Archivio del Tag ‘Berlusconi’
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Giap: onore, per una volta, al giornalismo americano
L’edizione del 5 ottobre dell’“International Herald Tribune” si apre con un “obituary”, un necrologio a sei colonne, con fotografia e titolo: “Vo Nguyen Giap, un rivoluzionario”. Non ricordo nulla di analogo nella mia esperienza di giornalista. La potenza imperiale s’inchina, rende l’onore delle armi e della vittoria a colui che la sconfisse nel lontanissimo 30 aprile 1975, quando Saigon cadde e le immagini degli elicotteri in fuga che si alzavano in volo dai tetti dell’ambasciata americana fecero il giro del mondo. Oggi, per l’“Iht”, evidentemente, non c’era notizia più importante di quel ricordo. E non c’era cosa più giusta da fare che ricordare quella sconfitta in cui furono cancellate circa 58.000 vittime americane. Adesso proviamo a confrontare questa prima pagina con quelle dei giornali italiani, cioè dei servi. Si parla, è ovvio, solo di Berlusconi e della spazzatura di questo paese.
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Diversamente italiani, uniti per obbedire ai nostri boia
Questo governo fa ancora più schifo di quello che l’ha preceduto. I ministri sono gli stessi, i voti che riceve per la fiducia pure, ma è tutto ancora più sfacciato. Prima il governo Letta dichiarava di esistere per stato di necessità, per costrizione parlamentare. Ora rinasce nella convinzione euforica del Pd e dei transfughi del Pdl, e anche nella frustrata e velenosa reazione di Silvio Berlusconi al destino giudiziario che lo attende. Tutto il Palazzo gioisce, “Corriere della Sera” e “La Repubblica”, Confindustria e Cgil Cisl Uil, conferenza episcopale e Borsa hanno il governo vero che chiedevano. Naturalmente contento è il governo tedesco dell’Europa, che ha spinto come non mai per questo sbocco, trovando nuovi statisti di riferimento nel ministro delle leggi per la precarietà Sacconi, nell’uomo della sanità lombarda Formigoni, nel ministro dell’interno Alfano che porta gli alpini dall’Afghanistan in val di Susa, e in tanti altri democratici modello, tra cui il noto omofobo Giovanardi.
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Annunziata: larghe intese senza consenso, meglio le urne
Meglio tornare a votare, piuttosto che rassegnarsi alle “larghe intese” costruite da una casta parlamentare ignorando la volontà dei cittadini. E’ il giudizio che un’opinion leader del mainstream come Lucia Annunziata formula dopo la patetica farsa di Berlusconi, costretto da mezzo Pdl in rivolta a rimangiarsi la parola e piegarsi a Letta e Napolitano per tenere in piedi il governo-fantasma che tanto piace a Bruxelles e Berlino. «Senza molto agitarsi e senza grande sfoggio di muscoli», Letta e Alfano sono riusciti a rendere Berlusconi irrilevante in Parlamento. Ottenere la testa del Cavaliere: «Obiettivo perseguito e mai raggiunto nei passati vent’anni da molti leader politici con molta più forza e sicuramente molte più pretese di loro due», scrive la Annunzuiata sull’“Huffington Post” all’indomani della storica spaccatura nel partito berlusconiano.
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Comunque vada, siamo rovinati: il dopo-Silvio è la Troika
Il dopo-Silvio? Uno solo: Bruxelles. E’ ormai evidente che l’Italia «non è in crisi contingente, ma in sfacelo strutturale». Le nostre istituzioni sono «completamente sottomesse e governate dalla Trojka e da Berlino». Per effetto del blocco dei cambi intra-Eurozona e delle sue conseguenze, la situazione porterà a uno scontro tra paesi euro-forti e paesi euro-deboli, data la crescente contrapposizione degli interessi e la polarizzazione dell’Unione Europea: da una parte il blocco centro-settentrionale (coi suoi satelliti orientali), che ha l’iniziativa politica ormai in esclusiva, e dall’altra una periferia sempre più povera, de-capitalizzata e indebitata. Marco Della Luna non ha dubbi: «Credo che i poteri forti (non facciamo i nomi, italiani e non – sarebbe superfluo) lavorino da tempo per evitare il secondo scenario e per realizzare il primo: fare dell’Italia un protettorato, cioè una povera donna di marciapiede spoliata, sfruttata e pestata dai suoi fratelli forti europei».
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Larghe intese e larghi affari, a cominciare dal magico Tav
Si fingono avversari in televisione, ma dietro le quinte sono amici. Anzi: soci. Negli ambienti giudiziari la chiamano «larga intesa degli affari». Destra e sinistra: «Tutti insieme appassionatamente, in un gioco abilissimo e sotterraneo di nomi e prestanome», rivela Lirio Abbate in un reportage su “L’Espresso”. Professionisti e tecnici, segretari di partito e ministri, capi-corrente, deputati e senatori. «I pupari e le marionette. Per muovere affari di milioni, velocizzare pratiche di appalti pubblici, approvare decreti per favorire imprese amiche, cambiare componenti di commissioni di vigilanza e authority». Di fatto, questo significa «svuotare le istituzioni e piegare le regole democratiche in uno spoil system che genera un sistema viziato», che diventa «un magma rovente che fonde gli appetiti meno nobili, una suburra in cui tutti si scambiano favori e dialogano per concretizzare interessi senza badare a casacche e stemmi di partito», a cominciare dalla madre di tutti i subappalti, la famigerata Tav.
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Cremaschi: quelli che svendono il paese a loro insaputa
Ora governanti e manager dicono che non lo sapevano, preferiscono fare la figura dei cretini piuttosto che quella dei complici. Ma la svendita di Telecom è solo un altro atto di un percorso annunciato e realizzato da decenni, da parte di una classe politica e imprenditoriale che ha cercato di salvare se stessa e i suoi fallimenti con la vendita all’incanto dei beni del paese. E che ha usato il liberismo, l’euro e il Fiscal Compact, la Merkel come scusa e protezione del proprio potere. Ora dopo la svendita di Telecom alla principale concorrente, la Telefonica spagnola, assisteremo a qualche giorno di lacrime di coccodrillo e di compunte dissertazioni sulle politiche industriali e le riforme. Poi tutto continuerà come prima perché tutta l’Italia è in svendita. La Grecia dopo qualche anno di politiche di austerità europea ha conservato di suo il debito pubblico e la polizia che bastona chi protesta. Tutto il resto è venduto, appaltato, posto sotto controllo estero. Noi, più lentamente ma altrettanto inesorabilmente, stiamo percorrendo la stessa strada. Perché abbiamo la stessa classe dirigente.
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La Merkel: elezioni e poi Renzi, l’Italia continui a soffrire
Letta non aveva ancora finito di magnificare a Wall Street l’Italia “giovane, virtuosa e credibile” che tra i sobri sghignazzi del “Financial Times” è dovuto precipitarsi a Roma dove il virtuoso, giovane e credibile alleato di governo dava di matto per la paura che uno dei patti scellerati delle larghe intese, ossia la salvezza del Cavaliere, alla fine non venisse onorato. Certo ci vuole coraggio a vendere come credibile un governo dove il ministro dell’economia dice che occorre aumentare l’Iva perché ne va della propria reputazione, gli altri negano e si servono di questo spauracchio per i loro baracchini al mercato delle vacche, ben sapendo che il provvedimento è inevitabile nelle logica dell’austerità, ma delegando il teatrino dei media a rendere credibile la finzione. Con effetti comici, perché mentre dappertutto si deplora Berlusconi perché mette in pericolo le nuove “necessarie” tassazioni, da noi Letta finge che siano le mattane del Cavaliere a renderle inderogabili.
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Dietro alle “lacrime napolitane”, i boss del vero potere
Il governo Letta è andato a gambe all’aria. L’annuncio, con le dimissioni dei ministri Pdl, è arrivato un sabato di settembre e subito è partito il coro greco degli italiani, abituati al pianto a comando. Un governo sciapo, inconsistente, immobile. Perché piangere? Guardi Letta, imbronciato come un bimbo cui sia stato rotto il trenino e pensi, quest’uomo conosce la coerenza? Il 24 giugno 2012, intervistato da Arturo Celletti di “Avvenire”, s’era scagliato contro Berlusconi e Di Pietro parlandone come di «un male per l’Italia» e, della crisi, come «ossigeno per le forze antisistema», tanto da augurarsi un «grande progetto per il paese» sotto forma di «offerta politica capace di attrarre e convincere: noi, Casini e Vendola. Funzionerebbe. Avrebbe appeal europeo. Avrebbe forza». Sappiamo com’è andata a finire. E ancora, il 26 giugno, intervistato da Teresa Bartoli del quotidiano “Il Mattino” di Napoli, eccitato dall’idea di un patto per arginare il populismo incarnato da Berlusconi, Di Pietro e Grillo: «La questione chiave è l’esclusione del populismo.
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Salvare l’Italia? Dimentichiamoci Letta, Renzi e Berlusconi
La parola d’ordine è una sola: vincere. Così Mussolini dal fatale balcone, tanti anni fa. Oggi che il Duce non c’è più, resta comunque una parola d’ordine – un’altra: sopravvivere – ed è sempre l’indizio di un gioco truccato. Chi parla per proclami, oggi più di ieri, sta barando: sa benissimo che la verità è lontana anni luce dalle parole. Non solo non si può “vincere”, ma non si può più nemmeno sopravvivere. E’ matematico, pallottoliere alla mano: se non hai più moneta da creare e quindi da spendere, e se ormai è lo straniero a gestire addirittura la tua borsa, le speranze di continuare a galleggiare – lavoro, consumi, servizi – sono ridotte a zero. La beffa suprema è che la verità seguita e restare fuori dalla porta, oscurata con zelo dai mattatori della disinformazione, oscuri manovali e pallidi eredi del Solista del Balcone. Agli ordini delle grandi lobby che dominano le comparse della democrazia – cartelli elettorali e semi-leader, sindacati e ras industriali complici della finanza – giornali e televisioni parlano di Letta, Napolitano e Berlusconi come di autorità politiche in grado di gestire davvero la crisi italiana, senza mai neppure domandarsi da dove venga, questa maledetta crisi.
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Cala il sipario sulla poltiglia chiamata Seconda Repubblica
La crisi di governo si incrocia da subito con una profonda crisi istituzionale. Beppe Grillo sta già chiedendo perfino le dimissioni di Giorgio Napolitano. Quando il Pd e il Pdl rielessero il Peggiorista del Quirinale, parlammo di “vilipendio al popolo italiano”. Ci risultava ben chiaro che Napolitano Due avrebbe dato vita a un governo peggiore di quello – già disastroso – di Rigor Montis (il minor economista della nostra epoca, che Napolitano Uno aveva fatto senatore a vita per poi indirizzarlo a Palazzo Chigi). Peccavamo però di ottimismo. Nemmeno certi governi balneari di Giovanni Leone o di Amintore Fanfani al suo crepuscolo avevano congelato in modo tanto miserabile la funzione di governo quanto il governo di Enrico Letta, ora al capolinea. Perciò la crisi rivela bene quanto siano cadute in basso le cupole delle “larghe intese”. Al minimo di azione di governo (un minimo sotto zero), è corrisposto il massimo di fuga in avanti per stravolgere l’assetto della Repubblica.
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Grillo: se resta nell’Eurozona, l’Italia non si può salvare
Dopo tre anni di recessione, disoccupazione e crollo dei consumi la situazione dell’Italia è peggiorata fino a precipitare: «L’euro ha scaricato su lavoratori e pensionati aggiustamenti di competitività con gli altri paesi dell’area euro ottenibili solo con austerità e disoccupazione», riconosce Beppe Grillo, che finalmente accusa frontalmente il sistema della moneta unica imposta dal Trattato di Maastricht. «I media in difesa dell’establishment ignorano completamente un legittimo dibattito sull’euro», e quindi sono «colpevoli e complici». Il “Movimento 5 Stelle”, dice il leader, è l’unico in Parlamento a parlare di sovranità monetaria e signoraggio: «I cittadini si stanno informando» e chiedono più Europa e meno banche. «E’ necessario un nuovo concetto di Europa, solidale e veramente comunitaria: il ruolo dell’Italia in Europa è fondamentale, ma dobbiamo ridiscutere le condizioni in cui partecipiamo, a partire dall’emissione di eurobond che tutelino le economie più deboli, di una rinegoziazione del debito pubblico e della cancellazione del Fiscal Compact, un nodo scorsoio che impiccherà il nostro paese».
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Amoroso: via dall’euro, o facciamo la fine della Jugoslavia
La ricreazione è finita, presto vi dovrete arrangiare anche per le pensioni. Questo, in sintesi, il discorso-choc che il sovrano olandese Guglielmo Alessandro ha rivolto alla nazione: la globalizzazione impone anche all’Olanda l’addio al glorioso sistema del welfare e delle protezioni sociali. E’ l’élite, direttamente, che parla: la stessa élite feudale che si è impadronita della moneta, imponendoci l’Eurozona, per poi dirci: scusate, non ci sono più soldi. Falso. I soldi li “fabbricano” loro, mentre a mancare sono i politici in grado di difenderci. Enrico Letta, che rincorre i diktat della Merkel, governa con Berlusconi, che nel suo videomessaggio del 18 settembre, di fronte alla catastrofe economica dell’Italia, proclama: «Occorre imboccare la strada maestra del liberalismo: meno Stato, meno spesa pubblica». Il liberismo: cioè il tunnel senza uscita del quale siamo già prigionieri, da vent’anni. Attenti, avverte il professor Bruno Amoroso: di questo passo, già a novembre sprofonderemo nel baratro della Grecia, saremo esposti a tempeste mai viste e rischiamo di fare la fine della Jugoslavia.