Archivio del Tag ‘benessere’
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Una dittatura è per sempre: nel baratro, grazie al Covid
Ogni giorno ci dicono che l’emergenza finirà domani, e invece questa emergenza non passa mai. Trascorso un anno, l’eccezione è diventata la nuova normalità, costringendo di fatto i cittadini a vivere dentro una dittatura sostanziale, mascherata da emergenza sanitaria. Il passaggio da Conte a Draghi, con l’ingresso nel governo della Lega, non ha cambiato di una virgola la situazione, aumentando soltanto il tasso di ipocrisia (già elevatissimo) che contraddistingue la nostra classe dirigente. L’ultimo decreto di Draghi, quello che dovrebbe consentire alla gente di tornare a respirare a partire dal 26 aprile, si muove in teoria nel solco di una continuità che mina la serenità mentale dei cittadini, quotidianamente ossessionati dal variare del colore delle Regioni e da una tambureggiante campagna mediatica di stampo terroristico, che va avanti senza soluzione di continuità.Misure come il coprifuoco (confermate, sembra, anche per il futuro), denotano – al di là di ogni ragionevole dubbio – il desiderio del governo Draghi, diretta emanazione di quei poteri che cavalcano il Covid per realizzare un nuovo ordine globale, di imporre un regime che utilizza le paure per comprimere le libertà, grazie soprattutto al sostegno complice di presunti esperti da salotto, che ipnotizzano masse rese opportunamente isteriche e insicure. Come in ogni dittatura che si rispetti, i pochi che ancora resistono vengono diffamati con regolarità e bollati quali inguaribili complottisti, dai soliti menestrelli al servizio dei padroni. Chi è le del mestiere le riconosce, queste tecniche: imprimere nella mente del cittadino la convinzione che la nuova normalità è questa. Si vede, la mano di uno stregone malvagio: non credo sia più peregrina, l’idea che si sia sedimentato un nuovo regime.Tra le misure più indegne, tra quelle immaginate dal governo per consentire aperture parziali, spicca quella che prevede l’utilizzo di un pass sanitario indispensabile, per spostarsi da una regione all’altra a seconda dei “colori”, necessario cioè per quelle “rosse” o “arancioni”. Questo pass dovrebbe essere rilasciato ai fortunati in grado di essere guariti dal Covid da almemo sei mesi, ai vaccinati e a quelli in possesso di tampone effettuato nelle 48 ore precedenti. A breve, questo sistema potrebbe essere adottato da tutti i paesi dell’Unione Europea. Il livello di discriminazione raggiunto in danno di chi non intende vaccinarsi ha superato la soglia di guardia, nel silenzio incredibile di tutte le istituzioni di controllo, che dovrebbero in teoria vigilare sul rispetto di una Costituzione quotidianamente vilipesa e umiliata da un governo che ha accentrato tutti i poteri. Immaginare di riconoscere il diritto di muoversi liberamente solo a una ristretta élite di selezionati è qualcosa di così grave da non sembrare neppure vera.(Francesco Toscano, dichiarazioni rilasciate nella diretta “Una dittatura è per sempre”, su “Visione Tv” il 20 aprile 2021).Ogni giorno ci dicono che l’emergenza finirà domani, e invece questa emergenza non passa mai. Trascorso un anno, l’eccezione è diventata la nuova normalità, costringendo di fatto i cittadini a vivere dentro una dittatura sostanziale, mascherata da emergenza sanitaria. Il passaggio da Conte a Draghi, con l’ingresso nel governo della Lega, non ha cambiato di una virgola la situazione, aumentando soltanto il tasso di ipocrisia (già elevatissimo) che contraddistingue la nostra classe dirigente. L’ultimo decreto di Draghi, quello che dovrebbe consentire alla gente di tornare a respirare a partire dal 26 aprile, si muove in teoria nel solco di una continuità che mina la serenità mentale dei cittadini, quotidianamente ossessionati dal variare del colore delle Regioni e da una tambureggiante campagna mediatica di stampo terroristico, che va avanti senza soluzione di continuità.
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Trovato l’Eldorado, ma è in pericolo: un film per salvarlo
Che bello, se a salvare l’Eldorado fosse la città di Firenze. Magari con l’aiuto di Mick Jagger, leggendario frontman dei Rolling Stones, notoriamente vicino alla causa degli indios peruviani. Idea: creare un docu-film, per raccontare questa storia. Che bello, allora, poter coinvolgere un attore come Colin Firth (Premio Oscar). E magari il grande regista Werner Herzog, autore dell’indimenticabile “Fitzcarraldo”, girato proprio nella selva andina dove, dopo l’infame tradimento di Pizarro e l’omicidio di Atahualpa, i reduci indigeni nascosero l’Indio Dorado, cioè la statua del dio Viracocha. Da qui la leggenda dell’El Dorado, il mitico paese d’oro, cercato invano per mezzo millennio. A fine 2012, a segnare un punto preciso sulla mappa del Perù è stato un outsider come Riccardo Magnani, bocconiano ed esperto di finanza, da qualche anno alla ribalta per i suoi studi – da autodidatta, ma rivoluzionari – su Leonardo e il Rinascimento. Da Firenze all’impero andino, è un attimo: «La verità è sotto i nostri occhi: basta decidersi a guardarla». Così, puoi arrivare a scoprire persino l’Eldorado. Salvo vedere che è in pericolo: miniere e taglialegna potrebbero decretare la fine degli ultimi superstiti Inca della terribile Conquista.Tutto parte dalla prima, clamorosa scoperta di Magnani. Una notizia che l’ufficialità fatica ancora a digerire: l’America era nel cuore della signoria medicea mezzo prima della decanta “scoperta dell’America”, attribuita al presunto Cristoforo Colombo, che secondo Magnani non è mai nemmeno esistito. E’ vero, detta così sembra una favola: ma i libri del ricercatore italiano sono lì a smentirlo, a colpi di prove e documentazioni. Un vortice di rivelazioni: «Lorenzo il Magnifico era un meticcio, nelle sue vene scorreva sangue reale Inca». Era il frutto dell’unione tra fiorentini ed esponenti della famiglia imperiale incaica («qualcosa che lo avvicina a Ludovico il Moro, campione della famiglia milanese Sforza, alleata dei Medici»). Sul “desco da parto”, prezioso manufatto celebrativo per la nascita di Lorenzo – dipinto dal fratello di Masaccio – compare la “mascapaicha”, caratteristico copricapo con tre penne che rappresenta la massima dignità regale e sacerdotale dell’Inca.Più tardi, alla morte dell’imperatore Pachacutec, Piero il Gottoso (padre di Lorenzo) incaricò Benozzo Gozzoli di affrescare la Cappella dei Magi a Palazzo Medici Riccardi, residenza medicea prima di Palazzo Vecchio: il dipinto raffigura il capostipite Cosimo de’ Medici (”pater patriae” della discendenza fiorentina) con in testa la “mascapaicha” dell’Inca. Era il 1459: all’ipotetica spedizione dell’ipotetico Colombo mancava ancora mezzo secolo. Com’è che i simboli del potere Inca erano già a Firenze, a ornare il capo dei signori della città? «Dobbiamo tutti trovare il coraggio di fare un passo indietro, e ammettere che troppe volte abbiamo preso un abbaglio nell’interpretare la storia», dice Magnani, ben conscio dell’ostracismo che ostacola i suoi studi, per ora sdegnosamente ignorati da storici dell’arte, medievisti e archeologi. Come si permette, il Magnani, di intromettersi in faccende che devono restare appannaggio della casta accademica degli addetti ai lavori?Vecchia storia: una volta che sei “inciampato” in una verità inimmaginabile, non riesci più a tornare indietro. Ovvio che l’America fosse conosciuta da sempre, fin dall’antichità. Meno scontato, invece, scoprire quanto l’Italia (la città di Dante, in particolare) fosse coinvolta con il popolo dell’Eldorado. Vuoi vedere che quel connubio tra Firenze e Cuzco, transoceanico e clandestino, poteva gettare nel panico il potere vaticano? «Le piazze rinascimentali italiane riproducono fedelmente le piazze cerimoniali andine, progettate per il culto del sole». Qualcuno a Roma ha temuto che la religione cristiana potesse essere soppiantata? Ecco allora il possibile movente, per un’idea destinata a fare storia: “fabbricare” la fake news di Colombo per poter finalmente ufficializzare l’esistenza dell’America, onde conquistarla – e per inciso, sterminare gli alleati americani di Firenze e delle altre potenti signorie italiane, prima che potessero riportare in Europa il culto solare?Era un culto antichissimo e diffuso in tutto il pianeta, soppresso dal cristianesimo e poi reintrodotto di soppiatto proprio a Firenze dal sommo filosofo bizantino Giorgio Gemisto Pletone, di fede eleusina, “padrino” segreto dell’operazione rinascimentale medicea che avrebbe poi “allevato” il giovane, fenomenale Leonardo. Affascinante, d’accordo: ma l’Eldorado? In termini leggendari, la storia della mitica città rivestita d’oro risale ai racconti dei conquistadores spagnoli. Il giornalista tedesco Karl Brugger, misteriosamente assassinato negli anni ’80, lo reinterpretò sotto forma di città sotterranea. Riccardo Magnani invece l’Eldorado lo ha scovato meno di dieci anni fa, nella selva andina del Regno del Paititi: il suo cuore segreto sarebbe rappresentato dalla cittadella dove Inkarri – vessato dai coloni di Pizarro – si sarebbe rifugiato, insieme al suo popolo. Da allora, quella popolazione vive nel più completo isolamento.All’individuazione del favoloso Paititi, Riccardo Magnani è arrivato a fine 2012, seguendo in percorso meno convenzionale: le stelle. Per la precisione, «il triangolo estivo della costellazione del Cigno». E’ uno dei fenomeni astronomici che l’uomo ha seguito fin dall’antichità, perché lo si immagina correlato al benessere. «Ho pensato che questo asterismo potesse essere replicato in alcuni siti megalitici del Sudamerica», spiega Magnani, in un video con Eleonora Fani. Il triangolo del Cigno «lo tiene in mano lo stesso Salvator Mundi, in un dipinto di incerta paternità che alcuni attribuiscono allo stesso Leonardo, e compare anche in un’altra opera, sicuramente leonardesca, come il Cartone di Sant’Anna». E qui – per collegare l’Italia al Perù – entra in gioco Google Earth: se un primo vertice del Triangolo del Cigno lo si adagia sulle Linee di Nazca, e un secondo sulla grande città precolombiana di Tiahuanaco, il terzo vertice svela la posizione del virtuale Eldorado: la Huaca del Sol, struttura cerimoniale quadrata, per il culto solare, situata proprio al centro dell’impenetrabile Paititi.Vista dall’alto, sottolinea Magnani, la Huaca del Sol presenta al suo interno un cerchio, un rettangolo e una linea retta. «Il cerchio fa pensare all’orologio solare di Cuzco, all’interno dell’analoga Huaca del Sol presente nell’antica capitale Inca, che secondo la leggenda sarebbe stata creata – incluse le piramidi a gradoni – a immagine e somiglianza del Paititi». Le immagini dal satellite sono eloquenti: in una vasta area amazzonica attorno all’ipotetica Huaca del Sol, appena localizzata in mezzo alla selva, compaiono ben visibili anche le piramidi. Altra scoperta: la piazza cerimoniale amazzonica è «perfettamente allineata, sull’asse dell’eclittica solare», con analoghe strutture anche lontanissime: a ovest l’Isola di Pasqua, mentre a est il sito megalitico di Rego Grande in Brasile, i megaliti africani dei Dogon in Mali, il sito di Giza in Egitto, Göbekli Tepe in Turchia e infine Xian in Cina. «Tutti siti perfettamente allineati: quindi, Paititi rientra nella storia generale dell’umanità: non è certo limitato alla storia andina».Riccardo Magnani non indossa i panni del probabilissimo scopritore del mitico Eldorado: «Della scoperta non me ne importa niente: io voglio salvare loro, gli “indios incontattati”, che oggi sono in pericolo di vita». Dall’intuizione di Magnani, negli ultimi 8 anni la selva peruviana è stata battuta da esploratori e avventurieri a caccia di tesori: «Uno è stato arrestato, due sono tornati indietro con le pive nel sacco», racconta lo studioso. «Sono passibili del reato di omicidio colposo: mettono a rischio vite, per il miraggio di un effimero successo personale». Ma c’è di peggio: «L’area del Paititi è minacciata dalle nuovissime attività di estrazione mineraria. E a seguire i minatori c’è uno stuolo di taglialegna abusivi, attratti dai boschi di mogano rosso». Risultato: uno scempio. E una fuga degli indigeni verso il Brasile, come confermato dalle autorità carioca che preservano l’integrità delle popolazioni amazzoniche. Quello che si prefigua, in altre parole, è un genocidio silenzioso.Un dramma: le autorità peruviane sono restie a riconoscere lo status di “nativi” agli eredi degli Incas, perché a quel punto scatterebbe la protezione integrale del territorio (e addio concessioni mineriarie, addio deforestazione). «La situazione è drammatica», conferma Magnani, che già a fine 2012 ha contattato personalmente le autorità di Lima. «Sono stato convocato dall’ambasciatore peruviano, a Roma, e poi il suo governo ha tenuto una riunione ministeriale». Ma niente da fare: «Tutto è stato lasciato cadere, perché oggi dei “nativi incontattati” non importa niente a nessuno: il problema è che sono la nostra storia, la nostra memoria». Sono in pericolo: «A sterminarli basterebbe il dono innocente di una t-shirt, il semplice virus del raffreddore basterebbe a scatenare un’epidemia micidiale». Il rischio è altissimo: «Ormai, cantieri e boscaioli illegali sono a 10 chilometri dai villaggi». In Perù, c’è chi si batte per i nativi: «E l’altra cattiva notizia, infatti, è che – dall’inizio di quest’anno – già 9 attivisti peruviani sono stati assassinati».Da qui l’idea del film: un documentario, che racconti questa vicenda sbalorditiva. Stanno per essere annientati gli ultimi discendenti dell’Inca che strinse un patto con l’Italia, ben prima del 1492, quando dell’America non si poteva ancora parlare. Magnani ha lanciato un appello per raccogliere fondi. Causale: “Salviamo El Indio Dorado”. Incoraggiante, l’avvio dell’operazione: «Sono già arrivate tante sottoscrizioni, anche cospicue. Cosa di cui ringrazio tutti profondamente. Siamo circa al 20% del budget necessario. Gireremo qualcosa a Firenze, ma soprattutto faremo costose riprese in Perù. Riprese aeree, per mostrare dall’alto le rovine di Paititi, i villaggi attorno, gli ultimi indios e la pericolosità dei contatti a cui sono esposti, oggi: nel fiume è stata rilevata la presenza velenosa di mercurio». Magnani ha le idee chiare: «Prima di chiedere, bisogna dare. E’ tempo di coraggio, di etica: fare qualcosa per stare bene tutti insieme, non a scapito di qualcun altro». Lui ha già avuto molto, da questa storia: ha scoperto l’America a Firenze, fino ad arrivare all’Eldorado. E ora ha voglia di “restituire”, aiutando. Mettersi a scavare, nel Paititi, alla ricerca di chissà cosa? Follia: in fondo, il vero Eldorado sono loro. Gli “indios incontattati”, gli eredi dell’Inca amico dell’Italia.(A chi volesse concorrere alla realizzazione del documentario, Magnani offre due testi inediti, in Pdf, con l’intera ricostruzione della vicenda. Ecco gli estremi per la donazione: IBAN IT93 V036 4601 6005 2635 2030 294, BIC NTSBITM1XXX, Banca N26, c/c Intestato a: Riccardo Magnani, Causale: Salviamo El Indio Dorado. Si chiede gentilmente di inviare una e-mail a paititi2013@gmail.com, con allegata la ricevuta della donazione; così sarà possibile spedire una e-mail di ringraziamento con le istruzioni per scaricare i Pdf realizzati appositamente per tutti i partecipanti all’iniziativa. Per avere ulteriori info: paititi2013@gmail.com. Sito del progetto: www.paititi2013.com. Nel 2020, Magnani ha pubblicato “Ceci n’est pas Leonardo”, sottotitolo “Quello che non vi dicono su Leonardo da Vinci e il Rinascimento Italiano”).Che bello, se a salvare l’Eldorado fosse la città di Firenze. Magari con l’aiuto di Mick Jagger, leggendario frontman dei Rolling Stones, notoriamente vicino alla causa degli indios peruviani. Idea: creare un docu-film, per raccontare questa storia. Che bello, allora, poter coinvolgere un attore come Colin Firth (Premio Oscar). E magari il grande regista Werner Herzog, autore dell’indimenticabile “Fitzcarraldo”, girato proprio nella selva andina dove, dopo l’infame tradimento di Pizarro e l’omicidio di Atahualpa, i reduci indigeni nascosero l’Indio Dorado, cioè la statua del dio Viracocha. Da qui la leggenda dell’El Dorado, il mitico paese d’oro, cercato invano per mezzo millennio. A fine 2012, a segnare un punto preciso sulla mappa del Perù è stato un outsider come Riccardo Magnani, bocconiano ed esperto di finanza, da qualche anno alla ribalta per i suoi studi – da autodidatta, ma rivoluzionari – su Leonardo e il Rinascimento. Da Firenze all’impero andino, è un attimo: «La verità è sotto i nostri occhi: basta decidersi a guardarla». Così, puoi arrivare a scoprire persino l’Eldorado. Salvo vedere che è in pericolo: miniere e taglialegna potrebbero decretare la fine degli ultimi superstiti Inca della terribile Conquista.
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Sanzioni a Cuba: l’Italia umilia i medici che ci aiutarono
L’Italia di Mario Draghi, vicinissima agli Usa di Joe Biden, “ringrazia” a modo sui i “fratelli di Cuba” che accorsero ad aiutare medici e pazienti in Lombardia, nella primavera scorsa, travolti dal panico per l’esplosione dell’epidemia Covid. All’Onu, anche l’Italia ha appena respinto al mittente la richiesta di allentare le sanzioni che da decenni strangolano i paesi “non allineati”, come appunto l’isola caraibica di Fidel Castro (che tra parentesi ha prodotto un vaccino che si dice sia estremante efficace, messo a disposizione di chiunque lo desideri). Nello specifico, le Nazioni Unite hanno bocciato – con il contributo dell’Italia – una mozione che chiedeva di considerare gli ingenti danni umanitari provocati nei paesi sottoposti a embargo. Era il 22 marzo del 2020 – ricorda “Fanpage” – quando 53 medici cubani della Brigata Internazionale Henry Reeve arrivarono in Lombardia (in quel momento epicentro mondiale della pandemia di Covid-19) per aiutare i colleghi italiani alle prese con un’emergenza inedita, piombata poche settimane prima su un paese impreparato e fragile.I medici cubani, tutti specializzati nel trattamento delle malattie infettive, vennero inviati all’ospedale di Crema e lì offrirono il loro aiuto, a titolo gratuito, fino ai primi di giugno, quando ripartirono per l’Avana dopo essere stati salutati e omaggiati dalla cittadinanza cremasca con una cerimonia ufficiale in piazza Duomo. Gli “hermanos de Cuba”, come i lombardi li chiamarono affettuosamente per mesi, operarono presso l’ospedale da campo allestito dall’esercito italiano, dando man forte al personale sanitario nella gestione dei molti pazienti affetti da Covid-19. «E le loro competenze, maturate in contesti come l’epidemia di Ebola – sottolinea “Fanpage” – si rivelarono estremamente preziose per i colleghi italiani e soprattutto per i tanti pazienti affetti da Covid-19». Non è un caso che, a un anno esatto dal loro arrivo, la prima cittadina di Crema – Stefania Bonaldi – abbia ricordato quei mesi difficili: «La presenza a Crema dell’esercito italiano e dei nostri “hermanos de Cuba” ci consentì di realizzare che non eravamo soli, restituendo alla nostra comunità coraggio e speranza».Tanta solidarietà da parte di Cuba non è stata però debitamente riconosciuta, dalle parti del governo italiano: il 4 marzo, infatti, l’Italia ha votato contro la risoluzione A/HRC/46/L.4 presentata al Consiglio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite sulle ripercussioni negative delle sanzioni economiche applicate da alcuni paesi ad altri. «Tra questi vi è anche Cuba, da 60 anni sottoposta a “blocco” economico da parte degli Stati Uniti», ricorda sempre “Fampage”. A presentare il documento, intitolato “The negative impact of unilateral coercive measures on the enjoyment of human rights”, sono stati Cina, Azerbaigian e Stato di Palestina. La relazione esprime, tra le altre cose, «grave preoccupazione per l’impatto negativo delle misure coercitive unilaterali sui diritti umani», mettendo in relazione diretta le sanzioni economiche con la sopravvivenza e il benessere di milioni di esseri umani. Si dirà: era interesse del regime cubano (non democratico) promuovere la sua immagine anche attraverso l’aiuto medico. L’Italia, però, quel soccorso lo ha accettato, eccome. Per poi “ricambiarlo”, alla prima occasione, come ha fatto adesso.L’Italia di Mario Draghi, vicinissima agli Usa di Joe Biden, “ringrazia” a modo sui i “fratelli di Cuba” che accorsero ad aiutare medici e pazienti in Lombardia, nella primavera scorsa, travolti dal panico per l’esplosione dell’epidemia Covid. All’Onu, anche l’Italia ha appena respinto al mittente la richiesta di allentare le sanzioni che da decenni strangolano i paesi “non allineati”, come appunto l’isola caraibica di Fidel Castro (che tra parentesi ha prodotto un vaccino che si dice sia estremante efficace, messo a disposizione di chiunque lo desideri). Nello specifico, le Nazioni Unite hanno bocciato – con il contributo dell’Italia – una mozione che chiedeva di considerare gli ingenti danni umanitari provocati nei paesi sottoposti a embargo. Era il 22 marzo del 2020 – ricorda “Fanpage” – quando 53 medici cubani della Brigata Internazionale Henry Reeve arrivarono in Lombardia (in quel momento epicentro mondiale della pandemia di Covid-19) per aiutare i colleghi italiani alle prese con un’emergenza inedita, piombata poche settimane prima su un paese impreparato e fragile.
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La Bibbia Nuda: dietro la nostra storia, una regia occulta
E’ perfettamente lecito domandarsi a chi mai possa importare, oggi, della eventuale veridicità del libro più famoso e più diffuso al mondo, la Bibbia. Un testo sacro, per i religiosi. Un insieme di codici simbolici, per gli esoteristi. Una collezione di fiabe, per gli atei. E se invece – al di là di come la si possa pensare, e nel pieno rispetto delle convinzioni di chiunque – quell’insieme di rotoli antichi contenesse indizi sull’origine della nostra possibile, vera storia? Per cercare una risposta, risulta utilissimo il metodo (pratico, lineare) adottato da Mauro Biglino, singolare figura del panorama culturale italiano. Prima, traduttore dell’Antico Testamento per le Edizioni San Paolo, e poi autore di 14 saggi che indagano tra le pieghe del testo biblico, riletto testualmente e senza filtri, teologici o sapienziali. Dopo oltre dieci anni di studi, la domanda resta invariata: e se la Bibbia riflettesse l’eco dell’origine della nostra specie, letteralmente “fabbricata” da individui non umani? E’ proprio questa, l’angolazione che – volendo – consente di passare, in modo verticale, dalla Genesi alla difficilissima attualità del momento presente, in cui l’umanità sembra in balia di forze ostili e smisuratamente potenti.Forse è utile fare un bel passo indietro, di almeno vent’anni. Per esempio: fino al 10 settembre 2001, era diffusa la sensazione di vivere nel migliore dei mondi possibili. Non esattamente un pianeta-capolavoro, politicamente parlando, ma distante anni luce da quello che sarebbe venuto dopo, a cominciare dall’alba del giorno seguente: due Boeing contro le Torri Gemelle di New York, senza che un solo jet militare – dopo il primo impatto – si fosse levato a presidiare quelli che erano considerati i cieli più sorvegliati del globo, così da scongiurare almeno la seconda, devastante collisione. Un’avvisaglia poco rassicurante la si era avuta due mesi prima, a Genova, in mezzo a strade e piazze improvvisamente preda della follia di una violenza insensata. Wayne Madsen, già dirigente della Nsa, disse che oltre duemila agenti avevano lavorato, per mesi, a “organizzare” la carneficina del G8 genovese, puntando sul caos scatenato dai misteriosi black bloc, in apparenza venuti dal nulla. Risultato: un temporale anomalo e capace di tramortire l’opinione pubblica, spingendo i giornali a parlare di “sospensione della democrazia”, prima ancora che la vicenda vivesse i suoi pesanti strascichi giudiziari.Solo dieci anni prima, si era aperta una stagione che aveva l’aria di essere straordinariamente promettente, per il pianeta. Mikhail Gorbaciov aveva “scongelato” l’Est Europa facendo cadere il Muro di Berlino: a colpi di spettacolari super-vertici con gli Usa, sembravano spalancarsi orizzonti impensabili. Certo, di lì a poco non erano mancati “incidenti”, anche gravissimi, dopo il golpe contro Gorbaciov e l’ascesa di Eltsin, che aprì le porte alla razzia dell’ex Urss. Esplose l’odioso bagno di sangue dell’ex Jugoslavia: la tragedia infinita della guerra civile balcanica, alle porte della civilissima Europa occidentale, finì per mettere in sordina l’opaco conflitto ceceno, mentre in Israele un estremista ebraico sparava alla schiena di Yitzhak Rabin, uccidendo l’uomo che aveva osato firmare una vera pace con i palestinesi. Pur nell’immane complessità dei focolai di morte, però, la situazione sembrava ancora affrontabile su scala regionale, con gli strumenti geopolitici della diplomazia, della politica estera, della pressione militare proporzionata. Poi, appunto, il mondo esplose: tutto insieme, e di colpo.Da allora, il pianeta non ha più smesso di esplodere: Afghanistan e Iraq, le rivoluzioni colorate e le primavere arabe, la brutale esecuzione di Gheddafi, la comparsa dell’Isis e il martirio della Siria, gli attentati stragistici in Europa. Che l’orizzonte si fosse subito richiuso, dopo la finestra di speranze alimentate dalla stagione di Gorbaciov, lo si era capito anche dal peso smisurato della globalizzazione neoliberista: il via libera a Wall Street grazie a Clinton, l’ingresso della Cina nel Wto, le delocalizzazioni spericolate, la sparizione della sicurezza sociale. Tutto vertiginosamente accelerato, in pochissimi anni: la fine dei diritti del lavoro e l’avvento del precariato come condizione permanente, i tagli devastanti al welfare e la demolizione della “mid class” occidentale, in Europa crollata sotto il peso dell’iper-fiscalità imposta dall’Eurozona. Fino ad arrivare alla tempesta perfetta degli spread, agli orrori della Grecia, al commissariamento di interi paesi. Paura e incertezza: la netta percezione di avere sempre meno benessere, meno diritti, meno democrazia, meno futuro.Ora siamo nell’era universale del virus, della pandemia tendenzialmente permanente, del distanziamento sociale obbligatorio, delle campagne vaccinali come unica soluzione (in assenza di terapie domiciliari precoci, che molti medici invece ritengono efficaci). Si sprecano le narrazioni distopiche amplificate dagli strateghi visionari di Davos, che disegnano una riconversione addirittura antropologica di un’umanità che parrebbe condannata a una sorta di sottomissione tecnocratica, psico-sanitaria, quasi zootecnica secondo i più pessimisti. A questo si è arrivati per gradi, mediante l’orchestrazione planetaria di una narrazione mediatica soverchiante, inarrestabile, che è riuscita a proporre come un’esperienza inevitabile la tragedia dell’emigrazione dai paesi poveri, nonché a ridurre a problema climatico lo scempio della Terra avvelenata, e persino a presentare le evoluzioni del clima come frutto esclusivo della cattiva condotta di un’umanità colpevole e incorreggibile.Inutile sperare che i grandi media illuminino davvero la grande notte: tra giornali e televisioni, è come se parlasse una sola voce, capace di spegnere (per la prima volta, nella storia) quella dello stesso presidente degli Stati Uniti, letteralmente espulso dal sistema e silenziato, trattato come un reietto, bruscamente cancellato dall’anagrafe mondiale. Un anno davvero fatale, il 2020: che ad aprile, tra le altre cose, si è portato via anche Giulietto Chiesa. Da grande giornalista, era stato tra i primi – con Seymour Hersh, Noam Chomsky, Gore Vidal – a puntare il dito contro il nuovo mostro orwelliano oggi dilagante, l’impero della disinformazione a reti unificate. In Italia, Giulietto Chiesa (con il saggio “La guerra infinita”, uscito nel 2002) era stato il primo in assoluto a dimostrare che la versione ufficiale sui fatti dell’11 Settembre era totalmente inattendibile. In parallelo, poco dopo, un regista come Massimo Mazzucco (trasformatosi in reporter) si vide trasmettere da Canale 5 in prima serata i suoi documentari critici sul crollo delle Twin Towers: lavori che mettevano in luce il carattere inverosimile delle spiegazioni governative.Da allora, la parola “complottismo” ha preso il volo, toccando vette impensabili fino a qualche anno prima. Brutta parola, in effetti: alla voce “complottismo” viene facilmente derubricata (e quindi liquidata, ridicolizzata) qualsiasi argomentazione che ipotizzi l’esistenza stessa di possibili complotti. Colpa anche dei cosiddetti complottisti: sicuri che ogni cospirazione abbia puntualmente successo, e che qualsiasi evento planetario sia sempre e solo frutto di macchinazioni oscure. E dunque: chi ha progettato davvero l’abbattimento delle Torri Gemelle? «Non sta a noi l’onere della prova», rispondevano prontamente Giulietto Chiesa e Massimo Mazzucco, certi che la loro funzione fosse quella (preziosissima) di verificare l’inconsistenza della versione ufficiale. E’ un problema di metodo, in fondo: limitarsi ad affermare solo quanto si è sicuri di poter davvero dimostrare, dati alla mano. Una questione di serietà, di trasparenza. Dire solo quello che si sa, parlare esclusivamente di ciò che si conosce: ed esibirne le prove, incontrovertibili.Grazie alla diffusione worldwide del web e dei social come fenomeno di massa, negli ultimi anni si è fatta strada un’editoria parallela, che tra mille incertezze è comunque riuscita a proporre una narrazione alternativa degli eventi, convalidata qua e là da voci sempre più autorevoli. All’orizzonte, alcuni importanti studiosi – in ogni campo, da quello storico a quello scientifico – prospettamo una sorta di riscrittura generale della storiografia, in gran parte basata su scoperte anche recenti, come quelle della geofisica (i maremoti che avrebbero ridisegnato la geografia del pianeta, 12.000 anni fa), senza contare l’ormai inarrestabile valanga di acquisizioni archeologiche: dalle città sommerse alle tracce di civiltà di gran lunga antecedenti, rispetto a quelle registrate nei libri scolastici. Il solo sito turco di Göbekli Tepe, per esempio, costringe a retrodatare di millenni la stessa introduzione dell’agricoltura.Chi siamo, davvero? Da dove veniamo? Risale ad appena qualche anno fa la scoperta, in Siberia, dell’Uomo di Denisova, altra “sorpresa” con cui la paleontogia ora si trova a fare i conti, senza avere risposte: se il darwinismo trasformato in dogma quasi religioso sta ormai franando, emergono tracce che sembrano alludere a svariati “esordi” della nostra specie, nei più disparati angoli del pianeta, senza che sia stato ancora trovato il famoso anello mancante, genetico, tra noi e le scimmie antropomorfe. Di questo, precisamente, parla la Genesi: se la si legge alla lettera, dice Mauro Biglino, si scopre che quel testo sembra esser stato scritto, non si sa neppure da chi, per raccontare l’origine di un ceppo particolarissimo dei nostri antenati. Per Biglino, il racconto biblico è chiarissimo: sono stati gli Elohim a innestare il loro Dna sugli ominidi che popolavano la Terra. Che poi l’espressione al plurale (”gli Elohim”) venga impropriamente tradotta al singolare con la parola “Dio”, in modo del tutto arbitrario, non è che la conferma di una manipolazione ricorrente, vecchia di millenni.Dall’Eden all’11 Settembre, certo, il salto è vertiginoso: ma in fondo, perché stupirsi delle manipolazioni di oggi, se la deformazione sistematica della narrazione ufficiale risale a oltre duemila anni fa? Biglino cita un padre della Chiesa, il vescovo Eusebio di Cesarea, il quale accredita gli studi del greco Filone di Byblos, che a sua volta riporta le scoperte del fenicio Sanchuniaton, vissuto nel 1200 avanti Cristo: in Egitto, il fenicio avrebbe scoperto le prove (scritte) della primissima manipolazione operata dalla casta sacerdotale egizia, che avrebbe trasformato in divinità metafisiche i personaggi che invece camminavano tra noi, proprio come gli dèi omerici, ai tempi della mitica Età dell’Oro. Si commenta da solo, il coraggio di Mauro Biglino, per dieci anni impegnato in una generosissima maratona infinita, tra centinaia di conferenze in tutta Italia. Unica bussola, la Bibbia: la fedeltà letterale a quel testo, rinuciando a fargli dire cose che non ha mai detto. Niente spiritualità, onniscienza, onnipotenza, eternità: vocaboli assenti, nozioni che nell’Antico Testamento non conosce. Sconvolgente? Sì, certo. Ma utile, oggi più che mai, per irrobustire domande importanti.Biglino – beninteso – non si nega certo la possibilità dell’esistenza del divino: si limita a registrare che nella Bibbia, semplicemente, non ve ne sia traccia. Quelle pagine, semmai, sono affollate di velivoli meccanici, oltre che di stragi efferate e di svariate “divinità” presenti in carne e ossa. Affascinante, se l’Antico Testamento lo si considera alla stregua di una sorta di libro di storia, pieno di echi provenienti da civiltà precedenti e, in molti passi, mutuato – quasi in fotocopia – dai testi dell’epopea sumerica. E’ questo, in fondo, lo sguardo che l’ultimo lavoro in uscita (”La Bibbia nuda”) offre, a chi è pronto ad affrontare un viaggio fatto di suggestioni, scoperte e interrogativi, sapendo mettere da parte per un attimo le proprie convinzioni consolidate. E non è solo un fatto culturale: in un recente saggio che Biglino ha scritto con la professoressa Lorena Forni dell’università Milano Bicocca, si scopre che sull’errata traduzione della Bibbia sono fondati alcuni presupposti-cardine del nostro patrimonio giuridico; il legislatore, cioè, si è basato su verità in apparenza presenti nell’Antico Testamento, ma in realtà smentite dalla corretta traduzione del testo.Nel panorama mondiale del 2021, con un’umanità letteralmente travolta dall’emergenza pandemica (e in parallelo, dalle soluzioni preconfezionate per un futuro non esattamente libero e felice), le pagine de “La Bibbia nuda” – in cui l’opera pluriennale di Biglino viene messa sistematicamente a confronto con gli scenari di oggi – concorrono ad arricchirre l’interessante bibliografia che si va componendo, anno dopo anno, in un periodo che sta vistosamente sfornando trasformazioni epocali, con risvolti anche molto spiazzanti. Risale all’autunno 2019 la storica ammissione della Us Navy: i nostri aerei si imbattono frequentemente in astronavi e dischi volanti. Un’affermazione confermata nella primavera 2020 dal Pentagono, e poi ulteriormente sviluppata dal generale Chaim Eshed, per decenni a capo della sicurezza areospaziale di Israele: da trent’anni, ha detto, noi terrestri collaborariamo stabilmente con entità non terrestri, raggruppate in una sorta di alleanza che chiamiamo Federazione Galattica.Fantascienza? Non più, a quanto pare. Ma in fondo è roba vecchia, dice Mauro Biglino, se sfogliamo pagine come quelle del Libro di Enoch: tra quei versetti non si parla che di decolli e atterraggi. Domanda persino ovvia: e se le pagine di Enoch, Ezechiele (e tante altre) non contenessero che resoconti, ante litteram, di incontri ravvicinatissimi con quelle che poi i sacerdoti avrebbero chiamato divinità? Tutto è possibile, parrebbe, a patto di tenere la mente aperta. Mauro Biglino peraltro non è un ufologo, né un teorico della paleoastronautica. Si mantiene rigorosamente nel perimetro del suo ruolo precipuo, quello di traduttore biblico. Dice: impariamo a rispettarla, la Bibbia, per quello che racconta davvero. E’ sincero, l’Antico Testamento? Non possiamo saperlo. Ma oggi sappiamo – grazie a Biglino, soprattutto – che quell’insieme di libri, ininterrottamente “corretti” fino all’età di Carlomagno, non dice affatto le cose che gli vengono attribuite. Ne afferma altre, e sono interessantissime: vogliamo deciderci a prenderle finalmente in considerazione? Anche perché, per inciso, sulla traduzione teologica della Bibbia (in troppi punti inesatta, quando non falsa) si è basato per secoli, o meglio per millenni, il governo di una parte considerevole del pianeta. Come dire: vietato stupirsi, se un giorno crollano torri e i media si affrettano a veicolare invenzioni e verità di comodo, che poi non reggono alla prova dei fatti.(Il libro: Giorgio Cattaneo, “Mauro Biglino. La Bibbia Nuda”, Tuthi, 342 pagine, 18 euro).E’ perfettamente lecito domandarsi a chi mai possa importare, oggi, della eventuale veridicità del libro più famoso e più diffuso al mondo, la Bibbia. Un testo sacro, per i religiosi. Un insieme di codici simbolici, per gli esoteristi. Una collezione di fiabe, per gli atei. E se invece – al di là di come la si possa pensare, e nel pieno rispetto delle convinzioni di chiunque – quell’insieme di rotoli antichi contenesse indizi sull’origine della nostra possibile, vera storia? Per cercare una risposta, risulta utilissimo il metodo (pratico, lineare) adottato da Mauro Biglino, singolare figura del panorama culturale italiano. Prima, traduttore dell’Antico Testamento per le Edizioni San Paolo, e poi autore di 14 saggi che indagano tra le pieghe del testo biblico, riletto testualmente e senza filtri, teologici o sapienziali. Dopo oltre dieci anni di studi, la domanda resta invariata: e se la Bibbia riflettesse l’eco dell’origine della nostra specie, letteralmente “fabbricata” da individui non umani? E’ proprio questa, l’angolazione che – volendo – consente di passare, in modo verticale, dalla Genesi alla difficilissima attualità del momento presente, in cui l’umanità sembra in balia di forze ostili e smisuratamente potenti.
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Letta, il paramassone gentile, al bivio fra Draghi e Prodi
«Circola una foto di Micron giulivo a tavola con Macron; il pisano ha un cartellino al collo, come accade ai congressisti e agli oggetti appena comprati, col prezzo ancora appeso». Marcello Veneziani fotografa così il personaggio appena cooptato alla guida del Pd dopo Zingaretti. «Pure il suo predecessore, brav’uomo sempre ridente, era piuttosto mediocre: e non solo perché il suo titolo di studio fosse quello di odontotecnico». Con Letta, scrive Veneziani su “La Verità”, «si ha la conferma che siamo entrati nella fase della serietà, inaugurata dall’arrivo a Palazzo Chigi di Mario Draghi al posto di un nullivendolo vanitoso e logorroico. Un fatto positivo, c’è da rallegrarsi». A favore di Letta, Veneziani registra un paio di cose: «È una persona per bene, almeno così ci è parso finora, piuttosto corretto nei rapporti politici e misurato nel linguaggio e nel comportamento. E innalza la media assai scadente dei leader ignorantoni che guidano la politica allo stato attuale».Ancora: «Enrico Letta è il trattino di congiunzione tra Sergio Mattarella e Mario Draghi. Metà democristiano e metà tecnico, Letta impersona l’anello mancante al disegno evoluzionista o involuzionista del suo partito, tra la sinistra e l’eurocrazia. In passato fu l’anello di congiunzione tra Gianni Letta e Romano Prodi». Il primo problema per lui «è stato quello di cancellare l’immagine del professorino, garbatino e sfigatino, che sta sereno e rassegnato a passare campanelli di comando ad altri». Veneziani lo descrive «moderato per indole, famiglia e corso di studi». Infatti «si è presentato senza cravatta per farsi sbarazzino e ha sparato subito due cose scapigliate che contrastano con la sua immagine vecchigna e compassata: ha detto largo ai giovani, inteso come ius soli, e voto ai sedicenni. E delle due la seconda mi è parsa perfino peggiore della prima», annota Veneziani: «Gli manca solo un tatuaggio dark sulla carotide per smentire il suo curriculum e la sua immagine canonica».“Enrichetto” ha usato toni da decisionista «per far dimenticare la prudentocrazia di cui è stato flebile portavoce negli anni scorsi, travolto dal ciclone Matteo». Il suo modello di riferimento più prossimo è Emmanuel Macron, «ma senza la grandeur francese», e in più «con l’umiltà e la sobrietà del moderato progressista pronto a “morire per Maastricht”, come titolava un suo pamphlet». Il giovane Letta ebbe per padrino Andreatta, l’uomo del fatale divorzio (insieme a Ciampi) fra Tesoro e Bankitalia: l’inizio della fine, per il sistema-paese che aveva ereditato il boom economico sorretto dall’industria di Stato. Cattolico e tecnocrate democristiano, Andreatta: un uomo «d’indubbio prestigio», ma legato alla funesta stagione della Grande Privatizzazione dell’Italia, decretata in ossequio al super-potere (massonico) che fece del neoliberismo globalista la nuova religione. Questi i natali di politici di Enrico Letta, che ha per zio «il cardinale in borghese Gianni Letta, maestro di curia e cerimonie», e inoltre – aggiunge Veneziani – ha per suocera il “Corriere della Sera”, «avendo sposato una sua figlia redattrice».Per questo, sempre secondo Veneziani, il nuovo segretario del Pd non rappresenta la storia, la cultura e l’ideologia del mondo di sinistra. «Ma non si sa mai, a volte la funzione sviluppa l’organo». Ma che significa, oggi, «una sinistra guidata da un non leader di una non-sinistra, peraltro non eletto da un congresso?». E’ come avere «un flacone sterile», in pratica «un segretario senza carisma né appeal politico», un uomo di potere «che viene dalla Trilateral e dall’Aspen». Si crede davvero che potrà trasformare, come lui stesso ha promesso, «il partito del potere», quel partito-establishment «che si è posto in questi anni come una sorta di Protezione Civile, da tenere comunque al governo per impedire l’arrivo di calamità naturali e popolari», in un partito a sua volta popolare, alleato ai grillini populisti, benedetto dal Papa populista, e aperto al populismo verde-Greta? Oppure, invece, «la sinistra sarà solo usata come una cipria per imbellettare con una pallida ombretta rossa un partito che in realtà è solo l’esecutore testamentario dell’Europa, che da Paolo Gentiloni a David Sassoli non ha altro dio all’infuori di lei?».Al tempo di Veltroni e dell’Ulivo – ricorda Veneziani – si sceglieva per il governo un Prodi, venuto dal parastato parademocristiano, «ma il partito restava nelle mani del ceppo storico di sinistra». Ora, invece, non è più solo il governo: «E’ il partito, che viene euro-commissariato». Ci sarà un riallineamento generale dei pianeti al nuovo corso “eurodragato”, che riguarderà pure l’altro versante, o (proprio per spirito di polarizzazione) la Lega e Fratelli d’Italia rimarcheranno il loro tratto pop, nazionale ed eurocritico? «Le scadenze imminenti tra vaccini, recovery e Quirinale possono innescare processi imprevisti», segnala Veneziani. «Le variabili sono tante», cominciando da Matteo Renzi: «Il pupo fiorentino irrequieto che sta lì accucciato, ormai senza giocattoli perché li ha rotti tutti, cos’altro s’inventerà per farsi notare?». Be’, dipende: bisognerà vedere che tipo di spartito sarà “consigliato” di recitare, a Renzi, a Letta e agli altri attori della politica italiana in emergenza politico-pandemica, letteralmente annullata da Conte e ora “riformattata” da Draghi.A parte l’ottima disamuina di Veneziani, per leggere la situazione vale la pena scendere anche nelle cantine del “back office” del potere (massonico) illuminato frequentemente da Gioele Magaldi, autore del bestseller “Massoni”. Enrico Letta? Tecnicamente, un paramassone. Tradotto: un non-massone, a disposizione dei poteri che, attraverso le superlogge, governano il pianeta utilizzando super-strutture come l’Ue. Pessimo il giudizio di Magaldi sul Letta di ieri, quello che sedeva a Palazzo Chigi: si è limitato ad eseguire gli ordini della peggiore oligarchia massonica, prolungando l’effetto devastante dei tagli senza anestesia inferti dal massone “neoaristocratico” Mario Monti, «chiamato in servizio da un supermassone della medesima tendenza, cioè Napolitano». Di mezzo c’è sempre anche l’eterno establishment nazionale “collaborazionista”, vassallo dei poteri anti-italiani che ispirano il mercantilismo franco-tedesco, dietro la facciata di un europeismo sbandierato ma inesistente. Prestanome di poteri forti, Enrico Letta – come rivelò una fonte di stampa – quand’era premier partecipò a una cenetta a casa di Eugenio Scalfari, presenti anche Napolitano (allora presidente) e Mario Draghi, che era a capo della Bce.Qualche anno fa, il massone “rooseveltiano” Gianfranco Carpeoro ha ricordato che Enrico Letta non ha nulla che fare con la massoneria, ma in compenso è un esponente dell’Opus Dei (insieme a suo zio Gianni Letta e al berlusconiano Marcello Dell’Utri). Quanto a Matteo Renzi, che licenziò brutalmente Letta nel 2014, Magaldi racconta: chiese inutilmente di entrare nelle superlogge più reazionarie (grazie all’amico Tony Blair, solo in apparenza esponente della sinistra). Dopo il lungo esilio, Renzi è tornato alla ribalta affossando Conte: ora spera finalmente di poter entrare nel grande giro mondiale della supermassoneria, stavolta però nel campo “progressista”, al quale è approdato lo stesso Mario Draghi, fino a ieri presente in ben 5 Ur-Lodges di segno oligarchico. Un mondo parallelo, rispetto a quello visibile, utilissimo per guardare oltre la superficie: Draghi, dice Magaldi, oggi si propone di rompere il neo-feudalesimo del finto europeismo a guida tedesca.Anche qui, attenzione: l’attuale leadership politica della Germania è solo lo strumento del quale si è finora servita l’oligarchia massonica che ha ispirato l’austerity per indebolire la democrazia, sabotando il benessere diffuso. Un altro dei suoi cavalli di razza? L’italiano Romano Prodi, spacciatosi per uomo di sinistra. «Prodi è un altro massone “neoaristocratico”, come Monti e Napolitano, e come lo stesso Draghi fino a qualche anno fa: solo che, a differenza di Draghi – rileva Magaldi – Prodi non hai mai fatto ammenda dei suoi errori, né si è sognato (come invece l’attuale premier) di mettersi a disposizione della causa progressista». Un equivoco vivente, Romano Prodi, grande rottamatore (col Draghi del Britannia) dell’Italia che funzionava, e che dava fastidio all’industria tedesca. L’ex capo della Bce si è pentito, mentre Prodi no: e spera ancora di tagliare il traguardo del Quirinale, bruciando Mario Draghi. Gli darà una mano Enrico Letta, a salire al Colle?Magaldi non scopre le carte, ma su Letta si mostra scettico: resta pur sempre un semplice paramassone, in attesa di disposizioni dall’alto. Certo – aggiunge il presidente “rooseveltiano” – rispetto a Zingaretti, il salto è enorme: il Pd era guidato da uno scolaretto, ora invece dispone di un professore prestigioso. Un uomo accorto, garbato e colto. Ma, appunto: a disposizione dei poteri superiori. “Morire per Maastricht”, come ricordava Veneziani, era stato il suo libro-bandiera. Tradotto: sangue, sudore e lacrime. Paracadutato nel Pd allo sbando (al governo con la Lega, dopo aver subito la coabitazione coi catastrofici 5 Stelle e il presenzialismo dell’imbarazzante Conte), Enrico Letta deve supportare un leader di caratura mondiale come Draghi, che – già un anno fa, scrivendo sul “Financial Times” – ha lasciato intendere che non dovrà mai più essere chiesto a nessuno, per alcuna ragione, di “morire per Maastricht”. Sarà capace, Enrico Letta, di capovolgere anche lui le sue convinzioni, rimettendo il Pd a disposizione di un progetto finalmente progressista, capace cioè di ripudiare il rigore di Maastricht e imporre l’introduzione della democrazia a Bruxelles?«Circola una foto di Micron giulivo a tavola con Macron; il pisano ha un cartellino al collo, come accade ai congressisti e agli oggetti appena comprati, col prezzo ancora appeso». Marcello Veneziani fotografa così il personaggio appena cooptato alla guida del Pd dopo Zingaretti. «Pure il suo predecessore, brav’uomo sempre ridente, era piuttosto mediocre: e non solo perché il suo titolo di studio fosse quello di odontotecnico». Con Letta, scrive Veneziani su “La Verità“, «si ha la conferma che siamo entrati nella fase della serietà, inaugurata dall’arrivo a Palazzo Chigi di Mario Draghi al posto di un nullivendolo vanitoso e logorroico. Un fatto positivo, c’è da rallegrarsi». A favore di Letta, Veneziani registra un paio di cose: «È una persona per bene, almeno così ci è parso finora, piuttosto corretto nei rapporti politici e misurato nel linguaggio e nel comportamento. E innalza la media assai scadente dei leader ignorantoni che guidano la politica allo stato attuale».
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Lockdown, medioevo nel 2021: i terrapiattisti del Covid
Uscire dal medioevo: lo chiedeva (in modo “gridato”) un giornalista come Paolo Barnard, co-fondatore di “Report”, almeno dieci anni fa. Nel saggio “Il più grande crimine”, denunciava il carattere neo-feudale dell’élite eurocratica ordoliberista, capace di coniugare neoliberismo economico e autoritarismo politico-sociale nell’adesione fanatica al dogma mercantilista dell’economia “neoclassica”, tra i fantasmi settecenteschi di David Ricardo (prima produco, poi risparmio: senza possibilità di investire a monte, scommettendo sull’economia), come se il denaro fosse ancora un bene materiale e limitato, paragonabile alle materie prime e ai prodotti agricoli come il grano. Al centro della polemica innescata da Barnard campeggiava la grande menzogna sulla “scarsità di moneta”, utilizzata (ormai in tempi di valuta “fiat”, virtualmente illimitata e a costo zero) da un oligopolio privatistico, pronto a imporre l’austerity per ottenere la più grande retrocessione sociale di massa della storia moderna: il debito pubblico come colpa e come handicap, non più interpretato in modo keynesiano come leva strategica destinata a produrre benessere diffuso attraverso investimenti lungimiranti.
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Sapelli: ora Draghi salverà l’Italia, cambiando l’Europa
Come giudico l’arrivo di Draghi a Palazzo Chigi? Una notizia molto positiva. Un po’ come Martin Guzman, che da ministro dell’economia argentino sta trattando la ristrutturazione del debito con il Fondo Monetario. Anche lui, come Draghi, non c’entra niente con la maggioranza che esprime il governo. Entrambi hanno messo le loro competenze al servizio del paese. L’Argentina è stato uno dei paesi più ricchi del mondo. I populisti l’hanno portata al fallimento. Il compito di Draghi è quello di evitare all’Italia lo stesso destino. Draghi come Monti? Chi lo dice non ha capito proprio niente. Monti doveva tagliare, mentre Draghi dovrà spendere. La differenza viene dalla diversa formazione. Draghi ha studiato con Federico Caffè, economista keynesiano, e Monti alla Bocconi? La diversità nasce da più lontano. Entrambi hanno frequentato i gesuiti: Draghi al Massimo di Roma e Monti al Leone XIII di Milano. I primi insegnavano il cosmopolitismo, e nel loro album c’è l’evangelizzazione del Sudamerica. Bergoglio incarna perfettamente quella tradizione.L’omaggio che gli ha riservato Draghi in Parlamento è il riconoscimento della missione sociale di questo Papa. I gesuiti di Monti erano giansenisti, che coprivano con una preghiera gli errori del capitalismo. E’ la cultura a fare gli uomini. Draghi è un servitore dello Stato. Trent’anni fa le privatizzazioni servirono a evitare il fallimento. Oggi bisogna ripristinare la crescita. Governo tecnico o politico? Politico: Draghi è un uomo della Prima Repubblica. Cerca il consenso, non lo scontro. Conte era divisivo, Draghi unisce: coltiva l’arte del compromesso. Mattarella, altro esponente della Prima Repubblica, non ha avuto esitazioni a cancellare “l’avvocato del popolo”. Moriremo tutti democristiani? Definirei Draghi un socialdemocratico, con molti riferimenti nel mondo cattolico: un riformista. In Banca d’Italia e poi al Tesoro ha lavorato con Ciampi (che da capo del governo, l’ultimo della Prima Repubblica, ha consacrato il metodo della concertazione come stile di comando); difficile dire che Ciampi fosse democristiano.Nel mio ultimo libro (”Nella storia mondiale. Stati, mercati, guerre”) accuso i partiti italiani d’ignoranza, “perché per spiegare la nostra vita nazionale bisogna capire prima come si muove il mondo”. Volevo dire che quelli di prima non avevano capito nulla, a cominciare da Conte: spuntato dal nulla, frutto della mucillagine che avvolge i palazzi romani. Coltivava l’amicizia con i cinesi di Xi. Flirtava con Putin. I soldati russi a Bergamo come “sanificatori” non credo siano piaciuti. I nostri servizi segreti incaricati di coprire i traffici fra Mosca e Trump. Ad abbattere il governo Conte è stato Renzi. Ma l’onda è partita da molto più lontano. Draghi è un uomo potente. Apprezzato negli Usa, temuto in Germania. L’ex segretario al Tesoro, Timothy Geithner, nell’autobiografia racconta di essere stato incaricato da Obama di negoziare con Berlino la nomina di Draghi alla Bce. Perché? Era l’argine all’egemonia tedesca. Ancora una volta il capitalismo nordamericano ha vinto sull’ordo-liberismo teutonico.Alla fine, però, la Merkel non solo ha accettato, ma ha anche fatto da sponda contro la Bundesbank e la Corte Costituzionale tedesca, che non vedevano l’ora di sbarazzarsi di Draghi. La politica doveva salvare la catena del valore che unisce l’industria tedesca a quella italiana. Hanno provato a sostiturci con la Cina, ma hanno rinunciato: troppo alto il divario di qualità. E poi non tira bella aria da quando il regime di Xi Jinping si è messo a giustiziare i capitalisti, i tycoon e persino le mogli, accusate di adulterio. Finito l’impegno a Palazzo Chigi, Draghi andrà al Quirinale? Tornerà a casa. Potrebbe tentarlo solo un altro incarico in Europa. Che cosa potrebbe esserci in Europa di più importante dopo la Bce? Dopo il Recovery Fund non si torna più indietro: l’Europa avrà una Costituzione. Bisogna solo decidere se confederale o, come piace a me, federale sul modello Usa. A un impegno del genere, Draghi non potrà sottrarsi. Soprattutto se, dopo aver salvato l’euro, avrà tirato l’Italia fuori dai guai.(Giulio Sapelli, dichiarazioni rilasciate a Nino Sunseri per l’intervista sul ruolo di Mario Draghi alla guida dell’Italia pubblicata da “Libero” il 22 febbraio 2021 e ripresa da “Dagospia”. Storico ed economista, Sapelli è una delle voci più autorevoli del mondo progressista e post-keynesiano italiano).Come giudico l’arrivo di Draghi a Palazzo Chigi? Una notizia molto positiva. Un po’ come Martin Guzman, che da ministro dell’economia argentino sta trattando la ristrutturazione del debito con il Fondo Monetario. Anche lui, come Draghi, non c’entra niente con la maggioranza che esprime il governo. Entrambi hanno messo le loro competenze al servizio del paese. L’Argentina è stato uno dei paesi più ricchi del mondo. I populisti l’hanno portata al fallimento. Il compito di Draghi è quello di evitare all’Italia lo stesso destino. Draghi come Monti? Chi lo dice non ha capito proprio niente. Monti doveva tagliare, mentre Draghi dovrà spendere. La differenza viene dalla diversa formazione. Draghi ha studiato con Federico Caffè, economista keynesiano, e Monti alla Bocconi? La diversità nasce da più lontano. Entrambi hanno frequentato i gesuiti: Draghi al Massimo di Roma e Monti al Leone XIII di Milano. I primi insegnavano il cosmopolitismo, e nel loro album c’è l’evangelizzazione del Sudamerica. Bergoglio incarna perfettamente quella tradizione.
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Toto: di lockdown si muore, dobbiamo tornare a vivere
Da circa un anno subiamo restrizioni della libertà attraverso lockdown, coprifuoco, distanziamento sociale ed obbligo di indossare mascherine in nome della tutela della salute. Ma che cos’è la salute? Come si evince dalla definizione di salute che si trova nella Costituzione dell’Oms: «La salute è uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale, e non semplice assenza di malattia o di infermità». Dunque la tutela della salute deve necessariamente tenere in considerazione gli aspetti mentali e sociali, quindi le relazioni tra gli esseri umani, la possibilità di accesso al mondo del lavoro, la salvaguardia dell’economia e tutte le dimensioni che incidono sul benessere della persona sul piano fisico e mentale. Al fine di rafforzare questo concetto l’Oms ha pubblicato nel 2013 il “Piano d’azione per la salute mentale” 2013-2020 dove a pagina 7 si ribadisce la definizione di salute come uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale, e non semplice assenza di malattia o di infermità.Interessante notare che tale definizione fu coniata nel 1948. Questa data è molto significativa, infatti, il 10 dicembre 1948, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite approvò e proclamò la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani. In riferimento alla pandemia, il 27 Aprile 2020 l’alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani Michelle Bachelet ammonì i paesi a rispettare lo stato di diritto, durante la pandemia da coronavirus, limitando nel tempo le misure eccezionali, al fine di evitare una “catastrofe” per i diritti umani. Sulla base di queste considerazioni, possiamo certamente intuire che esiste una netta differenza tra “salute” e mera “sopravvivenza”. Inoltre, non possiamo ignorare le rivolte e le proteste che in varie parti del mondo queste misure restrittive hanno generato. Le restrizioni, infatti, hanno un impatto devastante sull’economia e la libertà individuale.Tra l’altro l’Italia dovrà confrontarsi con una possibile crisi economica senza precedenti proprio per il fatto di aver bloccato le attività lavorative e non dimentichiamoci che il primo articolo della Costituzione sancisce che l’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro. Comunque, il 31 marzo 2021 scadrà il blocco dei licenziamenti imposto dal governo a partire dal primo lockdown, e più volte prorogato con la prosecuzione della pandemia. Cosa accadrà ai lavoratori? Le proiezioni dell’Istat per il 2020 danno una contrattura del Pil pari a -14,3% secondo quanto riportato su open.online il 31 luglio 2020. Questi dati evidenziano i danni procurati dal lockdown sul piano economico. Di certo un incremento significativo della povertà indurrà danni alla salute a causa dallo stress psicologico, dell’incapacità di acquistare cibi di alta qualità e l’impossibilità di accesso a cure nel settore privato della sanità.Altra questione fondamentale riguarda la scuola. La qualità della formazione è nettamente in calo ed il rapporto docente/studente risulta estremamente danneggiato e ridotto ad un contatto virtuale. A titolo di cronaca mi sento in dovere di riportare che alcuni siti Internet sostengono che la definizione di salute Oms nel completo silenzio mediatico sia cambiata nel 2011 nella seguente: “capacità di adattamento e di auto gestirsi di fronte alle sfide sociali, fisiche ed emotive”. Questa definizione si presenta come sostegno filosofico ad una società che si confronta con l’aumento della durata della vita e di conseguenza l’inevitabile insorgere di malattie spesso invalidanti sul piano fisico e psicologico. Ma in ogni caso, anche in questa definizione troviamo la parola autogestione, che in ambito medico e sanitario, rappresenta l’insieme delle tecniche di cura di pazienti con malattie o disabilità croniche, attraverso le quali possano guarire e curarsi da sé.Dunque una definizione che pone nuovamente l’enfasi sull’individuo. Resta di fatto che nel “Piano d’azione per la salute mentale” 2013-2020 si ribadisce la definizione di salute come uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale, e non semplice assenza di malattia o di infermità. In conclusione, al di là delle definizioni, delle competenze, dei tecnicismi e proposte di soluzioni a problemi complessi, esiste il “senso della vita” che rappresenta il punto fondamentale della nostra esistenza umana. Tutto quello che rende la nostra vita unica e speciale, la libertà, il rapporto con gli altri, la libertà di culto, il lavoro, gli affetti, la possibilità di corteggiarsi, di viaggiare e di godere di ogni bene e servizio a nostra disposizione è stato totalmente annullato in nome della tutela della salute. Ma questa è salute? O meglio, questa è vita?(Carlo Toto, “Lockdown? Meglio assumersi una dose di rischio”, dal blog di Nicola Porro del 30 gennaio 2021).Da circa un anno subiamo restrizioni della libertà attraverso lockdown, coprifuoco, distanziamento sociale ed obbligo di indossare mascherine in nome della tutela della salute. Ma che cos’è la salute? Come si evince dalla definizione di salute che si trova nella Costituzione dell’Oms: «La salute è uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale, e non semplice assenza di malattia o di infermità». Dunque la tutela della salute deve necessariamente tenere in considerazione gli aspetti mentali e sociali, quindi le relazioni tra gli esseri umani, la possibilità di accesso al mondo del lavoro, la salvaguardia dell’economia e tutte le dimensioni che incidono sul benessere della persona sul piano fisico e mentale. Al fine di rafforzare questo concetto l’Oms ha pubblicato nel 2013 il “Piano d’azione per la salute mentale” 2013-2020 dove a pagina 7 si ribadisce la definizione di salute come uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale, e non semplice assenza di malattia o di infermità.
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Draghi sfratta Conte: fine dell’orrore, Italia nella storia
Il governo dell’orrore è defunto: clinicamente morto. In rianimazione è finito grazie a Renzi, ma a staccargli la spina è stato Mattarella. Finalmente, è il caso di dire, dopo un anno di inaudita agonia inflitta a 60 milioni di italiani, a cui – una sera sì e l’altra pure – è stato spiegato se sarebbe stato loro “consentito” di portare a spasso il cane, oppure no, mentre l’Italia moriva: di Covid, oppure di lockdown. Cifre spaventose: tra i peggiori al mondo il bilancio delle vittime, e il più feroce genocidio economico in Europa. Oltre 400.000 aziende già fallite, quasi un milione di lavoratori a spasso per colpa delle folli restrizioni inflitte dall’ex “avvocato del popolo”, dai partiti e dai media che hanno sostenuto la sua pericolosa vacuità e l’opaca azione dei suoi troppi, strapagati e disastrosi super-commissari. Nomi che passeranno alla storia: Arcuri e Speranza, l’inaudito Casalino, l’euro-passacarte Gualtieri, Zingaretti e Di Maio, la Azzolina coi suoi banchi a rotelle. Un governo vomitevole, luttuoso e impresentabile come il suo Recovery Plan, i suoi non-ristori e le sue infinite promesse, tra il ridicolo e il grottesco, come l’evocata “potenza di fuoco” dei maxi-crediti rimasti tra le migliori barzellette del signor nessuno venuto da Volturara Appula a sabotare il Belpaese, facendo impazzire di gioia i poteri marci che vorrebbero finire di mangiarsi l’Italia in un sol boccone.Il cambio della guardia è il più brutale e salutare che si possa immaginare, con la convocazione di Mario Draghi al Quirinale, per un “governo di alto profilo”. Come dire: nani e ballerine sono invitati a togliersi di torno, perché ormai ne va della sopravvivenza del sistema-paese. Non solo: se il catacombale Mario Monti fu spedito a Palazzo Chigi nel 2011 per assestare all’Italia il colpo del ko, stavolta i ruoli si capovolgono. C’era anche Draghi, tra i “mandanti” del sicario economico Monti, ma era un altro Draghi: l’opposto di quello di oggi. Lo ha spiegato nel modo più nitido un insider di razza, proveniente dallo stesso mondo al quale appartengono Draghi, Monti, Napolitano e gli altri. Si tratta di Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt e, soprattutto, frontman italiano del circuito massonico-progressista internazionale, fino a ieri ferocissimo avversario degli oligarchi che nel 2011 imposero la retrocessione dell’Italia a colpi di spread, per consegnarla al macellaio della Bocconi e ai suoi mandanti anti-italiani.Dieci anni fa, teneva ancora banco l’equivoco del finto derby tra centrodestra e centrosinistra, che opponeva solo in apparenza due schieramenti del tutto identici, nelle scelte di fondo, e pronti infatti a votare all’unanimità il mortale pareggio di bilancio, che equivale a una condanna alla depressione cronica, socio-economica. Nel suo bestseller “Massoni”, uscito nel 2014, Magaldi lo ha messo in chiaro: a dirigere il teatrino non è la politica, sono le superlogge sovrastanti. Network massonici apolidi, sovranazionali, divisi in due categorie: gli uni politicamente “neoaristocratici”, e quindi neoliberisti in economia, e gli altri “progressisti”, ed economicamente post-keynesiani. Da questi viene Mario Draghi, in origine, allevato alla scuola di Federico Caffè: era il maggior economista italiano del dopoguerra, nella scuderia dei democratici. Poi, si sa, Draghi fu reclutato dal grande potere neoliberista. Entrò in ben 5 superlogge reazionarie e divenne uno dei grandi registi dell’austerity europea. Una lunga stagione, incorniciata simbolicamente dal fatidico Britannia: la svendita dell’Italia con le privatizzazioni (accelerate da Prodi e D’Alema) e la perdita di ogni residua sovranità finanziaria, al punto da trasformare i governi in docili marionette nelle mani dei poteri (privati) che utilizzano la tecnocrazia di Bruxelles.Poi, ogni tanto, i tempi della politica si incrociano con quelli della storia. Dal vertice della Bce, Draghi ha iniziato a cambiare direzione, tornando alle origini. Prima ha forzato il rigore, inventandosi il “quantitative easing” per sorreggere (indirettamente) i debiti sovrani. Poi ha gettato la maschera, in modo spettacolare: già nella primavera 2019, mentre ancora sedeva all’Eurotower di Francoforte, ha annunciato la necessità di misure impensabili, compresa l’eresia della Modern Money Theory: emissione illimitata di moneta, ma a costo zero. Il che significa: abbattere il mito della “scarsità di moneta”, con cui gli Stati – Grecia in primis – sono stati letteralmente impiccati ai loro debiti pubblici, come se la moneta fosse un bene limitato, da usare con parsimonia. Falso: la moneta può essere emessa senza limiti, né costi. Non è un problema economico, è solo un dogma politico. E a dirlo è stato lui: l’uomo che, fino a poco prima, era stato il massimo sacerdote europeo della “religione della scarsità”. Folgorato sulla via di Damasco? Di più: Mario Draghi sembra essere “ridiventato se stesso”, lo studente-prodigio che si laureò con una tesi (udite, udite) sull’insostenibilità di una moneta unica europea.Cos’è successo? Semplice, racconta Magaldi: «Draghi è venuto a bussare alle superlogge progressiste, mettendosi a disposizione per combattere lo schema di potere che, fino a qualche anno fa, era stato il suo». Una sorta di grande pentimento, come quello dell’Innominato dei “Promessi sposi”. L’appuntamento è con la storia: si tratta di rimediare al male, usando quella stessa prodigiosa capacità per ribaltare la situazione, stavolta nel segno del benessere diffuso. Per inciso, Mario Draghi resta uno degli uomini più influenti al mondo, membro di ristrettissimi consessi super-elitari come il Gruppo dei Trenta. Gode di un prestigio planetario, dall’alto del quale – un anno fa – lanciò il suo guanto di sfida, dalle colonne del “Financial Times”: utilizzare l’emergenza Covid per stracciare quarant’anni di rigore, preparandosi a emettere aiuti-fiume pressoché illimitati, capaci cioè di annullare i disastri della crisi pandemica. “Whatever it takes”, aveva detto, quando in gioco c’era la salvezza dell’euro. “Qualunque cosa occorra”, ha ripetuto nel 2020, sapendo che stavolta c’era in palio molto di più: la nostra stessa sopravvivenza, come Occidente ancora libero e non-cinesizzato.Non si tratta solo di cestinare “Giuseppi” e, con lui, il peggior esecutivo della storia repubblicana, restituendo dignità alle istituzioni e tornando a onorare la Costituzione antifascista, che tutela diritti e libertà: la posta è ancora più alta, e proietta l’Italia – dopo decenni – in un orizzonte mondiale. Primo step: dare sollievo immediato all’economia e alla società, abolendo le aberranti norme “carcerarie” improvvisate dalla banda Conte a colpi di Dpcm, sulla pelle degli italiani. Ma poi, soprattutto: dimostrare – all’Europa, e al mondo – che dal tunnel nel quale siamo prigionieri si esce in un solo modo, e cioè con una rivoluzione copernicana: mettere fine al falso dogma della scarsità. Lo ha spiegato in modo tagliente, Draghi: il “debito cattivo” è quello degli sprechi a pioggia, come quelli scialati a piene mani dai Premi Nobel del Conte-bis, coi loro bonus per i monopattini. Un errore che poi diventa una tragedia, se manca del tutto il “debito buono”, quello cioè che finanzia investimenti produttivi. Si chiama “deficit positivo”, e funziona così: vado in rosso, ma scommetto su settori vitali. Risultato: occupazione, crescita del Pil e quindi riduzione della forbice deficit-Pil. Alla lunga: maggiori entrate fiscali, e riequilibrio del bilancio.Lo sanno da sempre, tutti (anche quelli come Monti, che fingono di non saperlo). Era questa, la grande verità da gridare dal vento. Ed è questo, che la politica – giocando a dividersi tra centrodestra e centrosinistra – ha evitato accuratamente di ammettere: in Italia, in Europa e nel resto del mondo. Poi è arrivato Trump, vero e proprio incidente di percorso: ha tagliato le tasse e aumentato il deficit, senza paura. Risultato spettacolare: disoccupazione azzerata, in soli tre anni. Al di là dell’apparenza, e della sua retorica spesso indigesta – spiega Magaldi – Trump ha reintrodotto negli Usa alcuni principi keynesiani, gli stessi che spiegano il boom economico italiano del dopoguerra. «Per questo – svela Magaldi – Trump è stato sostenuto dai massoni progressisti, scontenti del finto progressismo dei democratici, in realtà alleati delle oligarchie finanziarie di segno reazionario». Ora Trump è caduto, ma – assicura Magaldi – non sarà cancellata la sua impostazione economica: lo garantisce il patto infra-massonico stretto, prima ancora delle presidenziali, tra le varie anime della supermassoneria atlantica che ora sovrintendono alla presidenza Biden.«Tutto sta cambiando in modo velocissimo, nel “back office” del potere», ha detto Magaldi il 2 febbraio, poche ora prima che Fico gettasse la spugna. Già si sapeva come sarebbe andata a finire: per questo, Magaldi ha annunciato una “lettera aperta”, rivolta ai parlamentari e girata anche al capo dello Stato. Tema: salvare l’Italia, fare un passo indietro, lasciare i comandi a un governissimo di super-tecnici coordinati da Draghi (almeno come ministro dell’economia, se non come premier, nel caso si volesse lasciare Palazzo Chigi a una figura istituzionale come Marta Cartabia, già presidente della Corte Costituzionale ed estimatrice dichiarata di Eleanor Roosevelt, madrina dei diritti umani). Poche ore dopo, le parole di inequivocabili di Mattarella: governo di alto profilo, finalmente, e fine dell’incubo. Per Magaldi, è questione di onore: restituire ai cittadini la libertà sancita dalla Costituzione, e ridare agli italiani la prospettiva di una vita dignitosa. In altre parole: riaccendere la luce. Operazione non certo alla portata di “Giuseppi”, ma neppure degli altri nano-leader in circolazione.La grande verità – rimettere mano alla spesa, ma usando il cervello – era già palese nel 2018, all’alba del precario governo gialloverde. «Doveva “spezzare le reni” all’austeriy Ue, e invece ha subito le consuete imposizioni di Bruxelles, combinando ben poco». Poi è arrivato il Conte-bis, nato solo per bloccare Salvini, ed è esploso il delirio. «Conte ha usato la pandemia per restare in sella, calpestando la Costituzione e affossando l’economia: senza il Covid, il Conte-bis sarebbe caduto un anno fa». E’ crollato ora, tramite a Renzi. C’è un nesso preciso: «Mattarella – riassume Magaldi – sa benissimo che è stato eletto al Quirinale grazie a Draghi, che aveva incaricato Renzi (allora primo ministro) di aggregare i voti necessari». Draghi, Renzi e Mattarella: ora il cerchio si è davvero chiuso, stavolta per riaprire un nuovo capitolo, non solo della politica ma anche della storia (italiana, e poi europea). In altre parole: sta per succedere quello che doveva accadere già nel 2018. Oggi, tutto è possibile: è la stessa crisi innescata dalla pandemia a rendere fertile il terreno, per possibili “miracoli”.Si parte dalle macerie: è scandalosa, la bancarotta del governo Conte. «Ai cittadini si sono imposti divieti assurdi – ricorda Magaldi – ma poi si è lasciato che si stipassero come sardine su treni, bus e metro. Nessuno ha pensato di distanziare i passeggeri, di investire sui trasporti». Drammatico il bilancio della sanità: ancora non esiste un protocollo unico nazionale, per il Covid, che spieghi ai medici come curare efficacemente i pazienti, a casa, prima che debbano ricorrere all’ospedale (quando spesso, ormai, è troppo tardi). «Ridicola la cifra per la sanità inserita da Conte nel Recovery: l’Italia ha bisogno di una sanità rifondata». Idem la scuola, le infrastrutture strategiche, la manutenzione idrogeologica. «Siamo un paese di ferrovie antidiluviane e viadotti pericolanti: su questo deve intervenire, il Recovery Plan». E prima ancora, l’emergenza socio-economica: è in ginocchio l’intero comparto turistico, che vale il 15% del Pil. Bar e ristoranti: «Le attività chiuse devono ricevere, subito, i soldi che non hanno potuto incassare: nessuno deve fallire, tutti devono poter riaprire, da domani, senza altre perdite».Missione impossibile? Non per uno come Draghi, sulla carta: lui sì, potrebbe trattare a testa alta con Bruxelles, imponendo il cambio di passo che farebbe dell’Italia il punto di svolta a cui il mondo guarderebbe. Non solo: Magaldi segnala il possibile contributo di un economista come Nino Galloni, vicepresidente del Movimento Roosvelt, altro allievo del professor Caffè. «Galloni ha elaborato la possibilità di utilizzare, intanto, anche una moneta solo nazionale, parallela all’euro: potrebbe essere preziosa, in un momento come questo». Draghi a Palazzo Chigi? «E’ noto che preferirebbe puntare al Quirinale, limitandosi per ora al ruolo di suggeritore, o al limite accettando di gestire un super-ministero dell’economia con ampi margini di autonomia». Quello che conta, però – ribadisce Magaldi – è che l’operazione-rinascita si è finalmente messa in moto. Primo orizzonte: riaprire l’Italia, riaccendere il futuro, porre fine all’orrore del distanziamento dopo aver messo a punto l’adozione di terapie efficaci contro il Covid. E poi, soprattutto: mettere fine alla grande menzogna dell’austerity, che ha azzoppato l’Europa e affossato l’Italia. Ora o mai più: l’alternativa è la morte civile, sinistramente inaugurata dai Conte-boys. Rialzare la testa, riconquistare la democrazia. Diritti, dignità. E finalmente, verità. Si può fare? Ora sì, dicono gli uomini del “back office”, quelli che a volte scrivono davvero la storia.Il governo dell’orrore è defunto: clinicamente morto. In rianimazione è finito grazie a Renzi, ma a staccargli la spina è stato Mattarella. Finalmente, è il caso di dire, dopo un anno di inaudita agonia inflitta a 60 milioni di italiani, a cui – una sera sì e l’altra pure – è stato spiegato se sarebbe stato loro “consentito” portare a spasso il cane, oppure no, mentre l’Italia moriva: di Covid, oppure di lockdown. Cifre spaventose: tra i peggiori al mondo il bilancio delle vittime, in mezzo al più feroce genocidio economico registrato in Europa. Oltre 400.000 aziende già fallite, quasi un milione di lavoratori a spasso per colpa delle folli restrizioni inflitte dall’ex “avvocato del popolo”, dai partiti e dai media che hanno sostenuto la sua pericolosa vacuità e l’opaca azione dei suoi troppi, strapagati e disastrosi super-commissari. Nomi che passeranno alla storia: Arcuri e Speranza, l’inaudito Casalino, l’euro-passacarte Gualtieri, Zingaretti e Di Maio, la Azzolina coi suoi banchi a rotelle. Un governo vomitevole, luttuoso e impresentabile come il suo Recovery Plan, i suoi non-ristori e le sue infinite promesse, tra il ridicolo e il grottesco, come l’evocata “potenza di fuoco” dei maxi-crediti rimasti tra le migliori barzellette del signor nessuno venuto da Volturara Appula a sabotare il Belpaese, facendo impazzire di gioia i poteri marci che vorrebbero finire di mangiarsi l’Italia in un sol boccone.
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“Il lockdown uccide: avremo 1,3 milioni di morti in più”
Il lockdown uccide: ce ne accorgeremo nei prossimi anni. Lo dicono studiosi di tutto il mondo, a cominciare da quelli della Duke, di Harvard e della Johns Hopkins. Potrebbero esserci circa un milione di morti in più, nei prossimi due decenni, a causa dei lockdown. Lo scrive Steve Watson su “Summit News”, in un reportage panoranico (ripreso da “Come Don Chisciotte”) che monitora i tanti segnali di allarme lanciati da scienziati: si calcola che il crollo economico devasti l’aspettativa di vita, facendo schizzare in alto i tassi di mortalità. Si parla di 1,37 milioni di morti in più, nei prossimi 15-20 anni, secondo Francesco Bianchi, economista della Duke University, autore di uno studio realizzato insieme a Giada Bianchi, medico della Harvard Medical School, e Dongho Song, economista della Johns Hopkins University. Lo studio su come la disoccupazione influenzi la mortalità e l’aspettativa di vita è stato incentrato su 67 anni di dati statistici ufficiali su disoccupazione, aspettativa di vita e tassi di mortalità. I decessi causati dal declino economico e sociale come risultato dei lockdown possono «superare di gran lunga» quelli direttamente legati alla malattia critica acuta Covid-19.«La recessione causata dalla pandemia può mettere in pericolo la salute della popolazione per i prossimi due decenni», aggiungono gli studiosi, analizzando le componenti della società statunitense. «Sulla base dei dati emergenti – affermano i ricercatori – è probabile che l’accesso limitato all’assistenza sanitaria durante il lockdown, la sospensione temporanea degli interventi di assistenza preventiva, la perdita massiccia della copertura assicurativa sanitaria fornita dai datori di lavoro nonché la costante preoccupazione della popolazione nel cercare cure mediche per non contrarre il Covid-19 avranno un impatto ancora più grave sul tasso di mortalità e sull’aspettativa di vita». E avvertono: «Noi interpretiamo questi risultati come una chiara indicazione per i responsabili politici a considerare le gravi implicazioni a lungo termine di tale recessione economica sulla vita delle persone quando deliberano sulle misure di ripresa e di contenimento del Covid». I risultati si aggiungono alle numerose ricerche già esistenti, che suggeriscono che “la cura è peggiore del male”.In ottobre, il direttore regionale per l’Europa dell’Oms, Hans Kluge, ha detto che i governi dovrebbero smettere di imporre chiusure, se non come «ultima risorsa», perché l’impatto su altre aree della salute e del benessere mentale è più dannoso. Il monito di Kluge corrisponde a quello dell’inviato speciale dell’Oms per il Covid, il dottor David Nabarro, che in un’intervista di “The Spectator” ha detto che i leader mondiali dovrebbero smettere di imporre lockdown come reazione di risposta, perché «stanno rendendo i poveri sempre più poveri». Insomma, il lockdown uccide più del virus: «Avvertimento finora ignorato dai governi», sintetizza Steve Watson nella sua ricognizione giornalistica. Eppure, le voci fuori dal coro non mancano: per il ministro tedesco per la cooperazione economica e lo sviluppo, Gerd Müller , i lockdown anti-Covid provocheranno «una delle più grandi crisi di fame e povertà della storia». Dati espliciti: «Ci aspettiamo 400.000 morti in più per malaria e Hiv, quest’anno, nel solo continente africano, e mezzo milione in più morirà di tubercolosi».I commenti di Müller – ricorda Watson – sono arrivati mesi dopo che uno studio trapelato dal ministero dell’interno tedesco ha rivelato che «l’impatto del lockdown nel paese potrebbe finire per uccidere più persone del coronavirus, a causa della mancata cura di altre gravi malattie». Un altro studio ha rilevato che i lockdown «distruggeranno almeno sette volte più anni di vite umane» (stima conservativa) di quante ne potranno salvare. Per il professor Richard Sullivan, nel Regno Unito ci saranno più morti per cancro che morti totali per coronavirus, proprio a causa dell’accesso limitato agli screening e alle cure per via del lockdown. I suoi commenti sono stati ripresi da Peter Nilsson, un professore svedese di medicina interna ed epidemiologia dell’Università di Lund: «È importante capire che le morti dovute al Covid-19 saranno molto inferiori a quelle causate dall’isolamento della società quando l’economia sarà rovinata», ha sottolineato Nilsson.Secondo il professor Karol Sikora, consulente oncologo del servizio sanitario inglese, in Gran Bretagna ci potrebbero essere 50.000 morti in più per il cancro, come conseguenza della sospensione degli screening di routine durante il lockdown. Un’analisi del “Guardian” ha rilevato che ci sono stati migliaia di morti in casa in più, sempre nel Regno Unito, proprio a causa del lockdown. Non solo: il professor Mark Woolhouse dell’Università di Edimbirgo, esperto in malattie infettive, ha ammesso che la decisione di bloccare il Regno Unito lo scorso marzo è stata «una misura rozza», attuata perché «non siamo riusciti a pensare a niente di meglio». Woolhouse ha detto che l’isolamento è stata «una misura dettata dal panico», rivelatasi «un errore monumentale su scala globale». Conseguenze: «Il danno che il lockdown sta facendo alla nostra istruzione, all’accesso all’assistenza sanitaria e agli aspetti più ampi della nostra economia e società si rivelerà almeno altrettanto grande quanto quello causato dal Covid-19».Bilancio analogo dal Sudafrica, dove un consorzio di analisti ha scoperto che le conseguenze economiche dell’isolamento del paese porteranno a 29 volte più morti del coronavirus stesso. Gli esperti – aggiunge sempre Watson, su “Summit News” – hanno anche avvertito che ci saranno 1,4 milioni di morti a livello globale per infezioni da Tbc non curate a causa del lockdown. La stessa rivista medica “The Lancet” sottolinea, in un recente studio, che «il distanziamento fisico, la chiusura delle scuole, le limitazioni commerciali e l’isolamento dei paesi stanno peggiorando la malnutrizione infantile a livello mondiale». Insomma, migliaia di medici e scienziati si oppongono alle misure di lockdown, e avvertono: causeranno più morti del coronavirus stesso. Ne sanno qualcosa gli svizzeri, che – attivando la loro democrazia diretta – a giugno sfideranno il governo di Berna con un referendum: la Svizzera sarà il primo paese al mondo a chiamare gli elettori a pronunciarsi sull’opportunità di ricorrere ai lockdown.Il lockdown uccide: ce ne accorgeremo nei prossimi anni. Lo dicono studiosi di tutto il mondo, a cominciare da quelli della Duke, di Harvard e della Johns Hopkins. Potrebbero esserci circa un milione di morti in più, nei prossimi due decenni, a causa dei lockdown. Lo scrive Steve Watson su “Summit News”, in un reportage panoramico (ripreso da “Come Don Chisciotte“) che monitora i tanti segnali di allarme lanciati da scienziati: si calcola che il crollo economico devasti l’aspettativa di vita, facendo schizzare in alto i tassi di mortalità. Si parla di 1,37 milioni di morti in più, nei prossimi 15-20 anni, secondo Francesco Bianchi, economista della Duke University, autore di uno studio realizzato insieme a Giada Bianchi, medico della Harvard Medical School, e Dongho Song, economista della Johns Hopkins University. Lo studio su come la disoccupazione influenzi la mortalità e l’aspettativa di vita è stato incentrato su 67 anni di dati statistici ufficiali su disoccupazione, aspettativa di vita e tassi di mortalità. I decessi causati dal declino economico e sociale come risultato dei lockdown possono «superare di gran lunga» quelli direttamente legati alla malattia critica acuta Covid-19.
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Carotenuto: l’ombra dei gesuiti sulla presidenza Biden
Galeotto fu il gesuita e chi lo invitò a corte: nasce sotto il segno della Compagnia di Gesù il nuovo potere (in realtà antico) che si è appena insediato alla Casa Bianca attorno all’anziano Joe Biden, l’uomo che sostiene di aver vinto le presidenziali 2020 negli Stati Uniti. A sottolineare la matrice gesuitica della “piramide” che avrebbe fabbricato l’affermazione di Biden è Fausto Carotenuto, già collaboratore di Mino Pecorelli (giornalista d’indagine assassinato nel ‘79) e per anni analista strategico dell’intelligence Nato, esperto di Medio Oriente e strategia della tensione. Approdato al pensiero steineriano, Carotenuto ha fondato il network “Coscienze in Rete”, riassumendo poi la sua visione nel saggio “Il mistero della situazione internazionale”: vede in azione due “piramidi” mondiali, in apparenza contrapposte (dato che si esprimono politicamente attraverso la destra e la sinistra) ma che in realtà dominano il pianeta, alternando oppressione e libertà illusorie, con l’unico scopo di tenere l’umanità sottomessa e le coscienze addormentate, ipnotizzate dal nemico di turno creato ad arte per essere trasformato in demonio.«Per intenderci: la destra classica promuove apertamente l’egoismo sociale, mentre la nuova sinistra postmoderna (quella “gesuitica”, appunto) è più insidiosa, visto che riesce a mascherare i suoi reali intenti dietro il velo dei buoni sentimenti, dei diritti civili e del politicamente corretto, sfornando “bidoni” perfetti: ieri Obama, e oggi Biden». Stessa regia, assicura Carotenuto: e i sapienti “stregoni” della manipolazione sarebbero sempre loro, i gesuiti. In un interessante video sul web, Carotenuto invita a dare un’occhiata alla squadra del nuovo inquilino della Casa Bianca: «Compaiono uomini della Cia come George Tenet e lo stesso Robert Gates, altro specialista in materia di terrorismo mediorientale: sono stati tutti formati alla gesuitica Georgetown University, dove insegnava un certo Henry Kissinger. Non è un segreto per nessuno: Joe Biden è intimo dei gesuiti e di personaggi usciti da Georgetown».Carotenuto sottolinea la vocazione storica dei seguaci di Ignazio de Loyola, nati come educatori dei giovani principi: «Una volta formati non li mollano più: li fanno diventare Ciampi, Monti, Draghi, Rutelli, creando una vera e propria struttura, una rete fatta di carriere in qualche modo “assitite”». Per la prima volta nella storia, un gesuita occupa addirittura il Soglio Pontificio: Trump lo ha attaccato frontalmente, attraverso Mike Pompeo, per la cessione al regime di Pechino del potere di nomina dei vescovi cattolici in Cina. E Biden? All’opposto: è devoto a Bergoglio, gli obbedisce. «Biden fa tutto quello che Papa Francesco chiede: aperture sull’aborto, sui gay, sulla green economy, sui migranti, sulla povertà, sul clima». Beninteso: «Sono temi anche condivisibili, ma vengono adoperati come cosmesi per ricevere i voti delle classi medie, dei benpensanti, per poi spingere le agende del potere vero: guerre, elettromagnetizzazione del pianeta, Great Reset».Attenzione ai gesuiti, insiste Carotenuto: è uscito da Georgetown il nuovo, potente capo di gabinetto della Casa Bianca, cioè Ron Klein. «Cattolico e vicino agli ambienti gesuiti è anche William Burns, appena nominato direttore della Cia, molto impegnato nella destabilizzazione del Medio Oriente quando lavorava per Obama». Viene da Georgetown anche Avril Haines, messa a capo della direzione generale dell’intelligence. Allievo dei gesuiti è lo stesso barone della medicina Anthony Fauci, che neppure Trump era riuscito a sloggiare. «Pubblicamente, Fauci ha dichiarato di aver appreso proprio dai gesuiti i fondamenti del senso della vita. E adesso Biden l’ha posto a capo della delegazione che segnerà il rientro trionfale degli Stati Uniti nell’Oms», l’opaca struttura mondialista da cui Trump si era ritirato, in polemica per la gestione poco trasparente (e troppo “cinese”) dell’emergenza Covid, utilizzata per sospendere diritti e libertà in nome della sicurezza.Gesuiti dietro a Biden? Eccome, assicura Carotenuto: viene dalle scuole della Compagnia di Gesù buona parte del team del nuovo presidente, probabilmente abusivo data l’ingente massa di prove che documentano i clamorosi brogli elettorali (che nessuna corte giudiziaria si è finora degnata di esaminare, in dettaglio). «Joe Biden è vicinissimo ai gesuiti, e ha citato Bergoglio già nel suo primo discorso dopo la “vittoria” elettorale». Ma attenzione: chi lo ha “incoronato”, formalmente? A pronunciare la preghiera per la cerimonia di inaugurazione della presidenza Biden, il 20 gennaio, è stato un gesuita molto imporante, padre Leo O’Donovan, per molti anni rettore della Georgetown University. «Quell’uomo ha “allevato” ministri, dirigenti della Cia e presidenti americani, come Bill Clinton». Strano cattolico, secondo Carotenuto: «Alla Georgetown, O’Donovan aveva fatto fare conferenze ai grandi editori americani della pornografia, e aveva anche dato il via a ricerche sull’utilizzo biomedico dei feti: un fatto non comune, per un cristiano».Proprio non piacciono, a Carotenuto, i gesuiti vicini al potere: «Sono formatori di forme-pensiero che sanno un po’ di “mago nero”, o forse prendono ordini da qualche “mago nero”». Nel suo saggio sull’apparente “mistero” della geopolitica, quasi sempre votata al disastro, l’analista definisce “maghi neri” alcuni uomini-chiave, che spesso agiscono nell’ombra per condizionare le dinamiche del vivere collettivo attraverso sofisticate manipolazioni, impartendo precisi ordini all’intera catena di comando della “piramide”, di cui i politici rapprestano i semplici terminali. Surreale? Fate voi, sembra dire Carotenuto. «Ma sappiate che, per 11 lunghi anni, da metà Novanta a metà Duemila, padre Leo O’Donovan è stato uno dei direttori della Walt Disney. E in quel periodo, tanti elementi oscuri sono stranamente entrati nei film della Disney». L’ex rettore della Georgetown University è legatissimo ai Biden: ha presieduto la messa per il funerale del figlio del neopresidente, Beau Biden, morto nel 2015 per un tumore al cervello.Quand’era vice di Obama, Biden ha partecipato qualche volta anche alla messa nella chiesa dell’università, dove ha anche tenuto una conferenza sulla fede e la vita pubblica. Joe Biden, peraltro, è l’autore dell’introduzione al libro di O’Donovan, “Blessed Are the Refugees: Beatitudes of Immigrant Children” (“Beati i rifugiati: Beatitudini per i bambini migranti”). Fonti di stampa ricordano che, proprio sul tema delle migrazioni, Biden è intervenuto lo scorso novembre a una raccolta fondi del Servizio dei gesuiti per i rifugiati, di cui O’Donovan è direttore, assicurando che avrebbe portato i numeri di accoglienza dagli attuali 15.000 previsti dall’amministrazione Trump a 125.000. Buoni sentimenti da esibire con la mano destra, mentre con la sinistra si dà il via libera alla guerra e magari al terrorismo “false flag”? Ipocrisie del politically correct, per far digerire meglio la cosiddetta agenda mondialista neoliberale? Tipico, in un certo senso, del nuovo globalismo delle anime belle, che tifano per le Ong anche quando a finanziarle è un uomo spregiudicato come George Soros.Ovviamente, sottolinea Carotenuto, non ci sono solo i gesuiti, a fare da guida, nel gruppo che si è sostanzialmente ripreso l’America dopo la parentesi Trump: «C’è anche la massoneria, che però è sempre più “massa di manovra”». L’analista steineriano di “Coscienze in Rete” non ha una buona opinione, dei grembiulini, ma non va confuso con le voci del complottismo massonofobico: la massoneria si è corrotta, sostiene, divenendo organica al potere più deteriore. «Un tempo – afferma – le massonerie erano al servizio di potenze “bianche”, quando erano un frutto dei Templari e dei Rosa+Croce. Poi, appunto, sono diventate essenzialmente “massa di manovra” delle peggiori potenze mondiali, anche se alcune di esse si dipingono come progressiste». Non a caso sono anch’esse, insieme ai gesuiti, nella cabina di regia che gestirà «le decisioni che poi verranno fatte firmare a Biden».Una regia composita e, per Carotenuto, poco rassicurante: «Ci sono gesuiti e pezzi di massoneria, pezzi di Vaticano, nonché potentati finanziari enormi, anche ebraici e cinesi, equamente suddivisi tra le due “piramidi” del grande potere». Problema evidente: «Cosa potrà fare, Biden, se non obbedire a quelli che l’hanno messo lì?». E attenzione: «Ce l’hanno messo nonostante i tanti sospetti sessuali, i suoi strani atteggiamenti, le accuse sessuali ritirate anni fa da tre donne. Veramente penoso, poi, quel suo strusciarsi addosso alle bambine e alle ragazzine, in evidente imbarazzo nei video che sono circolati sul web». Eppure, i media l’hanno acclamato subito, senza riserve, come nuovo presidente: e l’hanno fatto prima ancora che finisse la conta dei milioni di voti postali arrivati fuori tempo massimo e gestiti (col favore delle tenebre) attraverso la piattaforma digitale Dominion. Ed ecco che oggi Joe Biden siede alla Casa Bianca. A fare cosa? «Se ne starà lì con la sua faccetta ripulita, stirata, limata, botulinata e ritoccata: gli toccherà fare bei discorsi, e soprattutto firmare decisioni prese da altri».Per Carotenuto, l’agenda del potere oggi dominante è frutto di una strategia profonda, precisa, organica. «Rispetto al gruppo di Trump, questa “piramide” ha un vantaggio enorme: dispone di molti uomini preparati, in grado di portare avanti queste stretegie». Quali? Presto detto: «Mondializzazione, emergenze, vortici di paura e di odio, sfruttamento propagandistico del surriscaldamento climatico, falsa rivoluzione green. E poi guerre, squilibri, vaccinazioni di massa, condizionamenti culturali, meccanizzazione digitale degli esseri umani». Sottolinea Carotenuto: «Non è che in questo manchino elementi buoni: ma, ripeto, sono essenzialmente cosmetici, per mantenere un certo consenso». Una tattica che l’analista riconosce come eminentemente gesuitica: sottile, raffinata. Trump faceva la faccia feroce? Che ingenuo: meglio sorridere, se si hanno nel cassetto determinati piani, che prevedono coercizioni e sottrazione di libertà. Un marchio di fabbrica: «Non dico che tutti quelli che sono stati a Georgetown lavorino per i gesuiti, ma quelli che fanno carriera vi assicuro di sì. E il loro stile è inconfondibile».Con Biden, sintetizza Carotenuto, gli Usa tornano in scena come lo strumento principale di una accurata strategia della tensione internazionale, basata su una grande destabilizzazione geopolitica del pianeta. «Trump l’aveva evitata, frenando su tutto: era il meglio che poteva fare, coi limitati mezzi che aveva». Joe Biden, che si presenta come un anziano bonario (una specie di colomba) è stato invece un falco di prima grandezza. «E’ stato presidente della commissione esteri del Senato per tanti anni, ed era un sostenitore del rifacimento di tutte le mappe del Medio Oriente, a colpi di guerre e scontri interreligiosi». Motivo: «Era quello che volevano i vertici della “piramide”: creare in Medio Oriente un vortice di odio e di violenza». Quasi invisibile, eppure onnipresente: «Joe Biden ha lavorato alle false “primavere arabe”, insieme a uomini che oggi entrano nella sua amministrazione. Prima ancora, era stato un grande sostenitore dell’invasione dell’Iraq: negli Usa era in prima linea, nel vendere al pubblico la favola delle inesistenti “armi di distruzione di massa” di Saddam».Un gran bel bilancio: un milione di morti, nella regione, con una destabilizzazione spaventosa che si trascina da 18 anni, in un mare di sangue. «Nel 2011, sempre Biden ha fatto fallire una trattativa che doveva servire a mantenere gli Usa a presidiare alcune zone del nord dell’Iraq. Invece gli Stati Uniti, grazie a Biden, hanno ritirato le truppe. Così i curdi sono rimasti soli e sono stati massacrati, e Daesh ha potuto creare l’Isis». Stragi, terrorismo, lutti infiniti. «Molti di quei morti dovrebbe averli sulla coscienza Joe Biden (se solo ce l’avesse, una coscienza)». Un veterano del peggio: «Un vero servo dei poteri oscuri: è stato uno dei 29 senatori democratici che diedero i voti a Bush per fare la guerra in Iraq». Ecco perché Fausto Carotenuto non è affatto ottimista: «Rivedremo gli Usa in azione in Libia, in Siria, nel Golfo Persico: devono tornare a creare vortici di guerra e di odio, cioè “malattie dell’umanità” per conto dei loro padroni oscuri. Il business delle armi? C’è anche quello, ma è solo un corollario».Da navigato analista geopolitico, il fondatore di “Coscienze in Rete” considera un disastro anche la probabile distensione con l’Iran, «che ha seriamente intenzione di fabbricare la sua atomica». Nei primi anni ‘80, Carotenuto era a Teheran: «Conosco bene quel regime, so che la bomba la voleva già allora, per difendersi in caso di attacco. Lentamente, la “piramide” cui fa capo Biden ha lasciato che l’Iran si avvicinasse alla meta: pensate al vortice di tensione che si innescherebbe, con un Iran trasformato in potenza nucleare per stare al pari di Israele. Non a caso, l’orrido regime di Teheran è felice della nomina di Biden. E’ sollevato anche il popolo, perché si toglieranno le sanzioni: ma vi assicuro che a essere felici sono soprattutto gli ayatollah». A peggiorare saranno ovviamente le relazioni con la Russia, «perché Putin fa parte dell’altra “piramide”, quella che ha utilizzato lo stesso Trump». Joe Biden ha grandi credenziali, del resto, come nemico di Mosca: ha promosso la “rivoluzione colorata” in Ucraina, il “golpe di piazza” gestito anche da neonazisti, per poi passare all’incasso attraverso il figlio Hunter, coperto di dollari come dirigente del colosso petrolifero Burisma.La parte del leone, naturalmente, potrebbe farla la Cina: «Trump aveva chiuso le porte, ai cinesi, ma adesso le riapriranno», profetizza Carotenuto. «Non è nell’interesse degli Usa, riaprire alla nuova superpotenza mondiale. Ma i “dem”, appunto, non fanno gli interessi degli Stati Uniti: assecondano invece quelli del grande gruppo mondialista che ha già deciso che i mercenari del futuro “impero” non saranno più gli americani, ma i cinesi: sono più lavoratori, sono tanti ed eseguono gli ordini senza fare storie, e in più non sono impigriti dal troppo benessere, dall’alimentazione sbagliata e dai farmaci sbagliati con i quali gli americani sono stati nutriti e curati per decenni». Possibili anche nuove tensioni con la Corea del Nord, focolaio ieri abilmente spento da Trump: «E’ sempre comodo, per creare tensione, avere un “diavolo” minaccioso». Per Carotenuto, poi, migliorerà «un’altra cosa contraria agli interessi Usa», ovvero «le relazioni con l’Unione Europea». Il gruppo che manovra Biden «vuole un’Ue forte, perché rappresenta un anticipo del mondialismo».Per gli Usa, dal punto di vista del mero interesse nazionale, «sarebbe meglio avere a che fare con un’Europa spezzettata, più facilmente dominabile». Ovvio: «Se l’Europa si unisce davvero, rischia di diventare più potente degli Usa». Eppure lo faranno: «Miglioreranno i rapporti con Bruxelles, proprio perché non servono gli interessi statunitensi. Si potrebbero definire traditori della patria, ammesso parlare di patria che abbia ancora un senso». In primo piano anche poi il clima: «Scontato il rientro immediato negli accordi di Parigi: è all’insegna del mondialismo e del “gretismo”, cioè la favola dell’origine antropica del “climate change”, largamente provocato dall’azione del sole». Un modo ultra-digitale, sempre più wireless? «Con l’elettrificazione si creano enormi campi magnetici: il che non è esattamente “green”, dati i loro effetti sull’organismo e sull’ambiente». E via così: «Si ridarà forza e finanziamenti all’Onu, all’Oms e a tutte le grandi organizzazioni internazionali, che non sono altro che l’anticipazione del globalismo che verticalizza il potere e marginalizza l’individuo».Per Carotenuto, la “piramide gesuitica” di Biden è quella più attiva nella sua missione storica: frenare il risveglio delle coscienze, che starebbe letteralmente sul punto di esplodere, coinvolgendo ormai un essere umano su tre. «Si evita il risveglio anche con i vaccini, con farmaci sbagliati, con lo sfruttamento di un virus che si poteva curare e non si è curato adeguatamente. Tutto quello che indebolisce le nostre forze vitali, fisiche e psichiche, indebolisce il nostro risveglio». Ora, dice Carotenuto, il drago si è ripreso l’America e vuole il Grande Reset. Ne saremo travolti? «No, è solo il ritorno della vecchia politica, che comunque non ci ha travolto. Anzi: l’umanità ha cominciato a crescere proprio per reazione a queste politiche balorde, il cui carattere orribile diventa sempre più evidente». Un auspicio: «Il cielo non consentirà a questo gruppo di fare più di quanto possiamo sopportare, e finirà col produrre un’ulteriore crescita interiore, come infatti è successo finora: le dittature della Seconda Guerra Mondiale hanno prodotto nel dopoguerra l’esplosione della democrazia, la voglia di libertà».Galeotto fu il gesuita e chi lo invitò a corte: nasce sotto il segno della Compagnia di Gesù il nuovo potere (in realtà antico) che si è appena insediato alla Casa Bianca attorno all’anziano Joe Biden, l’uomo che sostiene di aver vinto le presidenziali 2020 negli Stati Uniti. A sottolineare la matrice gesuitica della “piramide” che avrebbe fabbricato l’affermazione di Biden è Fausto Carotenuto, già collaboratore di Mino Pecorelli (giornalista d’indagine assassinato nel ‘79) e per anni analista strategico dell’intelligence Nato, esperto di Medio Oriente e strategia della tensione. Approdato al pensiero steineriano, Carotenuto ha fondato il network “Coscienze in Rete”, riassumendo poi la sua visione nel saggio “Il mistero della situazione internazionale”: vede in azione due “piramidi” mondiali, in apparenza contrapposte (dato che si esprimono politicamente attraverso la destra e la sinistra) ma che in realtà dominano il pianeta, alternando oppressione e libertà illusorie, con l’unico scopo di tenere l’umanità sottomessa e le coscienze addormentate, ipnotizzate dal nemico di turno creato ad arte per essere trasformato in demonio.
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Fango: l’amara lezione che sta sommergendo tutto
Luce fredda di lampeggianti, pioviggine. Da qualche parte, lontano, ecco i parlamentari: spalano fango, curvi e sordi. Voci si spengono nel buio dei monitor parlanti, dentro una notte eterna di desolazioni che ormai è vano raccontare, articolando segni. Nero il destino che declina ciance vuote, in una recita spettrale di pagliacci. Morto il talento, il cuore, il canto di chi tenta, sapendo di poter sbagliare e di fallire, ma dopo aver lottato. Morte le idee, insieme ai desideri. Morte le parole. Nell’aria scialba, galleggiano le formule grigiastre del mendicare attimi. Notorietà ingloriosa, in mezzo a una palude di mediocrità invincibile: come una malattia senza speranza, da troppo tempo libera di seminare orrori sapientemente travisati e mascherati da normalità. Una lunghissima, inesorabile discesa. Si scivola nel fango, poco alla volta rinunciando a tutto, dopo la morte lenta della verità.