Archivio del Tag ‘bilancio’
-
Lerner: proni ai diktat Ue, il Grillo no-euro vi punirà
Unione Europea intoccabile? Chiunque la critichi da sinistra, chiedendo una revisione dei trattati-capestro per allentare il rigore in nome della giustizia sociale, viene subito bollato come sovversivo. Dunque poi non ci si lamenti, osserva Gad Lerner, se a fare il pieno di voti alle prossime europee sarà Beppe Grillo, che ora attacca Napolitano, «individuato come il garante della stabilità del nostro sistema di fronte all’establishment dell’Unione Europea». Parola d’ordine del terzo Vday: “L’Italia non deve più versare il suo tributo di sangue all’Europa”. Primo atto di una lunga campagna elettorale. Obiettivo: «Trasformare in plebiscito no-euro l’ostilità abbattutasi un po’ dappertutto sull’Ue, e liquidare come velleità riservata ai benestanti gli ideali della sinistra europeista». Molto probabile che, a maggio 2014, il “referendum contro l’Europa dell’euro” incoroni come partito di maggioranza relativa la formazione grillina, che avrà buon gioco «nell’indicare il governo delle larghe intese, e la sua sudditanza ai diktat di Bruxelles, come i responsabili della crescente sofferenza sociale».La stessa contrarietà dichiarata da Grillo all’abrogazione del reato di immigrazione clandestina, aggiunge Lerner, conferma che il leader del M5S «vuole assecondare la sindrome da invasione straniera, impersonata altrove dai partiti populisti e xenofobi antieuropei, per offrirsi così come punto di riferimento all’elettorato di destra in libera uscita». Sfumature “strumentali” a parte, il progetto di Grillo è ambizioso: «Mira infatti a una clamorosa bocciatura per via elettorale di quegli “stupidi” parametri con cui, vent’anni fa a Maastricht, si diede vita a una Unione prima finanziaria e monetaria che politica». Parametri «inaspriti ulteriormente, sotto i colpi della recessione, con i vincoli di bilancio pretesi dalla cancelleria di Berlino», e col rubinetto della liquidità creditizia gestito col contagocce dalla Bce. «Grillo sa di riscuotere vasto consenso quando parla di “tributo di sangue” imposto dall’Europa all’Italia. Nella sua propaganda, “Imu, Iva, Tarsu, Tares, Trise sono il frutto della religione dell’austerità”. Poi, nel 2016, entrerà in vigore il Fiscal Compact, col quale “siamo condannati a trovare ogni anno 50 miliardi per i prossimi vent’anni”. Senza peraltro che ciò garantisca il ripianamento del nostro debito pubblico».Ecco l’argomento anti-Ue grazie a cui Grillo confida di imporsi come maggioranza relativa in Italia: «Le enormi cifre che l’Europa ci impone di versare, da sole “basterebbero a riavviare la nostra economia e a fare del nostro paese uno Stato florido”. Dunque l’Europa sarebbe un impedimento anziché la levatrice della nostra rinascita». Per Lerner si tratta di «demagogia»: giudizio davvero sorprendente, e non spiegato. “Demagogia” comunque «efficacissima», quella di Grillo, specie se messa a confronto con l’uscita di Letta alla Sorbona: «Dirò qualcosa di impopolare, ma se non avessi avuto lo scudo comunitario, non avrei potuto dire no a chi in Italia faceva pressione per aumentare il debito». Se la contrapposizione resta frontale – Grillo che sconfessa i trattati europei e il governo che si trincera dietro lo “scudo comunitario” pur di non rivedere i vincoli di bilancio – l’esito delle elezioni europee è segnato, «col partito dell’austerità destinato alla sconfitta, Renzi o non Renzi», con in più l’incognita dei contraccolpi che causerebbe nell’Ue «la vittoria di un movimento antieuropeo in un grande paese come Italia».Più che antieuropeo, sarebbe meglio dire antieuropeista: cioè contro l’attuale gestione dell’Unione, frutto del disastroso europeismo finanziario dei suoi padri fondatori. Lerner giudica “drammatica”« l’irrilevanza cui sembra condannato il progetto sociale e politico di una sinistra europeista». E più che di irrilevanza, bisognerebbe parlare delle responsabilità primarie che partiti come il Pds-Ds-Pd, l’Spd e i socialisti francesi hanno assunto nell’interpretare la politica antisociale di Bruxelles – ruolo tutt’altro che irrilevante, purtroppo. Le conseguenze sono ben evidenziate dallo stesso Lerner: «Viviamo un passaggio storico cruciale in cui sembrerebbe che l’Europa dei cittadini indebitati, dei giovani disoccupati, del ceto medio impoverito, del Quinto Stato in cui confluiscono milioni di lavoratori parasubordinati, autonomi, precari, possa trovare solo nel populismo nazionalista uno sbocco politico al suo malessere».E’ come se all’analisi di Lerner mancasse un passaggio: il giornalista sembra non “vedere” l’abisso che separa «il cosmopolitismo sessantottino dei Cohn-Bendit, Langer, Fischer», da quella che chiama «la visione sociale di Delors e Prodi», cioè del “nonno” del rigore – massimo padrino europeo dell’euro-sciagura – e del super-tecnocrate professore dell’Ulivo, già presidente della Commissione Europea nonché advisor della famigerata Goldman Sachs. Grandi privatizzatori, demolitori delle fondamenta del welfare. Risultato? Quello attuale: il «vuoto di cultura della cittadinanza e del comune destino europeo», su cui in Italia giganteggia l’anziano Napolitano, «il principale interlocutore dei partner dell’Unione, e come tale appare proteso in un faticoso impegno di salvaguardia degli architravi comunitari vacillanti». La democrazia federale degli Stati Uniti d’Europa è rimasta nel grande sogno di Altiero Spinelli. «Sarebbe prezioso», conclude Lerner, che in campagna elettorale «emergesse una visione europeista disincagliata dai parametri di Maastricht e dal Fiscal compact». Non accadrà. Vincerà quello che Lerner chiama «il catastrofismo no-euro di Grillo, nutrito dai fallimenti di una tecnocrazia che s’illude ancora di trovare riparo dietro allo “scudo comunitario”».Unione Europea intoccabile? Chiunque la critichi da sinistra, chiedendo una revisione dei trattati-capestro per allentare il rigore in nome della giustizia sociale, viene subito bollato come sovversivo. Dunque poi non ci si lamenti, osserva Gad Lerner, se a fare il pieno di voti alle prossime europee sarà Beppe Grillo, che ora attacca Napolitano, «individuato come il garante della stabilità del nostro sistema di fronte all’establishment dell’Unione Europea». Parola d’ordine del terzo Vday: “L’Italia non deve più versare il suo tributo di sangue all’Europa”. Primo atto di una lunga campagna elettorale. Obiettivo: «Trasformare in plebiscito no-euro l’ostilità abbattutasi un po’ dappertutto sull’Ue, e liquidare come velleità riservata ai benestanti gli ideali della sinistra europeista». Molto probabile che, a maggio 2014, il “referendum contro l’Europa dell’euro” incoroni come partito di maggioranza relativa la formazione grillina, che avrà buon gioco «nell’indicare il governo delle larghe intese, e la sua sudditanza ai diktat di Bruxelles, come i responsabili della crescente sofferenza sociale».
-
Ville e castelli, grande svendita dei tesori degli italiani
Il governo italiano prevede la vendita della villa del Grande Inquisitore, del Forte dei Papi e di una delle isole della laguna veneta, allo scopo di tagliare il deficit di bilancio. Secondo quanto riportato dai mass media italiani, la dismissione di questi 50 luoghi di prestigio dovrà apportare al Tesoro all’incirca 500 milioni di euro. Si dice che il passaggio ai privati di parte del patrimonio immobiliare dello Stato permetterà di contenere il deficit di bilancio nel 2013 entro la soglia del 3% del Pil, come esige l’Unione Europea. A parte la riscossione immediata di questi importi, il governo auspica che le ville e i castelli siano convertiti in ristoranti, musei ed alberghi, così da consentire la creazione di nuovi posti di lavoro.Anche la Grecia, altro paese al quale l’Unione Europea ha prescritto un duro regime di controllo del bilancio, l’anno scorso si è trovata a dover svendere ai privati alcune delle sue isole, spiagge e luoghi di villeggiatura. L’Italia, a sua volta, aveva già messo in vendita con successo alcuni fari sull’isola della Sardegna. Secondo il “Corriere della Sera”, tra le proprietà immobiliari statali in dismissione, quest’anno si troverebbe anche il Castello Orsini, vicino Roma, fatto costruire da Papa Nicola III nel 1270, dalla metà del 19° secolo fino al 1989 utilizzato come prigione. La gente del posto ne parla male, come se vi vivessero i fantasmi.Un’altra vestigia nazionale di cui si prepara la messa in vendita è Villa Mirabello, situata non lontano da Milano, costruita nel 1700 dal Cardinal Durini, grande inquisitore di Malta. Nella laguna veneta gli investitori potranno acquistare l’isola di San Giacomo, che dall’undicesimo secolo è stata residenza dei monaci; nel secolo scorso fu trasformata in base militare e poi, dal 1962, dismessa e abbandonata al degrado. Secondo esperti locali, il governo italiano non ha le forze per mantenere adeguatamente questi monumenti, senza contare che molti paesi europei adesso si adoperano per fare cassa attraverso tutte le risorse possibili.(“L’Italia svenderà i castelli storici per risanare i buchi di bilancio”, da “Russia Today” del 16 ottobre 2013, ripreso da “Come Don Chisciotte”).Il governo italiano prevede la vendita della villa del Grande Inquisitore, del Forte dei Papi e di una delle isole della laguna veneta, allo scopo di tagliare il deficit di bilancio. Secondo quanto riportato dai mass media italiani, la dismissione di questi 50 luoghi di prestigio dovrà apportare al Tesoro all’incirca 500 milioni di euro. Si dice che il passaggio ai privati di parte del patrimonio immobiliare dello Stato permetterà di contenere il deficit di bilancio nel 2013 entro la soglia del 3% del Pil, come esige l’Unione Europea. A parte la riscossione immediata di questi importi, il governo auspica che le ville e i castelli siano convertiti in ristoranti, musei ed alberghi, così da consentire la creazione di nuovi posti di lavoro.
-
Delors e l’euro, la moneta-mostro ideata da Goldman Sachs
Alle elementari avevo un maestro perverso. Questo bruto dalla chioma fiammeggiante si divertiva a colpire i suoi allievi con due canne di vimini scuro, che aveva battezzato Katie e Maggie, però quando Mr C. non stava frustandoci il palmo delle mani, ci teneva delle dotte lezioni per spiegarci tutti i motivi che non ci dovevano mai indurre ad usare la violenza. Ecco José Manuel Barroso, mi ricorda proprio Mr C. – anche se i due uomini non hanno nessuna somiglianza fisica tra di loro. Il capo della Commissione Europea sta tenendo le fila di un esperimento sadico che ha inflitto sofferenze a milioni di persone che non avevano avuto niente a che vedere con la crisi finanziaria, oggi però vuol farci credere di aver trovato una sua coscienza sociale. Questo mese Barroso e soci stanno presentandoci un cinico esperimento di austerità – addolcita. Un nuovo documento politico emesso dalla Commissione ricorda che ci dovrebbe essere un maggior controllo sulle politiche occupazionali nei paesi della zona euro.
-
Dopo la Siria, sollevazione anti-Usa: non fate più paura
Nel 1991, gli Stati Uniti avevano considerato che la fine del loro grande rivale liberava il loro budget militare e permetteva loro di sviluppare la propria prosperità. Il presidente George H. Bush (il padre) aveva cominciato, dopo l’operazione Desert Storm, a ridurre le dimensioni delle sue forze armate. Il suo successore, Bill Clinton, rafforzò questa tendenza. Tuttavia, il Congresso repubblicano, eletto nel 1995, rimise in questione questa scelta e impose un riarmo senza nemici da combattere. I neo-conservatori lanciarono il loro paese all’assalto del mondo per creare il primo impero globale. Fu solo in occasione degli attentati dell’11 settembre 2001 che il presidente George W. Bush (il figlio ) decise di invadere successivamente l’Afghanistan e l’Iraq, la Libia e la Siria, poi la Somalia e il Sudan, e di terminare con l’Iran, prima di volgersi verso la Cina.
-
Barnard: tutta la verità sul disastro del modello tedesco
Ecco il disastro del modello tedesco, quello che secondo i tromboni televisivi dovrebbe essere il nostro modello. Le fonti sono autorevoli, cioé: Ocse, German Institute for Economic Research, Peterson Institute for International Economics, Wsj. Non aggiungo commenti, se non ci arrivate da soli… Il modello di competitività della Germania porta un solo nome: tagliare gli stipendi. Solo abbassando i redditi la Germania è riuscita a rimanere la prima economia dell’Eurozona, perché è riuscita ad esportare masse di prodotti a costi bassi. Ci hanno guadagnato in due: le multinazionali Neomercantili tedesche, e i numerini sui computer del Tesoro di Berlino. Ci hanno perso tutti gli altri tedeschi. Carsten Brzeski, del colosso assicurativo Ing, ci dice che la Germania si è sostenuta durante la crisi esportando fuori dalla Ue; ma ora, col crollo dei paesi emergenti, dei Brics in particolare, la Germania è esposta a shock economici pericolosissimi.
-
Bruxelles: crepi la Grecia, purché resti lontana dalla Russia
Torturati da Bruxelles, i greci non hanno futuro: sono senza cibo e non hanno soldi per curarsi. Quello che sta accadendo alla Grecia nel 2013 non ha eguali in Europa dalla fine della Seconda Guerra Mondiale: la popolazione è abbandonata a se stessa, senza lavoro e senza protezioni, tantomeno sanitarie. E nelle manifestazioni di piazza cominciano a circolare armi. «Un’esplosione sociale è inevitabile», afferma l’ex diplomatico greco Leonidas Chrysanthopoulos. Ormai l’unica domanda è: quando la rivolta scoppierà. Perché tutto questo? Semplice: per il lucro degli speculatori di Wall Street, gli avvoltoi del debito greco, e per il dominio dell’egemonia euro-atlantica: se la Grecia dovesse collassare e uscire dall’Eurozona, spiega al “Corriere della Sera” l’ex ministro degli esteri tedesco Joschka Fischer, Europa e Usa potrebbero perdere il controllo sui Balcani: gli Stati oggi attratti da Bruxelles potrebbero spaventarsi e tornare sotto l’ala della Russia.
-
La finanza parassitaria, il cancro che uccide il lavoro
Se l’industria produce 100, la finanza pretende una “tangente” che va da 50 a 70. I parassiti stanno letteralmente divorando le aziende, cui impongono costi finanziari mostruosi. L’Unione Europea sta dalla parte della finanza e lascia al suo destino l’industria. La quale, complici i dirigenti – reagisce in un solo modo, e cioè tagliando posti di lavoro. E’ la crisi europea “spiegata” dall’economista francese Laurent Cordonnier, co-autore di un importante studio dell’università di Lille, che dimostra che è proprio la rendita finanziaria ad aver cannibalizzato il lavoro in Europa, provocando l’attuale disastro. «L’aumento del costo del capitale – o piuttosto del suo sovraccosto – sulla scia della finanziarizzazione dell’economia, spiega le performance deludenti che le vecchie economie sviluppate hanno offerto negli ultimi trent’anni: il ritmo fiacco dell’accumulazione di capitale, l’aumento delle diseguaglianze, il boom dei redditi finanziari, la persistenza di un massiccio fenomeno di sottoccupazione».
-
Debito, nuovo colonialismo: ma oggi le colonie siamo noi
Dimentichiamo l’“austerità” e tutto il teatrino politico; per riuscire a capire veramente la zona euro, l’unico modo è cercare di comprendere come funziona il modello neocoloniale della finanziarizzazione, perché questo è il motore della zona euro. Nel vecchio modello del colonialismo, la potenza colonizzatrice conquistava o cooptava le élite di potere della regione conquistata e cominciava a sfruttare le risorse e la manodopera della nuova colonia, per arricchire il “centro” dell’impero. Nel neocolonialismo, le forze della finanziarizzazione (debito e leva finanziaria controllati dai cartelli bancari che appoggiano lo Stato) sono utilizzati per obbligare le élite locali e il popolo a stipulare contratti con le banche: le “colonie periferiche” prendono in prestito soldi per comprare i prodotti finiti, venduti dal “core/centro dell’impero”, arricchendo così il centro in due modi: guadagnado con gli interessi che maturano sul debito e facendo una “scrematura” dei beni patrimoniali di maggior valore finanziario, ad esempio quello immobiliare; guadagnando con la vendita dei beni comprati dai debitori.
-
Armiamoci e partite: boom storico dell’industria bellica
Più l’economia frena, più vola l’industria della guerra: il commercio delle armi non è mai stato così fiorente. Secondo uno studio presentato di recente a Londra, il mercato mondiale è cresciuto del 30% negli ultimi quattro anni e potrebbe raddoppiare entro il 2020, con l’esplosione dei bilanci militari, soprattutto in Asia. Il rapporto pubblicato da “Ihs Jane’s” rivela che, tra il 2008 e il 2012, le esportazioni e le importazioni di armi nel mondo sono aumentate da 56,5 a 73,5 miliardi dollari (43-56 miliardi di euro). Il mercato potrebbe raggiungere i 100 miliardi dollari entro il 2018 e raddoppiare entro il 2020. Per contro, la quota di mercato dell’Europa occidentale è diminuita, scendendo dal 34,5 % del 2008 al 27,5 % nel 2012, mentre quella dell’Asia-Pacifico, tra cui la Cina, è salita dal 3,7 al 5,4% rispetto allo stesso periodo. «Stiamo assistendo alla più grande esplosione del commercio mondiale di armi che il mondo abbia mai conosciuto», sostiene l’analista Paul Burton, tra gli autori dello studio britannico.
-
Ma Letta che fa, lascia o raddoppia? E chi se ne frega
Ma allora il governo Letta che fa, cade insieme a Berlusconi o tira avanti? Risposta: non ce ne può fregare di meno – del governo Letta, e anche di quello che verrà dopo, fosse pure guidato dal giovane Renzi. Tanto, non sono loro a decidere, si limitano a prendere ordini: quelli che il Cavaliere – amico di Gheddafi e di Putin – non era sempre così propenso ad eseguire, nei ritagli di tempo tra affari, processi e le “cena eleganti” di Arcore. Quisquilie, comunque, di fronte al dramma: l’Italia è totalmente in mani straniere. Al punto che, con questa offerta politica, i cittadini potrebbero fare a meno di votare. Prima Bersani, il Nulla fatto a candidato, e ora il sindaco di Firenze, a fronteggiare – si fa per dire – la corte del vecchio Silvio. Ma è solo teatro. I diktat sono a monte, a prescindere: non possiamo spendere più un soldo di nostra iniziativa, siamo controllati al centesimo. E spediti in guerra, pure, su inziativa del Sommo Potere Egemone. Idee ormai ricorrenti, rarissime però da ascoltare in televisione. A colmare la lacuna, per una volta, provvede Roberto D’Agostino.
-
Ioppolo: macché neoliberisti, sono una cricca di ladroni
Quando a fronte del peggioramento drastico del nostro Pil e dei nostri conti pubblici in soli 16 mesi di sacrifici bocconiani, in Confindustria e in ogni riunione possibile e immaginabile di categoria, locale come nazionale, vengono fischiati tutti i ministri, i politici e gli economisti che propongono altri sacrifici popolari per fare quadrare i conti pubblici sulla base dei suggerimenti/imposizioni che vengono dagli “esperti” finanziari, anche se questo accade senza che ancora venga proposta una alternativa credibile, vuol dire che siamo ormai alla resa finale dei conti tra il mondo del lavoro e quello degli strati parassitari e possidenti. Non lasciamo che ciò assuma forme mostruose. Abbiamo il dovere intellettuale, politico, morale e spirituale di rendere dolce la transizione verso il mondo migliore che emergerà dalla ormai improcrastinabile riforma post-keynesiana delle fondamentali strutture economiche interne e internazionali. Uniamoci e diffondiamo questa conoscenza. Facciamolo con volantinaggi, spamming web, manifestazioni pacifiche, passa-parola, ma facciamolo subito!
-
Ue, oligarchia e mercato: così Bruxelles ci sta stritolando
Entrato in vigore il 1° dicembre 2009, il Trattato di Lisbona è stato messo in mora, anzi di fatto sostituito con un sistema di governance messo a punto da una serie di direttive, concordate anche con il Parlamento Europeo, la prima delle quali emanata dall’Ecofin il 7 settembre 2010 dando inizio al Semestre Europeo. La nuova governance, nata per fronteggiare la crisi economico-finanziaria, si è strutturata con accordi intergovernativi: il Patto Fiscale e il trattato Esm. Fino al 2009 si poteva parlare di deficit democratico, ora si deve parlare di deriva oligarchica dell’Ue. Per controllare ex ante ed ex post le politiche di bilancio è stato successivamente emanato un gruppo di direttive: il Six Pack e il Two Pack. Con questa serie di misure si sono concentrati i poteri nel Consiglio Europeo, nella Bce e nelle due nuove istanze istituzionali, quelle dell’Euro Summit e del suo presidente, che attualmente coincide con quello del Consiglio europeo, Van Rompuy: sono questi i “giudici di ultima istanza” che dettano le misure di bilancio e di politica economica, mentre la Bce regna sulla moneta.