Archivio del Tag ‘Barack Obama’
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Marine Le Pen: popolo sovrano, no al globalismo Ue-Nato
Charlie Hebdo, Bataclan, Nizza: se qualcuno si domanda perché “il terrorismo” abbia scelto proprio la Francia, come obiettivo, congelando il dibattito politico sotto la pressione dell’emergenza, una risposta la può suggerire “Foreign Affairs”, che parla di “nuova Rivoluzione Francese” in arrivo con Marine Le Pen, l’unico leader in pole position, in un grande paese europeo, con un programma anti-Ue. La principale candidata alla presidenza francese nel 2017, scrive “Voci dall’Estero”, ribadisce la sua visione economica e sociale per la Francia, incentrata sul ritorno alla completa sovranità statale su moneta, frontiere, leggi e indirizzo economico e culturale, in totale antitesi rispetto alla traiettoria della globalizzazione e dell’Unione Europea: «Bisogna dire che ci piacerebbe sentire queste parole anche dalla sinistra, che invece è totalmente arresa al neoliberismo e ormai sulla via dell’estinzione». L’avvocato Marine Le Pen, che ha espulso dal Front National il padre, Jean-Marie, colpevole di aver definito la Shoah «un dettaglio della storia», prenota per la Francia un futuro fondato sul ritorno alla sovranità democratica, fuori dall’euro e dai diktat di Bruxelles.«Credo che tutte le persone aspirino a essere libere. Per troppo tempo, i popoli dei paesi dell’Unione Europea, e forse anche gli americani, hanno avuto l’impressione che i leader politici non difendano i loro interessi, ma bensì degli interessi particolari. C’è una forma di rivolta del popolo contro un sistema che non lo serve più, ma che piuttosto serve se stesso», dichiara la Le Pen a Stuart Reid, nell’intervista ripresa da “Voci dall’Estero”. Sulla scia della crisi europea dei migranti, degli attacchi terroristici a Parigi e a Nizza, e del voto per il Brexit, il messaggio euro-scettico della Le Pen sta “vendendo bene”, scrive Reid: «Recenti sondaggi la mostrano come principale candidata per la presidenza nel 2017, con gli intervistati che le attribuiscono un gradimento doppio rispetto a quello dell’attuale presidente, François Hollande». Guardando agli Usa, Marine Le Pen paragona Donald Trump a Bernie Sanders: «Entrambi rifiutano un sistema che sembra essere molto egoista. In molti paesi, vi è questa corrente di pensiero fedele alla nazione, che rifiuta la globalizzazione selvaggia, vista come una forma di totalitarismo. La globalizzazione è stata imposta a tutti i costi, una guerra contro tutti per il beneficio di pochi».La Le Pen “vota” contro il Ttip e contro Hillary Clinton: «E’ portatrice di guerra nel mondo: Iraq, Libia e Siria. Questo ha avuto conseguenze estremamente destabilizzanti per il mio paese in termini di crescita del fondamentalismo islamico e per le enormi ondate migratorie che ormai stanno travolgendo l’Unione Europea». La Clinton? «Spinge per l’applicazione extraterritoriale della legge americana, che è un’arma inaccettabile per coloro che desiderano rimanere indipendenti». Nel frattempo, la Francia affonda nella crisi: la disoccupazione è oltre il 10%, e persino l’ex ministro socialista Arnaud Montebourg perora la causa del “made in France”, che è uno dei principali pilastri del Fronte Nazionale. Anche la Francia soffre la globalizzazione-canaglia, «che espone alla concorrenza sleale di paesi che effettuano dumping sociale e ambientale, lasciandoci senza la possibilità di proteggere noi stessi e le nostre aziende strategiche, a differenza degli Stati Uniti». E in termini di dumping sociale, la direttiva Ue sui “lavoratori distaccati”, cioè la libera circolazione della forza lavoro, «sta permettendo di far entrare in Francia lavoratori a salari molto bassi».L’altro dumping è monetario: l’euro. «Il fatto di non avere una nostra moneta ci mette in una situazione economica estremamente difficile», dice Marine Le Pen. «Il Fmi ha appena affermato che l’euro è sopravvalutato del 6% in Francia e sottovalutato del 15% in Germania. Questo è un gap di 21 punti percentuali con il nostro principale concorrente in Europa». A questo si aggiunge la scomparsa dell’interventismo statale, leva storica per lo sviluppo. «Quello a cui aspiro – dichiara apertamente la Le Pen – è un’uscita concertata dall’Unione Europea, in cui tutti i paesi si siedono intorno ad un tavolo e decidono di tornare al “serpente monetario”, che permette a ciascuno di adattare la sua politica monetaria alla propria economia. E voglio che sia fatto gradualmente e in modo coordinato». La situazione sta peggiorando: «Molti paesi si stanno rendendo conto che non possono continuare a vivere con l’euro, perché la sua contropartita è la politica di austerità, che ha aggravato la recessione». E cita Joseph Stiglitz, che ha appena scritto che l’euro è una moneta «completamente inadatta per le nostre economie». Proprio l’euro «è uno dei motivi per cui c’è tanta disoccupazione nell’Unione Europea». Quindi, «o ci arriviamo attraverso la negoziazione – avverte Marine Le Pen – o teniamo un referendum come la Gran Bretagna e decidiamo di riprendere il controllo della nostra moneta».Un referendum sul “Frexit”? «Nel 2005 il popolo francese è stato tradito. I francesi hanno detto no alla Costituzione europea; i politici di destra e di sinistra l’hanno imposta contro la volontà del popolo. Io sono democratica. Credo che non spetti a nessun altro che al popolo francese di decidere sul proprio futuro e su tutto ciò che riguarda la sua sovranità, libertà e indipendenza», sottolinea la leader del Front National. «Quindi sì, vorrei organizzare un referendum su questo tema. E sulla base di ciò che accadrà nel corso dei negoziati che avrò intrapreso, dirò ai francesi: “Ascoltate, ho ottenuto quello che volevo, e penso che potremmo rimanere nell’Unione Europea”, oppure: “Non ho ottenuto quello che volevo, e credo che non ci sia altra soluzione che uscire dall’Unione Europea”». Il caso Brexit è incoraggiante: «Quando la gente vuole qualcosa, nulla è impossibile». Inoltre, «ci hanno mentito: ci hanno detto che il Brexit sarebbe stato una catastrofe, che i mercati azionari sarebbero precipitati, che l’economia avrebbe rallentato fino a fermarsi, che la disoccupazione sarebbe schizzata alle stelle. La realtà è che niente di tutto questo è successo».Le banche oggi dicono che si erano “sbagliate”? «No, ci avete mentito. Avete mentito per influenzare il voto. Ma le persone stanno iniziando a comprendere i vostri metodi, che consistono nel terrorizzarle quando c’è una scelta da fare. Con questo voto il popolo britannico ha dato grande mostra di maturità». Paura per l’isolamento di una Francia fuori dall’Eurozona? «Sono le stesse esatte critiche fatte al generale de Gaulle nel 1966, quando voleva ritirarsi dal comando integrato della Nato. Libertà non è isolamento. Indipendenza non è isolamento». Al contrario: «La Francia è sempre stata molto più potente quando è stata soltanto Francia invece che una provincia dell’Unione Europea». E a chi attribuisce all’Ue il merito di aver garantito la pace dai tempi della Seconda Guerra Mondiale, risponde: «Non è l’Unione Europea ad aver mantenuto la pace; è la pace che ha reso l’Unione Europea possibile». Ma la pace «non è stata perfetta nell’Unione Europea, con il Kosovo e l’Ucraina sulla soglia di casa». Inoltre, l’Ue «si è progressivamente trasformata in una sorta di Unione Sovietica Europea che decide tutto, che impone le sue opinioni, che spegne il processo democratico. Basta sentire il presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker, che ha detto: “Non ci può essere scelta democratica contro i trattati europei”».Insiste Marine Le Pen: «Noi non abbiamo combattuto per la libertà e l’indipendenza durante la Prima e la Seconda Guerra Mondiale per dover accettare oggi di non essere più un popolo libero solo perché alcuni dei nostri governanti hanno preso questa decisione per noi». Governanti francesi, ma soprattutto tedeschi: la leadership della Germania ha condizionato totalmente l’Europa. «Era scritta nella creazione dell’euro. In realtà, l’euro è una moneta creata dalla Germania, per la Germania. Si tratta di un abito che si adatta solo alla Germania. A poco a poco, la cancelliera Angela Merkel ha cominciato a sentire di essere il leader dell’Unione Europea. Ha imposto le sue opinioni. Le ha imposte in materia economica, ma le ha imposte anche accettando di accogliere un milione di immigrati in Germania, ben sapendo che la Germania poi li avrebbe smistati. Si sarebbe tenuta il meglio e avrebbe lasciato andare il resto negli altri paesi dell’Unione Europea. Non c’è più nessuna frontiera interna tra i nostri paesi, il che è assolutamente inaccettabile. Il modello imposto dalla Merkel sicuramente funziona per i tedeschi, ma sta uccidendo i vicini della Germania. Io sono l’anti-Merkel».A differenza degli altri leader francesi, finora pronti a «sottomettersi molto facilmente alle esigenze di Merkel e Obama», dimenticando di «difendere i propri interessi, compresi quelli commerciali e industriali», Marine Le Pen si dichiara «per l’indipendenza», ovvero «per una Francia che rimanga equidistante tra le due grandi potenze, la Russia e gli Stati Uniti: né sottomessa, né ostile». Vuole una Francia che torni a essere «un punto di riferimento per i paesi non allineati, come si diceva durante l’era De Gaulle». Semplice: «Abbiamo il diritto di difendere i nostri interessi, proprio come gli Stati Uniti hanno il diritto di difendere i propri interessi, come la Germania ha il diritto di difendere i propri interessi, e la Russia ha il diritto di difendere i propri interessi». Francia e Russia? «Hanno una storia comune e una forte affinità culturale. E strategicamente, non vi è alcun motivo per non approfondire le relazioni con la Russia. L’unica ragione per cui non lo facciamo è perché gli americani lo vietano: questo confligge con il mio desiderio di indipendenza», dice la Le Pen. Gli Usa? «Credo che stiano facendo un errore a ricreare una sorta di guerra fredda con la Russia, perché stanno spingendo la Russia nelle braccia della Cina. E oggettivamente, un’associazione ultrapotente tra la Cina e la Russia non sarebbe vantaggiosa né per gli Stati Uniti, né per il mondo».Charlie Hebdo, Bataclan, Nizza: se qualcuno si domanda perché “il terrorismo” abbia scelto proprio la Francia, come obiettivo, congelando il dibattito politico sotto la pressione dell’emergenza, una risposta la può suggerire “Foreign Affairs”, che parla di “nuova Rivoluzione Francese” in arrivo con Marine Le Pen, l’unico leader in pole position, in un grande paese europeo, con un programma anti-Ue. La principale candidata alla presidenza francese nel 2017, scrive “Voci dall’Estero”, ribadisce la sua visione economica e sociale per la Francia, incentrata sul ritorno alla completa sovranità statale su moneta, frontiere, leggi e indirizzo economico e culturale, in totale antitesi rispetto alla traiettoria della globalizzazione e dell’Unione Europea: «Bisogna dire che ci piacerebbe sentire queste parole anche dalla sinistra, che invece è totalmente arresa al neoliberismo e ormai sulla via dell’estinzione». L’avvocato Marine Le Pen, che ha espulso dal Front National il padre, Jean-Marie, colpevole di aver definito la Shoah «un dettaglio della storia», prenota per la Francia un futuro fondato sul ritorno alla sovranità democratica, fuori dall’euro e dai diktat di Bruxelles.
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Trump ha una pistola alla tempia, soccomberà anche lui?
«Qualunque cosa farà Trump sarà sempre un decimo dei danni che avrebbe potuto fare la Clinton», ma il problema ormai è un altro: riuscirà a resistere alle micidiali pressioni cui è già sottoposto dal super-potere che aveva puntato su Hillary? Il neoeletto deve vedersela con il complesso militare-industriale, i neocon, la Cia, il Pentagono: gente che ha liquidato i Kennedy, che ha messo al guinzaglio Obama, che riportò all’ordine persino Bush, lui pure – all’inizio – isolazionalista quanto Trump. Lo scrisse un neocon di razza come Michael Ledeen: «Quando Bush fu eletto, nel 2000, pensava all’America; poi venne l’11 Settembre e da quel momento capì che doveva continuare a occuparsi del mondo intero». Ledeen lo dice chiaramente, facendo capire che furono loro a fargli cambiare idea. «Oggi non serve neppure più eliminare fisicamente un presidente», spiega Massimo Mazzucco: «In genere bastano gli avvertimenti». Come quello, inequivocabile, che un altro neocon come John Bolton, già ambasciatore Usa all’Onu, ha appena rivolto a Trump: il neopresidente, secondo Bolton, dovrà stare in guardia «contro il terrorismo internazionale e anche il terrorismo interno». Nuovo 11 Settembre in arrivo? O basta la semplice minaccia?«Vedremo quanto Trump saprà resistere a questi “avvertimenti” nemmeno troppo velati», dichiara il regista Massimo Mazzucco, autore di importanti documentari sul maxi-attentato del 2001 che ha cambiato la storia del pianeta, proiettando le guerre americane in ogni continente. Intervenendo a “Border Nights”, trasmissione web-radio condotta da Fabio Frabetti, Mazzucco sostiene che l’elevata vocazione “criminale” di Hillary Clinton rivela la vera natura dei poteri che l’hanno sostenuta, gli stessi che oggi già assediano Trump. La vera colpa della Clinton, agli occhi degli elettori che alla fine si sono rassegnati a votare Trump? «Non solo ha usato il server di casa anziché quello del ministero degli esteri, ma ha anche cancellato 30.000 email per sottrarle all’Fbi, salvo poi andare in televisione a dire, mentendo, di aver messo tutte le email a disposizione delle indagini». Da quelle email, hackerate da Wikileaks, emergono retroscena imbarazzanti: milioni di dollari incamerati dalla Fondazione Clinton in cambio di favori a paesi arabi filo-Isis, concessi da Hillary quando era Segretario di Stato, e in più lo scandalo di Bengasi, con l’uccisione dell’ambasciatore americano, cioè dell’uomo che avrebbe potuto provare il traffico di armi che dalla Libia venivano fatte affluire in Siria, sotto copertura Usa, per rovesciare Assad.Bene per noi europei, se ha vinto Trump: in teoria, avremo meno tensioni e meno guerre. A favore del neoeletto depongono alcuni aspetti rilevanti: «E’ l’unico presidente americano, almeno negli ultimi 50 anni, ad aver vinto una campagna elettorale solamente con i suoi soldi», sottolinea Mazzucco. «Ha speso un centesimo, credo, di quello che ha speso la Clinton, e quindi ha vinto meritatamente, per quello che ha detto». Da qui in poi, però, è possibile che accada di tutto: «Temo che Trump sia talmente inesperto da circordarsi di gente dell’establishment». Sta già accadendo: come capo di gabinetto, posizione fondamentale nel governo americano, Trump ha scelto Reince Priebus, cioè il segretario nazionale del partito repubblicano, «lo stesso partito repubblicano che ha cercato in tutti i modi di far fuori Trump e che adesso cerca di controllarlo attraverso la scelta del suo capo di gabinetto». Altra scelta fondamentale, «passata inosservata ma che si dimosterà molto significativa nel corso del tempo», è il vicepresidente che «gli hanno messo di fianco», Mike Pence: «Non è affatto un governatorino di campagna come sembra, tranquillo e tradizionalista». Al contrario: «E’ un forsennato, feroce, fetente neocon della prima ora».Mike Pence, continua Mazzucco, è l’uomo che nel 2001, subito dopo l’11 Settembre, si occupò di inondare i media con la propaganda del caso-antrace, appena due mesi dopo l’attentato alle Torri. Con “lettere all’antrace” venivano minacciati diversi senatori, «stranamente tutti democratici, e stranamente tutti quelli che chiedevano di fare una commissione senatoriale sull’11 Settembre, che poi infatti non si fece». Fu proprio Pence ad alimentare la teoria che quell’antrace venisse da Saddam Hussein, «perché lui era mandato avanti da neocon come Cheney e Rumsfeld, che avevano bisogno di una scusa per portare la guerra in Iraq». E quando l’Fbi, «in uno strano gesto di onestà», dichiarò che l’antrace non veniva dall’Iraq ma era “scappato” da un laboratorio Usa, lo stesso Pence scrisse una lettera aprerta al ministro giustizia di allora, John Ashcroft, dicendo: “Lo sappiamo tutti che l’antrace è di Saddam”. «Questo – dice Mazzucco – dimostra che Mike Pence non è affatto un tranquillo governatore di campagna, è un mastino da guerra dei neocon. E sono convinto che l’abbiamo messo accanto a Trump proprio per cercare di condizionare la sua politica estera».Donald Trump è davvero isolazionista, «ha capito benissimo che il mondo sta in piedi fin che c’è un equilibrio e ognuno si fa gli affari suoi: Russia, Cina e Stati Uniti. Non si può continuare a andare a invadere dappertutto». Ma se Trump si rivelasse “troppo” isolazionista, cioè non-guerrafondaio, «Mike Pence cercherà sicuramente di condizionare la sua politica estera verso una strategia più aggressiva». Mazzucco è convinto che per Trump sarà durissima: «Se si dimostra sordo nel continuare le strategie imperialistiche in Medio Oriente, o gli sucede qualcosa (e diventa presidente Mike Pence), o comunque in qualche modo riusciranno a convincerlo. Un po’ come convinsero Bush nel 2000, che in campagna elettorale – prima dell’11 Settembre – diceva le stesse cose diTrump: smettere di fare “nation building”, cioè conquistare paesi». Oggi, a preoccupare il Deep State sono i rapporti con Putin: la distensione in programma con Mosca è nelle corde di Trump, a partire dalla Siria: la priorità «non è più abbattere Assad, come voleva Obama, ma abbattere l’Isis, in collaborazione con Putin». Glielo lasceranno fare?Quasi a rassicurare una parte di quei poteri-ombra, Trump lascia capire che – in cambio – abbandonerà i palestinesi al loro destino: ha dichiarato che Gerusalemme sarà proprietà esclusiva di Israele e che gli insediamenti nei Territori Occupati non sono un ostacolo per la pace in Medio Oriente. Un’evidente concessione tattica alla lobby israeliana, che è uno dei poteri schierati con Hillary. Trump sta provando a destreggiarsi, ben sapendo che «difficilmente i veri poteri Usa si rassegneranno a perdere l’egemonia completa sul mondo». Se così fosse, c’è già Bolton a ricordargli che dovrà guardarsi anche dal “terrorismo interno”. La questione è della massima serietà e pericolosità, insiste Mazzucco: «Anche Obama, appena eletto, pensava davvero di potersi ritirare dall’Afghanistan». Forse non sapeva ancora che «le decisioni non le prende il presidente». Ogni mattina, alla Casa Bianca, riceve il briefing del capo dell’Fbi, che lo informa di quello che succede all’interno del paese, e quello del capo della Cia, che gli racconta quello che succede nel resto del mondo. «Quindi è chi controlla quei briefing che, in realtà, fa fare le scelte al presidente».«Se vai da Obama e gli dici: guarda che qui, a meno di mettere 30.000 soldati in più, ci portano via tutto, gli oleodotti, le basi che li controllano e anche le coltivazioni di oppio da cui dipende il traffico mondiale di eroina, che avviene sotto il controllo statunitense, è chiaro che ti trovi un Obama che, dopo aver vinto il Premio Nobel, manda 30.000 soldati in più in Afghanistan a combattere». Ma, appunto, «dipende da quello che gli raccontano i veri poteri», cioè il complesso militare-industriale, il Pentagono, la Cia: «Sono loro che cercheranno di condizionare anche Trump». Aggiunge Mazzucco: «Io al posto di Obama avrei preteso le prove di quanto mi veniva detto, ma è anche vero che le prove si fabbricano in fretta: è facile condizionare un presidente». Non ci riuscirono solo in un caso: quello di Kennedy. Fu «l’ultimo, vero presidente della storia americana». E cercò di smantellare la Cia, «proprio perché aveva capito che era diventato un centro di potere molto più forte della presidenza». Kennedy aveva già avviato lo smantellamento dell’intelligence: «Ha iniziato licenziando il capo della Cia, Allen Dulles, per la storia della Baia dei Porci», lo sgangherato piano per rovesciare Fidel Castro con il disastroso tentativo di invasione di Cuba, affidato a mercenari.Come sappiamo, però, Kennedy «non ha fatto in tempo a finire il lavoro: è stato fatto fuori da un’alleanza tra la Cia e la mafia», ovvero: «La Cia l’ha deciso e la mafia ha fatto l’esecuzione». Curiosamente, aggiunge Mazzucco, nel ruolo più importante della Commissione Warren, incaricata delle indagini ufficiali, il nuovo presidente Lyndon Johnson «ha messo proprio Allen Dulles, cioè l’ex direttore della Cia licenziato da Kennedy». A giudicare chi è fosse stato a uccidere Kennedy misero proprio la principale vittima politica di Kennedy, il “pezzo da novanta” che Jfk era riuscito a far fuori durante la sua presidenza. «I due Kennedy sapevano che sarebbero morti, ma decisero di andare fino in fondo». Due casi più unici che rari: «Non credo ci siano state altre persone così testarde, di fronte agli “avvisi” ricevuti». Bush abbandonò il suo isolazionismo, Obama il suo pacifismo. Di che stoffa è fatto Donald Trump lo vedremo solo adesso. «Visti i precedenti, c’è da temere davvero un attentato “false flag”, un grande “avvertimento” al neopresidente che vorrebbe archiviare la guerra». Ottimismo? In una battuta: forse si può davvero “tifare” per Trump, «se non altro perché non gli hanno ancora dato il Nobel per la Pace».«Qualunque cosa farà Trump sarà sempre un decimo dei danni che avrebbe potuto fare la Clinton», ma il problema ormai è un altro: riuscirà a resistere alle micidiali pressioni cui è già sottoposto dal super-potere che aveva puntato su Hillary? Il neoeletto deve vedersela con il complesso militare-industriale, i neocon, la Cia, il Pentagono: gente che ha liquidato i Kennedy, che ha messo al guinzaglio Obama, che riportò all’ordine persino Bush, lui pure – all’inizio – isolazionalista quanto Trump. Lo scrisse un neocon di razza come Michael Ledeen: «Quando Bush fu eletto, nel 2000, pensava all’America; poi venne l’11 Settembre e da quel momento capì che doveva continuare a occuparsi del mondo intero». Ledeen lo dice chiaramente, facendo capire che furono loro a fargli cambiare idea. «Oggi non serve neppure più eliminare fisicamente un presidente», spiega Massimo Mazzucco: «In genere bastano gli avvertimenti». Come quello, inequivocabile, che un altro neocon come John Bolton, già ambasciatore Usa all’Onu, ha appena rivolto a Trump: il neopresidente, secondo Bolton, dovrà stare in guardia «contro il terrorismo internazionale e anche il terrorismo interno». Nuovo 11 Settembre in arrivo? O basta la semplice minaccia?
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Nuovo 11 Settembre, prima che Trump possa insediarsi?
Nuovo 11 Settembre, se Trump non cede ai neocon? Già all’indomani del voto americano, a lanciare l’allarme è Massimo Mazzucco, autore di clamorosi documentari sugli opachi retroscena degli attentati contro le Twin Towers. Il pericolo, oggi? Evidente: l’oligarchia al potere ha perso la sua pedina di fiducia, Hillary Clinton, ma in compenso può contare su una maggioranza parlamentare “bulgara” dei repubblicani, tra cui si annidano molti insidiosi neocon, mentre Obama è sulla via del congedo e Donald Trump non controlla ancora le leve del comando. Due mesi ad alto rischio, per Mazzucco, da qui all’insediamento ufficiale, il 20 gennaio 2017. Riuscirà ad arrivarci, Trump? O invece la situazione precipiterà del caos, grazie all’ennesimo “provvidenziale” maxi-attentato, destinato a rimettere in sella gli uomini del potere-ombra che controlla e manipola la sicurezza? La minaccia è reale, insiste Mazzucco, anche perché il Deep State – Washington e Wall Street, Pentagono e intelligence – ha capito inequivocabilmente che l’americano medio è in rivolta: votando Trump e licenziando Hillary, ha voluto bocciare i santuari del potere imperiale, militare e finanziario.«Quando vinse Barack Obama scrivemmo che il segnale primario di quell’elezione era che l’America fosse finalmente pronta ad eleggere un nero alla Casa Bianca», ricorda Mazzucco sul blog “Luogo Comune”. Sembrava «un grande passo evolutivo, nella breve storia di questa nazione, indipendentemente da ciò che poi il nuovo presidente sarebbe o non sarebbe riuscito a fare». Otto anni dopo, la situazione è perfettamente speculare: «La vittoria odierna di Trump può essere letta con gli stessi parametri: ci dice sostanzialmente che l’America di oggi si ribella ad un sistema politico ormai palesemente marcio, indipendentemente da quello che poi farà o non farà Donald Trump dall’ufficio ovale della Casa Bianca». Quella di oggi, infatti, «non è tanto una vittoria di Trump, quanto piuttosto la sconfitta di un enorme apparato di gestione del potere, il cui strumento principale sono in media asserviti, e il cui scopo ultimo è quello di permettere ad una oligarchia di controllare un’intera nazione tramite il velo ingannevole della “democrazia”». Tutto questo «sembra vacillare di fronte ad una reazione di tipo istintivo e irrazionale nella parte più “ignorante”», il famoso “contadino dell’Oklahoma”, «che ha capito con la pancia che il sistema lo stava ingannando, e sempre con la pancia ha scelto di combatterlo con l’unica arma che aveva a disposizione: il candidato “antisistema”».Questo risultato travolgente, continua Mazzucco, è stato paradossalmente aiutato da una candidata, Hillary Clinton, che «è riuscita a concentrare sulla propria persona tutto il peggio dell’attuale sistema politico: corruzione, arroganza, prevaricazione, menzogna reiterata, prepotenza e collusione», il tutto «perpetrato pacchianamente alla luce del sole». Chiarita la psicologia dell’elettore, resta oscura l’altra faccia dell’America: già si sapeva che, nel caso di una vittoria di Trump, «il sistema politico si sarebbe immediatamente messo in moto per cercare di metabolizzalo e farlo diventare uno di loro. Già ci sono riusciti in parte, mettendogli accanto il fintamente pacato Mike Pence». E se questo non dovesse bastare, aggiunge Mazzucco, «potete stare certi che entro pochi mesi (e probabilmente prima ancora dell’insediamento effettivo del 20 gennaio) l’America si troverà a fronteggiare un evento di tipo “terroristico” molto simile a quello dell’11 Settembre». Per eventuali “golpisti”, infatti, l’occasione sembra favorevole: abbiamo davanti «due mesi di assoluto vuoto politico».Da qui in avanti, «Obama non ha più nemmeno l’autorità per incollare un francobollo, mentre lo stesso Parlamento si prepara a cedere la maggioranza assoluta al partito repubblicano». E con una “supermajority” come questa, c’è poco da scherzare: i repubblicani controllano contemporaneamente la presidenza e i due bracci del Parlamento, quindi possono far passare speditamente tutte le leggi che vogliono, senza dover temere una reale resistenza da parte dell’opposizione. «Non saranno certo i neoconservatori del complesso militare-industriale a farsi sfuggire l’occasione per lanciare definitivamente il loro sogno di “nuovo secolo americano” già dall’alba del 21 di gennaio prossimo». Gli uomini del Pnac, il disegno di supremazia imperiale a suon di bombe, emersero attorno a George W. Bush – Paul Wolfowitz, Donald Rumsfeld, Condoleezza Rice, Dick Cheney – ma non sono affatto scomparsi. «Teneteli d’occhio da vicino, i vari Bolton, Cheney, Rowe e tutti gli altri della vecchia guardia neocons, perchè qualunque cosa esca dalle loro bocche nelle prossime ore – profetizza Mazzucco – sarà destinato ad avverarsi, probabilmente in tempi molto brevi».Nuovo 11 Settembre, se Trump non cede ai neocon? Già all’indomani del voto americano, a lanciare l’allarme è Massimo Mazzucco, autore di clamorosi documentari sugli opachi retroscena degli attentati contro le Twin Towers. Il pericolo, oggi? Evidente: l’oligarchia al potere ha perso la sua pedina di fiducia, Hillary Clinton, ma in compenso può contare su una maggioranza parlamentare “bulgara” dei repubblicani, tra cui si annidano molti insidiosi neocon, mentre Obama è sulla via del congedo e Donald Trump non controlla ancora le leve del comando. Due mesi ad alto rischio, per Mazzucco, da qui all’insediamento ufficiale, il 20 gennaio 2017. Riuscirà ad arrivarci, Trump? O invece la situazione precipiterà del caos, grazie all’ennesimo “provvidenziale” maxi-attentato, destinato a rimettere in sella gli uomini del potere-ombra che controlla e manipola la sicurezza? La minaccia è reale, insiste Mazzucco, anche perché il Deep State – Washington e Wall Street, Pentagono e intelligence – ha capito inequivocabilmente che l’americano medio è in rivolta: votando Trump e licenziando Hillary, ha voluto bocciare i santuari del potere imperiale, militare e finanziario.
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Proteste al soldo dell’1%, per deporre Trump (o ucciderlo)
Delegittimare Trump serve a indebolirlo, per poi magari arrivare a ucciderlo. Milioni di americani in piazza contro di lui? Non capiscono il pericolo che corrono: sono manipolati da organizzazioni criminali, le stesse che hanno organizzato il golpe in Ucraina pagando manifestanti (anche non ucraini) per abbattere il governo regolarmente eletto. I “progressisti” che contestano la vittoria di Trump, firmando la petizione eversiva di “Change.org” che chiede ai grandi elettori di scippare il risultato elettorale facendo eleggere Hillary presidente? Sono gli stessi che, ieri, condannavano Trump quando disse che non avrebbe accettato un verdetto elettorale a lui contrario, se fossero emersi sospetti di irregolarità. Quello che non comprendono, i manifestanti anti-Trump, è che stanno lavorando per l’oligarchia, per il famigerato 1% che aveva imposto Hillary come unica scelta possibile, con il concorso criminoso di tutti i grandi media. Questi i ragionamenti che un analista di primo piano come Paul Craig Roberts propone, di fronte alle clamorose agitazioni post-elettorali. Roberts cita il sociologo progressista Arthur Schlesinger Jr., che avvertiva: tutti i grandi scossoni «provocano sempre rabbia da parte di chi traeva profitto dal vecchio ordine». E Marx chiariva: nessuna rivoluzione ha successo, se la vecchia classe dirigente resta al suo posto.Per Craig Roberts, la colossale manipolazione in corso per tentare di “scippare” a Trump la vittoria è pericolosa, perché mina la tenuta democratica degli Stati Uniti – paese su cui pesano ombre gigantesche, dal coinvolgimento di settori dell’intelligence negli omicidi eccellenti della storia (i Kennedy, Martin Luther King) alle “inspiegabili” falle nella sicurezza in occasione di tutti i grandi attentati, dall’11 Settembre in poi. Tradotto: Donald Trump – chiunque sia davvero, politicamente – non può non sapere di essere in serio pericolo: potrebbe essere travolto dalle proteste o ricattato dagli organizzatori della “rivolta”, affinché accetti di “prendere a bordo” gli uomini-chiave di Hillary. E’ per loro, in ogni caso, che i manifestanti anti-Trump lavorano: alla guida della rivolta ci sono «teppisti prezzolati, pagati dall’oligarchia», proprio come «Washington e il German Marshall Fund pagarono gli studenti di Kiev per contestare il governo ucraino democraticamente eletto al fine di preparare il colpo di Stato». L’organizzazione “Change.org”, secondo Craig Roberts «sta distruggendo la reputazione di tutti i progressisti facendo circolare una petizione per chiedere all’Electoral College di annullare le elezioni».Tutto già visto nel 2014 a Kiev, dove «la paga era abbastanza buona da attirare persone che non erano nemmeno ucraine ma erano pagate per protestare come se lo fossero». Ci risiamo? Per la “Cnn”, moltissimi americani rifiutano di accettare la vittoria di Trump, e così hanno riempito le strade in non meno di 25 città statunitensi, dall’oggi al domani. «Spero che nessuno creda veramente che proteste simultanee in 25 città siano un evento spontaneo», sottolinea Craig Roberts nel suo blog, in un post ripreso da “Megachip”. «Gli stessi slogan e gli stessi simboli, la notte stessa dopo le elezioni? Quali interessi stanno servendo? E, come sempre si chiedevano gli antichi romani, “cui prodest”? C’è solo una risposta: l’oligarchia e solo l’oligarchia ne trae beneficio». La lettura di Roberts: «Trump è una minaccia per l’oligarchia, perché intende fermare la svendita all’estero dei posti di lavoro americani. Questa svendita, santificata come “libero mercato” dagli economisti-spazzatura neoliberisti, è una delle ragioni principali del peggioramento nel XXI secolo della distribuzione del reddito negli Usa».In altre parole, «i soldi che erano pagati come salario e stipendi per la classe media a impiegati dell’industria manifatturiera americana e ai diplomati, sono stati dirottati nelle tasche dell’Uno Percento. Quando le corporation americane spostano la loro produzione di merci e servizi venduti agli americani, nei paesi asiatici come la Cina e l’India, il loro costo in stipendi crolla. I soldi prima pagati come reddito per la classe media diventano invece bonus per gli executive, dividendi e profitti sui capitali per gli azionisti». Risultato: «La scala per la mobilità verso l’alto che ha fatto dell’America la terra delle opportunità è stata smantellata per il solo obiettivo di rendere multimiliardaria una manciata di persone». Inotre, Trump è «una minaccia per l’oligarchia», anche perché «vuole relazioni pacifiche con la Russia». Tutto si spiega: «Per rimpiazzare la tanto profittevole “minaccia sovietica”, l’oligarchia e i loro agenti neocon hanno lavorato incessantemente per creare la “minaccia russa” demonizzando la Russia». Craig Roberts sa di cosa parla: era al governo con Reagan, di cui è stato viceministro del Tesoro. «Abituato a molti decenni di profitti in eccesso dalla profittevole Guerra Fredda, il complesso militare-securitario si arrabbiò quando il presidente Reagan mise fine alla Guerra Fredda. Prima che queste idrovore di contribuenti americani riuscissero a prolungare la Guerra Fredda, l’Unione Sovietica collassò come risultato del colpo di Stato della destra contro il presidente sovietico Mikhail Gorbaciov».Al che, continua Craig Roberts, «il complesso militare-securitario e i suoi agenti neocon e sionisti cucinarono allora la “guerra al terrore” per continuare a far fluire i soldi all’Uno Percento. Ma per quanto duramente lavorassero i media “presstitute” per creare la paura del “pericolo musulmano”, persino gli americani indifferenti sapevano che i musulmani non possiedono migliaia di missili intercontinentali con testate termonucleari capaci di distruggere gli interi Stati Uniti in pochi minuti». Non ce l’avevano, i musulmani, «l’Armata Rossa capace di invadere l’Europa in un paio di giorni». Di fatto, i musulmani non avevano neppure bisogno di armate: «I rifugiati dalle guerre scatenate da Washington stanno invadendo l’Europa». Caduta l’Urss, comunque, «la scusa per il trilione di dollari annuale per il complesso militare-industriale non c’era più. Così l’oligarchia creò il “nuovo Hitler” in Russia. Hillary fu il principale agente dell’oligarchia per surriscaldare la nuova Guerra Fredda. Hillary è lo strumento, arricchito dall’oligarchia, il cui lavoro da presidente sarebbe stato quello di proteggere e aumentare il budget da un trilione di dollari al complesso militare-securitario. Con Hillary alla Casa Bianca, il saccheggio dei contribuenti americani, in nome dell’opulenza dell’Uno Percento, sarebbe andato avanti senza ostacoli. Ma se Trump mette fine alla “minaccia russa”, la rendita dell’oligarchia si prende un bel colpo».Inoltre, le proteste contro Trump sono sospette anche per un altro motivo: «Al contrario di Hillary, Obama e George W. Bush, Donald Trump non ha fatto a pezzi e disperso milioni di persone in sette nazioni, mandando milioni di rifugiati delle guerre dell’oligarchia a invadere l’Europa». Trump ha fatto fortuna «senza vendere l’influenza del governo degli Usa ad agenti stranieri, come invece hanno fatto Bill e Hillary». E allora, perché stanno protestando i contestatori? «Sono stati ingaggiati per protestare. Così come i contestatori di Maidan a Kiev erano ingaggiati per protestare dalle Ong finanziate dagli Usa e dalla Germania». In Ucraina, gli Usa riuscirono a infiltrare i loro agenti nel nuovo governo ucraino, così come ha confermato Victoria Nuland, una neocon piazzata al Dipartimento di Stato da Hillary Clinton col proposito di creare un conflitto con la Russia. Dunque, conclude Paul Craig Roberts, l’esplosione della protesta anti-Trump dimostra che l’oligarchia lo teme davvero, anche se «alcuni pensano che Trump sia uno stratagemma dell’oligarchia». Non ha senso: visto l’investimento su Hillary, per gli oligarchi era preferibile «vincere con la propria piattaforma», anziché «installare un presidente con una piattaforma opposta e poi cercare di rivoltarselo», anche perché «un’altra svendita aumenterebbe la rabbia del popolo».La dura verità, però, è che «Trump ha vinto la presidenza, ma l’oligarchia è ancora al potere», e questo «rende difficile ogni riforma». Aggiunge Craig Roberts: Marx comprese dall’esperienza storica un drammatico insegnamento che poi Lenin e Stalin impararono da lui. E cioè: «Il cambiamento non può avere successo se la classe dirigente scalzata è lasciata intatta dopo una rivoluzione contro di essa». Lo dimostra il Sud America: «Ogni rivoluzione degli indigeni ha lasciato senza fastidi la classe dirigente, e ogni rivoluzione è stata sconfitta dalla collusione tra la classe dirigente e Washington», che «ha cospirato con le élite tradizionali per rimuovere i presidenti eletti», come accaduto in Honduras «moltissime volte». Di recente, Washington «ha aiutato le élite a rimuovere le presidentesse dell’Argentina e del Brasile». I presidenti del Venezuela, dell’Ecuador e della Bolivia «sono a mezz’aria e probabilmente non sopravvivranno». In più, l’oligarchia «è determinata a mettere le mani su Julian Assange», il fondatore di Wikileaks. «A tal fine Washington intende abbattere il governo dell’Ecuador che, a scorno di Washington, ha dato a Julian Assange asilo politico». Ancora più cruento lo scontro in Venezuela, dove – secondo Craig Roberts – il presidente socialista Hugo Chavez è stato addirittura assassinato. Il suo errore? Aver graziato i golpisti che avevano cospirato contro di lui.«Secondo Marx, Lenin e Stalin, questo è il classico errore per un rivoluzionario: contare sulla buona volontà da parte della classe dirigente scalzata è il modo più sicuro per lasciar sconfiggere la rivoluzione». Secondo Craig Roberts, l’America Latina si è dimostrata incapace di capire questa lezione: le rivoluzioni non possono essere concilianti. Donald Trump? «E’ un uomo d’affari. L’oligarchia gli può permettere l’aura del successo in cambio di nessun cambiamento reale». Intendiamoci: «Trump non è perfetto. Potrebbe fallire da solo. Ma noi lo sosterremo sui suoi due punti del suo programma più importanti: ridurre le tensioni tra le due maggiori potenze nucleari e bloccare la politica di Washington che permette al globalismo di distruggere le prospettive economiche degli americani», insiste Craig Roberts. «La combinazione di un’economia svuotata dal globalismo ed immigrazione è un incubo. Che Trump lo abbia capito è una ragione per sostenerlo». E per temere per la sua incolumità: «Una volta che il presidente Trump sarà delegittimato, sarà facile per l’oligarchia assassinarlo, a meno che l’oligarchia possa nominare e controllare il suo governo». Per ora, comunque, «Trump è il primo candidato per un assassinio».Delegittimare Trump serve a indebolirlo, per poi magari arrivare a ucciderlo. Decine di migliaia di americani in piazza contro di lui? Non capiscono il pericolo che corrono: sono manipolati da organizzazioni criminali, le stesse che hanno organizzato il golpe in Ucraina pagando manifestanti (anche non ucraini) per abbattere il governo regolarmente eletto. I “progressisti” che contestano la vittoria di Trump, firmando la petizione eversiva di “Change.org” che chiede ai grandi elettori di scippare il risultato elettorale facendo eleggere Hillary presidente? Sono gli stessi che, ieri, condannavano Trump quando disse che non avrebbe accettato un verdetto elettorale a lui contrario, se fossero emersi sospetti di irregolarità. Quello che non comprendono, i manifestanti anti-Trump, è che stanno lavorando per l’oligarchia, per il famigerato 1% che aveva imposto Hillary come unica scelta possibile, con il concorso criminoso di tutti i grandi media. Questi i ragionamenti che un analista di primo piano come Paul Craig Roberts propone, di fronte alle clamorose agitazioni post-elettorali. Roberts cita il sociologo progressista Arthur Schlesinger Jr., che avvertiva: tutti i grandi scossoni «provocano sempre rabbia da parte di chi traeva profitto dal vecchio ordine». E Marx chiariva: nessuna rivoluzione ha successo, se la vecchia classe dirigente resta al suo posto.
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Si goda Trump, l’infame sinistra che ha tradito il popolo
«Sinistre infami», che per “progresso politically correct” intendono «la demolizione di ogni sovranità per accumulare fortune immani sull’economia speculativa». E l’economia reale? «Marcisca assieme a milioni di sfigati che non leggono il “New Yorker”, la “London Review of Books”, o “Micromega” e “Repubblica”». E adesso “godetevi” Donald Trump, dice Paolo Barnard, che avverte: «Non abbiamo ancora visto niente». Trump in realtà «iniziò a vincere» già 16 anni fa, nel 2000. Il giornalista, all’epoca impegnato a “Report”, lo disse: «Stiamo portando masse immense dritte nelle mani delle destre estreme». Era a West Miffling, «uno dei miserabili ruderi dell’ex potenza dell’acciaio Usa, parte della tragica “Rust Belt”, la cintura della ruggine che prende dentro tutta la Pennsylvania e parte dell’Ohio ma praticamente tutto il centro d’America, così chiamata perché proprio a partire da Bush Senior, e terribilmente con Bill Clinton, il cuore industriale americano fu lasciato a marcire con milioni di licenziati, esodati, tutti i cosiddetti colletti blu. Gli impieghi andavano in Cina. Vidi letteralmente intere cittadine abbandonate ai rovi con le porte delle case o negozi deserti chiusi con assi di legno inchiodate».Filmò tutto per “Report”, Barnard. La mid-class si domandava cosa mai volessero quei “bifolchi” che «ancora pretendevano un salario quando i miliardi si potevano fare a Wall Street, nella Silicon Valley e con Google». E quindi «che crepassero, a milioni, pensò l’America “educated e politcally correct” di New York e di San Francisco, cioè i Democratici e parte dei Repubblicani ‘Liberal’». Il reportage per la Gabanelli, scrive Barnard nel suo blog, includeva una manifestazione a Pittsburgh dove migliaia di anziani marciavano con il trespolo della flebo attaccata al braccio e i cartelli “O la cena, o le cure”. «Ma che cazzo volevano ’sti bifolchi che ancora pretendevano la sanità pubblica quando bastava una polizza per avere tutto? Non l’avevano? Incapaci e falliti loro, pensò l’America “educated e politcally correct” di New York e San Francisco. Poco importa se la sanità ObamaCare ha strafallito dopo aver regalato 70 miliardi di dollari alle assicurazioni. Poco importa se il manifatturiero Usa cerca oggi 3,5 milioni di lavoratori che nessuno ha mai istruito. Sapete, i ragazzi dovevano studiare economics, servizi… non essere bifolchi colletti blu».Dall’America all’Europa: Halikidiki, un villaggio nell’est greco, appena a sud di Macedonia e Bulgaria. «Fu dopo il Trattato di Maastrich e col progressivo allargamento a est della Ue che in Grecia iniziarono a piovere orde di lavoratori dell’est europeo, gente disperata per una cena e che di regola forniva la stessa manodopera di un greco al 40% in meno», racconta Barnard. «L’imbianchino di Halkidiki che incontrai, Sakis Martini, non aveva mai avuto un problema prima. Casetta, soldi, auto, e tanto lavoro. Quando l’incontrai io, aveva subito un crollo di commesse tragico». Si era ridotto a tornare alla pesca notturna per racimolare due soldi in più. «Sono albanesi, macedoni, e chissà da dove», gli disse, «ci stanno fottendo la vita». Ma a Bruxelles «una scrollata di spalle dei colletti bianchi calciava in un angolo il bifolco greco che non capiva l’illuminante destino di una Grande Unione Europea in espansione!». Stessa amarezza per il signor Elio, un pomeriggio del 2000. «Se ne stava passeggiando, mani dietro la schiena, alla periferia di Bologna, quando un cane lupo lo aggredisce. Il cane apparteneva a un campo nomadi, i rom, specie protetta dall’Unesco». Quando il malcapitato protestò coi rom, fu preso a spintoni. Si rivolse alla polizia, ma l’agente gli disse: «Non posso farci nulla. Se li tocco, quelli denunciano me». Scrisse al “Resto del Carlino” una lettera di protesta, «e gli fu risposto dall’illuminata sinistra degli allora Democratici di Sinistra che era un razzista. Tornò a casa, nero di livore, a 76 anni e con una gamba zoppa».Una sera, continua Barnard, si trovava a una cena in un salotto buono «della sinistra Pds, Ds poi Pd», in compagnia di insegnanti, psicologi, politologi. Si mise a urlare: «Questa truffa delle nuove sinistre intellettual-elitarie, voi colletti bianchi sinistra snob, politcally correct e soprattutto servi della nuova finanza mondiale, porterà milioni di occidentali a buttarsi alla destra di Gianfranco Fini o di Bush, e saranno cazzi, stolti!». Dice oggi Barnard: «Donald J. Trump ha vinto esattamente per questo. L’Europa, dalla Le Pen alla Lega, da Alba Dorata in Grecia a Hofer in Austria a Farage in Inghilterra, segue e seguirà. Lo urlai 16 anni or sono».Il “New York Times” ha un grafico oggi che fa impressione, continua Barnard. C’è una mappa bianca con solo i confini degli Stati Usa, coperta da uno sciame di micro-freccette rosse che indicano lo spostamento dei colletti blu verso Trump. «Lo sciame diventa un’invasione di locuste precisamente sopra Pittsburgh, la Pennsylvania, ma anche a ovest e a est lungo tutto la “Rust Belt”. Questo, 16 anni dopo il mio stare in piedi su quel ponte arrugginito a guardare una devastazione sociale che denunciai».Nel tritacarne, osserva Barnard, sono finite anche le classi medie americane, che vedono i loro redditi in termini reali stagnanti addirittura dal 1972, epoca Nixon. «Gente che si trovò a milioni a dormire in tenda dopo la crisi dei subprime, mentre Obama sborsava 13.000 miliardi di dollari per salvare le banche. Una classe media che oggi paga dal 4 al 12% in più su polizze sanità che non coprono neppure un diabete serio. Ci sono anche loro fra i dimenticati dal Dio Sinistra finanziaria politically correct. Ci sono anche loro fra i Trump boys». E’ semplicissimo: «La trasmutazione delle sinistre, sia europee che americane, in arroganti fighetti intellettualoidi snob, politically correct “sons of a bitch”, ’ste sinistre totalmente vendute alla nuova era della finanza speculativa, nemici giurati di qualsiasi economia reale di salari, pensioni, scuole, sanità». Questa «trasmutazione infame delle sinistre», accusa Barnard, «ha tradito per 30 anni centinaia di milioni di persone. Le ha lasciate a marcire, le ha lasciate a gridare proteste a cui veniva risposto dal New Labour di Tony Blair, dai socialisti di Mitterrand in poi, dall’infame Pds-Pd-Unipol, Monte dei Paschi-Lista Tsipras, dai Democratici Usa sopra ogni altro, cioè dalle sinistre intellettual-elitarie, colletti bianchi snob politically correct, e soprattutto servi della nuova finanza mondiale».«Sinistre infami», che per “progresso politically correct” intendono «la demolizione di ogni sovranità per accumulare fortune immani sull’economia speculativa». E l’economia reale? «Marcisca assieme a milioni di sfigati che non leggono il “New Yorker”, la “London Review of Books”, o “Micromega” e “Repubblica”». E adesso “godetevi” Donald Trump, dice Paolo Barnard, che avverte: «Non abbiamo ancora visto niente». Trump in realtà «iniziò a vincere» già 16 anni fa, nel 2000. Il giornalista, all’epoca impegnato a “Report”, lo disse: «Stiamo portando masse immense dritte nelle mani delle destre estreme». Era a West Miffling, «uno dei miserabili ruderi dell’ex potenza dell’acciaio Usa, parte della tragica “Rust Belt”, la cintura della ruggine che prende dentro tutta la Pennsylvania e parte dell’Ohio ma praticamente tutto il centro d’America, così chiamata perché proprio a partire da Bush Senior, e terribilmente con Bill Clinton, il cuore industriale americano fu lasciato a marcire con milioni di licenziati, esodati, tutti i cosiddetti colletti blu. Gli impieghi andavano in Cina. Vidi letteralmente intere cittadine abbandonate ai rovi con le porte delle case o negozi deserti chiusi con assi di legno inchiodate».
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Craig Roberts: primarie truccate, le aveva vinte Sanders
«Hillary Clinton? Mai s’era visto un candidato peggiore, nell’intera storia delle elezioni presidenziali degli Stati Uniti». E il peggio è che non avrebbe neppure dovuto contendere la Casa Bianca a Donald Trump: «Ci sono le prove che in realtà lei avesse perso le primarie, che erano state vinte da Bernie Sanders. Ma poi l’establishment democratico si è rifiutato di accettare la sua vittoria, perché Sanders è contro l’establishment». Parola di Paul Craig Roberts, economista e analista politico, già viceministro di Reagan e editorialista del “Wall Street Journal”. Dichiarazioni nettissime, le sue, rilasciate – a scrutinio non ancora concluso – a Glauco Benigni, che l’ha intervistato nel corso della lunghissima diretta streaming organizzata da “Pandora Tv” durante l’election-night. Inutile che oggi tutti si strappino i capelli, da Obama al “New York Times” che ammette di aver «perso il contatto con la realtà», dando vincente “obbligatoria” la signora Clinton. Hillary non avrebbe nemmeno dovuto essere in gara, insiste Craig Roberts: al suo posto, contro Trump, ci doveva essere il socialista Sanders, che tanto entusiasmo aveva infatti suscitato durante le primarie.Hillary? Era «espressione degli oligarchi al potere e del complesso militare-industriale legato a Wall Street», ma anche «della lobby israeliana, del business militare e del comparto energetico estrattivo», ricorda Craig Roberts. Enorme la differenza rispetto a Donald Trump, che «non è stato selezionato dall’establishment, ma dalla popolazione stessa». Come si è arrivati ad avere un candidato come la Clinton? «Era il candidato della classe dominante, che l’ha messa lì», anche a costo di “truccare” le primarie democratiche. Quanto alle fantomatiche “interferenze russe”, a parlarne «è stata solo la propaganda filo-Clinton». Disinformazione costruita ad arte, continua Craig Roberts, «per coprire lo scandalo delle email di Hillary, da cui emerge sostanzialmente che la Clinton è una criminale», a partire dai fondi incassati sottobanco dalla Fondazione Clinton da parte di soggetti di mezzo mondo interessati a ottenere il favore degli Usa, quando Hillary era segretario di Stato.Lo staff Clinton, aggiunge Craig Roberts, «ha quindi voluto spostare l’attenzione sui russi, e negli ultimi due anni la classe dirigente americana ha voluto ricreare un clima da guerra fredda, con la sequela di accuse e minacce contro la Russia e il suo presidente. Tutto ciò è molto pericoloso». Ora, Trump potrà dialogare con le altre potenze nucleari mondiali: «E’ il politico americano – anzi, lo è diventato – che ha detto che non vuole problemi con la Russia. E ha detto che non vuole problemi nemmeno con la Nato». Chiuderà le orrende “guerre americane” nel mondo, in cui gli Usa sono coinvolti? Craig Roberts è convinto di sì, perché Trump «è un uomo d’affari ma non è coinvolto nell’industria delle armi e in quella della sicurezza. E crede che non ci sia ragione di buttare un trilione di dollari in questioni militari e di sicurezza. Tanto più che gli Usa non hanno nemici, a parte quelli che si sono creati da soli, con i bombardamenti sulle popolazioni civili e le accuse folli contro la Russia e la Cina». Trump ritiene che tutto ciò sia stupido, conclude Craig Roberts, e che sia il caso di fermare questa pericolosa deriva bellicista.«Hillary Clinton? Mai s’era visto un candidato peggiore, nell’intera storia delle elezioni presidenziali degli Stati Uniti». E il bello è che non avrebbe neppure dovuto contendere la Casa Bianca a Donald Trump: «Ci sono le prove che in realtà lei avesse perso le primarie, che erano state vinte da Bernie Sanders. Ma poi l’establishment democratico si è rifiutato di accettare la sua vittoria, perché Sanders è contro l’establishment». Parola di Paul Craig Roberts, economista e analista politico, già viceministro di Reagan e editorialista del “Wall Street Journal”. Dichiarazioni nettissime, le sue, rilasciate – a scrutinio non ancora concluso – a Glauco Benigni, che l’ha intervistato nel corso della lunghissima diretta streaming organizzata da “Pandora Tv” durante l’election-night. Inutile che oggi tutti si strappino i capelli, da Obama al “New York Times” che ammette di aver «perso il contatto con la realtà», dando vincente “obbligatoria” la signora Clinton. Hillary non avrebbe nemmeno dovuto essere in gara, insiste Craig Roberts: al suo posto, contro Trump, ci doveva essere il socialista Sanders, che tanto entusiasmo aveva infatti suscitato durante le primarie.
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Foa: solo i media si stupiscono della rivolta contro l’élite
«E’ troppo presto per dire che Trump sarà un pessimo presidente, così come era stato troppo presto affermare, otto anni fa, che Obama sarebbe stato un grande presidente. Lasciamoci sorprendere». Parola di Marcello Foa, uno dei pochissimi grandi osservatori italiani a potersi dichiarare nient’affatto stupito dalla clamorosa vittoria di Donald Trump. Un uomo, dice, da cui teoricamente l’Europa potrebbe aspettarsi solo vantaggi. Uno su tutti: la fine delle tensioni con la Russia, pericolose e per noi costosissime. L’establishment è nel panico? Anche qui, nessuna sorpresa: «I media sono i grandi sconfitti di queste elezioni, perché ancora una volta non avevano previsto nulla», dichiara Foa sulla sua pagina Facebook poco dopo l’ufficializzazione della vittoria di Trump. «Bastava andava a vedere l’andamento della campagna elettorale sui siti Internet e sui social media, osservando quanta gente andava ai comizi di Trump e quanta poca gente andava ai comizi di Hillary: appariva chiaro che in America c’era un malessere profondo, che aspettava solo l’occasione giusta per esplodere e per manifestarsi». Attenzione: «E’ lo stesso malessere che aveva indotto la maggior parte degli americani, otto anni fa, a dare fiducia a Barack Obama, quando prometteva speranza e cambiamento».Come sappiamo, «Obama non è stato all’altezza dell’aspettativa e ha prolungato le campagne politiche di Clinton e Bush. E questo ha deluso profondamente gli americani, impoverendo la classe media, la quale oggi ha dato fiducia all’unica persona che ha saputo capire le sue paure: Donald Trump». E’ un personaggio ideale? «La risposta ovviamente è no, perché – in un mondo normale – un personaggio come Trump», magari anche «simpatico» però «eccentrico, totalmente fuori dagli schemi, quasi clownesco» non avrebbe mai avuto la possibilità di diventare presidente. «Però, se lo è diventato, la colpa è fondamentalmente delle élite che hanno governato gli Stati Uniti, che sono diventate troppo autoreferenziali: non capiscono i problemi della popolazione normale, della gente, delle piccole e medie industrie». Le oligarchie di potere, continua Foa, «hanno rovinato il tessuto sociale degli Stati Uniti». Quello dato a Trump «è un voto contro la globalizzazione, contro l’anteporre interessi troppo ristretti rispetto a quelli della maggioranza – e questo è il segnale che è uscito anche dalla Brexit. Di certo, gli americani si sono riappropriati della loro democrazia».Il corollario è consueto: paura, allarme. «Il dollaro crolla, le Borse crolleranno, è uno scenario già visto altre volte – l’abbiamo visto con la Brexit». Dobbiamo dedurne che Trump sarà un cattivo presidente? Niente affatto, sostiene Foa: «La storia insegna che le oscillazioni dei mercati finanziari vanno prese per quello che sono, movimenti a corto termine. Quel che per noi è importante capire, invece, è quale sarà il programma di Donald Trump e quale sarà la sua squadra». In politica estera, «paradossalmente Trump è più rassicurante, meno pericoloso di quanto sarebbe stata Hillary Clinton, se fosse stata eletta alla Casa Bianca, perché Trump propone una distensione con la Russia e vede un ruolo dell’America meno aggressivo e meno destabilizzante di quanto sia stato fino ad oggi». E questo, aggiunge Foa, «per noi europei è perlomeno un’aspettativa senz’altro positiva: abbiamo bisogno di stabilità e distensione col nostro più grande vicino, che è la Russia».L’incognita principale è proprio la squadra del neopresidente: «Oggi non sappiamo chi siano gli uomini dietro a Trump, non sappiamo neanche se si sia costruito una squadra con sé». Questo sarà il grande tema dei prossimi due mesi, ovvero il tempo che ci separa dal momento in cui Trump verrà insediato ufficialmente alla Casa Bianca. Dobbiamo essere preoccupati? «Be’, in una certa misura sì: quando non si sa qual è la squadra, ovviamente c’è da farsi qualche domanda. Però, tradizionalmente, quando personaggi eccentrici e imprevedibili come Donald Trump arrivano al potere, di solito l’effetto è opposto a quello che la maggior parte dei media si aspetta». Ovvero: «Quando sei nella stanza dei bottoni, appena ti rendi conto di quanto potere hai, e che governare un grande paese democratico come gli Stati Uniti significa rispettare i “check and balances” e il rapporto col Congresso, di solito l’effetto è calmante, moderatore». Magari «tenterà alcune riforme», ma per diversi mesi, profetizza Foa, il neopresidente «risulterà più moderato e rassicurante di quanto non sia stato in campagna elettorale, dove come sappiamo si tende a esagerare». Aspettiamo e vediamo, conclude Foa. E soprattutto: non affrettiamo giudizi sbagliati, come fu per Obama.«E’ troppo presto per dire che Trump sarà un pessimo presidente, così come era stato troppo presto affermare, otto anni fa, che Obama sarebbe stato un grande presidente. Lasciamoci sorprendere». Parola di Marcello Foa, uno dei pochissimi grandi osservatori italiani a potersi dichiarare nient’affatto stupito dalla clamorosa vittoria di Donald Trump. Un uomo, dice, da cui teoricamente l’Europa potrebbe aspettarsi solo vantaggi. Uno su tutti: la fine delle tensioni con la Russia, pericolose e per noi costosissime. L’establishment è nel panico? Anche qui, nessuna sorpresa: «I media sono i grandi sconfitti di queste elezioni, perché ancora una volta non avevano previsto nulla», dichiara Foa sulla sua pagina Facebook poco dopo l’ufficializzazione della vittoria di Trump. «Bastava andava a vedere l’andamento della campagna elettorale sui siti Internet e sui social media, osservando quanta gente andava ai comizi di Trump e quanta poca gente andava ai comizi di Hillary: appariva chiaro che in America c’era un malessere profondo, che aspettava solo l’occasione giusta per esplodere e per manifestarsi». Attenzione: «E’ lo stesso malessere che aveva indotto la maggior parte degli americani, otto anni fa, a dare fiducia a Barack Obama, quando prometteva speranza e cambiamento».
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Media bugiardi, rottamati dal voto degli americani
Puoi imbrogliare qualcuno una volta, ma non puoi fregare sempre tutti. Un vecchio adagio, su cui ora sorride, imperscrutabile e beffarda, la parrucca dell’impresentabile Donald Trump, incidentalmente eletto presidente degli Stati Uniti d’America proprio il 9 novembre, anniversario del crollo del Muro di Berlino. L’uomo che tra stracciato la terribile Hillary, che ha reso patetica l’ultima recita di Obama, e che – soprattutto – ha smascherato la cialtroneria universale dei media mainstream, dalla “Cnn” al “New York Times”, tutti schierati – in modo plumbeo, come in un regime totalitario – con la signora Clinton. E’ uno smacco che getta nel ridicolo giornalisti, anchorman, editori, analisti, inviati, reporter, celebrati esperti. Tutti fuori strada, disastrosamente. E quasi tutti in palese malafede: hanno finto di non vedere cosa covava nel ventre profondo dell’America. Hanno ignorato le notizie principali: come i sondaggi pro-Hillary ampiamente truccati, secondo le email intercettate da Wikileaks. E le rilevazioni decisive, secondo cui il 70% del campione, sette americani su dieci, non si fida più della narrazione ufficiale, delle grandi testate. Bingo.Anche gli americani, nel loro piccolo, s’incazzano – se continui a raccontare frottole, mentre l’economia va a rotoli e la middle class scivola sempre più in basso. In attesa di vedere come se la caverà Trump, che ha promesso una svolta estremamente impegnativa, ai limiti della fantascienza (nuovo miracolo economico, fine della globalizzazione imperiale), gli elettori non vedevano l’ora, intanto, di punire i super-bugiardi al potere da troppo tempo, da Barack Obama (che nel 2011 raccontò alla nazione e al mondo, senza uno straccio di prova, di aver ucciso Osama Bin Laden) a Hillary Rodham, che voleva insediarsi alla Casa Bianca dopo aver definito il presidente russo “il nuovo Hitler” e aver accumulato, col marito Bill, qualcosa come 230 milioni di dollari in conferenze pagate dai colossi di Wall Street, Goldman Sachs in testa. L’elenco degli sconfitti è sterminato: da George W. Bush, che si è vantato di non appoggiare Trump, all’attore Robert De Niro, che l’ha definito “un cane, un maiale”, candidandosi a “prenderlo a pugni in faccia”.Lo spettacolo è finito, cala il sipario sulla campagna elettorale più “cattiva” della storia americana. Ha vinto Trump, hanno perso i media. Gli stessi che in Francia lavorano per oscurare Marine Le Pen, che in Gran Bretagna hanno presentato la Brexit come l’apocalisse. Gli stessi media che, nel 2013, in Italia davano Grillo al 12%, fino a poche prima che il Movimento 5 Stelle, col 25% del voi, diventasse il primo partito alla Camera. La sensazione è che stia davvero finendo un’epoca, nel cui ultimo frangente il sistema mainstream ha fatto da grancassa anche alla guerra, in tutto il mondo. La catastrofe in Libia, le menzogne sul golpe in Ucraina, le fiabe nere sulla Siria, la vera origine dell’Isis. Zero verità, sui grandi media. Ma i cittadini si sono informati lo stesso, racconta Marcello Foa, grazie a media indipendenti come “InfoWars”. E hanno misurato la distanza tra le breaking news e la verità vera, quella che l’establishment si è rifiutato di raccontare: per questo ora subisce una rottamazione storica, epocale.Fine dalla guerra fredda con la Russia? E’ quello che tutti si augurano, tranne i businessman del Pentagono e della Nato, e che lo stesso Trump lascia intravedere, già dal suo primo discorso da vincitore. Ma, ammesso che sia davvero solido il suo programma geopolitico, bisogna capire se e quanto potrà attuarlo: nel suo staff si è insinuato un super-falco come Michael Ledeen, uno specialista della strategia della tensione, come anche il neo-vicepresidente, Mike Pence, l’uomo che gestì la montatura dell’antrace come falso alibi per poter invadere l’Iraq di Saddam. All’inizio delle primarie, “The Donald” era dato al 6%. «In realtà – svela Gioele Magaldi, autore del libro “Massoni” – è stato segretamente appoggiato dalla super-massoneria progressista per sbarrare la strada al candidato repubblicano più pericoloso, Jeb Bush, esponente della superloggia “Hathor Pentalpha”, implicata negli attentati dell’11 Settembre e nella “fabbricazione” dell’Isis». Trump però è andato molto oltre, sbaragliando anche la Clinton. «Comunque sia – sottolineava lo stesso Magaldi, alla vigilia dell’election-day – l’esito del voto americano non potrà che “svegliare” chi ha dormito per così tanto tempo, gettando finalmente le basi per la rinascita di una autorevole leadership progressista per gli Stati Uniti, assente dalla scena dai tempi dei Kennedy e di Martin Luther King».Puoi imbrogliare qualcuno una volta, ma non puoi fregare sempre tutti. Un vecchio adagio, su cui ora sorride, imperscrutabile e beffarda, la parrucca dell’impresentabile Donald Trump, incidentalmente eletto presidente degli Stati Uniti d’America proprio il 9 novembre, anniversario del crollo del Muro di Berlino. L’uomo che ha stracciato la terribile Hillary, che ha reso patetica l’ultima recita di Obama, e che – soprattutto – ha smascherato la cialtroneria universale dei media mainstream, dalla “Cnn” al “New York Times”, tutti schierati – in modo plumbeo, come in un regime totalitario – con la signora Clinton. E’ uno smacco che getta nel ridicolo giornalisti, anchorman, editori, analisti, inviati, reporter, celebrati esperti. Tutti fuori strada, disastrosamente. E quasi tutti in palese malafede: hanno finto di non vedere cosa covava nel ventre profondo dell’America. Hanno ignorato le notizie principali: come i sondaggi pro-Hillary ampiamente truccati, secondo le email intercettate da Wikileaks. E le rilevazioni decisive, secondo cui il 70% del campione, sette americani su dieci, non si fida più della narrazione ufficiale, delle grandi testate. Bingo.
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Talese: Usa in declino, il presidente non conta più nulla
Queste elezioni non contano niente, perché ormai il presidente degli Stati Uniti non ha più potere. La politica ha perso peso nella società. Mi sembra un fatto evidente. Le nostre vite vanno avanti indipendentemente dalle decisioni dei politici, perché ormai sono altri i fattori che determinano le scelte, il futuro e la qualità della nostra vita, dalla tecnologia globale alle questioni più locali. Ma lo avete visto Barack Obama? Sembrava l’uomo nuovo, incarnava le virtù che avrei voluto nel politico capace di guidarci verso il futuro, e invece non è riuscito neppure a chiudere la prigione di Guantanamo. Se il capo della Casa Bianca non ha la forza di produrre anche un minimo cambiamento tipo questo, come possiamo pensare che abbia la capacità di influenzare le grandi tendenze della storia? Il potere della politica, e in particolare quello del presidente degli Stati Uniti, che un tempo chiamavamo leader del mondo libero, sono decisamente diminuiti. E questa campagna, nel frattempo, ha parlato del nulla. Quale doveva essere il tema principale? Il declino del peso degli Stati Uniti nel mondo.Negli Anni Cinquanta, subito dopo la Seconda Guerra Mondiale, io ero soldato nelle forze armate. Mi schierarono prima in Germania e poi in Italia, il paese da cui era emigrato mio padre, calabrese, all’epoca del fascismo. Tutti ci volevano bene, tutti amavano gli Usa. Eravamo una forza positiva nel mondo, e andare in giro con la divisa era un orgoglio. Ora invece nessuno ci rispetta: persino le Filippine si permettono di sfotterci. Allora eravamo una forza positiva, che cercava di stabilizzare il mondo e orientarlo verso valori democratici condivisi. Poi però abbiamo deciso di intervenire ovunque, per imporre i nostri interessi, stabilendo chi è buono e chi è cattivo. Questo ha provocato una reazione negativa globale contro gli Stati Uniti, ma nessuno ne ha parlato durante la campagna presidenziale. Il risentimento interno ha spinto tanto la candidatura di Trump tra i repubblicani, quanto quella di Sanders tra i democratici durante le primarie. Non avete notato l’insoddisfazione della gente nelle strade? Gli americani della classe media faticano ad arrivare alla fine del mese.La riforma sanitaria di Obama è stata un disastro, e molta gente è ancora costretta a decidere se mangiare o andare dal medico. A causa di questa crisi economica, poi, anche le tensioni razziali sono riesplose, con i neri sempre emarginati, e i bianchi terrorizzati dalle minoranze che conquistano il paese. Chi descrive la sfida tra Clinton e Trump come la più importante dei tempi moderni, perché considera il candidato repubblicano pericoloso per la libertà e il modello di vita americano, putroppo ha torto. Dico purtroppo, nel senso che neppure Trump riuscirebbe a fare quello che ha promesso, o minacciato. Chiunque verrà eletto verrà paralizzato, dal Congresso, e dai veti incrociati dei vari poteri in concorrenza. Il risultato è che nulla si muoverà e il paese resterà impantanato. No, la mia non è una visione troppo pessimistica. Sono vecchio. Morirò senza veder tornare l’America amata da tutto il mondo, in cui ero cresciuto da bambino.(Gay Talese, dichiarazioni che lo scrittore ha rilasciato a Paolo Mastrolilli per l’intervista “Gli Usa senza peso, queste elezioni con contano nulla”, pubblicata da “La Stampa” alla vigilia delle elezioni Usa e ripresa da “Dagospia” l’8 novembre 2016).Queste elezioni non contano niente, perché ormai il presidente degli Stati Uniti non ha più potere. La politica ha perso peso nella società. Mi sembra un fatto evidente. Le nostre vite vanno avanti indipendentemente dalle decisioni dei politici, perché ormai sono altri i fattori che determinano le scelte, il futuro e la qualità della nostra vita, dalla tecnologia globale alle questioni più locali. Ma lo avete visto Barack Obama? Sembrava l’uomo nuovo, incarnava le virtù che avrei voluto nel politico capace di guidarci verso il futuro, e invece non è riuscito neppure a chiudere la prigione di Guantanamo. Se il capo della Casa Bianca non ha la forza di produrre anche un minimo cambiamento tipo questo, come possiamo pensare che abbia la capacità di influenzare le grandi tendenze della storia? Il potere della politica, e in particolare quello del presidente degli Stati Uniti, che un tempo chiamavamo leader del mondo libero, sono decisamente diminuiti. E questa campagna, nel frattempo, ha parlato del nulla. Quale doveva essere il tema principale? Il declino del peso degli Stati Uniti nel mondo.
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Vince Trump? Parla all’America rovinata dal mondialismo
Sono passati solo pochi giorni dallo spoglio e la vittoria di Trump è confermata. I media americani non san ancora che pesci pigliare, i media europei, che salvo poche eccezioni, avevano sposato la più “estabilished” Clinton si stanno arrabattando per uscire con analisi “pro Trump”. Ma perché Donald ha vinto? Descritto fino a pochi giorni fa come un ninfomane, folle, guerrafondaio ed evasore di tasse (toccate tutto agli americani tranne sesso e tasse) ora è president. A mio modesto avviso quello che ha convinto gli americani è stata la decisione di Trump, al netto delle sue passioni (di 35 anni fa?) per il sesso femminile, in merito all’economia e la politica estera. Il discorso che ha fatto a Gettysburg il 22 ottobre ha conquistato il popolo americano. Vale la pena considerare alcuni elementi sinteticamente catturati da questo speech. Un americano su 4 nella fascia lavorativa dai 25 ai 54 anni è disoccupato; 1 uomo ogni 6 nella fascia d’età 18-34 è in prigione o è disoccupato; 45 milioni di americani sono poveri; l’entrata media annuale (real median household) è di $1,274 più bassa rispetto al 2000.Dal 2002 l’America ha perso oltre 70.000 fabbriche e 5 milioni di posti di lavoro nel settore manufatturiero. Gli agricoltori non se la passano meglio. Il deficit in beni è salito a 766 miliardi di dollari e sono stati persi oltre 300 miliardi all’anno in furti di proprietà intellettuali. Le attività produttive americane emigrate all’estero (off-shoring) hanno esacerbato questo scenario. Dal Nafta del 1993 all’entrata nel Wto della Cina fino ai recenti accordi con il Sud Corea del 2012 firmato Hillary Clinton. Stati manufatturieri come Michigan, Ohio e North Carolina sono stati particolarmente colpiti. Sotto il mandato di Obama-Clinton molti progetti infrastrutturali sono stati ritardati e o ostacolati. Oltre 60.000 ponti americani sono considerati “strutturalmente deficienti”. Il traffico costa all’economia americana oltre 100 miliardi di dollari all’anno. Sei milioni di americani sono esposti ad acqua contaminata.L’agenda dei primi cento giorni che Trump ha illustrato durante il discorso ha conquistato l’America (punti già menzionati più volte durante la sua campagna). Facciamo alcuni esempi. La Middle Class Tax Relief and Simplification Act. La più grande riduzione delle tasse per la classe media (gli sconfitti di 20 anni di globalizzazione Usa). Una famiglia con due figli avrà un taglio della tassazione del 35%. Stando alla Tax Foundation il piano di tasse di Trump potrebbe da solo aumentare l’economia del 7%, accrescere gli stipendi del 5-6%. Le Pmi, la spina dorsale dell’economia, vedranno le loro tasse tagliate quasi della metà, dal 35% al 15%. I risparmi saranno usati per assumere e espandersi nella comunità (questo ovviamente è tutto da vedere, ma le Pmi tendono ad avere un maggior legame con il territorio in fatto di assunzioni). I miliardi di dollari americani nascosti all’estero saranno rimpatriati con una tassa una tantum del 10%. La Tax Foundation stima che il piano di Trump aumenterà il Pil di un punto percentuale all’anno. Per contro hanno stimato che il progetto di tasse della Clinton decrescerà il Pil di un quarto di punto su base annua.La posizione di Trump, per certi aspetti isolazionista, mira a far uscire gli Usa da ogni accordo internazionale che li danneggi (danneggi la produzione e l’industria nativa) sulla base dell’articolo 2205. Una politica simile mira ad attivare il “End The Offshoring Act”. Una soluzione che stabilisca tariffe che scoraggino le aziende a licenziare personale per trasferirsi all’estero. Questa combinazione di soluzioni ha sicuramente colpito la popolazione bianca stremata e fortemente impoverita, specialmente i colletti blu (la classe media e operaia). Rispetto al settore energetico, Trump ha spinto per una produzione domestica di energia da ogni fonte fossile (poco ecologica ma una forte spinta all’occupazione). In accordo con l’analisi del “Wall Street Journal”, «oltre una dozzina di progetti infrastrutturali energetici, del valore di 33 miliardi di dollari, sono stati rifiutati dal regolatore dal 2012». Stando alla analisi dell’Heritage Foundation, entro il 2030, le restrizioni energetiche del duo Obama-Clinton elimineranno circa mezzo milione di posti di lavoro nel manufatturiero. Queste idee, insieme alle molte altre spiegate a Gettysburg, hanno infiammato gli animi degli americani.(Enrico Verga, “Elezioni Usa 2016, 10 novembre: Trump ha vinto”, dal “Fatto Quotidiano” del 2 novembre 2016).Sono passati solo pochi giorni dallo spoglio e la vittoria di Trump è confermata. I media americani non san ancora che pesci pigliare, i media europei, che salvo poche eccezioni, avevano sposato la più “estabilished” Clinton si stanno arrabattando per uscire con analisi “pro Trump”. Ma perché Donald ha vinto? Descritto fino a pochi giorni fa come un ninfomane, folle, guerrafondaio ed evasore di tasse (toccate tutto agli americani tranne sesso e tasse) ora è president. A mio modesto avviso quello che ha convinto gli americani è stata la decisione di Trump, al netto delle sue passioni (di 35 anni fa?) per il sesso femminile, in merito all’economia e la politica estera. Il discorso che ha fatto a Gettysburg il 22 ottobre ha conquistato il popolo americano. Vale la pena considerare alcuni elementi sinteticamente catturati da questo speech. Un americano su 4 nella fascia lavorativa dai 25 ai 54 anni è disoccupato; 1 uomo ogni 6 nella fascia d’età 18-34 è in prigione o è disoccupato; 45 milioni di americani sono poveri; l’entrata media annuale (real median household) è di $1,274 più bassa rispetto al 2000.
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Se gli americani si liberano dell’élite mafiosa che li domina
Non siete sorpresi che Hillary e le sue puttane della stampa non abbiano incolpato Putin per il fatto che il direttore dell’Fbi Comey ha riaperto il caso delle e-mail della Clinton? Queste hanno hanno messo in gioco la seconda carta a favore di Hillary. Hanno reso Comey il problema. Secondo il senatore Harry Reid e le puttane, non dobbiamo preoccuparci dei crimini di Hillary. Dopotutto, è solo una donna della politica che si sta creando il nido, come gli uomini in politica hanno fatto per anni. Perché tutti questi misogini continuano a tirarla in mezzo? Le puttane lamentano che il presunto crimine commesso da Comey sia molto più importante. Questo odiatore di donne repubblicano ha violato l’Hatch Act dicendo al Congresso che l’investigazione che aveva dichiarato chiusa è stata riaperta. Un’interpretazione molto strana dell’Hatch Act. Durante un’elezione va bene annunciare che il candidato presidente è innocente, ma non è ok dire che è sotto investigazione.Nel luglio 2016 Comey ha violato l’Hatch Act quando, su ordini del corrotto Attorney General di Obama, ha detto che Hillary era pulita. Facendo così, Comey ha usato il prestigio che può dare l’annuncio federale di fine indagini per la violazione dei protocolli di sicurezza da parte della Clinton per spingerla dal punto di vista elettorale. In effetti, la situazione di Hillary nei sondaggi è basata sul fatto che i sondaggisti danno maggior peso ai suoi supporter. È facile creare un favorito se pesi di più alcuni supporter nelle domande elettorali. Se si guarda alle persone che assistono alle apparizioni pubbliche, è chiaro che la popolazione statunitense preferisce Donald Trump, il quale si oppone alla guerra con la Russia e la Cina. La guerra con le potenze nucleari è una grossa parte di queste elezioni. Il problema di Hillary ha messo in difficoltà l’oligarchia statunitense, di cui la Clinton è serva fedele. Cosa faranno se vince Trump? Farà la fine di Jfk, Bob Kennedy, Martin Luther King, George Wallace? Ai posteri l’ardua sentenza. Arriverà un’inserviente di un hotel all’ultimo istante alla stessa maniera con cui le oligarchie si sono sbarazzate di Dominique Strauss-Kahn?Tutte le femministe d’occidente, progressiste e di sinistra, si erano fatte abbindolare dall’ovvia trappola tesa a Strauss-Kahn. Dopo che a Strauss-Kahn è stato impedito di candidarsi all’elezione presidenziale francese e lo si è messo nelle condizioni di dimettersi da presidente del Fmi, le autorità di New York hanno dovuto far cadere tutte le accuse contro di lui. Washington però ha ottenuto il risultato di mettere il suo vassallo Sarkozy all’Eliseo. Ecco come l’oligarchia fa a pezzi quelli che sospetta non servirebbero i suoi interessi. La corrotta ed autoreferenziale oligarchia fa in modo di avere in pugno i governi ed i media, i centri di pensiero e le maggiori università e, ovviamente grazie alle puttane della stampa, le menti degli statunitensi. Il primo interesse degli oligarchi ora è rimettere in sesto Hillary per la corsa alla presidenza, per cui vediamo se riusciranno ancora una volta ad ingannare la popolazione.Mentre siamo in attesa, preoccupiamoci di un’altra questione importante. Il sindacato criminale della Clinton negli ultimi anni del 20° secolo ha permesso a un pugno di mega-corporations di consolidare tutti i media Usa in poche mani. Questo accentramento di potere dell’oligarchia è stato ottenuto nonostante la legge antitrust. Le fusioni nel campo dei media hanno fatto a pezzi la tradizione di media divisi ed indipendenti. Ma all’un percento cosa interessa la legge federale? Nulla. Il potere dell’un percento lo rende immune alla legge. I crimini di Hillary potrebbero costarle le elezioni, ma non andrà in prigione. Non contenta del controllo del 90% dei media, l’oligarchia vuole ancora maggior concentrazione e maggior controllo. Sembra che ce la faranno, grazie al corrotto governo Usa. La Federal Trade Commission dovrebbe rafforzare la legge antitrust. Invece, l’agenzia federale abitualmente viola l’antitrust permettendo concentrazioni a livello di monopolio di interessi economico-finanziari.A causa del fallimento del governo federale nel rafforzare le proprie stesse leggi, ora abbiamo banche “troppo grandi per fallire”, un monopolio incontrollato in Internet e la distruzione dei media indipendenti. Non molto tempo fa c’era un campo dell’economia conosciuto come antitrust. Dottorandi si sono specializzati in questo campo e hanno scritto dissertazioni sul controllo pubblico dei poteri monopolistici. Suppongo che questa branca dell’economia, come gli Stati Uniti della mia gioventù, non esiste più. Rahul Manchanda spiega che «di nuovo un enorme conglomerato mediatico sta per essere assorbito da un altro enorme conglomerato mediatico, per creare un altro gargantuesco outlet dei media, in un nuovo rafforzamento dell’enorme forza, del denaro, della ricchezza, del potere intimidatorio, delle cospirazioni e del controllo», facendo a pezzi la Costituzione ed il Primo Emendamento.(Paul Craig Roberts, “Il popolo americano può sconfiggere l’oligarchia che lo governa?”, da “Counterpunch” del 2 novembre 2016, post tradotto e ripreso da “Come Don Chisciotte”. Craig Roberts, economista, è stato viceministro del Tesoro con Reagan nonché “editor” del “Wall Street Journal”; il suo libro “How the Economy Was Lost” è disponibile su “Counterpunch” in formato digitale; il suo ultimo libro è “How America Was Lost”).Non siete sorpresi che Hillary e le sue puttane della stampa non abbiano incolpato Putin per il fatto che il direttore dell’Fbi Comey ha riaperto il caso delle e-mail della Clinton? Queste hanno hanno messo in gioco la seconda carta a favore di Hillary. Hanno reso Comey il problema. Secondo il senatore Harry Reid e le puttane, non dobbiamo preoccuparci dei crimini di Hillary. Dopotutto, è solo una donna della politica che si sta creando il nido, come gli uomini in politica hanno fatto per anni. Perché tutti questi misogini continuano a tirarla in mezzo? Le puttane lamentano che il presunto crimine commesso da Comey sia molto più importante. Questo odiatore di donne repubblicano ha violato l’Hatch Act dicendo al Congresso che l’investigazione che aveva dichiarato chiusa è stata riaperta. Un’interpretazione molto strana dell’Hatch Act. Durante un’elezione va bene annunciare che il candidato presidente è innocente, ma non è ok dire che è sotto investigazione.
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Luttwak: la Clinton non ha scampo, dovrà dimettersi
Anche se dovesse vincere, Hillary Clinton sarebbe inchiodata dalle indagini riaperte dall’Fbi, che il Dipartimento di Giustizia avrebbe voluto insabbiare: non uscirebbe viva dalla procedura di impeachment. Lo afferma Edward Luttwak, politologo di fama e repubblicano di ferro: «Mettiamo che Hillary vinca. L’inchiesta dell’Fbi non per questo si bloccherà. Nemmeno se il direttore James Comey dovesse essere sostituito. Il che non sarà facile, anche perché in quel posto Comey è stato messo dall’amministrazione democratica». Conseguenza? «Dal vaso di Pandora, appena scoperchiato, verranno fuori altri scandali. Scandali per l’intera famiglia. Non solo Hillary e Bill, non solo la Fondazione, ma anche la figlia Chelsea», che viaggia su jet privati, «invitata come speaker a pagamento a conferenze dedicate al global warming». Anche se i media mainstream, giornali e televisioni, «fanno a gara a coprire, ridurre, nascondere il caso», parlando di “complotto”, Hillary non se la potrebbe cavare. Ed ecco spiegata, probabilmente, la mossa di Comey alla vigilia del voto: azzoppare la Clinton, accusata dall’Fbi, per evitare che finisca alla Casa Bianca un presidente “impresentabile”.«Di fronte alle nuove evidenze, Comey ha ritenuto di non poter più sorvolare su ipotesi di reato, come aveva fatto in luglio». Dal direttore dell’Fbi, una sfida senza precedenti rivolta al Dipartimento della Giustizia, che avrebbe coperto Hillary, spiega Luttwak in un’intervista a Cesare De Carlo per “Il Giorno”, ripresa da “Dagospia”. E se la Clinton comunque vincesse? «Avrebbe poca importanza», secondo Luttwak. «Allo stato dei fatti la nomina di uno Special Prosecutor sarebbe probabile, se – come pare – la Camera rimanesse repubblicana. E altrettanto probabilmente uno Special Prosecutor sarebbe l’inizio di un procedimento di impeachment». Uno “special prosecutor”: lo stesso Obama, come commissario provvisorio degli Stati Uniti? Il deputato Jason Chaffetz, presidente della Commissione per la sorveglianza delle attività governative, parla apertamente del problema Clinton: abbiamo tanto di quel materiale, ha detto, da tenerci occupati per due anni. «Voi in Europa non avete idea del grado di corruzione imputato ai Clinton», dice Luttwak. «Quando Hillary era segretario di Stato, avrebbe usato la carica pubblica per promuovere gli interessi della Fondazione e quelli della sua stessa famiglia».Un esempio: un principe del Qatar le avrebbe chiesto udienza per concludere un certo affare per il quale il Dipartimento di Stato avrebbe dovuto dare luce verde. Nessuna risposta. Allora il principe avrebbe fatto una ricca donazione. Le porte del Dipartimento si spalancano e l’affare viene concluso». Questi “affari” figuravano nelle e-mail private cancellate dopo l’ingiunzione da parte della polizia federale: in teoria, si tratta di “sottrazione di prove”. «Sì. È un reato. E lo è anche la notizia di questi giorni», cioè la comparsa di e-mail ufficiali, del Dipartimento di Stato, sul computer privato dell’ex marito di Huma Abedin: «Non ne conosco la sostanza. Ma già il fatto in sé è stato sufficiente in casi analoghi a spedire i colpevoli in prigione». Certo, lo stesso Comey in luglio non era arrivato a questa conclusione: aveva definito “imprudenza” la negligenza di avere usato server privati per la posta elettronica dell’ex segretario di Stato. «Differenza terminologica importante. Se avesse parlato di negligenza, l’incriminazione sarebbe stata inevitabile». Ora, Hillary teme lo tsunami-Fbi, e Trump risorge persino nei sondaggi ufficiali, “accomodati” dallo staff dei democratici. Lassù, più in alto della Casa Bianca, qualcuno sembra aver abbandonato la Clinton, incaricando l’Fbi di colpirla proprio adesso.Anche se dovesse vincere, Hillary Clinton sarebbe inchiodata dalle indagini riaperte dall’Fbi, che il Dipartimento di Giustizia avrebbe voluto insabbiare: non uscirebbe viva dalla procedura di impeachment. Lo afferma Edward Luttwak, politologo di fama e repubblicano di ferro: «Mettiamo che Hillary vinca. L’inchiesta dell’Fbi non per questo si bloccherà. Nemmeno se il direttore James Comey dovesse essere sostituito. Il che non sarà facile, anche perché in quel posto Comey è stato messo dall’amministrazione democratica». Conseguenza? «Dal vaso di Pandora, appena scoperchiato, verranno fuori altri scandali. Scandali per l’intera famiglia. Non solo Hillary e Bill, non solo la Fondazione, ma anche la figlia Chelsea», che viaggia su jet privati, «invitata come speaker a pagamento a conferenze dedicate al global warming». Anche se i media mainstream, giornali e televisioni, «fanno a gara a coprire, ridurre, nascondere il caso», parlando di “complotto”, Hillary non se la potrebbe cavare. Ed ecco spiegata, probabilmente, la mossa di Comey alla vigilia del voto: azzoppare la Clinton, accusata dall’Fbi, per evitare che finisca alla Casa Bianca un presidente “impresentabile”.