforzi di riforma di Salvini.Salvini ha di fronte a sé una strada abbastanza dura per diventare presidente del Consiglio. Le dimissioni, martedì, del presidente del Consiglio di facciata Giuseppe Conte aprono un periodo di lotte, con i Cinque Stelle che cercano di salvarsi alleandosi con qualche altro partito. Ma se il tentativo fallisce, gli elettori avranno un’altra possibilità di scommettere su Salvini. È una scommessa che Bruxelles dovrebbe consentire loro di fare, a prescindere da quanto prescrivono le regole dell’Ue. Un’Italia non riformata e scontenta non rappresenta in misura minore una minaccia per la stabilità politica ed economica europea rispetto a un’Italia che Salvini sta cercando di rilanciare con un taglio di tasse e alcune riforme politiche. Chiamiamolo un “Matteo pass”, una mossa a lungo termine per vincere la partita. I mandarini di Bruxelles devono lasciare agli italiani lo spazio necessario per verificare se sia questo quello che sceglieranno gli elettori.(“Un Matteo-Pass per l’Italia”, articolo del “Wall Street Journal” tradotto da “Voci dall’Estero” e proposto il 20 agosto 2019 al pubblico italiano).Il governo di coalizione italiano è caduto martedì, e va bene così. La difficoltosa intesa tra la Lega, di destra, e il Movimento Cinque Stelle, orientato a sinistra, ha funzionato a fatica per la maggior parte dei suoi 14 mesi al potere. E se nuove elezioni aprono la strada a qualcuno che si possa proporre per tenere la barra più saldamente – e autonomamente – è molto meglio. In caso di elezioni, il vincitore più probabile sarebbe il leader della Lega, Matteo Salvini. Il sostegno alla Lega è salito a quasi il 40% secondo la maggior parte dei sondaggi d’opinione, dal 18% che il partito aveva ottenuto alle elezioni dell’anno scorso. Ciò è in parte dovuto alla linea dura del partito sull’immigrazione, una questione sulla quale Salvini ha assunto un ruolo guida come ministro dell’interno nell’attuale governo. Ma anche il suo orientamento in campo economico ha avuto un ruolo nella sua ascesa politica. La Lega si è guadagnata la reputazione di partito pro-business, e Salvini propone un taglio delle aliquote fiscali sulle società come elemento centrale del suo piano per rilanciare l’economia italiana.
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Truffa 5 Stelle, il giocattolo preferito dei nemici dell’Italia
Dopo aver esibito l’intero campionario della peggior politica – la cialtroneria distintiva della Seconda Repubblica fondata sulla fuffa e sull’imbroglio del nuovismo – ora i 5 Stelle (avvinghiati alle poltrone) mettono in mostra anche il peggio della Prima, il trasformismo. Ai parlamentari grillini è severamente vietato cambiare casacca? Niente paura, basta traslocare in blocco l’intero “moVimento”, facendogli fare esattamente il contrario di quanto aveva promesso a quei fessi degli elettori. Persino l’impensabile: andare a nozze con l’odiato Renzi e la sua “banda di ladroni”, quella che avrebbe “distrutto il paese”, stando sempre al soave lessico grillino. In questa corsa cieca e suicida verso l’abisso, deputati e senatori arruolati dal partito-caserma di Grillo e Casaleggio non hanno freni: sono pronti anche a tenere in ostaggio gli italiani, scongiurando le elezioni anticipate e preparandosi a sorreggere un esecutivo “istituzionale” iper-governista, barbaricamente alleato degli euro-killer come Ursula von der Leyen, non a caso giunta alla guida della Commissione Europea con il contributo determinante degli ex rivoluzionari all’amatriciana, eccitati dall’ex comico genovese e “selezionati” via web dalla rinomata piattaforma privata della Casaleggio & Associati.Per pesare lo spessore politico del loro attuale, pericolante portavoce, basta ricordare la disinvoltura con cui Luigi Di Maio nella primavera 2018 tendeva la mano indifferentemente alla Lega e al Pd, pur di far nascere un governo quale che fosse. Lo si è visto brillare puntualmente, Di Maio: prima amico dei Gilet Gialli e poi devoto ad Angela Merkel, socia della bestia nera dei Gilet Janunes, Emmanuel Macron. Una conversione folgorante, sulla via di Bruxelles, come quelle – altrettanto mistiche – sull’Ilva di Taranto, sul Tap pugliese, sulle trivelle petrolifere in Adriatico. Anticamente, i 5 Stelle blateravano di un referendum consultivo sull’euro. Poi, guidati dal loro padrone Beppe Grillo, hanno chiesto asilo a Strasburgo agli ultra-euristi dell’Alde. Mossa non riuscita al primo colpo, ma ora insaponata alla perfezione dall’operazione-Ursula: tra i nazi-euristi, oggi i 5 Stelle si sono aggregati tra gli applausi di chi l’Italia l’ha distrutta per davvero. Sono riusciti in un’impresa da record: tradire ogni tipo di promessa. Non volevano gli F-35 né l’obbligo vaccinale, ma si sono rimangiati tutto. Persino il Tav Torino-Lione è finito nella spazzatura grillina, con l’aggiunta della farsa parlamentare inscenata per recitare per l’ultima volta la commedia degli oppositori, in realtà allineati ai diktat indiscutibili del loro premier Conte e del solito padrone Grillo.Fondato nel 2009, il Movimento 5 Stelle non ha mai sentito il bisogno – in dieci anni – di confrontarsi in un regolare congresso, per misurare idee e verificare tesi e impostazioni. Ha offerto di sé uno spettacolo indecoroso, particolarmente rassicurante per il grande potere economico: una belante scolaresca al guinzaglio, al posto di quella che, nell’Europa devastata dall’austerity, doveva essere l’avanguardia di un riscatto popolare democratico. Non hanno solo tradito ogni aspettativa: hanno diserbato il terreno dove poteva crescere una protesta seria fino a tradursi in proposta concreta. Sono il giocattolo perfetto per chiunque abbia cattive intenzioni, e quindi interesse a disinnescare il dissenso, convogliandolo verso lidi innocui. Appena è comparso un concorrente – non un eroe omerico, solo il modesto Salvini – l’elettorato ex-grillino ha dato inizio all’emorragia, riconoscendo nel capo della Lega molte delle parole d’ordine del grillismo delle origini, messe in campo però con ben altra coerenza. Non appena Salvini ha accennato a contestare Bruxelles, cioè i dominatori che ci fanno la guerra da decenni, il potere ha prontamente usato i grillini per neutralizzare il potenziale disturbatore.Se si votasse oggi, dicono i sondaggi, i 5 Stelle scenderebbero attorno al 10% dei consensi. Se invece sorreggessero il governo anti-italiano al quale stanno affanosamente lavorando, per loro l’estinzione sarebbe garantita. Ma non importa, perché a questo dovevano servire: a disarmare il paese, mantenendolo debole e vulnerabile, dopo aver abilmente finto di raccogliere le migliore istanze degli italiani. Quello infatti era il pericolo: che avesse uno sbocco politico la rabbia di milioni di italiani, esasperati dalla “democratura” finanziaria gestita dall’establishment neoliberista col supporto dei collaborazionisti domestici. Più che servizievoli, i 5 Stelle hanno gareggiato in zelo con le peggiori maschere del vecchio potere italiano ed eurocratico. E ora eccoli – con Matteo Renzi – a progettare un esecutivo con un’unica missione: sabotare Salvini, cioè l’unico politico che mostri (in modo larvale, almeno) una specie di visione del futuro, avendo chiaro che lo status quo – i “signor no” della Commissione che tagliano i viveri all’Italia – può voler dire solo una cosa, e cioè crisi infinita. Gettata la maschera, contro l’Italia ora combattono a viso aperto anche i grillini, disperatamente avvinghiati ai loro seggi parlamentari: capiscono perfettamente che gli elettori, ferocemente traditi, non li perdoneranno mai.Dopo aver esibito l’intero campionario della peggior politica – la cialtroneria distintiva della Seconda Repubblica fondata sulla fuffa e sull’imbroglio del nuovismo – ora i 5 Stelle (avvinghiati alle poltrone) mettono in mostra anche il peggio della Prima, il trasformismo. Ai parlamentari grillini è severamente vietato cambiare casacca? Niente paura, basta traslocare in blocco l’intero “moVimento”, facendogli fare esattamente il contrario di quanto aveva promesso a quei fessi degli elettori. Persino l’impensabile: andare a nozze con l’odiato Renzi e la sua “banda di pidioti”, quella che avrebbe “distrutto il paese”, stando sempre al soave lessico grillino. In questa corsa cieca e suicida verso l’abisso, deputati e senatori arruolati dal partito-caserma di Grillo e Casaleggio non hanno freni: sono pronti anche a tenere in ostaggio gli italiani, scongiurando le elezioni anticipate e preparandosi a sorreggere un esecutivo “istituzionale” iper-governista, barbaricamente alleato degli euro-killer come Ursula von der Leyen, non a caso giunta alla guida della Commissione Europea con il contributo determinante degli ex rivoluzionari all’amatriciana, eccitati dall’ex comico genovese e “selezionati” via web dalla rinomata piattaforma privata della Casaleggio & Associati.
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Il finto sovranismo della “serva Italia” e l’inganno di Grillo
Nell’800 l’Italia unitaria è nata serva al servizio di potenze dominanti, per loro volere e intervento. Con le guerre coloniali e con l’inopportuna partecipazione alla Prima Guerra Mondiale ha cercato invano di affrancarsi e di parificarsi a Francia, Germania, Regno Unito. Poi ci ha provato Mussolini. Poi, nel secondo dopoguerra, in diversi modi, grandi personaggi hanno tentato di difendere gli interessi nazionali dal predominio e dall’ingerenza degli interessi stranieri: Mattei, Moro, Craxi, Berlusconi; i primi due stati neutralizzati da criminali, il terzo dalla giustizia, il quarto di nuovo dalla giustizia in collaborazione con lo spread (Draghi-Merkel). Gli spavaldi economisti che prospetta(va)no una facile e vantaggiosa uscita dell’Italia dall’euro per sottrarsi al rigorismo recessivo, forse non tenevano presente la realtà storica. E’ stato provato che l’Italia è inserita, da poteri tecno-finanziari esterni ad essa e contrari ai suoi interessi, in un certo programma europeo o atlantico, che comprende il suo spolpamento e la cessione dei suoi assets a controllo straniero.L’euro e le sue regole sono uno strumento essenziale a questo fine (vedi i miei “Euroschiavi”, “Tecnoschiavi”, “Cimiteuro”, “Traditori al Governo”, “Oligarchia per popoli superflui”). L’Italia neanche se unita e neanche se guidata da autentici statisti – quali oggi non esistono né in Italia né altrove in Occidente – potrebbe battere il liberal-capitalismo finanziario imperante, e affrancarsi da tale programma: gli strumenti finanziari, monetari, mediatici e giudiziari in mano agli interessi dominanti sono troppo forti; prima bisognerebbe che il loro apparato di potenza fosse abbattuto da un rivolgimento perlomeno continentale. Soprattutto sotto leader modesti come Salvini, Di Maio, Renzi, con certezza non si raggiunge la libertà. I tentativi di affrancamento, come quello, vago e timido, del governo gialloverde, non possono che fallire e ricadere in danno agli italiani. Dai tempi dell’occupazione longobarda, e poi franca, normanna, francese, spagnola, austriaca, la gran parte dei politici italiani aspira a collaborare coi padroni stranieri aiutandoli a sfruttare l’Italia, perché aiutandoli si eleva verso di essi e sopra i comuni italiani. E’ un tratto culturale storicamente consolidato. In Italia, fare il Quisling non è un titolo di demerito, ma all’opposto di nobiltà; questo va ricordato a coloro che hanno dato del Quisling al Quirinale: non è un vilipendio, è un encomio.Da tutto quanto sopra consegue che agli italiani conviene un governo non ribelle agli interessi stranieri, specificamente franco-tedeschi, piuttosto che uno ribellista ma impotente, che attira ritorsioni su di loro. Un governo sottomesso ma dialogante, che attenui la violenza del processo di spolpamento, espropriazione ed invasione afroislamica, e lo diluisca nel tempo, dando modo alla popolazione generale di vivere decentemente qualche anno in più, e alla parte più valida di essa di emigrare e trasferire aziende e patrimonio all’estero. Agli intellettuali antisistema non conviene farsi partito politico, sia perché non vi è spazio per l’azione politica, sia perché verrebbero attaccatati dai magistrati politici e dall’apparato mediatico. L’azione antisistema, di critica e controproposta al regime tecnofinanziario, sebbene impossibile sul piano governativo, potrebbe invece parallelamente continuare sul piano culturale e informativo: la critica intelligente e competente potrebbe costituire un’associazione internazionale di ricerca scientifica socio-economica, geostrategica e storica, meglio se con sede all’estero (fuori della portata della giustizia nostrana), indipendente da ogni ente pubblico e dal capitale privato, avente lo scopo di mettere in luce la verità, gli inganni e i meccanismi monetari-finanziari che essi nascondono.Ora qualche nota sulla crisi di governo in atto. Salvini l’ha aperta in un momento scelto razionalmente, forse non il migliore, ma verosimilmente l’ultimo possibile (non voglio pensare l’abbia aperta confidando nelle assicurazioni di Zingaretti, che non si sarebbe alleato coi grillini ma avrebbe spinto per le elezioni: se Salvini si fosse fidato di tali dichiarazioni, ignorerebbe l’abc della politica, ossia che menzogna e dissimulazione sono parte essenziale del metodo politico). Poi l’ha gestita male, con tentennamenti, incertezze, contraddizioni e scarse analisi economico-giuridiche. Al Senato non si è difeso efficacemente dalle stroncature di Conte: ha replicato usando argomenti deboli mentre ne aveva a disposizione di ben più forti; non ha ribattuto sul piano giuridico-costituzionale; è apparso in pallone, impacciato, patetico nei suoi appelli alla Madonna e nel suo offrirsi come bersaglio.La sua difesa è stata fatta molto meglio dalla senatrice Bernini di Forza Italia, che ha smascherato l’ipocrisia e le contraddizioni di Conte. Salvini è un buon comunicatore, ha un buon fiuto, non è stupido, è ben sopra la media dei politici nostrani, ma adesso tutti hanno potuto vedere che non ha la saldezza né la preparazione culturale dello statista. E’ o è stato un leader carismatico, e i leader carismatici perdono il carisma allorché appaiono perdenti. Però Salvini può ancora rinquartarsi e recuperare, specialmente se la Lega va all’opposizione e fa opposizione dura e aggressiva nelle piazze, o anche se ricuce con il partito della Casaleggio & Associati, perlomeno al fine di proteggersi dagli attacchi giudiziari stando al governo. Però in ogni caso dovrebbe colmare le sue lacune in diritto costituzionale ed economia internazionale. Ad ogni modo, la carica sovranista e antisistema dei capi grillini e leghisti era da tempo andata scemando e riducendosi a poche banalità pressoché inoffensive e a denunce sterili.Ben diversamente, Grillo era partito, prima che fosse fondato il M5S, da una vera critica antisistema, che metteva in luce il fattore centrale del potere e dell’iniquità, che spoglia della loro sovranità i popoli: la privatizzazione della sovranità monetaria, il monopolio privato della produzione e allocazione della moneta e del credito. Poi, divenendo capo di una formazione partitica assieme alla Casaleggio e Associati, aveva smesso di parlare di queste cose, troppo autenticamente disturbanti per il sistema, e si era giustificato, ad usum imbecillium, asserendo che si tratterebbe di cose che la gente non capisce. Era passato alla dottrina del vaffa, più alla portata della classe cui si rivolgeva, e ben tollerabile per il sistema. Tuttavia, ancora nei due anni precedenti le elezioni politiche del 2018, alcuni esponenti grillini, segnatamente Villarosa (attuale sottosegretario alle finanze), Pesco e Sibilia, si erano interessati e avevano approfondito con impegno la materia monetaria e bancaria, richiedendo e ricevendo la collaborazione mia e di altri studiosi di questo campo, organizzando eventi pubblici e promettendo iniziative concrete una volta al governo. Ma, al contrario, una volta accomodatisi sulle poltrone governative, i predetti non solo non hanno preso alcuna concreta e visibile iniziativa, ma hanno addirittura rifiutato ulteriori contatti con noi.Evidentemente avevano ricevuto ordini di scuderia e calcolato la loro convenienza. Si sono allineati al sistema, con tutto il Movimento, il quale si è rivelato e confermato uno strumento per raccogliere il dissenso antisistema e poi neutralizzarlo, anzi portarlo al sistema convertendolo in consenso ad esso, a braccetto col partito dei finanzieri detto Pd, e con la risibile mascheratura di contentini demagogici, rumorosi e dannosi come il cosiddetto reddito di cittadinanza, il salario minimo, una riforma giacobina e incompetente del processo penale. E dopo hanno votato Ursula von der Leyen, falco finanziario germano-rigorista, gettando completamente la maschera: servono interessi opposti a quelli dichiarati. Ancor prima, Movimento e Lega erano entrambi passati da posizioni critiche verso l’euro, spavaldamente contemplanti la possibilità di uscirne senza danno (Borghi, Bagnai) in caso di rifiuto di opportune e strutturali riforme dell’apparato europeo, a posizioni di definitiva accettazione dell’euro e di arrendevolezza a Bruxelles. Ma ciò non è bastato ad evitare l’isolamento e la marginalizzazione dell’Italia in sede europea, né a ottenere più margini di spesa pubblica. Insomma, come governo antisistema il governo gialloverde era fallito prima di cadere, o più precisamente prima di nascere. Non abbiamo perso molto. Anzi, abbiamo guadagnato in chiarezza.(Marco Della Luna, “Il soranismo della serva Italia”, dal blog di Della Luna del 22 agosto 2019).Nell’800 l’Italia unitaria è nata serva al servizio di potenze dominanti, per loro volere e intervento. Con le guerre coloniali e con l’inopportuna partecipazione alla Prima Guerra Mondiale ha cercato invano di affrancarsi e di parificarsi a Francia, Germania, Regno Unito. Poi ci ha provato Mussolini. Poi, nel secondo dopoguerra, in diversi modi, grandi personaggi hanno tentato di difendere gli interessi nazionali dal predominio e dall’ingerenza degli interessi stranieri: Mattei, Moro, Craxi, Berlusconi; i primi due stati neutralizzati da criminali, il terzo dalla giustizia, il quarto di nuovo dalla giustizia in collaborazione con lo spread (Draghi-Merkel). Gli spavaldi economisti che prospetta(va)no una facile e vantaggiosa uscita dell’Italia dall’euro per sottrarsi al rigorismo recessivo, forse non tenevano presente la realtà storica. E’ stato provato che l’Italia è inserita, da poteri tecno-finanziari esterni ad essa e contrari ai suoi interessi, in un certo programma europeo o atlantico, che comprende il suo spolpamento e la cessione dei suoi assets a controllo straniero.