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A Milano tutta la verità sulla scomparsa di Federico Caffè
Nella notte fra il 14 e il 15 aprile del 1987 lasciò la sua casa di Roma, dove viveva con il fratello. Non fu mai ritrovato: la scomparsa di Federico Caffè rimane tuttora un mistero irrisolto. Non per tutti, però: «La sua sparizione è strettamente connessa con due omicidi eccellenti, quello di Olof Palme e quello di Thomas Sankara». Lo afferma Gioele Magaldi, autore del bestseller “Massoni” che illumina insospettabili retroscena sulla massoneria di potere che ha imposto l’attuale globalizzazione. Clamorose rivelazioni in vista, a quanto pare, nell’ambito del convegno promosso a Milano il 3 maggio dal Movimento Roosevelt. Del professor Caffè – vero e proprio cervello dell’economia keynesiana nel dopoguerra – parlerà anche un suo illustre allievo, l’economista Nino Galloni, svelando ulteriori dettagli inediti sul giallo della sua scomparsa. Tema dell’assise: presentare pubblicamente il Movimento Roosevelt come laboratorio politico nato per uscire dal tunnel del neoliberismo e riconquistare la perduta sovranità democratica. La ricetta? Il socialismo liberale di Carlo Rosselli, marginalizzato già durante il fascismo dagli stessi socialisti. Due eredi di questa dottrina – lo svedese Palme e l’africano Sankara – furono assassinati nel giro di pochi mesi, a cavallo della sparizione di Caffè.Cosa c’era in ballo? Il nuovo assetto del mondo: l’imminente crollo dell’Urss e l’avvento della “dittatura” tecnocratica di Bruxelles, fondata sull’austerity. Fino al dilagare del neoliberismo globalizzato, dominato dalla finanza predatoria. Nel saggio “Il più grande crimine”, Paolo Barnard indica una data precisa per l’inizio della grande restaurazione, da parte dell’élite antidemocratica: il 1971, anno in cui a Wall Street l’avvocato d’affari Lewis Powell fu incaricato dalla Camera di Commercio Usa di redigere il famigerato Memorandum per la riconquista del potere da parte dell’oligarchia, costretta sulla difensiva per decenni in tutto l’Occidente grazie alla storica avanzata del progressismo liberale, socialista e sindacale. Era il segnale della “fine della ricreazione”: da allora, sempre meno diritti – per tutti. Ci vollero anni, naturalmente, per passare ai fatti. E’ del 1975 il manifesto “La crisi della democrazia”, commissionato dalla Trilaterale a Michel Crozier, Samuel Huntington e Joji Watanuki. La tesi: troppa democrazia fa male. Parola d’ordine: togliere agli Stati il potere di spesa, necessario per alimentare il welfare e quindi il benessere diffuso.Cinque anni dopo esplosero Ronald Reagan negli Stati Uniti e Margaret Thatcher nel Regno Unito. Cattivi maestri: l’austriaco Friedrich von Hayek e l’americano Milton Friedman, economista della Scuola di Chicago. Stesso dogma: tagliare il debito pubblico, rinunciare al deficit. Pareggio di bilancio: meno soldi al popolo, all’economia reale. Un incubo, culminato con i recentissimi orrori del rigore europeo, capace di martirizzare la Grecia lasciando gli ospedali senza medicine per i bambini. Come si è potuti arrivare a tanto? In molti modi, e attraverso infiniti passaggi. Il primo dei quali è tristemente noto: la demolizione di John Maynard Keynes, il più eminente economista del ‘900. Se il lascito di Marx aveva forgiato la coscienza sociale degli operai, sfruttati dal capitalismo selvaggio, l’inglese Keynes escogitò un sistema perfetto per rimettere in equilibrio capitale e lavoro, attraverso la leva finanziaria strategica dello Stato. Ereditando un’America messa in ginocchio dalla Grande Depressione del 1929, Roosevelt con il New Deal fece esattamente il contrario di quanto gli aveva consigliato la destra economica: anziché tagliare la spesa per “risanare” i conti pubblici, mise mano a un deficit illimitato per creare lavoro.L’altra mossa, decisiva, fu il Glass-Steagall Act: netta separazione tra banche d’affari e credito ordinario, per evitare che i risparmi di famiglie e imprese finissero ancora una volta nella roulette della Borsa. Un atto eroico, la guerra contro la finanza speculativa, rinnegato – a distanza di mezzo secolo – dal “progressista” Bill Clinton, subito dopo il famoso sexgate che l’aveva travolto, l’affare Monica Lewinsky. Nel frattempo, in Europa, era stato Tony Blair a rottamare il socialismo liberaldemocratico dei laburisti, inaugurando – con Clinton – la sciagurata “terza via” che avrebbe condotto l’ex sinistra a smarrire se stessa. Desolante il caso italiano: passando per Romano Prodi, lo smantellatore dell’Iri, si va dal Massimo D’Alema che nel 1999 si vantava di aver trasformato Palazzo Chigi in una merchant bank, realizzando il record europeo delle privatizzazioni, per arrivare all’infimo Bersani, capace nel 2011 si sottomettere il Pd al governo Monti, sottoscrivendo i tagli senza anestesia, il Fiscal Compact, la legge Fornero sulle pensioni e il pareggio di bilancio in Costituzione.Una pesca miracolosa, quella condotta dall’élite tra le fila dell’ex sinistra: a partire dallo storico divorzio fra Tesoro e Bankitalia con la regia di Ciampi, la vera “notte della Repubblica” (attacco ai diritti del lavoro, flessibilità e precarizzazione) è stata condotta con la complicità di personaggi come Visco, Bassanini, Padoa Schioppa, Amato, lo stesso Ciampi e altri baroni della nuova tecnocrazia “incoronata” da Mani Pulite, al servizio delle potenze straniere intenzionate a saccheggiare il Belpaese grazie alla “cura” finto-europeista. Lo spiegò lo stesso Galloni in una memorabile intervista a “ByoBlu”: la deindustrializzazione dell’Italia fu pretesa della Germania come compensazione, in cambio della rinuncia al marco. Era stata la Francia di Mitterrand a imporre l’euro ai tedeschi, pena il veto francese alla riunificazione delle due Germanie. Cominciava una festa, per molta parte d’Europa, caduta la Cortina di Ferro grazie a Gorbaciov. Per l’Italia, invece, il sogno si sarebbe trasformato in un incubo. Supremo regista della grande illusione, Mario Draghi: a bordo del Britannia di mise a disposizione dei poteri che progettavano la svendita del paese, venendo poi premiato prima come governatore di Bankitalia e poi come presidente della Bce.Oggi, grazie a tutto questo, è diventato “normale” che un governo italiano non riesca a ottenere un deficit del 2,4% (irrisorio), ed è “fisiologico” che il fantasma dell’ex sinistra – il Pd – trovi giusto che siano i commissari Ue, non eletti da nessuno, a poter calpestare un esecutivo regolarmente eletto. Peggio: è stato il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, a spiegare – bocciando la nomina di Paolo Savona come ministro dell’economia – che sono i mercati, e non gli elettori, ad avere l’ultima parola. Contro questa palude si muove il laboratorio politico rappresentato dal Movimento Roosevelt. Obiettivo: ribaltare il tavolo delle convenzioni dogmatiche degli ultimi trent’anni, risvegliando la politica dormiente fino a portarla a riscrivere le regole. La prima: Europa o meno, il popolo deve tornare sovrano. Tradotto: le elezioni devono poter decidere chi governerà davvero, e come. E a dire di no a un governo eletto potrà essere solo, domani, un governo federale europeo a sua volta emanato democraticamente dall’Europarlamento, sulla base di una Costituzione democratica che oggi l’Ue non sa neppure cosa sia. Chi l’ha detto che il deficit non può superare il 3% del Pil? Il Trattato di Maastricht va gettato nella spazzatura, ecco il punto. Bel problema: da dove cominciare?La prima cosa da fare è dire finalmente la verità: lo sostiene Magaldi, che il Movimento Roosevelt l’ha creato. Rivelazioni e denunce continue, da parte sua. Mattarella? Un paramassone che obbedisce al massone Visco di Bankitalia, a sua volta un burattino del massone Draghi. Di Maio che omaggia la Merkel, dopo aver ceduto sul deficit gialloverde? Brutto segno: tenta di accreditarsi presso le superlogge come la Golden Eurasia, quella della Cancelliera, sperando così di sopravvivere al prevedibile declino dei 5 Stelle. Grande occasione perduta, il governo del non-cambiamento, di fatto prono ai diktat della Disunione Europea che sta mandando in malora l’economia del continente. Fenomeno vistoso: si sta impoverendo la classe media alla velocità della luce, come dimostrano i Gilet Gialli in Francia, dove qualcuno – dice sempre Magaldi – ha pensato bene di dare alle fiamme persino un simbolo nazionale come Notre-Dame. Sono sempre loro, i registi occulti della strategia della tensione europea: hanno seminato il terrore nelle piazze per spianare la strada all’austerity dei governi.Rosselli, Palme e Sankara: ecco, da dove ripartire. Socialismo liberale: il grande premier svedese voleva “tagliare le unghie al capitalismo”. Stava per essere eletto segretario generale dell’Onu: poltrona da cui avrebbe vegliato anche sull’Europa, impedendo che si arrivasse a questo aborto di Unione Europea. Certo, c’è dell’altro: qualcuno nel frattempo avrebbe fatto entrare la Cina nel Wto senza pretendere nessuna garanzia, da Pechino, sui diritti dei lavoratori. Risultato: concorrenza sleale sui prezzi delle merci e grande crisi della manifattura occidentale. E qualcun altro, l’11 settembre del 2001, avrebbe fatto saltare in aria le Torri Gemelle a New York. Obiettivo: poter invadere l’Iraq e l’Afghanistan, fabbricando il fantasma del terrorismo jihadista (Al-Qaeda, Isis) con cui ricattare il mondo. Bagni di sangue (Libia, Siria) o rivoluzioni colorate (Georgia, Ucraina), o magari primavere arabe (Tunisia, Egitto): il risultato non cambia, si punta sempre sul caos. Così l’Italia si scanna sui migranti e il Pd attacca Salvini anziché Macron. E nessuno guarda al di là del mare.Lo fa Ilaria Bifarini, anche lei attesa al convegno di Milano con il suo saggio “I coloni dell’austerity”, ovvero “Africa, neoliberismo e migrazioni di massa”. Negli anni ‘80, quando Olof Palme faceva della Svezia il paradiso europeo del welfare, l’africano Thomas Sankara trasformava l’Alto Volta coloniale nel coraggiosissimo Burkina Faso, il “paese degli uomini liberi”, con una promessa: nessuno, qui, morirà più di fame. Lo disse ad alta voce, nel 1987, davanti ai leader africani: chiediamo all’Occidente di cancellare il debito dell’Africa. Tre mesi dopo fu ucciso, su mandato francese. In Africa, il giovane Sankara godeva di un prestigio immenso, pari a quello di Palme in Europa. Con loro ancora al potere, non avremmo visto né questa Ue né i barconi dei migranti. Il premier svedese era stato freddato un anno prima, da un killer rimasto sconosciuto. Non così i mandanti: “La palma svedese sta per cadere”, telegrafò alla vigilia dell’omicidio Licio Gelli, il capo della P2, avvertendo il parlamentare statunitense Philip Guarino. Lo scrive, nel saggio “Dalla massoneria al terrorismo”, lo stesso Gianfranco Carpeoro, altro esponente “rooseveltiano” impegnato nell’assise milanese, da cui ora si attendono precise rivelazioni sulle connessioni tra i delitti Palme e Sankara e la scomparsa di Caffè. Erano uomini da eliminare: troppo ingombranti, per chi voleva instaurare – in Europa e nel mondo – il regno del caos e dei profitti stellari, al prezzo dell’impoverimento generale.Tutto questo, purtroppo, è molto massonico. Lo sostiene Gioele Magaldi, che nel suo saggio spiega che nel 1980 tutte le superlogge – anche quelle progressiste – aderirono al patto “United Freemasons for Globalization”. Una tregua armata, dopo che negli anni Sessanta erano stati uccisi Bob Kennedy e Martin Luther King: un ticket fantastico, che le Ur-Lodges democratiche avrebbero voluto alla Casa Bianca, come presidente e vice. E’ come se la stessa mano provvedesse a uccidere gli avversari che non si possono corrompere né intimidire. Per inciso, aggiunge Magaldi, erano massoni anche Palme e Sankara, così come Gandhi, Mandela e lo stesso Yitzhak Rabin, assassinato da manovalanza estremista. Quanto al convegno di Milano, chiosa Magaldi, non si tratta di limitarsi a celebrare la memoria di giganti come Rosselli e Palme, Sankara e Caffè: l’intenzione è quella di creare una nuova agenda politica, in base alla quale nessuno possa più fingere di essere progressista mentre soggiace alla post-democrazia Ue. Una sfida a viso aperto: c’è da fare una rivoluzione culturale. Il pareggio di bilancio? E’ un crimine politico contro il popolo. Sarebbe ben lieto di spiegarlo autorevolmente lo stesso Caffè, se fosse ancora qui, in questa Italia le cui televisioni spacciano per verità le frottole quotidiane di personaggi come Elsa Fornero e Carlo Cottarelli, mestieranti nostrani del peggior neoliberismo.(Il convegno “Nel segno di Olof Palme, Carlo Rosselli, Thomas Sankara e contro la crisi globale della democrazia” è promosso dal Movimento Roosevelt venerdì 3 maggio 2019 a Milano, col patrocinio del Comune, presso la sala conferenze del Museo del Risorgimento a Palazzo Moriggia, via Borgonuovo 23 (zona Brera), dalle ore 10 alle 17.30. Interverranno Angelo Turco, Gioele Magaldi e l’ambasciatore italiano in Svezia Marco Cospito, insieme a Felice Besostri, Nino Galloni, Paolo Becchi, Gianfranco Carpeoro, Otto Bitjoka, Marco Moiso, Sergio Magaldi, Egidio Rangone, Danilo Broggi, Pierluigi Winkler, Giovanni Smaldone, Michele Petrocelli, Aldo Storti, Marco Perduca e Lorenzo Pernetti. Nel corso dell’evento, introdotto da brevi rappresentazioni teatrali su Sankara e Rosselli offerte da Ricky Dujany e Diego Coscia, verrà presentato il bestseller di Ilaria Bifarini “I coloni dell’austerity”, mentre Carlo Toto e Paolo Mosca anticiperanno il trailer del docu-film “M: il Back-Office del Potere”. Tra i dirigenti del Movimento Roosevelt interverranno anche Daniele Cavaleiro, Roberto Alice, Fiorella Rustici, Zvetan Lilov, Alberto Allas, Roberto Luongo, Roberto Hechich, Massimo Della Siega e Roberto Peron. Per informazioni: segreteria generale e presidenza del MR. Coordinamento ufficio stampa e relazioni esterne: Monica Soldano, 348.2879901).Nella notte fra il 14 e il 15 aprile del 1987 lasciò la sua casa di Roma, dove viveva con il fratello. Non fu mai ritrovato: la scomparsa di Federico Caffè rimane tuttora un mistero irrisolto. Non per tutti, però: «La sua sparizione è strettamente connessa con due omicidi eccellenti, quello di Olof Palme e quello di Thomas Sankara». Lo afferma Gioele Magaldi, autore del bestseller “Massoni” che illumina insospettabili retroscena sulla massoneria di potere che ha imposto l’attuale globalizzazione. Clamorose rivelazioni in vista, a quanto pare, nell’ambito del convegno promosso a Milano il 3 maggio dal Movimento Roosevelt. Del professor Caffè – vero e proprio cervello dell’economia keynesiana nel dopoguerra – parlerà anche un suo illustre allievo, l’economista Nino Galloni, svelando ulteriori dettagli inediti sul giallo della sua scomparsa. Tema dell’assise: presentare pubblicamente il Movimento Roosevelt come laboratorio politico nato per uscire dal tunnel del neoliberismo e riconquistare la perduta sovranità democratica. La ricetta? Il socialismo liberale di Carlo Rosselli, marginalizzato già durante il fascismo dagli stessi socialisti. Due eredi di questa dottrina – lo svedese Palme e l’africano Sankara – furono assassinati nel giro di pochi mesi, a cavallo della sparizione di Caffè.
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Nostra Signora del Templari: sapete cos’è bruciato a Parigi?
Quanti sanno che la cattedrale di Notre-Dame de Paris è un progetto templare dedicato in apparenza alla Maddalena, ma in realtà alla Dea Madre, la Terra? Lo efferma il simbologo Paolo Franceschetti, avvocato, a lungo impegnato a far luce su misteri italiani e delitti rituali. In un intervento a “Border Nights” all’indomani del rogo nella capitale francese, Franceschetti rivela che Notre-Dame, dopo Chartres, doveva servire a «riportare sulla Terra l’energia femminile, oscurata per secoli dal Vaticano». Il web complottista è a caccia di possibili retroscena sull’eventuale origine dolosa del disastro. L’unica certezza, per ora, è la sicurezza ostentata dalle autorità, convinte di poter escludere la pista terroristica. L’ombra del templarismo, però, negli ultimi anni ha scosso Parigi: richiamavano direttamente la simbologia templare gli attentati affidati alla manovalanza dell’Isis. Una strana “firma”, per siglare fatti di sangue particolarmente efferati, come se si trattasse di una vendetta: proprio a Parigi fu bruciato sul rogo Jacques de Molay, l’ultimo gran maestro dell’Ordine del Tempio, i cui superstiti poi confluirono in parte nella futura massoneria (di seguito, le rifessioni testuali di Franceschetti).Cosa potrebbe voler dire, oggi, colpire Notre-Dame? In teoria, dovrebbe servire a portare ancora più squilibrio in un’epoca in cui lo squilibrio è voluto e preventivato. “Deve” esserci: anche astrologicamente, siamo in un periodo di squilibrio. L’attuale congiunzione di Plutone con Saturno è terribile, e quindi stiamo subendo anni terribili (chi conosce l’astrologia sa che, da quel punto di vista, “deve” andare così). E probabilmente ci sono forze del bene che sono “troppo forti”, quindi qualcuno potrebbe aver voluto ripristinare – in negativo – l’equilibrio. Notre-Dame è una delle chiese templari più importanti del mondo, insieme a quella di Chartres. Chratres è la prima, e anche la più bella. I Templari, poi, resisi conto che il simbolismo di quella cattedrale era un po’ troppo evidente, insieme ad altre cose che avrebbero voluto celare, nelle cattedrali successive quei simboli li hanno resi più criptici, più difficili da decifrare. Quindi Notre-Dame è un gradino sotto Chartres, come bellezza e anche come simbologia, però è il simbolo della divinità femminile: per questo non l’hanno chiamata “Maria, madre di Gesù”, o Madonna. No, è Notre-Dame: nostra signora, cioè un titolo generico dato a una divinità femminile.In Notre-Dame, i Templari vedevano più la Maddalena, che la Madonna. Dante Alighieri, nella sua Divina Commedia – dicono gli esperti – cita la “madonna” diverse decine di volte, ma la verità è che Dante (tranne che in un passo, in cui cita davvero la madre di Gesù) non cita mai Maria di Nazareth: è sempre un’altra figura, mai ben identificata – la Maddalena, o altro: non c’è comunque mai un riferimento esplicito alla Madonna. E Dante era un templare: sappiamo che scrisse la Divina Commedia proprio quando i Templari andavano a processo e temevano di essere distrutti. Per evitare che fosse disperso il patrimonio di conoscenze templari e rosacrociane Dante scrisse quell’opera, che è la sintesi della sapienza templare. Senza mai alludere a Maria, madre di Gesù, i Templari hanno dedicato alla “madonna” tutte le loro chiese. San Bernardo è il vero creatore dei Templari, anche se non quello ufficiale: all’inizio, più della metà dei Templari erano suoi parenti, o conoscenti intimi. Quindi, dietro ai Templari c’erano San Bernardo e il movimento cistercense. San Bernardo era un devoto della “madonna” e diffuse quel culto. Attenzione: non il culto della Madonna, ma il culto del femminile. Voleva ripristinare il culto dell’energia del femminile, violata dalla Chiesa cattolica, che era prettamente maschilista e aveva distrutto tutto ciò che era energia femminile.Fu questo che i Templari ripristinarono. Come? Costruendo una serie di cattedrali, che non a caso – se unite idealmente da trattini di penna, sulla carta geografica – formano la costellazione della Vergine. Era un modo per riportare in Terra l’energia della Vergine, cioè l’energia femminile. Le cattedrali gotiche, infatti, sono immense centrali energetiche: da una parte servivano energeticamente a elevare l’aura di chi vi entrava, anche a loro insaputa, e dall’altra quelle “centrali energetiche” dovevano riportare sulla Terra l’energia femminile oscurata e messa in disparte dalla Chiesa cattolica. Quindi, Notre-Dame è il simbolo dell’energia femminile. I Templari sapevano che, nei tarocchi, il Mondo – la ventunesima carta, quella che termina il ciclo degli arcani maggiori – è rappresentato da una donna. La donna è al centro di un ovale, con ai lati i quattro evangelisti. Chiaro il messaggio: la Terra è un essere vivente, ed è femminile, dotato di energia femminile. I Templari erano convinti del fatto che uno degli squilibri che determinavano l’assetto del mondo – allora come oggi gravato da guerre, carestie – fosse proprio l’eccesso di energia maschile. In quel modo, con quelle cattedrali, intendevano restaurare il femminile nel mondo. E Notre-Dame è la più importante, di quelle cattedrali-simbolo del femminile come equilibrio, e anche della Terra come essere vivente.I Templari pensavano che siamo tutti figli, parti infinitesimali di questo essere, la Terra, che è molto più grande di noi, al punto da sfuggire alla nostra comprensione. Gli stessi antichi, del resto, la pensavano come un essere vivente (non a caso la si chiama Madre Terra, spesso ritenendola una dea, esattamente come gli altri pianeti: esseri viventi superiori a noi). Noi pensiamo di essere l’unica forma di vita importante nell’universo, e usiamo anche su Marte i nostri parametri vitali, perché abbiamo stabilito che solo la nostra è vita. Ma questa è una follia. I Templari invece erano degli iniziati che conoscevano perfettamente queste realtà. Infatti hanno costruito quei capolavori, le cattedrali, su cui ci sarebbe molto da dire: i loro sistemi simbolici sono tuttora sconosciuti a molti ricercatori, che si domandano come mai avessero costruito determinate cose, e non riescono a capire come siano state erette quelle guglie altissime con dei mezzi che oggi faremmo fatica a utilizzare, per arrivare allo stesso risultato. Ecco i maestri costruttori: la scienza del costruttore era la scienza del vero sapiente, da cui poi nacque la massoneria. Liberi muratori, appunto: la loro era la scienza dei costruttori, impegnati a “riportare il divino in Terra”.Agli scettici vale la pena ricordare alcuni numeri, che riportano il templarismo nella storia recente. Per esempio, il “processo” che le Brigate Rosse fecero ad Aldo Moro inizia 666 anni dopo il processo ai Templari. Qual era il simbolo delle Br? La stella a cinque punte. E qual era, invece, il simbolo della Dc? La croce rossa su sfondo bianco: la stessa dei Templari. Quindi, secondo un’interpretazione simbologico-esoterica (fondata sul ribaltamento speculare, ndr), erano “i Templari” che vendicavano se stessi, dopo 666 anni. Essendo stati distrutti ai primi del 1300, e avendo il loro ultimo maestro Jacques de Molay giurato vendetta contro il sovrano e contro il Papa, i Templari hanno continuato a lavorare in segreto. Si sono ricostituiti e hanno portato a compimento quello che era il loro progetto: l’Europa unita, verso un mondo unito. Il Nuovo Ordine Mondiale, sostanzialmente, è un progetto templare. E dato che con la morte di Moro partiva una nuova era finanziaria – perché lo Sme, il nuovo sistema monetario europeo, partì subito dopo la morte di Moro – quel delitto politico può essere considerato, esotericamente, come un immenso sacrificio rituale, di portata internazionale, per sancire e formalizzare l’inizio dell’Unione Europea. Lì nacque il progetto della moneta unica, che ha comportato l’attuale devastazione socio-economica.“La Repubblica” scrive che l’incendio della cattedrale di Notre-Dame è «la Waterloo dell’idea di nazione». E aggiunge: «Il fuoco è cieco, è vero; ma nell’Europa che diventa sovranista, con Notre-Dame sta bruciando l’idea di nazione», visto che quello andato in fiamme «è il tetto che ci copriva tutti». Dunque le nazioni danno sempre più fastidio, al progetto mondialista? Si utilizza un simbolo per fare un discorso politico? Probabilmente, dietro a questi articoli, c’è un messaggio in codice. Cosa volevano fare, i Templari? Volevano fondare un unico Stato internazionale, e infatti crearono i loro centri, chiamati “commende”, dal Portogallo alla Terrasanta. Erano monaci e guerrieri; riunivano regalità (la saggezza del sovrano) e spiritualità. L’unione tra regalità e spiritualità era andata distrutta. Anticamente, il Re era anche sacerdote, e spesso era saggio. Prima di Carlo Magno, in Francia, regnavano i Re Merovingi, che erano saggi Re-sacerdoti. La loro memoria è stata distrutta, ma era stata un’epoca straordinaria: ai tempi dei Merovingi non c’erano analfabeti, perché era il Re che insegnava alla popolazione. Si racconta che guarissero i malati con il tocco delle mani, perché avevano compiuto profondi percorsi spirituali (tutte cose di cui, oggi, gli storici riderebbero).I Templari, dunque, volevano instaurare un sistema di Re-sacerdoti, di monaci guerrieri ma saggi, e che fosse transnazionale, oltre gli Stati nazionali. Ci stavano riuscendo, infatti, e in modo geniale: con il denaro. Il loro unico obbligo era la protezione dei pellegrini in Terrasanta (non potevano impugnare le armi per altri motivi). Cominciarono allora a prestare denaro a tutti gli Stati. Formalmente dipendevano dalla Chiesa, ma in realtà erano una specie entità indipendente, di Stato all’interno dei vari Stati. Alla fine, divenuti troppo potenti, vennero scoperti e distrutti. Poi però hanno rifatto lo stesso progetto: il Nuovo Ordine Mondiale è un sistema ideale, retto da iniziati assai più saggi del popolo, idonei a governare la massa. La democrazia? E’ solo teorica: per l’autogoverno del popolo servirebbero le informazioni essenziali, che invece la massa non ha. “Loro” sanno benissimo che la democrazia è una burla, e infatti l’hanno instaurata proprio per poter governare in segreto, in silenzio, per poi instaurare questo Nuovo Ordine, il cui ruolino di marcia sta avanzando perfettamente. Uno degli strumenti che i Templari usarono per ottenere il potere era il denaro: loro, infatti, hanno creato il sistema finanziario attuale. Erano il banconmat dell’epoca: potevi depositare il denaro in una loro “commenda” ottenendo in cambio un certificato; andavi in giro con quello e non con le monete, così non rischiavi di essere derubato, e poi potevi ritirare il capitale in qualunque parte del mondo sotto il loro controllo.Di fatto, i Templari hanno fondato il sistema bancario attuale. Hanno creato poi la Svizzera, provvedendo a renderla indipendente da ogni altro Stato. Non a caso la bandiera della Svizzera è il simbolo templare, sia pure leggermente modificato nel colore. E avendo giurato di distruggere la Chiesa e gli Stati nazionali, stanno tuttora perseguendo quell’obiettivo. Come lo distruggono, uno Stato? Sempre nello stesso modo, col denaro: le crisi economiche. Usano quello stesso strumento che i primi Templari avevano creato per il benessere di tutti, e che non era stato capito. Le forze oscure all’epoca distrussero i Templari, e oggi i loro “eredi” si vendicano, metaforicamente, distruggendo tutto a loro volta, sempre con quel denaro che si voleva utilizzare per il bene del popolo. La verità è che nei secoli questi Templari, poi confluiti anche nella massoneria, hanno sì limitato il potere degli Stati nazionali e abbattuto il potere temporale della Chiesa cattolica, ma sono stati infiltrati dalle correnti peggiori, quelle più nere. Così abbiamo il perseguimento di questa agenda, che va verso un Nuovo Ordine Mondiale. Teoricamente sarebbe un obiettivo condivisibile, ma non con questi mezzi – cioè la distruzione sistematica di intere popolazioni, disagi sociali, guerre a ripetitizione nei paesi del terzo mondo per farne emigrare gli abitanti e preparare qui una immensa mescolanza, facilmente centralizzabile quando – fra qualche decennio – le nazioni non esisteranno più.(Paolo Franceschetti, dichiarazioni rilasciate a Fabio Frabetti nella trasmissione web-radio “Border Nights” del 16 aprile 2019).Quanti sanno che la cattedrale di Notre-Dame de Paris è un progetto templare dedicato in apparenza alla Maddalena, ma in realtà alla Dea Madre, la Terra? Lo afferma il simbologo Paolo Franceschetti, avvocato, a lungo impegnato a far luce su misteri italiani e delitti rituali. In un intervento a “Border Nights” all’indomani del rogo nella capitale francese, Franceschetti rivela che Notre-Dame, dopo Chartres, doveva servire a «riportare sulla Terra l’energia femminile, oscurata per secoli dal Vaticano». Il web complottista è a caccia di possibili retroscena sull’eventuale origine dolosa del disastro. L’unica certezza, per ora, è la sicurezza ostentata dalle autorità, convinte di poter escludere la pista terroristica. L’ombra del templarismo, però, negli ultimi anni ha scosso Parigi: richiamavano direttamente la simbologia templare gli attentati affidati alla manovalanza dell’Isis. Una strana “firma”, per siglare fatti di sangue particolarmente efferati, come se si trattasse di una vendetta: proprio a Parigi fu bruciato sul rogo Jacques de Molay, l’ultimo gran maestro dell’Ordine del Tempio, i cui superstiti poi confluirono in parte nella futura massoneria (di seguito, le riflessioni testuali di Franceschetti).
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Federico Caffè fu fatto sparire dai killer di Palme e Sankara
Non abbiate paura, il Deep State non è più un monolite oscuro: tra le sue fila oggi ci sono anche i “buoni”, che vigilano sui politici coraggiosi. Tesi firmata da Gioele Magaldi, frontman italiano della massoneria progressista sovranazionale e autore del saggio “Massoni”, che nel 2014 ha svelato il vero volto – supermassonico – dell’oligarchia reazionaria che da decenni regge le sorti del pianeta. In vena di rivelazioni, Magaldi oggi si spinge oltre. Il caso Julian Assange? Aspettate e vedrete: non tutti i mali vengono per nuocere. Può darsi che il suo ruvido arresto non preluda a chissà quale punzione: niente di più facile che si ritorca contro i personaggi messi in imbarazzo proprio dal fondatore di Wikileaks (come Hillary Clinton, accusata di aver truccato le primarie democratiche Usa, che in realtà sarebbero state vinte dall’outsider Bernie Sanders). E non è tutto: il 3 maggio, a Milano, sono in arrivo rivelazioni potenzialmente esplosive sul mistero del professor Federico Caffè, insigne economista keynesiano scomparso da Roma il 15 aprile 1987. Dietro, anticipa Magaldi, c’è la stessa mano che un anno prima aveva assassinato il premier svedese Olof Palme, e che di lì a poco avrebbe ucciso Thomas Sankara, leader rivoluzionario del Burkina Faso. Tre personaggi scomodi, che ostacolavano il dominio globale neoliberista. Oggi però – altra notizia – non sarebbe più possibile eliminarli: «Fare il gioco sporco, ai nemici della democrazia, non conviene più: sanno perfettamente che in quello stesso Deep State ci sono anche elementi progressisti».Unico indizio a disposizione, per ora: la sicurezza italiana. Tra il 2015 e il 2016, dopo la strage nella redazione parigina di Charlie Hebdo, l’intera Europa sembrava sul punto di trasformarsi in un mattatoio. Eppure, Magaldi annunciò: vedrete che il nostro paese non subirà attentati. Motivo: l’antiterrorismo italiano è “pulito” e coopera strettamente con settori della Cia altrettanto leali. Il terrorismo targato Isis, aggiunse, può colpire solo in paesi dove i servizi segreti sono infiltrati dagli agenti della strategia della tensione: la Francia in primis, ma anche – come si è visto – il Belgio e la Spagna, il Regno Unito e la Germania. In altre parole: se i “cattivi” hanno orchestrato il terrore per affermare il loro potere (magari impaurendo Hollande per poi lanciare Macron), sul fronte opposto i “buoni” si sono accordati per unire le forze e proteggere almeno uno Stato europeo: non un paese a caso, naturalmente, ma l’Italia che di lì a poco sarebbe diventata gialloverde. Messaggio: non siete più onnipotenti, se c’è un pezzo di Europa che resta al riparo del vostro stragismo che spara nel mucchio, mietendo vittime tra i passanti. E sarà proprio l’Italia la prima pietra su cui costruire una nuova Europa, finalmente democratica.Missione compiuta? Solo a metà: gli ultimi anni in Italia sono trascorsi senza sangue, ma il governo Conte si è lasciato ugualmente spaventare da Bruxelles. Colpa del Deep State, ammette il deputato grillino Pino Cabras: al governo, dice, insieme ai 5 Stelle e alla Lega c’è anche un terzo incomodo, lo “Stato profondo” che ha potentissimi terminali anche al Quirinale, e lavora per sabotare il cambiamento. Nel bloccare la nomina di Paolo Savona al ministero dell’economia, Sergio Mattarella spiegò che “i mercati” (veri padroni della situazione, quindi, a prescindere dalle elezioni) non l’avrebbero gradito, quel ministro. Con Savona all’economia, non avrebbero esitanto a mettere nei guai l’Italia con il ricatto dello spread. Dal convegno londinese sul New Deal Europeo, organizzato dal Movimento Roosevelt, Cabras ha rincarato la dose: lo “Stato profondo” è insediato ovunque, anche nei ministeri oltre che al Colle, e sta frenando qualsiasi cambio di paradigma: «Lega e 5 Stelle sono divisi su tutto, tranne che su un punto: resistere al Deep State, nel tentativo di dare più soldi agli italiani». Magaldi apprezza il coraggio di Cabras, la cui denuncia – clamorosa – è passata sotto silenzio, letteralmente ignorata dai media. «Il Deep State, però, non può diventare un alibi: perché il governo gialloverde non ci ha nemmeno provato, a rompere le regole Ue con un bel 10% di deficit. Si è limitato a quel misero e inutile 2%, prendendo schiaffoni a Bruxelles e tornando a Roma con la coda tra le gambe».Poteva andare diversamente? «Doveva», dice Magaldi. Che spiega: tutto sta cambiando, ai piani alti. «E già oggi, i politici intenzionati a lavorare per il benessere della collettività non hanno più motivo di avere paura di essere soli, di fronte a chi vorrebbe delegittimarli con la diffamazione o addirittura ucciderli, come nel caso di Palme e Sankara, o magari farli sparire, come accadde a Federico Caffè». Ed ecco la rivelazione, che Magaldi anticipa il 15 aprile a Fabio Frabetti di “Border Nights” nella diretta web-streaming settimanale del lunedì, su YouTube: al convegno milanese del 3 maggio (“Nel segno di Carlo Rosselli, Olof Palme e Thomas Sankara, contro la crisi globale della democrazia”) sarà lo stesso Magaldi a fornire dettagli inediti sui mandanti della sparizione di Caffè. Altre notizie clamorose saranno fornite dall’economista Nino Galloni, vicepresidente del Movimento Roosevelt e già allievo di Federico Caffè. Il professore era il più importante economista keynesiano: formò personaggi come Mario Draghi e Marcello De Cecco, Bruno Amoroso e Ignazio Visco (Bankitalia), Franco Archibugi e Giorgio Ruffolo. E poi Luigi Spaventa, Enrico Giovannini, Ezio Tarantelli (assassinato dalle Br) e lo stesso Alberto Bagnai, ora senatore leghista.Persino Wikipedia scrive che Federico Caffè fu uno dei principali diffusori della dottrina keynesiana in Italia, occupandosi tanto di politiche macroeconomiche che di “economia del benessere”: «Al centro delle sue riflessioni economiche ci fu sempre la necessità di assicurare elevati livelli di occupazione e di protezione sociale, soprattutto per i ceti più deboli». In altre parole, era il “cervello” dell’economia democratico-progressista: piena occupazione e welfare, cioè l’esatto contrario della politica del rigore che avrebbe preso il sopravvento, diventando un dogma – lo strapotere dei “mercati” – cui sembra piegarsi anche il Quirinale. La sua improvvisa scomparsa è un mistero rimasto irrisolto? Ufficialmente sì, ma non per Magaldi: secondo il presidente del Movimento Roosevelt, il convegno di Milano strapperà finalmente il velo sul caso Caffè. «C’è un filo rosso – avverte – che lega la sua sparizione agli omicidi di Olof Palme e Thomas Sankara». Palme, carismatico leader socialdemocratico svedese, era il faro del socialismo europeo: aveva varato il miglior welfare del continente e stava per essere eletto segretario generale dell’Onu. Una carica che gli avrebbe consentito di vegliare anche sull’Europa, scongiurando l’avvento del feroce ordoliberismo mercantilista che, da Maastricht in poi, ha rimesso in sella l’élite impoverendo il 99% della popolazione.Quanto a Sankara, parla per lui l’esodo dei migranti che sbarcano in Italia partendo dall’Africa Subsahariana affamata dal neocolonialismo: tre mesi prima di essere assassinato, il giovane leader del Burkina Faso aveva chiesto la cancellazione del debito estero e la fine degli aiuti finanziari all’Africa, vere e proprie catene post-coloniali. Il sogno del socialista Sankara? Un’Africa libera e sovrana, padrona a casa propria, capace di crescere basandosi sulle sue forze. «C’è un nesso che collega l’omicidio di Sankara e quello di Palme alla sparizione di Federico Caffè», insiste Magaldi, preparandosi a fornire dettagli inediti su quegli eventi che, nella seconda metà degli anni ‘80, hanno contribuito a plasmare lo sconfortante scenario di oggi. Un nome esemplare? Mario Draghi: il super-banchiere della Bce «non ha seguito il suo maestro, Federico Caffè, e oggi è nel gotha dei burattinai, degli artefici della involuzione post-democratica dell’Europa e del mantenimento del paradigma ideologico neoliberista in Europa e nel mondo». Paradigma spietato, per il quale ha duramente lavorato il Deep State massonico reazionario di cui lo stesso Draghi, secondo Magaldi, è un autorevolissimo esponente.Si può credere, a Magaldi? Qualcuno, di fronte al saggio “Massoni” (bestseller italiano, ignorato dai media mainstream) si è ritratto, rifugiandosi dietro l’assenza di prove documentali. Falso problema, assicura l’autore, che in premessa avverte: «Chiunque si senta diffamato me lo segnali, ed esibirò le carte che lo riguardano: dispongo di 6.000 pagine di documenti, troppo ingombranti per essere inseriti in un volume». Corollario: nessuno dei tantissimi big menzionati – Napolitano e Monti, lo stesso Draghi – si è azzardato a smentire alcunché. Meglio la consegna del silenzio. Ma il meccanismo innescato da quel libro sembra inesorabile: operazione trasparenza. Nel 2015, Magaldi ha fondato il Movimento Roosevelt. A fine marzo, ha promosso a Londra un confronto strategico tra economisti e politologi per mettere a fuoco un possibile New Deal europeo, basato sul recupero di Keynes (spesa pubblica strategica) per abbattere l’ideologia dell’austerity e restituire benessere alla popolazione. E ora è in arrivo l’assise milanese su Rosselli, Palme e Sankara, con anche le inedite news sulla sorte di Federico Caffè. «Questo incontro serve a dire: viviamo da decenni sotto la cappa di un’ideologia imperante e pervasiva, egemonizzante – il neoliberismo – che noi adesso rifiutiamo radicalmente».Il Movimento Roosevelt, continua Magaldi, si ispira alla lezione di Rosselli, Palme e Sankara: «Il nostro è un laboratorio politico che ha iniziato il suo percorso rivoluzionario a Londra, e a Milano affronta la sua seconda tappa». Teoria e pratica del Piano-B: «La nostra è un’ideologia social-liberale, opposta al neoliberismo: vogliamo proporla in Europa e nel mondo, ridando fiato a una corrente di pensiero che è stata rimossa, nei vari centrosinistra e centrodestra di tutto l’Occidente, a favore di una pervasività dogmatica del neoliberismo». Non si scherzava, ai tempi di Rosselli, ucciso su mandato del regime fascista di Mussolini. Ma c’era poco da ridere anche all’epoca di Palme, unico premier europeo assassinato mentre era in carica: freddato nella civilissima Svezia all’uscita di un cinema, nel cuore dell’Europa democratica. Il killer? Rimasto nell’ombra, ma fino a un certo punto: gli svedesi ricordano benissimo la strana morte del giallista Stieg Larsson, che al caso Palme si era interessato svolgendo indagini accurate, fino a consegnare alla polizia svariati documenti. La pista: servizi segreti, Deep State oscuro. Nel saggio “Dalla massoneria al terrorismo”, uscito nel 2016, Gianfranco Carpeoro – dirigente del Movimento Roosevelt – ricorda che, alla vigilia dell’omicidio Palme, un certo Licio Gelli indirizzò al senatore statunitense Philip Guarino il seguente telegramma: “La palma svedese sta per cadere”.Se ti metti contro il Deep State, puoi rischiare la pelle: succede spesso, ed è capitato anche a Julian Assange. «Puoi essere fatto fuori con la diffamazione e la delegittimazione, con il fango che ti gettano addosso, oppure puoi essere eliminato». Assange? «Ha avuto coraggio», ammette Magaldi: «C’è dell’eroismo, nel suo agire». Per Magaldi, però, il destino del fondatore di Wikileaks non è segnato: «La questione è estremamente complessa», si limita per ora a dire l’autore di “Massoni”, lasciando capire che attorno al giornalista australiano si muovono forze diverse e opposte, e che l’estradizione richiesta da Trump potrebbe non trasformarsi in una feroce vendetta nei confronti di Assange. Il motivo? Sempre lo stesso: starebbe cambiando la natura del Deep State. O meglio, la sua composizione. «Oggi, se si ha il coraggio di svolgere il proprio mandato democratico – dichiara Magaldi – lo si può fare senza più il timore di essere eliminati, perché nel Deep State c’è stata, è in corso e si sta irrobustendo di mese in mese una riorganizzazione dei circuiti massonici progressisti, i quali non consentiranno – come è stato in passato – che nessun sincero politico democratico venga assassinato o eliminato in modo improprio».Beninteso: il nemico è ancora molto potente. Uomini che hanno conquistato i posti chiave della finanza, dell’economia, degli Stati. Magaldi li definisce «gli alfieri della massoneria neoaristocratica, i costruttori dell’ideologia neoliberista: quelli che tuttora gestiscono una globalizzazione di merci e capitali che non è fatta anche di diritti, di democrazia e di giustizia sociale». Ma aggiunge: «Credetemi, oggi a quei signori non conviene giocare sporco, nel momento in cui nella questione sono coinvolti anche i massoni democratico-progressisti che hanno la stessa consuetudine con il Deep State. Non gli conviene, è un problema di calcolo». E insiste: «Se c’è qualcuno che vuole agire a beneficio del popolo non abbia paura, non si lasci fermare da minacce o blandizie. Vada avanti per la sua strada, perché c’è chi è in grado, con la sua sola presenza, di frapporsi alle indebite interferenze da parte di rappresentanti del Deep State che vogliono sovvertire le regole del gioco democratico, piegandole a interessi opachi di natura privata». Per questo, aggiunge Magaldi, non hanno più scuse tutti quei politici «divenuti maggiordomi e camerieri, senza più quella forza di elaborazione politica che a molti, nel Novecento, è costata la vita».Oggi, assicura Magaldi, i politici che volessero davvero «difendere il senso e la dignità del proprio mandato, operando al servizio della collettività», possono evitare di farsi intimidire o corrompere per eseguire gli ordini dei soliti burattinai: «Li invito a cercare proprio nell’ambito del Deep State quei circuiti progressisti che sono impegnati per la difesa della democrazia, e che quindi potranno garantire che il Deep State oscuro non interferisca più con lo svolgimento di una normale dialettica democratica». Magaldi è stato affiliato alla Thomas Paine, la più progressista delle 36 Ur-Lodges che gestiscono il back-office del potere mondiale. Il suo Grande Oriente Democratico, movimento massonico d’opinione, è collegato alle superlogge progressiste. E’ in corso una sorta di guerra inframassonica: dopo decenni di letargo, la componente democratica si starebbe risvegliando. Le prove del contrattacco in corso? Tanto per cominciare, la sicurezza di cui ha goduto l’Italia durante l’ultima stagione dell’infame auto-terrorismo europeo, targato Isis ma gestito da settori inquinati dell’intelligence. E ora, dice Magaldi, i cavalieri oscuri del peggior Deep State si preparino: il convegno di Milano svelerà dettagli clamorosi anche sulla misteriosa scomparsa di Federico Caffè.Non abbiate paura, il Deep State non è più un monolite oscuro: tra le sue fila oggi ci sono anche i “buoni”, che vigilano sui politici coraggiosi. Tesi firmata da Gioele Magaldi, frontman italiano della massoneria progressista sovranazionale e autore del saggio “Massoni”, che nel 2014 ha svelato il vero volto – supermassonico – dell’oligarchia reazionaria che da decenni regge le sorti del pianeta. In vena di rivelazioni, Magaldi oggi si spinge oltre. Il caso Julian Assange? Aspettate e vedrete: non tutti i mali vengono per nuocere. Può darsi che il suo ruvido arresto non preluda a chissà quale punizione: niente di più facile che si ritorca contro i personaggi messi in imbarazzo proprio dal fondatore di Wikileaks (come Hillary Clinton, accusata di aver truccato le primarie democratiche Usa, che in realtà sarebbero state vinte dall’outsider Bernie Sanders). E non è tutto: il 3 maggio, a Milano, sono in arrivo rivelazioni potenzialmente esplosive sul mistero del professor Federico Caffè, insigne economista keynesiano scomparso da Roma il 15 aprile 1987. Dietro, anticipa Magaldi, c’è la stessa mano che un anno prima aveva assassinato il premier svedese Olof Palme, e che di lì a poco avrebbe ucciso Thomas Sankara, leader rivoluzionario del Burkina Faso. Tre personaggi scomodi, che ostacolavano il dominio globale neoliberista. Oggi però – altra notizia – non sarebbe più possibile eliminarli: «Fare il gioco sporco, ai nemici della democrazia, non conviene più: sanno perfettamente che in quello stesso Deep State ci sono anche elementi progressisti».
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Che bel regalo, Draghi senatore a vita e poi al Quirinale
Che bel regalo, se Mario Draghi venisse nominato senatore a vita. Regalo per chi? Ovvio: per quelli che, come Gioele Magaldi, sono impegnati a smascherare l’ineffabile inventore del “pilota automatico”, la tragica farsa dell’algoritmo finanziario che di fatto confisca la sovranità democratica e rende inutili le elezioni. «Una volta al potere in Italia, Draghi sarebbe costretto a mostrare il suo vero volto: e dovrebbe andare in giro non con una, ma con cinque scorte». Il draghetto Mario? «Più che a Palazzo Chigi o meglio ancora al Quirinale, lo vedrei bene in tribunale: dovrebbe rispondere, finalmente, di tutti i danni che ha causato al nostro paese», dice Magaldi, che nel saggio “Massoni” (Chiarelettere, 2014) traccia un profilo inedito del “venerabile” super-banchiere. Allievo dell’economista keynesiano Federico Caffè, si laureò con una tesi che oggi può sembrare sconcertante. Ovvero: imporre all’Europa una moneta unica sarebbe un suicidio economico. Poi, accadde qualcosa. Il 2 giugno 1992, anche Draghi – allora direttore generale del Tesoro – salì a bordo del panfilo Britannia ormeggiato a Civitavecchia, dove il gotha della finanza atlantica progettava la grande privatizzazione del Belpaese. Da allora, anche grazie a Super-Mario, s’è scritta tutta un’altra storia: crisi e disoccupazione, erosione dei risparmi, iper-tassazione. Fino al “golpe bianco” del 2011 innescato dalla letterina della Bce – firmata insieme a Trichet – per la “deposizione” di Berlusconi e l’avvento di Mario Monti, con la regia di Napolitano.Folgorante, l’ascesa di Draghi nell’élite finanziaria mondiale: dal vertice di Bankitalia a quello della Bce, la mega-banca che emette l’euro, cioè la moneta che sarebbe stata “impossibile” e letteralmente insostenibile, per il giovane studente Mario. Determinante, si dice, il transito negli Usa: Draghi è stato uno stratega della Goldman Sachs, la banca speculativa più temuta al mondo: quella che, tra l’altro, truccò i bilanci della Grecia, creando le premesse per il crollo di Atene. A disastro avvenuto, Draghi si occupò dei greci anche nelle vesti di inflessibile censore della Troika europea, in rappresentanza della Bce. Una conversione, la sua – da Keynes al neoliberismo – che lascia stupefatti: il geniale economista inglese aveva ispirato le politiche espansive che hanno arricchito l’Europa, mentre i suoi avversari (da Von Hayek a Friedman) hanno impoverito i nostri popoli, espropriandoli del potere statale di spesa a beneficio dell’oligarchia finanziaria, divenuta l’unica padrona del denaro. Come si spiega, un simile voltafaccia, da parte di quello che, ai tempi di Caffè, si presentava come un promettente economista post-keynesiano? L’immenso potere del denaro, certo: il dominio di Wall Street è divenuto assoluto, specie dopo che Clinton abolì il Glass-Stegall Act, la norma con la quale Roosevelt aveva tagliato le unghie alla speculazione (separazione netta tra banche d’affari e credito alle imprese). Franata la diga, la finanza predatoria è diventata una lotteria perversa, capace di piegare gli Stati. E oggi infatti eccoci qui, a elemosinare decimali di deficit, implorando una tecnocrazia di non-eletti.Ma non è tutto. Nel suo saggio, Magaldi svela un retroscena illuminante: il massone Draghi milita in ben 5 Ur-Lodges. Le superlogge sovranazionali sono in tutto 36 organismi occulti e molto trasversali, in grado di controllare il pianeta, ben al di sopra dei governi. Per la cronaca, il presidente della Bce sarebbe affiliato alla “Edmund Burke”, alla “Pan-Europa” e alla “Der Ring”, nonché alla “Compass Star-Rose/Rosa-Stella Ventorum” e alla “Three Eyes”, veri e propri santuari della supermassoneria “neoaristocratica”, protagonista dell’attuale globalizzazione finanziaria e post-democratica imposta a mano armata anche con la guerra e, all’occorrenza, persino il terrorismo e la strategia della tensione, oltre che con l’arma dell’austerity che ha precarizzato il lavoro e impoverito le popolazioni occidentali. Tutto merito loro: a imporre le durezze della crisi sono i signori del “back office” supermassonico. Sono questi, dice Magaldi, i veri “azionisti” di Mario Draghi, comicamente celebrato – dai media – come una specie di salvatore della patria. E’ vero l’esatto contrario: l’Italia ha patito le conseguenze dell’azione di Draghi, che appartiene a un’oligarchia apolide, senz’altra patria che il denaro. «Viene presentato come il santo protettore dell’Italia? Mettetelo a Palazzo Chigi, e poi vedrete di che pasta è fatto», dice Magaldi, in web-streaming su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights”.Certo, visto dall’Italia oggi sembra remotissimo, Super-Mario, impegnato a vegliare sull’Europa dall’alto dell’Eurotower di Francoforte. Per questo, gli italiani riescono a bersi la versione del mainstream, che poi è questa: se non ha potuto fare abbastanza, per l’Italia, è perché il povero Draghi «aveva le mani legate dalle presunte regole della Banca Centrale Europea», e magari «era costretto a mediare con Jens Weidmann della Bundesbank». Tutte storie: «Fatelo governare, e vedrete di cosa sarà capace». Quanto sono fondate, le voci secondo cui Mattarella lo promuoverebbe senatore a vita, come già fece Napolitano con Monti, per poi proiettarlo a Palazzo Chigi? L’incarico alla Bce scadrà in autunno, e si sa che Draghi ambirebbe a prendere il posto di Christine Lagarde al vertice del Fmi. Secondo Magaldi, potrebbe anche concedersi un periodo sabbatico. Certo è che qualsiasi decisione sarà come sempre concertata con il super-potere finanziario, di cui Draghi resta una pedina di prima grandezza a livello mondiale. Senatore a vita, dunque? Non è dato saperlo. Probabilmente, dice Magaldi, la nomina potrebbe gradirla non tanto come “ascensore” verso la guida del governo, ma come viatico per un obiettivo più ambizioso: la presidenza della Repubblica. In ogni caso, aggiunge Magaldi, se mai dovesse fare il premier «sarebbe un regalo, per noi che combattiamo contro ciò che Mario Draghi rappresenta».Un simile esito sarebbe perfettamente speculare rispetto all’esperienza di Monti, che nel 2011 era osannato dai media, quando dalle pagine del “Corriere della Sera” «dispensava saggi consigli, ma non aveva mostrato come li avrebbe messi in pratica». Duro l’impatto con la realtà: «Averlo visto governare ci ha liberato per sempre dall’idea che Monti sia un uomo saggio e soprattutto preoccupato del bene collettivo degli italiani». Non pensate che con Draghi sarebbe diverso, chiarisce Magaldi, dal 2015 presidente del Movimento Roosevelt e ora promotore del “Partito che serve all’Italia”, per recuperare la perduta sovranità democratica. Draghi? Tuttora, viene proposto dal mainstream come il paladino degli interessi italiani, «l’uomo che ha risolto la crisi economica e che dalla Bce ha assicurato il “quantitative easing”, salvando le banche». Tutto falso: «Come banchiere centrale, è intervenuto quando i buoi erano già scappati dalla stalla, cioè quando l’economia europea era in picchiata e parecchi paesi erano ormai stati commissariati con l’avvento dei tecnocrati al governo». A quel punto, «Draghi ha fatto in modo che i denari arrivassero alle banche e non all’economia reale, per aiutare la quale non ha mosso un dito».Severo il giudizio di Magaldi sul super-banchiere europeo: «Mario Draghi è fra i registi di questa pessima governance post-democratica europea. E’ colui che ha detto che il “pilota automatico” è inserito nel sistema di gestione dell’economia dei vari paesi europei, e quindi non importa chi viene eletto: o aderisce alle indicazioni di questo “pilota automatico”, o viene delegittimato». In più c’è l’ombra, imbarazzante, della crisi Mps: «Insieme ad Anna Maria Tarantola, che all’epoca guidava la vigilanza di Bankitalia – continua Magaldi – Draghi è anche responsabile, per l’Italia, di quello che è accaduto nella pessima gestione del Monte dei Paschi di Siena». Quindi, non dovrebbe essere gratificato di un posto di senatore a vita: «Semmai – dice Magaldi – dovrebbe essere messo sotto processo, anche per i danni che ha fatto, nella gestione delle privatizzazioni all’italiana, come direttore generale del ministero del Tesoro, carica rivestita ininterrottamente dal 1992 al 2001». Purtroppo viviamo in un mondo orwelliano, che ribalta la verità: e così Mario Draghi, «che è stato tra i personaggi più funesti, per il destino d’Europa e d’Italia», oggi «viene santificato dai media mainstream».“Mister Euro” direttamente al comando dell’Italia, una volta rottamata la deludente esperienza gialloverde? Niente paura, dice Magaldi: «Questa situazione ci deve mettere di buon umore». E perché mai? «Perché è tipica dei momenti pre-rivoluzionari: alla vigilia di ogni rivoluzione, da chi occupa poltrone che stanno per franare miseramente proviene sempre un sussulto di arroganza, di disprezzo della verità, di imbroglio della comunicazione». Draghi a Palazzo Chigi? «Sarebbe un ottimo modo per vedere il suo vero volto, perché in questo mondo così veloce ormai le menzogne e i bluff durano poco. Dategli anche la presidenza della Repubblica, e poi ci divertiremo: perché ormai siamo arrivati alla frutta». Sulla crisi in corso, Magaldi è nettissimo: «L’Italia è stanca di essere malata, e ormai vede che non c’è stata nessuna cura». Pie illusioni, quelle alimentate dai gialloverdi: «Ignominiosa la rinuncia a lottare per il deficit, e vergognosa le genuflessione di Di Maio davanti alla Merkel». Tradotto: l’Italia ha perso un anno di tempo, dando credito a Lega e 5 Stelle. Domani il super-potere oserà schierare addirittura Draghi per spegnere gli ultimi focolai di ribellione, disinnescando la speranza che dall’Italia possa partire il riscatto democratico europeo? Quello, scommette Magaldi, sarà il segnale: di fronte a tanta arroganza, gli elettori finalmente insorgeranno. Primo passo: licenziare i finti rivoluzionari gialloverdi, che si sono fatti prendere a sberle dai signori di Bruxelles e dal loro nume tutelare, il potentissimo Mario Draghi.Che bel regalo, se Mario Draghi venisse nominato senatore a vita. Regalo per chi? Ovvio: per quelli che, come Gioele Magaldi, sono impegnati a smascherare l’ineffabile inventore del “pilota automatico”, la tragica farsa dell’algoritmo finanziario che di fatto confisca la sovranità democratica e rende inutili le elezioni. «Una volta al potere in Italia, Draghi sarebbe costretto a mostrare il suo vero volto: e dovrebbe andare in giro non con una, ma con cinque scorte». Il draghetto Mario? «Più che a Palazzo Chigi o meglio ancora al Quirinale, lo vedrei bene in tribunale: dovrebbe rispondere, finalmente, di tutti i danni che ha causato al nostro paese», dice Magaldi, che nel saggio “Massoni” (Chiarelettere, 2014) traccia un profilo inedito del “venerabile” super-banchiere. Allievo dell’economista keynesiano Federico Caffè, si laureò con una tesi che oggi può sembrare sconcertante. Ovvero: imporre all’Europa una moneta unica sarebbe un suicidio economico. Poi, accadde qualcosa. Il 2 giugno 1992, anche Draghi – allora direttore generale del Tesoro – salì a bordo del panfilo Britannia ormeggiato a Civitavecchia, dove il gotha della finanza atlantica progettava la grande privatizzazione del Belpaese. Da allora, anche grazie a Super-Mario, s’è scritta tutta un’altra storia: crisi e disoccupazione, erosione dei risparmi, iper-tassazione. Fino al “golpe bianco” del 2011 innescato dalla letterina della Bce – firmata insieme a Trichet – per la “deposizione” di Berlusconi e l’avvento di Mario Monti, con la regia di Napolitano.
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Si scrive Brexit, ma si legge Commonwealth. E addio Merkel
Con la Brexit c’è una parte d’Inghilterra che si vuole riposizionare geopoliticamente, privilegiando i rapporti commerciali con l’area del Pacifico, l’India, l’Australia e il Canada, e al tempo stesso vuole liberarsi dei lacci e lacciuoli dell’Unione Europea. E’ un processo non facile e lungo, come stiamo vedendo, scrive Massimo Bordin su “Micidial”: «L’economia è un fatto commerciale e monetario, ma nel caso inglese quello monetario è secondario, avendo Londra sempre conservato la sterlina come moneta nazionale». Detto diversamente, l’Inghilterra ha voluto (e sta cercando di) uscire dall’Unione Europea «perché Bruxelles lega i paesi membri attraverso un sistema doganale che avvantaggia alcuni paesi a scapito di tutti gli altri, sfasandone le bilance commerciali». In Italia, ad esempio, «molti media da anni difendono il mercato comune, sottolineando i tanti vantaggi che la fine delle barriere doganali avrebbe portato al paese». Per Bordin, questa visione «è miope e in malafede», perchè proprio quando negli anni ‘90 l’Unione si stava burocratizzando al suo interno, «il resto del mondo procedeva a instaurare nuovi rapporti commerciali, rendendo obsoleto il modello tedesco».Quello di Berlino, aggiunge Bordin, è un modello che porta vantaggi solo alla Germania, all’Austria e ai paesi del Benelux, penalizzando il resto d’Europa. «L’Inghilterra se n’è accorta per prima e ha pensato bene di andarsene, anche e soprattutto perchè ha fondato nei secoli scorsi il Commonwealth». Per chi non lo sapesse, ci sono 53 paesi che oggi appartengono allo storico network a guida britannica. «Tutti insieme fanno 2,2 miliardi di popolazione, sparsi in tutti i continenti del mondo, e in 16 di questi 53 paesi la Regina d’Inghilterra è anche il capo di Stato». Il termine Commonwealth può sembrare curioso, ma non è altro che un concetto della lingua inglese coniato da Oliver Cromwell durante la prima Rivoluzione Inglese. «La frase originale da cui esso deriva è “common wealth” o “the common weal”, e viene dal vecchio significato di “wealth”, che è “benessere”». Il termine, aggiunge Bordin, è stato poi utilizzato per identificare il Commonwealth delle Nazioni, un’organizzazione che unisce Stati che in passato erano parte dell’Impero Britannico (ammesso che abbia mai cessato di esistere).Sotto un profilo meramente logico, conclude Bordin, per gli inglesi è più intelligente commerciare col resto del mondo alle loro regole, piuttosto che con mezzo miliardo di europei con le regole tedesche. «Il motivo dei mancati accordi subiti dalla May sta tutto in questo fatto». Al contrario, i media e i documenti ufficiali «puntano a spiegarci la Brexit e le sue difficoltà sulla scorta di confini irlandesi, proroghe, divisioni parlamentari». Ma è tutta aria fritta, sostiene Bordin, secondo cui le vere difficoltà della Brexit «stanno nella posta in gioco, che è il commercio internazionale e le sue regole». O meglio: «L’impossibilità per gli inglesi di negoziare tariffe agevolate con i paesi extraeuropei». Ecco perchè il cosiddetto “no deal” «dovrebbe spaventare molto più Berlino che Londra». Per l’eventuale uscita senza accordo sono tutti in fibrillazione, ma secondo Bordin nel Regno Unito non accadrà proprio nulla. «E sarà persino divertente vedere come, dopo l’uscita “hard” della perfida Albione, tutti faranno finta di non aver mai evocato l’apocalisse».Con la Brexit c’è una parte d’Inghilterra che si vuole riposizionare geopoliticamente, privilegiando i rapporti commerciali con l’area del Pacifico, l’India, l’Australia e il Canada, e al tempo stesso vuole liberarsi dei lacci e lacciuoli dell’Unione Europea. E’ un processo non facile e lungo, come stiamo vedendo, scrive Massimo Bordin su “Micidial”: «L’economia è un fatto commerciale e monetario, ma nel caso inglese quello monetario è secondario, avendo Londra sempre conservato la sterlina come moneta nazionale». Detto diversamente, l’Inghilterra ha voluto (e sta cercando di) uscire dall’Unione Europea «perché Bruxelles lega i paesi membri attraverso un sistema doganale che avvantaggia alcuni paesi a scapito di tutti gli altri, sfasandone le bilance commerciali». In Italia, ad esempio, «molti media da anni difendono il mercato comune, sottolineando i tanti vantaggi che la fine delle barriere doganali avrebbe portato al paese». Per Bordin, questa visione «è miope e in malafede», perché proprio quando negli anni ‘90 l’Unione si stava burocratizzando al suo interno, «il resto del mondo procedeva a instaurare nuovi rapporti commerciali, rendendo obsoleto il modello tedesco».
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Magaldi: gialloverdi al 70% se osano sfidare il Deep State
Primo round: il governo gialloverde fa qualcosa di veramente eretico, straordinario e rivoluzionario. Ovvero: annuncia un deficit del 7-8%, o anche del 10%. Secondo round: l’eurocrazia insorge, massacrando l’Italia con ogni mezzo. E quindi minacce, ritorsioni, spread a mille, bocciatura del bilancio (e assedio dei media pro-Ue, a reti unificate). Terza mossa: il governo si dimette, clamorosamente, appellandosi agli elettori. Magari indice un referendum, come quello voluto in Grecia da Tsipras. Poi affronta nuove elezioni, e incassa un plebiscito: gialloverdi al 70% dei consensi. A quel punto, finalmente, la resa dei conti: epurazione di tutti i burocrati infiltrati dal potere-ombra negli uffici che contano, cominciando dai ministeri. Un sogno? Per ora, sì. Ma se non si agisce in questo modo, sostiene il sognatore Gioele Magaldi, la rivoluzione non l’avremo mai. E attenzione: per come siamo ridotti, proprio una rivoluzione – pacifica, democratica – è l’unica soluzione possibile, l’unica via d’uscita dignitosa dall’euro-stagnazione inflitta a tutta l’Europa, e in particolare all’Italia, dai signori del neoliberismo. Sono i super-oligarchi che impongono regole di ferro agli altri, ma campano alla grande facendosi fare leggi su misura per il loro business, anche truccando i conti pubblici come fa la Germania (che dichiara un debito all’80% del Pil mentre quello reale è il triplo).Non se ne esce mai, dal trappolone europeo? Certo, e non se ne uscirà fino a quando il cosiddetto Deep State sarà saldamente radicato in tutti i gangli vitali dello Stato. Burocrati e tecnocrati, servizi segreti pubblici e privati, banca centrale, uffici ministeriali, Quirinale. Ne ha parlato apertamente un parlamentare pentastellato, Pino Cabras, il 30 marzo a Londra. Eletto alla Camera in Sardegna lo scorso anno, Cabras – storico collaboratore di Giulietto Chiesa – ha partecipato al convegno “Un New Deal per l’Italia e per l’Europa”, promosso dal Movimento Roosevelt, soggetto meta-partitico fondato da Magaldi per rigenerare in senso democratico la politica italiana, stimolando i partiti a fare di più per recuperare la perduta sovranità popolare. Decisamente fuori programma l’esplicita ammissione di Cabras: a unire Lega e 5 Stelle, alleati ma sostanzialmente divisi su tutto, è l’impegno a resistere insieme alle “mostruose” pressioni del Deep State, che si è attivato per frenare il cambiamento promesso: dare più soldi agli italiani, ampliando il welfare e tagliando le tasse. Ed è intervenuto sin dal primo giorno, lo “Stato profondo”, inserendo le sue pedine nell’esecutivo Conte. Postilla: senza i “controllori di volo” (esempio, Tria al posto di Savona), il governo non sarebbe mai nato.Di Maio e Salvini hanno accettato la sfida: meglio di niente, si sono detti, perché solo il governo gialloverde (benché azzoppato in partenza) avrebbe potuto almeno tentare di cambiare qualcosa, liberando l’Italia dall’incubo dell’austerity. Ce l’ha fatta? No, purtroppo. Si è visto bocciare persino la timida richiesta di portare il deficit al 2,4%, cioè ben al di sotto del famigerato tetto del 3% imposto da Maastricht (e che la Francia di Macron violerà, con l’alibi della protesta dei Gilet Gialli). Proprio i Gilet Jaunes, sostiene Magaldi, erano un regalo della massoneria progressista internazionale. Il piano: destabilizzare la Francia, sentinella dell’euro-rigore, proprio mentre l’Italia friggeva, per quel misero 2,4%, sulla graticola della Commissione Europea. Ma il governo Conte non ne ha saputo approfittare: raro caso di insipienza politica e di mancanza di coraggio, di assenza di visione. Ora i pericoli sono dietro l’angolo: senza la necessaria benzina finanziaria per mantenere le promesse, i 5 Stelle sono già in picchiata nei sondaggi. Regge la Lega, ma solo per ora, grazie alla muscolarità (verbale) di Salvini. Però il tempo vola: in soli due anni, Matteo Renzi è passato dal 40% all’estinzione politica.Si spera nelle europee, per erodere il potere dello “Stato profondo” neoliberista che utilizza come clava l’asse franco-tedesco? Pie illusioni: secondo Magaldi non cambierà proprio niente, fino a quando la bandiera della protesta sarà agitata dai sedicenti sovranisti, velleitari demagoghi delle piccole patrie. Per chi non se ne fosse accorto, impera la globalizzazione: tutto è fatalmente interconnesso. Nessun paese, da solo, può sperare di uscire indenne da una fiera diserzione. Parla per tutti la Grecia, che disse “no” all’euro-tagliola. Risultato: Tsipras fu intimidito e costretto a piegarsi, tradendo la volontà del popolo. Alla Grecia arrivarono aiuti finanziari, ma solo per soccorrere le banche tedesche e francesi esposte con Atene. Il paese è stato sventrato, svenduto e distrutto, riducendo i greci in povertà. E nessuno Stato europeo è intervenuto in suo soccorso. In Francia, era stato François Hollande a candidarsi come anti-Merkel, promettendo di allentare il rigore di bilancio imposto da Bruxelles. Esito inglorioso: blandizie e minacce, compresi gli attentati terroristici targati Isis. In pochi mesi, Hollande ha ceduto su tutta la linea, rassegnandosi al ruolo di docile esecutore dell’ordoliberismo Ue.Anni fa, proprio Magaldi sosteneva che solo l’Italia avrebbe potuto accendere la miccia del cambiamento. «L’Italia traccia le strade», diceva Rudolf Steiner, attribuendo al Belpaese un ruolo storico di battistrada. Una specie di destino: prima il “format” dell’Impero Romano, poi il Rinascimento e la democrazia comunale, le prime università, le prime banche. Italia caput mundi, nel bene e nel male: in fondo, Hitler si considerava allievo del maestro Mussolini. Proprio l’Italia primeggiò ancora una volta nel dopoguerra: fece il record mondiale di crescita, con il boom economico, anche se non tutti applaudivano. L’uomo-simbolo di quegli anni ruggenti, Enrico Mattei, fu disintegrato a bordo del suo aereo. Oggi, dopo mezzo secolo, l’Europa è ancora una volta alle prese con il “problema” Italia, grazie a un governo teoricamente non-allineato a Bruxelles. Esecutivo capace di firmare un memorandum d’intesa commerciale con la Cina, che irrita pericolosamente gli Usa e manda su tutte le furie Parigi e Berlino, ovvero i due maggiori nazionalismi anti-europeisti su cui si regge l’infame Disunione Europea, quella che ha lasciato morire impunemente i bambini greci, negli ospedali rimasti senza medicine.Non bastano più, dice Magaldi, le sole analisi degli economisti democratici che in questi anni hanno smascherato tutte le bugie del neoliberismo. La prima: tagliare il debito pubblico risana l’economia. Falso: lo dimostra la scienza economica, da Keynes in poi, e lo confermano Premi Nobel come Krugman e Stiglitz. Ovvero: il deficit strategico – a patto che sia massiccio, e investito con oculatezza – può valere anche il 400%, in termini di Pil. Tradotto: oggi spendo dieci, e domani incasserò quattro volte tanto (lavoro, salari, consumi, e infine anche tasse). Beninteso: lo sanno tutti, a cominciare da quelli che fingono di non saperlo. Come Mario Draghi, che fu allievo del maggior economista keynesiano europeo – italiano, tanto per cambiare: il professor Federico Caffè. Tesi di laurea del giovane Draghi: l’insostenibilità di una moneta unica europea. Farebbe ridere, se non ci fosse da piangere. Specie se si calcola che Draghi fu accolto a bordo del Britannia, all’epoca della grande spartizione della Penisola, alla vigilia delle privatizzazioni degli anni ‘90 che hanno sabotato la nostra florida economia. Lo stesso Draghi ha lasciato il segno anche in Grecia: prima come manager della Goldman Sachs, la banca-killer che gonfiava i bilanci di Atene, e poi – a disastro compiuto – come inflessibile censore della Bce, in seno alla spietata Troika europea.Ancora lui, Mario Draghi, è l’uomo a cui risponde, di fatto, il governatore di Bankitalia. E proprio da Ignazio Visco, il presidente Mattarella – con una mossa senza precedenti – spedì l’allora premier incaricato, Conte, a prendere appunti su come non attuarlo affatto, il cambiamento appena promesso agli elettori. Pino Cabras lo chiama “Stato profondo”, e difende la strategia di Di Maio e Salvini: accettare la logica di una guerra di logoramento, dice Cabras, è l’unica soluzione praticabile. Non la pensa così Gioele Magaldi: a suo parere, è una tattica perdente. Nel libro “Massoni”, uscito nel 2014 per Chiarelettere, ridisegna la mappa del Deep State, presentandolo come interamente massonico. Un potere a due facce: quella progressista (da Roosevelt ai Kennedy, fino allo svedese Olof Palme) spinse avanti la modernità dei diritti sociali in senso democratico, nei decenni del grande benessere diffuso. L’altra faccia, oligarchica – Merkel e Macron, Prodi e D’Alema, lo stesso Draghi – ha chiuso i rubinetti della finanza pubblica, inaugurando la globalizzazione del rigore e quindi l’impoverimento generale della popolazione occidentale, fino alla quasi-sparizione della classe media (che infatti oggi in Italia vota Salvini e Di Maio).Contro questo regime, insiste Magaldi, non valgono più né le pregevoli rivelazioni dei tanti economisti onesti, né i recenti tatticismi dei gialloverdi. Serve una rivoluzione, a viso aperto. Un paese che dica: “Adesso sforiamo il tetto di Maastricht. E se non vi va bene, sospendiamo la vigenza dei trattati europei”. Addirittura? Certo, altra via non esiste. Se ci si piega al racket, l’estorsione continua all’infinito. Anche in politica: la molla su cui fa leva il prevaricatore è sempre la stessa, la paura. Se si smette di avere paura, tutto il castello crolla. Perché quel ricatto è basato su un sortilegio psicologico, come quello che rende misteriosamente tenebroso l’invisibile Mago di Oz, in apparenza invincibile: in realtà è soltanto una bolla, che può dissolversi in un attimo. E’ già successo, nella storia. Sotto la sferza della Grande Depressione, la destra economica consigliò a Roosevelt di tagliare il debito – pena, l’apocalisse. Ma il presidente, ispirato da Keynes, fece l’esatto contrario: espansione smisurata del deficit. Risultato: l’America, che era alle prese con l’incubo quotidiano della fame, divenne una superpotenza. Non è che siano cambiate, le regole: il sistema è sempre quello capitalista. Non solo: è diventato universale, incorporando anche Russia e Cina (che infatti, così come gli Usa e il Giappone, non hanno nessuna paura di fare super-deficit, sapendo che è il solo modo per alimentare il mercato interno dei consumi, e quindi l’occupazione).Il Mago di Oz ora si chiama Unione Europea, si chiama Eurozona. Una vergogna mondiale, senza più democrazia: comanda la Bce, insieme alla Commissione formata da tecnocrati non-eletti. Non c’è una vera Costituzione, e il Parlamento Europeo non può eleggere il governo europeo. Siamo precipitati nella barbarie di un neo-feudalesimo, una specie di Sacro Romano Impero. D’accordo, ma per volere di chi? Magaldi non ha esitazioni nell’indicare i responsabili: massoni reazionari. Militano nelle Ur-Lodges neoaristocratiche. Sono strutture segrete e trasversali, spregiudicate e apolidi, senz’altra patria che il denaro. Hanno deformato la stessa geopolitica: quando parliamo di Russia, Europa, Cina e Stati Uniti, dovremmo invece saper distinguere tra élite oligarchiche ed élite a vocazione democratica. Esistono anche quelle, infatti: sono di segno progressista. Negli ultimi decenni sono state costrette a cedere il passo alla plutocrazia neoliberista, ma adesso stanno rialzando la testa. Lo stesso Magaldi ammette di agire d’intelligenza con alcune di queste strutture, come la superloggia Thomas Paine. Problema pratico, innanzitutto: se è stata la supermassoneria a creare il problema, non può che essere la stessa supermassoneria (lato B, progressista) a contribuire a risolverlo.Magaldi non demonizza le Ur-Lodges, non ne fa una speculazione complottistica. Se la massoneria sa di aver fondato la modernità – Stato di diritto, laicità delle leggi, suffragio universale democratico – è umano che pensi (sbagliando) di poter fare quello che vuole, della sua “creatura”. La distorsione è cominciata negli anni ‘70, con il saggio sulla “Crisi della democrazia” commissionato dalla Trilaterale, potente entità paramassonica. La tesi: troppa democrazia fa male. Dove siamo arrivati, oggi? Lo si è visto: un certo signor Pierre Moscovici, non votato da nessuno, ha il potere di bocciare il bilancio del governo italiano regolarmente eletto. Lo si può subire in silenzio, un affronto simile? Nossignore: la verità va gridata. Lo stesso Moscovici sa benissimo che un deficit robusto farebbe volare l’economia. Una volta, lo sapeva anche la sinistra (che oggi tace). Lega e 5 Stelle? Si limitano a brontolare, ma poi ingoiano il rospo. Peggio: sparano a vanvera contro la massoneria, fingendo di non sapere che sono proprio i supermassoni oligarchici a ostacolare il loro governo. Cosa aspettano a vuotare il sacco?Magaldi è esplicito: le Ur-Lodges progressiste sono pronte ad aiutarli, se smetteranno di essere ipocriti sulla massoneria, come se non sapessero che persino il governo gialloverde pullula di massoni occulti, non dichiarati. Sperano nelle europee, leghisti e grillini? Errore grave: nessuno verrà in aiuto dell’Italia, se non sarà il nostro paese – per primo – ad alzare la testa. Come? Nell’unico modo possibile: una rivoluzione gandhiana, basata sull’obiezione ideologica. Può svanire in attimo, la grande paura del Mago di Oz, se solo qualcuno avrà l’elementare coraggio democratico che oggi ancora manca, ai gialloverdi. Una rivoluzione potrebbe spazzarli via in un amen, i mammasantissima del peggior Deep State. Restano invece al loro posto, i boiardi dello “Stato profondo”, proprio perché a proteggerli – prima di ogni altra cosa – è proprio la nostra stessa paura. Per Magaldi, scontiamo anche un vuoto culturale: da riempire, per la precisione, ricorrendo al socialismo liberale teorizzato da Carlo Rosselli. Una corrente di pensiero illuminante ma rimasta in ombra, schiacciata dal fascismo e dallo stesso socialismo massimalista, prima ancora che dal comunismo. Poi venne l’atroce neoliberismo, nelle due versioni: quella sfrontata, della destra economica reaganiana, e quella – più ambigua nella forma ma identica della sostanza – del “terzismo” di Anthony Giddens adottato dall’ex-sinistra occidentale, da Blair fino a D’Alema, grandi protagonisti dell’attuale post-democrazia.Il succo non cambia: Stato minimo. Il privato ha sempre ragione. Nei fatti, il neoliberismo è un imbroglio: santifica l’impresa, ma a spese dello Stato. E quando scoppia Wall Street, è il bilancio pubblico a tenere in piedi le banche-canaglia. Turbo-globablizzazione mercantile, e addio diritti. Delocalizzazioni, privatizzazioni. Parola d’ordine, per i non privilegiati: arrangiarsi. Dogma assoluto: demolire l’impresa pubblica, che era il cemento armato del boom italiano. In Svezia, Olof Palme impegnò lo Stato a salvare le aziende traballanti, a due condizioni: management statale, e lavoratori coinvolti come azionisti (con tanto di dividendi, a fine anno). Fu ucciso a Stoccolma nel 1986, all’uscita di un cinema. Tuttora sconosciuto il killer, ma non il mandante: possiamo chiamarlo Deep State. Con Palme, questa Europa cialtrona non sarebbe mai potuta nascere. Al leader svedese, il Movimento Roosevelt dedicherà un convegno a Milano il 3 maggio. Sul podio altri due giganti, lo stesso Rosselli e l’africano Thomas Sankara, anch’essi assassinati. Non difettavano di coraggio: sapevano di dover combattere, sfidando il potere ostile a viso aperto. E’ quello che dovrebbe fare anche l’Italia, ribadisce Magaldi. Sapendo che, da sole, le élite possono fare poco. Se però si sveglia il popolo, allora non c’è Deep State che tenga. E’ così che funzionano, le rivoluzioni che mandano avanti, da sempre, la storia dell’umanità.(Le riflessioni di Gioele Magaldi sono tratte dalla diretta web-streaming su YouTube “Gioele Magaldi Racconta” del 1° aprile 2019, condotta da Fabio Frabetti di “Border Nights”).Primo round: il governo gialloverde fa qualcosa di veramente eretico, straordinario e rivoluzionario. Ovvero: annuncia un deficit del 7-8%, o anche del 10%. Secondo round: l’eurocrazia insorge, massacrando l’Italia con ogni mezzo. E quindi minacce, ritorsioni, spread a mille, bocciatura del bilancio (e assedio dei media pro-Ue, a reti unificate). Terza mossa: il governo si dimette, clamorosamente, appellandosi agli elettori. Magari indice un referendum, come quello voluto in Grecia da Tsipras. Poi affronta nuove elezioni, e incassa un plebiscito: gialloverdi al 70% dei consensi. A quel punto, finalmente, la resa dei conti: epurazione di tutti i burocrati infiltrati dal potere-ombra negli uffici che contano, cominciando dai ministeri. Un sogno? Per ora, sì. Ma se non si agisce in questo modo, sostiene il sognatore Gioele Magaldi, la rivoluzione non l’avremo mai. E attenzione: per come siamo ridotti, proprio una rivoluzione – pacifica, democratica – è l’unica soluzione possibile, l’unica via d’uscita dignitosa dall’euro-stagnazione inflitta a tutta l’Europa, e in particolare all’Italia, dai signori del neoliberismo. Sono i super-oligarchi che impongono regole di ferro agli altri, ma campano alla grande facendosi fare leggi su misura per il loro business, anche truccando i conti pubblici come fa la Germania (che dichiara un debito all’80% del Pil mentre quello reale è il triplo).
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Magaldi: ipocriti e invidiosi, i nemici dell’accordo Italia-Cina
Bei sepolcri imbiancati, i nemici dell’accordo Italia-Cina: di loro, par di capire, “il più pulito ha la rogna”. Francia e Germania friggono d’invidia: ma come possono rinfacciare a Roma il fatto di aver scavalcato Bruxelles, se Parigi e Berlino sono reduci dal Trattato di Aquisgrana, stipulato come se l’Unione Europea non esistesse neppure? Una discreta faccia tosta anche da parte dell’alleato americano: furono proprio gli Usa ad aprire alla Cina le porte del mercato globale, ricorda Gioele Magaldi in web-streaming su YouTube con Fabio Frabetti. Sempre in video-chat con il conduttore di “Border Nights”, lo stesso Gianfranco Carpeoro (che del Movimento Roosevelt è un dirigente) rincara la dose: «Ha fatto benissimo, il governo Conte, a fare l’accordo con la Cina: tutela i legittimi interessi dell’Italia. Gli Usa strepitano? Pazienza, capiranno: anche loro mirano all’interesse nazionale. Ci rinfacciano che stringiamo un’alleanza con un paese non democratico? Prima ci spieghino la loro alleanza con monarchie autoritarie come l’Arabia Saudita». Aggiunge Carpeoro: «Dopo l’accordo con la Cina, ora l’Italia passi oltre: faccia fronte comune con paesi come la Spagna e la Grecia. E’ ora di metter fine al domino abusivo nord-europeo, finora esercitato da nazioni come la Germania, la Francia e l’Olanda».La verità è che siamo attaccati in modo pretestuoso da politici invidiosi e smemorati, sintetizza Gioele Magaldi. Sono ipocriti, i bellimbusti come Macron che vorrebbero imporre proprio all’Italia una cabina di regina europea per la gestione del commercio con Pechino. Quanto ai rimbrotti degli Usa, irritati dal fatto che l’Italia stringa accordi con un paese non esattamente democratico, Magaldi ricorda che fu proprio il massimo potere statunitense – ben incarnato da una struttura come la Trilaterale, guidata dai vari Kissinger, Rockefeller e Brzezinski – ad accogliere la Cina nel Wto, senza pretendere da Pechino né una svolta democratica né la tutela dei diritti sindacali del lavoro, pur sapendo che in quel modo la Cina avrebbe potuto immettere sul mercato globale prodotti a bassissimo costo. Del resto, sostiene Magaldi, questa è la natura dell’attuale globalizzazione progettata dalla massoneria sovranazione di segno reazionario: un club opaco, che ha anteposto il business ai diritti umani e alla sovranità democratica. Nessuno, oggi, ha le carte in regola per criticare l’Italia: chi dice di pretendere democrazia da Pechino non gestisce affatto in modo democratico la stessa governance europea, preferendo il neoliberismo mercantile al libero mercato, e la post-democrazia alla sovranità effettiva delle istituzioni, completamente piegate all’ordoliberismo dell’élite finanziaria.Pur ribadendo la propria fede atlantista, Magaldi critica la stessa Nato, che in passato supportò in Grecia il regime dittatoriale dei colonnelli. La Cina, ribadisce Magaldi, non è certo un modello di democrazia. E l’aspetto peggiore del suo turbo-capitalismo, che pure ha fatto progredire rapidamente il paese garantendo un crescente benessere, sono i protagonisti del boom cinese: grandi magnati che hanno acquisito posizioni dominanti, in patria e all’estero, in quanto provenienti dalla ristretta oligarchia del partito comunista. Da qui a contestare l’Italia, però, ne corre: tra i grandi gestori mondiali del vero potere – conclude Magaldi – nessuno è estraneo alla vorticosa ascesa della Cina, con la quale l’Italia ha giustamente stretto il suo recente accordo. Secondo Magaldi, il nostro paese dovrebbe insistere proprio nell’interpretare il suo ruolo naturale di “ponte”: non solo verso Pechino ma anche verso la Russia, l’Africa e il Medio Oriente, impegnandosi a sviluppare relazioni che, accanto ai commerci, producano un’evoluzione democratica dei partner. Tutto questo, per arrivare infine a pretendere – come il Movimento Roosevelt chiederà nel suo convegno il 30 marzo a Londra – un “New Deal Rooseveltiano” per l’Europa, basato sul recupero del capitalismo sociale keynesiano: un forte investimento pubblico per sostenere l’economia e, al tempo stesso, la conquista di istituzioni comunitarie finalmente democratiche.Bei sepolcri imbiancati, i nemici dell’accordo Italia-Cina: di loro, par di capire, “il più pulito ha la rogna”. Francia e Germania friggono d’invidia: ma come possono rinfacciare a Roma il fatto di aver scavalcato Bruxelles, se Parigi e Berlino sono reduci dal Trattato di Aquisgrana, stipulato come se l’Unione Europea non esistesse neppure? Una discreta faccia tosta anche da parte dell’alleato americano: furono proprio gli Usa ad aprire alla Cina le porte del mercato globale, ricorda Gioele Magaldi in web-streaming su YouTube con Fabio Frabetti. Sempre in video-chat con il conduttore di “Border Nights”, lo stesso Gianfranco Carpeoro (che del Movimento Roosevelt è un dirigente) rincara la dose: «Ha fatto benissimo, il governo Conte, a fare l’accordo con la Cina: tutela i legittimi interessi dell’Italia. Gli Usa strepitano? Pazienza, capiranno: anche loro mirano all’interesse nazionale. Ci rinfacciano che stringiamo un’alleanza con un paese non democratico? Prima ci spieghino la loro alleanza con monarchie autoritarie come l’Arabia Saudita». Aggiunge Carpeoro: «Dopo l’accordo con la Cina, ora l’Italia passi oltre: faccia fronte comune con paesi come la Spagna e la Grecia. E’ ora di metter fine al domino abusivo nord-europeo, finora esercitato da nazioni come la Germania, la Francia e l’Olanda».
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Stiamo diventando sempre più stupidi: crolla il Qi in Europa
Gli esseri umani starebbero diventando sempre più stupidi. Il nostro quoziente intellettivo (Qi), infatti, risulta letteralmente in caduta libera rispetto a quello misurato nei giovani degli anni ‘70. Basti pensare che dal 1975 ad oggi, in media, sono andati perduti 7 punti per ogni generazione. Una vera e propria ecatombe di materia grigia, scrive “Fanpage”: a portarla alla luce sono due ricercatori norvegesi del Centro Ragnar Frisch per la Ricerca Economica di Oslo, Bernt Bratsberg e Ole Rogeberg. I due hanno condotto un approfondito studio statistico sui dati di 730.000 giovani uomini, raccolti tra il 1970 e il 2009. «Tutti i partecipanti si preparavano a iniziare il servizio militare per il paese nordico, e sono stati così sottoposti ai test standard per valutare il loro quoziente intellettivo», spiega “Fanpage”. «Mettendo a confronto i risultati dei test, è emerso che i ragazzi di oggi sono sensibilmente più “stupidi” di quelli di 40-50 anni fa». In pratica, gli scienziati hanno dimostrato una inversione a U del cosiddetto “effetto Flynn”, dal nome del professor James Flynn: è lo scienziato (statunitense, emigrato in Nuova Zelanda) che per primo osservò l’aumento nel valore medio del quoziente intellettivo nella popolazione di alcuni paesi, che era salito di circa tre punti ogni decennio a partire dalla fine della Seconda Guerra Mondiale.Secondo gli studiosi norvegesi, le ragioni dell’incremento nell’intelligenza fino agli anni ‘70 sarebbero legate a un miglioramento di diversi fattori e condizioni di vita, dall’istruzione alla sanità, passando per l’alimentazione e il benessere generale. Ma a cosa è dovuto il preoccupante crollo del Qi avviatosi negli anni ‘70? Secondo gli scienziati di Oslo, la colpa sarebbe principalmente dei media, che avrebbero allontanato i giovani dalla lettura “intrappolandoli” davanti alla televisione e ai videogiochi, fino a indurli – negli ultimi anni – a trascorrere moltissime ore sui social network. I risultati dello studio, pubblicati sull’autorevole rivista scientifica “Pnas”, seguono quelli di un’altra ricerca condotta dallo stesso Flynn, nella quale emerse che il Qi medio degli adolescenti britannici era sceso di 2 punti in 28 anni. Poi, la caduta è diventata ancora più vistosa: in soli dieci anni, fra il 1999 e il 2009, gli inglesi avrebbero perso 14 punti di quoziente intellettivo, mentre i francesi 4 punti. In base a uno studio della rivista “Intelligence”, i britannici avevano un Qi medio di 114 punti nel 1999, e oggi invece sono appena 100 (dal canto loro, i francesi sarebbero ancora più in basso: appena 98 punti).“Vox News” cita una recente segnalazione di Maurizio Blondet: tutti gli studi ormai confermano che il Qi medio delle popolazioni occidentali sta scemando vistosamente da una quindicina d’anni. «Il calo è tanto più allarmante – sottolinea lo stesso Blondet – perché tutto il ventesimo secolo, al contrario, ha visto un aumento del Qi in Occidente, forse a causa del miglioramento generale della salute e dell’accesso all’educazione». Sulle cause del fenomeno, però, non c’è ancora nessuna certezza scientifica. «C’è chi chiama in causa i perturbatori endocrini, molecole contenute nella plastica che hanno l’effetto (fra gli altri) di ostacolare l’azione dello iodio, così importante nello sviluppo cerebrale: ricordiamo il “cretinismo alpino” di un tempo, che colpiva popolazioni carenti di sale iodato». “Vox News” punta il dito contro l’immigrazione, sostenendo che staremmo “importando” individui dall’intelligenza meno pronta: «Il mulatto è mediamente più intelligente del subsahariano ma meno dell’europeo. Mischiate Europa e Africa e avrete le favelas brasiliane». Proprio sicuri, che la spiegazione possa essere etno-lombrosiana? «Quando ti stai instupidendo – scrive “Vox” – figurati se ti accorgi del tuo instupidimento».Paolo Barnard, impietoso analista della contemporaneità, nel saggio “Il più grande crimine” punta il dito contro quella che chiama “esistenza commerciale”, l’avvento della mercificazione universale che ha spazzato via di colpo molti valori fondanti del vivere civile. Risultato: il mondo distopico di oggi, fatto di mera apparenza e popolato di individui resi apatici, indifferenti a tutto e ormai incapaci di lottare, sul piano sociale e politico. La generazione ruggente della rivolta studentesca del Sessantotto? Liquidata con un sapiente dosaggio di droghe immesse sul mercato. Poi il resto l’hanno fatto la globalizzazione e i signori del Wto, ma anche il web di massa, lo smartphone, lo stupidario di Facebook. Si legge meno: per questo si diventa stupidi? «Ha vinto Walt Disney, quindi abbiamo perso tutti», ebbe a sentenziare il sempre laconico Bob Dylan. Come dire: il dominio dell’apparenza è ormai planetario, non abbiamo scampo. Davvero? Punti di vista, sostiene a “Border Nights” l’eccentrico Fausto Carotenuto, approdato allo spiritualismo dopo anni di ruvido lavoro nell’intelligence Nato. La sua tesi: se inorridiamo di fronte alle tante aberrazioni cui ci tocca assistere, è perché i grandi poteri ricorrono sempre più spesso ai colpi bassi, puntando alla manipolazione di massa. Ma la buona notizia è che lo farebbero perché preoccupati dal nostro “risveglio” collettivo.Da qualche anno, Carotenuto ripete – in solitaria – la medesima diagnosi: i padroni della Terra scatenano guerre anche per abbassare il tono vitale delle moltitudini che si starebbero letteralmente ribellando al mainstream. La riprova? Almeno un cittadino su tre non crede più a quello che gli viene raccontato, da chi comanda. Per questo, aggiuge Carotenuto, sta salendo l’intensità del “bombardamento” cui siamo sottoposti: terrorismo, stragi, cibo inquinato, vaccini imposti a tappeto, scie chimiche. Tutto fa brodo, per spegnere l’energia dei singoli (e magari abbassare anche la loro intelligenza, il famoso quoziente intellettivo). Una tesi originale ma mai convalidata, ad esempio, dal saggista Gianfranco Carpeoro, che si domanda: dove mai sarebbero tutti questi indizi di risveglio coscienziale? Prendiamo le elezioni: votiamo sempre con odio, contro qualcuno – mai per qualcosa. Dove pensiamo di andare, per questa strada? La caccia alle streghe è sempre in voga: il nemico è l’Uomo Nero, non il sistema che lo produce. Morto un mostro, se ne fa un altro. Ma difficilmente ci accorgiamo del trucco: ci basta poter sparare contro il cattivone del momento. E’ così che il sistema, la fabbrica dei mostri, finisce sempre per farla franca.Se Carotenuto evoca il ruolo di un antagonista esterno, annidato in quelli che chiama “mondi spirituali”, Carpeoro resta sul terreno del visibile: possibile, dice, che non ci rendiamo conto che facciamo tutto da soli? E dire che non ci mancherebbe niente. Le doti fondamentali sono già in noi: e si chiamano conoscenza, fiducia e coraggio. Siamo capaci di imparare e di amare. Il problema? Costa fatica. Bisogna impegnarsi, studiare, crescere. E per farlo ci serve la risorsa più preziosa: il tempo. Se corri dal mattino alla sera, non ti resta il tempo per niente. Hai bisogno di informazioni? C’è Google, sullo smartphone: tutto e subito, senza sforzo. Risulato immediato: la memoria si addormenta, e alla lunga si atrofizza. Un guaio: senza memoria non c’è conoscenza. Non puoi fare confronti tra ieri e oggi, finisci per ripetere gli stessi errori, non riesci a collegare fatti lontani nel tempo. Come uscirne? Lottando, per riconquistare il tempo. E’ l’unica chance, per diventare più consapevoli, quindi più liberi. E inevitabilmente, alla fine, anche più intelligenti.Gli esseri umani starebbero diventando sempre più stupidi. Il nostro quoziente intellettivo (Qi), infatti, risulta letteralmente in caduta libera rispetto a quello misurato nei giovani degli anni ‘70. Basti pensare che dal 1975 ad oggi, in media, sono andati perduti 7 punti per ogni generazione. Una vera e propria ecatombe di materia grigia, scrive “Fanpage”: a portarla alla luce sono due ricercatori norvegesi del Centro Ragnar Frisch per la Ricerca Economica di Oslo, Bernt Bratsberg e Ole Rogeberg. I due hanno condotto un approfondito studio statistico sui dati di 730.000 giovani uomini, raccolti tra il 1970 e il 2009. «Tutti i partecipanti si preparavano a iniziare il servizio militare per il paese nordico, e sono stati così sottoposti ai test standard per valutare il loro quoziente intellettivo», spiega “Fanpage”. «Mettendo a confronto i risultati dei test, è emerso che i ragazzi di oggi sono sensibilmente più “stupidi” di quelli di 40-50 anni fa». In pratica, gli scienziati hanno dimostrato una inversione a U del cosiddetto “effetto Flynn”, dal nome del professor James Flynn: è lo scienziato (statunitense, emigrato in Nuova Zelanda) che per primo osservò l’aumento nel valore medio del quoziente intellettivo nella popolazione di alcuni paesi, che era salito di circa tre punti ogni decennio a partire dalla fine della Seconda Guerra Mondiale.
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Brava Cina: capitalismo sociale, da noi inventato e perduto
Noi siamo abituati a pensare in termini eurocentrici, ma il mondo non è l’Europa, e lo sarà sempre meno se non capiamo politiche economiche che noi stessi abbiamo inventato, ma abbiamo abbandonato. In Cina c’è una “festa salariale”: il governo ha deciso di non tassare stipendi fino a 5.000 Yuan. Ha deciso di inserire detrazioni fiscali importanti se si hanno figli a scuola o genitori a carico. Ha deciso di poter detrarre spese mediche fino a 6.0000 Yuan l’anno (7.500 euro). Facciamo degli esempi: un operaio, da 4.500 Yuan ne prenderà 5.000 (prima era tassato al 10%). Un’impiegata, da 6.000 Yuan ne prenderà 8.000, perché ha figli a scuola e genitori a carico. Un responsabile da 9.300 Yuan che pagava il 25% di tasse avrà solo 31 Yuan di trattenute, perché ha un figlio a scuola e sta pagando un mutuo. Queste detrazioni diminuiranno se gli stipendi saranno accumulati oltre una certa misura, invogliando i lavoratori a fare spese per la propria famiglia. Cosa sta veramente facendo il governo cinese? Sta ponendo le basi per un welfare, attraverso la leva fiscale, che ha come scopo dare tranquillità salariale ai lavoratori cinesi.I cinesi non dovranno più preoccuparsi di aumentare il risparmio precauzionale. Stanno, in questo modo, orientando i consumi verso il mercato interno; e di conseguenza, anche il lavoro e la produzione saranno dedicati a questo mercato. Far crescere il salario sociale delle varie classi di lavoratori ha lo scopo di proteggersi dalle crisi sistemiche tipiche dell’Occidente, attraverso la crescita della domanda interna e un minor apporto di lavoro per le esportazioni. Cioè l’esatto contrario della strategia ordoliberista dell’Unione Europea. Il governo, con queste misure, aumenterà il rapporto deficit/Pil al 2,8%, ma molti analisti pensano che il Consiglio di Stato porterà il deficit/Pil al 5%, per rispondere alle crisi mondiali che sembrano convergere fra loro, in una specie di super-massa, o super-bolla.Aumentando il debito pubblico e diminuendo il risparmio precauzionale depositato dai cittadini, la banche pubbliche dirotteranno i loro enormi attivi verso la spesa pubblica e non più a investimenti privati che provocano, ormai da tempo, sovrapproduzione. L’impatto delle misure lo vedremo nei prossimi mesi. In buona sostanza, il governo cinese vuole evitare i danni che il capitalismo spinto produce, vuole distribuire i suoi frutti e armonizzarlo in un capitalismo più sociale, cosa che nel laboratorio-Italia si stava facendo, negli anni ‘60 del secolo scorso. Questa dinamica di crescita del mercato interno cinese potrebbe generare una crescita anche nel resto del mondo, in quota parte, per i prodotti che importeranno. Gli Usa hanno capito la posta in gioco, e non a caso premono per entrare in questo mercato. In Europa invece sono tutti intenti a varare norme e regole che strozzano i salariati: un continente che ormai vive in un altro mondo, e dallo stesso sarà buttato fuori.(Roberto Alice, “Mercato interno”, dal blog del Movimento Roosevelt del 4 marzo 2019. Appassionato studioso di economia e collaboratore del blog “Scenari Economici” diretto da Antonio Maria Rinaldi, Roberto Alice sarà tra i candidati del Movimento 5 Stelle alle elezioni regionali del Piemonte, maggio 2019).Noi siamo abituati a pensare in termini eurocentrici, ma il mondo non è l’Europa, e lo sarà sempre meno se non capiamo politiche economiche che noi stessi abbiamo inventato, ma abbiamo abbandonato. In Cina c’è una “festa salariale”: il governo ha deciso di non tassare stipendi fino a 5.000 Yuan. Ha deciso di inserire detrazioni fiscali importanti se si hanno figli a scuola o genitori a carico. Ha deciso di poter detrarre spese mediche fino a 6.0000 Yuan l’anno (7.500 euro). Facciamo degli esempi: un operaio, da 4.500 Yuan ne prenderà 5.000 (prima era tassato al 10%). Un’impiegata, da 6.000 Yuan ne prenderà 8.000, perché ha figli a scuola e genitori a carico. Un responsabile da 9.300 Yuan che pagava il 25% di tasse avrà solo 31 Yuan di trattenute, perché ha un figlio a scuola e sta pagando un mutuo. Queste detrazioni diminuiranno se gli stipendi saranno accumulati oltre una certa misura, invogliando i lavoratori a fare spese per la propria famiglia. Cosa sta veramente facendo il governo cinese? Sta ponendo le basi per un welfare, attraverso la leva fiscale, che ha come scopo dare tranquillità salariale ai lavoratori cinesi.
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Ma Greta è antica come Malthus, l’infelice profeta dell’élite
Siamo stati “creati” da antiche divinità o invece “fabbricati” dagli Elohim biblici come Yahvè, dunque “clonati” da entità forse extraterrestri? L’unica certezza è che, intanto, siamo qui a giocarcela: sta a noi provare a raddrizzare il mondo, anzitutto cercando di scoprire come ci siamo capitati. La teoria dell’evoluzione? Non spiega tutto, neppure quella. Ma viene usata nel modo peggiore, da chi ha rimpiazzato la Bibbia con Darwin per instaurare una nuova dominazione, quella del forte che prevale sul debole, con l’alibi della selezione naturale. Bisogna che qualcuno lo spieghi, alla giovanissima attivista svedese Greta Thunberg, trasformata in icona planetaria della mobilitazione culturale contro il cambiamento climatico, presentato come calamitoso prodotto delle sole, irresponsabili attività umane. Tutto comincia alla fine del ‘700 con l’economista e demografo inglese Thomas Robert Malthus: nel suo “Saggio sul principio della popolazione e i suoi effetti sullo sviluppo futuro della società”, Malthus sostiene che l’incremento demografico produrrà penuria di cibo, dato che l’umanità – questa la sua tesi – cresce più in fretta della disponibilità di alimenti. Vero o falso?Rigido pastore anglicano, Malthus raccomandava il controllo delle nascite, mediante il ricorso alla “castità”. Oggi la popolazione mondiale è esplosa: siamo sette miliardi e mezzo, eppure buttiamo via il 43% del cibo e dei beni che produciamo. Non siamo mai stati così ricchi, eppure ci stiamo impoverendo. Cosa manca? Non le risorse, ma la loro ragionevole distribuzione, se è vero che 800 milioni di persone soffrono la fame. Malthus non poteva sospettare che saremmo stati così abili nel rivoluzionare i mezzi di produzione con la tecnologia, riducendo in modo impensabile il consumo proporzionale delle materie prime. Dieci anni fa, l’allarmismo ecologista evocava l’incubo del “picco del petrolio”, di cui non si parla più dopo che sono stati scoperti immensi giacimenti. Scienziati russi sostengono che il petrolio non sia affatto una risorsa non rinnovabile, ma che si generi costantemente in tempi rapidi. Carlo Rubbia, Premio Nobel per la Fisica, avverte che la Terra negli ultimi anni si sta addirittura raffreddando. Quanto alla CO2, responsabile solo in minima parte dell’effetto serra, Rubbia propone di risolvere il problema attingendo alla nuovissima tecnologia che permette di usare il gas naturale a impatto zero, senza alcun residuo di anidride carbonica.La verità più scomoda di tutte, spiega l’economista Nino Galloni, vicepresidente del Movimento Roosevelt, è che nel secolo scorso siamo definitivamente usciti dal paradigma della scarsità: al punto da svincolare la moneta dalla zavorra del “gold standard”, il valore dell’oro – metallo prezioso perché raro – imposto come limite per evitare l’inflazione, cioè l’eccesso di valuta circolante rispetto alla quantità di merci disponibili. «Si assaltavano i forni perché mancava il pane, non essendovi abbastanza grano. Scenari oggi impensabili, impossibili – dice Galloni, su “ByoBlu” – perché la scarsità è stata storicamente sconfitta». Tranne che per un aspetto: la moneta. E’ detenuta da pochi, ed elargita col contagocce per nutrire l’usura finanziaria, da cui derivano le attuali sofferenze sociali. Ecco il punto, sottolinea Gioele Magaldi, che del Movimento Roosevelt è il presidente: è sempre meglio pesare con cautela le parole di chi predica sciagure imminenti. Non che l’atmosfera terrestre non sia fortemente alterata, o che quella dell’ecologia non sia una reale emergenza. Ma siamo sicuri che la soluzione sia proprio il freno ai consumi (cioè il taglio del welfare e del benessere diffuso) anziché invece, anche qui, l’acceleratore esponenziale della tecnologia, che poi è quello che ci ha permesso – in barba a Malthus – di crescere dieci volte tanto, imparando a produrre a bassissimo costo quantità immense di beni e merci, che infatti finiamo per gettare nella spazzatura?Beninteso, sappiamo perfettamente che le risorse dell’ecosistema-Terra non sono illimitate, precisa Magaldi, in web-streaming su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights”. Ma siamo certi che sia davvero la piccola Greta a doverci spiegare dove stia, esattamente, il punto di non ritorno, ammesso che esista? Un consiglio: la problematica ecologica, a partire dall’inquinamento generato dalle fonti energetiche “sporche” come il petrolio e il carbone, è materia complessa: «Forse è il caso di adottare un approccio un po’ più serio». Le manifestazioni di massa? «Fa piacere vedere l’impegno di tanti giovani». Ma il punto è un altro: c’è qualche proposta precisa, sul tappeto, che non sia la decrescita infelice del 99% dell’umanità, a fronte dell’imperterrita super-crescita (felicissima) dell’élite planetaria che ha innescato tutti i nostri disastrosi squilibri, sociali e ambientali, fino a imbarcare disperati su carrette del mare verso le nostre coste? Tutti migranti che poi scoprono, amaramente, che in Italia e in Europa oggi si vive molto peggio di vent’anni fa, essendo scomparsa la mobilità sociale su cui era basata la grande prosperità di un intero continente, alimentata anche dalla scandalosa razzia coloniale a spese della stessa Africa.Quello che Greta non sa, probabilmente, è che il baby-retropensiero di cui è imbevuta non è attuale, è addirittura antico. Un presupposto ideologico completamente sbagliato, smentito nel modo più clamoroso già nell’800 dal filosofo statunitense Ralph Waldo Emerson, che scrisse: «Affermando che le bocche si moltiplicano geometricamente e il cibo solo aritmeticamente, Malthus dimenticò che la mente umana era anch’essa un fattore nell’economia politica, e che i crescenti bisogni della società sarebbero stati soddisfatti da un crescente potere di invenzione». E’ per questo, in fondo, che siamo ancora qui, e che siamo così tanti. Vogliamo dichiararci sconfitti? Tornare indietro, come propone Greta? Il dibattito è vasto: persino l’invincibile Impero Romano un bel giorno crollò, ricorda Giuletto Chiesa, autore di saggi spesso basati sulle previsioni catastrofistiche dell’influente Club di Roma. Siamo sicuramente a un bivio, sostiene anche Magaldi: ma il problema non è se crescere o decrescere. Seriamente: siamo stati noi, negli ultimi decenni, a decidere le sorti del mondo? Ci siamo espressi con dei referendum per approvare questa globalizzazione forsennata e per mettere in piedi l’attuale, orrenda Disunione Europea? No, certo. E allora perché saltare l’ostacolo, fingendo di poter incidere sul destino climatico della Terra, senza prima essere riusciti a ristabilire innanzitutto la democrazia a casa nostra, dove persino i bilanci vengono imposti dalle “divinità” di Bruxelles, che nessuno ha mai eletto?Spiegate a Greta che il darwinismo sociale, quello che spinge il povero alla rassegnazione di fronte al potere “fisiologico” del ricco, è il più grande veleno mentale che sia stato immesso nella nostra società neoliberista, sintetizza Magaldi, che propone un antidoto chiamato John Maynard Keynes. Era il maggiore economista del ‘900, e ispirò il New Deal con il quale Roosevelt tirò fuori l’America dalla Grande Depressione, facendone la superpotenza mondiale che conosciamo. Come riuscì nella storica impresa? Tagliando le unghie alle banche speculative, padrone della “scarsità di moneta”, e spingendo lo Stato a investire fiumi di dollari, a deficit, per creare lavoro. Dai tempi di Nixon, la moneta – svincolata dall’oro – è tecnicamente illimitata, virtualmente a costo zero. Ma nel 1999 fu il “progressista” Bill Clinton a restituire a Wall Street l’antico potere, abrogando il Glass-Steagall Act, cioè la legge con la quale Roosevelt aveva separato le banche d’affari da quelle al servizio dell’economia reale. Da allora, è esplosa la follia finanziaria: secondo la Banca dei Regolamenti Internazionali, il debito finanziario (titoli tossici) è 54 volte il Pil mondiale. E facciamo le pulci all’Italia perché il suo debito pubblico è 1,3 volte il suo prodotto interno lordo?C’è scienza, in questo delirio. E ha un nome odioso: si chiama dominio. Ha idea, la piccola Greta, di come uscirne? O pensa che, schioccando le dita e cantando “Bella Ciao” in inglese, gli ex cittadini (e ora sudditi, italiani e non) possano davvero cambiare di una virgola il futuro del pianeta, addirittura nella certezza teologica che persino il clima – mutato più volte, catastroficamente, dall’età della pietra – dipenda davvero al 100% dalla demenziale comunità umana? Gioele Magaldi non teme neppure di misurarsi con la parola consumismo, distinguendo: perché mai condannare quello dei poveri, fingendo che non esista quello dei ricchissimi? Inoltre: se fin qui ci ha sospinto l’innovazione, per quale motivo dovremmo escludere che la tecnologia possa arginare sensibilmente anche i guai dell’effetto serra? Lo dicono economisti autorevoli: continuiamo a chiamare “rifiuti” quelle che sono risorse riciclabili. Il problema? L’economia circolare è abbondanza, distrugge l’idea di scarsità di moneta con cui il potere ci incatena tuttora. Ma Malthus sta per perdere un’altra volta, di fronte all’avvento della rivoluzione cibernetica: anziché strapparci i capelli perché i robot cancelleranno vecchi mestieri, dice Magaldi, perché non pensare che avremo più tempo per inventare nuovi lavori, meno pesanti e ripetitivi? A una condizione: prima, bisogna tornare sovrani. E non sarà una passeggiata. Ma non si scappa: senza la riconquista della democrazia, potremo solo intonare “Bella Ciao” insieme a Greta.Siamo stati “creati” da antiche divinità o invece “fabbricati” dagli Elohim biblici come Yahvè, dunque “clonati” da entità forse extraterrestri? L’unica certezza è che, intanto, siamo qui a giocarcela: sta a noi provare a raddrizzare il mondo, anzitutto cercando di scoprire come ci siamo capitati. La teoria dell’evoluzione? Non spiega tutto, neppure quella. Ma viene usata nel modo peggiore, da chi ha rimpiazzato la Bibbia con Darwin per instaurare una nuova dominazione, quella del forte che prevale sul debole, con l’alibi della selezione naturale. Bisogna che qualcuno lo spieghi, alla giovanissima attivista svedese Greta Thunberg, trasformata in icona planetaria della mobilitazione culturale contro il cambiamento climatico, presentato come calamitoso prodotto delle sole, irresponsabili attività umane. Tutto comincia alla fine del ‘700 con l’economista e demografo inglese Thomas Robert Malthus: nel suo “Saggio sul principio della popolazione e i suoi effetti sullo sviluppo futuro della società”, sostiene infatti che l’incremento demografico produrrà penuria di cibo, dato che l’umanità – questa la sua tesi – cresce più in fretta della disponibilità di alimenti. Vero o falso?
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Magaldi: Grillo in declino, senza idee. Orfano di Casaleggio
Bei tempi, quando Beppe Grillo attraversava a nuoto lo Stretto di Messina. Grande performance da sempre, lo spettacolo del vitalismo anche fisico del leader, come già Mao nello Yangtze. Era il 12 ottobre 2010, e l’autoironico Vaffa-man aveva 64 anni. Poco prima, ai NoTav “assediati” dalla polizia in valle di Susa, aveva detto: «Un bel giorno, un pugno di cinesi si misero in marcia e alla fine la vinsero, la loro rivoluzione. Bene, ascoltate: voi oggi siete quei cinesi». Era il Grillo che nel 2008 aveva tentato di concorrere alle primarie del Pd, rimediando le pernacchie del profetico Fassino: «Se vuol fare politica, Grillo si accomodi: può sempre fondare un suo partito». Detto fatto: l’ha fondato, ha battuto il Pd nel 2013 alla Camera e adesso, dopo l’alluvione di voti del 2018, è addirittura al governo (dopo aver sfrattato Fassino persino dal Comune di Torino). Ma a quanto pare, l’unica traccia della ventilata rivoluzione, ben poco “cinese”, è la lealtà dei 5 Stelle verso i NoTav, contro la grottesca Torino-Lione. Tutto il resto è evaporato nello zero-virgola del governo gialloverde, dopo le roboanti promesse della vigilia. Ecco perché oggi Grillo deve affrontare la peggiore delle nemesi, con gli ex supporter che bruciano le bandiere grilline davanti al teatri dove l’ex comico si esibisce. Tradimento? Questione di termini. Ma come chiamarla, la burla del finto reddito di cittadinanza, il sussidio nel quale il Sud aveva creduto in massa? L’altro guaio è che il nuotatore dello Stretto è rimasto solo, dopo aver perso Gianroberto Casaleggio.Tra chi se l’aspettava, la grigia parabola pentastellata, c’è il presidente del Movimento Roosevelt, Gioele Magaldi, osservatore privilegiato della scena italiana e autore del bestseller “Massoni” (Chiarelettere, 2014) che fotografa l’identità supermassonica dei peggiori globalizzatori. Una cupola reazionaria, che ha fondato l’attuale oligarchia del denaro chiamata neoliberismo: pochi ricchissimi, a spese della classe media che si sta impoverendo ovunque. O si cambia radicalmente paradigma, riesumando Keynes – con lo Stato che torna a investire massicciamente, non certo con deficit ridicoli come quello messo insieme dal governo Conte – o prima o poi assisteremo a una ribellione turbolenta e pericolosa. E a bruciare bandiere potrebbero non essere più solo i grillini delusi. In diretta web-streaming su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights”, Magaldi evoca scenari cupi: dato che in Europa la maggioranza della popolazione sta sempre peggio, precarizzata e terremotata dalle politiche di rigore, è impensabile che si continui così, cioè raccontando – all’infinito – che lo Stato deve “risparmiare”. Prendiamo l’Italia, in avanzo primario da anni: il governo toglie ai cittadini (con le tasse) più soldi di quanti ne conceda in servizi (spesa pubblica). Il saldo, per i contribuenti, è negativo. Risultato: disoccupazione record, Pil crollato, perso il 25% del potenziale industriale. Di fronte a questo, valgono poco i minuetti di Di Maio e le ciance bellicose e velleitarie di Di Battista.Solo teatro, per canalizzare il dissenso dirottandolo verso obiettivi innocui? Secondo Magaldi, la storia poteva finire diversamente se Gianroberto Casaleggio non fosse prematuramente scomparso, nel 2016. L’ideologo grillino aveva quello che agli altri manca: una visione. Era persino riuscito a convertire al messianismo del web un uomo come Grillo, che un tempo – nei suoi show – fracassava i computer. Non è il caso di santificarlo, Casaleggio senior: aveva i suoi difetti, ammette Magaldi. Per esempio: lo slogan fondante dell’identità grillina, l’idolatria dell’onestà, «ricorda da vicino la “questione morale” agitata dal Berlinguer che convise gli operai a ingoiare l’austerità, la rinuncia ai loro diritti sociali». Per intenderci: «L’onestà non può essere un valore politico: chi ruba deve vedersela coi magistrati, prima che con gli elettori». Una falsa pista, che avvelena l’aria: «La pretesa “diversità morale” dei comunisti italiani, sempre pronti a presentarsi come gli unici onesti in un mondo politico corrotto – dice Magaldi – rivela il vizio storico di quel comunismo che poi, ovunque sia salito al potere, ha creato oligarchie autoritarie e antidemocratiche».Se non altro, al di là delle fascinazioni berlingueriane – aggiunge il presidente del Movimento Roosevelt – Casaleggio si sforzava di proiettare l’oggi nel domani, sulla base di una precisa visione del futuro. Fino a “fabbricare” da zero una nuova leva della politica italiana, spinta da speranze pulite. E’ un fatto innegabile, e si è verificato grazie al coraggio dello stesso Grillo, pronto a sparare i suoi “vaffa”– in assoluta solitudine – contro una casta impresentabile e decadente, avvinghiata ai propri privilegi mentre il paese scivolava verso il baratro della crisi. Poi, però, alla prova dei fatti, l’alternativa ha rivelato giorno per giorno la sua inconsistenza. Programmi deboli, poche idee, città come Roma amministrate in modo inguardabile. Idem il governo: ordinaria amministrazione, sotto la scure di Bruxelles. Cos’è mancato? «Un impianto ideologico solido, alternativo al dogma neo-aristocratico del neoliberismo». Casaleggio avrebbe potuto cambiare il corso delle cose? Forse sì, sostiene Magaldi, anche in base a un indizio rivelatore: «Aveva disposto che il mio saggio, “Massoni”, venisse presentato col massimo risalto sul web grillino. Obiettivo: insegnare ai pentastellati a distinguere tra massoni corretti e massoni sleali, senza sparare nel mucchio. Oggi invece il Movimento 5 Stelle demonizza la massoneria nel suo insieme, con una discriminazione che è pure incostituzionale. E lo fa in modo spregevolmente ipocrita: sa benissimo, infatti, che il governo gialloverde pullula di massoni, sia tra i ministri che tra i sottosegretari».Per inciso: era massone anche Gianroberto Casaleggio, spiega Magaldi, che in un libro di prossima uscita dettaglierà l’identità massonica dell’ideologo pentastellato. «Il problema – dice – è che la massonofobia è indice di fragilità: se sei debole, cioè senza veri argomenti, hai paura del massone, perché temi che sia più forte di te, in quanto dotato di una maggiore solidità ideologica». E non è vero nemmeno questo: «Oggi, purtroppo, le obbedienze massoniche italiane sono piene di “peones” confusi, che non rappresentano un pericolo per nessuno». La vera massoneria che conta è quella delle Ur-Lodges sovranazionali, che colonizzano le istituzioni italiane, europee e mondiali. Nel suo libro, Magaldi ne smaschera le trame, facendo nomi e cognomi e mettendo alla berlina i supermassoni neo-feudali. E questo, a Gianroberto Casaleggio piaceva: «Ebbi con lui uno scambio breve ma intenso», rivela l’autore. «Resto convinto che sarebbe stato proficuo, il nostro incontro, a partire dal banco di prova delle elezioni comunali di Roma, dove avevamo proposto di affiancare, al gruppo di Virginia Raggi, l’esperienza e la capacità di un economista post-keynesiano come Nino Galloni, vicepresidente del Movimento Roosevelt». Forse ci sarebbe stato il tempo di arrivare alle politiche 2018 con programmi meno volatili e con basi economiche assai più solide, da contrapporre all’ordoliberismo disonesto di Bruxelles, incarnato dai tecnocrati della Disunione Europea, tutti al servizio di inconfessabili interessi privatistici.Invece siamo arrivati al rogo delle bandiere grilline, in Puglia: «Piuttosto ovvio, se avevi promesso un vero reddito di cittadinanza. Cioè, tecnicamente: soldi che lo Stato dovrebbe assegnare a chiunque, a prescindere dal reddito». Una selva di contraddizioni: «Al Sud è molto rilevante l’economia sommersa: il sussidio elargito da Di Maio potrebbe finire a famiglie che campano di lavoro nero, a scapito di famiglie – magari meno abbienti – che invece le tasse le pagano». Meglio, sostiene Magaldi, l’alternativa proposta dal Movimento Roosevelt: il diritto al lavoro sancito per legge dalla Costituzione. Ovvero: lo Stato sarebbe obbligato ad assorbire la disoccupazione. Si parlerà anche di questo, il 30 marzo a Londra, al convegno internazionale promosso alla Westminster University. Tra i relatori lo stesso Galloni, accanto a Ilaria Bifarini, Antonio Maria Rinaldi, Danilo Broggi, Guido Grossi. «Ci sarà anche Pino Cabras, deputato 5 Stelle», annuncia Magaldi: «Storico collaboratore di Giulietto Chiesa, Cabras fece un’ottima presentazione del libro “Massoni” in Sardegna. Qualcuno, nel Movimento 5 Stelle, lo ha dissuaso dal partecipare all’evento di Londra. Ma lui ha la schiena diritta, e sa bene che vale la pena misurarsi con noi: insieme a svariati interlocutori europei, nella capitale britannica avremo modo di mettere a fuoco un vero piano per l’uscita strutturale dall’euro-crisi, che viene presentata come economica e invece è interamente politica».C’è bisogno di tutte le forze spendibili, insiste Magaldi, per rompere l’incantesimo della paura: la demonizzazione del deficit porta direttamente al declino, attraverso l’austerity. Il che è folle, in un mondo che non è mai stato così ricco di risorse e tecnologie. Quello che serve è “un New Deal rooseveltiano per l’Europa”, ispirato a Keynes: è il modello che – espandendo la spesa strategica – ha storicamente prodotto benessere diffuso, in tutto l’Occidente. Passaggio obbligato: trovare il coraggio politico di dire “no” al pensiero unico che ha inquinato cancellerie, ministeri e tecnocrazie, trasformando la governance europea in un incubo orwelliano fondato sulla post-verità. Verrà il giorno, dice Magaldi, in cui gli oligarchi soccomberanno. «E alla fine ci ringrazieranno – aggiunge – perché, senza un’inversione di rotta, la situazione sociale in tutta Europa si farà insostenibile», come dimostrano in modo squillante gli stessi Gilet Gialli in Francia. Certo, la rivoluzione della trasparenza ha un costo: ne sapeva qualcosa il leader svedese Olof Palme, assassinato a Stoccolma nel 1986. Voleva un’Europa libera e socialdemocratica, con pari opportunità per tutti. Valori fondanti: come il socialismo liberale di Carlo Rosselli, assassinato dai fascisti e detestato dai comunisti, e il sovranitarismo panafricano per il quale perse la vita Thomas Sankara, leader rivoluzionario del Burkina Faso, portavoce della ribellione contro la schiavitù neo-coloniale del debito.Rosselli, Palme e Sankara sono le tre icone che il Movimento Roosevelt ha scelto di illuminare, al convegno in programma il 3 maggio col patrocinio del Comune di Milano, alla vigilia delle europee: un’occasione – anche – per pesare le intenzioni dei candidati dei vari schieramenti politici in rotta verso Strasburgo. A che punto è la notte del neoliberismo? Lo capisce, il Pd zingarettiano, che per aiutare l’Italia deve buttare a mare 25 anni di fallimentare centrosinistra? Si rende conto, la Lega di Salvini, che non basta alzare dighe contro i disperati che arrivano dall’Africa? E i 5 Stelle, a loro volta, che intenzioni hanno? In Europa pensano di fare la stessa melina che stanno inscenando a Roma – ottenendo il falò delle loro bandiere e il tracollo dei consensi alle regionali – o comprendono che è il caso di compiere un drastico cambio di passo, come forse lo stesso Casaleggio avrebbe raccomandato? Magaldi ha idee terribilmente chiare: serve un network trasversale di politici “bonificati” dalla bugia neoliberista. Un’Europa democratica, sovrana, liberalsocialista. Investimenti robusti, epocali, per relegare il fantasma dello spread nella spazzatura della storia. Come ci si può arrivare? Formando politici nuovi, in tutta Europa. La consapevolezza del cambiamento crescerà in modo inesorabile, sostiene Magaldi. Fino al bel giorno in cui qualcuno dovrà mandare a stendere i signori di Bruxelles. Con ben altro coraggio che quello sin qui dimostrato dal governo Conte, e dai 5 Stelle smarriti e orfani di Casaleggio.Bei tempi, quando Beppe Grillo attraversava a nuoto lo Stretto di Messina. Grande performance da sempre, lo spettacolo del vitalismo anche fisico del leader, come già Mao nello Yangtze. Era il 12 ottobre 2012, e l’autoironico Vaffa-man aveva 64 anni. Poco prima, ai NoTav “assediati” dalla polizia in valle di Susa, aveva detto: «Un bel giorno, un pugno di cinesi si misero in marcia e alla fine la vinsero, la loro rivoluzione. Bene, ascoltate: voi oggi siete quei cinesi». Era il Grillo che nel 2008 aveva tentato di concorrere alle primarie del Pd, rimediando le pernacchie del profetico Fassino: «Se vuol fare politica, Grillo si accomodi: può sempre fondare un suo partito». Detto fatto: l’ha fondato, ha battuto il Pd nel 2013 alla Camera e adesso, dopo l’alluvione di voti del 2018, è addirittura al governo (dopo aver sfrattato Fassino persino dal Comune di Torino). Ma a quanto pare, l’unica traccia della ventilata rivoluzione, ben poco “cinese”, è la lealtà dei 5 Stelle verso i NoTav, contro la grottesca Torino-Lione. Tutto il resto è evaporato nello zero-virgola del governo gialloverde, dopo le roboanti promesse della vigilia. Ecco perché oggi Grillo deve affrontare la peggiore delle nemesi, con gli ex supporter che bruciano le bandiere grilline davanti al teatri dove l’ex comico si esibisce. Tradimento? Questione di termini. Ma come chiamarla, la burla del finto reddito di cittadinanza, il sussidio nel quale il Sud aveva creduto in massa? L’altro guaio è che il nuotatore dello Stretto è rimasto solo, dopo aver perso Gianroberto Casaleggio.
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Presunta superiorità morale, la mafia del politically correct
Il politically correct è la pretesa di dire agli altri come devono essere, cosa devono dire, come devono comportarsi. Presuppone dunque un punto di superiorità di chi giudica. Il politically correct è poi una lente ideologica che altera la vista di uomini, idee e cose secondo un pregiudizio indiscusso e indiscutibile, assunto a priori come porta della verità, del bene e del progresso. Nasce dalla convinzione che tutto ciò che proviene dal passato sia falso e superato. La realtà, la natura, la famiglia, la storia, la civiltà come l’avete finora conosciute, vissute e denominate, sono sbagliate, vanno ridefinite e corrette. Così nasce il politically correct, questo busto ortopedico applicato alla mente e alla vita. Il politicamente corretto è il moralismo in assenza di morale, il razzismo etico in assenza di etica, il bigottismo clericale in assenza di religione. Il politically correct è il rococò della rivoluzione, come la posa residua del caffè. Non riuscendo a cambiare il mondo, si cambiano le parole. Il linguaggio politicamente corretto è lessico bollito e condito con la mostarda umanitaria. Inoltre è oicofobia, dice Roger Scruton, è rifiuto della casa, primato dell’estraneo e dello straniero sul nostrano e sul connazionale. E, infine, è riduzionismo: la varietà del mondo e dei suoi problemi è ridotta all’ossessione su due-tre temi.Dove nasce il politically correct? La prima risposta è in America, laboratorio globale del futuro e capitale mondiale dell’Impero dei segni. È famoso il saggio di Robert Hughes (un australiano, peraltro), “La cultura del piagnisteo” (Adelphi), sul bigottismo progressista. Prima di lui Tom Wolfe denunciò già nel 1970 l’artefice del politically correct, il radical chic. Un testo importante sul vizio progressista è “La chiusura della mente americana” di Allan Bloom. E potremmo citarne altri. Ma non si esaurisce negli States la matrice del politically correct. Qualcosa del genere ha serpeggiato nel Nord Europa, nelle socialdemocrazie scandinave, elette per decenni a modello progressista di emancipazione. La Svezia è la sua vera patria, sostiene Jonathan Friedman in “Politicamente corretto” (ed. Meltemi). L’autore è stato toccato da vicino, perché sua moglie, ricercatrice, fu accusata di razzismo solo perché ha documentato, dati alla mano e analisi rigorose, che in Svezia è stato un fallimento il multiculturalismo e la politica di accoglienza dell’immigrazione.Ma il P.C. non nasce in un luogo bensì in un’epoca: nasce sulle ceneri del ’68, diventa il catechismo adulto di quelli che da ragazzi furono iconoclasti. Dopo aver processato l’ipocrisia del linguaggio cristiano-borghese e autoritario-patriottardo, gli ex-sessantottini adottarono quel nuovo lessico ipocrita e quel galateo manierista. Dal perbenismo al perbuonismo. Il politically correct nasce quando finisce l’effetto del marxismo, tramonta l’idea di rivoluzione, si perdono i riferimenti mondiali del comunismo. Lo spirito liberal e radical rifluiscono nel codice progressista globale. Si passa dall’Intellettuale Collettivo al Demente Collettivo, il conformista dai riflessi condizionati; il comunista si fa luogocomunista, giudica per stereotipi prefabbricati, riscrive la storia, il pensiero e i sentimenti ad usum cretini. C’è una ricca letteratura che denuncia il politically correct: l’ultimo è “Politicamente corretto” di Eugenio Capozzi (ed. Marsilio), che lo ritiene l’erede di tutti i progressismi.Per passare la censura del politically correct è necessaria la presenza di almeno uno o più ingredienti d’obbligo di ogni narrazione, reportage o fiction: il nero, il migrante, il Rom, l’omosessuale, la femminista, il disabile e l’ebreo. Sempre vittime o eroi, comunque personaggi positivi per definizione in ogni storia o trama. La ditta del politicamente corretto fabbrica pregiudizi seriali, in dosi liofilizzate; la loro applicazione esime dal ragionare, risparmia la fatica del giudizio critico. E infonde a chi lo usa una sensazione di benessere etico, una presunzione di superiorità sugli altri. Quando ci libereremo da questa cappa, da questa cupola ideologico-mafiosa? E qui il problema si sposta nell’altro campo: l’assenza di alternative, la mancata elaborazione di strategie, culture e linguaggi, il silenzio e la rassegnazione. Dopo il rigetto, urge il progetto.(Marcello Veneziani, estratto da “La nausea per un mondo ‘corretto’”, da “La Verità” del 28 febbraio 2019, articolo ripreso sul blog di Veneziani).Il politically correct è la pretesa di dire agli altri come devono essere, cosa devono dire, come devono comportarsi. Presuppone dunque un punto di superiorità di chi giudica. Il politically correct è poi una lente ideologica che altera la vista di uomini, idee e cose secondo un pregiudizio indiscusso e indiscutibile, assunto a priori come porta della verità, del bene e del progresso. Nasce dalla convinzione che tutto ciò che proviene dal passato sia falso e superato. La realtà, la natura, la famiglia, la storia, la civiltà come l’avete finora conosciute, vissute e denominate, sono sbagliate, vanno ridefinite e corrette. Così nasce il politically correct, questo busto ortopedico applicato alla mente e alla vita. Il politicamente corretto è il moralismo in assenza di morale, il razzismo etico in assenza di etica, il bigottismo clericale in assenza di religione. Il politically correct è il rococò della rivoluzione, come la posa residua del caffè. Non riuscendo a cambiare il mondo, si cambiano le parole. Il linguaggio politicamente corretto è lessico bollito e condito con la mostarda umanitaria. Inoltre è oicofobia, dice Roger Scruton, è rifiuto della casa, primato dell’estraneo e dello straniero sul nostrano e sul connazionale. E, infine, è riduzionismo: la varietà del mondo e dei suoi problemi è ridotta all’ossessione su due-tre temi.