Archivio del Tag ‘Beppe Grillo’
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Fico della Mirandola, l’anima più rivoluzionaria di Grillology
Magari sarà un buon presidente. Magari è un bravo ragazzo. Però uno come Roberto Fico presidente della Camera parte coi peggiori requisiti. Culturali, professionali, politici, ideologici. Uno che come titolo di studio è laureato in canzone neomelodica napoletana, e non nel senso che almeno cantava e si guadagnava da vivere per strada o tra i tavoli del bar passando col piattino; ma, peggio, studiava i cantanti napoletani, studiava la fenomenologia di Mario Merola. Studioso non di Machiavelli o Beccaria ma di Gigi d’Alessio e Nino d’Angelo. Un genio dal sapere enciclopedico. Fico della Mirandola. Uno che fino a quarant’anni, cioè fino a che non vinse la ruota della fortuna coi 5 stelle non aveva arte né parte ma si arrangiava tra hotel, ufficistampa, vendeva tessuti marocchini e roba varia. Uno che rappresenta l’ala più grillina dei grillini, fanatico dell’Ideologia di Grillology. Però, uè, ha rinunciato all’indennità aggiuntiva e all’autoblu, dunque è un eroe e martire della Causa. Ma soprattutto Fico è stato celebrato dai media come uno che rappresenta l’ala sinistra del Movimento. E infatti rimastica il vecchio egualitarismo e l’antico pauperismo, è ovviamente nemico, anche per fatto personale, della meritocrazia; è totalmente appiattito sul politically correct anche in temi bioetici e ha subito sbandierato, insediandosi a Montecitorio, la sua continuità antifascista con la Boldrina.Insomma uno che rappresenta non solo il movimentismo extraparlamentare ed extraterrestre dei 5 Stelle in versione radical-pop, ma la sinistra d’asporto, di strada, di rete e di utopia, senza il realismo politico della sinistra più scafata, da Bersani e D’Alema a Minniti. Se questa è la sinistra, a questo punto dateci Marco Rizzo, comunista senza peli e senza indugi. Peggio della sinistra c’è solo la sinistra in formato grillino. Quando si è profilata l’alleanza 5 Stelle-Lega, su “La Repubblica”, Francesco Merlo ha pianto con la caduta della sinistra la fine della cultura al governo. Nella stessa pagina accanto al suo pezzo, figurava la seguente notizia rassicurante: prima di andarsene la sinistra aveva compiuto un atto simbolico e culturale di grande significato, aveva votato alla presidenza del Senato il ministro uscente della pubblica istruzione, Fedeli. Sì proprio lei, quella senza laurea e senza grammatica alla guida della scuola. Se è la firma di chiusura della sinistra di governo è il segno del suo analfabetismo militante. E fa ridere pensare che il fascismo barbaro e ignorante affidò la scuola a Giovanni Gentile e la sinistra colta e civile invece lasciò la scuola alla Fedeli…Comunque non si preoccupi, la “Repubblica”, la cultura della Fedeli sarà degnamente continuata dal presidente grillocomunista Fico, così come la grammatica della medesima sarà continuata dal grillomutante Di Maio. Il duo napoletano garantirà un fedele trapasso di consegne. Qual è il filo conduttore culturale tra le due sinistre nel loro viaggio dalla Fedeli a Fico? L’ignoranza è una virtù. È la convinzione egualitaria e sessantottina che l’ignoranza sia sinonimo di purezza, di incontaminata virtù, di vicinanza al popolo versione auditel, ignorantitel. Niente studio, tutto è creatività. Niente mediazioni, tutto è immediato, diretto. Fu quella l’impronta sessantottina della nuova sinistra, dove arroganza e ignoranza fecero rima. Ed è questa l’impronta casaleggesca del grillismo, il buon selvaggio che va al potere, in democrazia diretta, streaming. Vox populi vox reti. Però noi confidiamo nelle sorprese, nelle conversioni, negli imprevisti, perfino in quella legge della storia che i filosofi chiamavano eterogenesi dei fini (ossia accade che alcune intenzioni di partenza vengano poi deviate nelle loro realizzazioni e diano luogo a esiti diversi se non capovolti). Chissà che il Fico non maturi.(Marcello Veneziani, “Fico della Mirandola”, da “Il Tempo” del 27 marzo 2018, articolo ripreso dal blog di Veneziani).Magari sarà un buon presidente. Magari è un bravo ragazzo. Però uno come Roberto Fico presidente della Camera parte coi peggiori requisiti. Culturali, professionali, politici, ideologici. Uno che come titolo di studio è laureato in canzone neomelodica napoletana, e non nel senso che almeno cantava e si guadagnava da vivere per strada o tra i tavoli del bar passando col piattino; ma, peggio, studiava i cantanti napoletani, studiava la fenomenologia di Mario Merola. Studioso non di Machiavelli o Beccaria ma di Gigi d’Alessio e Nino d’Angelo. Un genio dal sapere enciclopedico. Fico della Mirandola. Uno che fino a quarant’anni, cioè fino a che non vinse la ruota della fortuna coi 5 stelle non aveva arte né parte ma si arrangiava tra hotel, ufficistampa, vendeva tessuti marocchini e roba varia. Uno che rappresenta l’ala più grillina dei grillini, fanatico dell’Ideologia di Grillology. Però, uè, ha rinunciato all’indennità aggiuntiva e all’autoblu, dunque è un eroe e martire della Causa. Ma soprattutto Fico è stato celebrato dai media come uno che rappresenta l’ala sinistra del Movimento. E infatti rimastica il vecchio egualitarismo e l’antico pauperismo, è ovviamente nemico, anche per fatto personale, della meritocrazia; è totalmente appiattito sul politically correct anche in temi bioetici e ha subito sbandierato, insediandosi a Montecitorio, la sua continuità antifascista con la Boldrina.
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Magaldi: cari Di Maio e Salvini, tocca a voi sfidare Bruxelles
Mettete Keynes nei vostri cannoni (politici), e avrete «posti di lavoro, pace sociale e una vastissima platea di consumatori». Si chiama “piena occupazione”: vale più del reddito di cittadinanza o della Flat Tax. Primo passo: inserire il diritto al lavoro nella Costituzione. Obiettivo: non lasciare più a casa nessuno. Un appunto, che Gioele Magaldi segnala ai vincitori del 4 marzo. A proposito: ma perché Salvini e Di Maio non ci dovrebbero provare, a formare un governo? «Se la giochino fino in fondo, la partita: hanno vinto loro. Lo stesso Berlusconi è del tutto propenso a far parte del gioco: non ha mai detto di volersene stare sull’Aventino, come invece il suo amico (e falso nemico) Renzi». Semmai è il Movimento 5 Stelle che ha un po’ paura di lasciarsi contaminare da quello che Beppe Grillo chiamava “lo psiconano”, ma lo stesso Grillo ora ha iniziato a elogiare Salvini. «E’ un incontro politico legittimo e auspicabile, quello tra Lega e 5 Stelle, insieme a chiunque altro ci stia – purché serva a prendere decisioni concrete e urgenti». Per Magaldi, ai microfoni di “Colors Radio”, siamo davanti a un bivio: «Più che i nomi del premier e dei ministri, bisognerà osservare molto bene il programma operativo, gli atti concreti del futuro governo. Bisogna dimostrare subito, al popolo sovrano, che si ha intenzione di cambiare qualcosa».Di Maio e Salvini potrebbero imboccare «una strada coraggiosa, coerente con quello che gli elettori hanno loro chiesto». Ovvero: «Tener ferme certe posizioni rispetto ai gestori di questa Unione Europea e di questa Eurozona». Attenzione: sarebbe davvero un’impresa «titanica, eroica», contro la quale infatti «si stanno già muovendo molte forze per sterilizzare qualunque istanza innovativa». Se Lega e 5 Stelle terranno duro, dice Magaldi, il Movimento Roosevelt (da lui presieduto, con accanto un economista come Nino Galloni) è pronto a fornire supporto, in termini di risorse, idee e know-how. Il punto centrale, ovviamente, è proprio «la volontà politica di inaugurare un nuovo corso». Si può sperare che accada davvero qualcosa di buono? Magaldi “promuove” a pieni voti l’economista Alberto Bagnai, candidato dalla Lega: «Credo sia una delle persone migliori elette in questo Parlamento. E’ vero, aveva profetizzato il crollo dell’Eurozona (che non è crollata), forse mancandogli una completa visione delle forze politiche e metapolitiche, palesi e occulte, che fanno in modo che l’Eurozona perduri, al di là del fallimento economico ben evidenziato da Bagnai». In ogni caso, il professore «è un eccellente post-keynesiano: ha una visione lucida, sa bene in cosa va criticata l’Eurozona e sa demistificare i dogmatismi che hanno puntellato il paradigma neoliberista nella versione europeista, quindi sarebbe senz’altro un eccellente ministro».Magaldi propone un approccio laico e pragmatico, per non sprecare l’esito delle urne e le grandi aspettative espresse dagli elettori. Uno sguardo disincantato, a cominciare dalle nuove presidenze di Camera e Senato. «Un affronto a Berlusconi, la nuova presidenza del Senato? Errore: la Casellati era stata individuata da tempo, ben prima che scoppiasse la pantomima dello scontro con Salvini», rivela Magaldi. «Come al solito, nel “back office” si decidono cose che poi vengono rappresentate in termini teatrali, a beneficio dell’opinione pubblica. L’elezione della Casellati non crea la minima difficoltà a Berlusconi, che ha invece iniziato a mettere “a riposo” alcuni personaggi ormai inadeguati». Elisabetta Casellati è una berlusconiana di ferro, «probabimente anche più gestibile di Paolo Romani». Tutt’altro che sconfitto, il Cavaliere: «Da tempo Forza Italia vuole ringiovanire i testimonial e puntare sulle donne». Le dichiarazioni a caldo contro Salvini? «Solo teatro». La neoeletta, in realtà, era la vera candidata fin dall’inizio. «Credo che gestirà il Senato senza infamia né lode. Del resto il suo predecessore è stato Grasso: non è che queste cariche trasformino i ronzini in purosangue. Semmai – insiste Magaldi – in questo asse tra 5 Stelle e Lega che ha portato all’elezione di Casellati e Fico c’è una chance: declinare un paradigma diverso, nel rapporto con l’Europa e l’economia, riguardo al benessere di milioni di italiani. Vedremo».Certo, «Berlusconi gioca su più tavoli, come al solito». E nel teatrino inscenato dopo la bocciatura di Romani, ampiamente prevista, è riuscito a dire tutto e il contrario di tutto, nel giro di 24 ore. Il Cavaliere «non vuole il “partito unico” del centrodestra, che ormai sarebbe egemonizzato dalla Lega, e adesso giura di fidarsi di Salvini, a cui lascia semmai l’onere del tradimento dell’alleanza». Ma non è neppure quello, il problema: il vero scoglio, per Magaldi, è la disponibilità del Movimento 5 Stelle a convivere con un Berlusconi ancora abbastanza “visibile”, nell’eventuale intesa governativa con il centrodestra. Quanto ai grandi vecchi, l’ultimo passaggio parlamentare ha regalato l’ennesimo minuto di gloria mediatica all’ineffabile Napolitano. «Ha avuto la responsabilità degli ultimi (pessimi) governi italiani, e l’ha scaricata sugli altri – come se lui fosse stato nell’Empireo – ergendosi come al solito ad accusatore che punta il dito, con atteggiamento ierocratico. Ineffabilità e, come al solito, indisponibilità all’autocritica, pur con l’amarezza di aver sbagliato anche lui le previsioni sull’esito delle sue manovre degli anni scorsi».Napolitano? «Un avversario, di cui non condivido nulla», dice Magaldi. «Gli riconosco una grande capacità di durata: è un uomo che ha vissuto sempre per il potere, che ha cambiato mille volte ideologia apparendo sempre granitico nel sostenere le idee che, di volta in volta, cambiava». Gli si può augurare lunga vita, «se non altro per meditare sui suoi tanti errori, sulla sua incorenza e sulle conseguenze così negative, per l’Italia, che il suo operato ha prodotto». Desta comunque ammirazione, aggiunge Magaldi, la sua capacità di stare in scena: «E’ un altro grande teatrante, al pari di Berlusconi. Dietro il teatro, però, c’è una sostanza spregiudicata e indifferente al copione – purché, appunto, ci sia la scena». L’ultima partita persa da Napolitano probabimente si chiama Matteo Renzi: è il vero, grande perdente del 4 marzo. «Si è sconfitto da solo, in modo stolto, con una vocazione al “cupio dissolvi” sin dai tempi del referendum costituzionale: la sua strampalata coerenza non aveva contenuti tali da passare alla storia. E anche dopo – aggiunge Magaldi – ha continuato a insistere su una narrazione astratta, non realistica, del tipo “va tutto bene, madama la marchesa”. E’ stato vittima di se stesso: convinto di aver ben governato, pensava che il popolo italiano avrebbe dovuto riconoscerlo».Certo, i 5 Stelle e la Lega hanno saputo senz’altro convincere un elettorato mobile, che prima aveva creduto nella narrativa renziana. Uno tsunami da cui lo stesso Berlusconi esce fortemente ridimensionato, come “capostipite” dell’infelice Seconda Repubblica, il cui ultimo epigono è stato proprio Renzi. «Con la differenza che Berlusconi ha sette vite (come i gatti) e quindi potrà ancora recitare un ruolo, mentre Renzi subirà un’inevitabile resa dei conti nel Pd». E anche adesso, invece di fare autocritica ammettendo i propri errori, «si propone dinnanzi a tutti come una sorta di bambino malmostoso che si porta via il pallone perché gli hanno segnato troppi goal». Oggi il Pd è fuori gioco «per colpa di Renzi, accecato dalla sventura che lui stesso ha prodotto per insipienza e arroganza». Per dire: poteva giocare di sponda, fin dall’inizio, coi 5 Stelle. E invece manca un leader, nel Pd sequestrato da Renzi, che si è circondato di mezze calzette: «Renzi ha eliminato dei catafalchi, ed è stato il suo unico merito: i “rottamati” erano anche peggio di lui, pur avendo almeno una fisionomia politica». Non resta che il deserto, per ora: «Nessuno in vista, a quanto pare, che sia capace di ergersi sugli altri e tentare una rotta diversa».Un naufragio, quello del centrosinistra, che coinvolge anche i sindacati: «Anacronistica la battaglia sull’articolo 18, che tutela solo chi già lavora». La sfida, oggi, sta nel creare lavoro per chi non ce l’ha: e lo si può fare, insiste Magaldi, costituzionalizzando il diritto al lavoro. «In un mondo che non ha mai prodotto tanta ricchezza come oggi, e che però la gestisce malissimo (mai come oggi è grande il divario tra i pochi ricchi e i moltissimi cittadini in difficoltà economiche) si può tranquillamente rendere costituzionale il diritto al lavoro». Il reddito di cittadinanza? «Una misura che in Italia che si può adottare». Ma il cittadino italiano, aggiunge Magaldi, «deve nascere con il diritto a poter lavorare in base alle proprie capacità». Come? «Bisogna istituire un’alta autorità per la piena occupazione, che in base alla formazione e al talento dirotti i futuri lavoratori in ambito pubblico o privato: nessuno può essere lasciato senza un lavoro». Magaldi ci crede: «Sarebbe una misura rivoluzionaria e al tempo stesso social-liberale, coerente con l’economia di mercato, capace di assicurare prosperità al sistema nel suo complesso». Ottimismo: «Prima o poi vinceremo», scommette Magaldi, che pensa al nuovo partito democratico-progressista, il Pdp, da mettere in campo per fare forza al “cambio di paradigma” a cui già il prossimo governo potrebbe inziare a dare corso, se Di Maio e Salvini avranno il coraggio di non piegarsi agli oligarchi dell’Unione Europea.Mettete Keynes nei vostri cannoni (politici), e avrete «posti di lavoro, pace sociale e una vastissima platea di consumatori». Si chiama “piena occupazione”: vale più del reddito di cittadinanza o della Flat Tax. Primo passo: inserire il diritto al lavoro nella Costituzione. Obiettivo: non lasciare più a casa nessuno. Un appunto, che Gioele Magaldi segnala ai vincitori del 4 marzo. A proposito: ma perché Salvini e Di Maio non ci dovrebbero provare, a formare un governo? «Se la giochino fino in fondo, la partita: hanno vinto loro. Lo stesso Berlusconi è del tutto propenso a far parte del gioco: non ha mai detto di volersene stare sull’Aventino, come invece il suo amico (e falso nemico) Renzi». Semmai è il Movimento 5 Stelle che ha un po’ paura di lasciarsi contaminare da quello che Beppe Grillo chiamava “lo psiconano”, ma lo stesso Grillo ora ha iniziato a elogiare Salvini. «E’ un incontro politico legittimo e auspicabile, quello tra Lega e 5 Stelle, insieme a chiunque altro ci stia – purché serva a prendere decisioni concrete e urgenti». Per Magaldi, ai microfoni di “Colors Radio”, siamo davanti a un bivio: «Più che i nomi del premier e dei ministri, bisognerà osservare molto bene il programma operativo, gli atti concreti del futuro governo. Bisogna dimostrare subito, al popolo sovrano, che si ha intenzione di cambiare qualcosa».
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Reddito e Flat Tax: Di Maio e Salvini devono imporsi all’Ue
«La mancanza di copertura che la Lega ha presentato sulla Flat Tax – avvertono ambienti di Bankitalia – non è dissimile dalla mancanza di coperture del reddito di cittadinanza dei 5 Stelle». Vista l’aria che tira, i vincitori delle elezioni riusciranno a dribblare i sommi sacerdoti dell’austerity, già all’opera da Bruxelles a Roma? Ce la faranno, Lega e 5 Stelle, a mettersi d’accordo «agendo, una volta tanto, nell’interesse dell’Italia e non dell’Unione Europea?». L’appello è rivolto a tutti – grillini e leghisti in primis – ma anche ai perdenti: cioè «la “famiglia” Soros-De Benedetti-Bonino», alias «Pd and friends», cioè «la “cosa grassa” di D’Alema», nonché «la “famiglia” Berlusconi-Lupi-Fitto», anch’essa ormai giunta all’irrilevanza. Da Vincenzo Bellisario una proposta secca, anzi due: accordo tra Salvini e Di Maio su un unico punto (cambiare la legge elettorale, mettendo il vincitore in condizioni di governare) o accordarsi per modificare i trattati europei. Obiettivo: rendere finanziabili misure come il reddito di cittadinanza e la Flat Tax. «Basta una settimana, per trovare una soluzione». Unico scenario da evitare: la palude, nella quale si sta lentamente inabissando il risultato delle urne, con gravi rischi innanzitutto per le due formazioni uscite vincitrici dal test elettorale. Il 55% degli elettori ha votato Di Maio, Salvini e Meloni per dire “no” al rigore. Esiste un modo per tradurre in pratica il mandato ricevuto, ma bisogna agire subito.Sul blog del Movimento Roosevelt, Bellisario avverte i grillini: «Avete proposto per circa 12 anni un reddito di cittadinanza, un reddito per tutti: non potete tirarvi indietro, o farlo a metà, perché la “gente normale” vi ha votato solo per quello». Dovrebbe essere il primo pensiero, per un movimento che si è dipinto “alternativo” e oggi rischia di farsi ingabbiare nei “giochetti” per la presidenza delle Camere. Il rischio? Deludere gli elettori, e quindi fare la fine della Bonino, sostenuta da George Soros, o del Pd sorretto da Carlo De Benedetti. E’ lo stesso Salvini a proporre uno spiraglio: basterebbe una settimana per votare un emendamento al Rosatellum, che introduca un premio di maggioranza per chi arriva primo. Obiettivo: tornare al voto di corsa, per offrire al paese un risultato più chiaro (e un governo coerente con il voto). Oppure, Piano-B: un accordo fondato su appena 4 punti, due indicati da Di Maio e due dalla Lega, per rendere attuabili le proposte lanciate durante la campagna elettorale. Come? Nel solo modo possibile: mettendo mano alla complessa procedura che consente la revisione dei trattati europei a partire da quello di Maastricht, che obbliga lo Stato a contenere la spesa pubblica entro il 3% del Pil. L’Ue boccerebbe il ricorso? «E allora bisogna essere pronti a togliere il disturbo: ciao, Bruxelles».Negli ultimi 26 anni, dopo Tangentopoli, l’Unione Europea ha avuto il coltello dalla parte del manico: ha imposto e ottenuto tutto quello che voleva. Come affermare le proprie ragioni in sede comunitaria? «Semplicemente – scrive Bellisario – trattiamo quelli dell’Ue come loro hanno trattato noi negli ultimi 26 anni. Ma se “se la tirano troppo”, nel giro di poche ore possiamo salutarli a colpi di decreti, avendo una maggioranza assoluta decisa a impugnare il famoso coltello dalla parte del manico». Altre soluzioni, semplicemente, non esistono: a lungo andare, la Lega appassirebbe all’ombra del Muro di Bruxelles, non potendo attuare le proprie proposte di salvataggio dell’economia basate sul taglio verticale delle tasse. Peggio ancora il Movimento 5 Stelle, che ha quasi il 33% dei voti ed è esposto da più tempo alle aspettative degli elettori, accese dal reddito di cittadinanza: guai, se non lo si potesse applicare integralmente, e in tempi rapidissimi. L’esasperazione sociale è al limite. Lo stesso Grillo, nel suo blog, scrive: «Si deve garantire a tutti lo stesso livello di partenza: un reddito, per diritto di nascita. Soltanto così la società metterà al centro l’uomo e non il mercato». Non ci provi, il Movimento 5 Stelle, a tirarsi indietro proprio adesso. Finirebbe in barzelletta: “Mamma, ho perso il reddito!”.«La mancanza di copertura che la Lega ha presentato sulla Flat Tax – avvertono ambienti di Bankitalia – non è dissimile dalla mancanza di coperture del reddito di cittadinanza dei 5 Stelle». Vista l’aria che tira, i vincitori delle elezioni riusciranno a dribblare i sommi sacerdoti dell’austerity, già all’opera da Bruxelles a Roma? Ce la faranno, Lega e 5 Stelle, a mettersi d’accordo «agendo, una volta tanto, nell’interesse dell’Italia e non dell’Unione Europea?». L’appello è rivolto a tutti – grillini e leghisti in primis – ma anche ai perdenti: cioè «la “famiglia” Soros-De Benedetti-Bonino», alias «Pd and friends», cioè «la “cosa grassa” di D’Alema», nonché «la “famiglia” Berlusconi-Lupi-Fitto», anch’essa ormai giunta all’irrilevanza. Da Vincenzo Bellisario una proposta secca, anzi due: accordo tra Salvini e Di Maio su un unico punto (cambiare la legge elettorale, mettendo il vincitore in condizioni di governare) o accordarsi per aggirare dichiaratamente i trattati europei. Obiettivo: rendere finanziabili misure come il reddito di cittadinanza e la Flat Tax. «Basta una settimana, per trovare una soluzione». Unico scenario da evitare: la palude, nella quale si sta lentamente inabissando il risultato delle urne, con gravi rischi innanzitutto per le due formazioni uscite vincitrici dal test elettorale. Il 55% degli elettori ha votato Di Maio, Salvini e Meloni per dire “no” al rigore. Esiste un modo per tradurre in pratica il mandato ricevuto, ma bisogna agire subito.
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Piccole alchimie parlamentari per un paese in rottamazione
Di Maio ha stravinto nel centro-sud promettendo il reddito di cittadinanza (ma annunciando con Fioramonti di dimezzare il debito pubblico), mentre Salvini ha spopolato al nord garantendo di sbriciolare le tasse e sbarrare le frontiere ai migranti. Nell’offerta politica dei due schieramenti, svetta lo squillante sovranismo della Lega con la candidatura dell’economista Alberto Bagnai, che contesta il dirigismo dell’oligarchia di Bruxelles da posizioni keynesiane (lo Stato che torna protagonista dell’economia), mentre Di Maio si affanna a ricordare che sono i mercati, semmai, ad avere l’ultima parola. Premiante, per grillini e leghisti, la fedina politica immacolata, dopo anni di opposizione al renzismo, il regime propagandistico che all’Italia in crisi ha raccontato che tutto andava bene, anzi benissimo. Né i 5 Stelle né la Lega contestano organicamente il sistema liberista, di cui il Pd è stato il più zelante esecutore: si propongono soltanto di correggerne gli eccessi, con l’avvento di politici “dalle mani pulite” (ma legate, nel caso di Salvini, all’alleanza con un Berlusconi che si è prostrato come il Pd all’obbedienza feudale nei confronti dell’élite finanziaria che ha privatizzato le istituzioni europee). In questo contesto, appaiono piuttosto lunari le chiacchiere sull’ipotetica intesa, a distanza, tra i due vincitori delle elezioni – il Di Maio senza programmi e il Salvini con programmi vincolati agli umori di Arcore.Tiene banco, ancora, il surreale connubio tra i 5 Stelle e i rottami del Pd, cioè il “nemico” dei grillini; accordo invocato da quell’Eugenio Scalfari che, a Di Maio, avrebbe preferito l’odiato Berlusconi. Tra i “pontieri”, dopo Scalfari, figurano personaggi come Gustavo Zagrebelsky e Salvatore Settis, Barbara Spinelli e Massimo Cacciari. Un giornalista come Marco Travaglio accusa Di Maio di non ascoltarli. Arrivare primi con quasi il 33% significa partire favoriti per l’incarico di formare un governo – scrive Travaglio sul “Fatto” – ma questo non conferisce «il diritto divino di fare un governo con i voti altrui, per giunta gratis». E’ vero che l’inciucio lo vogliono solo i due “trombati” del 4 marzo, cioè Berlusconi e Renzi, «terrorizzati dalle rispettive ininfluenze e soprattutto da nuove elezioni», ma una maggioranza parlamentare va costruita, «facendo ai partner una proposta che non possano rifiutare». Ovvero? «La cosa sarebbe meno difficile se Di Maio aprisse la sua squadra di esterni ad altri indipendenti di centrosinistra, per un governo senza ministri parlamentari, e bilanciasse la sua premiership lasciando la presidenza di una Camera alla Lega». E poi «è sul programma che dovrebbe garantire il cambiamento che gli elettori hanno appena chiesto». Già: quale programma?Travaglio ricorda la proposta di Grillo nel 2013: «Eleggiamo Rodotà al Quirinale e poi governiamo insieme». E aggiunge: «Fu il Pd napolitanizzato e lettizzato, cioè berlusconizzato, a rifiutarla» (per Travaglio, dunque, il grande manovratore era Berlusconi, cioè l’omino ricattato e brutalmente disarcionato, due anni prima, dai padroni della Borsa). L’obiettivo di Napolitano, all’epoca: mantenere i 5 Stelle lontano dall’area di governo, dato che nel 2013 i grillini facevano ancora paura (più che al “povero” Silvio, ai veri poteri forti rappresentati da Napolitano: quelli che con Draghi e Trichet firmarono la condanna dell’Italia, affidata al commissario Monti). E oggi? Tutto è cambiato; da Scalfari in giù, è il vecchio mainstream a tifare per un’intesa che pare spaventi solo Renzi. Piccoli tatticismi, dove a contare non sono tanto le mosse dei leader, quanto il futuro dei rispettivi elettorati. Un italiano su quattro si è rifiutato di votare. Tra i votanti, il 55% ha scelto Di Maio, Salvini e la Meloni per gridare un “no”, forte e chiaro. Se il reddito di cittadinanza (arma vincente per mietere voti) è una misura ascrivibile alla voce welfare (sinistra), è piuttosto la Lega a sfidare il sistema europeo, con il taglio delle tasse (destra), sia pure da un’angolazione ancora liberista.Tra veti incrociati e opposte convenienze, resta solo lo spiraglio per il mini-governo a cui starebbe lavorando Mattarella, inevitabilmente imbottito di “tecnici” per incoraggiare tiepide convergenze eterodosse. Niente a che vedere, in ogni caso, con il “no” proclamato dalla maggioranza assoluta degli elettori italiani, cui si aggiunge l’astensionismo del 25% della popolazione, che non ha letto niente di convincente (o realisticamente praticabile) né sul programma grillino né su quello leghista. Se siamo a questo non-risultato, ribadisce Gianfranco Carpeoro, è perché – ancora una volta – abbiamo votato “contro” qualcuno, innanzitutto (votare “per qualcosa”, probabilmente, era impossibile). E senza una gestione nazionale autonoma, la regia delle operazioni passerà alla consueta “sovragestione” internazionale. E’ il potere-ombra che – licenziati Andreotti e Craxi – da 25 anni fa dell’Italia quello che vuole: fabbricando partiti, movimenti e leader senza idee né progetti, costruiti per durare una sola stagione, prima di essere rottamati da altri, futuri rottamandi. Una spirale senza fine, dove a essere rottamata è l’Italia, a cui è stato raccontato che il debito pubblico (cioè lo sviluppo, il benessere diffuso) è roba che non ci possiamo più permettere.Di Maio ha stravinto nel centro-sud promettendo il reddito di cittadinanza (ma annunciando con Fioramonti di dimezzare il debito pubblico), mentre Salvini ha spopolato al nord garantendo di sbriciolare le tasse e sbarrare le frontiere ai migranti. Nell’offerta politica dei due schieramenti, svetta lo squillante sovranismo della Lega con la candidatura dell’economista Alberto Bagnai, che contesta il dirigismo dell’oligarchia di Bruxelles da posizioni keynesiane (lo Stato che deve tornare protagonista dell’economia), mentre Di Maio si affanna a ricordare che sono i mercati, semmai, ad avere l’ultima parola. Premiante, per grillini e leghisti, la fedina politica immacolata, dopo anni di opposizione al renzismo, il regime propagandistico che all’Italia in crisi ha raccontato che tutto andava bene, anzi benissimo. Né i 5 Stelle né la Lega contestano organicamente il sistema liberista, di cui il Pd è stato il più zelante esecutore: si propongono soltanto di correggerne gli eccessi, con l’avvento di politici “dalle mani pulite” (ma legate alla finanza anglosassone o, nel caso di Salvini, all’alleanza con un Berlusconi che si è prostrato come il Pd all’obbedienza feudale nei confronti dell’élite che ha privatizzato le istituzioni europee). In questo contesto, appaiono piuttosto lunari le chiacchiere sull’ipotetica intesa, a distanza, tra i due vincitori delle elezioni – il Di Maio senza programmi e il Salvini con programmi vincolati agli umori di Arcore.
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Reddito: come attuare (bene) la madre di tutte le promesse
Essere critici significa studiare una fenomenologia, cercare di comprenderla, prevederne i comportamenti fino a “fare inchiesta” (quando emergono prospettive non etiche) ed in questo modo ci si può trovare a ricevere invettive anche poco serene, compresi gli insulti, ma si resta certi di aver agito correttamente. Ho criticato asetticamente e aspramente la ricetta economica dei 5S definendola impraticabile e pericolosa, tuttavia in queste ore ho visto l’emergere di prese di posizione evitabili contro la componente programmatico-giuslavorista del programma 5S. Di Maio ha dichiarato che se sarà premier chiederà un anno di tempo per erogare il reddito di cittadinanza dato che, sostiene, dovrà prima riorganizzare i Centri per l’Impiego (Cpi), e questa posizione ha provocato diverse polemiche e ironie. Il 32.5% dei votanti, a tanto ammonta il risultato grillino, chiede a gran voce il Rdc, ma Pd e centrodestra, anziché recepire questa istanza, la sottovalutano; se il Rdc è la madre di tutte le promesse elettorali, come mai gli avversari non si chiedono “perché”? E’ vero, Di Maio questo “spread” temporale lo ha comunicato (sufficientemente) solo a urne chiuse, tuttavia ha riconfermato l’intenzione di realizzare il Rdc.Comprendo la malizia politica degli avversari dei 5S ma mi auguro che nelle accuse di Pd e centrodestra non si celi il tentativo miope di impedire la realizzazione in questo paese di un diritto (non avere reddito equivale ad essere privati di dignità) spacciandolo per impossibile.Detto questo penso che il Rdc dovrebbe essere costruito diversamente, fermo restando il grande merito del movimento fondato da Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio nell’averlo posto all’attenzione del grande pubblico (prima del 5S diffondevamo la bontà del “welfare universalistico” in specifiche associazioni che finivano per rimanere inascoltate). Vengo alle criticità del Ddl Catalfo: 1) Da quando una recente sentenza ha tolto la prima casa dal calcolo dell’Indicatore Situazione Economica Equivalente (il requisito per il Rdc è una Isee minore di 6500) la platea si è raddoppiata e il costo del Ddl Catalfo è salito a 29 miliardi annui (niente di irrealizzabile); il fatto che il 5S continui a parlare di 15 miliardi potrebbe indicare che almeno metà di chi dovrebbe riceverlo alla fine non lo riceverà perché il partito porrà ulteriori requisiti (magari computando un calcolo simile alla Isee riconsiderando la prima casa come reddito).2) Le proposte di lavoro dovrebbero essere due e non tre (perché tre?); può accadere che un lavoro non faccia proprio per noi, ma il secondo incarico è etico accettarlo (per non ricevere il sostegno pubblico troppo a lungo). Inoltre niente garantisce che la seconda proposta sia migliore della prima e quindi con 2 sole chances prima di considerare inaccettabile un lavoro ci si penserebbe con calma. 3) Il reddito di cittadinanza andrebbe erogato solo ai cittadini italiani per non generare viaggi della speranza da parte di stranieri in nome del peggior tipo di globalizzazione, quella della mercificazione (questo punto andebbe approfondito abbondantemente con un articolo mirato). Il punto sulla reciprocità inoltre è troppo vago. 4) Dovrebbe essere mantenuto un limite di distanza (50 km) tra sede di lavoro e abitazione evitando il fenomeno della “deportazione”, lo stesso che 5S criticò sulla Buona Scuola. 5) La proposta dovrebbe contenere l’obbligo di una sostanziale coerenza tra titoli di studio posseduti + mansioni e proposta di lavoro. I punti 4 e 5 sono stati “disattesi” da Di Maio in recenti interviste.6) Il Ddl Catalfo inoltre possiede il dispositivo del Salario Orario Garantito di 9 euro: studi empirici dimostrano che il Sog debba agire in un range tra il 40% e il 60% del salario orario mediano (tra 5 e 7 euro l’ora): sotto la prima soglia si ha esclusione sociale, sopra la seconda gli imprenditori preferiscono non assumere e quindi si favorisce la disoccupazione (si pensi inoltre che l’attuale panorama mondiale è di estremo mercantilismo). Uno standard di 9 euro è quindi palesemente esagerato e privo di basi scientifiche a sostegno. 7) Per evitare che il sostegno al reddito diventi “terreno di coltura” per il pizzo mafioso è necessario vincolarlo ad alcune clausole di sicurezza per le aree infiltrate dalla criminalità organizzata: se il prefetto riceve informazioni consistenti di questo tipo deve poterlo sospendere a tempo indeterminato su base provinciale; nelle aree di questo tipo vanno previste anche apposite carte di credito con le quali si possa acquistare ma che non consentano di ritirare denaro contante! Sempre a questo scopo nelle province interessate si può pensare a un limite di spesa giornaliero e settimanale.Il Rdc dovrebbe essere modulato in base al tenore di vita provinciale (stesso dicasi del salario orario garantito) e non dovrebbe essere identico su tutto il territorio visto che, per riportare un esempio, a Milano il costo della vita non è lo stesso che a Enna o Caltanissetta. 9) Per concludere sarebbe auspicabile che il Rdc fosse più simile a quello francese o a quello tedesco, i quali prevedono un quantitativo monetario minore ma garantiscono il pagamento di affitto, luce e gas agli aventi diritto. In conclusione un Reddito Minimo Garantito di Cittadinanza migliorabile che parte da una discreta base (il Ddl Catalfo) e che è osteggiato da politici, i quali, dovrebbero vivere la dialettica incidendo nei contenuti delle questioni e non alimentando la grancassa ed il “frastuono”.(Marco Giannini, “Come attuare – bene – la madre di tutte le promesse”, da “Libreidee” del 13 marzo 2018. Già attivista del Movimento 5 Stelle, Giannini è autore del saggio “Il neoliberismo che sterminò la mia generazione”, edito da Andromeda nel 2015, presentato anche alla Camera. Nel gennaio 2017 Giannini si è distanziato dal movimento fondato da Grillo dopo la tentata adesione del M5S al gruppo ultra-europeista dell’Alde in seno al Parlamento Europeo).Essere critici significa studiare una fenomenologia, cercare di comprenderla, prevederne i comportamenti fino a “fare inchiesta” (quando emergono prospettive non etiche) ed in questo modo ci si può trovare a ricevere invettive anche poco serene, compresi gli insulti, ma si resta certi di aver agito correttamente. Ho criticato asetticamente e aspramente la ricetta economica dei 5S definendola impraticabile e pericolosa, tuttavia in queste ore ho visto l’emergere di prese di posizione evitabili contro la componente programmatico-giuslavorista del programma 5S. Di Maio ha dichiarato che se sarà premier chiederà un anno di tempo per erogare il reddito di cittadinanza dato che, sostiene, dovrà prima riorganizzare i Centri per l’Impiego (Cpi), e questa posizione ha provocato diverse polemiche e ironie. Il 32.5% dei votanti, a tanto ammonta il risultato grillino, chiede a gran voce il Rdc, ma Pd e centrodestra, anziché recepire questa istanza, la sottovalutano; se il Rdc è la madre di tutte le promesse elettorali, come mai gli avversari non si chiedono “perché”? E’ vero, Di Maio questo “spread” temporale lo ha comunicato (sufficientemente) solo a urne chiuse, tuttavia ha riconfermato l’intenzione di realizzare il Rdc.
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Caldarola: perché i poteri forti tifano Di Maio e non Salvini
Il potere oggi punta sui 5 Stelle, perché il movimento fondato da Grillo «è terra di conquista di poteri forti, anche internazionali», a differenza della Lega di Salvini, finora respinto dai circoli di Bruxelles: «Il diniego che viene a Salvini dai poteri che contano nasce innanzitutto per evitare un suo asse con altre formazioni di destra europee, e dal fatto che si sa che il capo della Lega farebbe più o meno ciò che dice». Lo afferma Peppino Caldarola, già direttore de “L’Unità”, intervistato da Federico Ferraù per “Il Sussidiario”. Gioco più facile, secondo Caldarola, con Di Maio e soci: «Una volta arrivato nella stanza dei bottoni, il M5S può schiacciarne diversi. Chi arriverà per primo a dare il suggerimento giusto – che loro cercheranno – potrà influenzarli». Napolitano, Scalfari, il “Corriere”? «Uomini come Napolitano e Scalfari ritengono che il M5S sia una pagina bianca su cui si possa scrivere in libertà, ma è solo un’illusione». Il vero grande dubbio sui 5 Stelle, riassume Ferraù, è che nessuno sa chi prende davvero le decisioni che contano. Puoi appoggiare i grillini in Parlamento e venirti poi a trovare di fronte a una scelta diversa, senza sapere chi l’ha imposta: Grillo, Casaleggio, Di Maio o qualcun altro. La verità, sospetta Caldarola, è che la chiave sia lontana da Roma: i veri “influencer”, capaci di pesare sul vertice pentastellato, siedono nel grande potere finanziario atlantico.E’ questa l’angolazione da cui Caldarola guarda alla parita post-elettorale in corso, a cominciare dallo psicodramma in casa Pd: «Devo riconoscere che il no di Renzi al patto con i 5 Stelle è stato un passaggio molto limpido», premette Caldarola. Il Pd continuerà a esistere? «Difficile dirlo. Un partito che ha meno voti degli altri può essere determinante solo se ha un leader forte e conosciuto, come è stato per Bettino Craxi». Anche se si è costruito una truppa di parlamentari fedeli, «che diminuirà strada facendo», oggi Renzi «è tragicamente azzoppato». Al massimo, il Pd può favorire uno dei due vincitori parziali, Lega o M5S, oppure non farlo (e in questo caso ogni verifica parlamentare andrà a sbattere contro il diniego del Pd). «Nel frattempo però il Partito Democratico può sempre scoppiare, perché le sue contraddizioni sono troppo grandi». C’è un dato su cui, nel Pd, secondo Caldarola nessuno sta riflettendo: «Il marchio si è logorato. Si è identificato non solo con Renzi, ma con tutte le esperienze di governo recenti, da Letta a Monti, che sono state giudicate negative dall’elettorato». Un grande equivoco: un partito teoricamente erede della sinistra, che ha avallato le peggiori politiche neoliberali imposte da Bruxelles. Rimpiazzare Renzi? «Non basta un nuovo leader, occorre ripensare il soggetto e il progetto politico.Si fa avanti l’ex ministro Carlo Calenda: «Ha delle qualità, ma non l’appeal elettorale necessario». Il vicesegretario Maurizio Martina? «Non credo che sia così ambizioso da proporre se stesso». Per Caldarola è più probabile il ritorno al fondatore, Walter Veltroni. «Un’altra strada è che l’assemblea trovi un personaggio capace di garantire più o meno tutte le aree», aggiunge Carladola, ricordando che Renzi controlla un gruppo di parlamentari, ma sa che finirà all’opposizione e gli conviene evitare la mischia. «Potrebbe anche venirgli in mente di fondare un partito, magari in vista del voto anticipato, presentandosi come il campione del no a M5S e a Salvini. Così facendo potrebbe acchiappare voti di centro, ex Pd ed ex Forza Italia». Andrea Orlando ha detto che il 90% dei dirigenti del partito non vuole andare col Movimento 5 Stelle: «E’ vero, la ferita è troppo fresca. Un Pd che facesse l’accordo coi 5 Stelle non si salverebbe», sostiene Caldarola: «Farebbe la fine dei partiti di sinistra eredi del Pci che si sono alleati alla “Rete” di Leoluca Orlando: il Dna populista di quest’ultimo li ha sciolti e assimilati. In ogni caso il Pd sarebbe fuori dalla decisione politica». Oggi, non a caso, i grandi poteri puntano invece sui 5 Stelle: «Tutti i fautori della “governabilità” ad ogni costo, che oggi è riconoscibile nel leitmotiv di politici, industriali, banche e grande stampa, dicono: “Perché non devono tentare? Davvero siamo disposti a lasciare il paese senza governo?”». Se Di Maio resterà in pole position, certo non sarà solo.Il potere oggi punta sui 5 Stelle, perché il movimento fondato da Grillo «è terra di conquista di poteri forti, anche internazionali», a differenza della Lega di Salvini, finora respinto dai circoli di Bruxelles: «Il diniego che viene a Salvini dai poteri che contano nasce innanzitutto per evitare un suo asse con altre formazioni di destra europee, e dal fatto che si sa che il capo della Lega farebbe più o meno ciò che dice». Lo afferma Peppino Caldarola, già direttore de “L’Unità”, intervistato da Federico Ferraù per “Il Sussidiario”. Gioco più facile, secondo Caldarola, con Di Maio e soci: «Una volta arrivato nella stanza dei bottoni, il M5S può schiacciarne diversi. Chi arriverà per primo a dare il suggerimento giusto – che loro cercheranno – potrà influenzarli». Napolitano, Scalfari, il “Corriere”? «Uomini come Napolitano e Scalfari ritengono che il M5S sia una pagina bianca su cui si possa scrivere in libertà, ma è solo un’illusione». Il vero grande dubbio sui 5 Stelle, riassume Ferraù, è che nessuno sa chi prende davvero le decisioni che contano. Puoi appoggiare i grillini in Parlamento e venirti poi a trovare di fronte a una scelta diversa, senza sapere chi l’ha imposta: Grillo, Casaleggio, Di Maio o qualcun altro. La verità, sospetta Caldarola, è che la chiave sia lontana da Roma: i veri “influencer”, capaci di pesare sul vertice pentastellato, siedono nel grande potere finanziario atlantico.
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Formenti: e ora il potere annullerà questa rivolta elettorale
Dopo Trump, la Brexit e il referendum italiano sulla Costituzione, erano arrivate la vittoria di Macron e il recente, travagliato rilancio della “grande coalizione” Cdu-Spd in Germania, alimentando nell’establishment “liberal” l’illusione che la marea populista fosse sul punto di rifluire. Invece no: il risultato delle elezioni del 4 marzo l’onda prosegue e rischia di travolgere «la diga eretta da partiti tradizionali, media e istituzioni nazionali ed europee», scrive Carlo Formenti su “Micromega”. 5 Stelle e Lega triplicano le rispettive rappresentanze parlamentari e i loro voti sommati superano il 50%, «certificando che metà dei cittadini italiani sono euroscettici e non credono più alle narrazioni sulla fine della crisi e sui presunti benefici della globalizzazione». Per i media, siamo allo tsunami populista. Ma che radici sociali ha? Quali sono le differenze fra le sue due anime principali? E perché le sinistre (socialdemocratiche e radicali) stanno affondando nell’insignificanza politica? E poi: perché, malgrado tutto, l’establishment è ancora in grado resistere? Quali scenari si apriranno, se e quando la diga crollerà davvero?
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I padroni del mondo brindano alla “rivoluzione” Lega-M5S
Vince la Rivoluzione in Italia… Ma nessuno al mondo li caga. Cioè? Fidatevi della mia parola, non ho tempo di fare migliaia di copia-incolla dalla stampa internazionale: per 6 anni ogni singolo giornale, Tv, sito finanziario del mondo – dal Giappone alla Korea del Sud, da Londra a Los Angeles a Francoforte a New York, dal Canada al Lussemburgo – quando hanno parlato del Movimento 5 Stelle e della Lega Nord hanno usato con ripetitività ossessiva la seguente frase: «The populist, anti-euro and anti-Establishment Five Stars Movement and Northern League». I Mercati finanziari, mentre maneggiano trilioni di dollari all’anno, funzionano così: i monitor sono accesi 24 su 24, 365 su 365, e sono molto più sensibili di un rilevatore sismico. Se, ad esempio, alle 12:07 a New York arriva appena un sussurro che Macron è stato visto nel parcheggio di un Policlinico, l’Azienda Francia perde solo in quell’istante miliardi; se poi le agenzie battono la conferma di una visita medica importante per il Presidente, è il crollo per Parigi. Ok? Dopo 8 anni di ossessive speculazioni sul destino dell’Unione Europea in caso di un successo elettorale in Italia dei “the populist, anti-euro and anti-Establishment Five Stars Movement and Northern League” – ovvero di scenari apocalittici del sicuro schianto “alla 11 Settembre” del grattacielo della Bce a Grossmarkthalle, con copertine sull’“Economist” o sullo “Spiegel” della classica moneta euro frantumata – be’, siamo oggi proprio al successo elettorale in Italia dei “the populist, anti-euro and anti-Establishment Five Stars Movement and Northern League”. E non è successo un cazzo. Ops?Tokyo apre stamattina con un colpetto di tosse dovuto, ci annuncia “MarketWatch”, soprattutto alle minacce di Trump di porre dazi alle importazioni Usa di acciaio e alluminio. Il “Wall Street Journal” dedica all’Italia che vota un articolo dove si legge: «I risultati produrranno un gomitolo annodato… Al peggio ci sarà un fiato di volatilità, con un saltino di spread… Ma il risultato delle elezioni italiane è già stato messo in conto dai Mercati da tempo». Attenti a questo passaggio: “Ma il risultato delle elezioni italiane è già stato messo in conto dai Mercati da tempo”. Eccovi le due domande più lampanti che verrebbero in mente a un gufo svenuto: 1) Ma non sono anni che ci dicono in tutto il mondo che il Movimento 5 Stelle e la Lega Nord sono gli eversivi d’Europa? 2) Ma non sono anni che in Italia Grillo e Salvini s’atteggiano allo Tsunami di Zeus che spazzerà via l’Establishment? Allora, perché l’Establishment – dove i soldi contano, dove ci stanno i Soros, Blankfein, Dimon, Rothschild, Fink e soci – ha già messo in conto il risultato delle elezioni italiane da tempo? Lo capite cosa vuol dire quel “da tempo”?Vuol dire che là dove i soldi contano, dove ci stanno i Soros, Blankfein, Dimon, Rothschild, Fink e soci, che vincesse Berlusconi, Renzi, Casapound, Bersani, Salvini, Di Maio o il Calciomercato, la Nutella o Briatore, non gliene poteva fregare di meno. E questo cosa significa caro il mio gufo svenuto? Significa che là dove i soldi contano, dove ci stanno i Soros, Blankfein, Dimon, Rothschild, Fink e soci, si sapeva per-fet-ta-men-te che di ‘eversivo’, di ‘nuovo’, di ‘dirompente’ il Movimento 5 Stelle e la Lega Nord hanno un emerito cazzo. Di Maio aveva portato il Cv rassicura-Establishment alla Trilaterale e all’Ispi già nel 2016. Casaleggio, ancor prima, al meeting bancario internazionale Ambrosetti. Salvini della Lega Nord (partito-vecchia conoscenza della Cia nel 1992, con carte in Procura a Milano) si era fatto fotografare anche all’anagrafe siberiana con gli economisti Pippo&Baudo, che costituiscono per l’euro-Establishment la minaccia che un vigile urbano di San Lazzaro di Savena costituisce per un carrarmato Mi2 Abrams dell’esercito Usa.Scrivo colorito proprio per dare le esatte, deprimenti, proporzioni, e sono ahimè serissimo. Una scorribanda fra i maggiori Policy-Makers del mondo conferma tutto. Accenture: sonni placidi. McKinsey: sonni placidi. Il Gruppo Bruegel a Bruxelles: sonni placidi. All Bertelsmann Stiftung in Germania: sonni placidi. Open Europe e Business Europe, i due maggiori architetti dei Trattati Ue: sonni placidi (e vvvai Pippo&Baudo). Il Group of 30, con dentro il nostro Mario Draghi e i top fanatici dell’euro: sonni placidi (e vvvai Pippo&Baudo). Devo sul serio dire altro? Bravi Italians, avete votato, non cambia un cazzo, il Movimento 5 Stelle e la Lega Nord sono una truffa, lo scrivo da anni. E l’Establishment visse felice e contento per tutta la vita, come autorevolmente evidenziato sopra (…o mi sbaglio? Non è che per caso quel ragazzetto stellato, magari si chiama di Mao?… e l’Establishment ha letto male il nome? Cool).(Paolo Barnard, “Vince l’anti-establishment, e l’establishment manco se ne accorge”, dal blog di Barnard del 5 marzo 2018).Vince la Rivoluzione in Italia… Ma nessuno al mondo li caga. Cioè? Fidatevi della mia parola, non ho tempo di fare migliaia di copia-incolla dalla stampa internazionale: per 6 anni ogni singolo giornale, Tv, sito finanziario del mondo – dal Giappone alla Korea del Sud, da Londra a Los Angeles a Francoforte a New York, dal Canada al Lussemburgo – quando hanno parlato del Movimento 5 Stelle e della Lega Nord hanno usato con ripetitività ossessiva la seguente frase: «The populist, anti-euro and anti-Establishment Five Stars Movement and Northern League». I Mercati finanziari, mentre maneggiano trilioni di dollari all’anno, funzionano così: i monitor sono accesi 24 su 24, 365 su 365, e sono molto più sensibili di un rilevatore sismico. Se, ad esempio, alle 12:07 a New York arriva appena un sussurro che Macron è stato visto nel parcheggio di un Policlinico, l’Azienda Francia perde solo in quell’istante miliardi; se poi le agenzie battono la conferma di una visita medica importante per il Presidente, è il crollo per Parigi. Ok? Dopo 8 anni di ossessive speculazioni sul destino dell’Unione Europea in caso di un successo elettorale in Italia dei “the populist, anti-euro and anti-Establishment Five Stars Movement and Northern League” – ovvero di scenari apocalittici del sicuro schianto “alla 11 Settembre” del grattacielo della Bce a Grossmarkthalle, con copertine sull’“Economist” o sullo “Spiegel” della classica moneta euro frantumata – be’, siamo oggi proprio al successo elettorale in Italia dei “the populist, anti-euro and anti-Establishment Five Stars Movement and Northern League”. E non è successo un cazzo. Ops?
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L’Italia è senza pilota, ai comandi ora ci sono i passeggeri
La vittoria della Lega di Salvini è la sconfitta del politicamente corretto e della casta politica e istituzionale, mediatica e intellettuale che lo propina, rigettato come gergo asfissiante del potere. La vittoria di Salvini è il superamento dell’antifascismo e del suo uso infame, come dimostra il caso di Macerata, dove la Lega è il primo partito nonostante la campagna per accusare il “fascioleghista” Salvini d’essere il mandante morale di un nuovo presunto terrorismo nero. Lo scempio del corpo di una ragazza da parte di un gruppo di migranti era passato in secondo piano rispetto alla reazione isolata di un esagitato, ed era stata imbastita un’indegna e fuorviante sceneggiata antifascista. Il voto a Salvini è la risposta a quella gazzarra e a quella speculazione assurda, fuori dal tempo. La vittoria di Salvini si spiega pure con la percezione d’invasione e d’insicurezza che c’è nel paese. C’è poi la sfiducia verso l’Europa, il disagio verso l’euro e la dominazione finanziaria e la rivendicazione della sovranità politica, popolare e nazionale. La vittoria di Salvini è la traduzione italiana del populismo nordeuropeo, ma anche americano e perfino russo. E qui le ragioni del successo leghista sconfinano nelle ragioni del trionfo grillino.C’è un fattore su tutti che rende vicini il successo della Lega al trionfo dei 5 Stelle. È il rigetto della classe dominante. L’Italia non ha più una classe dirigente, bocciata a furor di popolo. Gli italiani hanno respinto i partiti e i leader, hanno punito coloro che hanno governato finora, dalla sinistra al centro fino a Berlusconi. Hanno votato uno stato d’animo prima ancora che un movimento e hanno votato se stessi prima che i grillini o i salvini. Un voto selfie, un voto allo specchio, seppure infranto, in cui si riflette l’italiano senza guide e senza modelli. Gli elettori hanno respinto le mediazioni e i filtri, hanno votato contro il sistema, contro l’establishment, contro l’Europa. Un voto contro. Anche Grillo non c’entra più, è un simbolo araldico, non più un leader politico. Non è vero che l’Italia si sia divisa in due: a nord come a sud ha votato in maggioranza ai populisti, con la differenza che a nord il populismo è leghista, a centro-sud è 5 Stelle. Declina la sinistra, prima ancora che il renzismo; il fatto che sparisca in tutta Europa, se non in Occidente, dimostra che Renzi è solo il nome locale di una crisi mondiale. Si salva dall’ecatombe la destra meloniana, pur restando nel piccolo cabotaggio di forza laterale.La pericolosa utopia grillina è che un popolo si possa autogovernare, tramite loro. E che l’ignoranza, l’assenza di storia, esperienza e curriculum, siano indici di purezza. Da questo punto di vista i leghisti hanno saputo dare anche alcune prove di buon governo, almeno a livello locale. Il successo grillino si spiega con una protesta più radicale ma più superficiale. Il pericolo migranti agitato dai leghisti viene sostituito dai grillini dal tema disoccupati e dalla loro puerile soluzione. A 50 anni dal ’68, il grillismo appare come una rivoluzione semi-sessantottina: potere ai giovani e al collettivo che ora si chiama rete; opposizione al sistema, ignoranza in cattedra, reddito di cittadinanza come ieri il voto politico; via i privilegi, morte ai potentati. Non ha avuto più presa Berlusconi, apparso come bollito, allineato all’eurocrazia, aperto agli inciuci col renzismo ed esagerato nelle promesse, comprese quelle che già non mantenne quando ebbe numeri, forza e tempo per realizzarle.Se dovessi tradurre in un’immagine l’impressione generale della situazione dopo il voto, è quella di un aereo da cui è stato buttato fuori il pilota e il personale di bordo, ritenuti inetti e corrotti, e la guida dell’aereo e la gestione della cabina sia affidata direttamente a un gruppo di passeggeri. Di Maio è il passeggero-tipo, come Di Battista e gli altri grillini. Anche Salvini è percepito meno come un leader e più come la voce del nostro scontento. Uno di noi. L’Italia ha perso il capo, riparte dalla coda. Il primo problema sarà vedere se al potere destituente che hanno mostrato i grillini e i leghisti, sapranno ora affiancare un potere costituente. E se il loro percorso si intreccerà, resterà distinto o si perderà nell’indistinto. Non s’intravedono ancora i ponti e i mediatori, i registi e i richelieu per tentare l’ardua intesa. Nell’attesa i leghisti si tengono ancora leali alla coalizione di centro-destra.Dietro ambedue c’è la grande incognita del populismo, risposta sacrosanta al predominio incapace e corrotto delle oligarchie, sempre più lontane dal popolo; ma il populismo vale come punto di partenza, come rivolta e presa di coscienza. Se pretende d’essere un punto d’arrivo saranno dolori e rischieranno di far rimpiangere la detestata casta. Ci vorrebbe una nuova aristocrazia, dotata di un forte senso dello Stato e della comunità. Che non s’intravede. Intanto si parte coi valzer e le quadriglie, cercando l’ardua quadratura del cerchio tra l’integralismo dei puri e le alleanze ibride e necessarie per governare. Entriamo in un mese pazzo e imprevedibile. Auguri, Italia. (Ps: l’onore delle armi a un gran ministro dell’interno, Marco Minniti, battuto a Pesaro da tal Cecconi, un furbetto dei finti rimborsi, eletto a furor di popolo tra i grillini. Onore e lui e disonore al popolo sovrano).(Marcello Veneziani, “Grilloleghisti immaginari”, da “Il Tempo” del 6 marzo 2018, articolo ripreso dal blog di Veneziani).La vittoria della Lega di Salvini è la sconfitta del politicamente corretto e della casta politica e istituzionale, mediatica e intellettuale che lo propina, rigettato come gergo asfissiante del potere. La vittoria di Salvini è il superamento dell’antifascismo e del suo uso infame, come dimostra il caso di Macerata, dove la Lega è il primo partito nonostante la campagna per accusare il “fascioleghista” Salvini d’essere il mandante morale di un nuovo presunto terrorismo nero. Lo scempio del corpo di una ragazza da parte di un gruppo di migranti era passato in secondo piano rispetto alla reazione isolata di un esagitato, ed era stata imbastita un’indegna e fuorviante sceneggiata antifascista. Il voto a Salvini è la risposta a quella gazzarra e a quella speculazione assurda, fuori dal tempo. La vittoria di Salvini si spiega pure con la percezione d’invasione e d’insicurezza che c’è nel paese. C’è poi la sfiducia verso l’Europa, il disagio verso l’euro e la dominazione finanziaria e la rivendicazione della sovranità politica, popolare e nazionale. La vittoria di Salvini è la traduzione italiana del populismo nordeuropeo, ma anche americano e perfino russo. E qui le ragioni del successo leghista sconfinano nelle ragioni del trionfo grillino.
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Giannini: il reddito di cittadinanza può far gola alla mafia
Premetto per motivi di opportunità che sono consapevole che questo pezzo andrà ad interessare la sensibilità di molte persone, tuttavia è compito di ogni serio articolista non avere timore di esporre le proprie perplessità sugli aspetti carenti di una proposta. Sarò al solito diretto come lo sono stato in passato con la retorica di FdI sui “Marò”, sulla posizione della Lega sulle “Quote Latte”, sulla “Buona Scuola” di Renzi, e sulla distruzione del Pil operata da Mario Monti. Spero per una volta che i grillini prendano esempio dagli elettori di queste forze politiche riguardo l’opportunità di non polemizzare in modo scomposto su un tema di questo tipo, evitando le solite strategie di aggressione personale (insulti, derisione, insinuazioni, ecc) per il mio passato da pentastellato. Se trattasi di passione politica non esiste accanimento, altrimenti è indice di impegno non disinteressato e bramosia di posto pubblico. Lo stesso Di Maio finirebbe per esser percepito come lo specchietto per le allodole che maschera una indole poco equilibrata di tutto un movimento. Nunzia Catalfo è senatrice del Movimento ed il Ddl del 2013 (cui contribuii) porta il suo nome: è siciliana ed è persona equilibrata ed onesta.Di Maio il candidato premier, Ruocco, Sibilia e Fico sono stati 4 dei 5 membri del vecchio direttorio e sono tutti campani. Mi chiedo come possa essere stato possibile che da questi rappresentanti non siano state previste delle “clausole di salvaguardia” per l’erogazione del RdC nelle aree del paese a forte infiltrazione mafiosa; mi domando se questa gravissima lacuna sia stata frutto di incompetenza o di distrazione (a causa della campagna elettorale). Non critico l’opportunità di un Reddito Minimo Garantito Workfare quale è il RdC (di cui sono promotore dal 2011) ma parte dei 29 miliardi del RdC non possono diventare un business per la criminalità organizzata. Potevano essere previsti diversi tipi di contrappeso: la possibilità per il prefetto di sospendere l’erogazione a tempo indeterminato nelle aree infiltrate; un tetto massimo di prelievo giornaliero e settimanale; l’utilizzo di una carta di credito apposita con cui si possano spendere i 780 euro ma non ritirare banconote. Comprendo che quando tocchiamo grossi interessi della malavita ci si espone a un pericolo ma ho nel cuore le parole della vedova Caponnetto: «Hai i 5 valori di mio marito, non ti far cambiare e mantieni il tuo coraggio»; non esiste una equazione Sud = malavita, ma in molti Comuni del meridione esiste una mentalità “anti Stato” in cui la malavita è vista come lo Stato (io ho vissuto alcuni periodi della mia vita in province campane pur essendo da sempre residente in Toscana).Lo “Stato Camorra” è percepito come la “comunità locale”, come colei che “provvede”, in antitesi ad uno Stato italiano “canaglia”, descritto come invasore, oppressore, responsabile della “depressione” delle aree del Sud. «E’ Stato la Mafia», direbbe Travaglio. Da questa forma di Stato-AntiStato parallelo vengono “forniti” lavori saltuari, a volte derrate alimentari sotto traccia, sostegno economico e “protezione”. Ad essere tagliaggiate sono le imprese; non dubito che sarà così anche per gli aventi diritto al reddito: saranno avvicinate persone che altrimenti sarebbero fuori dal raggio di azione concreto dei gangli mafiosi. La mafia esiste e, in quanto tale, impone ai cittadini la propria sopravvivenza, motivandola come la sopravvivenza di tutti: chiaramente è falso, chiaramente ancora oggi vive di rancori storici verso lo Stato unitario italiano. Esiste una zona grigia sociale da cui nessuno è immune: può accadere a chiunque, perfino durante un singolo pomeriggio, di essere malavitoso per un quarto d’ora per poi tornare a non esserlo: ad esempio fingendo di non sapere con chi si sta prendendo un caffè (obtorto collo) perché magari presente nel gruppo di un amico, ecc. Le persone in queste realtà si conoscono tutte, ed è certo come lo sono “il giorno e la notte” che in questi contesti la frase sarebbe del tipo: «Sei disoccupato? Quanto ti dà lo Stato? 780 euro? Sai che noi siamo lo Stato. Noi dobbiamo proteggere tutti, proteggiamo anche te, tua moglie, ecc. Devi dare una mano anche tu alla Comunità perché noi siamo la tua famiglia, non lo Stato».Possiamo speculare, ipotizzare possano essere 100 euro, 50, 200 euro al mese, ma la mia sensazione è che ciò puntualmente accadrà. Chi si fa promotore della proposta del Reddito di Cittadinanza è il M5S, che nelle regioni del Sud non viene votato granché quando si tengono elezioni locali (dal comunale, al regionale fino al voto europeo) mentre in vista del Reddito di Cittadinanza alle elezioni nazionali (da quello che scrivono su Facebook e dai sondaggi) pare fare il pieno. Temo che solo in parte ciò sia dovuto all’elevato tasso di disoccupazione presente al Sud; credo che la mafia stia favorendo un consenso in questa direzione agendo nella società e che sempre la malavita stia pregustando l’erogazione del Reddito di Cittadinanza. Senza voler creare allarmismo potrebbe accadere, addirittura, che le Regioni che contribuiscono in modo massiccio alle entrate dello Stato, se emergessero i primi scandali, chiederanno a gran voce l’autonomia, mettendo in discussione l’integrità territoriale italiana prevista dalla Costituzione e lasciando il Sud in mano proprio alla peggior forma di Parastato, proprio ai carnefici di Falcone e Borsellino sulla cui fine ancora oggi dubito sia stata fatta pienamente luce.(Marco Giannini, riflessione su “Il potenziale legame tra Reddito di Cittadinanza e Mafie”, pubblicato sa “Libreidee” il 3 marzo 2018. Già attivista del Movimento 5 Stelle, Giannini è autore del saggio “Il neoliberismo che sterminò la mia generazione”, sottotitolo “Corso di sopravvivenza per chi non sa niente di economia”, edito da Andromeda nel 2015, presentato anche alla Camera. Nel gennaio 2017 Giannini si è distanziato dal movimento fondato da Grillo dopo la tentata adesione del M5S al gruppo ultra-europeista dell’Alde in seno al Parlamento Europeo).Premetto per motivi di opportunità che sono consapevole che questo pezzo andrà ad interessare la sensibilità di molte persone, tuttavia è compito di ogni serio articolista non avere timore di esporre le proprie perplessità sugli aspetti carenti di una proposta. Sarò al solito diretto come lo sono stato in passato con la retorica di FdI sui “Marò”, sulla posizione della Lega sulle “Quote Latte”, sulla “Buona Scuola” di Renzi, e sulla distruzione del Pil operata da Mario Monti. Spero per una volta che i grillini prendano esempio dagli elettori di queste forze politiche riguardo l’opportunità di non polemizzare in modo scomposto su un tema di questo tipo, evitando le solite strategie di aggressione personale (insulti, derisione, insinuazioni, ecc) per il mio passato da pentastellato. Se trattasi di passione politica non esiste accanimento, altrimenti è indice di impegno non disinteressato e bramosia di posto pubblico. Lo stesso Di Maio finirebbe per esser percepito come lo specchietto per le allodole che maschera una indole poco equilibrata di tutto un movimento. Nunzia Catalfo è senatrice del Movimento ed il Ddl del 2013 (cui contribuii) porta il suo nome: è siciliana ed è persona equilibrata ed onesta.
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Calise: morti i partiti, solo promesse-bufala e leader zombie
«Il modello è ancora quello della democrazia del leader, ma i leader non ci sono più». Parola di Mauro Calise, politologo e docente universitario a Napoli, nonché editorialista del “Mattino”. «Di Maio non può sostituire Grillo e si regge soltanto sul suo controllo del server, Renzi è in caduta verticale di leadership, Berlusconi è una penosa riedizione di se stesso». Quanto a Salvini, il segretario leghista «sgomita per conquistare nuovo spazio, ma ha ormai esaurito quello disponibile». Di fatto, «di nessuno di loro ci si aspetta che possa diventare sul serio capo del governo». Gli stessi programmi contano poco, «ma questo deriva dal fatto che sono assenti le leadership che hanno fatto da catalizzatore nel passato: penso a Grillo nel 2013, a Renzi prima di andare al governo». Ieri, il leader riusciva a «sfondare nella melassa comunicativa e nell’overflow di informazioni», dice Calise, intervistato da Federico Ferraù per il “Sussidiario”. I partiti oggi sono in tilt: «La capacità di comunicare è sempre più legata a una capacità di leadership forte, ma se questa viene meno, il meccanismo si inceppa e tutto appare piatto». Svaniscono anche i messaggi forti: i programmi, percepiti come poco credibili, non interessano a nessuno.Per Calise, resta solo uno scontro di messaggi finti-forti ma non convincenti: «Le false promesse e le bufale non sono credute, non perché sono tali, ma perché non sono credibili i leader». L’idea di governabilità è stata sconfitta, aggiunge il politologo, e al suo posto non se n’è trovata un’altra. Che cosa vedremo? «Un governo di risulta, appoggiato in buona parte da parlamentari in libera uscita». Intanto si moltiplicano gli appelli al “voto utile”, lanciati da partiti allarmati dall’astensionismo. «Siamo in una fase storica in cui si sono definitivamente destrutturati i grandi partiti», un guaio con risvolti antropologici: agli italiani con basso livello di istruzione e socializzazione «sanno probabilmente tutto di Higuain o di “Amici”, ma poco o nulla di come si vota o della Flat Tax». L’interesse e la passione politica, continua Calise, «non nascono dalla testa dei politici di professione, ma dalle viscere della società». I partiti? «Sono stati i canali che hanno portato le masse nella politica e nello Stato». Attenzione: «La democratizzazione del potere, che non nasce democratico ma verticale e di parte, è avvenuta grazie ai partiti. Ma i tempi sono cambiati e la forza delle fratture sociali che hanno alimentato le battaglie dei partiti si è esaurita. La politica si è liquefatta, e la rappresentanza anche».Che democrazia avremo? Diversa e più fragile. Ma non saremo i soli: «Basta guardarsi intorno per capire che si trema un po’ dappertutto. La Francia si è inventata Macron, che è andato al potere con il 23% dei consensi; oggi forse sono ancora meno, ma nessuno per quattro anni gli toglierà l’Eliseo. La Germania ha la “sfiducia costruttiva”. Noi abbiamo un assetto istituzionale e di governo molto più debole che nelle altre democrazie avanzate». Cosa ci manca? «Un governo che abbia una qualche autonomia costituzionale degna di questo nome», afferma Calise. Un deserto di urla. «Cosa mi preoccupa di più? L’invasivo ricorso all’etica: il grido all’onestà, la caccia allo scontrino, l’epurazione di chi non è conforme», sostiene il politologo. «Quando l’etica diventa un’arma di governo, fa più paura di tutto il resto. Perché l’imperativo etico dell’onestà riscuote tanto consenso? Perché è rimasta la cosa più semplice da dire».«Il modello è ancora quello della democrazia del leader, ma i leader non ci sono più». Parola di Mauro Calise, politologo e docente universitario a Napoli, nonché editorialista del “Mattino”. «Di Maio non può sostituire Grillo e si regge soltanto sul suo controllo del server, Renzi è in caduta verticale di leadership, Berlusconi è una penosa riedizione di se stesso». Quanto a Salvini, il segretario leghista «sgomita per conquistare nuovo spazio, ma ha ormai esaurito quello disponibile». Di fatto, «di nessuno di loro ci si aspetta che possa diventare sul serio capo del governo». Gli stessi programmi contano poco, «ma questo deriva dal fatto che sono assenti le leadership che hanno fatto da catalizzatore nel passato: penso a Grillo nel 2013, a Renzi prima di andare al governo». Ieri, il leader riusciva a «sfondare nella melassa comunicativa e nell’overflow di informazioni», dice Calise, intervistato da Federico Ferraù per il “Sussidiario”. I partiti oggi sono in tilt: «La capacità di comunicare è sempre più legata a una capacità di leadership forte, ma se questa viene meno, il meccanismo si inceppa e tutto appare piatto». Svaniscono anche i messaggi forti: i programmi, percepiti come poco credibili, non interessano a nessuno.
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L’Italia domani: il sovranista Salvini e l’europeista Di Maio
Il Movimento 5 Stelle finirà sopra il 28%? Il Pd chiuderà sotto il 20%? Il centrodestra otterrà la maggioranza assoluta o solo quella relativa? E chi finirà in testa, la Lega o Forza Italia? Difficile fare previsioni, ma alcune tendenze mi sembrano chiare: mentre nel 2013 l’unico partito che riusciva a portare in piazza migliaia di italiani era il Movimento 5 Stelle, oggi a mostrare questa capacità è stata anche la Lega di Salvini, che in queste settimane ha tenuto comizi affollatissimi dappertutto. La folla in piazza Duomo a Milano dimostra che Salvini gode di un consenso senza precedenti: nessun partito storico oggi può vantare questa capacità di mobilitazione, sostiene Marcello Foa sul “Giornale”. Il Movimento 5 Stelle? E’ in piena metamorfosi: dai “vaffa” di Grillo agli abiti grigi di Di Maio, «da movimento di rottura a partito che vuole accreditarsi con le istituzioni italiane, europee e persino con gli un tempo disprezzati banchieri di Londra». La retorica della protesta contro la casta è la stessa, ma la realtà dei programmi e delle finalità è un’altra: «Verosimilmente la maggior parte degli attivisti non si è resa conto dell’evoluzione; gli ultimi scandali non hanno scalfito l’immagine del movimento e questo dimostra che la loro fede è salda e impermeabile a tutto. I 5 Stelle sono in corsa grazie alla fiducia dei “vecchi” simpatizzanti, domani lo saranno soprattutto grazie a quella dei nuovi sostenitori di area progressista».Allungando lo sguardo, secondo Foa, non è difficile immaginare un’Italia “post Forza Italia” e “post Pd”. «Diciamolo: Forza Italia al 15-17% rappresenta un successo inspettato ma di brevissimo periodo, perché il partito si regge sul richiamo del leader storico, che, però, ha 81 anni, e dietro di lui c’è il vuoto. Come vuoto è anche il futuro del Pd: le devastazioni di Renzi lasceranno tracce profonde e il Partito democratico rischia di fare la (brutta) fine di tutti i socialisti europei, ridotto a una forza di circostanza, complementare», scrive Foa. Renzi sostituito dal Movimento 5 Stelle in versione “macroniana”? «Sopresi? Non dovreste. Leggendo in controluce le mosse di Di Maio, è evidente come egli punti, dissimulando abilmente le intenzioni, a un partito sempre meno populista e sempre più progressista e trasversale, inevitabilmente gradito all’establishment. Molto diverso da quello delle origini (e forse per questo Beppe Grillo si è allontanato) ma altrettanto forte elettoralmente, perché capace di intercettare il pubblico disilluso della sinistra moderata». Altrettanto chiaro il disegno di Salvini, «che evolve verso un partito sovranista e davvero nazionale, autorevole, teso ad occupare tutto il centrodestra e dunque ad assorbire gran parte del pubblico di Forza Italia post-Berlusconi. Un’altra svolta storica a cui nessuno, pochi anni fa, avrebbe creduto».Secondo Foa si profila insomma «un’altra Italia, polarizzata non più fra Forza Italia e Pd, ma tra la Lega e il Movimento 5 Stelle, dunque fra una nuova destra sovranista moderata e una nuova sorprendente sinistra europeista». Con buona pace di Berlusconi e di Renzi, «ma anche di chi crede ancora nella vecchia Lega Nord e in un movimento che fino a ieri era davvero grillino e ora è un’altra cosa». Certo, Foa sa benissimo che «da qualche anno le elezioni si decidono allo sprint finale, nell’ultima settimana, confidando negli umori del cosiddetto “elettore liquido”, ovvero quella parte dell’elettorato che è decisa ad andare alle urne ma non è motivata da convinzioni profonde». Molti comunque ormai hanno deciso: «E’ significativo che i sondaggi da settimane registrino oscillazioni minime». In ogni caso, «saranno proprio gli elettori “liquidi” a determinare le grandi svolte di queste elezioni». Un elettorato distratto, che vota «in maniera istintiva e subliminale», convinto «dalla personalità del leader politico, più che dalle sue idee». In fondo, però, Foa scommette su uno scenario basato su attori e ruoli nuovi, o comunque aggiornati: il sovranismo di Salvini, ostile all’attuale gestione Ue, e il moderatismo “politicamente corretto” di Di Maio, in linea con Bruxelles e con l’establishment, adatto ad assorbire gradualmente i delusi del centrosinistra.Il Movimento 5 Stelle finirà sopra il 28%? Il Pd chiuderà sotto il 20%? Il centrodestra otterrà la maggioranza assoluta o solo quella relativa? E chi finirà in testa, la Lega o Forza Italia? «Difficile fare previsioni, ma alcune tendenze mi sembrano chiare: mentre nel 2013 l’unico partito che riusciva a portare in piazza migliaia di italiani era il Movimento 5 Stelle, oggi a mostrare questa capacità è stata anche la Lega di Salvini, che in queste settimane ha tenuto comizi affollatissimi dappertutto». La folla in piazza Duomo a Milano dimostra che Salvini gode di un consenso senza precedenti: nessun partito storico oggi può vantare questa capacità di mobilitazione, sostiene Marcello Foa sul “Giornale”. Il Movimento 5 Stelle? E’ in piena metamorfosi: dai “vaffa” di Grillo agli abiti grigi di Di Maio, «da movimento di rottura a partito che vuole accreditarsi con le istituzioni italiane, europee e persino con gli un tempo disprezzati banchieri di Londra». La retorica della protesta contro la casta è la stessa, ma la realtà dei programmi e delle finalità è un’altra: «Verosimilmente la maggior parte degli attivisti non si è resa conto dell’evoluzione; gli ultimi scandali non hanno scalfito l’immagine del movimento e questo dimostra che la loro fede è salda e impermeabile a tutto. I 5 Stelle sono in corsa grazie alla fiducia dei “vecchi” simpatizzanti, domani lo saranno soprattutto grazie a quella dei nuovi sostenitori di area progressista».