Archivio del Tag ‘Beppe Grillo’
-
Tv e 5 Stelle all’assalto: addosso a Salvini, Maglie e Le Iene
Solo poltiglia italiana, dopo l’effimera stagione delle promesse gialloverdi tenute in vita dalle parole della Lega e smentite dai tradimenti a catena dei pentastellati. Impietoso il riflesso nell’acquario mediatico, dove si scivola ogni giorno più in basso. Tanto per non smentirsi, piuttosto che guardare in faccia la realtà, i 5 Stelle (dilaniati da dissidi interni dopo l’alleanza col Pd imposta da Grillo d’intesa con Renzi) se la prendono coi giornalisti non allineati, come Maria Giovanna Maglie. Su Twitter, in risposta a una critica a Virginia Raggi, l’attivista Marco Vaccari apostrofa l’ex corrispondente della Rai: «Ma che ca*** stai dicendo, giornalaia? Roma fa schifo per colpa degli idioti fannulloni imboscati incapaci ladri mafiosi collusi che hanno preceduto la Raggi». La risposta della Maglie: «Metodo 5 Stelle doc, nessuna responsabilità per il presente, quando tocca a loro: sempre colpa degli altri. E insulti a gogo, minacce di manette». Quindi, rivolta a Vaccari: «Ehi, fenomeno, la Raggi è sindaco da giugno 2016». In tre anni, non ha fatto praticamente niente. Eppure accende ancora i cuori degli hoolingan alla festa – mestissima – che i 5 Stelle hanno abborracciato a Napoli, attorno al fantasma di Di Maio. Solo che i fan hanno acceso un principio di rissa all’apparire di Filippo Roma, de “Le Iene”, accolto come un mascalzone provocatore.Tuona Vittorio Sgarbi: «Fascisti, pericolosi, minacciosi: una aggressione fisica che non ha precedenti». Aggiunge Sgarbi, «Si minimizza la violenza fascista dei 5 Stelle, mentre l’episodio d’intolleranza verso Gad Lerner a Pontida è stato stigmatizzato da chiunque». Prima ancora, «per giorni si era parlato del figlio di Matteo Salvini sulla moto d’acqua della polizia», gridando allo scandalo. Oggi, invece, «incredibilmente», si tace sulle intemperanze dei grillini a Napoli. Nel frattempo, migliaia di italiani hanno sottoscritto la protesta di Marco Moiso (Movimento Roosevelt) affidata a “Change.org”: la giornalista de “La7” è accusata di aver trasformato “Otto e mezzo” in un poligono di tiro nel quale esercitare la propria faziosità a senso unico, anche ricorrendo al bullismo del “body shaming” contro Salvini, cui è stato contestato il fisico non esattamente palestrato. Peggio: la Gruber permise a Mario Monti di mentire spudoratamente sulla massoneria (“non so nemmeno cosa sia”), evitando peraltro di citare la fonte della notizia, Gioele Magaldi, che aveva appena dichiarato l’identità massonica di Monti (superloggia reazionaria “Babel Tower”).La notizia della petizione contro la Gruber, invitata ad abbandonare la conduzione della trasmissione, è stata ripresa da “Affari Italiani”, da “Blasting News” e anche da “Libero”, il quotidiano di Vittorio Feltri. Basta comunque cambiare canale per scoprire che, Gruber o meno, la musica è la stessa: la suona, su “Rai 2”, il duetto composto da Fabio Fazio e Rula Jebreal. Nello studio di “Che tempo che fa” aleggia sempre lo stesso spettro, quello di Matteo Salvini. «Nessuno nasce razzista, bisogna imparare ad essere razzisti e ad odiare», premette la giornalista. Aggiunge: la crisi economica non aiuta le famiglie a essere generose coi migranti. Poi spara: «Purtroppo siamo ancora vittime della propaganda xenofoba di questi soggetti che utilizzano la retorica degli anni ‘20 e anni ‘30». A Napoli, i grillini insultano e minacciano l’inviato delle “Iene”, ma a tener banco da Fazio sono ancora le offese rivolte a Gad Lerner dai leghisti di Pontida. «Lui è un italiano ma di religione ebraica, quello che è successo – dice Rula – ti fa capire che la divisione non sarà solo contro l’immigrazione ma anche contro chi come te critica i sovranisti, contro chi come me ha la pelle diversa, magari contro omosessuali, handicappati e altro». Nientemeno.Quello che Fazio e la sua ospite si dimenticano di dire è che Lerner, come ricordato dallo stesso Salvini intervistato dalla Gruber, si augurò per iscritto la morte del leader leghista. Una battuta veramente infelice: peccato che Salvini non fosse nei paraggi, scrisse Lerner giorni fa, commentando l’esplosione incidentale di un missile russo. «Non è carino, che qualcuno si auguri la tua morte», ha scandito Salvini, dalla Gruber. «Chiederò scusa a Lerner per quello che è accaduto a Pontida dopo che Lerner avrà chiesto scusa a me per essersi augurato la mia morte». Questo è il tenore della narrazione giornalistica sulla politica italiana, mentre i carri armati di Erdogan marciano sul Kurdistan siriano e “l’Europa” fa scena muta, insieme alla Nato. Non solo: Bruxelles fa capire che, al di là delle promesse, non accetterà facilmente di accogliere migranti sbarcati in Italia. E mentre il governo giallorosso avvia l’ennesima, penosa lotteria per racimolare spiccioli e gestire il declino italiano a suon di tasse, Giuseppe Conte è nella bufera per il sospetto che abbia abusato dei servizi segreti per fare un favore a Trump. L’orizzonte epocale del nostro paese? Ovvio, le elezioni regionali in Umbria: Perugia, caput mundi.Solo poltiglia italiana, dopo l’effimera stagione delle promesse gialloverdi tenute in vita dalle parole della Lega e smentite dai tradimenti a catena dei pentastellati. Impietoso il riflesso nell’acquario mediatico, dove si scivola ogni giorno più in basso. Tanto per non smentirsi, piuttosto che guardare in faccia la realtà, i 5 Stelle (dilaniati da dissidi interni dopo l’alleanza col Pd imposta da Grillo d’intesa con Renzi) se la prendono coi giornalisti non allineati, come Maria Giovanna Maglie. Su Twitter, in risposta a una critica a Virginia Raggi, l’attivista Marco Vaccari apostrofa l’ex corrispondente della Rai: «Ma che ca*** stai dicendo, giornalaia? Roma fa schifo per colpa degli idioti fannulloni imboscati incapaci ladri mafiosi collusi che hanno preceduto la Raggi». La risposta della Maglie: «Metodo 5 Stelle doc, nessuna responsabilità per il presente, quando tocca a loro: sempre colpa degli altri. E insulti a gogo, minacce di manette». Quindi, rivolta a Vaccari: «Ehi, fenomeno, la Raggi è sindaco da giugno 2016». In tre anni, non ha fatto praticamente niente. Eppure accende ancora i cuori degli hoolingan alla festa – mestissima – che i 5 Stelle hanno abborracciato a Napoli, attorno al fantasma di Di Maio. Solo che i fan hanno acceso un principio di rissa all’apparire di Filippo Roma, de “Le Iene”, accolto come un mascalzone provocatore.
-
Vaccini, 130.000 bambini italiani esclusi da nidi e materne
A guidare la lista dei renitenti è la Puglia, l’unica Regione che abbia approntato un servizio di farmacovigilanza attiva per valutare l’effetto dei vaccini sul corpo dei neonati. Seguono Lombardia e Friuli, quindi Piemonte, Veneto e Toscana. Risultato: oltre 4 bambini su 100 sono stati esclusi dall’asilo o dall’asilo nido per effetto della legge Lorenzin, ratificata dalla pentastellata Giulia Grillo. Parlano i numeri dello “pseudopaper” redatto da un medico, Pier Paolo Dal Monte, animatore del blog “Il Pedante”. Chirurgo e gastroenterologo, il dottor Dal Monte ha raccolto i dati sull’obiezione vaccinale in Italia grazie ai genitori del comitato “Libertà di Scelta”, contrario all’obbligo vaccinale indiscriminato e favorevole alla libera scelta di far vaccinare i propri figli, valutando le singole vaccinazioni. Nel mirino è finito «il diritto all’istruzione pre-primaria», che oggi viene negato «ai bambini da zero a cinque anni». Esclusi, se non vaccinati, pur in assenza di emergenze sanitarie in corso: non si ha notizia, infatti, di epidemie pericolose per la salute. «La stima – scrive Dal Monte sul “Pedante” – ha prodotto un risultato di quasi 130.000 minori oggi esclusi “de iure” dalla possibilità di frequentare gli asili nido e le scuole d’infanzia». Centotrentamila: «Si tratta di un fenomeno che non ha precedenti, neanche lontani, nell’intera storia repubblicana e nazionale».Che la campagna pro-vaccini fosse destinata a incubare strascichi politici lo si è visto nei mesi scorsi, quando Beppe Grillo firmò insieme a Matteo Renzi il “patto per la scienza” promosso da Claudio Burioni: un documento surreale, che considera “scienza” solo le sicurezze dei vaccinisti e chiede addiritttura allo Stato di impedire la ricerca autonoma (violando in tal modo una fondamentale libertà costituzionale). Altro dato notevole: il silenzio assordante con cui i media accolsero l’iniziativa della Puglia, dove il presidente Michele Emiliano, Pd, promosse una campagna di vigilanza attiva (con le famiglie contattate dai sanitari) per monitorare gli effetti dei vaccini polivalenti: 4 bambini pugliesi su 10 risultarono colpiti da reazioni avverse, con casi anche gravissimi. Oggi, Del Monte cerca di tirare le somme: in Puglia è stato escluso dal sistema scolastico il 6% della popolazione interessata (0-5 anni), ben 12.000 “inadempienti” su 187.000. Dati simili in Friuli Venezia Giulia, dove i bambini rimasti a casa sono 3.000 su 52.000 (il 5,7%) e in Lombardia (a casa oltre 17.000 bambini su 345.000, pari al 5%). Appena inferiori le cifre del Piemonte, dove hanno saltato l’asilo quasi 7.000 bambini su 195.000 (il 2,9%). A seguire ci sono il Veneto (2,9%) e Toscana (2,8), dove sono rimasti esclusi dalle scuole dell’infanzia rispettivamente quasi 7.000 bambini su 232.000, e 3.600 piccoli su 129.000.In totale, non ha potuto frequentare il nido o la scuola dell’infanzia il 4,42% degli aventi diritto, precisamente 127.291 bambini (di cui 60.724 esclusi dal nido e 66.567 dalla materna). «Sono tantissimi i motivi per cui questo numero dovrebbe sbalordire», scrive Dal Monte, e il primo di questi è che la cosa «non sbalordisce nessuno». E spiega: il fenomeno è praticamente invisibile, sui media. «Già il fatto di averlo dovuto indovinare da pochi e reticenti trafiletti di giornale, e non da statistiche ufficiali, tradisce il tentativo delle autorità di nascondere l’enormità di ciò che sta avvenendo». Il medico la considera «un’aggressione immotivata o almeno gravemente controversa ai diritti di un centinaio di migliaia di cittadini, oltretutto i più fragili». Per giunta si tratta di «un tentativo evidentemente ben riuscito, se queste masse di sub-cittadini non approdano sulle prime pagine o nel dibattito istituzionale se non nei termini diminutivi, paternalistici e denigratori di sparute frange di disinformati da rieducare alla “ragionevolezza” e alla “scienza” per gli uni, di rumorosi fanatici ossessionati da un “falso problema” per gli altri». Un silenzio imbarazzante ha accompagnato le cattive notizie dal fronte vaccinale: 4.000 militari italiani gravemente malati (e 1.000 già morti, anche a causa di vaccini somministrati incautamente, secondo i medici della commissione parlamentare difesa) e vaccini “sporchi” o inefficaci, secondo le analisi dell’ordine nazionale dei biologi.Sul tema, Pier Paolo Dal Monte ha scritto il libro-denuncia “Immunità di legge”, ovvero “i vaccini obbligatori, tra scienza al governo e governo della scienza” (Arianna editrice). La tesi: l’obbligo vaccinale, insieme alla collegata “condizionalità” dei diritti sociali, rappresenta «il banco di prova oggi più avanzato di un attacco combinato alla democrazia». Un attacco ai cittadini, «irregimentandone non più le idee o i patrimoni, ma direttamente la sostanza fisica in cui esistono». E un attacci anche alla scienza, «con l’intimidazione delle voci dissonanti e la forzatura di un falso consenso». Dal Monte è allarmato: l’offensiva, avverte, «è solo agli inizi», e il suo dispositivo coercitivo «promette di estendersi ben oltre le punture contro le pustole». A due anni dal varo del decreto Lorenzin, «appare vieppiù stomachevole e osceno l’atteggiamento di una classe politica – tutta – intenta a sopire e troncare, a far passare per normale l’idea che all’improvviso si debbano medicalizzare, discriminare e perseguitare milioni di persone perché lo ha deciso la Casa Bianca, senza altro domandarsi». Fu infatti Obama a stabilire che l’Italia diventasse il paese-cavia, in Europa, della nuova sperimentazione vaccinale (che ha gonfiato il business di Big Pharma). Ma il dottor Dal Monte non si arrende: «Non se la caveranno così. La storia insegna che quando mancano buoni argomenti – come è questo il caso – movimenti di resistenza così numerosi si possono sconfiggere solo con la repressione e le purghe».A guidare la lista dei renitenti è la Puglia, l’unica Regione che abbia approntato un servizio di farmacovigilanza attiva per valutare l’effetto dei vaccini sul corpo dei neonati. Seguono Lombardia e Friuli, quindi Piemonte, Veneto e Toscana. Risultato: oltre 4 bambini su 100 sono stati esclusi dall’asilo o dall’asilo nido per effetto della legge Lorenzin, ratificata dalla pentastellata Giulia Grillo. Parlano i numeri dello “pseudopaper” redatto da un medico, Pier Paolo Dal Monte, animatore del blog “Il Pedante”. Chirurgo e gastroenterologo, il dottor Dal Monte ha raccolto i dati sull’obiezione vaccinale in Italia grazie ai genitori del comitato “Libertà di Scelta”, contrario all’obbligo vaccinale indiscriminato e favorevole alla libera scelta di far vaccinare i propri figli, valutando le singole vaccinazioni. Nel mirino è finito «il diritto all’istruzione pre-primaria», che oggi viene negato «ai bambini da zero a cinque anni». Esclusi, se non vaccinati, pur in assenza di emergenze sanitarie in corso: non si ha notizia, infatti, di epidemie pericolose per la salute. «La stima – scrive Dal Monte sul “Pedante” – ha prodotto un risultato di quasi 130.000 minori oggi esclusi “de iure” dalla possibilità di frequentare gli asili nido e le scuole d’infanzia». Centotrentamila: «Si tratta di un fenomeno che non ha precedenti, neanche lontani, nell’intera storia repubblicana e nazionale».
-
Di Maio ci offre un caffè: tanto vale il taglio delle Camere
Sapete quanto vale, nelle nostre tasche, il regalone che ci ha appena fatto Luigi Di Maio con il taglio di un terzo dei parlamentari? Un caffè all’anno, per ognuno di noi. Che lusso, davvero. A fare il conticino della vergogna è l’antropologo Marco Giannini, già grillino “eretico”, in rotta con Grillo e soci dopo il tentato trasbordo, a Strasburgo, tra le fila degli euro-fanatici dell’Alde, il club “lacrime e sangue” di Verhofstadt e Monti. E’ passato qualche anno: all’epoca, Di Maio e Di Battista cantavano ancora nello stesso coro, all’opposizione. Poi è arrivata l’anomala e precaria stagione “grilloverde”, con Di Maio trasformato in vicepremier “di cittadinanza” per tentare di mascherare i bidoni rifilati, uno dopo l’altro, agli elettori del MoVimento. Ma che la recita stesse per finire lo si capì già in primavera, quando Grillo firmò (con Renzi, tu guarda) il mitico “Patto per la Scienza”, cioè il tradimento definitivo di qualsiasi promessa “free-vax”. E infatti adesso eccoli là, Beppe e Matteo, impegnati a tenere in piedi l’imbarazzante Conte-bis, anche col penoso stratagemma della riduzione del numero di deputati e senatori. Depistaggi puerili, sembra dire Giannini: l’Italietta traballa, strattonata tra Usa e Russia e tritata dall’asse franco-tedesco che la costringe a grattare il fondo del barile (leggasi Iva). All’orizzonte, il nulla sta per essere oscurato dal peggio? Ma niente paura: ecco il prode Di Maio che sforbicia il Parlamento.«Cosa bolle in pentola nello Stivale?», si domanda Giannini. «Questioni di una pericolosità senza precedenti, ma il governo – afferma – reagisce cercando di distrarre l’opinione pubblica con un provvedimento forse condivisibile ma economicamente ridicolo». Secondo Giannini, si tratta di una strategia «comprensibile dal punto di vista mediatico, ma che fallirà». C’è ben altro, sulla bilancia: «I dazi Usa contro il nostro paese sono un monito terrificante: gli americani ci lasciano al nostro destino, cioè soli di fronte alle arroganti violenze economico-finanziarie e geopolitiche francesi e tedesche». Visione impietosa: «Più che una penisola siamo una barchetta, o meglio un barcone in attesa di un… ciclone». E non è per niente casuale, secondo Giannini, che tutto ciò «coincida con l’emergere di questioni oscure riguardanti servizi segreti e spionaggio internazionale (vedasi il premier Conte), perché queste questioni le hanno volute rendere pubbliche proprio gli Usa». Esplicito e brutale, per Giannini, il messaggio dello Zio Sam: cari italiani, non siete più il nostro partner privilegiato in Ue.«Se si esclude il periodo della Seconda Guerra Mondiale – aggiunge Giannini – ho la vaga (e fondata) sensazione che i rapporti del governo italiano con gli americani non siano di buon sangue». Nel frattempo, purtroppo, «si riacutizza il problema delle tragedie nel Mediterraneo, causate dalla ingannevole attrattiva dei porti di nuovo aperti». Ingannevole, certo, «perché attraversare il mare in mano a degli scafisti per giungere in un paese privo di lavoro è una trappola», piaccia o no al pelosissimo buonismo nazionale, caro ai sacerdoti del politically correct. Comunque la si veda, siamo in un oceano di guai. «E proprio in questo contesto si inserisce il dimezzamento dei parlamentari». Ebbene: «Quanto fa risparmiare a ogni italiano? Il costo di un caffè all’anno». Solo fuffa, dunque, e senza neppure un disegno istituzionale alle spalle: si teme infatti che la nuova legge elettorale (ridisegno dei collegi, per adeguarli alla riduzione della rappresentanza) verrebbe improvvisata in extremis, in base alla convenienza del momento dettata dai sondaggi. Per ora i partiti hanno votato compatti, sfilando a Di Maio il monopolio dell’eroica riforma, che poi non è ancora detto che diventi davvero legge. Intanto, Giannini osserva: «Stiamo ballando sul Titanic, e i pentastellati stanno elargendo “generosamente” dilettantismo: un dilettantismo che non ha i tratti del solo Luigi Di Maio».Sapete quanto vale, nelle nostre tasche, il regalone che ci ha appena fatto Luigi Di Maio con il taglio di un terzo dei parlamentari? Un caffè all’anno, per ognuno di noi. Che lusso, davvero. A fare il conticino della vergogna è l’antropologo Marco Giannini, già grillino “eretico”, in rotta con Grillo e soci dopo il tentato trasbordo, a Strasburgo, tra le fila degli euro-fanatici dell’Alde, il club “lacrime e sangue” di Verhofstadt e Monti. E’ passato qualche anno: all’epoca, Di Maio e Di Battista cantavano ancora nello stesso coro, all’opposizione. Poi è arrivata l’anomala e precaria stagione “grilloverde”, con Di Maio trasformato in vicepremier “di cittadinanza” per tentare di mascherare i bidoni rifilati, uno dopo l’altro, agli elettori del MoVimento. Ma che la recita stesse per finire lo si capì già in primavera, quando Grillo firmò (con Renzi, tu guarda) il mitico “Patto per la Scienza”, cioè il tradimento definitivo di qualsiasi promessa “free-vax”. E infatti adesso eccoli là, Beppe e Matteo, impegnati a tenere in piedi l’imbarazzante Conte-bis, anche col penoso stratagemma della riduzione del numero di deputati e senatori. Depistaggi puerili, sembra dire Giannini: l’Italietta traballa, strattonata tra Usa e Russia e tritata dall’asse franco-tedesco che la costringe a grattare il fondo del barile (leggasi Iva). All’orizzonte, il nulla sta per essere oscurato dal peggio? Ma niente paura: ecco il prode Di Maio che sforbicia il Parlamento.
-
I 5 Stelle contro Di Maio e Rousseau: vogliamo democrazia
Altro che festa: nel decimo compleanno del Movimento 5 Stelle, scrive Elisa Calessi su “Libero”, i malumori di tanti attivisti e portavoce prendono forma in un documento che è un atto di accusa agli attuali vertici. È la Carta di Firenze 2019, pubblicata a mezzanotte, allo scadere del giorno che segna l’anniversario della nascita del Movimento. «Si chiede maggiore trasparenza e democrazia interna, coerenza e rispetto dei principi non trattabili, una riorganizzazione che parta dal basso, una rivisitazione dei processi partecipativi, e una riformulazione dei metodi di selezione delle candidature, delle nomine e di valutazione dei portavoce». Fa male, aggiunge la Calessi, perché a scriverla è chi sta ancora dentro il Movimento e non vuole andarsene: «Sono quelli che lamentano un tradimento delle origini. E sono tanti. Molto più dei firmatari della Carta». A dieci anni dal giorno in cui la creatura di Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio ha preso vita, scrivono, «il nostro cuore batte ancora per il Movimento 5 Stelle», definito «un modello concreto, un profondo cambiamento culturale, una rivoluzione pacifica e non violenta, un grande esempio mondiale di democrazia dal basso». Eppure, aggiungono, «da tempo assistiamo al dissolversi di questo progetto politico».«In nome di una fraintesa responsabilità di governo – si legge, nella Carta di Firenze – il Movimento ha rinunciato ai propri principi identitari: dalla lotta per la ricostruzione di uno stato sociale massacrato da trent’anni di neoliberismo fino alla battaglia per la conquista della piena sovranità nazionale». Aggiungono i firmatari: «Riceviamo sia per strada che sul web accuse sempre più sferzanti sulle promesse non mantenute e sui compromessi al ribasso». E ne soffrono: «La nostra coscienza di attivisti si ribella e ci impone di riportare il M5S al pieno rispetto dei suoi valori con perseveranza e soprattutto coerenza». I dissidenti sono convinti che «in questo momento così delicato per il futuro del M5S» si debba «ristabilire un rapporto paritetico» tra la base e gli eletti, a ogni livello, «poi aprire un confronto trasparente e partecipato sugli obiettivi politici e sulle forme organizzative del Movimento stesso». Secondo loro «si tratta di una necessità impellente, assolutamente essenziale» per continuare insieme quello che definiscono «questo progetto meraviglioso», e quindi «ritrovare quell’identità che oggi appare sbiadita».Gli aspiranti riformatori grillini avanzano alcune proposte, come riassume Elisa Calessi: vorrebbero convocare un’assemblea nazionale (la prima, nella storia storia) per avviare «un processo di riforma dello Statuto». In altre parole, democrazia: vorrebbero infatti «attribuire all’assemblea il potere di esprimersi sulle cariche interne, tutte elettive». Premono inoltre per «la revisione dello Statuto e il superamento della figura del capo politico», cioè Luigi Di Maio, «con l’introduzione di organi elettivi e collegiali a livello nazionale, regionale e provinciale». Infine, chiedono «piena proprietà e gestione del sistema operativo Rousseau», da togliere alla Casaleggio Associati e consegnare al Movimento 5 Stelle. Per quanto riguarda il rispetto dei principi non trattabili spunta la «libertà di autodeterminazione al trattamento sanitario», quindi contro l’obbligo vaccinale introdotto da Beatrice Lorenzin e confermato da Giulia Grillo. Il bersaglio evidentemente è Luigi Di Maio, insieme al gruppo dirigente a lui vicino, annota Calessi. L’ex vicepremier gialloverde, ora impalpabile ministro degli esteri, è accusato di «aver accentrato troppi poteri, tradendo la natura del Movimento». Critiche che, sia pure senza essere espresse con piena chiarezza, «vengono condivise anche da tanti portavoce eletti in Parlamento».Altro che festa: nel decimo compleanno del Movimento 5 Stelle, scrive Elisa Calessi su “Libero”, i malumori di tanti attivisti e portavoce prendono forma in un documento che è un atto di accusa agli attuali vertici. È la Carta di Firenze 2019, pubblicata a mezzanotte, allo scadere del giorno che segna l’anniversario della nascita del Movimento. «Si chiede maggiore trasparenza e democrazia interna, coerenza e rispetto dei principi non trattabili, una riorganizzazione che parta dal basso, una rivisitazione dei processi partecipativi, e una riformulazione dei metodi di selezione delle candidature, delle nomine e di valutazione dei portavoce». Fa male, aggiunge la Calessi, perché a scriverla è chi sta ancora dentro il Movimento e non vuole andarsene: «Sono quelli che lamentano un tradimento delle origini. E sono tanti. Molto più dei firmatari della Carta». A dieci anni dal giorno in cui la creatura di Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio ha preso vita, scrivono, «il nostro cuore batte ancora per il Movimento 5 Stelle», definito «un modello concreto, un profondo cambiamento culturale, una rivoluzione pacifica e non violenta, un grande esempio mondiale di democrazia dal basso». Eppure, aggiungono, «da tempo assistiamo al dissolversi di questo progetto politico».
-
La Gruber a Salvini: chi è intelligente la verità non la dice
«Nessun politico intelligente direbbe mai quello che pensa davvero: sarebbe un’ingenuità imperdonabile». A dirlo non è Giulio Andreotti, ma Lilli Gruber, che rinfaccia a Matteo Salvini la sua sincerità. Lo scontro va in onda a “Otto e mezzo”, su La7. Bersaglio, il capo della Lega. In studio, Massimo Franco del “Corriere della Sera” concede all’ex ministro dell’interno l’onore delle armi: almeno, ha costretto l’Europa ad affrontare in modo collegiale il problema dei migranti che sbarcano in Italia. La conduttrice – Dietlinde Gruber (Bolzano, classe 1957) – usa invece la clava: se rivendica la sincerità come virtù, Salvini è politicamente un cretino. La Lilli nazionale lo dice dall’alto della sua carriera: mezzobusto del Tg2 craxiano, poi parlamentare europea nel 2004 con l’Ulivo di Prodi, quindi mattatrice dell’intrattenimento giornalistico di Urbano Cairo e ospite fissa del Gruppo Bilderberg. Machiavelli docet: “golpe e lione”, ha da essere il principe – non allocco. E se invece il presunto ingenuo piacesse, nel 2019? Salvini ereditò la Lega di Bossi al 4%. In sei anni, l’ha portata al 34%: primo partito italiano alle europee, con consensi – stando ai sondaggi – che tendono al 40%. Questo, semmai, è veramente imperdonabile, per i fan del governicchio-horror abborracciato da Grillo e Renzi per evitare le elezioni anticipate e restituire l’Italia ai padroncini franco-tedeschi dell’Unione Europea.Salvini è l’unico politico che abbia sfidato Bruxelles, almeno a parole: sui migranti, le tasse, le pensioni. Un vero contestatore del rigore Ue. Andava espulso a tutti i costi dal governo, con la manovra di palazzo del Conte-bis varata dai due azionisti del nuovo carrozzone italiano, l’ex comico genovese e l’ex rottamatore fiorentino. La verità è sotto gli occhi di tutti, anche se Gruber e soci evitano di ricordarla: a Salvini, che è riuscito a pensionare 200.000 anziani con “Quota 100”, aggirando i vincoli-capestro dell’odiosa legge Fornero, l’establishment non ha perdonato l’intransigenza contro gli sbarchi facili, l’ostilità verso l’austerity di Bruxelles (deficit negato all’Italia) e soprattutto il progetto di riforma fiscale (Flat Tax) per abbattere la tassazione, far respirare le aziende e creare lavoro, risollevando il Pil. L’oscuro Giovanni Tria, piazzato al ministero dell’economia al posto di Paolo Savona, ha sistematicamente frenato Salvini, d’intesa con Conte. Il leader della Lega ha staccato la spina dal governo gialloverde quando ha capito che Conte e Tria l’avrebbero costretto a presentare agli elettori un risultato deludente, con la manovra d’autunno ancora una volta risicata e inefficace, attorcigliata sui bizantinismi dell’Iva e di altre pietose gabelle più o meno occulte. E allora vedetevela voi, ha concluso Salvini togliendo il disturbo (chiamatelo scemo).Ma non l’aveva capito, nei mesi precedenti, con che razza di imbroglioni s’era messo, il capo della Lega? «Mi fidavo di Di Maio e di Conte», ha detto alla Gruber. Apriti cielo: «Lei allora non sa valutare le persone che ha di fronte», le ha risposto – ruggendo – la conduttrice di “Otto e mezzo”. Più che giornalismo, pugilato. Puro linciaggio, in cui vale tutto: persino l’irrisione della festa leghista del Papeete. Per ragioni «di forma e stile», un ministro dell’interno non dovrebbe mostrarsi tra gli ombrelloni, per giunta in costume. «Mi scusi – si stupisce Salvini – ma lei come ci va, in spiaggia?». Lilli: «In costume, ma non quando sono ministro». Accipicchia. «Guardi», ribatte Salvini: «Quando tornerò ministro, e accadrà presto, le garantisco che tornerò in spiaggia in costume: si rassegni». Finita? Nemmeno per idea. La Gruber, scatenata, estrae dal cilindro la bassezza più clamorosa: «Comunque, dato che è finita l’estate, è contento che non dovrà più girare in mutande per le strade? Magari senza pancia… sa, per gli occhi delle donne». Salvini, sbigottito, se la ride: cos’altro replicare? E’ semmai la Gruber a restare senza parole, di fronte all’analisi tattica di Salvini. Aveva sottovalutato Conte? Certo, sì: «Ho sottovalutato la vanagloria, la voglia di poltrona di Conte. Quante volte aveva detto che, se il governo fosse finito, sarebbe tornato a fare l’avvocato?». Il governo è finito, ma lui è ancora lì: ha solo cambiato programma e compagni di viaggio.Velenosamente, la conduttrice è riuscita a dire a Salvini: «E’ stato lei a chiedere di essere ospitato, stasera». Vendetta legittima: mesi fa, in un comizio, il leghista s’era divertito a recitare il ruolo del martire, fingendo sofferenza per la serata che lo attendeva nello studio di “Otto e mezzo” («mi tocca andare dalla Gruber: simpatia, portami via»). Perché Salvini insiste per tornare da Lilli, dopo due mesi di assenza? Numeri: la signora del centrosinistra televisivo è la regina incontrastanata del “prime time”, con oltre 2 milioni di telespettatori a sera (e uno “share” che supera l’8%). E’ al pubblico della Gruber, che Salvini vuole continuare a parlare, specie ora che è passato dall’onnipresenza mediatica al limbo punitivo riservato a chi sta all’opposizione. Un ostracismo tanto più necessario, per tentare di proteggere il governo-fantasma del debolissimo professor-avvocato Conte, sostenuto da Renzi e Grillo, puntellato da Bruxelles (Gualteri, Gentiloni, Sassoli) e guardato a vista da Mattarella e da Bankitalia. Quando a far paura erano i grillini, toccò a loro l’esilio televisivo (peraltro, da essi stessi voluto e rivendicato per anni). Ma quando poi Di Maio e Di Battista divennero ospiti fissi di Lilli Gruber, tutti capirono che qualcosa era cambiato: almeno una parte dell’establishment puntava sui 5 Stelle come specchietti per allodole, nella speranza (come poi è stato) che “riportassero a casa” il bottino elettorale populista, accettando di diventare establishment a loro volta, o almeno docili esecutori.Con Salvini è diverso, sembrerebbe, a giudicare dal livore – non esattamente “british” – dell’anomala conduttrice di “Otto e mezzo”, cavallo di razza del post-giornalismo italiano che alle notizie preferisce lo spettacolo, il derby, la rissa. Specialità in cui Salvini resta un fuoriclasse, con una differenza: non fa il giornalista, ma il politico. Come in tribunale l’avvocato, rappresenta (legittimamente) una parte, la sua. Eppure – almeno, il 1° ottobre 2019, dalla Gruber – rivendica la sincerità come valore, dichiarando di essere pronto a perdonarsi eventualmente anche l’ingenuità – meglio essere onesti, piuttosto che bugiardi. «Io almeno sono fatto così», dice Salvini. E la cosa manda in bestia la sua antagonista, che in teoria (essendo una giornalista) dovrebbe avere a cuore proprio la verità. Per Lilli Gruber, invece, a quanto pare la sincerità politica è inammissibile: è indice di dabbenaggine, addirittura di imbecillità. Ma davvero? Ve lo vedete, Gandhi, negare di voler sfrattare gli inglesi dall’India? E Yitzhak Rabin si sarebbe mai espresso contro il diritto dei palestinesi di avere un proprio Stato? Ve lo figurate Nelson Mandela che giudica con indulgenza l’apartheid? Al netto dei tatticismi di prammatica, nei momenti che contano vince sempre la chiarezza. Certo non è il caso di scomodare grandi nomi, se in Italia il menù di giornata propone il match “Gruber contro Salvini”. Ma, sia pure in piccolo, il tema è centrale. Sicuri che il mitico italiano medio non la apprezzi, un po’ di sincerità, dopo tante frottole dispensate a reti unificate? Non sarebbe un bel passo in avanti se, a parte i politici, fossero almeno i giornalisti, ogni tanto, a dire almeno un po’ di verità?«Nessun politico intelligente direbbe mai quello che pensa davvero: sarebbe un’ingenuità imperdonabile». A dirlo non è Giulio Andreotti, ma Lilli Gruber, che rinfaccia a Matteo Salvini la sua sincerità. Lo scontro va in onda a “Otto e mezzo”, su La7. Bersaglio, il capo della Lega. In studio, Massimo Franco del “Corriere della Sera” concede all’ex ministro dell’interno l’onore delle armi: almeno, ha costretto l’Europa ad affrontare in modo collegiale il problema dei migranti che sbarcano in Italia. La conduttrice – Dietlinde Gruber (Bolzano, classe 1957) – usa invece la clava: se rivendica la sincerità come virtù, Salvini è politicamente un cretino. La Lilli nazionale lo dice dall’alto della sua carriera: mezzobusto del Tg2 craxiano, poi parlamentare europea nel 2004 con l’Ulivo di Prodi, quindi mattatrice dell’intrattenimento giornalistico di Urbano Cairo e ospite fissa del Gruppo Bilderberg. Machiavelli docet: “golpe e lione”, ha da essere il principe – non allocco. E se invece il presunto ingenuo piacesse, nel 2019? Salvini ereditò la Lega di Bossi al 4%. In sei anni, l’ha portata al 34%: primo partito italiano alle europee, con consensi – stando ai sondaggi – che tendono al 40%. Questo, semmai, è veramente imperdonabile, per i fan del governicchio-horror abborracciato da Grillo e Renzi per evitare le elezioni anticipate e restituire l’Italia ai padroncini franco-tedeschi dell’Unione Europea.
-
Magaldi: Di Maio neopiduista, taglia le Camere come Gelli
Con il taglio delle poltrone voluto da Di Maio (600 seggi in tutto, 400 alla Camera e 200 al Senato) il Belpaese diverrebbe il fanalino di coda, in Europa: quello con meno parlamentari in assoluto rispetto alla popolazione. Un’idea originale? Niente affatto: «Era scritta nero su bianco nel famigerato Piano di Rinascita Democratica redatto dalla Loggia P2 di Licio Gelli. Ed è strano che a caldeggiarlo, oggi, sia proprio il Movimento 5 Stelle, nato con l’intento dichiarato di ridare la parola ai cittadini». Lo afferma Gioele Magaldi, che nel libro “Massoni” (Chiarelettere, 2014) ha svelato la regia occulta di 36 superlogge nel retrobottega del potere mondiale. Spiega Magaldi: «L’iniziativa di Gelli era solo il riflesso casareccio dell’input partito dalla Ur-Lodge reazionaria “Three Eyes”, che affidò alla Commissione Trilaterale il compito di dare un segnale globale con il saggio “La crisi della democrazia”, uscito nel 1975 a firma di Samuel Huntington, Joji Watanuki e Michel Crozier». La tesi: di troppa democrazia si muore. «Curare l’eccesso di democrazia con dosi ancora maggiori di democrazia sarebbe come tentare di spegnere un incendio gettando benzina sul fuoco». Ergo: si facciano dimagrire i Parlamenti, per togliere punti di riferimento ai cittadini. «In questo, Di Maio si comporta come un neo-piduista», accusa Magaldi. Un sospetto: siamo di fronte a un caso palese di gatekeeping, dietro a tanto populismo inutilmente gridato?I numeri non depongono certo a favore di una riforma che, secondo i calcoli, comporterebbe per lo Stato un risparmio irrisorio: solo lo 0,007% della spesa pubblica. Già oggi, l’Italia è penultima in Europa per rappresentanza democratica: ha un solo parlamentare ogni centomila abitanti. Ben 23 paesi hanno più parlamentari, in relazione al numero dei cittadini. Con il piano del “neo-piduista” grillino, il Palazzo si allontanerebbe ancora di più. «Ho sempre difeso i 5 Stelle dall’accusa di gatekeeping», premette Magaldi: «Non ho mai creduto che il movimento fondato da Grillo e Casaleggio sia nato solo per depistare il dissenso, convogliando la protesta verso esiti innocui per il potere». Certo però che il risultato è lo stesso: i grillini hanno praticamente rinunciato a tutte le promesse di trasparenza sbandierate in campagna elettorale. Sono persino stati determinanti a Strasburgo nel far eleggere alla Commissione Europea la tedesca Ursula von der Leyen, emblema vivente del massimo rigore Ue. E ora, con l’ultra-demagogico taglio dei parlamentari (spacciato per riforma anti-casta) secondo Magaldi si apprestano a indebolire ulteriormente la democrazia italiana, già pesantemente condizionata dai diktat dell’eurocrazia che adesso vezzeggia Giuseppe Conte, docilissimo con Macron e la Merkel.E’ irriconoscibile, oggi, il Di Maio che agita il taglio dei parlamentari per tentare di far dimenticare agli elettori i clamorosi “tradimenti” a catena dei grillini: Tap e Tav, Ilva, Muos, vaccini, spese militari e trivelle in Adriatico. Un anno e mezzo fa, Di Maio evocava l’impeachment per Mattarella, che aveva impedito a Paolo Savona di accedere al ministero dell’economia. Motivo: il professore, già ministro con Ciampi (e assai temuto da Draghi) sarebbe stato “sgradito ai mercati”. Secondo il presidente della Repubblica, il parere degli “investitori” e dei “signori dello spread” contava ben più di quello degli elettori. Di fronte all’iniziale entusiasmo per il successo delle forze gialloverdi, provvide il tedesco Günther Oettinger a ribadire brutalmente il concetto: «Saranno i mercati a insegnare agli italiani come votare». Oggi, il cerchio si è chiuso: Grillo va a braccetto con Renzi, mentre il Conte-bis ha ricominciato a garantire piena sottomissione agli eurocrati. All’ormai quasi irrilevante Di Maio, contestato dalla fronda interna e “giubilato” al ministero degli esteri, resta la battaglia sulla riduzione dei seggi parlamentari: riforma peraltro già approvata anche dalla Lega, e ora appoggiata da Pd e renziani. Più che trame cospirative, Magaldi vede insipienza e catastrofica incapacità politica: piccole pedine, probabilmente inconsapevoli del grande disegno antidemocratico che le manovra.E’ mai possibile che chiunque esordisca con propositi rivoluzionari poi finisca sempre per annacquare le proprie idee, fino agli esiti decisamente incresciosi dei grillini? E non è tutto: a insospettire Magaldi è anche la generosa visibilità offerta dai media mainstream al filosofo torinese Diego Fusaro e alla sua iniziativa politica, “Vox Italia”, che promuove il comunista Gramsci e al tempo stesso l’ideologo fascista Gentile. «Un rossobrunismo sostanzialmente fasciocomunista», che propone «l’uscita dall’euro e dall’Unione Europea», riesumando anche i “valori” dell’antico tradizionalismo provinciale (Dio, patria e famiglia). «Fusaro – dice Magaldi, in web-streaming su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights” – è l’antagonista perfetto per l’eurocrazia: stravagante e ampolloso, Fusaro è divertente e soprattutto innocuo, dato che avanza proposte irrealizzabili». Non è un caso, aggiunge Magaldi, che i grandi media non diano spazio al Movimento Roosevelt, da lui fondato e presieduto: «Cosa potrebbero rispondere, i signori dell’Ue e i loro partner mediatici, di fronte a richieste ragionevoli ma scomode come le nostre? Esempio: una Costituzione Europea finalmente democratica, bilanci flessibili (con investimenti non più computati nei deficit) e una Bce pronta a emettere eurobond per sostenere l’economia reale e cancellare lo spettro dello spread».Non si corrono pericoli, invece, con il rassicurante “sovranismo rossobruno” di Fusaro, «chiamato spesso in televisione a fare da sparring partner ai politici e ai giornalisti del circo mainstream». Non solo: «Noto che anche Claudio Messora, animatore di “ByoBlu”, si sta spendendo massicciamente per “Vox Italia”, divenendone quasi il megafono». In questi anni, “ByoBlu” ha ospitato regolarmente voci alternative, svolgendo un ottimo servizio di informazione e ospitando ripetutamente lo stesso Magaldi. «Poi, su di noi è sceso il silenzio», insiste il presidente del Movimento Roosevelt, quasi evocando una sorta di ostracismo “suggerito” dall’alto. «Sono interrogativi che mi pongo, in attesa di risposte», precisa. Messora, peraltro, aveva aderito al Movimento 5 Stelle, svolgendo anche la funzione di comunicatore parlamentare. «Non vorrei che, svanita l’esperienza gialloverde, qualcuno avesse deciso di puntare proprio su “Vox Italia” per sostituire, in qualche modo, il populismo dei 5 Stelle, ormai sbiadito». L’interrogativo di Magaldi lascia aperta la possibilità che lo stesso (benemerito) video-blog di Messora possa trasformarsi, a sua volta, in uno strumento di gatekeeping. Sovragestione? Tanta improvvisa enfasi su Fusaro – che ha possibilità pari a zero di impensierire il potere che domina l’Italia – non può che lasciare perplessi, almeno secondo il presidente del Movimento Roosevelt.Con il taglio delle poltrone voluto da Di Maio (600 seggi in tutto, 400 alla Camera e 200 al Senato) il Belpaese diverrebbe il fanalino di coda, in Europa: quello con meno parlamentari in assoluto rispetto alla popolazione. Un’idea originale? Niente affatto: «Era scritta nero su bianco nel famigerato Piano di Rinascita Democratica redatto dalla Loggia P2 di Licio Gelli. Ed è strano che a caldeggiarlo, oggi, sia proprio il Movimento 5 Stelle, nato con l’intento dichiarato di ridare la parola ai cittadini». Lo afferma Gioele Magaldi, che nel libro “Massoni” (Chiarelettere, 2014) ha svelato la regia occulta di 36 superlogge nel retrobottega del potere mondiale. Spiega Magaldi: «L’iniziativa di Gelli era solo il riflesso casareccio dell’input partito dalla Ur-Lodge reazionaria “Three Eyes”, che affidò alla Commissione Trilaterale il compito di dare un segnale globale con il saggio “La crisi della democrazia”», uscito nel 1975 a firma di Samuel Huntington, Joji Watanuki e Michel Crozier. La tesi: di troppa democrazia si muore. «Curare l’eccesso di democrazia con dosi ancora maggiori di democrazia sarebbe come tentare di spegnere un incendio gettando benzina sul fuoco». Ergo: si facciano dimagrire i Parlamenti, per togliere punti di riferimento ai cittadini. «In questo, Di Maio si comporta come un neo-piduista», accusa Magaldi. Un sospetto: siamo di fronte a un caso palese di gatekeeping, dietro a tanto populismo inutilmente gridato?
-
Dezzani: il M5S, piano Usa nato per sterilizzare la protesta
Quando una nuova arma è perfezionata è abitudine sperimentarla in qualche poligono di tiro lontano da occhi indiscretti. Ma le armi convenzionali sono solo uno degli strumenti cui il sistema ricorre per esercitare il proprio dominio, scriveva l’analista geopolitico Federico Dezzani nel lontano 2015, quando a Palazzo Chigi sedeva il Matteo Renzi prima maniera, non ancora alleato dei grillini. Eppure, già allora, proprio di quelli Dezzani si occupava, definendo il Movimento 5 Stelle “la stampella del potere”. Tre anni dopo, i grillini sono andati al governo con Salvini ma piazzando lo sconoscito Conte nella sala dei bottoni. E oggi, puntualissimi, sono negli stessi ministeri ma con l’odiato Renzi e il “partito della Boschi”. Colpa di Salvini? Ma va là, direbbe Dezzani, che già quattro anni fa aveva le idee chiarissime sulla vera funzione del MoVimento, che infatti ha ricondotto all’ovile le pecorelle populiste facendo loro ingoiare persino l’inchino supremo alla Grande Germania, con l’elezione di Ursula von der Leyen a capo della Commissione Europea. A maggior ragione acquista sapore, oggi, la rilettura dell’analisi del profetico Dezzani: quello di Grillo era solo un bluff, fin dall’inizio. Operazione sofisticata, che ha ingannato milioni di elettori.
-
E’ già cominciata la rottamazione del governo Renzi-Grillo
Italia Viva, ovvero: la carica dei Morti Viventi. A sfottere Renzi ci si mette anche Leonardo Pieraccioni. Su Twitter, l’attore e regista toscano posta un fotomontaggio mostra i transfughi del Pd, capitanati da Matteo Renzi tra Maria Elena Boschi e Ivan Scalfarotto, in versione “walking dead”. Più seria la “minaccia” di Piero Fassino, stavolta nei confronti di Salvini: mister “abbiamo una banca”, stavolta, pronostica il trionfo imminente del leader della Lega. «Proponendosi come l’alternativa a Salvini, Renzi finirà per offrirgli una rendita di posizione che il leader della Lega sfrutterà per uscire dal proprio isolamento», dice l’ex sindaco di Torino ed ex segretario Pd, in un’intervista alla “Stampa”. Con Fassino non si scherza: le sue leggendarie profezie si avverano regolarmente, ma al contrario (memorabile la porta sbattutta in faccia a Grillo, che tentò di candidarsi alle primarie del Pd: «Se vuol fare politica, si faccia un partito suo»). Scherzi a parte, Fassino attacca duramente Renzi: «Non ha mai fatto i conti con le sconfitte, e oggi fonda un partito per riproporre le scelte dei suoi governi, senza tener conto che quando passi dal 40 al 18% non puoi dire che è colpa del fuoco amico».
-
Vox Italia: Dio, patria e famiglia. Chi ha paura di Fusaro?
Lasciate ogni speranza, o voi ch’entrate: oscurati da Facebook già in partenza, tanto per cominciare. E se si prova a varcare la soglia del sito ufficiale, voxitalia.net, è Google a trasformarsi in Cerbero: sito pericoloso, potrebbero scipparvi la carta di credito e i dati sensibili. Aiuto! Non insperate mai veder lo cielo, specie se vi chiamate Vox Italia. Come mai tanta paura, per il neonato movimento ispirato e guidato dal giovane filosofo torinese Diego Fusaro? Basta fare un giretto sul web per farsene un’idea. Le reazioni vanno dalla minimizzazione all’irrisione, fino alla diffamazione. Cos’è Vox Italia? Un movimento, si legge, che nasce per dar voce all’interesse nazionale. Slogan: “Pensare e agire altrimenti”, e muoversi “obstinate contra”, scrive Fusaro. «In direzione ostinata e contraria», avrebbe detto Fabrizio De Andrè, in un’Italia dove ancora esistevano menti come quella di Fabrizio De Andrè. «Il movimento – chiarisce Fusaro – unisce valori di destra e idee di sinistra». Più precisamente: «Valori dimenticati dalla destra e idee abbandonate dalla sinistra». Vox Italia si smarca dal «coro virtuoso del politicamente corretto», definito «superstruttura santificante i rapporti di forza del globalismo finanziario a beneficio degli apolidi signori del big business sradicato e sradicante».
-
Magaldi: gli azionisti del Conte-bis temono che non durerà
Vi siete mai domandati perché le formazioni “sovraniste” che sfidano il truce potere eurocratico sono sempre costruite in modo da perdere le elezioni? Vale per l’ex Front National di Marine Le Pen in Francia, fino – in piccolo – alla nostrana Vox Italia di Diego Fusaro. Slogan bellicosi e assetti ideologici tutt’altro che rassicuranti: un profilo che sembra fatto apposta per non farcela, né ora né mai, a impensierire i padroni del vapore. Lo sostiene Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt nonché esponente del network progressista della massoneria internazionale. Che sintetizza: «Non avremo la speranza di alcun cambiamento, fino a quando ci sarà da una parte chi spera nel fronte “sovranista”, e dall’altra chi ancora si aspetta qualcosa di buono da governi come il Conte-bis, che incarna la continuità dell’austerity inagurata da Monti e proseguita da Letta, Renzi e Gentiloni». Nient’altro che maggiordomi, magari in guanti bianchi, pronti a seguire i “consigli” del Quirinale e di Bankitalia, a loro volta succursali, nel Belpaese, del potere finanziario privatistico che si è impossessato delle istituzioni europee, manovrandole a piacimento per imporre il neoliberismo di regime che impoverisce la maggioranza della popolazione.Quanto ai “mandanti” dei maggiordomi, i veri padrini del patetico governicchio messo insieme incollando alla poltrona i 5 Stelle e i fantasmi del Pd, Magaldi avverte: lorsignori «sono parecchio nervosi, perché sanno che l’esperimento non è destinato a durare». Il motivo è semplice: lo scontro con la dura realtà. Riassume Magaldi, in diretta video su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights”: «Il Conte-bis sconterà gli stessi problemi che avevano indotto Salvini a staccare la spina. Se non riesci a combinare niente, i cittadini non ti faranno sconti. E i soldi per fare qualcosa di utile per il paese, esattamente come nel primo governo Conte, continuano a non esserci, grazie ai vincoli di bilancio imposti da Bruxelles». Chiarisce Magaldi: «E’ stato Salvini a lasciare il governo, non aveva scelta: sapeva che avrebbe finito col deludere i suoi elettori». Semmai, aggiunge il presidente del Movimento Roosevelt, il tempismo del leader leghista ha spiazzato gli avversari, cioè il super-potere (massonico e reazionario) che ricatta l’Italia. «Speravano di cuocerlo a fuoco lento, Salvini, facendolo cadere nel corso dell’autunno, quando Conte e Tria (legati a Mattarella e al banchiere centrale Visco) gli avrebbero negato i fondi richiesti per firmare una manovra espansiva, dalla parte degli italiani».In altre parole, continua Magaldi, il capo della Lega ha capito che non avrebbe avuto i soldi per tagliare le tasse e dare più servizi. A quel punto, vistosi circondato, ha anticipato i tempi decidendo di tagliare il cordone ombelicale già ad agosto. Si sarebbe potuto andare a elezioni anticipate, certo. Invece, il fronte opposto è riuscito nell’impresa bislacca di abborracciare il Conte-bis, imposto da Grillo a un Di Maio ridotto a ombra di se stesso. Idem sul fronte “dem”: grandi pressioni per guadagnare alla causa dell’inciucio il recalcitrante Zingaretti, salvo poi infliggergli la beffa della scissione renziana, che lo priva ulteriormente del controllo sui gruppi parlamentari. «L’euforia per i nuovi ministeri e le nuove cariche è già finita», annuncia Magaldi, facendo eco alla voce profonda del back-office del vero potere: gli azionisti del Conte-bis sono estremamente preoccupati, osservando l’estrema fragilità della neonata compagine, lacerata da divergenze interne e spaventata dalle imminenti elezioni regionali che vedono la Lega in pole position. Ma soprattutto: nemmeno al Conte-due sarà concessa la flessibilità negata al Conte-uno, indispensabile per far dare ossigeno all’economia rassicurando gli elettori.Ecco perché nessuno, da Berlino a Parigi, si fa illusioni sul governo “giallorosso”: il rigore europeo (presidiato formalmente anche da Gentiloni e incarnato da Ursula von der Leyen, eletta grazie al voto determinante dei grillini) resta il terreno minato su cui Giuseppe Conte cadrà, come temono i suoi stessi azionisti occulti, cioè i circuiti della massoneria neo-oligarchica. «Sul fronte opposto – dice Magaldi – la massoneria progressista è disponibile ad affiancare chiunque (Salvini o altri) sia pronto a dare battaglia per far nascere, un giorno, qualcosa che assomigli davvero a un’Unione Europea: cioè un’entità democratica capace di sviluppare una politica finalmente condivisa, con una banca centrale che (al contrario della Bce) faccia il suo lavoro e supporti in modo adeguato le finanze degli Stati». Ecco perché, conclude Magaldi, il cosiddetto sovranismo non è che un abbaglio, in realtà comodissimo per i sovragestori: non saranno certo gli untorelli alla Fusaro a impensierire il poderoso blocco di potere che da decenni racconta che, per crescere, bisogna prima tagliare.La prima a farlo fu l’indimentica Margaret Thatcher: paragonò lo Stato al buon padre di famiglia, che non può permettersi di indebitarsi. Affermazione integralmente falsa: a differenza dello Stato, infatti, famiglie e aziende non possono emettere moneta; e il denaro preso a prestito devono restituirlo (non così il governo, che si limita a inscrivere la spesa sotto la voce “deficit”). Eppure, quella famosa fandonia ha fatto strada, «al punto che oggi è considerata verità di fede, a reti unificate». Per colpa della Thatcher è stato criticato anche Salvini, che ha esibito la “Strega del Nord” nel pantheon leghista di Pontida. «Ma attenzione», precisa Magaldi: «Della Thatcher, Salvini ha solo citato una frase, che peraltro sottolinea una verità sacrosanta: e cioè che, senza libero mercato, non c’è neppure libertà politica». Verissimo: è la lezione fornita dall’autentico pensiero liberal-progressista. Magaldi ricorda che il maggiore economista del Novecento, l’inglese John Maynard Keynes (spesso preso a modello degli stessi “sovranisti”) non era un socialista, ma un “liberal”, così come l’inventore del welfare europeo, il connazionale William Beveridge.Vero, libertà e democrazia oggi sono fortemente conculcate dal regime Ue, che calpesta la sovranità popolare degli elettori costringendo i governi a disattendere le promesse elettorali. «Ma se si vuole più democrazia – si domanda Magaldi – come fanno i sovranisti a evocare come modelli alternativi paesi come la Russia, che non ha una democrazia compiuta, e la Cina, dove la vera democrazia non è mai esistita?». E a proposito di democraticità: «Che lezioni può dare, Vox Italia, che propone una leadership preconfezionata cooptando dall’alto una cinquantina di dirigenti? Immagino che nell’area siano presenti anche gli aderenti della Lista del Popolo messa in piedi un anno fa, con gli stessi metodi, da Giulietto Chiesa e Antonio Ingroia. Che fine ha fatto, quell’esperienza?». Magaldi è tra i fautori del Psai, “Partito che serve all’Italia”: un cantiere politico rimasto finora sottotraccia. Spiega: «Preferiamo lavorare in silenzio, ai programmi: un partito realmente alternativo può nascere e agire efficacemente solo se supportato da migliaia di italiani, sin dalla sua fondazione». Nel frattempo, tanti auguri a Vox Italia: «A chi ha simpatia per Fusaro consiglio di iscriversi, toccherà con mano quella realtà». E intanto, piena solidarietà per la nuova formazione rossobruna: «E’ stata oscurata da Facebook, che ha sicuramente violato la legge: il social network non può abusare in questo modo del servizio pubblico web, danneggiando ingiustamente una voce poltitica che ha piena dignità di espressione».Vi siete mai domandati perché le formazioni “sovraniste” che sfidano il truce potere eurocratico sono sempre costruite in modo da perdere le elezioni? Vale per l’ex Front National di Marine Le Pen in Francia, fino – in piccolo – alla nostrana Vox Italia di Diego Fusaro. Slogan bellicosi e assetti ideologici tutt’altro che rassicuranti: un profilo che sembra fatto apposta per non farcela, né ora né mai, a impensierire i padroni del vapore. Lo sostiene Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt nonché esponente del network progressista della massoneria internazionale. Che sintetizza: «Non avremo la speranza di alcun cambiamento, fino a quando ci sarà da una parte chi spera nel fronte “sovranista”, e dall’altra chi ancora si aspetta qualcosa di buono da governi come il Conte-bis, che incarna la continuità dell’austerity inaugurata da Monti e proseguita da Letta, Renzi e Gentiloni». Nient’altro che maggiordomi, magari in guanti bianchi, pronti a seguire i “consigli” del Quirinale e di Bankitalia, a loro volta succursali, nel Belpaese, del potere finanziario privatistico che si è impossessato delle istituzioni europee, manovrandole a piacimento per imporre il neoliberismo di regime che impoverisce la maggioranza della popolazione.
-
Carotenuto: ho paura, chi pilota il Conte-2 è capace di tutto
«Spero sinceramente che duri poco, perché di questo governo c’è da aver paura: il Conte-bis è un esecutivo pericolosissimo». Lo afferma Fausto Carotenuto, già analista strategico dei servizi segreti, autore di una singolare ritratto di Giuseppe Conte: «E’ sorretto dallo stesso potentissimo network vaticano che gestiva lo strapotere di Andreotti, a cominciare dal cardinale Achille Silvestrini». Ora siamo nei guai, dice Carotenuto in un video su YouTube, perché a Conte si aggiungono personaggi temibili come l’euro-tecnocrate Roberto Gualtieri, che Bruxelles ha fatto sistemare direttamente al ministero dell’economia. Senza contare Paolo Gentiloni, come Conte in strettissimi rapporti col Vaticano, ora promosso alla Commissione Ue, e lo stesso David Sassoli, eletto presidente del Parlamento Europeo. Gentiloni e Sassoli, ovvero: il Pd, i grandi media, il Vaticano e l’europeismo oligarchico. Questo significa che l’Italia, dopo l’effimera sbornia gialloverde, è oggi una cinghia di trasmissione perfetta per il super-potere europeo: «Aspettiamoci di tutto», dice Carotenuto, perché i signori dell’eurocrazia, magari in cambio di qualche piccola concessione sul bilancio, «potranno prendere decisioni inimmaginabili e terribili, per tutti noi».
-
Giannuli: Renzi (e Cairo) per creare un’alternativa a Salvini
Renzi, Berlusconi e Cairo? «La cosa complicata è mettere insieme tre pavoni come quelli: con la ruota che si ritrovano, non entrano in un solo ascensore». Aldo Giannuli però li vedrebbe bene, insieme, almeno stando agli elettorati potenziali di riferimento: il neo-rottamatore del Pd, nonno Silvio e il suo quasi-erede, patron de “La7” e della corazzata cartacea italiana, il “Corriere della Sera”. La notizia? Tutto è in movimento. Anche se il politologo dell’ateneo milanese non lo dice (considera uno scivolone la rottura estiva di Salvini), a terremotare la palude italiana – dopo il congelamento del governo gialloverde, commissariato dall’Ue tramite Conte, Tria e Mattarella – è stato proprio lo strappo del leader della Lega, con il suo “a queste condizioni non ci sto più”. Solo a quel punto, Renzi ha deciso di giocare la sua nuova partita, inducendo Zingaretti a ingoiare l’accordo-horror coi 5 Stelle, a loro volta “sinistrati” dall’inciucio. Obiettivo del fiorentino: oggi controllare il Conte-bis, ricattandolo, e domani gestire la partita delle super-nomine, fino alla rielezione del presidente della Repubblica nel 2022. Giannuli si limita a un’analisi tattico-elettorale senza tener conto delle voci sui contatti tra Renzi e il super-potere massonico, resi evidenti dalla passerella al meeting 2019 del Bilderberg.«Gli hanno promesso di farlo entrare finalmente nel salotto che conta, se fosse riuscito a fermare i gialloverdi», sostiene Gianfranco Carpeoro, saggista, legato a importanti ambienti massonici europei. Stando a Carpeoro – progressista, da sempre socialista – oggi Renzi può vantare una grande vittoria da esibire sui tavoli dei suoi veri mandanti: e potrebbe quindi anche alzare la posta, per chiedere per sé qualcosa di importante, con la minaccia di far cadere il Conte-bis. Semplici indiscrezioni, ma preziose: perché concorrono a delineare un quadro coerente, ben ancorato allo scenario internazionale da cui – come tutti hanno capito – dipendono le crisi italiane, compresa quella in corso. Giannuli invece preferisce attenersi al panorama di casa, articolando un’analisi ravvicinata sulle possibili mosse dei vari attori sul terreno. Renzi? Per ora è accreditato di pochi voti: dal 3 al 5% al massimo. «Ma sono convinto che si tratti solo di una base di partenza che, se il fiorentino ci saprà fare, è destinata a crescere, e non di poco», scrive Giannuli sul suo blog. Inutile negarlo: «Il sistema dei partiti esistente è tutto in crisi e c’è un diffuso malcontento dei cittadini per l’offerta politica: Forza Italia si sta liquefacendo, il M5S ha avuto una batosta alle europee dalla quale è difficile che si rimetta».Quanto al Pd, «la batosta l’ha presa alle politiche, e alle europee ha recuperato percentualmente solo per l’altissimo numero di astenuti, ma ha perso altri 100.000 voti reali)». Sinistra, +Europa e Fratelli d’Italia «non riescono a sfondare» e, di fatto, «galleggiano». Solo la Lega era esplosa: al 34% delle europee erano seguiti sondaggi che la davano prossima al 40%. «Ma la gestione scellerata della crisi di governo ha fatto crollare la credibilità di Salvini», sostiene Giannuli. «E se ancora questo non si riflette pienamente nei sondaggi, è lecito aspettarsi un calo lento ma costante, a meno che i giallorossi non ne facciano talmente tante da resuscitare la Lega e andare al voto in primavera». Dunque Renzi non sbaglia, quando dice che “c’è spazio”. La sua formazione, in primo luogo, «ha ancora da risucchiare al Pd: ci sono ancora renziani che non sono usciti, parecchi indecisi, e poi Zingaretti praticamente non esiste: Renzi non avrà difficoltà ad oscurarlo». Poi, se dovessse ingranare, «avrebbe da beccare molto nel pollaio di centro (da +Europa a Calenda, fino ai rimasugli di Dc»).Ma è soprattutto Forza Italia, col suo striminzito 6% residuo, che può dare un po’ di sangue alla neonata creatura renziana: anzi, non è neppure da escludere che i berlusconiani possano confluire nel nuovo soggetto renziano. «Insomma, un traguardo dell’11-12% potrebbe essere a portata di mano». E a quel punto, continua Giannuli, «potrebbe funzionare la sirena del fiorentino sia sul fianco della Lega che su quello dell’astensionismo». In concreto: «Non sono immaginabili particolari sfracelli, ma l’elettorato potenziale del nuovo partito potrebbe crescere sino al 15-18%», addirittura. Tornando alla realtà: «Bisognerà vedere molte cose: che farà il governo, che mosse farà Renzi, quali Salvini». Soprattutto, occorrerà valutare «se la mossa renziana di oggi sarà imitata da altri». In quel caso, alla fine ci sarebbe «un gran rimescolamento di carte che cambierà il volto del sistema dei partiti». Prima tappa, scontata, il pallido Pd: potrebbero rientrare quelli di Leu (Bersani e compagni), inducendo le ultime “sentinelle” renziane ad uscirne. Poi c’è il caso particolare di Conte: i sondaggi danno un modestissimo recupero al M5S dopo la soluzione della crisi di governo, ma un altissimo indice di consenso personale per il presidente del Consiglio. E c’è chi si spinge a ipotizzare che un suo partito possa raccogliere sino al 21%.«Certo i sondaggi vanno presi con le molle», premette Giannuli, però vanno monitorati con attenzione. «E qui la domanda sorge spontanea: che farà “Giuseppi” alle elezioni? Potrebbe ritirarsi a vita privata, come ha ripetutamente assicurato (e questo è una conferma che non si ritirerà affatto: tutti quelli che vogliono restare in campo dicono di star facendo le valide per ritirarsi). Oppure potrebbe presentarsi con il M5S, magari come candidato presidente del Consiglio». O ancora – terza opzione – potrebbe fare una sua lista, «più o meno apparentata coi 5 Stelle: dipenderà dal sistema elettorale». Secondo Giannuli, una “lista Conte” potrebbe attingere voti tanto al M5S quanto al Pd e persino all’area di centro (e quindi sottrarre voti a Renzi), ma potrebbe anche dare credibilità al partito di Renzi come possibile alleato. Altri sconvolgimenti, sempre secondo Giannuli, potrebbero investire la Lega: se si votasse tra un anno, il monte voti del Carroccio «potrebbe precipitare anche verso il 20%, e a quel punto non è detto che il partito resti integro». Ad esempio, Maroni «potrebbe uscire per fare altro». Oppure i maggiorenti della Lega (Giorgetti in testa) potrebbero «pensare a una qualche congiura per cacciare il “rais”».Se questo è lo scenario dell’attuale palazzo, poi ci sono quelli che premono da fuori: in primo luogo i Verdi, che «senza aver attaccato un solo manifesto, con pochissime apparizioni televisive e con una manciata di euro per la campagna elettorale, hanno preso il 2%», ovvero «un po’ di più della “Sinistra”, che pure aveva parlamentari, più spazi televisivi e decisamente più soldi». I Verdi avrebbero dalla loro «la simpatia dei giovani “gretisti”, il mutamento climatico che ormai non è più una previsione ma una realtà in atto, e di conseguenza una certa attenzione dei mass media». Gli ultimi eredi del “Sole che ride” potrebbero anche «fare liste comuni con quel che resta della sinistra o assorbirne un po’ di voti». Giannuli non prende nemmeno in considerazione il piccolo fronte rosso-bruno apertosi con “Vox Italia”, il sovranismo “socialista” capitanato da Diego Fusaro (che sembra autoemarginarsi da subito, peraltro, chiedendo l’uscita dall’euro, dall’Ue e dalla Nato). Una galassia, quella del voto-contro, che nel 2018 diede largamente fiducia ai 5 Stelle: milioni di voti che poi, di fronte al fallimento gialloverde incarnato da Di Maio, sono tornati a gonfiare l’oceano dell’astensionismo già alle europee, tornata in cui ha votato poco più di un italiano su due (un elettore su tre, invece, ha scommesso ancora su Salvini).Tornando a Renzi, Giannuli punta i riflettori sul grande centro: l’altra grande incognita esterna è l’editore Urbano Cairo, che recentemente ha concesso «un’intervista di due ettari» al “Foglio” «per spiegare che non ha intenzione di candidarsi», e che però, «se fosse costretto a farlo, avrebbe un programma fatto così e così». Tradotto: «La smentita, al solito, vale la conferma delle intenzioni di esserci». Su che seguito elettorale potrebbe contare, Cairo? «Impossibile a dirsi, allo stato attuale», che è quello di una intenzione «molto futura». E poi, candidarsi per fare che? «Un partito suo? Entrare in Forza Italia e rivitalizzarla? Fare il presidente di una qualche confederazione di centro con Renzi e lo stesso Cavaliere? Tutto possibile». Urbano Cairo possiede “La7” e il “Corriere della Sera”, «ma non sono più i tempi della discesa in campo del Cavaliere». Inoltre, «l’appporto dei suoi media è realisticamente molto più ridotto». Secondo Giannuli, poi, «un appoggio troppo sfacciato, soprattutto da parte del blasonatissimo “Corriere”, potrebbe costare molto in termini di audience e di lettori». Lo si è visto con il mitico “fate presto” con cui la grande stampa italiana accolse il finto salvatore Mario Monti nel 2011, salvo poi “scoprire” – fuori tempo massimo – che non si trattava esattamente di un benefattore della nazione.Resta virtualmente da spendere la carta del classico partito personale, a meno che Cairo non abbia già nella manica «un parterre da far paura» fatto di grandi nomi, «presidenti di associazioni», e magari la benedizione del Papa. Viceversa, avrebbe «qualche possibilità di successo in più la sua adesione a Forza Italia», che di fatto «potrebbe dare qualche goccia di sangue fresco alla moribonda creatura berlusconiama». Ma la cosa più ragionevole, per Giannuli, sarebbe «la confederazione con il fiorentino e il Cavaliere». Poi ci sono una serie di personaggi singoli molto noti (Tremonti, Sgarbi, Monti, Rutelli, magari anche Fini), che forse hanno «solo un po’ di seguito d’opinione», eppure «possono regalare visibilità a una forza politica nuova», anche perché «la parata di vecchie stelle del varietà funziona sempre», fino a un certo punto. L’unica vera notizia è che «le bocce sono in movimento, e altre – completamente nuove, che oggi neanche immaginiamo – possono entrare in campo». Molte cose cambieranno, conclude Giannuli, sempre senza tener conto del quadro internazionale, europeo e non solo, così determinante – finora – per la crisi italiana (dalla Via della Seta al decreto Golden Power contro Huawei, dal Russiagate anti-Salvini alla guerriglia con Macron e il voltafaccia dei 5 Stelle, fino all’elezione di Ursula von der Leyen).L’analisi di Giannuli, apprezzabile per i riflessi immediati sull’agenda di Palazzo Chigi e dintorni, non legge le ricadute italiane dei grandi giochi in corso, dalla Hard Brexit alla crociata contro Trump. Clamoroso il guanto di sfida lanciato dal governatore della Bank of England, uomo Rothschild: Mark Joseph Carney è stato applaudito a Wall Street, nientemeno, per aver annunciato la necessità di una valuta internazionale alternativa al dollaro. Corretto il focus di Giannuli su Cairo: ma come si schiererebbe, l’editore, rispetto allo scacchiere che conta, cioè quello dei veri poteri che telecomandano l’Italia? E poi: sicuri che Salvini sia sul viale del tramonto? Cosa c’è nella testa di quei milioni di italiani che tuttora fanno della Lega il primo partito? Salvini non è certo ostile a Putin, che peraltro non è un campione di democrazia. A sua volta, Putin non è assolutamente lontano da Trump, che pure sembra aver cessato di sostenere Salvini. Quello che si legge è un caos, nel quale sembra precipitata l’oligarchia di ieri. L’Italia gialloverde era vista – da fuori, forse a torto – come un “pericoloso” banco di prova per sperimentare un’alternativa al paradigma ordoliberista. Il pallottoliere di Giannuli, per ora, non ne fa cenno. Ma sarebbe ingenuo non cercare di mettere a fuoco la vera domanda: per chi sta lavorando, oggi, Matteo Renzi? Per se stesso, come al solito? Certo, anche. Ma si sa, le cose accadono a più livelli. I giochi sono tanti, così come i giocatori. E quelli italiani, visibili, sono solo la vetta dell’iceberg.Renzi, Berlusconi e Cairo? «La cosa complicata è mettere insieme tre pavoni come quelli: con la ruota che si ritrovano, non entrano in un solo ascensore». Aldo Giannuli però li vedrebbe bene, insieme, almeno stando agli elettorati potenziali di riferimento: il neo-rottamatore del Pd, nonno Silvio e il suo quasi-erede, patron de “La7” e della corazzata cartacea italiana, il “Corriere della Sera”. La notizia? Tutto è in movimento. Anche se il politologo dell’ateneo milanese non lo dice (considera uno scivolone la rottura estiva di Salvini), a terremotare la palude italiana – dopo il congelamento del governo gialloverde, commissariato dall’Ue tramite Conte, Tria e Mattarella – è stato proprio lo strappo del leader della Lega, con il suo “a queste condizioni non ci sto più”. Solo a quel punto, Renzi ha deciso di giocare la sua nuova partita, inducendo Zingaretti a ingoiare l’accordo-horror coi 5 Stelle, a loro volta “sinistrati” dall’inciucio. Obiettivo del fiorentino: oggi controllare il Conte-bis, ricattandolo, e domani gestire la partita delle super-nomine, fino alla rielezione del presidente della Repubblica nel 2022. Giannuli si limita a un’analisi tattico-elettorale senza tener conto delle voci sui contatti tra Renzi e il super-potere massonico, resi evidenti dalla passerella al meeting 2019 del Bilderberg.