Archivio del Tag ‘Bengasi’
-
“Ribelli” di Bengasi in Siria per la prossima guerra Nato
Sta arrivando una guerra ancora più sporca di quella appena conclusa in Libia per rovesciare Gheddafi col pretesto umanitario. Nuovo obiettivo: Damasco, anticamera di Teheran. “Libia 2.0” uguale Siria? No, peggio: «E’ più “Libia 2.0 remix”», col solito alibi “R2p”, cioè “responsabilità di proteggere”, ovvero «i civili bombardati fino alla democrazia», ma stavolta senza neppure la copertura dell’Onu, perché Russia e Cina opporranno il veto. E mentre anche la Turchia soffia sul fuoco, Hillary Clinton scalda i reattori degli F-16: alla televisione indonesiana ha appena annunciato che in Siria sta per scatenarsi «una guerra civile», ben finanziata e «ben armata» da un’opposizione zeppa di disertori, ma non solo: il nuovo regime di Tripoli ha inviato al confine siriano 600 miliziani, reduci della “rivoluzione” contro Gheddafi.
-
Gheddafi giustiziato senza processo: tutto come previsto
Quello che resta di quarant’anni di potere è un corpo, ferito e rivoltato nella polvere: Muhammar Gheddafi macellato sul posto, il 20 ottobre, lungo la strada tra Sirte e Misurata, dopo un raid Nato che ha probabilmente messo in fuga il dittatore, costringendolo a lasciare l’ultima roccaforte dopo quasi otto mesi di resistenza. Facendo il verso alle didascalie con cui tutti i media hanno presentato il tremendo video di Al-Jazeera sugli ultimi istanti del Colonnello, il sito “Megachip” avverte: “Attenzione, segue una serie di immagini shock su Gheddafi che possono urtare la vostra suscettibilità”. Fotogallery: Gheddafi con Frattini, Napolitano e Prodi; Gheddafi che abbraccia Berlusconi, Blair e il turco Erdogan, stringe la mano a Obama e Zapatero, riceve Brown e la Rice e fraternizza col suo futuro “boia”, Sarkozy.
-
Libia, la verità? Fermare la Cina, inguaiando anche l’Europa
Gheddafi è solo una maschera, il tiranno perfetto contro cui scatenare i media, quindi l’opinione pubblica e infine i Tornado. Berlusconi? Non conta niente, ha subito una guerra che non voleva, come del resto la manovra finanziaria “lacrime e sangue”. E gli alleati europei? Idem: nonostante le apparenze, la battaglia di Tripoli è contro di loro, innanzitutto: concepita per metterli nei guai. E persino «il povero Obama» ha dovuto abbozzare. Perché a decidere di trasformare la Libia in un inferno come l’Iraq è stato il super-potere di Wall Street. Con un obiettivo evidente: fermare l’avanzata della Cina. «Non è nemmeno questione di petrolio», dice Giulietto Chiesa all’“Espresso”: «Tra 5-10 anni non ci sarà più posto per Usa e Cina insieme: o troveranno un accordo, o sarà guerra mondiale».
-
Libia, nessuna trattativa con Gheddafi: guerra lunga
Soluzione diplomatica per metter fine alla guerra civile in Libia? A una sola condizione: che Gheddafi sparisca. Nessuna trattativa finché il Colonnello è ancora al potere: lo dicono esplicitamente gli insorti. Si potrà negoziare una riconciliazione con l’esercito, i clan e le milizie di Tripoli, ma non con il raìs. Su questo punto convergono tutte le voci dal 25 marzo, quando la Nato ha deciso di assumere il controllo delle operazioni Onu: la «via diplomatica» evocata da Sarkozy e Cameron, “imbrigliati” dall’Alleanza Atlantica, non prevede di rispondere ai messaggi che Gheddafi sta lanciando: l’ultimo “no” è arrivato da Addis Abeba, alla riunione d’emergenza dell’Unione Africana. E la guerra si prolunga: almeno 3 mesi, secondo la Nato. Sul campo, finora, quasi 10.000 morti. Col rischio di 250.000 persone in fuga.
-
Libia, il razzismo ipocrita di chi diffida dei giovani ribelli
L’ultimo spettacolo di questi giorni è quello dei soci di Gheddafi – vecchi amici e alleati, clienti e fornitori – che si esercitano nel salire in cattedra per dare pagelle di democrazia agli insorti libici, generalmente chiamati “ribelli di Bengasi” e “separatisti della Cirenaica”, dimenticando che dal 17 febbraio si è sollevata tutta la Libia contro il dittatore, che oggi assedia ancora Misurata, terza città del paese vicinissima a Tripoli, dopo che le truppe del Colonnello hanno schiacciato nel sangue le rivolte esplose in tutto l’Ovest, da Zuara a Zawiya. E’ vero, ci sono anche i clan tribali, ma è una geografia ormai fluida: il fattore decisivo, sottolinea “Fortress Europe”, è il coraggio dei giovanissimi che sono scesi in piazza a mani nude contro il tiranno, prima ancora della diserzione delle prime unità territoriali delle forze armate, che ha trasformato la sollevazione popolare in guerra civile.
-
Fortress Europe: fra i morti di Bengasi, ringraziando l’Onu
«I guanti di lattice di Salim sono sporchi di sangue. Non riesco a dimenticare la scena. Uno a uno sceglie i brandelli di carne tra i vetri in frantumi dell’auto, una Daewoo Nubira. Sono il cervello di Wahid Elhasi, spappolato dalla scheggia di una delle centinaia di bombe sganciate oggi dall’esercito di Gheddafi». Benvenuti a Bengasi, 15 marzo 2011. Firmato: Gabriele Del Grande. Giovane reporter indipendente, è una delle voci della capitale ribelle della Cirenaica. Per anni ha seguito l’agonia dei migranti lungo le rotte del deserto: Somalia, Eritrea, Senegal, Niger. Ha denunciato il crimine dei “respingimenti”, viaggiando coi dannati della terra. E ha visto molti di loro sparire: derubati, picchiati, violentati e uccisi nelle carceri libiche.
-
Petrolio, dollari e potere: così Gheddafi ha perso la Libia
Buona parte della Libia si è rivoltata contro Gheddafi, cogliendo al volo il vento della Tunisia e quello dell’Egitto, quando il regime del raìs è entrato in crisi: avendo aperto la sua economia al capitalismo globalizzato, Tripoli ha accusato il colpo del crac finanziario mondiale del 2008, vedendo crollare i propri ricavi petroliferi. Ad aggiungere tensione sociale, l’enorme afflusso di lavoratori stranieri – forse due milioni – su una popolazione che raggiunge appena i sei milioni di abitanti. Questo lo scenario di crisi su cui ha avuto mano libera la rivolta, ispirata dalla Cirenaica e appoggiata dai clan tribali: l’occasione giusta per tentare di sbarazzarsi del Colonnello, protagonista di quarant’anni di feroce repressione, come del resto quasi tutti gli altri paesi petroliferi dell’area.
-
Libia, anche l’Italia firma l’ultimatum di guerra
Sette basi militari a disposizione, insieme ai velivoli tricolori in partenza per i cieli libici: intercettori Eurofighter, caccia F-16 e bombardieri Tornado. Missione: contribuire alla “no-fly zone” per impedire a Gheddafi di continuare a bombardare gli insorti e la popolazione che li sostiene. Di fatto: neutralizzare basi libiche, contraerea, radar e difesa missilistica. Sono le regole d’ingaggio della “guerra dell’Onu”, ultimatum scattato con l’ok del Consiglio di Sicurezza su pressione di Francia e Inghilterra – un passo indietro gli Usa, astenuta la Germania. Decisivo il silenzio-assenso di Russia e Cina, che hanno rinunciato al loro potere di veto aprendo la strada alla fine del regime di Gheddafi: un esito sul quale mette la propria firma anche l’Italia, “portaerei del Mediterraneo” e scomoda dirimpettaia del Colonnello, fino a ieri super-fornitore, grande amico e socio in affari.
-
Salvare la Libia: via alla missione Onu contro Gheddafi
Bombardare Gheddafi, col via libera delle Nazioni Unite: dopo infinite esitazioni, il 17 marzo il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha approvato la risoluzione 1973 che impone l’attesa “no-fly zone” sui cieli della Libia e prevede «tutte le necessarie misure per proteggere la popolazione civile», tranne un’invasione di terra. Immimente, secondo la Francia, l’avvio dei raid aerei della Nato. E la Bbc non esclude un primo intervento dell’aviazione britannica già il 18 marzo, per colpire le artiglierie che stanno cingendo d’assedio Bengasi, la capitale degli insorti. E’ la svolta nella tragedia libica, accolta con scene di giubilo nella città assediata, dove migliaia di manifestati si sono riversati in strada.
-
Sanguinosa battaglia in Libia per rovesciare Gheddafi
Terrore in Libia: almeno 80 morti in poche ore, un bagno di sangue. Ma la violentissima repressione della rivolta non sarebbe riuscita a piegare la Cirenaica, la regione di Bengasi, dove da giorni migliaia di manifestanti – sull’onda delle rivolte di Tunisi e del Cairo – sono in piazza per chiedere la testa di Muhammar Gheddafi. Il regime ha impiegato anche mercenari per stroncare i ribelli, ma la Libia – dove Internet è oscurato e solo poche notizie riescono ad aggirare la censura – sembra essere sull’orlo di una guerra civile. Obiettivo, la destituzione di Gheddafi dopo 42 anni di dittatura. «Assordante il silenzio del governo italiano», accusa Walter Veltroni: Roma non ha ancora preso posizione.
-
Massacro in Libia, Gheddafi fa sparare sulla protesta
Cresce di ora in ora la tensione in Libia: almeno quattro persone sono rimaste uccise negli scontri scoppiati tra forze dell’ordine e manifestanti nella città orientale di Al-Bayda, nelle prime ore della cruciale “giornata della collera” proclamata dalle opposizioni il 17 febbraio per contrastare il regime di Gheddafi. Le notizie fluiscono frammentarie, attraverso siti di opposizione e Ong libiche. Gli scontri di Al-Bayda fanno seguito alla protesta di Bengasi, ferocemente repressa nella notte tra il 15 e il 16 febbraio. Il Colonnello teme che anche la Libia possa sollevarsi contro il regime: per questo, secondo i servizi segreti italiani, ha agevolato l’esodo verso Lampedusa attraverso la Tunisia facilitando l’espatrio di oppositori.
-
Profughi somali massacrati dalla polizia a Bengasi
Adesso abbiamo le prove. Sono quindici foto in bassa definizione. Scattate con un telefono cellulare e sfuggite alla censura della polizia libica con la velocità di un mms. Ritraggono uomini feriti da armi di taglio. Sono cittadini somali detenuti nel carcere di Ganfuda, a Bengasi, arrestati lungo la rotta che dal deserto libico porta dritto a Lampedusa. Si vedono le cicatrici sulle braccia, le ferite ancora aperte sulle gambe, le garze sulla schiena, e i tagli sulla testa. I vestiti sono ancora macchiati di sangue. E dire che lo scorso 11 agosto, quando il sito in lingua somala Shabelle aveva parlato per primo di una strage commessa dalla polizia libica