Archivio del Tag ‘Bce’
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Draghi: ora vi taglio i viveri, così imparate a votare No
«Una stretta monetaria concepita per soffocare, in un inasprimento della crisi, quel moto di rifiuto della globalizzazione espresso dalle classi popolari impoverite». Mario Draghi esce allo scoperto: dopo la Brexit e il referendum italiano, avverte che “la ricreazione è finita”. La Bce chiuderà i rubinetti del quantitative easing, esponendo gli Stati al ricatto dello spread, senza più protezioni. Fallita la “carota” (Renzi), si torna al “bastone”: meno soldi per tutti, tranne che per la Germania. Una sfida, frontale, a chi ha votato No – a Renzi, all’Ue. Dal presidente della Bce, scrive “Micromega”, arriva la prima, vera risposta dell’élite sconfitta nelle urne italiane e inglesi. In arrivo lacrime e sangue, se gli Stati non vorranno piegarsi alle “riforme strutturali” volute dal super-potere. Tornano alla mente le parole di Guido Carli, storico governatore della Banca d’Italia, prounciate mentre infuriavano gli anni di piombo: «La politica monetaria è uno strumento rozzo e chi lo brandisce non deve farsi prendere dal batticuore per lo sbraitare di chi ne subisce le ferite. Se non ha questa forza, è meglio che lo deponga». E Draghi «non sembra affatto intenzionato a deporre le sue armi», scrive “Micromega”. Al contrario: «Le affila, per fronteggiare la minaccia del populismo».Si tratta di «un vero proprio disegno politico», contenuto nei dettagli operativi illustrati da Draghi nell’ultima riunione del consiglio direttivo della Bce. Un evento solo in apparenza tecnico, avverte “Micromega”, in un’analisi firmata “Raro”. Draghi ha annunciato che l’autorità monetaria proseguirà il programma di acquisto di titoli pubblici, come tutti si aspettavano, oltre la scadenza inizialmente prevista per il marzo prossimo, «ma ha aggiunto un elemento di novità in cui pochi credevano: il flusso di liquidità con cui la banca centrale sta tenendo a bada gli spread inizierà a ridimensionarsi, già a partire da aprile». Ciò significa che «la Bce prefigura, per la prima volta, un progressivo alleggerimento dello stimolo monetario garantito da ormai due anni all’Eurozona». Ed è così che, «mentre politici e governanti europei vengono impietosamente travolti dall’onda anomala del populismo antisistema, l’autorità monetaria si profila come l’unica soggettività politica capace di elaborare una qualche forma di reazione della classe dirigente d’Europa».Dopo due anni relativamente tranquilli, scrive “Micromega”, la progressiva riduzione del sostegno ai titoli di Stato «determinerà, nei prossimi mesi, una minore liquidità del debito pubblico europeo e non potrà che portare con sé un rialzo nei tassi di interesse pagati dai governi della periferia, a discapito della stabilità finanziaria». La Bce ha poi esteso il programma sia sul fronte delle scadenze, includendo titoli a più breve termine (fino ad un anno), che sul fronte dei tassi, rendendosi disponibile all’acquisto di titoli caratterizzati da un rendimento inferiore al già negativo tasso sui depositi presso la banca centrale. «Il significato di queste rifiniture del quantitative easing appare chiaro», osserva “Micromega”: «Dal momento che la stragrande maggioranza dei titoli pubblici con rendimenti negativi è ascrivibile alla Germania, e in particolare alle sue scadenze a breve termine, le modifiche apportate al programma di acquisti perseguono l’obiettivo di assicurare a Berlino una quota consistente della liquidità residua che arriverà nei prossimi mesi. Dunque, proprio mentre procede a ridurre la portata del suo supporto alla generalità dei debiti pubblici europei, l’autorità monetaria mette in chiaro che non sarà la Germania a soffrire di questa minore copertura».Al contrario, come i movimenti di Borsa stanno segnalando in queste ore, si assiste già ad una contrazione del rendimento dei titoli tedeschi a fronte di un leggero rialzo di quelli italiani: «Si riaffaccia, in Europa, il fantasma dello spread, ovverosia l’ampliamento del divario tra il costo del debito pubblico dei paesi centrali e quello dei paesi periferici». Per “Micromega”, dunque, «inizia così ad emergere, dal complesso intreccio delle specifiche tecniche della manovra di politica monetaria appena varata, un dato politico». Corsi e ricorsi: fu proprio sulla scia di un repentino ampliamento degli spread che, ad Atene nel lontano 2009, «si è aperta per l’Europa la stagione dell’austerità». Una fase storica «caratterizzata dall’applicazione simultanea, nei principali paesi europei, del medesimo indirizzo politico: abbattimento dello stato sociale, contrazione dei diritti dei lavoratori e redistribuzione del reddito dai salari ai profitti». Un indirizzo politico che, «a dispetto del suo marcato carattere antipopolare», di fatto «non ha incontrato alcuna resistenza significativa per quasi cinque anni, grazie soprattutto al clima emergenziale imposto dai mercati attraverso la frusta dello spread».Tuttavia, «gli esiti socialmente disastrosi di questa violenta accelerazione della globalizzazione hanno fatto maturare un rifiuto dell’austerità e delle sue istituzioni», che ha trovato espressione prima in Grecia, nell’estate 2015, dove l’ennesimo programma “lacrime e sangue” è stato rispedito (invano) al mittente con un referendum, poi in Gran Bretagna un anno dopo con la Brexit, e infine in Italia, con la recente bocciatura della riforma costituzionale promossa dal governo. «Dopo cinque lunghi anni di austerità – continua l’analista di “Micromega” – una borghesia impoverita e un esercito di venti milioni di disoccupati hanno iniziato ad alzare la voce: approfittando dei tre grandi referendum popolari, queste vittime del neoliberismo europeo hanno inferto tre durissimi colpi al progetto di integrazione europea». E attenzione: «È esattamente a questo punto della storia che interviene la mossa decisa da Draghi giovedì scorso: la stretta monetaria programmata per i prossimi mesi si configura come la prima, violenta risposta delle élite europee alla marea antisistema che le sta minacciando».Si tratta di una reazione che «rischia di compromettere la stabilità finanziaria dell’Europa», e proprio su questo punto «si misurerà l’intraprendenza della Bce». La stretta monetaria, infatti, «è pensata per aumentare il grado di esposizione dei governi alla disciplina dei mercati: tolta la protezione del quantitative easing, il debito pubblico dei paesi periferici tornerà ad essere pienamente vulnerabile ai venti della speculazione». Nei progetti dell’autorità monetaria, «la pressione esercitata dai mercati attraverso gli spread può riuscire laddove le regole, da Maastricht al Fiscal Compact, hanno fallito: costringere la periferia d’Europa sulla strada delle riforme e dell’austerità senza ulteriori esitazioni, e dunque senza quella prudenza che l’avanzata dei populismi sembra suggerire alla classe politica europeista». Nel promuovere l’austerità attraverso la disciplina degli spread, Draghi «si pone alla testa di quella classe politica e la trascina sul rischioso crinale dello scontro frontale con gli sconfitti della globalizzazione e le loro rivendicazioni». L’impatto, per “Micromega”, «potrebbe trascinare ancora più a fondo l’Europa».«Una stretta monetaria concepita per soffocare, in un inasprimento della crisi, quel moto di rifiuto della globalizzazione espresso dalle classi popolari impoverite». Mario Draghi esce allo scoperto: dopo la Brexit e il referendum italiano, avverte che “la ricreazione è finita”. La Bce chiuderà i rubinetti del quantitative easing, esponendo gli Stati al ricatto dello spread, senza più protezioni. Fallita la “carota” (Renzi), si torna al “bastone”: meno soldi per tutti, tranne che per la Germania. Una sfida, frontale, a chi ha votato No – a Renzi, all’Ue. Dal presidente della Bce, scrive “Micromega”, arriva la prima, vera risposta dell’élite sconfitta nelle urne italiane e inglesi. In arrivo lacrime e sangue, se gli Stati non vorranno piegarsi alle “riforme strutturali” volute dal super-potere. Tornano alla mente le parole di Guido Carli, storico governatore della Banca d’Italia, pronunciate mentre infuriavano gli anni di piombo: «La politica monetaria è uno strumento rozzo e chi lo brandisce non deve farsi prendere dal batticuore per lo sbraitare di chi ne subisce le ferite. Se non ha questa forza, è meglio che lo deponga». E Draghi «non sembra affatto intenzionato a deporre le sue armi», scrive “Micromega”. Al contrario: «Le affila, per fronteggiare la minaccia del populismo».
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Il Censis: i giovani non hanno nulla. L’Italia sta crollando
Lo scenario “follow the money” è un’altra volta imminente, avverte Pepe Escobar: le banche dell’Unione Europea sono preoccupate della vittoria del No, e questo renderà molto più difficile salvare il Monte dei Paschi di Siena, la banca più antica del mondo e attualmente la terza più grande dell’Italia, che ha urgente bisogno di raccogliere 5 miliardi di euro in equity e di svendere 28 miliardi di crediti deteriorati. «L’intero sistema bancario italiano è alle corde, ha bisogno di un pacchetto di salvataggio da almeno 40 miliardi di euro», scrive Escobar su “Rt”, in un post tradotto da “Come Don Chisciotte”. «L’Italia si è affidata alla Jp Morgan per trovare una soluzione». Un uomo come Ewald Nowotny, membro del board della Bce nonché capo della banca centrale austriaca, «insiste che l’Italia potrebbe dover spendere tanti soldi pubblici per il salvataggio», e questo «sarà considerato deleterio dalla maggioranza degli italiani», alle prese con una crisi devastante: la produzione industriale ha perso il 10%. E la disoccupazione, ad un pesante 13%, è «il doppio di quanto non lo fosse durante la crisi economica del 2008». Una fotografia impietosa, aggiunge Paolo Barnard, è quella scattata dal Censis. Che scrive: «Gli anziani si tengono stretto ciò che hanno accumulato dagli anni ’70, i giovani non hanno nulla».La verità, sottolinea Barnard sul suo blog, è che il No «viene da milioni di cittadini furiosi fino all’odio con quel fesso fiorentino che prometteva ma ha solo leccato culi negli executive offices d’Europa, per lasciare a chi già aveva, ma togliere a chi già aveva troppo poco. Guardatevi la mappa del No». Le Austerità, «mai veramente sfidate da Matteo Renzi», secondo il Censis «hanno lasciato 11 milioni di italiani a rimandare esami diagnostici o a cancellarli del tutto». Per l’istituto di statistica, «i poveri assoluti in Italia sono oggi 4,5 milioni». I risparmiatori? «Accumulano, ma non spendono», perché «terrorizzati dal dover pagare di tasca propria i servizi essenziali», cosa che funzionava all’incontrario prima dell’Eurozona, ricorda Barnard, quando cioè era lo Stato a sostenere il welfare, attraverso la lira. Ma a pesare sono soprattutto i giovani, che – infatti – hanno votato No in massa. «Non hanno niente», afferma il Censis. I giovani sono «intrappolati in mini-lavori a bassissimo reddito e zero produttività a causa del Job Act di Renzi». Una riforma che – lo denunciò a “La Gabbia” lo stesso Barnard – è stata scritta «quasi del tutto dalla lobby Business Europe a Bruxelles».E così, conclude il Censis, «la classe media italiana sta scomparendo sotto la ritirata degli investimenti». In più, aggiunge Barnard, «Renzi ha lasciato il 50% delle pensioni sotto i 1.000 euro al mese, ha regalato solo mance di Nano-Economia spostando eurini da un salvadanaio all’altro, la produzione industriale italiana è collassata al 22% nel 2016, il dato peggiore dal 2007, e il Pmi Index delle aziende è al punto più basso da 2 anni». La verità è che a Renzi non glien’è mai importato nulla dell’interesse nazionale, continua Barnard: «Infatti la sua eminenza grigia in economia, Yoram Gutgeld, era un ex executive della McKinsey con l’ossessione della spending review di Bruxelles piantata in testa». Alla fine, «gli italiani più dimenticati hanno impiccato Renzi in piazza». E Goldman Sachs scrive, in un “paper” destinato agli investitori: «Il rapporto fra la disoccupazione giovanile in ogni data regione di voto e il voto No è incredibilmente diretto». E state attenti, avverte Barnard: «Questi sono gli stessi italiani che nelle europee del 2014 avevano dato a Renzi un trionfo. Cosa cazzo ha combinato in soli 2 anni e un po’? Semplice: non ha mantenuto nulla, perché l’uomo di Bruxelles gli diceva sempre No».Dunque che cosa c’è in vista, ora? Una crisi politica «contenibile», secondo Escobar, visto che lo scenario dell’offerta politica italiana «non è esattamente edificante»: c’è un Renzi azzoppato col Pd in rivolta, poi Silvio “bunga bunga” Berlusconi, Grillo, Salvini. In altre parole: nessun Piano-B in campo. «Mentre l’Unione Europea osserva», scrive Escobar, «la linea di fondo è che l’Italia non è vicina ad alcun referendum per lasciare l’Eurozona, per non parlare dell’Unione Europea, in quanto la maggior parte degli italiani sono europeisti (eccetto quando si parla della dominazione tedesca nella Banca Centrale Europea)». La prossima battaglia elettorale vedrà opporsi «l’anti-casta Movimento 5 Stelle» che non sfida apertamente l’Ue né ripudia l’euro, il Pd renziano «ora allo sfascio» e comunque “fedele alla linea” di Bruxelles, e Forza Italia di “nonno Silvio”, probabilmente alleato con la Lega. A tutto penserà, l’Italia, fuorché liberarsi dell’euro, scrive Escobar. «Ma questo implica un intreccio secondario: Angela Merkel, proprio lei, dovrà farsi avanti per dare una mano a “salvare” l’Unione Europea, salvando il Partito Democratico di Renzi».Lo scenario “follow the money” è un’altra volta imminente, avverte Pepe Escobar: le banche dell’Unione Europea sono preoccupate della vittoria del No, e questo renderà molto più difficile salvare il Monte dei Paschi di Siena, la banca più antica del mondo e attualmente la terza più grande dell’Italia, che ha urgente bisogno di raccogliere 5 miliardi di euro in equity e di svendere 28 miliardi di crediti deteriorati. «L’intero sistema bancario italiano è alle corde, ha bisogno di un pacchetto di salvataggio da almeno 40 miliardi di euro», scrive Escobar su “Rt”, in un post tradotto da “Come Don Chisciotte”. «L’Italia si è affidata alla Jp Morgan per trovare una soluzione». Un uomo come Ewald Nowotny, membro del board della Bce nonché capo della banca centrale austriaca, «insiste che l’Italia potrebbe dover spendere tanti soldi pubblici per il salvataggio», e questo «sarà considerato deleterio dalla maggioranza degli italiani», alle prese con una crisi devastante: la produzione industriale ha perso il 10%. E la disoccupazione, ad un pesante 13%, è «il doppio di quanto non lo fosse durante la crisi economica del 2008». Una fotografia impietosa, aggiunge Paolo Barnard, è quella scattata dal Censis. Che scrive: «Gli anziani si tengono stretto ciò che hanno accumulato dagli anni ’70, i giovani non hanno nulla».
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Galloni: referendum inutile, se il padrone resta Bruxelles
Il lato oscuro di una grande vittoria? Questo: «Molti di quelli che hanno fatto votare No e cadere Renzi sono responsabili del disastro nel quale si trovano le istituzioni e la società italiane. Quindi: usciremo dagli inganni e dagli errori di un trentacinquennio da incubo o dovremo comunque continuare a sottostare ai diktat esterni?». Se lo domanda l’economista keynesiano Nino Galloni, presidente del movimento “Ali” (Alternativa per l’Italia), che all’indomani del voto referendario rivolge un appello «a Beppe Grillo, al Movimento 5 Stelle ed a quanti vogliono ripristinare sovranità popolare in un clima di collaborazione tra tutti i paesi». L’idea: «Elaboriamo un programma di difesa nazionale e di sviluppo responsabile che sappia indicare a tutti un percorso alternativo e di fuoriuscita da una situazione socialmente, economicamente, finanziariamente ed eticamente sempre più insostenibile», prima che i grandi manovratori del fronte del No – pari, per responsabilità – a quelli del fronte del Sì – possano riproporre le stesse formule (sudditanza all’Ue) che hanno condotto il paese al disastro socio-economico.La inaspettata partecipazione e l’atteso No, interpretato come un’espressione di forte protesta, «testimoniano di un popolo assai consapevole e che non ha votato solo di pancia contro il governo renziano o di cuore a difesa della Costituzione, ma anche di testa per impedire una deriva che avrebbe peggiorato le condizioni sociali, economiche, politiche del paese», scrive Galloni su “Scenari Economici”. La controprova? «Sta nelle tre regioni dove il Sì ha prevalso: Toscana, Emilia Romagna, Trentino; le regioni dove si vive meglio e dove ha prevalso, quindi, quell’opportunismo pessimistico che ha consentito di accettare 35 anni di peggioramenti nel timore di perdere quello che si aveva». Finalmente il Centro-Sud «ha invece rialzato la testa», mentre le altre regioni del Nord – cioè «quelle che hanno vissuto, in questi decenni, la perdita del primato industriale» – hanno «segnato la vera sconfitta della controriforma boschiana». Contraccolpi devastanti? «Lo spread non si alzerà se la Bce continuerà a fare il suo normale lavoro; viceversa se tradisse, allora dovremo scendere in piazza qualora non ci fosse sufficiente consapevolezza in questo Parlamento, per ottenere soluzioni di difesa delle nostre istituzioni, ben diversamente da quanto accadde in Grecia (a causa della impreparazione a fronteggiare la situazione)».Ma, se al dunque, i cosiddetti “mercati” e la Bce attenueranno (come pare) le conseguenze del voto, nonostante l’evidente conflitto con questa Europa e la grande finanza, per Galloni rimane aperto un interrogativo di più largo respiro. Da una parte, «l’attuale assetto europeo ha sospeso il giudizio sull’Italia dando a intendere che, in caso di vittoria del Sì, ci sarebbe stata una mano leggera»; dall’altra, Renzi «aveva inaugurato una stagione almeno apparentemente nuova, per le scelte più importanti: flessibilità per le spese di accoglimento dei migranti, sforamento dei parametri per terremoti e altre emergenze, resistenza al “bail in” in nome del prevalere del problema titoli tossici sull’andamento delle cosiddette sofferenze bancarie». L’ultimo Renzi, dunque, «aveva cominciato a muoversi controcorrente e a dire cose interessanti, ma l’appoggio alla controriforma lo ha travolto». Ora, il punto è: impedire che, ancora una volta, si soffochi una corretta lettura dello scenario: l’Italia non può riallinearsi ai diktat Ue, deve invece imporre un cambio radicale di politica, rivendicando spazi vitali di sovranità. Viceversa, dalla crisi non si uscirà. E il referendum non sarà servito a niente.Il lato oscuro di una grande vittoria? Questo: «Molti di quelli che hanno fatto votare No e cadere Renzi sono responsabili del disastro nel quale si trovano le istituzioni e la società italiane. Quindi: usciremo dagli inganni e dagli errori di un trentacinquennio da incubo o dovremo comunque continuare a sottostare ai diktat esterni?». Se lo domanda l’economista keynesiano Nino Galloni, presidente del movimento “Ali” (Alternativa per l’Italia), che all’indomani del voto referendario rivolge un appello «a Beppe Grillo, al Movimento 5 Stelle ed a quanti vogliono ripristinare sovranità popolare in un clima di collaborazione tra tutti i paesi». L’idea: «Elaboriamo un programma di difesa nazionale e di sviluppo responsabile che sappia indicare a tutti un percorso alternativo e di fuoriuscita da una situazione socialmente, economicamente, finanziariamente ed eticamente sempre più insostenibile», prima che i grandi manovratori del fronte del No – pari, per responsabilità – a quelli del fronte del Sì – possano riproporre le stesse formule (sudditanza all’Ue) che hanno condotto il paese al disastro socio-economico.
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Sfatiamo un mito: i Rothschild e Big Pharma ci temono
Attenti all’Uomo Nero: se lo fate diventare un’ossessione, potreste arrivare a crederlo invincibile, proprio come vuole lui. Ma la realtà è un’altra: persino i super-campioni del massimo potere sono vulnerabili. E’ per questo che si affannano tanto a controllarci: i loro immensi privilegi non sono affatto al sicuro. Ci temono, gli Uomini Neri, anche se noi non ce ne rendiamo conto. Lo sostiene Paolo Barnard, autore di devastanti denunce proprio contro l’oligarchia planetaria: libri, reportage, inchieste, saggi taglienti e profetici come “Il più grande crimine”, che mette a fuoco – con largo anticipo sulla cronaca – la genesi europea della “dittatura” tecnocratica dell’euro, progettata dalla destra economica in combutta con la sinistra “rinnegata”, reclutata segretamente dall’élite per demolire la democrazia sociale in Occidente. Lo stesso Barnard, oggi, avverte: «Nell’immaginario di tanto pubblico c’è un errore tragico, che peraltro devasta le reali possibilità delle opinioni pubbliche di migliorare la propria vita. Si pensa, infatti, che gli agglomerati della ricchezza privata siano padroni del mondo. I Rothschild! Le multinazionali! I big media! Balle. Non lo sono».Naturalmente i grandi poteri «ci provano a esserlo», padroni incontrastati del pianeta. Ci provano eccome, «e con ogni sorta di lobby, ricatto, corruzione». Ma, per il giornalista, la verità fondamentale rimane un’altra. Questa: «I governi glielo permettono». Ma attenzione: «Se vogliono, i governi sono ancora i padroni del mondo. E questo può ancora salvare noi persone». Non ci credete? «Chiedetelo alla GlaxoSmithKline, quel tirannosauro da 24 miliardi di dollari all’anno, tutti in farmaci». Domanda: «Perché questa nozione è di fondamentale importanza da tenere a mente? Perché i governi sono sempre dipendenti dalle opinioni pubbliche, anche se queste troppo spesso se lo dimenticano, per viltà». Se ne deduce, «senza ombra di dubbio», che – visto che i governi sono ancora «i padroni del mondo» – di fatto «risponderebbero alle opinioni pubbliche, se queste si facessero sentire». E allora «è vero che l’uomo e la donna della strada», teoricamente e tecnicamente, «hanno il potere ultimo, in realtà». Solo che «non lo vogliono esercitare», convinti come sono che «il padrone del globo è Rothschild, cioè il potere privato».Il barone Jacob Rotschild? «Potentissimo», certo, «ma neppure lui è riuscito a bloccare la mano dei politici, quando nel trattato sovranazionale che creò la Bce, cioè il Tefu, scrissero quel codicillo maledetto che mette nelle mani della Bce il potere di bloccare qualsiasi mega-banca in Europa». Quel codicillo si chiama “risk control framework”. Risultato: in Europa, oggi, le grandi banche «hanno una mina in pancia che le può far saltare da un momento all’altro per volere politico» (in Europa «ma poi anche in Usa, per leggi diverse»). Il mitico Rotschild «di certo può influenzare Mario Draghi, ma il bottone rosso non ce l’ha». E chi potrebbe riscriverlo, quel codicillo? «I governi». Che, fino a prova contraria, sono ancora organismi elettivi. Lo dimostra il caso della Glaxo, dice Barnard: la “onnipotente” multinazionale del farmaco è stata letteralmente strapazzata dai governi, a cominciare da quello cinese. Se vogliono, sono ancora loro a comandare. E non c’è nessun Uomo Nero che possa impedirlo.«Tutto parte da un Tweet di Bernie Sanders, l’ex candidato alla Casa Bianca, che in ’sti giorni si è messo a bersagliare i giganti del farmaco», racconta Barnard, ricostruendo il caso. «Bernie si sveglia la mattina e scrive un Tweet dove critica ad esempio la multinazionale Eli Lilly, e le azioni di questa crollano. Qualche giorno fa ha sparato contro la GlaxoSmithKline e di nuovo crash in Borsa di questa». Ma su Glaxo pesano spettacolari retroscena. «La Glaxo è un colosso, abituata a fare il bullo nel mondo da sempre. Si presenta ai governi, agli amministratori sanitari, ai singoli medici, e corrompe, impone terapie, ma fa anche di peggio, come tutte le sue colleghe multinazionali». Un giorno la Glaxo arriva in Cina e, come al solito, distribuisce mazzette. «Ma a Londra il N.1 della Glaxo, Andrew Witty, fa l’errore della sua vita, cioè non studia geopolitica, e non si accorge che la Cina sta cambiando immensamente». Ovvero: «Xi Jinping, il presidente, non scherza per un cazzo. E allora ecco che iniziano i guai. Tutto parte dal “whistleblower” di turno, un anonimo hacker che spedisce sia al governo di Pechino che a Witty a Londra delle mail con una storia di corruzione da parte della Glaxo in Cina che fa vomitare». E cioè: «I top manager del colosso inglese in Cina pagavano mazzette ad amministratori, a medici, attraverso prestanome in agenzie di viaggio, se la spassavano con prostitute, e tutto a spese degli ammalati come al solito».E qui la forbice si divarica, continua Barnard: «Mentre gli uomini di Xi Jinping quatti quatti si leggono le mail, quel fesso di Witty e il consiglio d’amministrazione a Londra se ne fottono, anzi». La Glaxo «prova di tutto per insabbiare la cosa, assolda un investigatore privato per depistare le prove, e non smette affatto di corrompere, anzi, corrompe per comprare il silenzio dei cinesi». Errore madornale. «Sono le 5 del mattino di un giorno d’agosto del 2013, le porte dei lussuosi appartamenti dei top manager della Glaxo a Shanghai o Pechino vengono sfondate, gli inglesi gettati a terra e scaraventati in pochi minuti in fetide celle, fra cui il notorio palazzo 803 dove vengono interrogati i dissidenti. La notizia arriva a bomba a Witty a Londra, panico totale». I cinesi di Xi Jinping fanno sul serio, «le prove ci sono ancor prima di interrogare sia i manager britannici che l’investigatore privato, poi le confessioni degli arrestati vengono trasmesse in Tv, live». Una catastrofe: «Le prove sono così schiaccianti che Witty piega immediatamente la testa con una conferenza stampa dove, letteralmente, ’sto ultra-potente amministratore di un gigante mondiale, bela pietà e scuse».Conseguenze: 500 milioni di dollari di multa alla Glaxo; espulsione di alcuni manager fra sputacchi pubblici, e altri a marcire in galera. «La Glaxo corre, sudando ghiaccio, a riscrivere tutti i suoi codici di condotta in Cina, e abbassa i prezzi dei suoi farmaci per Pechino». A cascata: «Gli altri colossi mondiali come Pfizer o Novartis immediatamente ripuliscono i loro affari con la Cina». Ma non finisce qui: «Microsoft drizza le orecchie perché messa sotto inchiesta dai cinesi; Disney trema; la Apple corre ad autodenunciarsi per evasione fiscale in Cina». Ma peggio: «Sull’onda del pugno duro del governo cinese, anche quello americano ha trovato la forza di prendere a calci in culo i super-colossi del farmaco, come Pfizer, Eli Lilly e di nuovo la Glaxo, che si è vista arrivare un verbale da Washington della bellezza di 3 miliardi di dollari per condotte improprie». Aggiunge Barnard: «Penso che Andrew Witty sia passato nell’arco di pochi mesi da tronfio ‘Rothschild del farmaco’ a una pecora zoppa che suda freddo la notte e, come lui, altri amministratori delegati delle più potenti multinazionali del mondo».Ora, si potrebbe argomentare che «la Cina è ormai un tale mostro di potere che, assieme agli Usa, il suo governo si può permettere di sottomettere anche l’imperatore dell’universo». Errore: «Anche la Svezia poteva fare esattamente ciò che ha fatto Pechino, e per due motivi chiari». Primo: oggi, «se gli scandali vengono resi pubblici», succede che «vanno a impattare mostruosamente sugli investitori, che non ci pensano un attimo a fottere le mega-aziende o le mega-banche in Borsa». Basta vedere i “rimbalzi” dopo il Tweet di Bernie Sanders. Secondo motivo: «Con sovranità monetaria il governo della Svezia, come la Cina, non teme il ricatto economico tipico della multinazionale – che è “se mi tocchi ritiro gli investimenti” – semplicemente perché non esiste al mondo un potere economico di alcun tipo che possa avere il potere di fuoco di una banca centrale in coordinamento col ministero del Tesoro». In altre parole: in condizioni di sovranità monetaria, la banca centrale di un paese benestante «può, schiacciando un bottone, distruggere in un pomeriggio la rivalità di Apple, Microsoft, Volkswagen, Jp Morgan, Goldman Sachs e Toyota messi assieme». Quindi, un governo che lo volesse «potrebbe schiacciare qualsiasi Rotschild di qualsiasi potere privato, punto». Perché non lo fanno più spesso? «Troppa poca pressione dalle opinioni pubbliche». E allora, conclude Barnard, «possiamo forse prendercela col quarto barone Jacob Rothschild? Macché, siamo noi, fessi vili orde di ebeti che sediamo su una miniera d’oro e pensiamo che sia un bidè».Attenti all’Uomo Nero: se lo fate diventare un’ossessione, potreste arrivare a crederlo invincibile, proprio come vuole lui. Ma la realtà è un’altra: persino i super-campioni del massimo potere sono vulnerabili. E’ per questo che si affannano tanto a controllarci: i loro immensi privilegi non sono affatto al sicuro. Ci temono, gli Uomini Neri, anche se noi non ce ne rendiamo conto. Lo sostiene Paolo Barnard, autore di devastanti denunce proprio contro l’oligarchia planetaria: libri, reportage, inchieste, saggi taglienti e profetici come “Il più grande crimine”, che mette a fuoco – con largo anticipo sulla cronaca – la genesi europea della “dittatura” tecnocratica dell’euro, progettata dalla destra economica in combutta con la sinistra “rinnegata”, reclutata segretamente dall’élite per demolire la democrazia sociale in Occidente. Lo stesso Barnard, oggi, avverte: «Nell’immaginario di tanto pubblico c’è un errore tragico, che peraltro devasta le reali possibilità delle opinioni pubbliche di migliorare la propria vita. Si pensa, infatti, che gli agglomerati della ricchezza privata siano padroni del mondo. I Rothschild! Le multinazionali! I big media! Balle. Non lo sono».
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Smascherato il Bomba, l’Italia crederà al prossimo Renzi?
Ha perso Renzi, questo è certo. E’ importante? Forse: Renzi è stato smascherato, si era venduto come salvatore della patria. Uno strano salvatore: sbrigativo, facilone, e pure attaccabrighe. Come se i nemici dell’Italia fossero ragazzotti, anche loro, da sfidare al bar. Ma gli elettori hanno scoperto il gioco: non c’erano altri ragazzotti in circolazione, a parte quello auto-insediatosi a Palazzo Chigi. In giro c’erano, e ci sono, solo squali. E che squali: Juncker, la Merkel, Draghi, la Bundesbank, BlackRock e compagnia privatizzante. Hanno fiutato l’imbroglio, gli elettori: il fiorentino dalla parola svelta (e mai mantenuta) serviva, sottobanco, proprio loro, i grandi poteri che da sempre “coltivano” l’Italia, in modo che il Belpaese non potesse rappresentare un pericolo per i supremi interessi in gioco. Era peggiore di altri, Renzi? Sicuramente più sfrontato. Ma lo schema è sempre uguale: allevare una classe dirigente docile, corrotta e quindi ricattabile, oppure finto-ribelle (che è lo stesso, se non peggio). Poi nel frattempo le cose vanno male? C’è crisi, si capisce: bisogna soffrire. E magari fustigare gli antichi vizi italici, la pigrizia, l’opportunismo. O, ancora: additare nemici immaginari, evitando di inquadrare quelli veri, che non abitano nemmeno lontano da casa. Sono regole di guerra: senza collaborazionisti, l’esercito invasore è nei guai. Ma chi li vota, i collaborazionisti?Sono bravi, i tribuni della plebe, a fare in modo che il popolo invaso prenda lucciole per lanterne: madornale, il 40% rimediato dal Pd renziano alle europee 2014, appena un anno e mezzo fa. Un mandato troppo grande, evidentemente, per il piccolo fiorentino, l’uomo del bar specializzato nel gioco su più tavoli. Ti può andar bene una volta, ma non sempre: alla lunga, diventi antipatico. Bel problema: per te, ma soprattutto per i tuoi capi, già al lavoro per trovare una soluzione di ripiego che risulti indolore, per i loro sovrani interessi. A caldo, dovranno sicuramente punire la plebe insubordinata: colpirne uno per educarne cento, come scrive Paolo Barnard sul “Daily Express” di Londra, perché guai se gli italiani la passano completamente liscia dopo aver detronizzato l’amico di Angela e Hillary, di Obama e del Ttip – guai, perché gli inglesi post-Brexit potrebbero pensare di uscire indenni anche loro dalla morsa dei neo-feudatari, e a maggior ragione i francesi si sentirebbero incoraggiati, nel 2017, a licenziare i collaborazionisti di casa, eleggendo all’Eliseo una outsider come la signora Le Pen a cui nessuno, a Bruxelles e Berlino, ha finora potuto dare ordini.Si mette male? I signori dello spread picchieranno sodo? Fino a che punto, è da vedersi: vista la situazione – con i media mainstream che non controllano più l’opinione pubblica – quanto conviene, ai dominus, trasformare l’Italia in una specie di Grecia? La storia insegna che i sommi manovratori prediligono di gran lunga l’illusionismo, un po’ come fu per lo stesso Renzi, il super-rinnovatore che ha semplicemente tagliato i diritti del lavoro, come richiesto dalla cupola di Bruxelles, in ossequio al piano di svalutazione interna (salari, pensioni, welfare) imposto dalla moneta unica. Per introdurlo, l’euro, in Italia è stato necessario lo tsunami di Mani Pulite, che ha tolto di mezzo personaggi come Craxi e Andreotti, che mai avrebbero calato le brache a Maastricht. Gli italiani, allora, gridarono alla liberazione, alla rivoluzione. Oggi, la crisi ha colpito in modo devastante: i giovani del 2016 non sono quelli degli anni ‘90, che un futuro a casa ce l’avevano. Il bisogno di riscostruzione è percepito in modo lancinante, come conferma lo stesso consenso accordato fino a ieri persino a Renzi, che infatti ha perso solo quando ha voluto spaccare il paese in due. Comunque vada, dicono molti osservatori, sarà dura. Molte favole sono state archiviate come frottole. Ma una narrazione veritiera per ora si fa strada solo in negativo, a suon di No.Ha perso Renzi, il Bomba, questo è certo. E’ importante? Forse: Renzi è stato smascherato, si era venduto come salvatore della patria. Uno strano salvatore: sbrigativo, facilone, e pure attaccabrighe. Come se i nemici dell’Italia fossero ragazzotti, anche loro, da sfidare al bar. Ma gli elettori hanno scoperto il gioco: non c’erano altri ragazzotti in circolazione, a parte quello auto-insediatosi a Palazzo Chigi. In giro c’erano, e ci sono, solo squali. E che squali: Juncker, la Merkel, Draghi, la Bundesbank, BlackRock e compagnia privatizzante. Hanno fiutato l’imbroglio, gli elettori: il fiorentino dalla parola svelta (e mai mantenuta) serviva, sottobanco, proprio loro, i grandi poteri che da sempre “coltivano” l’Italia, in modo che il Belpaese non possa mai rappresentare un pericolo per i supremi interessi in gioco. Era peggiore di altri, Renzi? Sicuramente più sfrontato. Ma lo schema è sempre uguale: allevare una classe dirigente docile, corrotta e quindi ricattabile, oppure finto-ribelle (che è lo stesso, se non peggio). Poi nel frattempo le cose vanno male? C’è crisi, si capisce: bisogna soffrire. E magari fustigare gli antichi vizi italici, la pigrizia, l’opportunismo. O, ancora: additare nemici immaginari, evitando di inquadrare quelli veri, che non abitano nemmeno lontano da casa. Sono regole di guerra: senza collaborazionisti, l’esercito invasore è nei guai. Ma chi li vota, i collaborazionisti?
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Massoni terroristi, quella dell’élite è una religione segreta
C’era una volta il massone. Un giorno indossò il cappuccio ma dimenticò squadra e compasso, fino a diventare qualcos’altro. Un paramassone: non più un iniziato che cerca la divinità, ma un contro-iniziato che si crede Dio. Sembra una fiaba nera, ma sta dando spettacolo: la grande crisi e il grande terrorismo non sono che due facce, entrambi atroci, dello stesso show. Ed è così potente, l’incantesimo, da incrinare la storia, compromettendo la pace sin dal dopoguerra, già da Yalta, quando i massoni Roosevelt e Churchill – insieme a Stalin – non accordano ai palestinesi la nascita di un loro Stato, in equilibrio col futuro Stato ebraico, innescando così il provvidenziale focolaio da cui nascerà il primo terrorismo dell’Olp. Quando il miracolo economico travolge anche l’Italia, spalancando orizzonti impensabili, viene fermato e “sacrificato” l’uomo che meglio incarnava un possibile futuro democratico anche per gli arabi, Enrico Mattei. Se ancora l’Europa crede in un modello diverso, democratico, in Svezia viene prontamente ucciso l’apostolo del welfare, Olof Palme. E in Israele finisce assassinato Rabin, colpevole di aver costruito una vera pace geopolitica, che coincide con «una autentica pax massonica». Morte a Rabin, dunque, perché l’odio deve continuare a vincere. Fino a quando?Può sembrare incredibile, ma Gianfranco Carpeoro – l’autore del saggio “Dalla massoneria al terrorismo”, che denuncia la matrice massonica della “sovragestione” del terrorismo, attraverso élite che controllano servizi segreti – sostiene che, in fondo, la colpa è nostra. O meglio: la nostra ignoranza consente al super-potere di manipolarci indisturbato, costruendo mostri. Capeoro cita il suo antico maestro, Francesco Saba Sardi, grande intellettuale inserito dal Quirinale tra le più eminenti personalità culturali della storia italiana: nel mini-saggio “Istituzione dell’ostilità”, riportato testualmente nel libro di Carpeoro, Saba Sardi (traduttore di Borges, Simenon, Pessoa, Joyce e Garcia Marquez, nonché biografo di Picasso) sostiene che solo la nostra disponibilità all’odio ci rende inconsapevoli “soldati” della causa altrui, nient’altro che docili strumenti. Siamo pigri, non ci accorgiamo di vivere in un Truman Show. Prendiamo per buono perfino l’Isis, il cui capo – il “califfo”Abu-Bakr Al Baghdadi – fu stranamente liberato nel 2009 dal centro di detenzione di Camp Bucca, in Iraq, dopo esser stato affiliato alla Ur-Lodge “Hathor Pentalpa”, nella quale (secondo Gioele Magaldi, autore del libro “Massoni”) hanno militato George W. Bush e Condoleezza Rice, il politologo Michael Ledeen, Nicolas Sarkozy, Tony Blair, il leader turco Erdogan.Impressionante, nella ricostruzione di Carpeoro, l’affollamento dei messaggi simbolici che “firmano” i recenti attentati in Francia, affidati a manovalanza islamista: se la strage del Batalclan (13 novembre) è il “calco” della data-simbolo della persecuzione dei Templari, mentre quella di Nizza (14 luglio) colpisce al cuore i valori della Rivoluzione Francese, “sacri” per la massoneria democratica, devastando peraltro la città natale del massone progressista Garibaldi, anche gli attacchi di Bruxelles (aeroporto e metropolitana, “come in cielo, così in terra”) richiamano universi simbolici tutt’altro che islamici, «secondo un preciso schema operativo – scrive Carpeoro – che sceglie di utilizzare un linguaggio estraneo o addirittura “avverso” agli esecutori», giusto per inquinare le acque. Bruxelles, 22 marzo: stessa data del decreto di soppressione dei Templari, nel 1312. Giorno fatale, il 22 marzo: nel 1457, Gutenberg stampò la prima Bibbia. Nel 1831 venne fondata la Legione Straniera, in funzione anti-araba. Ancora: sempre il 22 marzo (del ‘45) nasceva la Lega Araba, «che l’Isis vede come il fumo negli occhi». E nel 2004 venne ucciso a Gaza lo sceicco Ahmed Yassin, leader spirituale di Hamas. Ma il fatidico 22 marzo “parla” anche ai cattolici osservanti: le letture liturgiche per la messa di quel giorno propongono la restaurazione del regno di Israele (Isaia), che abbreviato è “Is”, come “Islamic State”.Non è un gioco: per Carpeoro, la matrice massonica della “sovragestione” ricalca in modo quasi maniacale – ribaltandoli – gli insegnamenti di Vitruvio, «personaggio storico che ha avuto grande rilievo nella massoneria», perché nel “De Architectura” il grande architetto romano enuclea i principi-cardine, anche etici e spirituali, che devono orientare la scienza della costruzione, riflesso terreno della bellezza universale. Ebbene, i contro-iniziati che incarnano la “sovragestione” li ribaltano in modo puntuale e speculare, secondo lo stereotipo del satanismo: «Hanno utilizzato tutti gli strumenti descritti da Vitruvio: le lettere, per organizzare la disinformazione; il saper disegnare, per delineare il simbolismo dei loro atti; la geometria, per concatenare le distruzioni; l’ottica, per stabilire i punti di osservazione; l’aritmetica, per i tempi degli attentati; la storia, per il linguaggio simbolico delle date». I fantasmi della “sovragestione” «sono colti, sanno disegnare», padroneggiano matematica e filosofia, medicina e giurisprudenza, astronomia e astrologia». Chi sono, in realtà?Massoni, tutti. O forse no: si tratta di paramassoni, ma in fondo ormai «è solo questione di termini», ammette Carpeoro, che – massone lui stesso, già gran maestro dell’“obbedienza” di Palazzo Vitelleschi, poi dimissionario dopo aver disciolto la sua stessa loggia – accusa la massoneria di aver “perso l’anima”, riducendosi a mera struttura di potere. Nel suo libro accenna alle origini mistiche della libera muratoria (bibliche, egizie) come cemento culturale delle primissime corporazioni, quelle dei costruttori di cattedrali, gelosi custodi dei loro “segreti professionali”, basati sulla sacralizzazione del lavoro al servizio della bellezza. Poi, con la fine dei grandi edifici sacri, la nascita della massoneria “speculativa”, tra ortodossia metodologica e devianze, sbandamenti, infiltrazioni. Pietra miliare, il 1717: brucia Londra, ma l’architetto Chistopher Wren, leader della massoneria inglese, incaricato di riedificare la città, rifiuta di ricostruire il Tempio. «Il 1717 è considerato l’anno di nascita della massoneria moderna, ma in realtà segna l’inizio della fine della vera massoneria», network necessariamente cosmopolita che, come tale, faceva gola al potere: gli ex costruttori di cattedrali erano un’élite della conoscenza ben radicata in tutta Europa.Più che gli Illuminati di Baviera, il gruppo visionario creato sempre nel ‘700 da Jean Adam Weischaupt (nuovo ordine mondiale da costruire radendo al suolo il sistema, cominciando dall’abolizione della proprietà privata), secondo l’indagine di Carpeoro la malapianta della “sovragestione” che sta minacciando il pianeta va ricercata nel pensiero oligarchico di personalità più recenti e magari sconosciute ai più, come Joseph Alexandre Saint-Yves, marchese d’Alveydre, un medico francese di fine ‘800 che compare tra le figure di maggior rilievo dell’esoterismo del XIX secolo. Al sorgere del socialismo (e dell’anarchia), Saint-Yves contrappose la “sinarchia”: un modello di governo pre-ordinato, basato su schemi universali, con «ruoli e funzioni sociali secondo un ordine di strati e condizioni rigide, in una concezione piramidale della società». Il tutto, «legittimato da una mistica teocratica tipica delle società più antiche», Egitto e Persia, India. «Significa che alcuni sono naturalmente destinati a comandare». In altre parole, l’esoterista Saint-Yves (fervente cattolico, in strettissimi rapporti col Vaticano) «auspicava il governo di un’élite predestinata e piuttosto aristocratica».Pochissimi sanno “quel che si deve fare”, tutti gli altri devono sottostare alle indicazioni dell’élite. E’ qualcosa di davvero diverso dal pensiero che sembra promanare da Christine Lagarde del Fmi, che Magaldi dichiara affiliata alle Ur-Lodges “Three Eyes” e “Pan-Europa”? E’ tempo di sacrifici? Bisogna (“dovete”) soffrire? A parlare è il marchese Saint-Yves o Mario Monti (Gran Loggia di Londra e Ur-Lodge “Babel Tower”), o magari il “venerabile” Mario Draghi della Bce (“Edmund Burke”, “Pan-Europa”, “Compass Star-Rose”, “Three Eyes” e “Der Ring”)? La nascita delle superlogge internazionali era assolutamente ineluttabile, osserva Carpeoro: la stessa tensione civile e sociale che durante l’Illuminismo aveva condotto i massoni a battersi per «i valori democratici e libertari, propri della dottrina muratoria» condusse le logge di fine ‘800 a coordinarsi, «anche al di fuori dell’organizzazione rituale», affiliando – nelle Ur-Lodges – anche «presidenti, banchieri, industriali», non necessariamente passati per la tradizionale procedura iniziatica.Per quello spiraglio, sottolinea Carpeoro anche nell’articolata trattazione del capitolo italiano su Gelli e la P2 (dove emerge un’Italia di fatto tuttora “sovragestita” da una fantomatica P1, protetta da silenzi e omissioni), il potere avrebbe definitivamente svuotato il network massonico di ogni autentica valenza esoterica e libertaria. Tutto sarebbe ridotto a una piramide che parla una sola lingua, quella del denaro, imposta con la globalizzazione forzata del pianeta a beneficio di una casta di “eletti” che, della massoneria, mantengono solo il linguaggio cifrato, magari per “firmare” crisi, guerre e persino attentati terroristici, sanguinose tappe di una strategia della tensione progettata per imporre agli “inferiori” il dominio della paura. Cosa c’è nella testa dei fantasmi della “sovragestione”? Probabilmente, il verbo di Saint-Yves, la “sinarchia”, una filosofia addirittura mistica, secondo cui «l’élite è in armonia con le leggi universali è in pratica una classe sacerdotale». La “sinarchia”, conclude Carpeoro, è dunque «una forma di teocrazia, un governo di sacerdoti o di re-sacerdoti». Il dogma del rigore, imposto all’Europa, impossibile da discutere: «La “sinarchia” arriva a suggerire che quest’élite illuminata sia in diretto contatto con le intelligenze spirituali che governano l’universo e da cui riceve istruzioni». Per i comuni mortali, nessuna speranza. A meno che non si “risveglino”, nell’unico modo possibile: disertando, rifiutando la guerra che viene quotidianamente allestita.(Il libro: Giovanni Francesco Carpeoro, “Dalla massoneria al terrorismo”, sottotitolo “Come alcune logge massoniche sono divenute deviate e come con i servizi segreti vogliono controllare il mondo”, Revoluzione edizioni, 192 pagine, euro 13,90).C’era una volta il massone. Un giorno indossò il cappuccio ma dimenticò squadra e compasso, fino a diventare qualcos’altro. Un paramassone: non più un iniziato alla ricerca della divinità, ma un contro-iniziato che si crede Dio. Sembra una fiaba nera, ma sta dando spettacolo: la grande crisi e il terrorismo permanente non sono che due facce, entrambe atroci, dello stesso show. Ed è così potente, l’incantesimo, da incrinare la storia, compromettendo la pace sin dal dopoguerra, già da Yalta, quando i massoni Roosevelt e Churchill – insieme a Stalin – non accordano ai palestinesi la nascita di un loro Stato, in equilibrio col futuro Stato ebraico, innescando così il provvidenziale focolaio da cui nascerà il primo terrorismo dell’Olp. Quando il miracolo economico travolge anche l’Italia, spalancando orizzonti impensabili, viene fermato e “sacrificato” l’uomo che meglio incarnava un possibile futuro democratico anche per gli arabi, Enrico Mattei. Se ancora l’Europa crede in un modello diverso, socialista, in Svezia viene prontamente ucciso l’apostolo del welfare, Olof Palme. E in Israele finisce assassinato Rabin, colpevole di aver costruito una vera pace geopolitica, che coincide con «una autentica pax massonica». Morte a Rabin, dunque, perché l’odio deve continuare a vincere. Fino a quando?
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Regalare l’Italia ai suoi predatori, fingendo di difenderla
Il piano era semplice: «Creare euforia e consenso legati alle riforme di Renzi per trasformare l’Italia in un paese governabile, “marionettando” un solo uomo», cioè il capo del Pd. Corollario: rendere costituzionale «la subordinazione di Roma a Berlino e Parigi», e soprattutto «completare il trasferimento-svendita» del paese, con le aziende strategiche (inclusa Bankitalia) affidate al controllo di banche straniere. Renzi? E’ stato solo l’ultimo atto di una tragica farsa che risale agli anni ‘80, scrive Marco Della Luna nel suo blog, in cui denuncia il pericolo di brogli che incomberebbe sul referendum del 4 dicembre, dato l’altissimo rischio che Renzi lo perda, costringendo i suoi padroni occulti a rallentare l’assalto all’Italia. «Al governo e ai potentati che esso serve – scrive Della Luna – non resta che puntare su brogli massicci per vincere il referendum e insieme prepararsi a guidare gli sviluppi, in caso che perdano, mediante i soliti strumenti dei premi e dei ricatti finanziari e giudiziari». Niente di nuovo: «La principale occupazione dei governanti italiani, perlomeno da Andreatta in poi, è stata quella di trasferire, senza che l’opinione pubblica capisse che cosa facevano, il risparmio, le risorse finanziarie, le migliori aziende, le imprese strategiche, tra cui soprattutto la Banca d’Italia, a multinazionali finanziarie straniere».Una colossale spoliazione, che la “casta” al potere ha consentito «in cambio di carriera assicurata», in patria ma anche «in Europa, o nelle grandi banche saccheggiatrici che essi hanno servito, secondo il noto schema delle “porte girevoli”». Questo, aggiunge Della Luna, «è il regime che predica tanto su corruzione ed evasione, e presenta il supergarante Cantone». Guardiamo ai fatti: «Il governo Monti, solo per citarne uno, ha raccolto 57 miliardi di tasse in più dagli italiani, affondando il settore immobiliare ed esasperando così la recessione, per dare aiuti alle decotte banche greche e non solo, con cui pagassero alle banche franco-tedesche i loro illeciti profitti ottenuti con prestiti predatori precedentemente concessi». Im pratica, «fu un enorme aiuto di Stato a banche private, imposto dall’“Europa”», la stessa Europa che oggi «non consente al governo italiano di aiutare le proprie banche in crisi». Motivo del divieto: «Devono essere spolpate da Jp Morgan e soci, il cui uomo di fiducia, Morelli, è già stato messo da Renzi a capo di Mps».Questi governi, continua Della Luna, «sopravvivono solo perché e finché la Bce continua ad assicurare artificialmente l’acquisto dei loro titoli pubblici». Nel regime dell’Eurozona non puiò che essere così: è la Bce a tenerli in vita in questo modo, «per evitare che collassino mentre procede il programma di espianto e trasferimento all’estero delle risorse italiane: capitali, cervelli, aziende, mercati». Matteo Renzi paladino degli interessi nazionali? Ma mi faccia il piacere, direbbe Totò. «A parte gli effetti provvisori e già scemati della costosa decontribuzione, il Jobs Act ha ridotto i diritti del lavoro e non ha aumentato strutturalmente gli impieghi», sottolinea Della Luna. «Le promesse di superare l’austerity merkeliana ed europea si sono dissolte o sono rinviate sine die di fronte al “nein” di chi comanda in Europa». Inevitabilmente, quindi, «malgrado le mancette degli 80 euro», la festa è finita subito: «L’euforia si è sgonfiata e consensi per Renzi sono fortemente scesi dal 40% iniziale dovuto al marketing e all’effetto novità». I sondaggi dicono che vincerà il No: «Salvo un loro errore clamoroso, il piano è fallito». La “riforma” renziana? L’ennesimo tassello del grande piano, che «mira ad abolire lo Stato di diritto, la rappresentanza democratica, la possibilità di opposizione e alternanza interna al sistema giuridico», quindi «l’obbedienza dell’Italia a Berlino e Parigi via Ue, dietro la simulata polemica con la Commissione Europea e il governo Merkel».Il piano era semplice: «Creare euforia e consenso legati alle riforme di Renzi per trasformare l’Italia in un paese governabile, “marionettando” un solo uomo», cioè il capo del Pd. Corollario: rendere costituzionale «la subordinazione di Roma a Berlino e Parigi», e soprattutto «completare il trasferimento-svendita» del paese, con le aziende strategiche (inclusa Bankitalia) affidate al controllo di banche straniere. Renzi? E’ stato solo l’ultimo atto di una tragica farsa che risale agli anni ‘80, scrive Marco Della Luna nel suo blog, in cui denuncia il pericolo di brogli che incomberebbe sul referendum del 4 dicembre, dato l’altissimo rischio che Renzi lo perda, costringendo i suoi padroni occulti a rallentare l’assalto all’Italia. «Al governo e ai potentati che esso serve – scrive Della Luna – non resta che puntare su brogli massicci per vincere il referendum e insieme prepararsi a guidare gli sviluppi, in caso che perdano, mediante i soliti strumenti dei premi e dei ricatti finanziari e giudiziari». Niente di nuovo: «La principale occupazione dei governanti italiani, perlomeno da Andreatta in poi, è stata quella di trasferire, senza che l’opinione pubblica capisse che cosa facevano, il risparmio, le risorse finanziarie, le migliori aziende, le imprese strategiche, tra cui soprattutto la Banca d’Italia, a multinazionali finanziarie straniere».
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Lo Spiegel: ormai a rischio-povertà 118 milioni di europei
Mentre gran parte della stampa nazionale fa di tutto per gonfiare in maniera propagandistica qualsiasi dato possa far gridare alla “ripresa”, il quotidiano tedesco “Der Spiegel” commenta uno sconcertante studio sul crescente rischio di povertà in Europa. Secondo la ricerca del “Social Justice Index”, la crescita degli impieghi a basso salario è alla base di questa inquietante statistica. Lo segnala “Voci dall’Estero”, che evidenzia il servizio dello “Spiegel”: la mappa del pericolo investe con particolare rilievo i paesi del Sud Europa, cioè quelli più colpiti dalle politiche di rigore imposte dall’Eurozona a guida tedesca. Parlano i numeri, dimostrando che la “svalutazione interna”, indispensabile per “reggere” l’euro, sta falcidiando – come ampiamente previsto – il sistema socio-produttivo, costretto ai tagli per poter sostenere la concorrenza, non potendo più ricorrere a nessuna forma di investimento pubblico. La novità, semmai, sta nelle dimensioni del disastro: a rischio-povertà, secondo lo studio, sarebbero ormai 118 milioni di cittadini europei, su cui si è abbattuta la mannaia dell’austerity imposta dalla moneta unica “privatizzata”.«È in costante crescita il numero di cittadini europei che, nonostante abbiano un impiego a tempo pieno, sono a rischio povertà», precisa lo “Spiegel”. Sono le conclusioni del recente studio del “Social Justice Index 2016”, finanziato dalla Fondazione Bertelsmann. Il peggioramento sta galoppando: lo scorso anno questa percentuale è salita al 7,8%, mentre tre anni fa era al 7,2 per cento. «Ciò significa che milioni di persone nell’Ue sono sottoposte a un reale rischio di povertà, pur potendo contare su un’occupazione a tempo pieno». Anche se alcuni paesi dell’Uunione Europea stanno mostrando una lenta ripresa rispetto alle conseguenze della crisi economica e finanziaria, «lo stesso non si può dire dell’impatto che i mutamenti del mercato del lavoro hanno avuto sulla vita delle persone». Anche perché la decantata “ripresa” è sempre ferma a decimali irrisori, del tutto irrilevanti rispetto ai numeri veri dell’economia: secondo l’Istat, l’Italia ha perso 73 miliardi in soli tre anni, grazie all’effetto del governo Monti. In fumo oltre 650.000 posti di lavoro, a causa del fallimento di oltre 15.000 aziende (dati Ocse). Una catastrofe, impossibile da recuperare con le “ripresine”. E il peggio è che, ormai, è a rischio anche chi un lavoro ce l’ha: lo stipendio è troppo magro. Così stanno crollando gli standard del benessere medio in Europa.Sulla base di 35 criteri, i ricercatori di “Social Justice Index” analizzano ogni anno sei aree di studio, tra cui povertà, istruzione, occupazione, salute e giustizia intergenerazionale. «Secondo il documento – scrive lo “Spiegel” – un cittadino europeo su quattro è alle soglie della povertà o a rischio di una qualche forma di esclusione sociale: in totale si parla di oltre 118 milioni di persone. Per i ricercatori le ragioni vanno ricercate in particolare nella crescita dei settori a basso salario». L’aumento dei cosiddetti “lavoratori poveri”, ovvero delle persone con un’occupazione ma a rischio di povertà, preoccupa moltissimo gli autori della ricerca. «Una crescente percentuale di persone alle quali non basta un lavoro per vivere è qualcosa che mina l’intera legittimità del nostro ordine economico e sociale», afferma il presidente della Fondazione Bertelsmann, Aart De Geus. E’ il corollario della crisi sistemica indotta dalla perdita di sovranità finanziaria: meno investimenti uguale meno lavoro e meno redditi, meno Pil, più tassazione ma minori entrate, e quindi più debito pubblico. Una spirale perfetta, dalla quale – alle attuale condizioni, coi bilanci gestiti da Bruxelles e dalla Bce – non è possibile uscire.Non è solo la povertà a essere identificata come una delle problematiche fondamentali: nella stessa Germania, secondo gli autori della ricerca, pesa anche «la scarsa permeabilità sociale prodotta dal sistema educativo». Il numero di persone «occupate a tempo pieno ma sulla soglia della povertà» è aumentato dal 5,1% del 2009 al 7,1% del 2015. «Questo pone la Germania al settimo posto in Europa, nonostante la Repubblica Federale sia la più grande potenza economica del vecchio continente». Il primo posto è occupato dalla Svezia (che non ha l’euro) mentre il fanalino di coda resta la Grecia, massacrata proprio dalla politica di rigore imposta da Berlino. In particolare, aggiunge lo “Spiegel”, nell’Europa meridionale sono i giovani a rischiare di essere lasciati indietro: in tutta l’Unione Europea, «il 27% dei minori (sotto i 18 anni) sono a rischio di povertà o esclusione sociale». Uno scenario ormai drammatico: «In Grecia, Italia, Spagna e Portogallo addirittura un bambino su tre è a rischio di povertà».Mentre gran parte della stampa nazionale fa di tutto per gonfiare in maniera propagandistica qualsiasi dato possa far gridare alla “ripresa”, il quotidiano tedesco “Der Spiegel” commenta uno sconcertante studio sul crescente rischio di povertà in Europa. Secondo la ricerca del “Social Justice Index”, la crescita degli impieghi a basso salario è alla base di questa inquietante statistica. Lo segnala “Voci dall’Estero”, che evidenzia il servizio dello “Spiegel”: la mappa del pericolo investe con particolare rilievo i paesi del Sud Europa, cioè quelli più colpiti dalle politiche di rigore imposte dall’Eurozona a guida tedesca. Parlano i numeri, dimostrando che la “svalutazione interna”, indispensabile per “reggere” l’euro, sta falcidiando – come ampiamente previsto – il sistema socio-produttivo, costretto ai tagli per poter sostenere la concorrenza, non potendo più ricorrere a nessuna forma di investimento pubblico. La novità, semmai, sta nelle dimensioni del disastro: a rischio-povertà, secondo lo studio, sarebbero ormai 118 milioni di cittadini europei, su cui si è abbattuta la mannaia dell’austerity imposta dalla moneta unica “privatizzata”.
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Il fanta-mondo di Grillo, pieno di giovani finalmente felici
Ispirato, profetico, retorico. E’ il Beppe Grillo della “prima lettera dell’elevato ai 5 Stelle”, alla vigilia di un referendum che i grillini considerano di portata epocale. Il voto potrebbe schiantare Renzi così come Bruxelles e la Bce stanno schiantando l’Italia, ma nei programmi ufficiali dei 5 Stelle non esistono indicazioni esplicite per un Piano-B, una riconversione strutturale e sovranista dell’economia basata sul dosaggio intelligente (e illimitato) del deficit. Ancora una volta, per motivare i suoi, Grillo ricorre a orizzonti quasi metafisici, evitando accuratamente i dettagli: cosa farebbe, davvero, il Movimento 5 Stelle, se fosse chiamato a governare un paese che non ha più capacità di spesa né autonomia di bilancio? Grillo preferisce rivendicare la presunta diversità del suo movimento, attaccando gli avversari: «Proiettano su di noi quello che sono loro, non sopportano la felicità, la gioia del progetto, il fatto che il MoVimento discenda da un comico». Peggio: «Non sopportano idee originali, lo humor», e quindi «odiano la lealtà, la carriera fatta onestamente». Addirittura: «Noi siamo quelli che avrebbero voluto essere, siamo loro da giovani».Grillo definisce i fedeli «gli eredi del mondo che verrà», forti del vantaggio di non avere debiti con nessuno. Il linguaggio del leader si fa letterario, quasi mistico: «Noi siamo i perdenti e anche un po’ poeti. Imparate ad essere perdenti. Fallire nella vita è accedere alla poesia senza bisogno di talento». La sua via, il M5S se la sta costruendo «non con le ideologie», ci mancherebbe, ma «con idee che creano domande». Una su tutte: come rigenerare l’Italia liberandola dal giogo dell’Ue? Macché. La domanda è questa: «Se in una società fondata sul lavoro scompare il lavoro, che società avremo?». Dettaglio: il lavoro sta già scomparendo – e in questa società, non in quella del quarto millennio. «Siamo nell’età dell’informazione e la scuola forma ancora operai e impiegati. Che mondo sarà?», si domanda Grillo, pensoso. Ma ecco il sol dell’avvenire: «Scompariranno gli uffici, compariranno i coworking, il gioco si mischierà al lavoro, e il nostro tempo sarà liberato dal lavoro». Ecco il punto: «Quando nella nostra vita il tempo libero sarà il triplo del lavorato, bisognerà organizzare il tempo liberato».«Una crisi economica può durare 2-3 cicli economici, 3-4 anni. Quando dura da 10 anni siamo di fronte a qualcos’altro: bisogna fermarsi e rifletterci su». Questa dunque la sintesi del Grillo-pensiero, in un’Europa dove gli inglesi hanno votato la Brexit e la Francia vede in pole position la sovranista Marine Le Pen che minaccia l’uscita dall’euro e dall’Ue? Grillo preferisce uno sguardo da sociologo sognante: «I giovani sono sono diventati millennials e hanno cambiato il modo di vivere il presente». Sostiene che «i creativi culturali, i millennials, i giovani d’oggi hanno imparato a vivere negli interstizi della società preparata dai loro genitori e nonni». Ormai «rinviano le scelte economiche definitive come la casa di proprietà, il matrimonio, i figli o più semplicemente l’acquisto dell’auto», ammette. Lo fanno perché sono senza soldi? No, lo fanno «perchè sono interessati a spendere al meglio l’unica risorsa scarsa che hanno a loro disposizione negli anni migliori: il proprio tempo». Per questo «viaggiano in Europa con poche decine di euro», grazie ai voli low-cost, e «girano le grandi città con auto in car sharing, facendo car pooling», e poi «condividono appartamenti per le vacanze, conoscono persone, vivono in modo più sostenibile ed ecologico».Il capo dei 5 Stelle cita il Jobs Act: la traduzione italica dei diktat del sommo potere finanziario per cancellare i diritti del lavoro? No, è solo «la risposta sbagliata a un cambio strutturale del mondo», ovvero «è un modo per precarizzare, per abbassare il costo del lavoro abbassandone il valore». Serve invece «valorizzare l’economia dell’esperienza aumentando il valore del lavoro, senza necessariamente aggravarne il costo». E come? In attesa di risposte, Grillo allunga lo sguardo sul mondo, che «sta cambiando velocemente», e spiega ai suoi che «al posto di aziende petrolifere automobilistiche o finanziarie negli ultimi 30 anni, oggi le prime 5 aziende del mondo per capitalizzazione sono Apple, Alphabet, Microsoft, Amazon e Facebook». YouTube, acquistata per 1,65 miliardi di dollari, aveva 65 dipendenti. Instagram, comprata a 1 miliardo, aveva 13 dipendenti. E così Linkedin e Whatsapp: «Avevano poche decine di dipendenti e sono passate di mano per decine di miliardi di dollari». Da ciò, Grillo deduce che «ci aspetta un futuro dove il mercato non potrà più ricattare nessuno perchè al centro ci sarà l’individuo». Bingo: «Attraverso un reddito di cittadinanza o universale», ognuno «potrà scegliersi il lavoro che ama e non il contrario». Proprio come nelle fiabe.Ispirato, profetico, retorico. E’ il Beppe Grillo della “prima lettera dell’elevato ai 5 Stelle”, alla vigilia di un referendum che i grillini considerano di portata epocale. Il voto potrebbe schiantare Renzi così come Bruxelles e la Bce stanno schiantando l’Italia, ma nei programmi ufficiali dei 5 Stelle non esistono indicazioni esplicite per un Piano-B, una riconversione strutturale e sovranista dell’economia basata sul dosaggio intelligente (e illimitato) del deficit. Ancora una volta, per motivare i suoi, Grillo ricorre a orizzonti quasi metafisici, evitando accuratamente i dettagli: cosa farebbe, davvero, il Movimento 5 Stelle, se fosse chiamato a governare un paese che non ha più capacità di spesa né autonomia di bilancio? Grillo preferisce rivendicare la presunta diversità del suo movimento, attaccando gli avversari: «Proiettano su di noi quello che sono loro, non sopportano la felicità, la gioia del progetto, il fatto che il MoVimento discenda da un comico». Peggio: «Non sopportano idee originali, lo humor», e quindi «odiano la lealtà, la carriera fatta onestamente». Addirittura: «Noi siamo quelli che avrebbero voluto essere, siamo loro da giovani».
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Magaldi: serve un’Italia che esca dall’orrore di questa Ue
L’Italia non ha bisogno di questo appassionarsi, francamente un po’ melodrammatico e patetico, sul Sì o il No alla riforma costituzionale. Abbiamo bisogno di governi che abbiano la forza di riscrivere i trattati europei e introdurci a un paradigma diverso, di governance, tanto dell’economia italiana che di quella europea, contribuendo anche a un nuovo tipo di globalizzazione. L’Europa è morta? No: l’Europa non è mai nata, diciamocelo una volta per tutte. Ogni tanto sento dire che bisogna “tornare allo spirito europeo” dei padri fondatori, Schuman, Monnet, Adenauer, De Gasperi, “quelli sì che erano sant’uomini, dediti al bene comune”… No, proprio no. L’Europa democratica, l’Europa dei popoli, gli Stati Uniti d’Europa: erano un sogno, di cui erano fautori uomini come Giuseppe Mazzini, Giuseppe Garibaldi, Victor Hugo, Altiero Spinelli. Ma l’Europa costruita negli anni ‘40 con la Ceca, la Comunità dell’Acciaio e del Carbone (cosa anche utile per affratellare, all’inizio, Germania, Francia e altri paesi) era un’Europa che viveva da un lato di istanze tecnocratiche ed economicistiche, e dall’altro del progetto neo-feudale di Coudenhove-Kalergi.Quindi, da un lato abbiamo Jean Monnet che scrive il discorso di Robert Schuman che inaugura appunto una traiettoria economicistica dell’Europa, e dall’altro abbiamo il progetto di Coudenhove-Kalergi, che negli anni ‘20 e ‘30 era stato un progetto vago, generico, a cui avevano aderito anche progressisti – si parlava di Europa unita in un contesto in cui c’era il nazismo e l’idea di un’Europa davvero triste e tarata su una serie di disvalori, quindi l’appello all’Europa unita sembrava un appello contro la barbarie fascio-nazista. Invece, poi, Coudenhove-Kalergi negli anni ‘40 ha chiarito meglio il suo progetto: una sorta di neo-feudalesimo, dove al posto dei feudatari di epoca medievale ci sono i tecnocrati, in una scala gerarchica che li pone al di sopra di qualunque sovranità popolare. Questa sorta di ideologia neo-feudale e la declinazione economicistica si saldano insieme e portano a che cosa? Lo vediamo: portano a un’Europa che tutto è, tranne che unita sotto il proprio governo continentale. E’ solo un equilibrio di nazioni. Questi soggetti, che hanno costruito questa Europa, sono nemici di qualunque valore europeo. La loro Europa è come la loro democrazia: la si propone come retorica, ma non la vive come sostanza.Lo dico a chi si dice anti-europeista o contro l’Europa: l’Europa non c’è mai stata. Come si fa a essere contro qualcosa che non c’è? Non esiste nessun livello continentale, legittimato democraticamente, che conti davvero. Il Parlamento Europeo è un organo stucchevole, limitatissimo nei poteri. La Commissione Europea è un consesso di cicisbei, che non fanno altro che eseguire i dettami e rispettare i limiti imposti della Banca Centrale Europea, e per il resto le nazioni si guardano in cagnesco e fanno, ciascuna, quelli che sembrano interssi nazionali ma in realtà non lo sono: sul medio-lungo periodo, anche la nazione che sembra aver lucrato di più da questa Disunione Europea, la Germania, avrà dei grossi problemi, perché sta venendo meno la capacità di consumo, stanno morendo i ceti medi, in Europa, e quindi la Germania avrà anche problemi con le sue esportazioni, su cui ha tanto puntato. La cancelleria tedesca – tramite Angela Merkel, anche lei “libera muratrice” di circuiti oligarchici – è anch’essa ostaggio di quegli stessi gruppi sovranazionali che puntellano questa globalizzazione, dove non si globalizza il diritto di ciascuno a una vita dignitosa, anche sul piano economico.E’ una globalizzazione dove, oltretutto, le carte sono truccate, perché evidentemente si può competere e liberalizzare il commercio tra le diverse produzioni solo se si gioca con le stesse regole: se tu “giochi” in un paese dove si tutela il lavoro, mentre in altri paesi il lavoro è di tipo neo-schiavistico, c’è qualcosa che non funziona. L’obiettivo di ogni sincero progressista è quello di ripristinare la coscienza della democrazia. Invece ho osservato con raccapriccio che la maggior parte degli italiani non sa nemmeno per che cosa va a votare, a questo referendum costituzionale. Forse, se vogliamo essere degni di sovranità, se vogliamo poterci lamentare a buon diritto di quella espropriazione di sovranità, di benessere e di diritti che imputiamo ai nostri governanti a livello nazionale, a Bruxelles e in altre parti del mondo, forse dovremmo iniziare a informarci un po’ di più. Abbiamo bisogno di pedagogia politica, di informarci meglio sul mondo in cui viviamo, altrimenti saremo sempre manipolati, o vittime di questo scontro insensato, tra “buoni e cattivi”, spesso alimentato dagli stessi burattinai che ci svuotano di diritti e di democrazia. E’ una visione un po’ complottistica: c’è un’élite maligna che governa il mondo, un’élite demo-pluto-giudaico-massonica. Ma le cose non stanno così.La massoneria è stata la principale artefice delle libertà, della sovranità popolare, della democrazia e anche della nostra possibilità di criticare il potere, oggi – la libertà di critica, di espressione, di giornalismo. Con i coniugi Roosevelt, la massoneria è stata anche un faro, nel ‘900, di difesa di questa libertà e democrazia contro la barbarie nazifascista. Poi è stata anche alla base della New Frontier kennedyana, cioè di quel sogno – interrotto con le uccisioni dei fratelli Kennedy e di Martin Luther King – di una Great Society, che in parte Lyndon Johnson riuscì a realizzare, continuando il progetto kennedyano (e cioè: estendere sempre più diritti, possibilità di istruzione e mobilità sociale, a vaste fette della popolazione). Tutto questo si è interrotto. Dagli anni ‘70, il faro che ha illuminato in senso tenebroso la società mondiale è stato quell’idea enucleata in “The crisis of democracy” (di Michel Crozier, Samuel Huntington e Joji Watanuki), un libello che contiene i fondamenti di questa idea secondo cui troppa democrazia “fa male”.Se lo dissero i massoni reazionari della “Three Eyes”, che commissionarono quel testo alla Trilateral Commission: la democrazia va limitata. Quello è un testo di più di quarant’anni fa, però noi ne viviamo oggi tutte le conseguenze. Per capire questo non basta protestare, non basta avercela con la casta, con i corrotti, con i cattivoni, con la finanza – la finanza è uno strumento, come il denaro: non è né buono né cattivo, dipende da come lo si gestisce. Noi abbiamo bisogno di un mondo in cui la politica torni a essere preminente sull’economia e sulla finanza, e in cui economia e finanza collaborino per garantire prosperità a tutti e a ciascuno.(Gioele Magaldi, dichiarazioni rilasciate a Claudio Messora per la video-intervista “Dietro a Donald Trump, le trame della massoneria progressista”, pubblicata da “ByoBlu” l’11 novembre 2016. Massone progressista, già gran maestro della loggia Monte Sion del Grande Oriente d’Italia, Magaldi ha fondato l’associazione Grande Oriente Democratico, è stato affiliato alla superloggia internazionale Thomas Paine e ha fondato il Movimento Roosevelt, organismo meta-partitico che si propone di sollecitare un profondo risveglio sovranista della politica italiana. E’ autore del bestseller “Massoni, società a responsabilità illimitata”, edito da Chiarelettere, nel quale denuncia lo strapotere di 36 Ur-Lodges a carattere apolide, alcune delle quali coinvolte nel disegno geopolitico neo-feudale e nella strategia della tensione internazionale, dall’11 Settembre all’Isis. Nell’intervista su “ByoBlu”, Magaldi dichiara anche che Matteo Renzi sarebbe «tuttora “bussante” presso circuiti massonici neo-aristocratici, segnatamente quelli di cui è protagonista Mario Draghi», dalla “Three Eyes” in cui militerebbe anche Giorgio Napolitano, ad altre superlogge come la “Pan-Europa”, la “Edmund Burke”, la “Compass Star-Rose” e la “Der Ring”, il cui venerabile maestro è il ministro delle finanze tedesco, Wolfgang Schaeuble).L’Italia non ha bisogno di questo appassionarsi, francamente un po’ melodrammatico e patetico, sul Sì o il No alla riforma costituzionale. Abbiamo bisogno di governi che abbiano la forza di riscrivere i trattati europei e introdurci a un paradigma diverso, di governance, tanto dell’economia italiana che di quella europea, contribuendo anche a un nuovo tipo di globalizzazione. L’Europa è morta? No: l’Europa non è mai nata, diciamocelo una volta per tutte. Ogni tanto sento dire che bisogna “tornare allo spirito europeo” dei padri fondatori, Schuman, Monnet, Adenauer, De Gasperi, “quelli sì che erano sant’uomini, dediti al bene comune”… No, proprio no. L’Europa democratica, l’Europa dei popoli, gli Stati Uniti d’Europa: erano un sogno, di cui erano fautori uomini come Giuseppe Mazzini, Giuseppe Garibaldi, Victor Hugo, Altiero Spinelli. Ma l’Europa costruita negli anni ‘40 con la Ceca, la Comunità dell’Acciaio e del Carbone (cosa anche utile per affratellare, all’inizio, Germania, Francia e altri paesi) era un’Europa che viveva da un lato di istanze tecnocratiche ed economicistiche, e dall’altro del progetto neo-feudale di Coudenhove-Kalergi.
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Galloni: élite sconfitta, ma non c’è ancora un Piano-B
«Non si tratta semplicemente di un’ondata popular-populistica che ha riguardato tutte le tornate elettorali e i referendum in Eurasia e Americhe, ma di un vero e proprio sganciamento dei cittadini dai diktat dei padroni finanziari». L’economista keynesiano Nino Galloni, già fiero avversario della capitolazione dell’Italia di fronte all’imposizione catastrofica dell’euro gestita dall’oligarchia finanziaria che manovra Bruxelles, saluta con sollievo la vittoria di Donald Trump negli Stati Uniti. La legge come una ribellione di massa contro il dominio di un’élite pericolosa, bellicista, irresponsabile, colpevole della finanziarizzazione dell’economia e dell’imposizione di una “globalizzazione a mano armata” che impoverisce il tessuto socio-economico dell’Occidente. Gli elettori americani hanno respinto il piano. «Questo è molto positivo, ma vi corrisponde un aspetto molto preoccupante», avverte Galloni: «Il programma alternativo non è chiaro o, meglio, non c’è. Ci sono generiche richieste riguardanti il lavoro, la centralità dei valori umani, il ripristino della sovranità politica e monetaria, la giustizia sociale, l’etica». Manca, ovunque, una chiara traduzione politica. Una piattaforma democratica.«Non si sa veramente cosa farà Trump, cosa proporrà il M5S, se la Brexit andrà avanti, se Renzi abbandona definitivamente un rigore insostenibile per costringere l’Europa in ginocchio, ovvero questa Europa, a cedere», ovviamente «con tutte le conseguenze di scenario geopolitiche del caso», scrive Galloni su “Scenari Economici” all’indomani del voto statunitense che ha tramortito mezzo mondo. Ma attenzione: «Sarebbe ingenuo credere che la grande finanza registri sconfitte e si ritiri in buon ordine». Al contrario, «è pronta e agguerrita per riorganizzarsi a sfruttare qualsiasi cambiamento, soprattutto se quest’ultimo sarà generico e generativo di ulteriore confusione». La grande finanza, insiste Galloni, «cresce nel conflitto che essa stessa genera e nella confusione che deriva dalla consapevolezza della necessità di un cambiamento senza un piano preciso e realizzabile. Per questo – aggiunge l’economista – la priorità è il progetto, il programma, il piano, non le divisioni settarie».Già allievo e poi collaboratore del professor Federico Caffè, eminente economista neo-keynesiamo, Galloni si batte da anni contro le politiche di rigore, dopo aver tempestivamente denunciato la mano dei poteri forti dietro al commissariamento dell’Italia affidato a Mario Monti per tramite di Giorgio Napolitano. In realtà, accusa Galloni, l’Italia fu volutamente sabotata già negli anni ‘80, con la perdita di sovranità finanziaria imposta dallo storico divorzio tra Tesoro e Bankitalia, operato da Andreatta e Ciampi. «Si sono create le premesse per la deindustrializzazione del nostro paese, che è alla radice della crisi di oggi», ha spiegato Galloni, riassumendo: «La Francia di Mitterrand impose l’euro sperando di frenare la Germania, che accettò la moneta a una condizione: smantellare la concorrenza industriale italiana». Seguirono Maastricht, il rigore imposto dall’Eurozona, la super-tassazione, i diktat della Bce puntualmente sottoscritti dal centrosinistra.Ora, con Renzi alle corde e Trump alla Casa Bianca, siamo al giro di boa: «Dopo il referendum del 4 dicembre, dove dovrebbe vincere il No», per Galloni «occorrerà riunire le forze democratiche attorno al programma di un nuovo modello economico e sociale sostenibile, responsabile, capace di ridurre le ineguaglianze». Quello che manca, sostiene l’economista progressista, è infatti proprio un Piano-B convincente, una svolta – necessariamente sovranista – che ripristini il controllo democratico sulle grandi scelte, in un’epoca che oggi rivela l’imminenza di svolte epocali nella gestione del consenso, con la crisi dei tradizionali riferimenti dell’élite – dalla Clinton a Renzi – ma senza ancora un piano diverso, roosveltiano e keynesiano, per invertire la rotta – economia per il popolo, non contro – in modo il più possibile indolore.«Non si tratta semplicemente di un’ondata popular-populistica che ha riguardato tutte le tornate elettorali e i referendum in Eurasia e Americhe, ma di un vero e proprio sganciamento dei cittadini dai diktat dei padroni finanziari». L’economista keynesiano Nino Galloni, già fiero avversario della capitolazione dell’Italia di fronte all’imposizione catastrofica dell’euro gestita dall’oligarchia finanziaria che manovra Bruxelles, saluta con sollievo la vittoria di Donald Trump negli Stati Uniti. La legge come una ribellione di massa contro il dominio di un’élite pericolosa, bellicista, irresponsabile, colpevole della finanziarizzazione dell’economia e dell’imposizione di una “globalizzazione a mano armata” che impoverisce il tessuto socio-economico dell’Occidente. Gli elettori americani hanno respinto il piano. «Questo è molto positivo, ma vi corrisponde un aspetto molto preoccupante», avverte Galloni: «Il programma alternativo non è chiaro o, meglio, non c’è. Ci sono generiche richieste riguardanti il lavoro, la centralità dei valori umani, il ripristino della sovranità politica e monetaria, la giustizia sociale, l’etica». Manca, ovunque, una chiara traduzione politica. Una piattaforma democratica.
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Telegraph: con l’euro, un europeo su tre verso la povertà
Corse agli sportelli, salvataggi d’emergenza, disoccupazione alle stelle ed economia asfittica, nonostante le iniezioni di liquidità della Bce. Ormai tutti sono pienamente consapevoli di come «l’Eurozona sia stata un disastro finanziario», che ora inizia a diventare «anche un disastro sociale», scrive Matthew Lynn sul “Telegraph”. «L’Eurozona sta diventando una macchina di impoverimento: mentre la sua economia è in stagnazione, milioni di persone stanno cadendo in uno stato di vera e propria deprivazione», come dimostrano i tassi di povertà, «aumentati vertiginosamente in tutta Europa». Secondo il quotidiano britannico, «non potrebbe esserci un atto d’accusa più scioccante del fallimento dell’euro». La moneta unica andrebbe «sottoposta a riforme radicali», o meglio ancora «smantellata». Impietoso il report dell’Eurostat, l’agenzia statistica dell’Unione Europea: in pochi anni è enorememente aumentata la fascia della popolazione a rischio, alla quale ormai appartiene un cittadino europeo su tre. Dati spaventosi, che da soli condannano l’Ue e l’euro.Eurostat, scrive Lynn in un articolo tradotto da “Voci dall’Estero”, ha verificato l’entità numerica delle persone “a rischio di povertà o esclusione sociale”, confrontando i dati del 2008 con quelli del 2015. Tra i 28 membri dell’Unione, cinque paesi hanno sperimentato una significativa impennata di questo valore, paragonato con l’anno del crollo finanziario. In Grecia il 35,7% della popolazione rientra in questa categoria, rispetto al 28,1% del 2008. A Cipro l’incremento è stato di 5,6 punti percentuali: ora il 28,7% della popolazione è classificato come “povero”. In Spagna il valore è aumentato di 4,6 punti percentuali, in Italia di 3,2 punti, e persino il Lussemburgo, difficilmente considerabile un paese a rischio di deprivazione materiale, ha visto il tasso di povertà salire al 18,5% dal 2008, in aumento di tre punti. Ma la situazione non è così tetra dappertutto: il tasso di povertà è sceso in Polonia, Bulgaria, Lettonia. La differenza? «Avete indovinato», scrive il “Telegraph”: il dramma colpisce solo i paesi dell’Eurozona.E non è finita. Sono definiti “a rischio di povertà” gli individui che vivono con meno del 60% del reddito nazionale medio. «Ma quello stesso reddito medio è crollato negli ultimi sette anni, dato che la maggior parte dei paesi all’interno dell’Eurozona devono ancora riprendersi dalla crisi del 2008». In Grecia il reddito medio è sceso da 10.800 a 7.500 euro all’anno. In Spagna il calo non è stato altrettanto drammatico, ma il reddito medio è comunque sceso (da 13.996 a 13.352 euro all’anno). «Nella realtà, le persone stanno diventando più povere sia in termini relativi che in termini assoluti». In tutta l’Ue, l’8% delle persone sono definite in stato di “grave deprivazione materiale”, «il che significa che non hanno accesso a ciò che la maggior parte delle società civilizzate considerano beni di prima necessità», cioè persone che non sono in grado di «pagare il riscaldamento per la propria abitazione», di disporre di un telefono o di «poter mangiare un pasto a base di carne, pesce o proteine simili almeno a giorni alterni». Numerosi paesi dell’Eurozona «stanno cominciando ad essere in testa alle classifiche per questo tipo di misurazioni».La Grecia sta inevitabilmente scalando la classifica, con il 22% della sua popolazione che ad oggi è in stato di “grave deprivazione materiale”, rispetto a al solo 11% del 2008. In Italia, un paese che vent’anni fa era prospero come qualsiasi altro al mondo, uno scioccante 11% della popolazione si trova oggi in stato di “deprivazione materiale”, paragonato col 7,5% di sette anni fa. In Spagna il tasso di deprivazione è raddoppiato, e a Cipro è aumentato di più del 50%. Eppure, continua il “Telegraph”, se si analizzano i paesi al di fuori della moneta unica, si scopre che al loro interno quel tasso è sostanzialmente stabile (come nel Regno Unito, ad esempio) o sta diminuendo a velocità di tutto rispetto – nella Polonia attualmente in rapida crescita economica, il tasso di persone in stato di “deprivazione materiale” si è dimezzato negli ultimi sette anni e, al 7,5% odierno, è molto più basso di quello registrato in Italia. E dire che l’Ue si era fissata l’obiettivo di ridurre in maniera significativa i principali indicatori di povertà entro il 2020. Ebbene, «sta fallendo miseramente». E proprio l’euro «è ampiamente responsabile di questo fallimento».Impossibile scagionare la moneta unica, insiste Lynn: «Perché la Grecia o la Spagna dovrebbero essere in uno stato così drasticamente peggiore di un qualsiasi paese dell’Est Europa? E perché l’Italia dovrebbe passarsela peggio del Regno Unito, quando i due paesi si trovavano a livelli di ricchezza sostanzialmente simili durante gli anni Novanta?». A dire il vero, gli italiani avevano addirittura superato il Pil inglese pro capite. E anche in un’economia di successo come l’Olanda, paese non colpito da alcun tipo di crisi finanziaria, si sono registrati grossi incrementi sia della povertà relativa che di quella assoluta. La realtà è evidente, per il “Telegraph”: «Un sistema valutario disfunzionale ha strangolato la crescita economica, facendo crescere la disoccupazione a livelli precedentemente impensabili». Poi, dopo che alcuni paesi sono andati in bancarotta e hanno avuto bisogno di aiuti finanziari, l’Ue, insieme alla Bce e al Fmi, «ha imposto pacchetti di austerità che hanno drasticamente tagliato welfare e pensioni: con queste premesse, non c’è da sorprendersi che la povertà sia aumentata».In ultima analisi, per il giornale inglese «la crisi finanziaria non è così importante», perché vi si può rimediare «con i bail-out, o stampando più denaro». Alla peggio, «significherebbe semplicemente che alcune banche o fondi d’investimento si troveranno in cattive acque». E’ invece «scioccante» che «i livelli di povertà stiano crescendo ad un ritmo così veloce in quelle che un tempo erano nazioni floride». E non c’è alcuna avvisaglia che questa crescita stia rallentando: in Grecia e in Italia, l’aumento crescita della povertà sta addirittura accelerando, mentre paesi un tempo poveri (Bulgaria, Polonia) «stanno rapidamente sorpassando quella che una volta era considerata l’Europa sviluppata». La situazione è drammatica, conclude Lynn: «Non potersi permettere un telefono o un pasto a base di carne per tre giorni alla settimana non è affatto divertente. Ma, grazie all’euro, è questo il destino di milioni di europei. E non cambierà finché la moneta unica non verrà smantellata».Corse agli sportelli, salvataggi d’emergenza, disoccupazione alle stelle ed economia asfittica, nonostante le iniezioni di liquidità della Bce. Ormai tutti sono pienamente consapevoli di come «l’Eurozona sia stata un disastro finanziario», che ora inizia a diventare «anche un disastro sociale», scrive Matthew Lynn sul “Telegraph”. «L’Eurozona sta diventando una macchina di impoverimento: mentre la sua economia è in stagnazione, milioni di persone stanno cadendo in uno stato di vera e propria deprivazione», come dimostrano i tassi di povertà, «aumentati vertiginosamente in tutta Europa». Secondo il quotidiano britannico, «non potrebbe esserci un atto d’accusa più scioccante del fallimento dell’euro». La moneta unica andrebbe «sottoposta a riforme radicali», o meglio ancora «smantellata». Impietoso il report dell’Eurostat, l’agenzia statistica dell’Unione Europea: in pochi anni è enorememente aumentata la fascia della popolazione a rischio, alla quale ormai appartiene un cittadino europeo su tre. Dati spaventosi, che da soli condannano l’Ue e l’euro.