Archivio del Tag ‘bombe’
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L’amara lezione di Zanoli, il Giusto che ripudia Israele
Atto di dolore, da parte di Gad Lerner, per la drammatica decisione del novantenne avvocato olandese Henk Zanoli, giunto a “ripudiare” lo status di “Giusto tra le Nazioni”, attribuitogli da Israele per aver salvato un bambino ebreo nell’Olanda occupata dai nazisti. Zanoli, che ha acquisito parenti palestinesi dopo che la figlia, diplomatica, ha sposato un economista di Gaza, protesta così – nel modo più plateale – dopo il bombardamento della Striscia che il 20 luglio ha sterminato i suoi parenti palestinesi, sei persone, tra cui una bambina di 12 anni. Lerner, ebreo, denuncia «il dilemma morale che lacera le nostre coscienze: l’Israele di oggi, l’Israele che c’è, non sta forse gettando un’ombra sinistra sull’eterno Israele messianico luogo di salvezza?». Nel calvario familiare di Henk Zanoli c’è anche la memoria del padre, di cui porta il nome, ucciso a Mauthausen dov’era stato rinchiuso per aver osato opporsi all’occupazione nazista. E ora, la carneficina di Gaza. Che trasforma il dolore di Zanoli in condanna: lo Stato di Israele è razzista, violento, spietato, disumano.«La scelta compiuta dal Giusto, che tale naturalmente rimane, è terribile e nobile al tempo stesso», scrive Lerner su “Repubblica”. Nobile, certo, «perché investe la sua autorevolezza nel denunciare l’ottenebrarsi delle coscienze, spinte a tollerare come necessari la strage dei civili e la prospettiva dell’apartheid». Ma anche “terribile”, secondo il giornalista, «perché, anche senza volerlo, ripropone un’insidiosa, ambigua comparazione fra i crimini di cui furono vittime gli ebrei settant’anni fa in Europa, e gli atti criminali compiuti nel corso di azioni di guerra dallo Stato che di quelle vittime si sente erede e portavoce». Zanoli lo ha scritto in una lettera all’ambasciatore israeliano all’Aja: «Conservare l’onorificenza concessami dallo Stato d’Israele in queste circostanze sarebbe un insulto alla memoria della mia coraggiosa madre», Johana, che lo aiutò a proteggere il bambino in pericolo durante il terrore nazista.Sotto le bombe di Gaza, Zanoli sente “insultate” «le ultime quattro generazioni» della sua famiglia. Ma non basta. «Dopo l’orrore della Shoah – aggiunge – la mia famiglia ha sostenuto con forza il popolo ebraico anche riguardo alle sue aspirazioni a un focolare nazionale. Ma in più di sei decenni ho cominciato a realizzare che il progetto sionista fin dall’inizio conteneva in sé un elemento razzista mirante a costruire uno Stato esclusivamente per gli ebrei». Su questo passaggio, Lerner dissente: «L’esclusivismo negatore di una possibile convivenza con gli arabi di Palestina fu teorizzato solo da una corrente interna al movimento sionista, da altri contrastato, e dunque non ne rappresentava un esito inevitabile». Il che, però, «non toglie che riesca arduo – ammette Lerner – disgiungere l’anelito di redenzione, l’impronta socialista e ugualitaria del movimento di liberazione ebraico, da quell’altro ineludibile dato di fatto che Ari Shavit, nel suo bel libro “La mia terra promessa” (Sperling & Kupfer) ha avuto la franchezza di definire “la brutalità sionista”».Non è un caso, aggiunge Lerner, se gli storici revisionisti israeliani che per primi hanno documentato l’esistenza di un piano per scacciare i palestinesi dalle loro case durante la guerra d’indipendenza del 1948, da Ilan Pappe a Benny Morris, pur giungendo a identiche conclusioni ne abbiano poi tratto conseguenze radicalmente opposte: il primo giudicandolo un peccato originale inestinguibile (la pulizia etnica della Palestina), il secondo giustificando quella brutalità come “passaggio inevitabile”. In realtà, lo stesso Pappe documenta come la cacciata dei palestinesi fu perseguita con spietata lucidità decenni prima dell’avvento di Hitler. E Paolo Barnard, autore del saggio “Perché ci odiano” (Rizzoli) ricorda le agghiaccianti “raccomandazioni” di David Ben Gurion, leader del sionismo moderno e padre fondatore dello Stato di Israele: sterminare tutti i palestinesi, compresi anziani, donne e bambini.Gad Lerner esprime il timore che il genocidio palestinese, che definisce «poco più che un dettaglio della storia», agli occhi di un grande reduce come Zanoli, possa essere equiparato all’Olocausto degli ebrei d’Europa, costituito da «milioni di vittime». In realtà, secondo il massimo testimone della Shoah – Primo Levi, peraltro mai tenero con Israele – la terribile unicità storica dell’abominio nazista non scaturisce tanto dalla tragica conta delle vittime, quanto dalla micidiale capacità di progettazione stragistica dei nazisti, il cinismo nel rivendicare apertamente il diritto al massacro e la loro lucida meticolosità nell’applicare fino in fondo le procedure della strage con cieca abnegazione. Un concetto che Levi sottolinea in numerosi scritti, tra cui i capitoli “La zona grigia” e “Lettere di tedeschi” del suo ultimo capolavoro, “I sommersi e i salvati”. Per concludere che, in fondo, è toccato alla Germania dimostrare di cosa è capace l’essere umano: un intero popolo interamente corrotto dal veleno ideologico, incapace di riconoscere il male e pronto a farsi carnefice, esecutore, complice, pavido testimone omertoso.Pur rifiutando il paragone col nazismo, Gad Lerner ammette che «quella brutalità» commessa da Israele contro i palestinesi «si sarebbe perpetuata nei decenni successivi, fino a oggi, quando il mondo (per fortuna) fatica a sopportarla». E ricorda che Henk Zanoli «non è il primo testimone a coinvolgere Yad Vashem», cioè la suprema istituzione che elabora e onora la memoria della Shoah, «nel confronto con le guerre mediorientali». E cita un sopravvissuto ai lager, Schlomo Schmalzman, che nell’estate 1982 – quando Begin e Sharon scatenarono un’offensiva per la conquista di Beirut – salì sul monte Herzl a Gerusalemme e, all’interno di Yad Vashem, intraprese uno sciopero della fame. Voleva così protestare contro «l’osceno strumentale paragone» con cui il premier Begin aveva sostenuto: «L’alternativa all’attacco in Libano è Treblinka». Durante quella stessa guerra, aggiunge Lerner, un comandante di brigata, Eli Geva, rifiutò di guidare le sue truppe alla presa di Beirut precisando, per scongiurare insinuazioni sul suo coraggio, che avrebbe partecipato all’operazione da soldato semplice: non se sentiva di comandare le truppe (e i miliziani locali, falangisti) che avrebbero fatto a pezzi donne e bambini nei campi profughi di Sabra e Chalila, suscitando l’orrore del mondo.Ancora oggi, continua Lerner, una delle voci più note del dissenso israeliano, la giornalista di “Haaretz” Amira Hass, rivendica la sua opera di denuncia delle discriminazioni inflitte ai palestinesi come tributo all’esperienza vissuta dai suoi genitori: la madre deportata a Bergen Belsen, il padre rinchiuso nel ghetto di Shogorad. «Né va dimenticato un predicatore del dialogo come Marek Halter, che non esita a incontrare i dirigenti di Hamas presentandosi loro come sopravvissuto del ghetto di Varsavia». La forza del gesto di Henk Zanoli, sostiene Lerner, «ripropone l’insidia dei paragoni storici spesso branditi con stolta o maliziosa ignoranza, all’unico scopo di umiliare chi ancora si porta addosso le piaghe della Shoah». Parallelismi difficili, ma non impossibili: Marek Edelman, il sopravvissuto vicecomandante della rivolta del ghetto di Varsavia, autonominatosi “guardiano” degli ebrei polacchi sterminati, nel 1993 decise di accompagnare fin dentro a Sarajevo assediata un convoglio di aiuti umanitari. «Diciamo che si è proposto egli stesso come “allusione” necessaria», conclude Lerner. «Se serve, a fin di bene, con la dovuta cautela, in casi eccezionali, i Giusti possono violare il paradigma sacrale dell’unicità dello sterminio che ha sfregiato l’Europa. Di fronte agli armeni, agli zingari, ai cambogiani, ai tutsi, agli yazidi, ai milioni di profughi di nuovo oggi in fuga dalle loro case, chi mai avrebbe titolo per proibirlo?».http://www.gadlerner.it/2014/08/17/il-giusto-e-le-terribili-lezioni-della-storia-fra-israele-e-gaza?utm_source=feedburner&utm_medium=email&utm_campaign=Feed%3A+gadlerner%2Ffeed+%28Gad+Lerner+Blog%29Atto di dolore, da parte di Gad Lerner, per la drammatica decisione del novantenne avvocato olandese Henk Zanoli, giunto a “ripudiare” lo status di “Giusto tra le Nazioni”, attribuitogli da Israele per aver salvato un bambino ebreo nell’Olanda occupata dai nazisti. Zanoli, che ha acquisito parenti palestinesi dopo che la figlia, diplomatica, ha sposato un economista di Gaza, protesta così – nel modo più plateale – dopo il bombardamento della Striscia che il 20 luglio ha sterminato i suoi parenti palestinesi, sei persone, tra cui una bambina di 12 anni. Lerner, ebreo, denuncia «il dilemma morale che lacera le nostre coscienze: l’Israele di oggi, l’Israele che c’è, non sta forse gettando un’ombra sinistra sull’eterno Israele messianico luogo di salvezza?». Nel calvario familiare di Henk Zanoli c’è anche la memoria del padre, di cui porta il nome, ucciso a Mauthausen dov’era stato rinchiuso per aver osato opporsi all’occupazione nazista. E ora, la carneficina di Gaza. Che trasforma il dolore di Zanoli in condanna: lo Stato di Israele è razzista, violento, spietato, disumano.
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Ledeen, l’amico americano che tiene al guinzaglio il Pd
Se ieri le nostre piazze saltavano in aria perché l’Italia era lo scudo occidentale contro il comunismo sovietico, e si doveva impedire a tutti i costi che il Pci di Berlinguer andasse al governo con Moro, oggi la situazione dello Stivale è persino peggiorata, dato il progressivo esaurimento delle risorse fossili. Questo spiega l’instabilità sul fronte est (lo scontro tra Usa e Russia in Ucraina) e quella sul fronte sud (il massacro di Gaza, motivato anche dall’enorme giacimento di gas, il “Leviatano”, nelle acque palestinesi). «Gli interessi geopolitici del “Gruppo di Georgetown” e del Mossad, quindi, sono identici», sostiene Stefano Ali, mentre «gli interessi economici e militari della destra conservatrice e interventista Usa in Italia sono sensibilmente incrementati», come dimostra l’installazione del Muos a Niscemi o anche l’insistenza sull’acquisto dei disastrosi F-35. «Continuiamo ad essere un paese anomalo, servo della Nato e solo apparentemente democratico, ad opera degli stessi spettri del passato». Da Kissinger a Renzi, passando per Michael Ledeen, indicato come consigliere-ombra del giovane premier per la politica estera.In un post ripreso da “Come Don Chisciotte”, Ali evoca una lobby come il “Gruppo di Georgetown”, capitanato da quel Kissinger che definì Napolitano «il mio comunista preferito», corretto immediatamente da Napolitano (ex comunista, prego). «E Renzi. Matteo Renzi con la sua rete di amicizie internazionali, attraverso Marco Carrai. Davide Serra (con forti interessi in Israele e che porta in dote i legami con la Morgan Stanley), Marco Bernabè (sempre con Tel Aviv con il fondo Wadi Ventures e il padre, Franco, e le sue dorsali telefoniche Italia-Israele), Yoram Gutgeld (israeliano e suo consulente economico – porta in anche dote l’esperienza McKinsey di cui era socio anziano fino al marzo 2013)». Ma sopratutto Ledeen, cioè «la figura più inquietante», che «si allunga dietro tutte le stragi, tutti i depistaggi che hanno attraversato l’Italia e non solo». L’ammiraglio Fulvio Martini, all’epoca capo del Sismi, lo definì «non gradito all’Italia». Ledeen, racconta Ali, fu «sdoganato da Berlusconi appena giunto al potere», e così «imperversò nelle sue televisioni sotto la forma di “commentatore politico internazionale”».Secondo Ali, Ledeen è stato in grado di «ordinare a Matteo Renzi» la cessione degli aeroporti toscani al magnate argentino Eduardo Eurnekian. Secondo il blogger, «Henry Kissinger, Michael Ledeen e le strutture israeliane sono di nuovo (e da sempre) i padroni della scena». C’è chi dice che il Pd è la nuova Dc? Peggio: il partito fondato da Veltroni «ha ormai da tempo tradito le origini, ma con il binomio Renzi-Napolitano è diventato l’antitesi della storia della sinistra». Secondo Stefano Ali, «è l’erede di tutto quel fronte anticomunista che si asservì e asservì l’Italia alla destra conservatrice Usa di Kissinger e Ledeen e del Mossad». Il “muro di gomma” delle stragi impunite? Frutto del blocco di potere «“garante” della subalternità e della sottomissione dello Stato italiano agli interessi del “Gruppo di Georgetown”». Linea diretta coi rottamatori? «Per le referenze su Federica Mogherini, Renzi dice: “Chiedete a John Kerry”». L’esponente Pd fu «ammessa agli incontri segreti con agenti Usa sin dal 2006», scrive Ali, che illumina il retroterra del presunto potere occulto di ieri e di oggi basandosi anche sul testimonianze come quelle del senatore Giovanni Pellegrino, fino al 2001 presidente della Commissione Stragi, autore del libro-denuncia “Segreto di Stato”.«Ciò che può sembrare intreccio di fantascienza complottistica è solo il frutto di un lavoro certosino fatto dalla Commissione Stragi», avverte Ali. «Teniamolo sempre a mente, anche quando sembra di precipitare nelle allucinazioni ansiogene». Nella sua analisi, Pellegrino parte da una premessa ancora attuale: l’Italia non è mai stata una democrazia “normale”, perché – dal Trattato di Yalta – è stata sempre considerata “marca di frontiera”, al doppio crocevia est-ovest e nord-sud. Sovranità limitata: «Una specie di portaerei Nato nel Mediterraneo». A questo, oltre alla pesante presenza del Vaticano, si aggiunga «una spaccatura verticale interna, determinata da post-fascismo e post-Resistenza», tra italiani «anticomunisti» e italiani «antifascisti». Tutta la storia del dopoguerra, secondo Pellegrino, va interpretata in quest’ottica. E’ per questo che certi fili non si spezzano: l’attuale capogruppo del Pd al Senato, Luigi Zanda, figlio dell’ex capo della polizia e allora giornalista dell’“Espresso”, secondo un report del Sisde risalente al lontano 1984 ebbe «rapporti molto stretti» con Ledeen, dopodiché fu promosso consigliere di amministrazione dell’“Editoriale L’Espresso” e ricoprì l’incarico di addetto stampa di Francesco Cossiga durante il sequestro Moro. Stefano Ali parla di connessioni sotterranee con la P2, che faceva da tramite col super-potere Usa, di cui il Mossad israeliano sarebbe stato un braccio operativo nella stagione della strategia della tensione, fra attentati e depistaggi.Se la stagione della guerra fredda aveva permesso lo sviluppo della cosiddetta “Gladio Rossa”, formata da “Lotta Continua”, “Potere Operaio” e le prime Brigate Rosse, fino cioè all’arresto di Curcio e Franceschini, «con la svolta parlamentare del Pci, l’isolamento di Secchia e soprattutto la morte di Feltrinelli», di fatto l’eversione “rossa” «si dissolse, per confluire nelle Brigate Rosse», che però finirono sotto il controllo di Mario Moretti, scampato alla retata che fruttò la cattura dei fondatori grazie a Silvano Girotto, in arte “Frate Mitra”, un classico infiltrato. Da quel momento, scrive Ali, al di là della facciata “di sinistra” delle Br di Moretti, «connotazione ideologica utilizzata solo per fomentare i militanti», i vertici delle strutture “eversive” passarono – tutti – sotto il controllo «degli ambienti della destra repubblicana Usa». Versione controversa: secondo altri analisti, rimase forte anche l’influenza dell’Urss, attraverso la Stasi, l’intelligence della Germania Est. L’Italia, in ogni caso, era un campo di battaglia. E gli attori – sulla sponda occidentale – sono ormai noti. La notizia? Un vecchio arnese come Ledeen, molto «vicino» a Zanda in quegli anni secondo il Sisde, è un super-consigliere di Renzi.«Mossad e destra repubblicana Usa – continua Ali – erano già riusciti a instaurare (in Grecia, Spagna e Portogallo) regimi fascisti». Le stragi italiane, fino al 1969 dovevano quindi servire «affinché, nel dicembre del 1969, Mariano Rumor dichiarasse lo “stato d’emergenza” che ne consentisse l’instaurazione anche in Italia». Rumor, però, non dichiarò lo stato d’emergenza. E il tentato “golpe Borghese” del 1970 fu l’ultimo tentativo, anche quello andato a vuoto. «Da notare che già dagli anni ‘60 la P2 di Gelli era molto attiva: con la sua rete di iscritti soprattutto nelle forze armate e nei servizi segreti, era nelle condizioni di garantire tutta la copertura necessaria». Secondo Ali, da vari documenti risulta che Kissinger e Ledeen «fossero iscritti alla P2 nel “Comitato di Montecarlo” (o “Superloggia”)», un “braccio” della P2 «che si occupava di traffico internazionale di armi e al quale venne fatta risalire in modo diretto l’organizzazione della strage di Bologna». Se Gelli era «solo una sorta di segretario», significa che «le “menti” stavano altrove». Il vero leader? Rimasto nell’ombra, fino ad oggi. In compenso, conclude Ali, molti nomi di allora sono rimasti al loro posto. E qualcuno, oggi, è vicinissimo al governo Renzi. Pronti a tutto, nel caso gli eventi precipitassero in Ucraina con l’offensiva Usa contro la Russia di Putin?Se ieri le nostre piazze saltavano in aria perché l’Italia era lo scudo occidentale contro il comunismo sovietico, e si doveva impedire a tutti i costi che il Pci di Berlinguer andasse al governo con Moro, oggi la situazione dello Stivale è persino peggiorata, dato il progressivo esaurimento delle risorse fossili. Questo spiega l’instabilità sul fronte est (lo scontro tra Usa e Russia in Ucraina) e quella sul fronte sud (il massacro di Gaza, motivato anche dall’enorme giacimento di gas, il “Leviatano”, nelle acque palestinesi). «Gli interessi geopolitici del “Gruppo di Georgetown” e del Mossad, quindi, sono identici», sostiene Stefano Ali, mentre «gli interessi economici e militari della destra conservatrice e interventista Usa in Italia sono sensibilmente incrementati», come dimostra l’installazione del Muos a Niscemi o anche l’insistenza sull’acquisto dei disastrosi F-35. «Continuiamo ad essere un paese anomalo, servo della Nato e solo apparentemente democratico, ad opera degli stessi spettri del passato». Da Kissinger a Renzi, passando per Michael Ledeen, indicato come consigliere-ombra del giovane premier per la politica estera.
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Brzezinski: spartizione Usa-Cina o Terza Guerra Mondiale
«L’enorme instabilità a livello mondiale non ha precedenti storici», perché «grandissime fette di territori sono governate da instabilità populista, rabbia e perdita del controllo statale». Zbigniew Brzezinski, consigliere strategico di Carter e storico “cervello” dell’egemonia mondiale statunitense, lancia l’allarme: «Non stiamo declinando verso una crisi per la sopravvivenza, ma stiamo perdendo il controllo dei nostri massimi livelli di abilità nell’affrontare sfide che, sempre più, molti di noi riconoscono essere fondamentali per il nostro benessere». Dura lezione, per gli Usa, i fallimenti a catena degli ultimi vent’anni: «Non possiamo arruolare forze o creare leadership per gestirle», e questo rende gli Usa «sempre più privi di volontà strategica e senso della direzione da intraprendere». Scenario: «Siamo di fronte a un mondo pieno di tumulti, frammentazione e incertezza: nessuna minaccia diretta per nessuno, ma molte differenti minacce praticamente per chiunque».Nella polveriera del Medio Oriente, dice Brzezinski in un colloquio con David Rothkopf ripreso da “Come Don Chisciotte”, si può contare davvero soltanto su pochi Stati, dotati di relativa stabilità: sicuramente la Turchia e l’Egitto, poi l’Iran – con cui gli Usa sono in stato di crisi – e ovviamente Israele, ma solo a patto che nasca una pace stabile, con la creazione di uno Stato autonomo dei palestinesi. All’appello manca l’Iraq: tragico errore, ammette Brzezinski, la guerra di George W. Bush per eliminare Saddam, che faceva da argine contro il jihadismo di Al-Qaeda. «Siamo intervenuti in Libia senza un piano a lungo termine, lasciando campo a forze destabilizzanti», dice Rothkopf. «Non abbiamo intrapreso azioni decise in Siria e, come conseguenza di ciò e della situazione in Iraq, si è diffuso il malcontento in Siria. I rischi sono ovunque e le forze stabilizzatrici maggiori al mondo – Usa, Ue e Cina – hanno desiderio di interventi costruttivi in ben poche di queste situazioni».Per Brzezinski, gli Stati Uniti non hanno più molte chances nella regione petrolifera. Ma non sono i soli a subire danni dal caos che dilaga: «Le due nazioni che potrebbero maggiormente essere danneggiate da questi sviluppi a lungo termine sono Cina e Russia, a causa dei loro interessi regionali, la vulnerabilità al terrorismo e gli interessi strategici sul mercato globale dell’energia». Di conseguenza, Pechino e Mosca dovrebbero «lavorare insieme a noi», evitando di lasciare solo agli Usa «la responsabilità di gestire una regione che non possiamo né controllare né comprendere». Rothkopf fa presente che gli Stati Uniti sono stati «spinti dagli eventi in Iraq per lo meno a collaborare attraverso qualche sorta di tacito accordo nei riguardi dell’Isis, o Stato Islamico», e c’è chi teme negoziati con l’Iran verso un disgelo tra Washington e Teheran. «Vedo l’Iran come un vero Stato-nazione», dice Brzezinski. «Quella identità reale gli dà la coesione di cui la maggior parte del Medio Oriente è priva».I problemi: la competizione coi sunniti e la ventilata minaccia di Teheran nei confronti di Israele, a cui Brzezinski però non crede. «Il punto della questione è che Israele ha un monopolio nucleare nella regione e ce l’avrà per lungo tempo», continua l’analista. «Una cosa che gli iraniani non faranno di sicuro è intraprendere una missione suicida nel momento in cui avranno una bomba. Quindi l’idea che è stata pubblicizzata negli Usa che potrebbe scaturire una folle corsa iraniana per avere la bomba in nove mesi a mio parere è insensata», anche perché «Israele ha un esercito molto forte e circa 150-200 bombe: ciò è sufficiente per uccidere ogni iraniano». Poi ci sono i tradizionali alleati Usa nella regione. Buio pesto: Brzezinski si dichiara «confuso» dalla tragedia della guerra civile siriana. «Non mi è chiaro – dice – cosa esattamente pensassero di ottenere i sauditi e i qatarioti scatenando una guerra settaria in Siria, e sono ancora più frastornato da cosa noi pensassimo avremmo potuto ottenere sostenendoli in una maniera tanto esitante e inconsistente». Ammette Brzezinski: «E’ dalla seconda guerra in Iraq che noi americani ci siamo squalificati come protettori e promulgatori di qualsivoglia sviluppo positivo», per cui «sarebbe meglio concludere qualche sorta di tacito accordo coi cinesi e i russi», sulla gestione della geopolitica in Medio Oriente.Sulla Russia, però, la visione di Brzezinski è brutalmente unilaterale: già anni fa, la sua “dottrina” suggeriva di amputare Mosca dell’Ucraina e in particolare della Crimea, privando i russi dello sbocco strategico sul Mar Nero. Oggi non ha cambiato idea: chiama “invasione” il recupero della Crimea votato a fuori di popolo. E imputa a Mosca – anziché a Washington – l’iniziativa in Ucraina, senza alcun commento sui neonazisti appoggiati dalla Nato che hanno gestito il golpe a Kiev, dato alle fiamme il palazzo dei sindacati a Odessa e cominciato a prendere a cannonate la popolazione civile russofona, per sfrattarla dell’Est del paese “prenotato” dalle grandi compagnie, come la Shell, interessate allo “shale gas” del sottosuolo ucraino. Brzezinski sogna relazioni privilegiate Usa-Cina escludendo la Russia, di cui non sopporta la crescente influenza internazionale anche in ambito Brics, ma sa benissimo che i cinesi non gradiscono un’ipotesi G2, fondata sulla leadership di Washington e Pechino.Quanto al Giappone, passi che si avvicini all’India per bilanciare l’espansionismo cinese, ma è bene che sappia che gli Usa non sosterranno Tokyo se tenterà un braccio di ferro militare con la Cina per le contese isolette del Pacifico. Grande assente, in ogni scenario geopolitico mondiale, il vecchio continente: «Dove sono i padri dell’Europa che davvero credono nell’identità europea? Alla fine, la Ue si è dimostrata essenzialmente una serie di accordi a Bruxelles, basati sul denaro e i quid pro quo, ma con molto poco senso di obiettivi comuni». Salvo ovviamente tentare – ancora – di proteggere i propri interessi post-coloniali in paesi africani in subbuglio, come Sudan, Somalia, Repubblica Centrafricana, Nigeria e Mali. L’anziano Brzezinski la vede così: nel futuro, ipotetico grande “condominio” americano e cinese, l’Europa resterà «un tentacolo» degli Usa, a patto che accetti accordi commerciali euro-atlantici come il Ttip: «Uniamo questi ultimi alla Nato, all’annessione dell’Ucraina all’Ue, che a sua volta dovrebbe attirare la Russia verso l’Europa, perchè l’ombra della Cina sta sempre più estendendosi sopra Mosca», e avremo un quadro che, secondo lo stratega americano, «potrebbe andare nella direzione di un beneficio collettivo».Riguardo all’ex “cortile di casa”, l’America Latina, Brzezinski è altrettanto sbrigativo: «Gli Usa stanno imparando ad essere tolleranti», sostiene. «Abbiamo imparato a convivere con Cuba, con il Nicaragua, con il Venezuela». La Cina? E’ sostanzialmente tollerante. Sicché, conclude Brzezinski, «allo stesso modo noi possiamo fare lo stesso per loro in Asia. Ovvero: tu ti risolvi i tuoi problemi nelle vicinanze, ma non spingerti oltre. Tolleriamo alcuni sprazzi di autonomia». Tolleranza “a sprazzi”, che Brzezinski definisce «bilateralmente sostenibile». Soprattutto per una ragione: «Loro», i cinesi, «non competono ideologicamente con noi». Riflessione storica: «L’assenza di un conflitto ideologico tra noi e i cinesi è la sostanziale differenza tra i conflitti con l’Unione Sovietica o con Hitler e la Germania. In entrambi i casi c’era forte antagonismo, in parte a causa di ragioni geopolitiche, ma in parte anche per profonde e conflittuali differenze ideologiche». Per Brzezinski, si tratta di «creare una sorta di intesa sulla base di come erano le relazioni tra Roma e Bisanzio: queste due città avevano molto in comune, erano estensioni dello stesso impero, ma avevano diversi centri di potere. Dobbiamo affrontare il fatto che probabilmente per il resto delle nostre vite – a meno che tutto non vada all’inferno, il che sarebbe molto peggio – gli Usa e la Cina sono destinati a cooperare se il mondo vuole avere un sistema efficace».Non sarà facile: l’esercito cinese, tanto per dire, è fortemente antiamericano. Brzezinski, al solito, semplifica: «Noi siamo una super-democrazia, loro una dittatura egocentrica». Ci sono i Brics, naturalmente, della cui crescente autonomia gli Usa hanno paura. L’Europa? Non pervenuta: «Chi sono gli europei? Se vai a Parigi o in Portogallo, o in Polonia, e chiedi “chi sei tu?” ti verrà risposto “Sono portoghese”, “Sono spagnolo”, “sono Polacco”. Quali sono le persone che sono veramente europee?». La speranza del vecchio stratega della Casa Bianca è di coltivare relazioni cooperative con la Cina, l’unica superpotenza paragonabile agli Stati Uniti, una nazione «che esiste da 5-6000 anni», sicura della propria identità e consapevole della sua forza. Una grande nazione, psicologicamente più affidabile degli Stati Uniti: «Noi possiamo facilmente venire troppo coinvolti emotivamente nei loro problemi interni, loro invece non si fanno prendere emotivamente dai nostri». Inoltre, secondo Brzezinski, «i cinesi non sono mai stati stupidi quanto i russi, che più di una volta sono venuti a dirci in faccia “Vi distruggiamo”».Sul futuro imminente, Brzezinski raccomanda prudenza. Obiettivo: evitare quella che molti chiamano Terza Guerra Mondiale. Vero, «ci sono similitudini con il 1914», ma allora «le maggiori potenze avevano una visione più ristretta del mondo», pensavano di risolvere i problemi «con l’uso della forza bruta». Non è più così. «Non vogliamo affondare nella crisi mediorientale. I russi preferirebbero di sì, ma restandone fuori. I cinesi giocano a starsene a guardare da lontano. Tutto ciò fornisce alcune rassicurazioni sul fatto che la situazione non esploderà e non andrà a finire come nel 1914». Cautela, dunque, nell’uso delle armi. Per riuscire a pacificare il Medio Oriente con l’aiuto di Turchia, Iran, Egitto e Israele, avendo «la Cina come socio paritario», fondamentale per «una sorta di stabilità globale», e perfino contando sulla Russia come alleato potenziale, «non appena avrà superato i dissidi con gli europei». Evaporata l’Onu e qualsiasi altra forma di governance istituzionale, Brzezinski propone una nuova Yalta: l’Occidente agli Usa e l’Asia alla Cina, con uno status speciale per India e Giappone. «Questo è il meglio che si possa fare e penso che dovremmo lavorare su queste basi nel corso di questo secolo. Sarà dura. Sarà pericolosa e distruttiva, ma non penso che stiamo scivolando verso una nuova guerra mondiale. Penso che stiamo invece scivolando in un’era di grande confusione e caos dominante».«L’enorme instabilità a livello mondiale non ha precedenti storici», perché «grandissime fette di territori sono governate da instabilità populista, rabbia e perdita del controllo statale». Zbigniew Brzezinski, consigliere strategico di Carter e storico “cervello” dell’egemonia mondiale statunitense, lancia l’allarme: «Non stiamo declinando verso una crisi per la sopravvivenza, ma stiamo perdendo il controllo dei nostri massimi livelli di abilità nell’affrontare sfide che, sempre più, molti di noi riconoscono essere fondamentali per il nostro benessere». Dura lezione, per gli Usa, i fallimenti a catena degli ultimi vent’anni: «Non possiamo arruolare forze o creare leadership per gestirle», e questo rende gli Usa «sempre più privi di volontà strategica e senso della direzione da intraprendere». Scenario: «Siamo di fronte a un mondo pieno di tumulti, frammentazione e incertezza: nessuna minaccia diretta per nessuno, ma molte differenti minacce praticamente per chiunque».
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Giallo, la morte di Pantani e i misteri della Rosa Rossa
Strano suicidio, quello di Marco Pantani. Così strano da spingere la magistratura a riaprire l’inchiesta a dieci anni di distanza da quel 14 febbraio 2004. Più che un suicidio, scrive l’avvocato Paolo Franceschetti, sembra un omicidio “firmato”, con implacabile precisione, dall’ “Ordine della Rossa Rossa”. Fantomatica organizzazione segreta internazionale, secondo alcuni studiosi sarebbe una potentissima cupola eversiva di tipo esoterico, con fini di potere, dedita anche all’oscura pratica dell’omicidio rituale. «Un’ipotesi sempre scartata come irrealistica dagli inquirenti», scrive nel suo blog lo stesso Franceschetti, autore di studi sulla presunta relazione tra crimini e occultismo iniziatico, incluso il caso del cosiddetto “mostro di Firenze”. Di matrice rosacrociana, fondata sul simbolismo della Cabala e dell’ebraico antico come la londinese “Golden Dawn” rinverdita dal “mago” Aleister Crowley, secondo alcuni saggisti la “Rosa Rossa” sarebbe una sorta di super-massoneria deviata e criminale. Problema: non esiste una sola prova che questa organizzazione esista davvero. Solo indizi, benché numerosi.Chi esegue una sentenza rituale di morte, per “punire” in modo altamente simbolico un presunto “colpevole” o addirittura perché pensa – magicamente – di “acquisire potere” dall’uccisione “satanica” di un innocente, secondo Franceschetti ricorre sistematicamente a pratiche sempre identiche: in particolare la morte per impiccagione (la corda di Giuda, traditore di Cristo), con la vittima fatta ritrovare inginocchiata, e la morte per avvelenamento (o overdose di droga). Decine di casi di cronaca, tutti contrassegnati da circostanze ricorrenti: manca sempre un movente plausibile, non si trova l’arma del delitto, i nomi delle vittime hanno spesso origine biblica, la somma dei “numeri” (data di morte, data di nascita) riconduce a numeri speciali, per la Cabala, come l’11 e i suoi multipli. Oppure il 13, il numero della morte dei tarocchi. E poi, la “firma”: Pantani fu ritrovato morto a Rimini all’hotel “Le Rose”. Accanto al corpo, un biglietto in codice dal significato criptico: “Colori, uno su tutti rosa arancio come contenta, le rose sono rosa e la rosa rossa è la più contata”.Sul caso Pantani, sono stati scritti fiumi di parole, reportage, libri. Tra chi non ha mai creduto alla tesi del suicidio c’è un giornalista come Andrea Scanzi, che sul “Fatto Quotidiano” scrive: «Troppe incongruenze. La camera era mezza distrutta, c’era sangue sul divano, c’erano resti di cibo cinese (che Pantani odiava: perché avrebbe dovuto ordinarlo?)». Inoltre, il campione aveva chiamato per ben due volte la reception, parlando di «due persone che lo molestavano», ma l’aneddoto è stato catalogato come “semplici allucinazioni di un uomo ormai pazzo”. In più, Pantani «fu trovato blindato nella sua camera, i mobili che ne bloccavano la porta, riverso a terra, con un paio di jeans, il torso nudo, il Rolex fermo e qualche ferita sospetta (segni strani sul collo, come se fosse stato preso da dietro per immobilizzarlo, e un taglio sopra l’occhio)». Uniche tracce di cocaina, quelle ritrovate su palline di mollica di pane. Indagini superficiali: «Non esiste un verbale delle prime persone che sono entrate all’interno della camera, non è stato isolato il Dna delle troppe persone che entrarono nella stanza».Dettaglio macabro e particolarmente strano, il destino del cuore di Pantani: «Venne trafugato dopo l’autopsia dal medico, che lo portò a casa senza motivo (“Temevo un furto”) e lo mise nel frigo senza dirlo inizialmente a nessuno», scrive Scanzi. Prima di morire, a Rimini il ciclista aveva trascorso cinque giorni, «per nulla lucido, accompagnato da figure equivoche. Avrebbe anche festeggiato con una squadra di beach volley poco prima di morire: chi erano?». Altre domande: «Perché il cadavere aveva i suoi boxer un po’ fuori dai jeans, come se lo avessero trascinato?». Certo, aggiunge Scanzi, Pantani morì per overdose di cocaina, «ma troppi particolari lasciano pensare (anche) a una messa in scena». L’autopsia, peraltro, confermò che le tracce di Epo nel suo corpo erano minime, «segno evidente di come il ciclista non avesse mai fatto un uso costante di sostanze dopanti». E poi, tutte quelle “incongruenze”, reperibili in libri-denuncia come “Vie et mort de Marco Pantani” (Grasset, 2007) e “Era mio figlio” (Mondadori, 2008). E poi, soprattutto: «Che senso aveva quel messaggio in codice accanto al cadavere?». Colori e rose, “la rosa rossa è la più contata”.Anche i suoi amici, ricorda Franceschetti, dissero che la morte di Pantani in quell’hotel non può esser stata casuale: forse Marco voleva «lasciare un messaggio a qualcuno», perché «era un uomo che non faceva nulla a caso». Meglio ancora: «Non era lui che voleva lasciare un messaggio, ma chi l’ha ucciso», chiosa l’avvocato, sempre attento ai possibili “segni invisibili”: «Probabilmente c’è un significato anche nel fatto che sia morto a San Valentino, giorno in cui tradizionalmente si regalano rose alla fidanzata». Pantani “costretto” ad andare in quel preciso albergo affinchè poi il delitto fosse “firmato”? «Ovviamente, dire che dietro un delitto c’è la “Rosa Rossa” significa poco: essendo la “Rosa Rossa” un’organizzazione internazionale, e contando centinaia di affiliati in Italia, è come dire che si tratta di un delitto di mafia o di camorra». Un’affermazione «talmente generica da essere pressoché inutile a fini investigativi». Tuttavia, «dovrebbe essere un buon indizio perlomeno per non archiviare la cosa come suicidio».Franceschetti considera «evidente» l’origine «massonica» degli attacchi a Pantani, citando l’anomalo incidente che, anni prima, lo vide protagonista a Torino: fu travolto da un’auto che era penetrata in un’area interdetta al traffico, lungo la discesa della collina di Superga, quella dove si schiantò l’aereo del Grande Torino. La basilica di Superga, sull’altura che domina la città, fu costruita nel 1717, «anno in cui venne ufficialmente fondata la massoneria». Basta questo, all’avvocato, per concludere che si tratta di «una firma manifesta, specie alla luce delle stranezze di quell’incidente». Tra gli “incidenti non casuali”, Franceschetti inserisce pure quello ai danni del cantante Rino Gaetano: come anticipato in modo inquietante dal testo di una sua canzone, “La ballata di Renzo”, peraltro gremita di “rose rosse”, l’artista morì a Roma nella notte del 2 giugno 1981 dopo esser stato rifiutato da 5 diversi ospedali. «Statisticamente, le probabilità che un cantante descriva la morte di qualcuno perché viene rifiutato da 5 ospedali, e che poi muoia nello stesso identico modo sono… nulle».Molto strana, aggiunge Franceschetti, è anche la tragica fine del ciclista Valentino Fois, della stessa squadra di Pantani: anche lui muore per cause da accertare, ma alcuni giornali parlano subito di overdose, «e già questo fa venire qualche sospetto». Premessa: in Italia, muoiono per omicidio circa 2.500 persone all’anno. E altrettante finiscono suicide. Giornali e Tv si disinteressano della stragrande maggioranza di questi episodi. «Quando però su un fatto scatta l’attenzione dei media, in genere questo è un segnale che sotto c’è dell’altro. Quindi viene spontanea la domanda: perché i giornali si interessano alla morte di un ciclista poco conosciuto come Fois?». Premesso che nello sport professionistico il doping (entro certi limiti) è pressoché inevitabile, Franceschetti sospetta che Fois sia morto «per aver “tradito”, come Pantani». Ovvero, i due avrebbero «pagato con la vita la loro maggiore pulizia e onestà intellettuale rispetto al resto dell’ambiente in cui vivevano».Secondo Franceschetti, c’è anche «non il sospetto, ma la certezza» che la verità non verrà mai a galla. Del resto, «la maggior parte delle famiglie di queste vittime non saprà mai la verità, la maggior parte muore senza che i familiari sospettino un omicidio». E racconta: «Io stesso, dopo il primo incidente che mi capitò, pensai ad un caso. E dopo il secondo pensavo che ce l’avessero con la mia collega e che avessero manomesso contemporaneamente sia la mia moto che la sua per maggior sicurezza di fare danni a lei. In altre parole, potevo morire senza sapere neanche perché, e pochi avrebbero sospettato qualcosa». E aggiunge: «Ogni volta che prendo l’auto sono consapevole che lo sterzo potrà non funzionare, che un’auto che viene in senso inverso all’improvviso potrà sbandare e venire verso di me, o magari che potrò avere un malore nell’anticamera di una Procura come è successo al capo dei vigili testimone della Thyssen Krupp». La storia italiana, aggiunge l’avvocato, è troppo gremita di “coincidenze”, depistaggi e collusioni: le bombe nelle piazze, Ustica, Moby Prince. «In quei casi i familiari delle vittime ormai hanno capito, ma negli altri?».La storia infinita del “mostro di Firenze”, ad esempio, sembra il frutto di un “normale” serial killer solitario. Secondo Franceschetti, invece, tutti quegli omicidi non sono altro che precise esecuzioni rituali, settarie ed esoteriche, meticolosamente pianificate da un clan criminale protetto da amicizie potenti. «Ho telefonato ai genitori di Pantani prima di scrivere questo articolo», scriveva Franceschetti nel 2008. «Dal loro silenzio successivo al mio fax presumo che abbiano pensato che io sia un folle, magari un mitomane in cerca di pubblicità. E’ normale che lo pensino, come è normale che la maggior parte delle persone che leggeranno queste righe le prendano per un delirio». Continua Franceschetti: «Un mio amico medico legale, a cui ho raccontato le mie “scoperte”, mi ha lasciato di stucco quando mi ha detto: “Sì, Paolo, lo sapevo. Tutti quei suicidi in carcere per soffocamento con buste di plastica sono impossibili dal punto di vista di medico-legale”». L’esoterismo «è un linguaggio: se non lo conosci è come camminare per le strade di una nazione straniera, vedi le scritte ma non ti dicono nulla, sembrano segni innocui e invece sono messaggi precisi”». Difficile parlarne, «perché ti prendono per matto». E il guaio è che, «quando capisci il sistema», è problematico «continuare a fare la vita di sempre senza impazzire».Strano suicidio, quello di Marco Pantani. Così strano da spingere la magistratura a riaprire l’inchiesta a dieci anni di distanza da quel 14 febbraio 2004. Più che un suicidio, scrive l’avvocato Paolo Franceschetti, sembra un omicidio “firmato”, con implacabile precisione, dall’ “Ordine della Rossa Rossa”. Fantomatica organizzazione segreta internazionale, secondo alcuni studiosi sarebbe una potentissima cupola eversiva di tipo esoterico, con fini di potere, dedita anche all’oscura pratica dell’omicidio rituale. «Un’ipotesi sempre scartata come irrealistica dagli inquirenti», scrive nel suo blog lo stesso Franceschetti, autore di studi sulla presunta relazione tra crimini e occultismo iniziatico, incluso il caso del cosiddetto “mostro di Firenze”. Di matrice rosacrociana, fondata sul simbolismo della Cabala e dell’ebraico antico come la londinese “Golden Dawn” rinverdita dal “mago” Aleister Crowley, secondo alcuni saggisti la “Rosa Rossa” sarebbe una sorta di super-massoneria deviata e criminale. Problema: non esiste una sola prova che questa organizzazione esista davvero. Solo indizi, benché numerosi.
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Vattimo: vorrei armare Hamas contro i nazisti israeliani
«Israele vuole distruggere definitivamente i palestinesi, è una guerra di puro sterminio. Sono nazisti puri e forse un po’ peggio di Hitler perché hanno anche l’appoggio delle grandi democrazie occidentali». Sembrano scolpite nel marmo, le parole che il filosofo Gianni Vattimo consegna ai microfoni di “Radio24”. «Andrei a Gaza a combattere a fianco di Hamas», aggiunge l’ex europarlamentare. «Direi che è il momento di fare le Brigate Internazionali come in Spagna, perché Israele è un regime fascista che sta distruggendo un popolo intero. In Spagna non era niente in confronto a questo. Questo è un genocidio in atto, nazista, razzista, colonialista, imperialista. E ci vuole una resistenza». Vattimo si spinge oltre: dice che lancerebbe una campagna per raccogliere fondi e consentire ai palestinesi di difendersi, con vere armi, adatte a fronteggiare l’aggressione israeliana. Una voce, la sua, assolutamente isolata, nel grande silenzio che avvolge gli intellettuali, come rileva Renato Rallo: su Medio Oriente e Palestina, ormai, vige la consegna dell’indifferenza.«C’è una nuovissima, meravigliosa avanguardia tra gli intellettuali-de-sinistra (Michele Serra, Christian Raimo, Ida Dominijanni e tanti altri) sul conflitto in Medioriente: gli esaltatori del silenzio», scrive Rallo su “L’Intellettuale Dissidente”. «Laddove l’intellettuale deve sempre necessariamente prendere una posizione, anche solo perchè dovrebbe sapere meglio di tutti che l’imparzialità è un’utopia (o un’omertà), essi invece tacciono, e se ne vantano. Tra gli argomenti, oltre alla già nota “tragedia da entrambe le parti”, la “complessità della situazione”, spunta la geniale novità: la stanchezza. Ebbene sì, gli intellettuali-de-sinistra non prendono più posizione sul conflitto israelo-palestinese perchè sono stanchi della ripetitività della situazione, dell’impotenza, e questa noia li uccide al punto che non riescono neanche più a scrivere due righe sul sionismo». La loro “ipersensibilità filantropica”, aggiunge Rallo, li costringe «ad un silenzio colto, tenebroso, raffinato, ed invita il pubblico a fare altrettanto. Un’elegantissima orazione funebre in onore di un popolo che però, sfortunatamente, ancora deve morire».Non è solo la paura di “uscire dal giro” ad impedire a molti opinion leader di «dire una-parola-una sull’apartheid israeliana, sulle radici di quest’ennesimo episodio di pulizia etnica». Aggiunge Rallo: «Non hanno paura: si stanno solo annoiando». Un “consiglio” ai palestinesi? «Smettetela di morire in modo così banale: non so, magari prima che il vostro corpo venga dilaniato da una bomba, mangiatevi dei coriandoli». Non ha bisogno di incoraggiamenti, invece, il professor Vattimo: proprio lui, teorico del “pensiero debole”, si esprime nel modo più drastico sulla storica controversia, tragicamente rinverdita dalle bombe “intelligenti” di Netanyahu. E denuncia anche il colpevole assenteismo dei media mainstream: «Tutta l’informazione, compresa la stampa italiana, piange sul fatto che c’è una pioggia di missili su Israele. Però Hamas quanti morti ha fatto? Nessuno».Vogliamo parlare dei palestinesi? «I poveretti non hanno armi, sono dei miserabili tenuti in schiavitù, come tutta la Palestina. Hanno dei razzetti per bambini». Meritano di avere la possibilità di difendersi, dice Vattimo: «Voglio promuovere una sottoscrizione mondiale per permettere ai palestinesi di comprare delle vere armi e non delle armi giocattolo. Cominciamo a distruggere il nucleare israeliano, Israele è lo Stato-canaglia che ha il nucleare». Alla domanda se sparerebbe contro gli israeliani, il filosofo ammette: «Io sono un non-violento, però contro quelli che bombardano ospedali, cliniche private e bambini sparerei, ma non ne sono capace». E aggiunge: «Gli ebrei italiani dalla parte di Israele sono gli ex fascisti, che adesso sono dalla parte dell’America. La comunità ebraica italiana è rappresentata da quell’ossimoro che è Pacifici, ma ci sono molti ebrei d’accordo con me. Li c’è uno Stato nazista che cerca di sopprimere un altro popolo. E io ce l’ho con lo Stato di Israele, non con gli ebrei».«Israele vuole distruggere definitivamente i palestinesi, è una guerra di puro sterminio. Sono nazisti puri e forse un po’ peggio di Hitler perché hanno anche l’appoggio delle grandi democrazie occidentali». Sembrano scolpite nel marmo, le parole che il filosofo Gianni Vattimo consegna ai microfoni di “Radio24”. «Andrei a Gaza a combattere a fianco di Hamas», aggiunge l’ex europarlamentare. «Direi che è il momento di fare le Brigate Internazionali come in Spagna, perché Israele è un regime fascista che sta distruggendo un popolo intero. In Spagna non era niente in confronto a questo. Questo è un genocidio in atto, nazista, razzista, colonialista, imperialista. E ci vuole una resistenza». Vattimo si spinge oltre: dice che lancerebbe una campagna per raccogliere fondi e consentire ai palestinesi di difendersi, con vere armi, adatte a fronteggiare l’aggressione israeliana. Una voce, la sua, assolutamente isolata, nel grande silenzio che avvolge gli intellettuali, come rileva Vittorio Ray: su Medio Oriente e Palestina, ormai, vige la consegna dell’indifferenza.
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Gaza top secret, massacro made in Italy firmato Alenia
Chi vince, nella gara di ipocrisia? Obama che “non può fare nulla” per fermare Israele, che ha armato fino ai denti, o l’insignificante Italia, che pure ha fornito a Tel Aviv i velivoli-scuola per addestrare i piloti dei caccia che fanno piovere missili sulle case di Gaza? I cacciabombardieri che martellano Gaza sono F-16 e F-15 forniti dagli Usa a Israele (oltre 300, più altri aerei ed elicotteri da guerra), insieme a migliaia di missili e bombe a guida satellitare e laser, scrive Manlio Dinucci sul “Manifesto”. Come documenta lo stesso Congresso Usa l’11 aprile 2014, Washington si è impegnata a fornire a Israele, tra il 2009 e il 2018, un aiuto militare di 30 miliardi di dollari, cui l’amministrazione Obama ha aggiunto nel 2014 oltre mezzo miliardo per lo sviluppo di sistemi anti-razzi e anti-missili. Israele dispone a Washington di una sorta di “cassa continua” per l’acquisto di armi statunitensi, tra cui sono previsti 19 F-35 del costo di 2,7 miliardi. Può inoltre usare, in caso di necessità, le potenti armi stoccate nel “Deposito Usa di emergenza in Israele”.«Al confronto, l’armamento palestinese equivale a quello di chi, inquadrato da un tiratore scelto nel mirino telescopico di un fucile di precisione, cerca di difendersi lanciandogli il razzo di un fuoco artificiale», aggiunge Dinucci, nel servizio ripreso da “Come Don Chisciotte”. Ma attenzione: un consistente aiuto militare a Israele viene anche dalle maggiori potenze europee. «La Germania gli ha fornito 5 sottomarini Dolphin (di cui due regalati) e tra poco ne consegnerà un sesto. I sottomarini sono stati modificati per lanciare missili da crociera nucleari a lungo raggio, i “Popeye Turbo” derivati da quelli Usa, che possono colpire un obiettivo a 1.500 km». E l’Italia, che consente ai top gun di Tel Aviv di condurre esercitazioni con armamenti letali in Sardegna, sta fornendo a Israele i primi dei 30 velivoli M-346 da addestramento avanzato, costruiti da Alenia Aermacchi (Finmeccanica). Aerei che possono essere usati anche come caccia per l’attacco al suolo in operazioni belliche reali.La fornitura dei caccia M-346, continua Dinucci, costituisce solo una piccola parte della cooperazione militare italo-israeliana, istituzionalizzata dalla legge 94 promulgata nel 2005. Legge che «coinvolge le forze armate e l’industria militare del nostro paese in attività di cui nessuno (neppure in Parlamento) viene messo a conoscenza». La norma stabilisce infatti che tali attività sono «soggette all’accordo sulla sicurezza», e quindi segrete. «Poiché Israele possiede armi nucleari – conclude il giornalista del “Manifesto” – alte tecnologie italiane possono essere segretamente utilizzate per potenziare le capacità di attacco dei vettori nucleari israeliani», e inoltre «possono essere anche usate per rendere ancora più letali le armi “convenzionali” usate dalla forze armate israeliane contro i palestinesi», che come vediamo sono soprattutto civili, donne e bambini inclusi, sacrificati anche questa volta per la pulizia tecnica di stampo terroristico mirata a sfrattare la popolazione palestinese da quella che viene definita “la più grande prigione a cielo aperto esistente al mondo”.«La cooperazione militare italo-israeliana – aggiunge Dinucci – si è intensificata quando il 2 dicembre 2008, tre settimane prima dell’operazione israeliana “Piombo Fuso” a Gaza, la Nato ha ratificato il “Programma di cooperazione individuale”». Il programma comprende lo scambio di informazioni tra i servizi di intelligence, la connessione di Israele al sistema elettronico Nato, la cooperazione nel settore degli armamenti e l’aumento delle esercitazioni militari congiunte. In quel quadro rientra “Blue Flag”, la più grande esercitazione di guerra aerea mai svoltasi in Israele, cui hanno partecipato nel novembre 2013 Stati Uniti, Italia e Grecia. «La “Blue Flag” è servita a integrare nella Nato le forze aeree israeliane, che avevano prima effettuato esercitazioni congiunte solo con singoli paesi dell’Alleanza, come quelle a Decimomannu con l’aeronautica italiana». Le forze aeree israeliane, sottolinea il generale Amikam Norkin, stanno sperimentando nuove procedure per potenziare la propria capacità, «accrescendo di dieci volte il numero di obiettivi che vengono individuati e distrutti». Ciò che sta facendo in questo momento a Gaza, grazie anche al contributo italiano, di cui la stampa mainstream evita accuratamente di parlare.Chi vince, nella gara di ipocrisia? Obama che “non può fare nulla” per fermare Israele, che ha armato fino ai denti, o l’insignificante Italia, che pure ha fornito a Tel Aviv i velivoli-scuola per addestrare i piloti dei caccia che fanno piovere missili sulle case di Gaza? I cacciabombardieri che martellano Gaza sono F-16 e F-15 forniti dagli Usa a Israele (oltre 300, più altri aerei ed elicotteri da guerra), insieme a migliaia di missili e bombe a guida satellitare e laser, scrive Manlio Dinucci sul “Manifesto”. Come documenta lo stesso Congresso Usa l’11 aprile 2014, Washington si è impegnata a fornire a Israele, tra il 2009 e il 2018, un aiuto militare di 30 miliardi di dollari, cui l’amministrazione Obama ha aggiunto nel 2014 oltre mezzo miliardo per lo sviluppo di sistemi anti-razzi e anti-missili. Israele dispone a Washington di una sorta di “cassa continua” per l’acquisto di armi statunitensi, tra cui sono previsti 19 F-35 del costo di 2,7 miliardi. Può inoltre usare, in caso di necessità, le potenti armi stoccate nel “Deposito Usa di emergenza in Israele”.
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Non è stato un incidente: chiedetevi perché sono morti
Cos’hanno in comune Olof Palme, Patrice Lumumba, la principessa Diana, il dottor David Kelly, Robin Cook, Yasser Arafat, Slobodan Milosevic e Hugo Chavez? E i musicisti che si sono opposti alla macchina da guerra occidentale, come ad esempio Jimi Hendrix, Jim Morrison, Bob Marley, John Lennon e Michael Jackson? Potrebbero essere stati uccisi anche per le loro teste, oltre che per le loro voci troppo indipendenti? Nonostante le prove indichino che sì, sarebbe possibile, pochissime persone sono disposte ad avventurarsi da quelle parti, compresi i tanti professionisti il cui compito sarebbe invece quello di farlo. E questo gli assassini lo sanno benissimo. Le prove (sia forensi che confidenziali) che sono state accumulate nel corso dei decenni, indicano che le morti di decine di influenti figure pubbliche occidentali, che si credeva fossero naturali o frutto di sfortunati incidenti, erano invece degli omicidi politici.Senza quasi eccezione, questi omicidi erano stati progettati e realizzati da forze che si nascondevano nelle zone grigie dei servizi segreti militari dei paesi Nato, scrive Tony Gosling su “Rt” in un servizio ripreso da “Come Don Chisciotte”. Per secoli, le parti in conflitto erano ben consce di come “un’onesta carneficina” sul campo di battaglia fosse la cosa migliore da fare, «ma dopo due guerre mondiali e l’insediamento dei filo-nazisti fratelli Dulles al Dipartimento di Stato Usa e alla Cia, tutto questo è cambiato: il complesso militar-industriale che essi hanno contribuito a creare è stato reso pressoché inattaccabile», grazie al mondo «colossale e segreto» delle comunicazioni strategiche, «più correttamente definito come “industria della propaganda”». La verità è che «viviamo in un’epoca in cui i media occidentali sono stati virtualmente fagocitati dagli interessi bancari e militari». E la Nato, che dovrebbe avere carattere difensivo, «grazie ai suoi eserciti ed ai suoi contractor privati (che fomentano carneficine in tutto il mondo)» è diventata una sorta di “Napoleone nucleare”, «che sta rendendo sempre più vicino il giorno in cui queste meravigliose armi potrebbero essere nuovamente utilizzate».La regola, aggiunge Gosling, è che «vanno bene solo i politici malleabili e “approvati” dalle multinazionali». Gli altri, vengono sabotati o addirittura eliminati fisicamente. «Per cominciare, sono stati assassinati i veri combattenti per la libertà, come ad esempio il congolese Patrice Lumumba». Un ufficiale dell’intelligence britannica in pensione, Daphne Park, ha ammesso solo nel 2013 che Lumumba fu quasi certamente assassinato dallo MI6, lo spionaggio inglese. Il laburista Robin Cook, ex ministro degli esteri britannico, si dimise subito prima dell’invasione militare dell’Iraq, nel marzo 2003. Negli anni successivi, preparandosi a guidare i laburisti nell’inevitabile dopo-Blair, aveva regolarmente condannato le azioni del premier e di Bush. Un giorno, nell’agosto 2005, mentre camminava con la moglie sulla montagna di Ben Stack, fu colpito da un “attacco di cuore”. Un elicottero militare che si esercitava in quella zona lo caricò a bordo per portarlo in ospedale. «Alla moglie Gaynor e ad un “misterioso soccorritore” che si trovava a passare da quelle parti non fu concesso di accompagnarlo», scrive Gosling. «Si dice che Cook sia morto in elicottero, nel volo verso l’ospedale».Il leader laburista predecessore di Blair, John Smith, morì anch’egli a causa d’un improvviso attacco di cuore. Molti – rileva il giornalista di “Rt” – sospettarono che la morte in realtà fu “indotta”, come sostenne ad esempio un fotografo che aveva parlato con le persone che erano in ospedale, quando Smith fu dichiarato morto. «I politici britannici tuttavia, restarono in silenzio, per timore di sconvolgere la sua famiglia». Dal Regno Unito al Medio Oriente: «E’ ormai chiaro che anche il leader palestinese Yasser Arafat fu avvelenato, probabilmente dagli israeliani, con il polonio radioattivo, proprio come la spia russa (e scrittore) Alexander Litvinenko». Uno studio di Frances Mossiker dimostra che l’uso segreto del polonio prova il ritorno in auge, negli ambienti elitari, di quelle azioni fuorilegge che, a titolo d’esempio, contribuirono a fomentare, a suo tempo, la Rivoluzione Francese. Altro caso, quello di Slobodan Milosevic: nel 2006, dopo aver cominciato a difendersi in modo determinato, anche l’ex presidente jugoslavo fu vittima di un “attacco di cuore”. Si sospetta però che sia morto a causa dell’avvelenamento del suo cibo, nella cella che occupava presso il Tpi, il Tribunale Penale Internazionale dell’Aja, una corte che «dovrebbe costituire un esempio luminoso per tutto il mondo» ma invece «rappresenta solo una versione farsesca della giustizia», con verdetti che obbediscono ai diktat Nato. «Dopo l’esperienza di Milosevic, si può capire perché i detenuti potrebbero fare lo sciopero della fame, quando arrivano all’Aja».Altra situazione ricorrente, l’incidente stradale: «Con i computer di bordo a comando diretto, di cui sono dotati molti veicoli moderni, gli incidenti d’auto sono diventati terribilmente facili da creare», spiega Gosling. La principessa Diana era sopravvissuta al famoso incidente dell’agosto del 1997, visto che la relazione dell’ambulanza indicata uno stato di coma molto lieve, ma molti «ritengono che la sua scomparsa sia avvenuta a causa del viaggio in ambulanza verso l’ospedale, che fu particolarmente lento». Poi ci sono le “coincidenze” di tipo sanitario: «Hugo Chavez morì di cancro nel 2013, dopo che molti leader sudamericani si erano ammalati della stessa malattia, grossomodo nello stesso periodo. Tanto per citarne qualcuno, il presidente argentino Cristina Fernandez de Kirchner, i presidenti brasiliani Lula e Dilma Rouseff e anche il presidente del Paraguay, Fernando Lugo». Facili sospetti, considerati «tutti i composti cancerogeni ben conosciuti dall’uomo di oggi, dalle sostanze radioattive alla diossina». Non ci vuole molta immaginazione per inventarsi un cocktail letale da somministrare all’ignara vittima. E non tutti sono coriacei come Fidel Castro, che si considera scampato a non meno di 600 attentati organizzati dalla Cia.Un capitolo sterminato riguarda la misteriosa morte delle rockstar, al culmine della loro (spesso brevissima) vita spericolata. Credevamo che se la fossero cercata, visto «il loro malsano appetito per le droghe e per la vita estrema», ma ora emergono anche motivazioni politiche, continua Gosling: Alex Constantine, nel libro “The Covert War Against Rock”, spiega che alcuni di loro – come la leggenda della chitarra Jimi Hendrix, veterano del Vietnam e contrario a quella guerra – furono visti come una minaccia per lo sforzo bellico». Si sospetta che Jim Morrison, il cui corpo fu spostato quasi certamente da una discoteca ad un bagno, sia stato assassinato nell’ambito di un preciso programma della Cia, conosciuto come “Cointelpro”. Con un seguito a livello mondiale, alla guida dei Doors, Morrison «era particolarmente pericoloso per l’establishment militare», anche perché suo padre George era un ammiraglio: «Comandante della flotta statunitense nel Golfo del Tonchino, era responsabile del progetto per gli attacchi “false flag” contro le navi americane, simulando che provenissero dal Vietnam del Nord». Le bugie dell’ammiraglio George Morrison, proposte in tutto il mondo, divennero la base per giustificare la guerra del Vietnam. Non era rassicurante che in famiglia ci fosse un figlio come Jim, strenuo oppositore di quel conflitto.L’affermazione “la polizia non considera questa morte come sospetta” sembra essere diventata la tipica firma inglese sugli omicidi del 21° secolo, una formula perfetta per sviare le indagini. E’ stata impiegata per “spiegare” la morte di un testimone-chiave, Sean Hoare, che doveva deporre nel luglio del 2011 contro Andy Coulson, portavoce del premier David Cameron. Il secondo testimone era David Smith, “suicidatosi” nell’ottobre del 2013. «Fu per anni l’autista di Jimmy Savile, forse il peggior pedofilo mai esistito in Gran Bretagna, molto amico del primo ministro conservatore Margaret Thatcher e del Principe Carlo». Per Gosling, «il fallimento della stampa, che ha mancato di interrogarsi su queste due morti, è pari solo all’indebolimento del sistema (una volta robusto) costituito dai coroner indipendenti, il cui lavoro, nell’ultimo millennio, è stato quello d’indagare su tutte le morti sospette. Ma, se sono onesti, i coroner vengono fermati». Il coroner di Bristol, Paul Forrest, dichiarò al “Bristol City Council” che i corpi si stessero “accumulando” negli obitori: fu prima sospeso e poi licenziato, sostituito da un collega più accomodante.Un’altra specializzazione dei killer-ombra consiste nel «seppellire per conto del Fmi i migliori documentaristi del mondo», continua Gosling, citando il caso della Libia: per vent’anni i media hanno ripetuto che Gheddafi doveva essere deposto, senza mai ricordare che, dopo aver liberato i libici dal debito con Fondo Monetario Internazionale, il Colonnello «stava guidando un movimento pan-africano per introdurre una moneta continentale, l’“African Gold Dinar”, che prometteva di liberare l’intero continente dal Fmi». Non mancarono testimonti attenti: nel 1996, “Channel 4 Dispatches” trasmise un documentario prodotto da “Fulcrum Tv”, e intitolato “Murder in St. James”. «Quel documentario – ricorda Gosling – dimostrava che la poliziotta londinese Yvonne Fletcher fu uccisa da un colpo che quasi certamente non proveniva dall’ambasciata libica, come invece sosteneva il governo britannico, ma da un edificio posto sull’altro lato della piazza, affittato dai servizi di sicurezza britannici».Allo stesso modo, nel 1994 la “Hemar Enterprises” realizzò, per la stessa emittente, “The Maltese Double Cross”, che accusava la Cia di aver manomesso la scena del crimine, «con la seria possibilità che sia stata essa stessa ad aver posto la bomba a bordo del volo “Pan Am 103”, che esplose mentre transitava sul cielo di Lockerbie, in Scozia, nel 1988». Lo scopo possibile? Uccidere agenti che stavano tornando negli Stati Uniti e che dovevano riferire su operazioni relative al traffico illegale di droga. Hemar Allan Francovich, produttore e regista della “Hemar Enterprises”, realizzò una serie di documentari che svelava le operazioni “coperte” della Cia. Manco a dirlo, morì per un “attacco di cuore” in circostanze misteriose, nell’area doganale dell’aereoporto di Houston, nel 1997. Dunque non furono i libici, come pare ormai certo, a uccidere la poliziotta Yvonne Fletcher, né fu l’agente libico Abdelbaset al-Megrahi a posizionare la bomba a bordo del volo “Pan Am 103”, esploso a Lockerbie.«Nessuna di queste accuse è stata provata», e tutta la stampa di Londra «ha cancellato dalla memoria collettiva i due documentari della “Channel 4 Dispatches”, che dimostravano la veridicità delle versioni alternative». Così, «negando i fatti descritti in quei documentari e garantendo che niente di simile potrà mai essere nuovamente trasmesso, i media di Londra hanno posto il paese su un percorso verso il totalitarismo». E’ accaduto anche negli Usa dopo l’11 Settembre e in Gran Bretagna dopo gli attentati del 2005 a Londra: i documentari “Loose Change” e “Ludicrous Diversion” sono stati diffusi solo su Internet. Nel frattempo, il boia occulto è sempre all’opera, come dimostrano gli omicidi del biologo David Kelly, dipendente del Ministero della Difesa britannico e coinvolto nella questione delle armi biologiche in Iraq, e del crittografo Gareth Williams in forza al Government Communications Head-Quarters (Gchq). Omicidi «negati ai più alti livelli della politica, della polizia e della magistratura», grazie ai quali «si è diffuso un clima di paura, in cui chi pone troppe domande rappresenta una “minaccia” e può aspettarsi di essere “trattato allo stesso modo”».Le istituzioni elitarie e gli stessi media – accusa Gosling – sono farciti di codardi e fenomeni da baraccone: «Anche se non sanno come si fa a governare un paese, le élite occidentali sanno però benissimo come si fa ad uccidere». Conclude il giornalista di “Rt”: «La prossima volta che vedrete un politico, un musicista o un opinionista che sfida il “consensus” Nato-Israele e che cade nel fiore degli anni, ricordate a voi stessi che l’aspettativa di vita queste vittime era più lunga che mai, se non avessero lanciato la sfida. E non aspettatevi che la polizia o i media nazionali pongano tutte le domande del caso ai “poteri costituiti”: non è compreso nel loro stipendio». In compenso, ci sono i documentari su Internet, realizzati da autori coraggiosi e capaci di denunciare i peggiori crimini. Non ci resta che condividerli «con il resto del mondo, con i poliziotti onesti e con il meglio di ciò che resta del giornalismo investigativo».Cos’hanno in comune Olof Palme, Patrice Lumumba, la principessa Diana, il dottor David Kelly, Robin Cook, Yasser Arafat, Slobodan Milosevic e Hugo Chavez? E i musicisti che si sono opposti alla macchina da guerra occidentale, come ad esempio Jimi Hendrix, Jim Morrison, Bob Marley, John Lennon e Michael Jackson? Potrebbero essere stati uccisi anche per le loro teste, oltre che per le loro voci troppo indipendenti? Nonostante le prove indichino che sì, sarebbe possibile, pochissime persone sono disposte ad avventurarsi da quelle parti, compresi i tanti professionisti il cui compito sarebbe invece quello di farlo. E questo gli assassini lo sanno benissimo. Le prove (sia forensi che confidenziali) che sono state accumulate nel corso dei decenni, indicano che le morti di decine di influenti figure pubbliche occidentali, che si credeva fossero naturali o frutto di sfortunati incidenti, erano invece degli omicidi politici.
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Ben Gurion, padre di Israele: massacrate donne e bambini
«Dobbiamo usare il terrore, l’assassinio, l’intimidazione, la confisca delle loro terre». Sembrerebbe Hitler, ma non è lui. «C’è bisogno di una reazione brutale. Se accusiamo una famiglia, dobbiamo straziarli senza pietà, donne e bambini inclusi. Durante l’operazione non c’è bisogno di distinguere fra colpevoli e innocenti». A parlare non è Himmler, non è Goebbels, ma il “padre” dello Stato d’Israele, David Ben Gurion. Obiettivo di queste “raccomandazioni” affidate alle sue memorie: «Ripulire la Galilea dalla sua popolazione araba». Letteralmente: pulizia etnica. «Quell’uomo – accusa Paolo Barnard – pronunciò quelle agghiaccianti parole 20 anni prima della nascita dell’Olp, più di 30 anni prima della nascita di Hamas, 50 anni prima dell’esplosione del primo razzo Qassam su Sderot in Israele». Problema: la “narrazione” dominante in Occidente ignora questa atroce verità storica in modo sistematico. E’ negazionismo: la stessa infamia che pretende di negare l’abominio di Auschwitz.
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Io borghese di merda e tutti noi scarafaggi da schiacciare
«Ma tu non eri di sinistra?», mi chiedeva con preoccupazione un mio follower twittarolo stamattina. Il fatto è, caro, che prima di tutto io sono una borghese di merda, e proprio per questo a vent’anni ero comunista. Non c’è da stupirsene perché sono i borghesi che scelgono la bandiera rossa senza averne la necessità. Marx, Lenin, Trockij, Che Guevara, Fidel Castro, erano tutti borghesi, perché è la borghesia che, quando l’élite esagera, che si tratti di incipriati aristocratici e pretacci o di latifondisti, capitalisti e padroni delle ferriere, fa le rivoluzioni. Sono stata di sinistra per un lungo tempo, prima che saltassero tutte le regole su chi dovesse stare dalla parte del popolo e chi invece doveva vendersi al Capitale. Perché qualcosa è successo, darling. Più o meno attorno al Sessantotto. E’ stato un processo lungo e difficile da allora, ma sta giungendo a compimento. La più grande operazione di pulizia sociale della storia. La fine della lotta di classe con la proclamazione del Capitale come vincitore. With a little help from his friends.Ti spiego il mio percorso. Sono una borghese, dicevo, e la mia è la classe media che, ad un certo punto, nel secolo scorso, è riuscita storicamente ad inglobare emancipandola anche tanta parte della classe operaia. Merito delle lotte dei borghesi dalla coscienza infelice di cui sopra, condotte assieme agli operai, certo, ma anche di un capitalismo che pensava che estendere la ricchezza a fasce più ampie della popolazione, facendo diventare i proletari classe media, significava più merci vendute, più profitti e più benessere per tutti. Il famigerato moltiplicatore. Ma già, Henry Ford era un nazifascista anche se pensava che aumentando il salario ai suoi operai questi avrebbero potuto comperare il modello T che fabbricavano. Quello della mia gioventù sembra un mondo perduto ed estinto; una meraviglia, sai, in confronto a quello di oggi. E sono sicura che te ne ricordi, perché non sei di primo pelo neppure tu.Uno stipendio in famiglia bastava a condurre una vita più che dignitosa dove non ti mancava nulla di veramente necessario. Esisteva ancora il concetto di superfluo e per quello c’era il «no, non ce lo possiamo permettere». Quel no ti aiutava a crescere e a capire che, una volta grande, te lo saresti guadagnato con il tuo lavoro, perché il lavoro ci sarebbe stato, secondo quello che avevi studiato e imparato a fare. Perfino con uno stipendio solo, con i risparmi (allora si riusciva a mettere da parte qualcosa ogni mese), la famiglia riusciva a comperarsi la casa dove viveva e, se lavoravano tutti e due i genitori, ci si comperava magari un’altra casa, al mare o in campagna o in montagna. Perché allora esistevano ancora le ferie e le vacanze non duravano meno di venti giorni. Per le malattie c’era il welfare, ad una certa età arrivavano la pensione e la liquidazione con la quale ti potevi togliere qualche sfizio in più o farti la casetta di cui sopra, perché i nonni non erano costretti a mantenere nipoti disoccupati.Erano i tempi in cui l’Italia stava diventando, pur tra corruzione, mafia e caste, e sottoposta a sovranità limitata come paese sconfitto, la quinta potenza industriale del mondo. Non erano tutte rose e fiori? Certo, c’erano come sempre i poveri e lo sfruttamento, il mondo era diviso in classi. C’erano la crisi petrolifera, il terrorismo di Stato, le bombe, le guerre imperialiste. Poi arrivò la shock economy, prima dal Sudamerica (però così lontano da noi) e poi nel mondo anglosassone, con i primi vagiti del dominio finanziario sulle nostre vite; ma la speranza di un futuro migliore non mancava, nessuno pensava che, pur lavorando da rompersi la schiena, da vecchio sarebbe stato povero e abbandonato perché gli avrebbero portato via tutto. Non avevamo nulla da perdere, casomai ci sarebbe stato ancora qualcosa da ottenere. Il muro nero della depressione, dell’assenza di un futuro o dell’angoscia data dal pensiero di che cosa sarà il nostro futuro in balia della povertà non esisteva e nessuno sarebbe stato in grado di immaginarlo, a meno che non fosse vissuto al di là di qualche Cortina di Ferro.Soprattutto, nessuno si sarebbe mai immaginato che il benessere ottenuto in base alle lotte sindacali, nato dal sangue degli operai e di quei borghesi empatici e simboleggiato in maniera sacra dalla democrazia, dato ormai per acquisito perché certificato nella Costituzione, sarebbe stato possibile toglierlo al popolo per consegnarlo ad un’élite intenzionata a redistribuire la ricchezza esistente verso l’alto, accaparrandosela tutta e creando un mondo dove l’1% ha tutto e il 99% quasi nulla, senza più democrazia. Un mondo nuovo ma tremendamente simile al Medioevo che, per essere realizzato, ormai lo sappiamo, nei trent’anni previsti per il suo compimento non potrà che finire con l’eliminazione fisica della classe media, magari sostituita da carne da macello proveniente dal terzo mondo, da impiegare per la pulitura dei cessi dove andranno a sedersi i culi imperiali.Credo che, se qualcuno allora, negli anni sessanta-settanta, avesse visto un’anteprima del futuro, ovvero dei giorni nostri, lo avrebbe considerato il peggiore incubo mai vissuto e nessuno avrebbe potuto immaginare che coloro che si sarebbero offerti spontaneamente per farlo avverare sarebbero stati i partiti di sinistra, quelli più tradizionalmente (allora) vicini al popolo. Eccoci, caro, al perché io non sono più comunista, non sono più di sinistra, anzi non sono niente, sono solo una borghese di merda ma molto, molto incazzata. Sono incazzata e mi difenderò fino all’ultimo perché vogliono farmi fuori. Vogliono portarmi via ciò che la mia famiglia mi ha lasciato, affinché, assieme a ciò che mi guadagno con il mio lavoro, potessi avere una vecchiaia serena senza dover dipendere da nessuno. Penso a me stessa, certo. Gli altri hanno smesso di pensare a me.Ti pare impossibile che l’orrendo scenario che ti ho descritto possa realizzarsi? Cosa ti stanno ripetendo giorno e notte, tutti i giorni e a tutte le ore, caro amico? Che quel mondo che ti ho descritto e che abbiamo vissuto, che ci ha permesso di crescere ed arrivare fin qui dobbiamo scordarcelo perché NON POSSIAMO PIU’ PERMETTERCELO. E, di grazia, ti stai chiedendo il PERCHE’? Perché le risorse mondiali sono limitate? Per quello basterebbe uno sviluppo più responsabile. Basterebbe quella cosa che si chiama progresso e che nasce dall’ingegno di persone molto creative in ogni epoca e che in poco più di cento anni ci hanno dato l’elettricità, la mobilità di persone e merci e la comunicazione. Progresso che serve da sempre a migliorare la vita delle persone e a renderla più facile. Basterebbe tendere a realizzare uno di quei mondi futuribili ideali che nessun romanzo di fantascienza ha più il coraggio di immaginare.Il nostro benessere non possiamo più permettercelo perché ciò che abbiamo lo vuole qualcun altro, e non sono certo coloro che non hanno nulla ma quelli che hanno già tutto. Vedi, in fondo, da borghese di merda, con queste parole sto pensando anche a te, sto cercando di avvertirti del pericolo, anche se non meriteresti affatto di essere salvato. Non sono direttamente le élite che ti annunciano la fine del tuo diritto al benessere perché un domani conterà solo il loro, perché la scusa delle risorse limitate è un’occasione ghiotta per fare un po’ di pulizia sociale e vincere la Lotta di Classe. Te lo fanno dire dai loro servi. Quelli che si sentono superiori perché non sono razzisti ma democratici, a favore delle minoranze, antifascisti, ammiratori dell’Europa e della serietà teutonica, progressisti, internazionalisti, contro tutte le diversità perché devoti all’OMOLOGAZIONE. Che si sentono importanti perché con il 99% possono masturbarsi sulle grandi cifre e non si accorgono che la loro maggioranza è destinata a diventare il Soylent Green. Sono quelli che ogni mattina ringraziano non si sa chi per non essersi svegliati trasformati in scarafaggi piccoloborghesi.Quando tutto iniziò, con i primi attacchi ai diritti sociali acquisiti e l’avvento della dittatura del mercato, avrebbero dovuto riconoscere subito il progetto reazionario e revanchista dell’élite. Certo avrebbero dovuto difendere il benessere generale, le conquiste ottenute fino a quel momento e la democrazia, distinguendo tra capitalismo accettabile e capitalismo disumano, alleandosi con quella borghesia di merda che però sa fare le rivoluzioni e che un minimo di riconoscenza se la meriterebbe. Invece, pur di non rinnegare la lotta antiborghese di principio, hanno ascoltato le sirene della globalizzazione travestita da internazionalismo ed hanno scelto l’omologazione nel concime, il “semo tutti uguali” come materia organica anfibia, per potere essere ancora più merda della borghesia e in fondo distinguersi. Perché in fondo sono dei neoaristocratici pure loro. Si sono alleati con il Capitale contro il resto del mondo e di fatto contro loro stessi. Perché credono di appartenere ad un corpo speciale e privilegiato per essersi guadagnati con il tradimento l’onore di poter dare il colpo di grazia all’odiata borghesia (rinnegando Marx, Lenin e gli altri che ho nominato) ma sono anche loro feccia destinata a soccombere. Li tengono per ultimi per compostarli meglio. Concimeranno con onore i giardini degli ingiusti di Elysium.(Barbara Tampieri, “Io sono una borghese di merda”, da “Il blog di Lameduck” del 29 maggio 2014, ripreso da “Come Don Chisciotte).«Ma tu non eri di sinistra?», mi chiedeva con preoccupazione un mio follower twittarolo stamattina. Il fatto è, caro, che prima di tutto io sono una borghese di merda, e proprio per questo a vent’anni ero comunista. Non c’è da stupirsene perché sono i borghesi che scelgono la bandiera rossa senza averne la necessità. Marx, Lenin, Trockij, Che Guevara, Fidel Castro, erano tutti borghesi, perché è la borghesia che, quando l’élite esagera, che si tratti di incipriati aristocratici e pretacci o di latifondisti, capitalisti e padroni delle ferriere, fa le rivoluzioni. Sono stata di sinistra per un lungo tempo, prima che saltassero tutte le regole su chi dovesse stare dalla parte del popolo e chi invece doveva vendersi al Capitale. Perché qualcosa è successo, darling. Più o meno attorno al Sessantotto. E’ stato un processo lungo e difficile da allora, ma sta giungendo a compimento. La più grande operazione di pulizia sociale della storia. La fine della lotta di classe con la proclamazione del Capitale come vincitore. With a little help from his friends.
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Fallujah, la città dove nascono (morti) i bambini-mostro
Le foto scorrono sullo schermo, in un piano alto del Fallujah General Hospital, il policlinico della città irachena rasa al suolo dalle bombe al fosforo bianco, armi di distruzione di massa impiegate dagli Usa nel 2004. Di colpo, scrive Robert Fisk, l’ufficio amministrativo del direttore ospedaliero, Nadhem Shokr Al-Hadidi, si trasforma in una camera degli orrori: «Un neonato con una bocca terribilmente deformata. Un altro con una malformazione del midollo spinale, con materia midollare che fuoriesce dal corpicino. Un neonato con uno spaventoso, enorme occhio da ciclope. Un altro neonato, con solo mezza testa, nato morto come i precedenti, data di nascita 17 giugno 2009». Un’altra foto passa sullo schermo: il piccolo, nato il 6 luglio 2009, è nato con solo «un mozzicone del braccio destro, del tutto privo della gamba sinistra e senza genitali». Orrore quotidiano, fotografie che vanno al di là delle parole: «Come si può anche solo immaginare di descrivere un bambino nato morto, con una sola gamba e la testa che misura quattro volte la taglia del suo corpicino?».«Ho chiesto di poter vedere queste fotografie per assicurarmi che i bambini nati morti, con le loro deformità, fossero reali», premette il grande giornalista inglese, inviato dell’“Independent”, preoccupato che qualche lettore possa pensare a montature a scopo di propaganda anti-Usa. «Ma le fotografie rappresentano una schiacciante, orribile ricompensa a tali dubbi». Un neonato ha braccia deformi. Un altro, nato nel 2010, presenta «una massa grigia su un lato della testa». Un medico spiega che si tratta della “Tetralogia di Fallot”, un difetto del setto interventricolare. Un altro piccolo, nato il 3 maggio 2010, è «una creatura dall’aspetto di una rana». Per il medico, «è come se tutti gli organi addominali cercassero di uscire dal corpo». È troppo, aggiunge Fisk: le fotografie sono eccessivamente crude, incarnano un dolore e una angoscia che ne rende impossibile la visione, perlomeno ai poveri genitori. Immagini che, in poche parole, non possono essere pubblicate.Quel che è veramente vergognoso, aggiunge Fisk, in un servizio ripreso da “Come Don Chisciotte”, è che queste deformità si ripetano senza alcun tipo di monitoraggio o controllo. «Un medico di Fallujah, una ostetrica formatasi in Gran Bretagna, dove ha acquistato a sue spese uno scanner da 79.000 sterline per la rilevazione prenatale delle anomalie congenite destinato alla sua clinica privata – e che è rientrata a Fallujah solo cinque mesi fa – mi dice il suo nome e mi domanda perché il ministero della salute a Baghdad non promuova una approfondita indagine ufficiale sui bambini deformi di Fallujah». E’ andata dal ministro, che le ha promesso che avrebbe creato un comitato. «Sono andata a incontrare il comitato: non hanno fatto nulla, non sono riuscita a ottenere alcun tipo di risposta».I medici di Fallujah si mostrano estremamente onesti e prudenti, aggiunge Fisk: sanno che alcune malformazioni possono essere imputate a problemi genetici ereditari, dovuti a matrimoni tra parenti. Quello che è assolutamente anomalo, però, è la recente esplosione del fenomeno: decisamente allarmante, per la dottoressa Samira Allani, secondo cui la frequenza dei difetti congeniti ha raggiunto «cifre senza precedenti» a partire dal 2010. «Quando i medici cercano di ottenere dei finanziamenti per la ricerca, capita che a volte si rivolgano a organizzazioni che hanno un preciso orientamento politico», spiega Fisk. «Lo studio della dottoressa Allani, ad esempio, ha ricevuto finanziamenti dalla “Kuala Lumpur Foundation to Criminalise War”, fondazione malese per mettere al bando la guerra, un’entità che in maniera appena marginale si oppone all’uso di armi da guerra statunitensi a Fallujah. Anche questo, temo, è parte della tragedia di Fallujah».Per neutralizzare un’infezione fetale basta una semplice trasfusione di sangue, dicono i sanitari, ma questo non aiuta a rispondere alle principali domande: perché l’incremento degli aborti, dei bambini nati morti, delle nascite premature? Il dottor Chris Busby, proveniente dall’università dell’Ulster, ha esaminato circa 5.000 persone a Fallujah, molte delle quali colpite da tumori. «Alcune forti esposizioni ad agenti mutageni sono sicuramente avvenute nel 2004, quando avvennero i bombardamenti», ha dichiarato. Il suo report, redatto in collaborazione con Malak Hamdan ed Entesar Ariabi, afferma che la mortalità infantile a Falluja è pari ad 80 soggetti su ogni 1.000 nati, rispetto ai 19 in Egitto, 17 in Giordania e solo 9,7 in Kuwait. Un altro dei medici di Fallujah dice a Robert Fisk che l’unico contributo ricevuto dal Regno Unito proviene dal dottor Kypros Nicolaides, primario in medicina fetale presso il King’s College Hospital, che attraverso un ente di beneficenza come la Foetal Medicine Foundation ha formato uno dei medici di Fallujah.«L’aspetto da incriminare maggiormente – dichiara a Fisk il medico britannico – è che, durante la guerra, né il governo inglese né quello americano son stati capaci di recarsi da Woolworths, il centro commerciale, ad acquistare dei computer con cui poter documentare le morti in Iraq. Esiste una pubblicazione “Lancet” in cui si stima che il numero dei morti durante la guerra si aggiri intorno ai 600.000. Eppure le potenze occupanti, Usa e Gran Bretagna, non hanno avuto la decenza di dotarsi di un computer del valore di anche solo 500 sterline, in modo da dire “questo corpo è ci è stato portato oggi e questo era il suo nome”». Ora, aggiunge il dottore, «sapete che esiste un paese arabo che ha un numero di malformazioni o tumori maggiore di quello dell’Europa intera». Il medico si dice «sicuro» che queste deformazioni siano in relazione con l’uso di armi da parte dei soldati americani. Ma ora l’Iraq è senza un vero governo, proprio quando servirebbe un accurato studio epidemiologico. «Chiudere gli occhi è molto facile per chiunque – tranne che per qualche professore pazzoide e sensibile come me che, da Londra, cerca di fare qualcosa».Le foto scorrono sullo schermo, in un piano alto del Fallujah General Hospital, il policlinico della città irachena rasa al suolo dalle bombe al fosforo bianco, armi di distruzione di massa impiegate dagli Usa nel 2004. Di colpo, scrive Robert Fisk, l’ufficio amministrativo del direttore ospedaliero, Nadhem Shokr Al-Hadidi, si trasforma in una camera degli orrori: «Un neonato con una bocca terribilmente deformata. Un altro con una malformazione del midollo spinale, con materia midollare che fuoriesce dal corpicino. Un neonato con uno spaventoso, enorme occhio da ciclope. Un altro neonato, con solo mezza testa, nato morto come i precedenti, data di nascita 17 giugno 2009». Un’altra foto passa sullo schermo: il piccolo, nato il 6 luglio 2009, è nato con solo «un mozzicone del braccio destro, del tutto privo della gamba sinistra e senza genitali». Orrore quotidiano, fotografie che vanno al di là delle parole: «Come si può anche solo immaginare di descrivere un bambino nato morto, con una sola gamba e la testa che misura quattro volte la taglia del suo corpicino?».
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No-Tav, non terroristi. Ma chi protesta resta nel mirino
La Cassazione ha fatto cadere l’accusa di “condotta con finalità di terrorismo” per il lancio di bottiglie molotov contro il cantiere Tav di Chiomonte? Non cantiamo vittoria, avverte Aldo Giannuli: certo viene alleggerita la posizione dei quattro imputati, arrestati con una accusa «tanto spropositata», ma – al processo – il crollo della costruzione accusatoria della Procura di Torino potrebbe essere interpretato come già “premiante” di per sé, scaricando sui quattro giovani il massimo della pena per reati più “realistici”, come “devastazione e saccheggio”. Inoltre, la vicenda dei No-Tav dimostra «quale sia la funzione cardine della magistratura nei processi di globalizzazione: sul versante civilistico attraverso l’assunzione dei principi della “lex mercatoria” e su quello penale attraverso l’emergenzialismo contro i conflitti sociali». Nel mirino, dunque, si ritrova (virtualmente) chiunque protesti. «Prima di tutto, bisogna sbarazzarsi delle mitologie giustizialiste di questi anni, di chi ha visto nella magistratura il baluardo della Costituzione, dove c’era semplicemente uno scontro fra diverse fazioni del potere».«Ovviamente», aggiunge Giannuli nel suo blog, «siamo soddisfatti di questo risultato per i quattro accusati che, speriamo, vengano trattati con equità e clemenza, sia in considerazione della loro giovane età, sia delle particolari condizioni in cui viene a trovarsi la lotta in val di Susa, di fronte all’assoluta sordità delle istituzioni e delle forze politiche verso le istanze della popolazione locale». Ma resta il fatto che i quattro «sono stati sottoposti ad un regime detentivo di massima sicurezza, con misure afflittive del tutto sproporzionate al fatto». Secondo alcuni media, i No-Tav denunciati sono ormai un migliaio, e il processo attualmente in corso non si svolge in tribunale, ma nell’aula-bunker del carcere torinese delle Vallette, secondo modalità proprie dei maxi-processi contro il terrorismo e la mafia. Oggi, la Cassazione dà ragione ai tanti giuristi che avevano protestato per la formulazione del reato di terrorismo contro i quattro giovani No-Tav, mentre resta tuttora senza colpevoli il terrorismo (vero) che colpì la valle di Susa negli anni ‘90, con una inquietante sequenza di attentati dinamitardi progettati per incolpare fantomatici “eco-terroristi”, mai individuati e probabilmente mai esistiti.Secondo Giannuli, i quattro ragazzi – fino a ieri sotto processo per terrorismo dopo una notte di “assedio” al cantiere di Chiomonte con lanci di molotov – ora dovranno affrontare il giudizio penale «in condizioni di svantaggio psicologico», perché «già la derubricazione del reato parrà una misura di clemenza», per cui «sarà più difficile ottenere quelle attenuanti di quanto sarebbe stato in diverse condizioni di partenza». Per Giannuli, storico dell’università di Milano e consulente di giustizia in tanti processi sulle “stragi impunite”, i problemi sono due: la norma giudiziaria italiana e i suoi utilizzatori. L’anomalia normativa risale all’articolo “270 sexies” del codice penale introdotto nel 2005, «nel clima certamente non sereno seguito al terribile attentato dell’11 settembre 2001», quello contro le Torri Gemelle. L’articolo considera “con finalità di terrorismo” le “condotte” che, “per la loro natura o contesto”, possono “arrecare grave danno ad un paese o ad un’organizzazione internazionale”, e sono compiute “allo scopo di intimidire la popolazione o costringere i poteri pubblici” a “compiere o astenersi dal compiere un qualsiasi atto” o “destabilizzare o distruggere le strutture politiche fondamentali, costituzionali, economiche e sociali di un paese”.Giannuli fa notare «il carattere eccessivamente vago e imprecisato della fattispecie penale: neppure si esplicita che sia necessario l’uso della violenza (che resta sottintesa)». Molto più genericamente, si parla solo di una “condotta” che possa condizionare i poteri pubblici in relazione a “qualsiasi atto”. «Cosa vuol, dire “qualsiasi atto”? Se un gruppo di cittadini cerca di impedire lo sgombero di case occupate, magari alzando barricate, certamente commette un reato, ma si può parlare di terrorismo per questo? E se il tentativo di indurre i pubblici poteri a recedere da una decisione fosse fatto con frode, potremmo parlare di terrorismo? La norma è così dilatabile che non si comprende bene dove debba arrestarsi». E’ comprensibile – fino a un certo punto – che, di fronte alla minaccia del terrorismo internazionale, il legislatore possa essersi «fatto prendere la mano». Ma oggi, «ad un decennio da quei fatti e con una minaccia tanto ridimensionata», dobbiamo proprio «continuare a tenerci una norma così pericolosamente fluida?». Questi, sottolinea Giannuli, «sono i danni delle “norme di eccezione” che entrano nell’ordinamento per una emergenza e poi ci restano anche quando l’emergenza è passata».Tutto questo, accusa Giannuli, «contribuisce a plasmare la mentalità dei magistrati indirizzandoli verso un uso non garantista del diritto penale: come si in questo paese ce ne fosse bisogno, con la magistratura che ci ritroviamo!». Negli ultimi dieci anni, continua lo storico, abbiamo assistito «ad una tendenza della magistratura inquirente ad alzare il tiro, beninteso, quando si tratta di conflittualità sociale, mentre l’atteggiamento è ben più esastico per i reati finanziari o degli appartenenti ai corpi di polizia, nel qual caso passano in cavalleria addirittura gli omicidi». Ormai, «si contesta il reato di devastazione e saccheggio anche se qualcuno sfascia una vetrina o un altro tira giù un segnale stradale e le imputazioni per reati gravissimi sono seminate come noccioline. Neppure ci si pone il problema della commisurazione dell’atto rispetto ai possibili effetti». Vale anche per i No-Tav, ovviamente. In quel caso, secondo Giannuli, l’inquirente ha ragionato così: il lancio delle molotov era finalizzato a bloccare i lavori della linea ferroviaria programmata dallo Stato? Dunque, era rivolto a costringere i poteri pubblici a non attuare quel progetto, e pertanto siamo negli estremi previsti dall’articolo “270 sexies”.«In tutto questo ragionamento, non si prende neppure in considerazione se il gesto in questione fosse idoneo ad ottenere l’effetto in questione», continua Giannuli. «Insomma, se cerco di fare una rapina in banca armato di temperino, magari le mie intenzioni sono quelle, ma appare scarsamente realistico che la cosa possa sortire l’effetto voluto ed è probabile che qualcuno mi prenda per matto più che per rapinatore». L’intenzione soggettiva? «Non è criterio di per sé sufficiente a caratterizzare il reato». Specie in un caso come quello della valle di Susa, dove gli stessi imputati – che ammettono la loro volontà di boicottare i lavori – al tempo stesso negano decisamente di aver mai voluto arrecare danno alle persone. E’ bene ricordare che in valle di Susa si sono svolte centinaia di manifestazioni nel corso degli ultimi anni, largamente pacifiche. Solo dal 2011 si è avuto qualche scontro ai margini, coinvolgendo singole fazioni, a volte anche con dei feriti. Ma non è mai stata riscontrata la detenzione di armi da fuoco o, peggio, di arsenali (armi da guerra, bombe) tipici del terrorismo.La magistratura inquirente torinese – interpretando quella legge del 2005, nel modo oggi “bocciato” dalla Cassazione – ha alzato il tiro contro una parte dei manifestanti, armati di molotov, petardi, fionde e tubi per lanciare razzi pirotecnici. Mano pesante, insomma, contestando il rischio che quelle attrezzature potessero comunque mettere in pericolo l’incolumità delle persone, operai del cantiere e agenti di sorveglianza. «Questo atteggiamento della magistratura non è una tendenza solo italiana», dice ancora Giannuli, citando «il comportamento della magistratura inglese nel 2011 nei confronti della rivolta giovanile di quella estate». In valle di Susa, però, «mi pare che stiamo facendo gli straordinari». Per Giannuli, la verità è che «il tempo della crisi spinge a comportamenti repressivi anche al di là della legalità: la spropositata accusa di terrorismo ai giovani No-Tav è figlia di questa cultura giuridica e di questa funzione repressiva spinta al parossismo». Sicché, «al di là dei singoli casi, si rende necessaria e urgente una presa di coscienza dei termini reali del problema della giustizia penale».La Cassazione ha fatto cadere l’accusa di “condotta con finalità di terrorismo” per il lancio di bottiglie molotov contro il cantiere Tav di Chiomonte? Non cantiamo vittoria, avverte Aldo Giannuli: certo viene alleggerita la posizione dei quattro imputati, arrestati con una accusa «tanto spropositata», ma – al processo – il ridimensionamento dell’imputazione potrebbe essere interpretato come già “premiante” di per sé, scaricando sui quattro giovani il massimo della pena per reati di teppismo. La vicenda dei No-Tav dimostra «quale sia la funzione cardine della magistratura nei processi di globalizzazione: sul versante civilistico attraverso l’assunzione dei principi della “lex mercatoria” e su quello penale attraverso l’emergenzialismo contro i conflitti sociali». Se nel mirino finisce (virtualmente) chiunque protesti, bisogna «sbarazzarsi delle mitologie giustizialiste di questi anni, di chi ha visto nella magistratura il baluardo della Costituzione, dove c’era semplicemente uno scontro fra diverse fazioni del potere».
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Obama mente: ridetegli in faccia, o vi porterà in guerra
«Ma Obama si rende conto che sta conducendo gli Usa ed i loro Stati-fantoccio verso la guerra con la Russia e la Cina?». Paul Craig Roberts, già sottosegretario al Tesoro con Ronald Reagan, lancia l’allarme: l’inquilino della Casa Bianca sembra manipolato dai neo-conservatori del suo governo. «La Prima e la Seconda Guerra Mondiale sono state il prodotto di ambizioni e di errori di un piccolo numero di persone». Nella “Genesi della Guerra Mondiale”, Harry Elmer Barnes dimostra che la Grande Guerra è stata causata dalla miopia di un pugno di politici, come il presidente francese Raymond Poincaré e il ministro degli esteri russo Sergej Sazonov. «Poincaré chiedeva alla Germania l’ Alsazia-Lorena, e i russi volevano Istanbul e il Bosforo, che collega il Mar Nero al Mediterraneo. Si resero conto che le loro ambizioni richiedevano una guerra generale europea e lavorarono per produrre proprio quella guerra».Il kaiser tedesco Guglielmo II fu accusato di essere responsabile del conflitto, e invece «fece tutto il possibile per evitarlo», dice Craig Roberts. Il libro di Barnes fu pubblicato nel 1926, e l’autore fu accusato di esser stato pagato dai tedeschi per “assolvere” la Germania. Ma, 86 anni dopo, lo storico Christopher Clark nel suo libro “I sonnambuli”, arriva alla stessa conclusione di Barnes. «Mi è stato insegnato che la colpa della guerra fu della Germania, che sfidò la supremazia navale britannica costruendo un eccessivo numero di navi corazzate». Falso. «Gli storici di corte che ci hanno propinato questa storia – dice Roberts – furono gli stessi che gettarono le basi per la Seconda Guerra Mondiale». Oggi, continua l’analista americano, «siamo di nuovo su una strada che conduce ad una guerra mondiale».Cent’anni fa, le basi per dare il via alla guerra furono costruite «con l’inganno»: la Germania «doveva essere presa alla sprovvista», e gli inglesi «manipolati», come l’opinione pubblica degli altri paesi coinvolti, sottoposta «a un lavaggio del cervello e a una propaganda aggressiva». Oggi, dice Roberts, è più che evidente chi sta lavorando per la guerra: «Le bugie dette sono palesi e tutto l’Occidente sta partecipando, con i suoi governi e i suoi media». Come il primo ministro canadese Stephen Harper, che Roberts definisce «il burattino americano», che avrebbe «mentito spudoratamente a una televisione canadese quando ha affermato che il presidente russo Putin ha invaso la Crimea, minacciato l’Ucraina e dato il via ad una nuova guerra fredda». L’altra metà del problema? Il conduttore del programma televisivo: «Era lì seduto e annuiva con la testa, in accordo con queste chiare menzogne».«Il copione che Washington ha fornito al suo fantoccio canadese – scrive Craig Roberts in un post tradotto da “Come Don Chisciotte” – è lo stesso che è stato dato a tutti i burattini di Washington». Ovunque, in Occidente, il messaggio è lo stesso: Putin ha invaso e annesso la Crimea, Putin è determinato a ricostruire l’impero sovietico, Putin dev’essere fermato. Craig Roberts riferisce di aver sentito molti canadesi «piuttosto indignati nel vedere che il loro governo rappresenti Washington e non il Canada». E nonostante Harper «sia quello che è», “Fox News” e Obama «sono molto, molto peggio». La Fox? E’ «l’organo di propaganda di Murdoch», secondo cui Putin avrebbe di fatto «ripristinato la pratica sovietica dell’esercizio della forza bruta». Un “esperto” invitato in studio non ha dubbi: Putin, ovviamente, «incarna una specie di “giovane Hitler”». Secondo Craig Roberts, «la totale ignoranza storica dell’Occidente dà credito ad Obama, o ai suoi “gestori” o “programmatori”», che possono manipolare notizie e opinione pubblica.Obama, poi, è ben oltre la decenza: ha appena dichiarato che la distruzione dell’Iraq da parte di Washington – bilancio: un milione di morti, quattro milioni di profughi, infrastrutture devastate, esplosione della violenza settaria e totale rovina di un paese – non va considerata così grave come «l’accettazione da parte della Russia dell’autodeterminazione della Crimea». Surreale, continua Craig Robert, il discorso di Obama a Bruxelles lo scorso 26 marzo: la Russia, dice l’inquilino della Casa Bianca, «deve essere punita dall’Occidente per aver permesso alla Crimea di autodeterminarsi». E cioè: «Il ritorno per propria volontà di una provincia russa alla sua madre patria dopo 200 anni viene considerato come un’azione dittatoriale, tirannica e antidemocratica». Parola di Obama, l’uomo che «ha appena rovesciato il governo democraticamente eletto dell’Ucraina sostituendolo con dei tirapiedi scelti da Washington», e ora parla di «sacro ideale delle genti di tutte le nazioni, libere di prendere le proprie decisioni sul loro futuro». Ridicolo: «Questo è esattamente ciò che ha fatto la Crimea, e che – al contrario – il golpe degli Stati Uniti a Kiev ha violato».E dov’è finito, tra l’altro, lo Stato di diritto negli Usa? «L’habeas corpus, il giusto processo, il diritto di istituire un processo e di determinare la colpa prima dell’arresto o dell’esecuzione e il diritto alla privacy, sono stati tutti calpestati dal regimi Bush e Obama. Gli Stati Uniti e il diritto internazionale sono contrari alla tortura: eppure Washington ha istituito in tutto il mondo prigioni che praticano la tortura. Come è possibile che il rappresentante del governo degli Stati Uniti, di fatto criminale di guerra, possa stare davanti ad un pubblico europeo e parlare di “stato di diritto”, “diritti individuali”, “dignità umana”, “autodeterminazione” e “libertà”, senza che il pubblico scoppi a ridere?». Quello di Washington, continua Craig Roberts, «è il governo che ha invaso e distrutto l’Afghanistan e l’Iraq basandosi su bugie», lo stesso governo «che ha finanziato e organizzato il rovesciamento dei governi libico e honduregno e che sta tentando di fare la stessa cosa in Siria e in Venezuela».E’ un governo, quello di Washington, che «attacca con droni e bombe popolazioni dei paesi sovrani del Pakistan e dello Yemen», e intanto riempie di truppe tutta l’Africa e «ha circondato la Russia, la Cina, l’Iran con basi militari». Seriamente: «E’ proprio questo gruppo di guerrafondai che ha l’ardire di continuare ad affermare che sta difendendo gli ideali internazionali contro la Russia?». Nessuno ha applaudito il discorso di Obama, «ma il fatto che l’Europa accetti tali menzogne senza protestare equivale a un benestare a Washington per scatenare una guerra». Obama chiede più truppe Nato di stanza in Europa orientale allo scopo di «contenere la Russia», cosa che «tranquillizzerebbe la Polonia e gli Stati baltici che, come membri della Nato, sarebbero protetti da un’eventuale aggressione della Russia». Ma, oltre a Obama, c’è qualcuno – sano di mente – che pensa davvero che la Russia stia per invadere la Polonia o il Baltico?Obama, poi, «non dice quale effetto avranno sulla Russia l’escalation militare Usa-Nato e gli altri giochi di guerra sul confine russo». Ovvero: «Sarà il governo russo a dedurre di essere sul procinto di venire attaccato e colpirà per primo? La sconsiderata disattenzione di Obama è proprio quello che di solito provoca le guerre». La situazione è davvero molto pericolosa, insiste Craig Roberts, perché l’Occidente sta davvero minacciando la Russia, trascinando l’Europa verso il disastro. «Chi potrebbe mai credere che Obama, il cui governo è responsabile ogni giorno della morte di persone in Afghanistan, Iraq, Pakistan, Yemen, Libia e Siria, si curi davvero di un briciolo di democrazia in Ucraina?». Il presidente ha rovesciato il governo di Kiev per poter annettere l’Ucraina nella Nato, cacciare la Russia dalla base navale in Crimea e installare basi missilistiche sul confine russo. «Obama è arrabbiato che il suo piano non stia andando come previsto e sfoga questa sua rabbia e frustrazione contro la Russia», facendo crescere «l’ipocrisia e la presunzione» insieme alla pretesa di «punire la Russia e Putin e demonizzarli ulteriormente». C’è da aspettarsi il peggio: i media soffieranno sul fuoco della propaganda anti-russa destabilizzando ulteirormente l’Ucraina dell’Est, magari al punto di «costringere Putin a inviare davvero delle truppe per difendere i russi».Perché la gente «è così cieca da non vedere che Obama sta conducendo il mondo verso una guerra definitiva?». La pericolosa aggressività di Obama, dice Craig Roberts, ricorda da vicino il trionfalismo di inglesi, francesi e americani dopo la vittoria della Prima Guerra Mondiale, come fosse stato «il trionfo del loro idealismo contro le ambizioni territoriali tedesche e austriache». Ma alla Conferenza di Versailles, ricorda Roberts, furono i bolscevichi – i rivoluzionari vittoriosi a Mosca – a rivelare «l’esistenza dei famigerati Trattati Segreti», il patto di spartizione che avrebbe sostanzialmente amputato la Germania, preparando il terreno per il risentimento popolare del quale poi avrebbe approfittato Hitler. «Nella guerra, gli scopi segreti britannici, russi e francesi erano sconosciuti alla gente, fustigata da una battente propaganda creata appositamente per sostenere una guerra i cui esiti furono ben diversi dalle intenzioni di coloro che la provocarono. Le persone – conclude Roberts – sembrano incapaci di imparare dalla storia. Ora, ancora una volta, vediamo il mondo trascinato lungo un sentiero che attraversa un bosco di menzogne e di propaganda, questa volta a favore dell’egemonia mondiale da parte dell’America».«Ma Obama si rende conto che sta conducendo gli Usa ed i loro Stati-fantoccio verso la guerra con la Russia e la Cina?». Paul Craig Roberts, già sottosegretario al Tesoro con Ronald Reagan, lancia l’allarme: l’inquilino della Casa Bianca sembra manipolato dai neo-conservatori del suo governo. «La Prima e la Seconda Guerra Mondiale sono state il prodotto di ambizioni e di errori di un piccolo numero di persone». Nella “Genesi della Guerra Mondiale”, Harry Elmer Barnes dimostra che la Grande Guerra è stata causata dalla miopia di un pugno di politici, come il presidente francese Raymond Poincaré e il ministro degli esteri russo Sergej Sazonov. «Poincaré chiedeva alla Germania l’ Alsazia-Lorena, e i russi volevano Istanbul e il Bosforo, che collega il Mar Nero al Mediterraneo. Si resero conto che le loro ambizioni richiedevano una guerra generale europea e lavorarono per produrre proprio quella guerra».