Archivio del Tag ‘banche’
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Barnard: cosa sono gli speculatori e quanto male ci fanno
«Welcome to the crazed world of “The Masters of the Universe”». Benvenuti nel mondo allucinante dei “Padroni dell’Universo”. E’ un’espressione coniata a Wall Street dai collaboratori del super-speculatore John Meriwether, padrone dell’hedge fund Ltcm, una macchina per fare soldi fittizi truffando con numeri fittizi per miliardi di dollari l’intero mondo. Lavoravano, questi avvoltoi, con una tale feroce maniacalità che all’apice del successo e delle piramidi di coca che gli passarono nel sangue, una notte stapparono un rosso da 7.000 dollari a bottiglia e gridarono: «Siamo i Padroni dell’Universo!». Ltcm collassò nell’orgia finanziaria suicida nel 1998, e si rischiò il collasso della finanza mondiale. Dopo di loro, l’America e l’Europa si accorsero del pericolo nucleare che ’sta gente rappresentava, e corsero ai ripari: ne crearono di peggio.
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Tsipras sbaglia tutto, esca dall’euro e faccia causa all’Ue
Mentre i mercati s’interrogano su quali strategie, aldilà degli slogan elettorali, saranno poi effettivamente perseguite nel caso di successo delle forze politiche d’opposizione in Grecia, traspare sempre più la volontà del leader di Syriza, Alexis Tsipras, di procedere con un programma “accomodante” per la permanenza del paese nell’area euro. La stessa auspicata rimodulazione concordata del debito pubblico, in una nuova versione rivista e corretta dei precedenti haircut, non produrrebbe infatti gli effetti sperati così come puntualmente evidenziato dall’economista tedesco Hans-Werner Sinn, presidente dell’Ifo (Istituto per la ricerca economica, maggiore think-tank tedesco sulle tematiche di politica economica), il quale ha fatto giustamente presente che «solo uscendo dall’euro la Grecia può evitare il fallimento». Qualsiasi intervento sul debito significherebbe solamente procrastinare i problemi dell’economia greca e non risolverli, aggravando il già disastrato paese ellenico da ulteriori vincoli determinati da prestiti internazionali e da tutele sempre più pressanti nella gestione economica domestica.D’altronde i precedenti e sempre più onerosi salvataggi non hanno fatto che aumentare la posizione debitoria del paese e non certo aiutato nel tirarlo fuori dall’impasse della drammatica situazione economica il cui destino ogni giorno appare sempre più irreversibile. La popolazione è allo stremo e francamente non ci sono più i presupposti e i margini di manovra per poter rendere l’euro una valuta idonea alle esigenze dell’economia greca. Il caso greco ha dimostrato, in tutta la sua drammaticità, come il trapianto forzato di una moneta possa alla fine degenerare in un inevitabile rigetto, distruggendo letteralmente un paese nonostante noti personaggi, che hanno costruito esclusivamente la propria carriera e credibilità asservendosi supinamente ai dogmi perversi della moneta unica, abbiano sostenuto fino a poco tempo fa che proprio il paese ellenico era la prova più tangibile del successo dell’euro. Il problema di fondo della Grecia pertanto rimane la permanenza nell’euro e le sue assurde e anacronistiche politiche economiche imposte a un paese che non ha mai avuto le possibilità, neanche remote, di poterle perseguire ed attuarle.Tutte le ricette provenienti dalla Troika sono state orientate esclusivamente a salvaguardare gli interessi dei creditori e non certo del “debitore”, producendo danni difficilmente quantificabili non solo nell’economia ma anche nel tessuto sociale, facendo sprofondare la Grecia in una devastante deflazione permanente. Proprio per questo la coalizione che governerà la Grecia dopo la consultazione elettorale prevista per il 25 gennaio prossimo, più che proporre tagli e ristrutturazioni del debito, dovrebbe intraprendere una seria azione risarcitoria nei confronti delle istituzioni europee per i danni subiti nel perseguimento delle politiche economiche che gli sono state imposte. L’aver di fatto commissariato il governo di Atene inducendolo a perseguire politiche e metodi completamente errati che hanno peggiorato continuamente la situazione inchioda, senza possibilità di attenuanti, le responsabilità della Commissione Europea, del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Centrale Europea almeno sin dal 2010, anno in cui sono emerse in tutta la sua gravità sia l’effettiva posizione debitoria innescata dalla bomba a orologeria dei derivati contratti per ottenere il via libera all’entrata nell’Eurozona, sia l’insostenibilità che l’euro aveva prodotto nella sua crescita economica.Syriza chiede l’istituzione di una Commissione internazionale sulla falsariga di quella che portò all’accordo sul debito di Londra del 27 febbraio del 1953 dove fu cancellato il 50% del debito estero tedesco, ma i greci ora sottovalutano che la Germania di allora si avvantaggiò enormemente dell’accordo perché poté contare su una propria moneta e soprattutto su una politica economica perfettamente tarata per le proprie esigenze e non invece come quella odierna che rimarrebbe in ogni caso per la Grecia decisa altrove! Pertanto, se le nuove forze che assumeranno il potere ad Atene nei prossimi mesi intenderanno realmente fare gli interessi del paese con l’obiettivo di farlo risorgere economicamente e moralmente, dovrebbero perseguire una uscita dall’euro concordata e pianificata direttamente con i governi europei e promuovere contestualmente un’azione risarcitoria nei confronti della Troika per le responsabilità oggettive avute nella gestione delle crisi finanziarie avvenute negli ultimi anni.In particolare, se l’inesperienza e i grossolani errori profusi a più riprese dall’ex commissario europeo per gli affari economici e monetari Olli Rehn, trincerato sempre dietro vulgata dell’irreversibilità dell’euro, non avessero forzatamente fatto adottare alla Grecia politiche economiche con il pugno di ferro con il criterio del “bisogna punire chi non rispetta i patti”, non rendendosi minimamente conto che in questo modo stava segando il ramo dove invece erano seduti anche gli altri, lui compreso, il paese ellenico non sarebbe arrivato allo stato disastroso in cui versa attualmente. E’ giusto che vengano pertanto risarciti gli enormi danni perché gran parte delle colpe sono da imputare all’imposizione di politiche economiche completamente errate e con fini molto distanti dall’effettivo risanamento del paese: in questo modo si ristabilirebbe un criterio di giustizia nei confronti di palesi soprusi compiuti fra l’incompetenza e l’aver favorito interessi finanziari di parte.(Antonio Maria Rinaldi, “Grecia, perché Tsipras si sbaglia”, da “Sollevazione” dell’8 gennaio 2015).Mentre i mercati s’interrogano su quali strategie, aldilà degli slogan elettorali, saranno poi effettivamente perseguite nel caso di successo delle forze politiche d’opposizione in Grecia, traspare sempre più la volontà del leader di Syriza, Alexis Tsipras, di procedere con un programma “accomodante” per la permanenza del paese nell’area euro. La stessa auspicata rimodulazione concordata del debito pubblico, in una nuova versione rivista e corretta dei precedenti haircut, non produrrebbe infatti gli effetti sperati così come puntualmente evidenziato dall’economista tedesco Hans-Werner Sinn, presidente dell’Ifo (Istituto per la ricerca economica, maggiore think-tank tedesco sulle tematiche di politica economica), il quale ha fatto giustamente presente che «solo uscendo dall’euro la Grecia può evitare il fallimento». Qualsiasi intervento sul debito significherebbe solamente procrastinare i problemi dell’economia greca e non risolverli, aggravando il già disastrato paese ellenico da ulteriori vincoli determinati da prestiti internazionali e da tutele sempre più pressanti nella gestione economica domestica.
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Grazie a Napolitano, oggi l’Italia è una valle di lacrime
Da oggi gli italiani possono guardare al futuro con un pizzico di speranza e di fiducia in più. Giorgio Napolitano, arcigno avamposto italiano di poteri schiavistici, antidemocratici e occulti, si è finalmente dimesso, liberando inconsapevolmente nell’aria un fresco profumo di libertà che riscalda il cuore ed ossigena il cervello. Credo sia opportuno che il Parlamento, espressione di una volontà popolare ripetutamente tradita dal vecchio presidente, sottolinei l’importanza storica di siffatta circostanza, magari affiancando simbolicamente il 14 gennaio al 25 Aprile. Napolitano, con metodi e modi alquanto diversi da quelli utilizzati da Benito Mussolini, ha commissariato l’Italia per quasi un decennio, violentando una dialettica democratica da sacrificare sull’altare di interessi speculativi privati. Napolitano rappresenta uno spartiacque per il nostro paese. Gli storici, così come avvenne per l’esperienza fascista, saranno costretti a raccontare quanto l’Italia sia cambiata (in peggio) in conseguenza dell’ascesa al potere dell’ex comunista migliorista preferito da Henry Kissinger.Nel 2006 l’Italia era un paese relativamente prospero e felice, con un tasso di disoccupazione accettabile e un tessuto industriale ancora solido e competitivo. L’Italia di oggi è invece una valle di lacrime, impoverita e umiliata da tecnocrati sprovvisti di mandato popolare che banchettano sulla pelle dei più deboli. In Italia, grazie alle politiche volute da una serie di governi-fantoccio creati dallo stesso Napolitano, la disoccupazione è salita alle stelle. Generazioni intere sono state falcidiate agitando strumentalmente il mito del debito pubblico, tra l’altro paradossalmente aumentato proprio in conseguenza delle dissennate politiche di austerità difese a spada tratta e contro ogni logica proprio dal nostro ex presidente. Ma Napolitano non si è limitato a farsi garante per conto terzi del declino economico e industriale del Belpaese: ha fatto di più e di peggio; ha imposto cioè una visione del potere elitaria e oligarchica, lentamente sfociata in un vero e proprio culto della personalità indegno persino di un paese in via di sviluppo.In questi anni la grande stampa, all’unisono, non ha mai osato mettere in discussione le scelte del presidente-monarca, bollando come impuri ed infedeli tutti quelli che trovavano il coraggio di resistere alla dittatura del pensiero unico. Un crinale allo stesso tempo risibile e pericoloso, palesatosi al mondo in tutta la sua ridicola drammaticità il giorno in cui i presidenti delle Camere, Grasso e Boldrini, invitarono i parlamentari a non pronunciare invano in aula il nome del presidente Napolitano. Scene fantozziane che farebbero arrossire di vergogna perfino tipi alla Erdogan. Ancora oggi giornali come “Repubblica”, la “Stampa” e il “Corriere della Sera” trovano il tempo di raccontare al popolo quanto Napolitano sia felice di tornarsene a casa (figuratevi quanto lo siamo noi). Eugenio Scalfari, in un articolo pubblicato ieri su “Repubblica”, è riuscito a scrivere che Napolitano aderì in gioventù al Guf (gruppi universitari fascisti) in funzione antifascista. Ma vi rendete conto? E’ come dire che Tizio volle farsi prete perché chiaramente anticlericale. Non sanno più cosa inventarsi per tenere il sacco ad un uomo anziano che ha sempre e soltanto creduto nel potere per il potere.Quando però i piccoli interessi contingenti saranno sopiti, le menzogne interessate e pavide evaporeranno, lasciando sul campo una verità fattuale che, per quanto comprensiva e abbellita, condannerà in eterno il ricordo di Napolitano, pessimo presidente bravo a fare della banalità un’arte e dell’ipocrisia un punto di forza. Stendiamo infine un velo pietoso sulle vere ed eversive dinamiche che hanno preparato la nascita del governo Monti, denunciate sia nel libro di Alan Friedman (“Ammazziamo il Gattopardo)”, che in quello pubblicato dall’ex segretario del Tesoro americano Tim Geithner (“Stress Test”). Retroscena inquietanti, non a caso silenziati da un sistema informativo che, pur ricordando nei fatti l’Istituto Luce, marcia in difesa del ricordo dei giornalisti di “Charlie Hebdo”, massacrati nel nome di una libertà che non accetta limiti né compromessi. Addio Giorgio. L’Italia è finalmente libera di ricominciare a vivere.(Francesco Maria Toscano, “L’Italia è finalmente libera, il 14 gennaio 2015 come il 25 aprile 1945”, dal blog “Il Moralista” del 16 gennaio 2015).Da oggi gli italiani possono guardare al futuro con un pizzico di speranza e di fiducia in più. Giorgio Napolitano, arcigno avamposto italiano di poteri schiavistici, antidemocratici e occulti, si è finalmente dimesso, liberando inconsapevolmente nell’aria un fresco profumo di libertà che riscalda il cuore ed ossigena il cervello. Credo sia opportuno che il Parlamento, espressione di una volontà popolare ripetutamente tradita dal vecchio presidente, sottolinei l’importanza storica di siffatta circostanza, magari affiancando simbolicamente il 14 gennaio al 25 Aprile. Napolitano, con metodi e modi alquanto diversi da quelli utilizzati da Benito Mussolini, ha commissariato l’Italia per quasi un decennio, violentando una dialettica democratica da sacrificare sull’altare di interessi speculativi privati. Napolitano rappresenta uno spartiacque per il nostro paese. Gli storici, così come avvenne per l’esperienza fascista, saranno costretti a raccontare quanto l’Italia sia cambiata (in peggio) in conseguenza dell’ascesa al potere dell’ex comunista migliorista preferito da Henry Kissinger.
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La Germania sta distruggendo l’Europa, ancora una volta
La riunificazione tedesca è, fra l’altro, un grande esperimento di ingegneria sociale: scompare mezzo secolo di economia totalitaria, prima nazista poi comunista, che è riorganizzata dalle fondamenta e nello stesso tempo adattata in tempi brevissimi a un sistema industriale e finanziario, fortemente strutturato, che preesiste. Un esperimento forse senza precedenti nella storia: rivoluzioni come quella sovietica hanno distrutto l’economia esistente per rifarla ex novo e non per incollarla come appendice a un’altra già funzionante; transizioni complesse come quella cinese hanno introdotto nell’economia novità dirompenti, ma con tempi lunghi e mediazioni sottili quanto estese. Lo smontaggio dell’economia tedesco-orientale non è l’unico esperimento di ingegneria sociale che si svolge in Europa negli anni ‘90: anche se procede con mezzi meno cogenti, la costruzione – a partire dall’adozione della stessa moneta – di un’area economica integrata ha un tratto consimile che consiste nell’idea di riorganizzare una vasta serie di attività industriali e finanziarie secondo un disegno preordinato ad alta intensità ideologica.In un libro denso di informazioni e lucido nell’analisi (“Anschluss – L’annessione. L’unificazione della Germania e il futuro dell’Europa”, Imprimatur editore) Vladimiro Giacché, dirigente di Sator (boutique finanziaria di Matteo Arpe) e studioso di impianto marxista, paragona i due esperimenti e rintraccia temi ricorrenti, analogie operative, intenzioni convergenti. L’“annessione” dell’economia pianificata dell’est a quella di mercato dell’ovest, che l’autore racconta in dettaglio, si basa su tre capisaldi. Anzitutto il primato, temporale e strutturale, dell’unione monetaria: il 7 febbraio 1990, a meno di tre mesi dalla caduta del Muro, Kohl, il cancelliere federale, propone alla Rdt, lo stato tedesco-orientale, di unificare in tempi brevi la moneta e poco dopo, durante la campagna elettorale a est (le prime elezioni politiche libere dopo quasi 60 anni si tengono il 19 marzo), promette un cambio alla pari che si realizza il 18 maggio quando i due Stati tedeschi firmano il Trattato sull’Unione monetaria economica e sociale (in vigore dal 1° luglio).Il marco dell’est non era convertibile, ma negli scambi commerciali fra le due Germanie l’uso pratico ne richiedeva 4,4 per fare un marco dell’ovest. Il cambio alla pari, così sproporzionato, ha conseguenze profonde sulla vita dell’est: risparmiatori e creditori lucrano forti vantaggi, si agevola l’accesso alle merci occidentali (ma subito parte l’aumento dei prezzi), le imprese, già obsolete, finiscono fuori mercato: la debole economia dell’Est va in pezzi ed è pronta per rimodellarsi secondo il disegno dell’ovest. La moneta è fin dall’inizio lo strumento per mutare i rapporti economici e per questa via riorganizzare l’Est: Wolfgang Schäuble, attuale ministro delle finanze e all’epoca uno dei responsabili di Bonn nel negoziato per il Trattato sull’Unione, lo dice senza giri di parole: «A de Maizière (primo ministro a Berlino) era ben chiaro, come a Tietmeyer (capo negoziatore e futuro presidente della Bundesbank) e a me, che, con l’introduzione della moneta occidentale, le imprese della Rdt di colpo non sarebbero più state in grado di competere».In secondo luogo c’è l’invenzione della Treuhandanstalt, una sorta di istituto di amministrazione fiduciaria che ottiene quasi tutto il patrimonio della Rdt allo scopo di privatizzarlo nei tempi più brevi. Alla fine del 1994 “la più grande holding del mondo”, che il 1° luglio 1990 concentra in sé 8.500 imprese, 20.000 esercizi commerciali e 25 miliardi di metri quadri (terreni, foreste, immobili), conclude il suo compito. Molto è liquidato a inizio opera, poco è risanato, la gran parte del patrimonio è venduta a prezzi stracciati e trattativa privata a compratori tedesco-occidentali (a loro va l’87 per cento delle imprese privatizzate). Il bilancio finale è in perdita per 257 miliardi di marchi: a fronte di 73 miliardi di ricavi (37 soltanto realmente riscossi) stanno spese di risanamento (154 miliardi), bonifiche ambientali (44 miliardi), debiti pregressi (101 miliardi) e altri costi. Dei 4 milioni di lavoratori che secondo stime del governo Kohl sono impiegati a fine 1989 nelle imprese poi gestite dalla Treuhand, solo un milione e mezzo – secondo valutazioni degli acquirenti – mantiene un posto di lavoro dopo il risanamento. Per Giacché l’opera della Treuhand, alla fine, non fu altro che «distruzione della base industriale della Germania Est». Infatti, «la vecchia Rdt era un paese solido almeno sotto un profilo: il patrimonio dello Stato era un multiplo del debito pubblico».Infine il privilegio accordato alle banche dell’ovest: acquirenti a prezzi di saldo e quasi in esclusiva delle banche orientali, si ritrovano in pancia una massa ingente di crediti (per lo più partite di giro fra articolazioni dello stato, unico proprietario esistente nel regime comunista) coperti, a norma del Trattato sull’unione, da garanzie del nuovo stato unificato. In totale sono acquisiti «crediti per 44,5 miliardi di marchi: una cifra pari a 55 volte il prezzo pagato dai compratori. Già i soli interessi del 10 per cento che le banche cominciano a praticare rappresentano un multiplo del prezzo d’acquisto». I capisaldi che creano l’“annessione” sono applicati, nota Giacché, in modo radicale, con intensità fondamentalista: la Germania Est, sbandata e inerme, è in condizioni simili a quelle di un paese che ha perso la guerra. «Si tratta di un ingresso della Rdt nella Repubblica federale, e non di un’unione tra pari di due Stati» (è sempre Schäuble che parla, con l’abituale ruvidezza).Nel caso dell’Eurozona i tempi sono allungati, il radicalismo della gestione è smussato, quasi dissimulato, ma i princìpi, le linee di fondo si mantengono. Anche in Europa la moneta è l’elemento fondante del nuovo rapporto fra gli Stati: precede ogni altra decisione, vincola la politica, indirizza l’economia. Chi decide il cambio e governa la moneta poi comanda l’unione fra gli Stati e fa la politica comune. Quando nel 1991-’92 negozia l’abbandono del marco e dà via libera alla moneta comune, Kohl sa bene, a differenza degli altri leader europei, quanto conti il vincolo monetario: ha già fatto un test. La storia dell’euro con i numerosi vantaggi offerti alla Germania e la progressiva riduzione della base industriale in molti paesi – soprattutto dell’orlo sud – conferma la dirompente forza politica della scelta che mette la moneta al primo posto e «costringe a chiedersi se l’unione monetaria non abbia replicato lo stesso meccanismo» all’opera nella Germania unificata.Il secondo caposaldo che caratterizza l’annessione dell’est tedesco e poi ricompare in grande formato sulla scena europea è l’indifferenza per la ricchezza (umana, produttiva, fisica) presente nei paesi che hanno difficoltà con l’impianto monetario reso vincolante: le ricette imposte a Grecia, Portogallo, Spagna o lo strisciante degrado industriale e tecnico vissuto dall’Italia fanno da testimonianza. Giacché cita, a suggello, dichiarazioni di Steinmeier, oggi ministro degli esteri in quota Spd (ma Juncker e Schäuble ne hanno fatte di analoghe), che offrono il modello Treuhand quale via di risanamento: «Vale la pena di riflettere sulla proposta di un modello europeo di Treuhand a cui apportare il patrimonio statale della Grecia da privatizzare in 10-15 anni. Col ricavato la Grecia potrebbe ridurre il suo indebitamento». Infine, ed è il terzo caposaldo, la struttura stessa degli algoritmi di Maastricht è pensata per proteggere i creditori e nei casi di crisi acuta, come in Grecia, è stata efficace nell’aprire alle banche una via d’uscita.Incorporazione della Germania est, creazione dell’area a moneta unica, conferma delle regole dell’euro nonostante le pessime prestazioni e l’ostilità del resto del mondo (Stati Uniti in testa: tutti vedono dissolversi nell’inanità contabile un partner come l’Europa essenziale per la crescita). La sequenza, che allinea un mezzo successo pagato a carissimo prezzo (non solo dai tedeschi) e un disastro economico-sociale reiterato senza correzioni per quasi sette anni, impressiona non solo per la durata temporale ma soprattutto per la resistenza alle confutazioni della realtà. Quali sono le forze potenti che hanno imposto all’Europa, senza chance di revisione, un modello tedesco così squilibrato e asimmetrico? Occorre un flashback. Con la caduta del Muro di Berlino nel 1989 e la fine dell’Unione Sovietica nel 1991, non crolla soltanto un pugno di regimi totalitari: si dissolve un ordine mondiale, quello che si era formato nel 1946-’48 con l’avvio della Guerra Fredda. Era un sistema “westfaliano”, come spiega il novantenne Kissinger nel suo ultimo splendido libro, “World Order”: al pari di tutti gli altri sistemi d’ordine succedutisi dopo la pace tedesca del 1648, anche la Guerra Fredda si basava su blocchi di alleanze disciplinati al proprio interno, regole di confronto fra i blocchi, gerarchie fra gli Stati, bilanciamenti di potere come criterio di continuità strategica del sistema.Per oltre 40 anni l’ordine tiene: poi la deflagrazione dell’Urss, uno dei pilastri del sistema, lo fa cadere e fino a oggi niente di simile lo sostituisce: gli interessi nazionali degli Stati faticano, senza regole condivise e fori di composizione, a trovare sintesi; criteri di legittimità diversi si contrappongono; le alleanze perdono vincoli e quindi stabilità. Il disordine politico si amplifica con la rivoluzione portata dalla tecnologia digitale che accelera il salto a una dimensione globale dei mercati e potenzia funzioni e performance della finanza: la scala degli effetti e il raggio delle persone coinvolte superano ormai la portata delle precedenti rivoluzioni industriali. L’Europa cambia volto: l’impero sovietico e un paio di Stati artificiali creati a Versailles nel 1919 si frantumano; ricompaiono Stati, come quelli baltici, perduti dal 1939; altri, come quelli nati dalla Yugoslavia dissolta, si formano ex novo; gli Stati dell’Europa centrale, per 40 anni a sovranità limitata, ridiventano soggetti politici; nei Balcani ritorna la guerra. E’ uno sconvolgimento di forza epocale che i leader politici d’Europa non riconoscono, non riescono a misurare nella sua drammatica grandezza. La politica non guida gli eventi, va a rimorchio. Escogita soluzioni sbilenche (l’allargamento dell’Ue in gran fretta) o lascia marcire le cose (Balcani).Kohl è l’unico leader con un grande disegno che proietta l’interesse nazionale su una dimensione generale. Ha come leve la forza del marco, un sistema industriale costruito in 40 anni di intenso sviluppo, l’ideologia mercantilista (esportazioni al primo posto e quindi alta tecnologia e bassi salari) che sostiene entrambi (l’ordoliberismo) e li offre in un pacchetto come modello e come metodo per il tragitto futuro dell’integrazione europea. Considerata fino agli anni ‘80 un complemento idealista, manovrato dal tecnicismo giuridico, della politica nazionale, l’idea dell’integrazione diventa, dopo la fine della Guerra Fredda e con l’attenzione americana ormai rivolta altrove (Clinton punta sull’alleanza politico-finanziaria con la Cina), il quadro inevitabile entro cui tenere insieme le storie multiformi e gli interessi differenziati delle nazioni europee: Kohl fornisce la soluzione pratica che rende realizzabile una teoria fumosa e fa apparire credibile ai riluttanti francesi l’illusione di comandare per via politica un ruolo internazionale che l’economia ormai nega loro.Nel momento in cui l’euro si fa a calco del marco e la visione mercantilista diventa il paradigma dell’Unione, la Germania ottiene uno straordinario vantaggio di posizione: fissa lo standard e il resto d’Europa deve adattarsi alla sua scelta (poiché il gioco dell’export non è illimitato e implica che qualcuno importi, chi muove per primo ha partita più facile). La potenza che la Germania accumula durante gli anni dell’euro rende l’impianto varato da Kohl sempre più difficile da ribaltare: troppi i vantaggi sia politici sia economici. Solo ora, con la recessione che non cessa di allargarsi, segmenti della società tedesca cominciano a contare gli svantaggi. Altri due fattori vanno calcolati. Il più rilevante è la riduzione di ruolo della politica che è congenito nel modello adottato: per tutelare i debitori e incentivare l’export, le strategie di bilancio sono sottratte alla politica vincolata al consenso (e quindi incline, in paesi con tradizioni civili diverse da quella tedesca, a una certa indisciplina fiscale) e consegnate a pacchetti di norme assistiti da sanzioni. La politica amputata offre a parti significative delle classi dirigenti europee nuovi spazi d’azione, nonché vantaggi materiali e ideali. Da un lato la burocrazia comunitaria, quale custode delle norme che spingono avanti l’integrazione, accresce competenze, potere, funzione sociale – a scapito del campo di decisione nazionale che appartiene agli elettori. Dall’altro le élite dell’economia trovano un’ideologia che ne agevola e valorizza l’azione, almeno finché il disegno normativo non diventa troppo invadente: l’abbracciano con fervore e la trasformano in una sorta di pensiero ufficiale che per la politica quotidiana diventa sfondo obbligato e, con ciò, vincolo decisivo.Sommate fra loro, élite e burocrazie formano un blocco di forze poderoso che ha fatto un enorme investimento sull’idea dell’integrazione e ora non riesce a concepire un cambio di rotta. Infine il sistema politico: in alcuni paesi, soprattutto quelli in cui l’economia è più debole, preferisce scaricare responsabilità e, con una sovranità economica circoscritta, trovare altrove campi d’azione più favorevoli (diritti vari da tutelare, ambiente). L’ultimo fattore da considerare riguarda i caratteri genetici del modello che l’intuizione anticipatrice di Kohl, l’incomprensione degli altri leader continentali per gli sconvolgimenti degli anni ‘90, l’appoggio entusiasta delle élite hanno messo al comando della politica economica europea. Riflette un’impostazione mercantilista che, come nota Wolfgang Munchau sul “Financial Times”, è una solitaria eccezione tedesca entro il pensiero economico internazionale, ha seri buchi di funzionamento e una singolare carenza di feedback. Non c’è sforzo di correzione in corso d’opera, adattamento plastico alla contingenza: la comprensione è totalizzante, l’impianto razionale del modello non è intaccato dalle smentite empiriche, alla fine i conti tornano soprattutto grazie alla potenza politica e culturale.Paul Krugman parla di «potere infinitamente devastante delle cattive idee», e aggiunge: «Non è tutta colpa della Germania (che…) riesce a imporre le sue politiche deflazioniste soltanto perché gran parte dell’élite europea ha abboccato alla stessa falsa storiella». Honecker, l’ultimo segretario della Sed, il Partito comunista della Germania est, riflettendo in carcere sull’unificazione tedesca, connette la forza delle “cattive idee” a un carattere peculiare della ragione tedesca che definisce «propensione alla totalità». Giacché sottoscrive e specifica: «Utilizzo ai limiti del cinismo di rapporti di forza, rifiuto di compromessi accettabili, convinzione integralistica dell’assoluta superiorità del proprio punto di vista, difesa accanita degli interessi» nazionali. Chi vuole potrebbe rintracciare ascendenze storiche: dopo Bismarck la Germania ha spesso concepito assetti europei centrati su di sé e, come ovvio, sbilanciati nella distribuzione della potenza continentale. La formulazione più articolata si trova nel “Septemberprogramm” del cancelliere Bethmann-Hollweg, che è redatto nel 1914 in piena offensiva della Marna e pone come obiettivo nazionale «la fondazione di una associazione economica mitteleuropea mediante comuni convenzioni doganali con l’inclusione di Francia, Belgio, Olanda, Danimarca, Austria-Ungheria, Polonia, Italia, Svezia e Norvegia».L’associazione, «caratterizzata esternamente da parità di diritti tra i suoi membri ma in effetti sotto direzione tedesca» costituisce, nella visione del suo ispiratore Walther Rathenau, nel 1922 ministro degli esteri a Weimar poi assassinato da estremisti di destra, uno strumento essenziale per consentire alla Germania così rafforzata di mantenere una posizione di potenza mondiale come Stati Uniti, Gran Bretagna e Russia. Finché la scala delle operazioni è limitata al rango nazionale, come nel caso della Germania Est, il modello totalizzante, che implica asimmetria di comando fra chi propone l’impianto mercantilista e chi l’adotta, funziona, anche se con costi alti; quando invece con un salto di dimensione si passa alla scala continentale e il rapporto tra la potenza egemone e le altre non è più una soggezione storicamente confermata ma sfuma in una meno cogente subordinazione politica, come nell’area euro, allora le disfunzioni del modello diventano insuperabili: le divaricazioni fra gli Stati si allargano, la politica riprende spazio e contesta gli algoritmi, lo stallo prevale – in mancanza di strumenti autocorrettivi.Un modello ideale che promette, attraverso successive cessioni di sovranità, l’evaporazione degli Stati nazionali in una prospettiva confederale contrasta con gli interessi vitali che tuttora formano la trama di fondo della politica europea e soprattutto con il sentimento delle popolazioni che oggi collocano la propria sfera di esperienza solo entro la dimensione nazionale. Ma non è solo immobilismo, palude dei comitati e dei vertici: crescono le divisioni dentro la società europea, si estendono crepe e fratture: ideologia ufficiale contro esperienza vissuta, classi dirigenti contro popoli, nord contro sud, algoritmi da applicare rigidamente contro sentimento della contingenza politica. La frantumazione a sua volta rafforza l’inerzia: passi avanti sulla via dell’integrazione sovranazionale, come vorrebbero le élite che sperano di risolvere con l’azzardo della visione ideale i fallimenti operativi, sono rigettati dagli elettori; passi indietro verso una revisione del modello che attenui vincoli troppo stretti, sono avversati dalla potenza egemone e sconsigliati dalle inevitabili difficoltà pratiche. Lo stallo, in quanto esito più facile, alla fine domina e drammatizza lo stato delle cose.(Antonio Pilati, “L’Anschluss secondo Angela”, da “Il Foglio” del 9 dicembre 2014. Il libro: Vladimiro Giacché, “Anschluss – L’Annessione. L’unificazione della Germania e il futuro dell’Europa”, Imprimatur editore, 304 pagine, 18 euro).La riunificazione tedesca è, fra l’altro, un grande esperimento di ingegneria sociale: scompare mezzo secolo di economia totalitaria, prima nazista poi comunista, che è riorganizzata dalle fondamenta e nello stesso tempo adattata in tempi brevissimi a un sistema industriale e finanziario, fortemente strutturato, che preesiste. Un esperimento forse senza precedenti nella storia: rivoluzioni come quella sovietica hanno distrutto l’economia esistente per rifarla ex novo e non per incollarla come appendice a un’altra già funzionante; transizioni complesse come quella cinese hanno introdotto nell’economia novità dirompenti, ma con tempi lunghi e mediazioni sottili quanto estese. Lo smontaggio dell’economia tedesco-orientale non è l’unico esperimento di ingegneria sociale che si svolge in Europa negli anni ‘90: anche se procede con mezzi meno cogenti, la costruzione – a partire dall’adozione della stessa moneta – di un’area economica integrata ha un tratto consimile che consiste nell’idea di riorganizzare una vasta serie di attività industriali e finanziarie secondo un disegno preordinato ad alta intensità ideologica.
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Spaventare la Francia: ieri il petroliere, oggi il banchiere
Certo, c’è ingombro grottesco e mediatico degli jihadisti fanatici, i tagliagole che – nessuno lo ricorda mai – sono stati incoraggiati, protetti, armati e finanziati dall’Occidente e dagli alleati occidentali del Golfo. E si parla come sempre anche dell’immancabile Mossad, campione mondiale della strategia della tensione per sabotare la democrazia in ogni angolo del pianeta. Ma se il principale bersaglio della strage di Parigi fosse un banchiere? Tra le vittime freddate nella redazione di “Charlie Hebdo” c’è infatti anche il professor Bernard Maris, economista e dirigente della Banca di Francia, protagonista di una clamorosa denuncia dell’austerity europea messa in atto dall’oligarchia che tutela il sistema bancario. La morte di Maris segue di pochi mesi quella di Christope de Margerie, numero uno della Total, scomparso il 20 ottobre scorso in uno strano incidente all’aeroporto di Mosca. De Margerie era stato protagonista di un vigoroso braccio di ferro contro le sanzioni da imporre alla Russia: il capo della Total voleva il dialogo, a tutti i costi. Dialogo che lo stesso Hollande aveva provato a riaprire, proprio alla vigilia della strage di Parigi, ipotizzando la revoca delle sanzioni contro Putin.Marco della Luna esplora l’ipotesi della “strage al-banqaidista”, cioè compiuta come “bank aid”, come soccorso alle banche, avente come bersaglio effettivo proprio Maris. Che «mai aveva offeso Allah», ma in compenso aveva attaccato ben altre divinità, interamente europee: «Con le sue ricerche e pubblicazioni, minacciava gli interessi dei creditori-usurai (soprattutto franco-tedeschi) e l’imperialismo finanziario di Berlino in Europa, spiegando che i debiti pubblici sono ingiusti, insostenibili e vanno parzialmente condonati», Soprattutto, continua Della Luna nel suo blog, Maris «aveva confutato e ridicolizzato i dogmi della falsa fede su cui si regge il potere e il profitto dei grandi banchieri: il globalismo, il neoliberismo, la creazione privata del danaro bancario e la mancata registrazione contabile di questa creazione da parte delle banche», quindi anche «la conseguente evasione fiscale per centinaia di miliardi l’anno». Lo stesso Della Luna aveva denunciato il fenomeno in diversi saggi, insieme a Marco Saba, Carlo Sibilia, Nino Galloni e Nicoletta Forcheri: i bilanci delle banche sono falsi, perché non registrano come “attivo” la creazione monetaria.Lo ha dimostrato il professor Richard Werner, in un recente “paper” ufficiale della Bank of England. Werner, che insegna all’università di Southampton, spiega che i prestiti bancari avvengono senza che la banca disponga del denaro che presta, mentre la banca si presenta come intermediaria del credito, basandosi su una massa di depositi. “Smontata” da Werner anche l’altra dottrina, quella della “riserva frazionaria”, secondo cui la banca, per prestare, attingerebbe alle proprie riserve presso la banca centrale. «Che le banche creino “ex nihilo” il grosso del “money supply”», continua Della Luna, «era stato anticipato il 26 marzo scorso da un “paper” della Bank of England, che ha spiegato come le banche creino la moneta bancaria con l’atto e nell’atto del prestarla, “by lending it into existence”, non preesistendo quanto prestato all’atto del prestare». Bernard Maris, sostiene Della Luna, faceva parte di questa comunità internazionale di economisti impegnati per un risveglio democratico dell’economia in Europa, denunciando gli abusi del sistema e le menzogne del potere Ue che impone il declassamento dei cittadini, mendiante austerity e smantellamento dello Stato, privatizzazioni selvagge, precarizzazione del lavoro.La vittima numero uno della tenaglia europeista è lo Stato, visto come “sindacato dei cittadini”, in quanto “prestatore di ultima istanza”. Con l’euro, questa vitale funzione dello Stato è completamente disabilitata: sono solo le banche a “creare denaro dal nulla”, denaro che però non è più “pubblico”, è privato, costa carissimo (debito pubblico) e arricchisce soltanto l’élite finanziaria. Bernard Maris l’aveva denunciato in modo chiaro, attraverso “Charlie Hebdo”. Se ora si aggiunge la sua morte a quella del patron della Total, si può leggere un chiaro disegno per colpire la Francia di Hollande? Secondo Gioele Magaldi, autore dell’esplosivo libro-denuncia “Massoni”, che indica in alcune superlogge mondiali i mandanti dei peggiori crimini, Hollande – che pure si era fatto eleggere per porre fine all’austerity – ha bruscamente riallineato la sua politica al rigore Ue perché sarebbe stato personalmente minacciato di morte. Quando il terrorismo è opaco e manipolato, i boia si assomigliano tutti. E i media mainstream evitano di ricordare che proprio l’Occidente ha “coltivato” i peggiori tagliagole, dall’Afghanistan all’Iraq, passando per la Libia e la Siria. Macellai perfetti, per silenziare un banchiere scomodo e un petroliere di Stato? Perfetti, sicuramente, per terrorizzare la Francia di Hollande, architrave della traballante Ue. Il clima di “guerra” può far digerire ai francesi la disciplina sociale della crisi, e anche il clima di militarizzazione del mondo su cui gli Usa stanno investendo incessantemente, nella loro pericolosa geopolitica del caos che non esita a reclutare i “nemici della civiltà”.Certo, c’è ingombro grottesco e mediatico degli jihadisti fanatici, i tagliagole che – nessuno lo ricorda mai – sono stati incoraggiati, protetti, armati e finanziati dall’Occidente e dagli alleati occidentali del Golfo. E si parla come sempre anche dell’immancabile Mossad, campione mondiale della strategia della tensione per sabotare la democrazia in ogni angolo del pianeta. Ma se il principale bersaglio della strage di Parigi fosse un banchiere? Tra le vittime freddate nella redazione di “Charlie Hebdo” c’è infatti anche il professor Bernard Maris, economista e dirigente della Banca di Francia, protagonista di una clamorosa denuncia dell’austerity europea messa in atto dall’oligarchia che tutela il sistema bancario. La morte di Maris segue di pochi mesi quella di Christope de Margerie, numero uno della Total, scomparso il 20 ottobre scorso in uno strano incidente all’aeroporto di Mosca. De Margerie era stato protagonista di un vigoroso braccio di ferro contro le sanzioni da imporre alla Russia: il capo della Total voleva il dialogo, a tutti i costi. Dialogo che lo stesso Hollande aveva provato a riaprire, proprio alla vigilia della strage di Parigi, ipotizzando la revoca delle sanzioni contro Putin.
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Il terrorismo dei fantasmi che organizza funerali e ipocrisia
L’odio è un film di tanti anni fa, che finisce in un bagno di sangue proprio a Parigi, la città cosmopolita della grande scommessa integrazionista pensata ai tempi della decolonizzazione, quando gli orchi europei facevano ancora ammazzare i ribelli, i patrioti sovranisti non allineati, i Lumbumba, i Sankara, ma a presidiare la democrazia c’erano fior di partiti e sindacati, editori e intellettuali, università e società civile che volevano farla finita con l’ideologia e la pratica della sopraffazione, con l’abominio genocida, parassitario e schiavistico del terzo mondo. Erano già al lavoro le menti raffinatissime della barbarie, ma agivano nell’ombra delle officine bancarie, dell’alchimia finanziaria, per sottrarre alle masse il controllo dello Stato e della moneta. Presto avrebbero avuto bisogno di politici, e ne avrebbero reclutati a migliaia. L’odio, però, ufficialmente era ancora fuori dalla porta. Era il fantasma di Auschwitz, l’ecatombe di Hiroshima, lo spettro nucleare della guerra fredda. Allevati dai vincitori atlantici della Seconda Guerra Mondiale, gli europei coltivavano una loro relativa sovranità di benessere e privilegi grazie al primo welfare del mondo, fondato sul sacro principio in base al quale nessuno deve soffrire, perché non soffra il sistema.L’odio incandescente è quello che preme il grilletto a colpo sicuro e fa fuori il vignettista e il banchiere eretico, ma il suo mandante è l’odio freddo di chi progetta stragi e concepisce il mondo come un teatro da insanguinare costantemente, in modo che non si spenga la paura dei molti e la fiamma dell’odio non si estingua mai. L’odio è una promessa, una minaccia. Una punizione. Esemplare, a Parigi, la punizione degli irriverenti. Una lezione valida per tutti, musulmani e cristiani, mediorientali e occidentali: nessuno può ritenersi al sicuro, specie se ostenta idee spericolate e sciorina sberleffi, se pensa davvero di potersi prendere gioco del potere. La punizione prima o poi arriva, ed è un missile a testata multipla. Terrorizza la cosiddetta opinione pubblica, minaccia una nazione come la Francia e la ricatta, temendo la conversione sovranista del grande paese su cui si fonda l’Unione Europea. Minaccia e ricatta qualunque cittadino occidentale si creda libero. Minaccia e ricatta gli europei, trascinati loro malgrado nell’oscuro braccio di ferro autolesionistico con la Russia del gas. Il terrorismo spegne la democrazia, la ricaccia nella paura. Ed è sempre sporco, opaco e bugiardo, prima ancora che mostruoso e sanguinario.L’odio ha riempito un cimitero mondiale di oppositori, caduti sotto il fuoco dei golpisti, sotto le bombe, sotto il velo di strani incidenti. L’odio parla sempre con una sola voce: dobbiamo tutti avere paura, molta paura. Perché i primi a cadere sono sempre stati quelli che si erano battuti senza risparmio per insegnare all’umanità a non avere paura. Perché il potere ha davvero paura soltanto di chi non lo teme, di chi osa sfidarlo, di chi dimostra che l’oligarchia non è invincibile, sapendo che la storia dell’uomo è millenaria e nessun potere è eterno. Per questo l’odio teme la verità e predilige la menzogna, sfornando narrazioni mancine, fuorivianti, suggestive. I terroristi grotteschi, cavernicoli e deliranti, sono comparsi sulla scena soltanto negli anni ‘90, quando l’equilibrio della guerra fredda si era rotto per sempre. Prima, c’era stato soprattutto il terrorismo irredentista delle lotte di liberazione, sempre rivendicato, collegato a precise cause geopolitiche, l’Ira in Irlanda, l’Eta in Spagna, l’Olp in Palestina. Eserciti clandestini e irregolari, ma non fantasmi come quelli che misero le bombe nelle piazze italiane, sui treni, sugli aerei. L’altro terrorismo, quello dei fantasmi, è diventato improvvisamente internazionale solo dopo la fine dell’Urss, quando il teatro d’azione non era più solo l’Occidente, ma anche e soprattutto il resto del mondo.Oggi, il terrorismo fantasma torna invece nel cortile di casa. E’ comparso negli Stati Uniti, poi si è esteso all’Europa per mani di stragisti isolati, fanatici, pazzi, di cui però poi sono emersi imbarazzanti collegamenti con apparati di polizia e spezzoni di intelligence. Tutto questo, mentre il grande terrorismo – il più estremo e feroce – si è scatenato senza tregua contro le popolazioni civili della Cecenia, della Jugoslavia, dell’Iraq, dell’Afghanistan, contro gli inermi della Siria, i bambini di Gaza, gli abitanti del Donbass persi a cannonate. Chi piange le vittime di “Charlie Hebdo” macellate senza pietà dovrebbe domandarsi da dove viene la barbarie, chi l’ha coltivata. Chi è ben deciso probabilmente ad impiegarla ancora, e sempre di più, nel timore che il mondo si risvegli, che si risvegli la Francia, che si risvegli l’Europa. In Sicilia, ai tempi, si diceva che era sempre del killer la prima corona di fiori sulla bara dell’ucciso, sfregio definitivo alla memoria dell’assassinato e terribile monito per la comunità in lutto: siamo stati noi, e siamo invincibili. Rinunciare all’odio comporta prima di tutto un tributo supremo di verità, di ripudio dell’ipocrisia. Viceversa, si rischia di partecipare al funerale a braccetto coi camerieri dei veri mandanti del delitto, i “ministri dei temporali” pronti a tuonare comodamente contro una barbarie lontana e straniera. In un giallo, il commissario scoprirebbe che quei signori non hanno un alibi: alcuni di loro, la sera prima, erano a cena con l’assassino.L’odio è un film di tanti anni fa, che finisce in un bagno di sangue proprio a Parigi, la città cosmopolita della grande scommessa integrazionista pensata ai tempi della decolonizzazione, quando gli orchi europei facevano ancora ammazzare i ribelli, i patrioti sovranisti non allineati, i Lumbumba, i Sankara, ma a presidiare la democrazia c’erano fior di partiti e sindacati, editori e intellettuali, università e società civile che volevano farla finita con l’ideologia e la pratica della sopraffazione, con l’abominio genocida, parassitario e schiavistico del terzo mondo. Erano già al lavoro le menti raffinatissime della barbarie, ma agivano nell’ombra delle officine bancarie, dell’alchimia finanziaria, per sottrarre alle masse il controllo dello Stato e della moneta. Presto avrebbero avuto bisogno di politici, e ne avrebbero reclutati a migliaia. L’odio, però, ufficialmente era ancora fuori dalla porta. Era il fantasma di Auschwitz, l’ecatombe di Hiroshima, lo spettro nucleare della guerra fredda. Allevati dai vincitori atlantici della Seconda Guerra Mondiale, gli europei coltivavano una loro relativa sovranità di benessere e privilegi grazie al primo welfare del mondo, fondato sul sacro principio in base al quale nessuno deve soffrire, perché non soffra il sistema.
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Magaldi a Grillo: insieme, contro l’élite che minaccia l’Italia
Matteo Renzi è un “wannabe” (contrazione di “want to be”, voler essere) massone, cioè è un uomo che aspira a fare parte non tanto del Grande Oriente d’Italia o di altre comunioni massoniche italiane che hanno un’incidenza mediocre sulle vere dinamiche del potere, ma a una delle Ur-Lodges che stanno guidando i processi di destrutturazione sociale ed economica europea. E sono Ur-Lodges in cui è in gran parte protagonista Mario Draghi, un uomo che viene costantemente osannato dalla grande stampa manipolatoria che tratta gli italiani come bambini deficienti. E invece è un uomo che, bisognerebbe ricordarlo, non solo è padre di questa austerità europea che sta massacrando popoli, ma è colui che ha gestito le grandi privatizzazioni all’italiana che sono state una svendita, a favore di amici e amici degli amici, di importanti asset pubblici della nostra nazione. Se non fossero stati dei bambinoni deficienti, gli italiani non avrebbero accolto con le fanfare Monti, Letta, Renzi. Monti appartiene alle aristocrazie massoniche delle Ur-Lodges. Enrico Letta è un paramassone di rango, non è stato mai ammesso nel santa sanctorum delle superlogge più importanti ma è sempre stato al loro servizio in modo subalterno e ancillare.Le dimissioni Napolitano sono state, da qualcuno, messe anche in connessione con questa operazione editoriale che noi abbiamo lanciato (il libro “Massoni”, edito da Chiarelettere). Questa nostra operazione, unita ad altre, ha creato molti nervosismi. Questi fattori, naturalmente insieme ad altri, hanno indotto Napolitano a dimettersi. Il sostituto di Napolitano? Noi vigileremo, perché nel libro si parla non soltanto di massoneria aristocratica, quella che gestisce da 30-40 anni i grandi processi di globalizzazione e di insana costruzione europea, ma si parla anche di riscatto delle Ur-Lodges progressiste, l’ambiente democratico, di cui sono un “gran maestro”. Noi vigileremo su chi sarà il prossimo inquilino del Colle. In termini democratici, limpidi e trasparenti diremo di evitare che vada al Quirinale un altro personaggio nefasto come Napolitano. Se uno guarda l’Ur-Lodge a cui appartiene Napolitano e ne vede la storia, non esce benissimo uno che, come lui, è stato appartenente fino al 1978. Il prossimo presidente non sarà però influente e importante come lo è stato Napolitano, perché i tempi sono cambiati e la gente inizia ad aprire gli occhi e le orecchie. Prodi? E’ senz’altro parte del network massonico sovranazionale, in termini perfino clamorosi e insospettabili.Il “Movimento 5 Stelle”? E’ nato su esigenze molto importanti e utili, avrebbe da modificare alcune cose. Ha poi un problema interno di articolazione democratica e liberale. Noi stiamo fondando un movimento metapartitico che quindi non chiederà il consenso e non sarà concorrente né del Movimento 5 Stelle né di altri partiti, ma vuole riunire tutti i progressisti italiani ed extra-italiani, europei, per cambiare paradigma in Italia, in Europa e nel mondo, in questa cattiva globalizzazione. Questo movimento si chiama “Movimento Roosevelt” e vedrà la luce tra gennaio e febbraio 2015. Riunisce massoni e non massoni, purché accomunati da una vocazione progressista. Il nome “Movimento Roosevelt” richiama la dichiarazione dei diritti umani patrocinata da Eleanor Roosevelt, richiama la grande lezione del New Deal di Franklin Delano Roosevelt e la lezione economica di John Maynard Keynes, dimenticata in questa Europa tutta quanta friedmaniana e basata sui principi di un neoliberismo feroce e anche ottuso, se non fosse che è un neoliberismo in malafede, è fatto apposta, con le sue valide declinazioni per destrutturare la società europea, i suoi principi di welfare la sua prosperità.La massoneria rivendica la costruzione delle società aperte, libere, democratiche, e del pluralismo di informazione. Anche le lamentele sullo svuotamento di sostanzialità, la democrazia contemporanea, si possono fare, oggi, perché qualcuno in passato l’ha inventata, la democrazia: la democrazia e la libertà non le ha portate la cicogna, ma i massoni progressisti. L’opinione pubblica media, non solo italiana, purtroppo è facilmente manipolata dai grandi mezzi di informazione, concentrati nelle mani di editori non puri in gran parte, e questo è un caso eclatante per l’Italia. Da noi c’è poca editoria pura, il Quarto Potere che controlli gli altri tre poteri non esiste perché giornali e televisioni sono in mano a signori che hanno anche banche, assicurazioni e altri interessi industriali o finanziari. Agli italiani, e non solo a a loro, viene fatta una narrazione delle cose che prepara poi l’arrivo con le fanfare di personaggi come Monti e Letta e poi anche di Renzi che è un grande affabulatore molto più carismatico e vendibile di Monti e Letta, ma che nella sostanza ha proseguito le stesse politiche recessive e distruttive dell’interesse pubblico.Invito il “Movimento 5 Stelle” e i suoi dirigenti ad abbeverarsi, perché faremo una scuola di alta formazione politologica: faremo una Fondazione Roosevelt con interventi importanti di welfare sul territorio europeo per dimostrare che la politica dovrebbe essere intervento sulle cose, sui territori, riunendo le persone di sano intelletto e buona volontà anche di diversi schieramenti. Ma vorrei dare un ultimo consiglio agli ispiratori e ai gestori del “Movimento 5 Stelle”: accettino l’idea che non si possono abolire i partiti, e che l’alleanza tra diversi, pur mantenendo la propria identità, è l’unica possibilità di ridare sostanza alla democrazia italiana e non solo italiana. Se il “Movimento 5 Stelle” accetterà di dialogare e di allearsi con chi li considera il meno peggio nel panorama politico italiano, noi potremo avere una svolta politica importante, altrimenti si rischia di congelare milioni di voti che credono e hanno creduto, giustamente, al Movimento 5 Stelle come fattore di rinnovamento.(Gioele Magaldi, dichiarazioni rilasciate al blog di Beppe Grillo per il “Passaparola” del 5 gennaio 2015).Matteo Renzi è un “wannabe” (contrazione di “want to be”, voler essere) massone, cioè è un uomo che aspira a fare parte non tanto del Grande Oriente d’Italia o di altre comunioni massoniche italiane che hanno un’incidenza mediocre sulle vere dinamiche del potere, ma a una delle Ur-Lodges che stanno guidando i processi di destrutturazione sociale ed economica europea. E sono Ur-Lodges in cui è in gran parte protagonista Mario Draghi, un uomo che viene costantemente osannato dalla grande stampa manipolatoria che tratta gli italiani come bambini deficienti. E invece è un uomo che, bisognerebbe ricordarlo, non solo è padre di questa austerità europea che sta massacrando popoli, ma è colui che ha gestito le grandi privatizzazioni all’italiana che sono state una svendita, a favore di amici e amici degli amici, di importanti asset pubblici della nostra nazione. Se non fossero stati dei bambinoni deficienti, gli italiani non avrebbero accolto con le fanfare Monti, Letta, Renzi. Monti appartiene alle aristocrazie massoniche delle Ur-Lodges. Enrico Letta è un paramassone di rango, non è stato mai ammesso nel santa sanctorum delle superlogge più importanti ma è sempre stato al loro servizio in modo subalterno e ancillare.
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Walking Dead, zombie cannibali: siamo carne da macello
Conosco molte persone che non hanno nessun interesse a guardare la televisione perché il 99% dei programmi è spazzatura o propaganda politica da parte del governo. Solo l’1% propone le tematiche più profonde e gli stati d’animo presenti nella nostra società. Gli show televisivi come “Breaking Bad”, “Game of Thrones” e “The Walking Dead” riflettono lo stato d’animo deprimente dell’incalzante “Fourth Turning”. In aprile ho scritto uno dei miei articoli più pessimisti, intitolato “Welcome to Terminus”, benvenuti a Terminus, riguardo alla fine della quarta serie di “Walking Dead”. In sintesi argomentavo che ci stiamo avvicinando alla fine del mondo e che il mondo stesso diventerà odioso. Nei sei brevi mesi da quando ho scritto questo deprimente articolo, abbiamo visto nei video di YouTube uomini decapitati da parte di terroristi di cui non si sapeva nemmeno l’esistenza a inizio anno. È stata messa in piedi alla buona una banda di 30.000 terroristi musulmani che usa le armi militari americane fornite per combattere Assad in Siria e sottratte dalle forze armate irachene quando hanno tagliato la corda e sono scappate via; sono stati in grado di sconfiggere 600.000 combattenti iracheni e curdi che avevano l’appoggio da parte della grandiosa forza aerea americana.La Siria, l’Iraq, la Libia e l’Afghanistan crollano verso una guerra religiosa senza fine. Abbiamo addirittura passeggeri aerei che spariscono misteriosamente in Asia senza lasciare traccia. La Crimea si è staccata dall’Ucraina per appartenere alla Russia ed è stato messo in moto un piano da parte delle potenze occidentali per punire la Russia. L’America supporta e pianifica un rovesciamento da parte di un governo eletto democraticamente in Ucraina. Abbiamo assistito al “false flag” dell’abbattimento di un aereo di linea sopra l’Ucraina da parte del governo ucraino, del quale vengono accusati la Russia e Putin da Obama e dai suoi complici europei. Le agenzie di media portavoce americane hanno ignorato l’occultamento delle trasmissioni di controllo mancanti, le registrazioni della scatola nera e gli indizi evidenti della morte di centinaia di persone innocenti per mano di politici europei. Israele e Hamas hanno ripreso la loro infinita guerra religiosa a Gaza causando migliaia di vittime e distruzione.L’Inghilterra intimorita dalla guerra e dalle minacce finanziare a stento si accorge della secessione della Scozia. La Catalogna continua a premere per un voto di secessione per lasciare la Spagna. Proteste violente sono scoppiate in Spagna, Italia, Francia e anche in Svezia. Turbolenze, proteste e rivolte in Brasile, Venezuela, Argentina e in Messico sono germogliate a causa della rabbia per la corruzione politica, per l’inflazione e per un generale malfunzionamento dell’economia. Si è alzato un polverone tra Cina e Giappone e i giovani di Hong Kong sono scesi in piazza a protestare per la scarsa democrazia concessa dalla Cina nelle elezioni. L’economia mondiale, che subisce il venir meno dello stimolo da parte della banca centrale, sta tornando in una fase di recessione con Germania, Cina e Stati Uniti che si uniscono al declino economico del resto del mondo. E ora, in Africa occidentale scoppia l’Ebola che si è già sparsa in tutto il mondo con la previsione di un’epidemia che potrebbe portare il pianeta in un caos completo.Quello che sta succedendo nel mondo reale rende lo zombie distopico di “Walking Dead” un essere quasi bizzarro. Con un uso brillante del simbolismo e dell’arte figurativa, gli autori di questo show catturano il mondo nella sua essenza violenta, caotica, inumana, deprimente e brutale come il periodo di crisi “Fourth Turning” nel quale siamo entrati nel 2008 e che si intensifica di giorno in giorno. C’è una buona ragione per cui il primo episodio della quinta stagione ha stabilito il record di ascolti nella storia della Tv via cavo. La serie sta chiaramente prendendo a piene mani dallo stato d’animo che pervade la massa. Prima, nell’ultimo episodio della serie precedente, ci si rende conto che Terminus è diventato un centro di produzione gestito dai cannibali. La linea di confine tra vittime e criminali, tra preda e cacciatore, tra male e bene, tra follia e sanità mentale, tra morale e immorale ha contorni sfumati e indefiniti. Tutto diventa relativo, nel mondo post-apocalittico di “Walking Dead”.Vedere i cannibali di Wall Street andarsene indenni dopo aver divorato il sistema economico mondiale nel 2008 con i loro calcoli finanziari fraudolenti, vedere i politici corrotti arricchitisi buttando coloro-che-pagano-le-tasse sotto un autobus, le forze di polizia calpestare il Quarto Emendamento, la Nsa sorvegliare ogni cittadino americano, una banca centrale privata arricchire i suoi azionisti facendo transitare migliaia di miliardi nelle loro camere blindate, un presidente calpestare la Costituzione emanando ordini che scavalcano gli altri rami del governo e ancora miliardi di frodi, fiscali e del welfare, dai ghetti urbani fino alle suite-attico di New York; tutto ciò ha convinto gran parte degli americani che tutto sia relativo e che niente importi davvero nel nostro mondo distopico e corrotto. Giusto e sbagliato non contano più. La morale è un concetto antico. La fedeltà alla Costituzione è una consuetudine fuori moda. La nostra società inneggia e accetta il paradigma dell’homo homini lupus. O lo zombie che mangia qualsiasi cosa, nel caso di “Walking Dead”.La comunità Terminus ricorda il campo di concentramento nel film Shindler’s List. Ci sono addirittura vagoni per i prigionieri, cancelli con filo spinato, guardie armate e un numero infinito di attrezzature per “processare” i prigionieri. Un fitto fumo nero impregna l’aria. C’è una stanza piena della refurtiva ben impilata, orsacchiotti, orologi, vestiti di tutto tranne le otturazioni d’oro. La precisione e l’attenzione al dettaglio tanto cara ai nazi si riflettono nel metodo professionale con cui gli amministratori di Terminus stanno per divorare le loro prede. La raccapricciante efficienza e l’ambiente antisettico dell’impianto di preparazione evocano il ricordo delle camere a gas dell’Olocausto. La scena iniziale quando Rick, Daryl, Glenn e Bob sono in mezzo a un gruppo di uomini in fila pronti per essere sventrati come maiali, attorno a una mangiatoia in attesa che venga raccolto il loro sangue, può essere a buon diritto una delle scene più terribili mai messa in onda sulla Tv via cavo.Il modo freddo e spietato in cui i prigionieri (la carne da macello) sono allineati di fronte a un’inossidabile mangiatoia d’acciaio è sconcertante e agghiacciante. Le vittime sono colpite con una mazza da baseball e le loro gole vengono squarciate da uomini con tute protettive. Non sono diventati altro che carne pronta per essere macellata e consumata dai cannibali di Terminus. In un’ altra parte dell’impianto di “macellazione” si vedono essere umani appesi a dei ganci esattamente come pezzi di carne. Gareth, il leader di Terminus, supervisiona l’operazione come un perfetto amministratore delegato, rimproverando i macellai per non essere arrivati alla quota stabilita e per non aver seguito le procedure standard. Situazione non molto diversa da come vengono gestite le grandi aziende oggigiorno. L’altra affascinante similitudine tra il distopico “incubo del volere” rappresentato in Terminus e il nostro moderno distopico “regno dell’eccesso” è l’uso di una pubblicità falsa e una propaganda che induce i consumatori in trappola.La loro versione dei cartelloni pubblicitari era compensata da messaggi scritti a mano della serie “Un rifugio per tutti”, “Una comunità per tutti” e “Coloro che arrivano sopravvivono”. I cannibali di Terminus si sarebbero trovati benissimo in Madison Avenue con gli artisti Spinart meglio pagati, i divulgatori e le puttane per gli oligarchi delle banche. I cartelli lungo le rotaie e le trasmissioni radio da parte di un call center mostrano la business efficiency con cui i cannibali conducono le loro vittime al macello. È la stessa tecnica utilizzata dagli apostoli di Edward Bernays per manipolare in maniera consapevole e intelligente le abitudini, le opinioni, i gusti, le idee e le azioni delle masse per poterle controllare in ciò che comprano e nelle decisioni di voto e per sostenere le loro regole. Gli uomini invisibili che costituiscono il “governo invisibile” prediligono la tecnica di mantenere il bestiame docile, fedele e ignorante dato che lo porteranno al macello.Il governo e l’assenza di governo sono il torbido retroscena di come e perché gli Stati Uniti siano finiti nel mondo infetto di “Walking Dead”. Questo episodio fornisce alcuni indizi su come i laboratori del governo producano virus come armi da usare contro non meglio definiti nemici. L’insinuazione che traspare nel racconto è che il governo abbia in qualche modo perso il controllo del virus e che la conseguente pandemia abbia distrutto il mondo moderno lasciando i sopravvissuti a combattere contro gli zombie per il poco che è rimasto. Il governo federale ha causato il collasso della società ed è assente ed introvabile nel momento in cui bisogna ricostruire la nazione. Non è chiaro come l’apocalisse finisca, ma si può immaginare che inizi con paura, la quale porta al panico, al caos, al crollo economico, a uno sconvolgimento violento, alla guerra, a un totale collasso dell’autorità e del controllo da parte del governo. Si può leggere dell’ironia nel fatto che la paura che l’Ebola diventi un’epidemia pandemica coincide con un’inevitabile implosione economica, con le guerre che risuonano in Medio Oriente, con le violente proteste in tutto il mondo, e con la fiducia nell’autorità dei governi che crolla in un solo momento.“Walking Dead” ha intenzionalmente o meno catturato l’essenza della nostra epoca turbolenta. Quando si affrontano circostanze disperate, o si fa tutto il possibile per sopravvivere o si accetta sommessamente il proprio destino e si muore. Gareth e la sua schiera di cannibali sono nella stessa situazione, così come Rick e i suoi, ma sono riusciti in qualche modo a cambiare la situazione dei loro carcerieri. Nella comunità di Gareth la sopravvivenza del più forte era secondo il motto “o sei il macellaio o sei carne da macello”. L’essere umano reagisce in modi diversi a una forte pressione e alle situazioni di minaccia che capitano nella vita. Alcune persone vengono annientate e diventano dei mostri, come Gareth. Alcuni vengono annientati e perdono la testa. Altre, come Rick e Carol, mettono insieme una grande forza interiore per fare tutto il possibile per sopravvivere cercando di mantenere il loro buon senso. Altri si convertono in ciechi sostenitori di un leader forte senza mettere in discussione la morale, la legalità e il buon senso di quello che sono chiamati a fare. La linea tra ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, tra ciò che è necessario e non necessario, tra la vendetta e la giustizia, tra il macellaio e la carne da macello appare sfumato in un mondo senza regole, governo e norme accettate.Credo che l’analogia del macellaio e della carne da macello sia purtroppo un valido memo del mondo nel quale stiamo vivendo. Nel mondo di “Walking Dead” gli individui devono scegliere tra il macellaio o la carne da macello. È un mondo darwiniano costituito da coloro che uccidono e da coloro che vengono uccisi. Gli individui solidali con valori e obiettivi comuni formano una comunità e cercano di portare un ordine nel mondo caotico in cui vivono. La comunità di Westbury, presieduta dal governatore e la comunità di Terminus, diretta da Gareth, sono fondate sul male e alla fine sono distrutte. La comunità di Rick è costituita da guerrieri liberi che fanno il necessario per sopravvivere, ma controllano la loro umanità, dignità e il loro desiderio di creare un mondo migliore. Il mondo nel quale viviamo oggi potrebbe non essere brutale come quello di “Walking Dead”; e anche se il confine tra la realtà e la finzione è spesso indefinibile quando si sfogliano i giornali, quello tra macellaio e carne da macello è chiaro.I governanti eletti e non eletti dello Stato sono i macellai, sono coloro che spediscono fuori dal paese i giovani a morire per compagnie di petrolio e trafficanti d’armi, coloro che impoveriscono il popolo attraverso l’inflazione e il controllo sulla moneta e allo stesso tempo si arricchiscono attraverso il completo controllo della politica, della finanza, della giustizia e dei sistemi economici. Questa classe dirigente, o governo invisibile come lo descrive Bernays, è dedito al proprio arricchimento e alla perpetuazione. Il suo scopo, le risorse finanziarie, e la ricchezza globale lo pongono di per sé dalla parte dei predatori. La gente comune rappresenta la carne da macello. Ci stanno tenendo buoni con un’incessante propaganda da parte dei media principali; i messaggi pubblicitari su Madison Avenue; siamo nutriti con dati economici filtrati, aggiustati, manipolati da parte delle agenzie statali; un infinito rifornimento di iGadgets e altre distrazioni elettroniche; l’educazione statale organizzata per mantenerci ignoranti; 24 ore al giorno, 7 giorni su 7 di reality show su seicento canali diversi per tenerci occupati; cibo tossico e industriale per tenerci obesi e mansueti; e una scorta infinita sull’indebitamento di Wall Street per tenerci intrappolati nelle nostre stesse ali senza speranza di scappare. Lo Stato macellaio ha mantenuto il controllo per decadi, ma stiamo entrando in una nuova era.Il libro “The Fourth Turning” fa capire che i ruoli sono cambiati e questa volta tocca ai macellai. Un po’ di bestiame da macello si sta svegliando dallo stupore. Riescono a vedere il sangue delle scritte nelle mura del macello. Chiunque non stia vedendo un cambiamento drammatico nel proprio stato o è uno zombie senza coscienza o un funzionario dello Stato. Le bravate finanziarie della classe alta non si stanno rivelando altro che un schema Ponzi costruito sulle fondamenta del debito e sostenuto da delusione e ignoranza. Quando the House of Cards crollerà in futuro, il gioco cambierà. Quando le persone non avranno più niente da perdere, andranno fuori di testa. I macellai diventeranno la carne da macello. Non ci sarà riparo per questi uomini del male. Il loro regno del male verrà spazzato via in un turbinio di castigo morte e distruzione. Ciò potrebbe anche rendere “The Walking Dead” una passeggiata nel parco, a confronto.(“Benvenuti a Terminus”, intervento pubblicato il 16 ottobre 2014 da “The Burning Platform”, blog gestito da Jim Quinn, e tradotto da “Come Don Chisciotte”; ripetuti i riferimenti al libro “The Fourth Turning”, dei sociologi William Strauss e Neil Howe).Conosco molte persone che non hanno nessun interesse a guardare la televisione perché il 99% dei programmi è spazzatura o propaganda politica da parte del governo. Solo l’1% propone le tematiche più profonde e gli stati d’animo presenti nella nostra società. Gli show televisivi come “Breaking Bad”, “Game of Thrones” e “The Walking Dead” riflettono lo stato d’animo deprimente dell’incalzante “Fourth Turning”. In aprile ho scritto uno dei miei articoli più pessimisti, intitolato “Welcome to Terminus”, benvenuti a Terminus, riguardo alla fine della quarta serie di “Walking Dead”. In sintesi argomentavo che ci stiamo avvicinando alla fine del mondo e che il mondo stesso diventerà odioso. Nei sei brevi mesi da quando ho scritto questo deprimente articolo, abbiamo visto nei video di YouTube uomini decapitati da parte di terroristi di cui non si sapeva nemmeno l’esistenza a inizio anno. È stata messa in piedi alla buona una banda di 30.000 terroristi musulmani che usa le armi militari americane fornite per combattere Assad in Siria e sottratte dalle forze armate irachene quando hanno tagliato la corda e sono scappate via; sono stati in grado di sconfiggere 600.000 combattenti iracheni e curdi che avevano l’appoggio da parte della grandiosa forza aerea americana.
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Grillini, ragionate: sono ben altri i ladri del nostro futuro
Fin dagli albori ho seguito con attenzione genesi ed evoluzione del “Movimento 5 Stelle”, avanguardia italiana capace di cristallizzare un moto di ribellione e di protesta oramai estesosi, con declinazioni differenti, in tutto il Vecchio Continente. La perversa alleanza che unisce in funzione pro-austerity i vertici del Partito Popolare Europeo con i pari grado del Partito Socialista, non poteva infatti alla lunga non provocare l’esplosione elettorale di nuovi partiti e movimenti in grado di incanalare il crescente malcontento nei confronti di un establishment considerato a ragione corrotto e infingardo. “Podemos” in Spagna, Syriza in Grecia, il Front National in Francia e l’Ukip in Inghilterra, solo per fare gli esempi più evidenti, sono termometri diversi che registrano però la capillare e omogenea diffusione ad ogni latitudine degli stessi identici sentimenti: ovvero rabbia, disillusione e sfiducia nei confronti delle forze politiche “tradizionali”. In questo campo, oggettivamente, il “Movimento 5 Stelle” può orgogliosamente affermare di avere aperto una breccia e indicato una strada.Per queste ragioni, pur non sfuggendomi alcuni evidenti limiti ontologici, avevo in passato più volte invitato ai miei lettori a votare per i pentastellati. Non accordare consenso ai partiti che hanno sostenuto governi come quello di Mario Monti è il primo, insufficiente, passo per raggiungere una libertà che cammini sulla ali della consapevolezza. Limitarsi però ad evidenziare le aberrazioni altrui senza contestualmente costruire una alternativa politica credibile, coerente e ideologicamente orientata è prassi sterile e in prospettiva perdente. Renzi, ennesimo curatore fallimentare nominato premier dal presidente Napolitano (quest’ultimo in forza alla Ur-Lodge “Three Eyes” fin dal 1978), è riuscito a “svuotare” in parte il bacino elettorale del Movimento di Grillo e Casaleggio, sfidandoli proprio sul loro terreno: quello delle retorica contro la Casta, gli sprechi, i corrotti e altre simili amenità, non a caso alimentate e fomentate dai giornali di regime fin dai tempi di Mani Pulite.La Rottamazione di Renzi rappresenta nulla di più che l’evoluzione, perfezionata e politicamente corretta, del già rodato “tutti a casa” di grillina memoria. Al sistema schiavista dominante, quello che parla per bocca di ectoplasmi con la penna che creano ad arte finti mostri come lo spread e il debito pubblico, interessa poco della sorte personale dei diversi burattini che si alternano al governo del paese; ai padroni veri, quelli che operano all’interno dei templi più esclusivi ed occulti, interessa soltanto che non vengano messi in discussione i paradigmi concettuali che legittimano la prosecuzione di politiche antisociali e disumane. Per queste ragioni, tempo fa, rimasi inorridito nel leggere una intervista rilasciata da Casaleggio al “Fatto Quotidiano” contenente un indiscriminato attacco alla spesa pubblica degno di un Enrico Letta qualsiasi. Perché mai, mi chiesi allora, il “Movimento 5 Stelle” sceglie una narrazione dei fatti terribilmente simile a quella recitata dai vari Napolitano, Renzi e Merkel? E’ possibile si tratti di una opposizione di comodo, nata cioè con lo specifico intento di fornire agli altri una buona scusa per formare all’infinito governi consociativi ed etero-diretti dall’esterno?Questo rovello mi ha inseguito fino al 5 gennaio scorso, giorno in cui il blog di Grillo ha deciso coraggiosamente di pubblicare una riflessione di Gioele Magaldi, leader del movimento massonico di opinione Grande Oriente Democratico nonché autore del fortunato libro “Massoni” (Chiarelettere editore). Solo degli uomini liberi, infatti, possono permettersi di rilanciare le tesi di Magaldi senza dover chiedere il preventivo consenso del “maestro venerabile” di turno. E Grillo e Casaleggio, evidentemente, appartengono alla categoria degli uomini e non a quella, nutritissima, dei quaquaraquà. Certo, dopo anni passati a dispensare letture delle realtà molto semplificate, non sarà agevole spingere i militanti e i simpatizzanti del “Movimento 5 Stelle” ad abbracciare immediatamente una dimensione politica più articolata. Sono comunque certo del fatto che le tante sottili intelligenze che animano il Movimento di Grillo colgono l’impellente necessità di uno scatto in avanti.Non a caso, anche oggi, dimostrando una lodevole apertura mentale, Grillo ha pubblicato sul suo blog un articolo chiaramente e positivamente influenzato dalla fruttuosa lettura del libro “Massoni”. Nelle more del summenzionato pezzo, infatti, Grillo scrive: «Il miglioramento rispetto ai picchi dello spread di novembre 2011 pilotato per cacciare Berlusconi e imporre Monti e la sua “Three Eyes” in grembiulino…», dando perciò prova di avere già indossato le pregiate lenti offerte da Magaldi. Giusto per essere precisi, è bene sottolineare come Mario Monti risulti organico tanto alla superloggia “Babel Tower”, quanto alla Gran Loggia Unita d’Inghilterra. Alla Ur-Lodge “Three Eyes”, invece, fondata da Kissinger, Brzezinski e David Rockefeller nel 1967, è affiliato fin dall’aprile del 1978 il nostro presidente della Repubblica Giorgio Napolitano (ma non Mario Monti). Ma questi sono dettagli. Il dato davvero importante è quello che testimonia come oggi, in Italia, esista una forza politica importante che conserva la libertà di chiedere conto al sistema dominante di fatti e dinamiche decisive, graniticamente silenziate da un circuito mediatico omertoso che invoca implicitamente un oblio che mai otterrà.(Francesco Maria Toscano, “Il Movimento 5 Stelle è perfezionabile, ma è guidato da uomini liberi”, da “Il Moralista” del 9 gennaio 2015).Fin dagli albori ho seguito con attenzione genesi ed evoluzione del “Movimento 5 Stelle”, avanguardia italiana capace di cristallizzare un moto di ribellione e di protesta oramai estesosi, con declinazioni differenti, in tutto il Vecchio Continente. La perversa alleanza che unisce in funzione pro-austerity i vertici del Partito Popolare Europeo con i pari grado del Partito Socialista, non poteva infatti alla lunga non provocare l’esplosione elettorale di nuovi partiti e movimenti in grado di incanalare il crescente malcontento nei confronti di un establishment considerato a ragione corrotto e infingardo. “Podemos” in Spagna, Syriza in Grecia, il Front National in Francia e l’Ukip in Inghilterra, solo per fare gli esempi più evidenti, sono termometri diversi che registrano però la capillare e omogenea diffusione ad ogni latitudine degli stessi identici sentimenti: ovvero rabbia, disillusione e sfiducia nei confronti delle forze politiche “tradizionali”. In questo campo, oggettivamente, il “Movimento 5 Stelle” può orgogliosamente affermare di avere aperto una breccia e indicato una strada.
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Io non sono Charlie, che è complice dei nostri veri assassini
Qui solo qualche veloce considerazione. L’attentato ha colpito un bersaglio perfetto per alimentare di magma vulcanico la “guerra al terrorismo”, tirarci dentro milionate di boccaloni destri e sinistri a sostegno di guerre e “misure di sicurezza”, fornire benzina ai piromani dell’universo mediatico e politico globalizzato. Tutto nel nome di quella sacra “libertà di stampa”, simbolo della nostra superiore civiltà, rappresentata da noi da becchini della libertà di stampa come la Botteri, Pigi Battista, Calabresi, Gramellini, Mauro, Scalfari e, nel resto dell’emisfero, da presstituti solo un tantino meno rozzi di questi. Un verminaio ora rimescolato e infoiato da un evento che gli dà la possibilità di coprire la propria abiezione con nuovi spurghi di odio e menzogne. “Charlie Hebdo” è una rivista satirica che ha la sua ragion d’essere nell’islamofobia, cioè nella guerra imperiale al “terrorismo” e contro diversi milioni di cittadini francesi satanizzati perché con nome arabo.Accanita seminatrice di odio antislamico, beceramente razzista, un concentrato di volgarità, vuoi di solleticamenti pruriginosi (Wolinski), vuoi da ufficio propaganda dei macellai di musulmani, al servizio del suprematismo euro-atlantico-sionista e, dunque, vessillo della civiltà occidentale a tutti cara, pure alle banche. Tanto che queste la salvarono dal fallimento e le infilarono economisti di vaglia, come Bernard Maris, pure dirigente nel Consiglio Generale della Banca di Francia. Rientra in questo ordine di cose l’entusiasmo con cui il mattinale ha accolto l’opera del sodale Michel Houellebecq, celebratissimo e ora protettissimo romanziere, il cui capolavoro, “La sottomissione”, è uscito in felice sincronismo con l’attentato. La sottomissione deprecata per tutte le centinaia di pagine è quella dell’Occidente che ha “rinunciato a difendere i suoi valori” e “ha ceduto all’Islam, la più stupida delle religioni”. Non meraviglia che, sul “Il Fatto Quotidiano”, il vignettista Disegni solidarizzi con i colleghi parigini e, in particolare, con il già citato amico e maestro Wolinski.Chissà perché m’è venuto in mente il giorno, al tempo del disfacimento Nato della Jugoslavia, quando collaboravo a una sua rivista, in cui Disegni mi cacciò dal giornale, spiegandomi che non poteva tollerare nel suo giornale uno che stava dalla parte dei serbi. House Organ di sinistra, con altri (“Libération”, “Le Monde”), dei servizi segreti franco-israeliani, è anello fintamente satirico della catena psicoterrorista che ci deve ammanettare tutti e trascinarci convinti alla guerra contro democrazia e resto del mondo. L’attentato parigino, preceduto dagli altri tre grandi episodi della campagna per il Nuovo Ordine Mondiale, Torri Gemelle-Pentagono, metrò di Londra, ferrovia di Madrid (ma noi siamo stati gli antesignani: Piazza Fontana, Italicus, Brescia, Moro, le bombe del mafia-regime), si inserisce alla perfezione nella storia del terrorismo “false flag”. Minimo, o massimo, comune denominatore, un cui prodest che si risolve immancabilmente a vantaggio della vittima conclamata e a esiziale detrimento dei responsabili inventati.L’apocalisse scatenata dal capitalismo terrorista in tutto il mondo, come di prammatica anche stavolta è stata firmata dall’urlo Allah-U-Akbar. Prova inconfutabile di chi siano i mandanti, no? A prima vista, l’operazione rientra nella campagna di destabilizzazione dell’Europa che, attraverso sfascio economico-sociale, conflitti interetnici e misure di “sicurezza”, deve rafforzare la marcia verso Stati di polizia, politicamente ed economicamente assoggettati all’élite sovranazionale, ma controllati da proconsoli e signori incontrastati della vita dei loro sudditi. Si possono individuare due motivazioni specifiche: una punizione USraeliana a Hollande, che non si era peritato di invocare la revoca delle sanzioni al mostro russo, inaccettabile incrinatura del blocco bellico del Nuovo Ordine Mondiale (avviso alla Merkel e ad altri devianti), con effetti a lungo termine di disgregazione sociale e conflitto inter-etnico; oppure un contributo della casta antropofaga francese, in questo caso concordato con i padrini d’oltremare, alla guerra infinita esercitata, fuori, contro le colonie recuperande (Mali, Chad, Rca, Maghreb) e, a casa, contro il cuneo sociale islamico e l’insubordinazione di massa che compromettono le mire dei correligionari dei maestri di Tel Aviv, Hollande, Fabius, Sarkozy, Lagarde.Pensate alle ricadute della carneficina “islamista” di Parigi, ascoltate gli ululati delle mute di sciacalli che per un bel po’ avranno modo di cibarsi di cadaveri della verità. Quante ragioni di più avranno, agli occhi dei decerebrati dai media, i trogloditi nazifascisti e razzisti che si aggirano in sparuti ma vociferanti drappelli per l’Europa, e sono tanto utili a spostare il giudizio di estrema destra, di fascismo, dalla classe dirigente a queste bande di manipolati. Quanto si attenuerà la protesta per le immonde condizioni dei migranti invasori. Quanto ne saranno rafforzati l’impeto e l’impunità degli addetti alla repressione di “corpi estranei”, come dei dissidenti autoctoni: Ilva, Tav, Tap, Trivelle, basi militari, disoccupazione, miseria, Renzi che toglie gli ultimi lacciuoli ai grandi evasori (avete visto che chi guadagna di più potrà evadere di più) e a quelli in cui era stata costretta l’inclinazione a delinquere di Berlusconi. Sempre più degna dei suoi antichi e recenti titolari, si ergerà una civiltà partorita dai roghi e dagli squartamenti di mille Torquemada, dalle crociate da mille anni mai interrotte, dalla guerra infinita, dal dio bliblico, il più sanguinario e protervo della storia.Bonus aggiuntivo, la distrazione di massa occidentale dalla dittatura neoliberista in progress, dal genocidio sociale euro-atlantico e dalle guerre militari ed economiche che portano avanti. La distrazione, da noi, dalle canagliate, una dopo l’altra, che ci infliggono il ciarlatano zannuto e le sue risibili ancelle. Tutto questo si ripete nei secoli della tirannia feudalcapitalista, monotonamente e anche con trasparente pressapochismo, salvaguardato, però, dalle coperture mediatiche. Coperture nelle grandi occasioni condivise con passione sfrenata dal “Manifesto”: mobilitati tutti i furbi e i naives della redazione e del suo cerchio magico per ben 13 articoli fiammanti per 6 pagine, fotone e vignette, in difesa della libertà di stampa offesa. Ce ne fosse uno, tra questi pensosi guru del politically correct, che, sulla scorta di una storia clamorosa di “false flag” padronali, da Pearl Harbour al Golfo del Tonchino, dallo stesso 11 Settembre al piano del Pentagono (Northwoods) di far saltare per aria, sotto etichetta cubana, palazzi governativi negli Usa e abbattere un aereo di studenti statunitensi nel cielo dell’Isola, avesse osato un assolo problematico, dubbioso.Gli autori dell’eccidio, veri professionisti che non avevano nemmeno effettuato un sopralluogo sulla scena. Che bisogno c’era? Servono così, bruti selvaggi, tanto dietro hanno chi professionista lo è davvero. Kalachnikov alla mano e passamontagna sul viso, hanno sbagliato portone e cercato indicazioni da un passante. Sono stati identificati prima ancora che si asciugasse il sangue. Nuovamente esponenti di quella comunità islamica che stoltamente si è tollerata, che deve stare bagnata con la coda tra le gambe. Tre di quei 18mila tagliagole stranieri, perlopiù europei, di cui l’Intelligence e la polizia sapevano tutto e li tenevano fissi d’occhio e di intercettazioni, ma che potevano agevolmente espatriare, addestrarsi nelle basi governate da istruttori Usa-Nato e gestite dai subalterni giordani, turchi, qatarioti, sauditi. Per poi altrettanto agevolmente rientrare, sotto lo sguardo comprensivo dei protettori dello Stato, e dedicarsi al mercenariato imperiale domestico. Di conseguenza, si ammette, sorveglianza zero sui “potenziali terroristi”, pur celebrati dall’ossessiva vulgata del “nemico della porta accanto”.Ora, vista la figuraccia del mancato controllo su uscite verso il Medioriente e rientro, cambiano versione: quelli lì non sono affatto stati in Siria. Invece si sono addestrati sparacchiando qua e là per Parigi, con tanto di istruttori di rango, sempre fuori da sguardi e cimici indiscreti. Figuraccia al cubo. E così, dal momento in cui è iniziata la sparatoria, subito ripresa e telefonata dai giornalisti di “Ch” con telefonino e comunicata dal furgone della polizia sul posto, poi mitragliato, è passata quasi mezz’ora prima dell’arrivo di rinforzi, in una delle metropoli più sorvegliata e tecnologizzata del mondo. Chi fossero i tre, mica s’è saputo grazie al costante controllo su movimenti e discorsi scientificamente condotto dai modernissimi flic tecnologizzati francesi. Figurati, è bastata una carta d’identità abbandonata nella fuga da un attentatore che, comprensibilmente, terminata la sparatoria e in fuga frenetica dalla scena, ha ammazzato il tempo tirando fuori il portafoglio (per vedere se bastava per il taxi?) e frugatoci dentro, estratta la tessera, l’ha posta in bella evidenza sul sedile.Ricorda quell’umoristico passaporto di Mohammed Atta, presunto capofila dei dirottatori dell’11/9, trovato lindo e intonso nel pulviscolo di tre grattacieli disintegrati. Con Atta che dal padre viene rivelato vivo, nella disattenzione assoluta dei gazzettieri. Visto che ovviamente la carta d’identità è stata lasciata a bella posta, quale sarà stato lo scopo? Indicare una testa di legno come autore e coprire quelle vere? Vedremo, nei prossimi giorni, quanto questa operazioni prodest all’Obama in precipitoso calo di consensi (come lo era Bush al tempo delle Torri), a multinazionali, banche, Pentagono e armieri, tutti quelli che devono gestire il trasferimento di ricchezza dalla periferia al centro e dal basso verso l’alto. E poi, scendendo per li rami, a un’Ue di nominati da business e arsenali, in crisi di credibilità e fiducia; a despoti europei reclutati per fare da capro espiatorio pagatore nella guerra alla Russia e al resto del mondo; a produttori di tecnologie per il controllo sociale; alle combine mafiose tra Pd e soci e faccendieri. Allo sparaballe in carenza di aria fritta. Al papa che sollecita gli islamici, solo loro, a farla finita con il terrorismo. Dall’altra parte, vedremo di che prodest ci avvantaggeremo noi, comuni mortali, islamici, cristiani o niente, di che lacrime gronderemo e di che sangue….Concludendo, un esercizio di fantasia. Immaginiamo cosa sarebbe successo, in termini di esecrazione e persecuzione degli antisemiti, se quelle vignette su Allah a culo all’aria e Maometto stupratore bombarolo avessero preso di mira Jahve, Mosé, o un qualsiasi “eterno ebreo” alla Himmler. E immaginiamo anche cosa risponderebbero quelli delle attuali chiassate per la libertà di stampa, nel paese al 69° posto per libertà di stampa, Ordine dei giornalisti e categoria tutta, se gli si chiedesse di manifestare per le centinaia di giornalisti assassinati nei paesi sotto tutela amica, Iraq, Messico, Honduras. Sempre più urgente e credibile, fondata su potenzialità politico-economico-militari letali per la criminalità organizzata che regge un impero in decadenza, diventa la formazione del fronte antagonista avviato da Hugo Chavez e portato avanti con intelligenza e dinamismo da Vladimir Putin: blocco asiatico-latinoamericano di Russia, Cina, Brics, governi e masse insubordinati. Ne consegue l’urgenza di smascherare e spazzare via i contractors della sedicente “Sinistra” che abitano nei sottoscala del menzognificio imperiale e ne ripetono le deformazioni della realtà finalizzate alla criminalizzazione dei diversi non sottomessi: lo “zar” omofobo Putin, “dittatori” vari, i musulmani, “violenti” asociali di varia estrazione, purchè non militari e poliziotti.(Fulvio Grimaldi, “Io non sono Charlie”, dal blog di Grimaldi dell’8 gennaio 2014.Qui solo qualche veloce considerazione. L’attentato ha colpito un bersaglio perfetto per alimentare di magma vulcanico la “guerra al terrorismo”, tirarci dentro milionate di boccaloni destri e sinistri a sostegno di guerre e “misure di sicurezza”, fornire benzina ai piromani dell’universo mediatico e politico globalizzato. Tutto nel nome di quella sacra “libertà di stampa”, simbolo della nostra superiore civiltà, rappresentata da noi da becchini della libertà di stampa come la Botteri, Pigi Battista, Calabresi, Gramellini, Mauro, Scalfari e, nel resto dell’emisfero, da presstituti solo un tantino meno rozzi di questi. Un verminaio ora rimescolato e infoiato da un evento che gli dà la possibilità di coprire la propria abiezione con nuovi spurghi di odio e menzogne. “Charlie Hebdo” è una rivista satirica che ha la sua ragion d’essere nell’islamofobia, cioè nella guerra imperiale al “terrorismo” e contro diversi milioni di cittadini francesi satanizzati perché con nome arabo.
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DeLong: l’euro è un disastro, l’Ue non impara dalla storia
Non abbiamo imparato nessuna delle quattro grandi lezioni impartiteci dalla storia nel periodo compreso tra le due guerre mondiali: la competizione economica pura, senza compensazioni da parte dello Stato, conduce al conflitto e alla rovina. Lo sostiene Bradford DeLong, economista dell’università californiana di Berkeley. Prima lezione: affinché l’economia mondiale possa essere prospera, l’aggiustamento degli squilibri macroeconomici deve essere effettuato sia dalle economie in “surplus” che da quelle in “deficit”, e non da queste ultime soltanto. Seconda lezione: per evitare o limitare le crisi, è necessario che il sistema bancario globale abbia un regolatore e supervisore bancario a sua volta globale. Terza verità: perché una crisi possa essere gestita con successo, il “prestatore di ultima istanza” deve essere veramente tale, in qualsiasi quantità il mercato possa richiedere. Quarto punto: perché una qualsiasi unione monetaria (cambi fissi) possa sopravvivere, è necessario che nel suo ambito si facciano trasferimenti fiscali su larga scala, per compensare le mancate oscillazioni dei tassi di cambio, proibite dagli accordi interregionali.«Nel mio piccolo – scrive DeLong in un post tradotto da “Come Don Chisciotte” – pensavo che tutti (o quanto meno tutti quelli che contavano qualcosa nel governo dell’economia mondiale) avessero imparato queste quattro lezioni che la storia (1919-1939) ci aveva così crudelmente impartito». E invece, i boss dell’Eurozona e i loro consulenti «guardavano fuori dalla finestra e spettegolavano su Facebook», scrive DeLong, evidentemente convinto che la causa della catastrofe europea sia imputabile a semplici, madornali errori, anziché a un calcolo cinico e lucido: costruire la crisi per contrarre lavoro e diritti, far esplodere i profitti dell’élite a spese del 99% della popolazione, far sparire lo Stato per privatizzare tutto, a cominciare dai servizi vitali. DeLong si limita a domande tecniche, chiedendosi «come si è arrivati a tanto». Ovvero: «Perché Maastricht non ha istituito un unico regolatore/supervisore bancario», per poter «allineare la politica finanziaria con quella monetaria?». Maastricht, inoltre, non ha previsto un sistema per trasferire i fondi necessari a quei paesi «che avrebbero potuto entrare in recessione (come inevitabilmente accade), quando gli altri paesi sono in grande espansione».Maastricht, poi, «ha lasciato un bel pezzo delle sue prerogative di “prestatore di ultima istanza” nelle mani dei governi nazionali, che non possono stampare denaro (e quindi ottemperare al ruolo), invece di mettere il tutto nelle mani della Banca Centrale Europea, che invece potrebbe». Inoltre, «visto che le esportazioni di un paese sono nient’altro che le importazioni di un altro», come mai «non scattano automaticamente quelle politiche idonee a che i paesi in deficit possano ridurre le loro importazioni ed aumentare le loro esportazioni?». Già, perché? «E perché, viceversa, non si adottano automaticamente le politiche idonee a che i paesi in surplus aumentino le loro importazioni e riducano le loro esportazioni?». DeLong sembra non “vedere” il disegno criminale, l’organizzazione del disastro: preferisce pensare a eurocrati imbranati, banchieri sprovveduti, tecnocrati dilettanti? L’economista francese Alain Parguez, già consulente dell’Eliseo ai tempi di Mitterrand, riferisce che Jacques Attali, uno dei massimi padri dell’euro, avrebbe pronunciato testualmente le seguenti parole: «Ma cosa crede, la plebaglia europea, che la moneta unica l’abbiamo creata per la loro felicità?».DeLong, invece, propende per l’ipotesi dell’ingenuità che avrebbe pesato sulle decisioni dei fondatori dell’Ue, certi che il tempo avrebbe corretto le imperfezioni iniziali. «In alcuni – scrive – c’era la convinzione che alcuni specifici dettagli, se posti nel Trattato Maastricht, avrebbero rimandato questo progetto per anni, o addirittura per decenni, mentre la logica degli eventi avrebbe inevitabilmente portato sia ad una crescita organica che allo sviluppo dei pezzi mancanti del Trattato». Secondo questa logica, continua DeLong, alla prima grande recessione l’unione monetaria avrebbe senz’altro istituito un sistema per i trasferimenti fiscali. E ancora, alla prima importante crisi bancaria, la Bce avrebbe senz’altro adottato le funzioni di “prestatore di ultima istanza” (e a seguire, si sarebbe velocemente realizzata l’Unione Bancaria). Gli altri paesi europei, continua l’economista, «avevano considerato il Trattato di Maastricht come un rinnovo dell’impegno politico tedesco in favore di una più stretta integrazione europea». Per questo l’Europa si è fidata, incautamente, della riunificazione tedesca? Sì, risponde DeLong: gli europei non-tedeschi erano convinti che «se si fosse scoperto che c’era qualcosa da pagare per le conseguenze non palesemente previste del Trattato di Maastricht, la Germania lo avrebbe fatto».Non abbiamo imparato nessuna delle quattro grandi lezioni impartiteci dalla storia nel periodo compreso tra le due guerre mondiali: la competizione economica pura, senza compensazioni da parte dello Stato, conduce al conflitto e alla rovina. Lo sostiene Bradford DeLong, economista dell’università californiana di Berkeley. Prima lezione: affinché l’economia mondiale possa essere prospera, l’aggiustamento degli squilibri macroeconomici deve essere effettuato sia dalle economie in “surplus” che da quelle in “deficit”, e non da queste ultime soltanto. Seconda lezione: per evitare o limitare le crisi, è necessario che il sistema bancario globale abbia un regolatore e supervisore bancario a sua volta globale. Terza verità: perché una crisi possa essere gestita con successo, il “prestatore di ultima istanza” deve essere veramente tale, in qualsiasi quantità il mercato possa richiedere. Quarto punto: perché una qualsiasi unione monetaria (cambi fissi) possa sopravvivere, è necessario che nel suo ambito si facciano trasferimenti fiscali su larga scala, per compensare le mancate oscillazioni dei tassi di cambio, proibite dagli accordi interregionali.
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La super-banana di Bill Gates, che finge di aiutare l’Africa
L’ultima invenzione della Fondazione Bill e Belinda Gates è stata l’investimento di 15 milioni di dollari nello sviluppo di una banana transgenica con alto contenuto di vitamina A, vitamina E e ferro, con l’obiettivo di lottare contro la denutrizione in paesi africani come Uganda, Kenia, Tanzania, Ruanda, Congo, soprattutto diretto alla popolazione infantile. Stimano che possa evitare la morte di più di 700.000 bambini e che possa evitare che altri 300.000 perdano la vista. Questa ricerca la sta sviluppando la Università Tecnologica del Queensland attraverso il lavoro diretto dal professor James Dale, ed è già in fase di prova con esseri umani. Spiegato in questo modo, chiunque potrebbe pensare che è una buona iniziativa filantropica contro la fame. Nonostante ciò, ricordo la conversazione con un amico che fece un viaggio in luna di miele girando l’Etiopia. Quando mi raccontava il viaggio al suo ritorno gli chiesi come aveva mangiato, dato che era stato in uno dei paesi con l’indice più basso di nutrizione al mondo. La sua risposta fu chiara: la carta Visa funzionava perfettamente.Non si tratta quindi di un deficit di vitamine e nutrienti che necessita urgentemente l’intervento di un angelo filantropico per aumentare la produzione di superalimenti. Si tratta di accesso al cibo. Si tratta di povertà e distribuzione della ricchezza. Però, oltre le discussioni teoriche, cosa pensano i contadini africani? Gli ugandesi, ad esempio, pensano che le loro banane autoctone sono perfette e che è secoli che le coltivano e si alimentano di esse. «Questa banana Ogm è un insulto al nostro cibo, alla nostra cultura, a noi come nazione, e la condanniamo fermamente», disse Bridget Mugambe, membro dell’Alleanza per la Sovranità Alimentare in Africa (Afsa). Questa settimana, la sua piattaforma si è unita a più di 120 organizzazioni di tutto il mondo con l’obiettivo di inviare una carta aperta condannando la Superbanana e la ricerca finanziata da Gates. Allora, se gli africani non l’hanno chiesto, qual’è l’interesse nello sviluppare questa coltivazione transgenica?Una risposta senza dubbio l’avremo nelle conlcusioni dello studio della organizzazione “Community Alliance for Global Justice”, che afferma che la Fondazione Bill e Belinda Gates è già proprietaria di 500.000 azioni della principale multinazionale di semi transgenici, la tristemente celebre Monsanto. Altri studi, oltre a ciò, indicano che l’obiettivo della coltivazione di queste banane non sarebbe l’Africa, ma sarebbe l’affidarsi a una licenza diretta ai mercati dei paesi del nord, dove la banana continua ad essere uno dei frutti tropicali più apprezzati e in aumento. Sia quale sia il consumatore finale, quello che sappiamo è che si tratta del piano che le grandi multinazionali della biotecnologia hanno stabilito per continuare l’espansione delle loro coltivazioni. Dopo il loro fallimento in Europa, ora il nuovo El Dorado si chiama Africa, e la scusa si chiama fame.(Javier Guzman, “La super-banana di Billa Gates”, da “Rebelion” del 18 dicembre 2014, tradotto da “Come Don Chisciotte”).L’ultima invenzione della Fondazione Bill e Belinda Gates è stata l’investimento di 15 milioni di dollari nello sviluppo di una banana transgenica con alto contenuto di vitamina A, vitamina E e ferro, con l’obiettivo di lottare contro la denutrizione in paesi africani come Uganda, Kenia, Tanzania, Ruanda, Congo, soprattutto diretto alla popolazione infantile. Stimano che possa evitare la morte di più di 700.000 bambini e che possa evitare che altri 300.000 perdano la vista. Questa ricerca la sta sviluppando la Università Tecnologica del Queensland attraverso il lavoro diretto dal professor James Dale, ed è già in fase di prova con esseri umani. Spiegato in questo modo, chiunque potrebbe pensare che è una buona iniziativa filantropica contro la fame. Nonostante ciò, ricordo la conversazione con un amico che fece un viaggio in luna di miele girando l’Etiopia. Quando mi raccontava il viaggio al suo ritorno gli chiesi come aveva mangiato, dato che era stato in uno dei paesi con l’indice più basso di nutrizione al mondo. La sua risposta fu chiara: la carta Visa funzionava perfettamente.