Archivio del Tag ‘banche’
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Addio all’agricoltura italiana: se l’è appena comprata la Cina
Questo signore di cui vedete l’immagine in bacheca ha un nome che non dice niente alla stragrande maggioranza dei lettori. Si chiama Ren Jianxin. Entro pochi mesi finirà per diventare il padrone dell’intera agricoltura italiana, che ci piaccia o meno. E’ una delle persone più potenti al mondo. La disposizione liquida monetaria di cui dispone si aggira intorno ai 500 miliardi di euro, pari al Pil di Grecia, Portogallo, Slovenia, Croazia e Macedonia tutte insieme; nazioni, queste, la cui agricoltura è già nelle sue mani da questa mattina. Ma lui punta decisamente all’Italia (in Spagna gli è andata male e si è ritirato, è per questo che ha dirottato su di noi). E’ una persona garbata, molto gentile, simpatica, solare, dicono molto intelligente. E’ il volto autentico (in carne e ossa) di quello che in Italia i social networks amano definire con una locuzione ridicola e infantile: i poteri forti. I poteri forti, oggi, hanno quest’immagine. E’ il presidente della più importante azienda chimico-farmaceutica del pianeta, la ChemChi, che sta per China National Chemical Corporation, la cui sede centrale si trova nel centro finanziario di Pechino.E’ anche l’amministratore delegato e il supervisore del direttore finanziario. E’ membro permanente del comitato centrale del Partito Comunista Cinese, dato che lo stato possiede il 96% delle azioni di questo colosso. Questa mattina ha firmato un contratto di acquisizione considerato il più alto mai registrato in Cina in tutta la sua storia: 43 miliardi di dollari pagati in contanti sull’unghia. Ha comprato la Syngenta, la più importante azienda europea produttrice di sementi e pesticidi. La società è svizzera e ha la sede legale a Ginevra. L’acquisto era iniziato in sordina, “chinese style”, circa un anno e mezzo fa, attraverso la mediazione di due piccole società finanziarie legate alla Pirelli di Milano, avvalendosi della normativa che rientra all’interno degli accordi bilaterali italo-svizzeri, concessi dalla Ue a Italia, Francia, Austria e Germania, suoi paesi confinanti. Il fatto è che, nel frattempo, il signor Ren Jianxin, era arrivato otto mesi fa a Milano e si era comprato il 100% delle azioni della Pirelli, che dal 1° gennaio 2016 è diventata parte del gruppo della ChinaChem.La finanza americana ha accusato il colpo, capendo che per la Monsanto la festa è finita perché non è in grado di competere e contrastare lo strapotere del signor Ren, il quale – nel frattempo – si è praticamente comprato Poste Italiane e altre 345 aziende italiane. Così almeno gli americani danno l’annuncio, spiegando le ragioni per le quali il colosso statunitense abbandonerà in questo 2016 il territorio italiano. Tradotto, vuol dire che dal 2017 gli agricoltori italiani – senza che venga detto loro niente, senza che vengano fornite informazioni geo-politiche globali, e quindi a loro insaputa – saranno costretti a produrre ciò che il governo cinese stabilisce corrisponda ai loro interessi. Detto in sintesi, nella maniera più elementare possibile, significa che i pomodori e le zucchine italiane se le mangeranno i cinesi e per la stragrande maggioranza delle aziende agricole italiane ci sarà una riconversione (peraltro già annunciata) e dovranno produrre – pena il fallimento – soia, girasoli e derivati, perchè questa è la politica agricola europea della Cina che si piazza nel cuore dell’Europa.Questa sera le televisioni anunceranno il crollo delle Borse europee (soprattutto quelle italiane) sostenendo che è in corso un attacco speculativo contro di noi. Non è vero niente. E’ questo contratto che sta facendo andare a picco il mercato europeo. Quantomeno questo è ciò che sostengono diversi analisti finanziari europei, e io sono d’accordo con loro. Erano già diverse settimane che su “Wall Street Journal”, “Financial Times”, canale televisivo di “Bloomberg”, gli analisti anglo-americani raccontavano la pessima scelta strategica dell’Italia che – per salvarsi – sta vendendo tutta se stessa al Qatar, agli Emirati Arabi Uniti e all’Arabia Saudita, ma soprattutto alla Cina. Ma in questo paese la stampa non informa la popolazione su ciò che accade, avendo scelto di trasformare tutto in gossip irrilevante (vedi scontro Ue-Renzi su futili motivazioni retoriche). Lo scontro – e questo sì davvero micidiale, una vera guerra all’ultimo sangue – si sta svolgendo, invece, nell’indifferenza generale, ad Amsterdam. Da tre giorni. In Italia nessuno ne ha parlato. Con un’unica eccezione che – quantomeno al sottoscritto – conferma il fatto, ancora una volta, che Adriana Cerretelli è senza alcun dubbio, attualmente, il miglior professionista mediatico che il nostro paese abbia prodotto negli ultimi dieci anni. Suo l’articolo apparso ieri su “Il Sole 24 ore” (immediatamente nascosto e non a caso non diffuso e non condiviso) nel quale ci raccontava che cosa sta accadendo e su che cosa si stanno letteralmente scannando in Olanda, purtroppo con pessime notizie per l’Italia perchè la Cina si è presentata con una enorme massa di liquidità a disposizione del decotto sistema bancario corrotto nazionale e – il buon senso ci consente di comprenderlo – quando si sta alla canna del gas, si accetta ogni aiutino, chiunque sia a darlo.Qui di seguito vi ho postato l’articolo della Cerretelli (l’italiana in assoluto più stimata in Europa dai colleghi eruopei degli altri paesi nel campo dell’informazione mainstream, in Italia pressoché sconosciuta) perché penso possa essere utile per comprendere uno degli attuali scenari reali (molto reali) sul palcoscenico economico-politico della vita vera. Anche se si tratta di un articolo tecnico, è comprensibile a chiunque. Bisogna leggere tra le righe dell’articolo. L’Italia, purtroppo, finirà per perdere questa decisiva battaglia di Amsterdam. Quella autentica che decide il destino delle nazioni, altro che annunci! Altro che unioni civili o quote latte. Se non ci svegliamo e non capiamo che cosa sta accadendo, di questo meraviglioso nostro Bel Paese non ne rimarrà più nulla. Quantomeno, per noi italiani che lo abbiamo costruito, inventato e abbellito nelle ultime centinaia di anni.(Sergio Di Cori Modigliani, “Il nuovo proprietario dell’agricoltura del Belpaese – a insaputa degli italiani, s’intende”, dal blog “Libero Pensiero” del 3 febbraio 2016).Questo signore di cui vedete l’immagine in bacheca ha un nome che non dice niente alla stragrande maggioranza dei lettori. Si chiama Ren Jianxin. Entro pochi mesi finirà per diventare il padrone dell’intera agricoltura italiana, che ci piaccia o meno. E’ una delle persone più potenti al mondo. La disposizione liquida monetaria di cui dispone si aggira intorno ai 500 miliardi di euro, pari al Pil di Grecia, Portogallo, Slovenia, Croazia e Macedonia tutte insieme; nazioni, queste, la cui agricoltura è già nelle sue mani da questa mattina. Ma lui punta decisamente all’Italia (in Spagna gli è andata male e si è ritirato, è per questo che ha dirottato su di noi). E’ una persona garbata, molto gentile, simpatica, solare, dicono molto intelligente. E’ il volto autentico (in carne e ossa) di quello che in Italia i social networks amano definire con una locuzione ridicola e infantile: i poteri forti. I poteri forti, oggi, hanno quest’immagine. E’ il presidente della più importante azienda chimico-farmaceutica del pianeta, la ChemChi, che sta per China National Chemical Corporation, la cui sede centrale si trova nel centro finanziario di Pechino.
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Pellizzetti: la guerra ai poveri ci ha reso tutti più poveri
In questi giorni nei telegiornali di tutte le reti si susseguono i bollettini medici di un crash economico che – a sentire gli speaker – parrebbe incomprensibile: gli istituti di credito a picco, da Banca Etruria a Deutsche Bank; il Pil italiano che si rattrappisce, mentre le locomotive mondiali, americane e cinesi, rallentano; l’inflazione sempre più lontana dall’auspicata soglia del 2% mentre il crollo delle materie prime non rianima produzioni e transazioni. Parrebbe si sia in presenza di un male oscuro che corrode la presunta cornucopia dell’economia globalizzata. Intanto l’ex sottosegretario di Stato Usa Larry Summers ci invita a predisporci a «una stagnazione di durata ALMENO secolare». Eppure la chiave interpretativa è sotto gli occhi di chi vuol vedere e ha il coraggio di riconoscere che questa catastrofe ce la siamo procurata con le nostre mani; grazie alle follie (criminali) perpetrate negli ultimi quattro decenni. I cui nodi velenosi stanno giungendo al pettine. Resta solo da appurare se di pazzia si tratta o di vera e propria criminalità economica.Un esempio per tutti, di casa nostra: a partire dall’autunno 2014 i disoccupati sono già oltre 3 milioni, i giovani senza lavoro sfiorano il 45%, la base produttiva ha perso un quarto del suo potenziale, il Pil sceso di 10-11 punti rispetto all’anno prima della crisi. Quindi il governo che fa? Si scatena per introdurre nella legislazione del lavoro nuove norme che facilitino il licenziamento! L’ennesimo episodio locale di una quarantennale vicenda mondializzata, in cui è iscritta la causa dei nostri mali: aver smarrito coscienza del significato di quel fenomeno che – per la prima volta nella storia dell’umanità – aveva diffuso ricchezza. Infatti, cos’è la rivoluzione industriale se non l’aver instaurato una produzione di massa, in una società di massa che accede al consumo di massa?Lo aveva capito benissimo Henry Ford, quando aumentava la paga ai suoi operai perché diventassero i primi acquirenti della Ford modello “T”, da loro stessi prodotto. La guerra dei ricchi contro i poveri, scatenata dalla controrivoluzione NeoLib a partire dagli anni ‘70, ha rotto questo felice equilibrio: l’impoverimento di sempre più larghi strati di cittadini ha contratto le moltitudini di consumatori in grado di far girare la megamacchina produttiva con i loro acquisti. E il sogno del privilegio finanziarizzato (il cosiddetto 1%) di rifugiarsi nel virtuale si è infranto contro gli scogli delle dure repliche del mondo reale. Ricordo sommessamente di aver avanzato questa tesi già l’anno scorso, in un saggio editato dal Saggiatore (“Società o barbarie”): il capitalismo sta tagliando il ramo su cui è appollaiato con la distruzione delle dinamiche inclusive che lo sostenevano.L’anno prima era stato Thomas Piketty, con il suo bestseller “Il Capitale nel XXI secolo”, ad avvisarci che «a partire dagli anni settanta le disuguaglianze all’interno dei paesi ricchi si sono di nuovo accentuate». E prima di lui Zygmunt Bauman: «I vecchi ricchi avevano bisogno dei poveri per diventare e restare ricchi…i nuovi ricchi non hanno più bisogno dei poveri» (“Dentro la globalizzazione”). Follia criminale pure suicida: la lotta ai lavoratori e la spremitura dei meno abbienti per allocare la ricchezza ai vertici della piramide sociale, ha mandato in frantumi il meccanismo che la creava. Quanto ci ha appena spiegato Luciano Gallino con il suo libro postumo per Einaudi (“Il denaro, il debito, la doppia crisi”) parlando di “crollo tendenziale della domanda aggregata”: «Qualcuno dovrebbe spiegare a Mario Draghi che se le imprese non investono non lo fanno certo perché gli interessi sui prestiti sono elevati, ma perché non sanno a chi potrebbero vendere quello che nel caso produrrebbero». In fondo Joseph Schumpeter, uno dei più grandi economisti del ‘900, lo aveva annunciato: il capitalismo finirà per autocombustione. Ma la prospettiva non è certo incoraggiante, appurato che siamo nelle mani di pazzi suicidi.(Pierfranco Pellizzetti, “La guerra ai poveri ci ha reso tutti più poveri”, da “Micromega” del 14 febbraio 2016).In questi giorni nei telegiornali di tutte le reti si susseguono i bollettini medici di un crash economico che – a sentire gli speaker – parrebbe incomprensibile: gli istituti di credito a picco, da Banca Etruria a Deutsche Bank; il Pil italiano che si rattrappisce, mentre le locomotive mondiali, americane e cinesi, rallentano; l’inflazione sempre più lontana dall’auspicata soglia del 2% mentre il crollo delle materie prime non rianima produzioni e transazioni. Parrebbe si sia in presenza di un male oscuro che corrode la presunta cornucopia dell’economia globalizzata. Intanto l’ex sottosegretario di Stato Usa Larry Summers ci invita a predisporci a «una stagnazione di durata almeno secolare». Eppure la chiave interpretativa è sotto gli occhi di chi vuol vedere e ha il coraggio di riconoscere che questa catastrofe ce la siamo procurata con le nostre mani; grazie alle follie (criminali) perpetrate negli ultimi quattro decenni. I cui nodi velenosi stanno giungendo al pettine. Resta solo da appurare se di pazzia si tratta o di vera e propria criminalità economica.
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Privatizzare la Russia: assalto a Putin, da Usa e oligarchi
Assalto al Cremlino, usando il grimaldello delle privatizzazioni per ingolosire gli oligarchi: domani, quando l’economia russa dovesse riprendersi (archiviate le sanzioni Usa-Ue), i ricchi saranno ricchissimi, e lo Stato avrà perso il suo potere. E’ la tesi avanzata dall’economista democratico statunitense Michael Hudson e da Paul Craig Roberts, già viceministro di Reagan. La notizia: alcuni funzionari russi stanno discutendo, da ormai due anni, un piano per la maxi-privatizzazione di grandi imprese strategiche statali, tra cui la compagnia petrolifera Rosneft, la Vtb Bank, le Ferrovie Russe e la compagnia aerea di bandiera, l’Aeroflot. Obiettivo dichiarato: ottimizzare il management, oltre che indurre gli oligarchi a invertire la ventennale emorragia di capitali dal paese per tornare a investire nell’economia di Mosca. Ma le prospettive economiche russe sono peggiorate dal momento in cui gli Stati Uniti hanno spinto l’Occidente a imporre sanzioni economiche contro il paese, e anche per il crollo del prezzo del petrolio. Ciò ha reso l’economia russa meno attraente per gli investitori esteri. Così, la vendita di queste compagnie avverrà oggi a prezzi verosimilmente molto più bassi rispetto a quelli che sarebbero stati nel 2014.Nel frattempo, scrivono Hudson e Craig Robert in un’analisi su “Counterpunch” tradotta da “Come Don Chisciotte”, la combinazione fra debito in crescita e deficit della bilancia dei pagamenti ha fornito ai sostenitori delle privatizzazioni un ulteriore argomento per insistere con le dismissioni. Motivo addotto: la Russia non potrebbe monetizzare il proprio deficit, ma deve vendere le sue risorse migliori per sopravvivere. «Noi vogliamo mettere in guardia la Russia dall’accettare questa nefasta argomentazione neoliberista», scrivono i due economisti. «Le privatizzazioni non aiuteranno a re-industrializzare la Russia, ma ne aggraverebbero la trasformazione in una “economia di rendita” nella quale i profitti vanno a beneficio di proprietari stranieri». Per cautelarsi, Putin ha posto una serie di condizioni per scongiurare che le nuove privatizzazioni avvengano come le disastrose svendite dell’era Eltsin: stavolta gli asset non verrebbero venduti a prezzo di saldo, ma rispecchierebbero l’eventuale valore reale. E le aziende cedute resterebbero sotto la giurisdizione russa: gli investitori stranieri potranno partecipare, ma non scavalcare le regole russe, tra cui i vincoli per mantenere i capitali nel paese.«Putin ha saggiamente evitato la vendita della maggiore banca russa, la Sberbank, che detiene gran parte dei depositi privati nazionali: l’attività bancaria evidentemente resta un servizio principalmente pubblico – come dovrebbe – vista la capacità di creare moneta-credito, che la rende un monopolio naturale e intrinsecamente pubblica nel carattere». Nonostante queste precauzioni, però, «vi sono serie ragioni per non procedere con le privatizzazioni appena annunciate», che avverrebbero «in condizioni di recessione economica dovuta ai bassi prezzi del petrolio e alle sanzioni occidentali». L’alibi sarebbe la copertura del deficit di bilancio nazionale? «Questa scusa mostra come la Russia non si sia ancora ripresa dal disastroso mito, occidentale e atlanticista, che essa debba dipendere dalle banche estere e dai detentori di bond per creare moneta, come se la banca centrale russa non possa fare ciò da sé, tramite la monetizzazione del disavanzo di bilancio», obiettano Hudson e Craig Roberts. «La monetizzazione del deficit di bilancio è esattamente quello che ha fatto il governo degli Stati Uniti e ciò che si faceva presso le banche centrali occidentali nel periodo successivo alla Seconda Guerra Mondiale».La monetizzazione del debito è una pratica comune in Occidente: i governi possono agevolare la ripresa economica creando moneta. Molto meglio che far indebitare il paese verso creditori privati, che poi «prosciugano il finanziamento del settore pubblico attraverso l’emorragia del pagamento di interessi a creditori privati». Perché mai ricorrere alla finanza privata, quando può essere la banca centrale a creare finanziamento pubblico? «Gli economisti russi, tuttavia, sono stati indottrinati dal credo occidentale che solo le banche commerciali possano creare denaro, e che i governi per procurarsi le risorse debbano emettere dei buoni sui quali alla scadenza pagheranno degli interessi». Questa deformazione della finanza pubblica “privatizzata” «sta portando la Russia sullo stesso sentiero che ha portato l’Europa ad un’economia in stato comatoso». Attraverso la privatizzazione della creazione del credito, infatti, «l’Europa ha trasferito la propria pianificazione economica dai governi democraticamente eletti al settore bancario». La Russia? «Non ha bisogno di accettare questa filosofia economica orientata alla rendita, che può mandare in dissesto le finanze pubbliche di una nazione». Infatti, i neoliberisti non la promuovono certo per aiutare la Russia, «ma per metterla in ginocchio».Essenzialmente, spiegano i due analisti, quei russi cosiddetti “integrazionisti atlantici”, cioè alleati dell’Occidente, «puntano a sacrificare la sovranità della Russia per integrarla nell’impero occidentale», e così «utilizzano il neoliberismo per “intrappolare” Putin e annientare il controllo della Russia sulla propria economia, un elemento che Putin aveva ripristinato dopo gli anni di Eltsin nei quali la Russia era stata depredata da interessi stranieri». Nonostante il Cremlino sia riuscito a ridurre il potere degli oligarchi creato dalle privatizzazioni di Eltsin, il governo ha comunque bisogno di mantenere importanti imprese statali, proprio per controbilanciare il potere economico degli oligarchi. «La ragione per cui i governi costruiscono ferrovie e altre infrastrutture di base è quella di abbassare i costi basilari per vivere e lavorare. Lo scopo delle “corporation private” – di contro – è invece quello di aumentare tali costi quanto più possibile». Questa viene definita “estrazione di rendita”: «I proprietari privati impongono dazi per aumentare il costo del servizio di un’infrastruttura che viene privatizzata». Di fatto, «è l’opposto di quello che gli economisti classici definiscono come “libero mercato”».In base a un accordo di cui si parla, gli oligarchi «acquisiranno delle quote di compagnie statali con il denaro delle precedenti privatizzazioni nascosto all’estero, e faranno un altro “affare del secolo” quando l’economia russa si riprenderà abbastanza da consentire profitti corposi». Problema: «Quanto più potere economico si sposta dalle mani pubbliche al privato, minore è il potere del governo di controbilanciare gli interessi privati». Per questo, «nessuna privatizzazione dovrebbe essere consentita, in questa fase», e ancor meno si dovrebbe consentire «l’acquisizione di asset nazionali russi da parte di stranieri». Ma il rischio esiste: «Al fine di guadagnare un pagamento immediato in valuta estera, il governo russo cederà agli stranieri il flusso dei futuri guadagni che verranno ricavati in Russia e mandati all’estero». Attenzione: «Vendere degli asset pubblici in cambio di un pagamento in un’unica soluzione è quello che ha fatto l’amministrazione della città di Chicago quando ha ceduto per 75 anni la gestione dei parcheggi pubblici in cambio di una cifra corrisposta immediatamente. Sacrificando le entrate pubbliche, l’amministrazione di Chicago ha risparmiato le proprietà immobiliari e le ricchezze private dalla tassazione e ha inoltre consentito alle banche di investimento di Wall Street di fare una fortuna», spingendo però la città verso la bancarotta.«Nessuna sorpresa che gli atlantisti auspichino una sorte simile alla Russia», scrivono Hudson e Craig Roberts. «Usare le privatizzazioni per coprire un problema di bilancio di breve termine, ne porta invece uno di lungo termine. I profitti delle compagnie russe fluirebbero fuori dal paese, riducendo il tasso di cambio del rublo. Se i profitti vengono generati in rubli, questi possono essere cambiati in dollari nel mercato dei cambi. Ciò deprimerà il tasso di cambio del rublo aumentando il valore relativo del dollaro. In sostanza, consentire a degli stranieri di acquisire delle risorse statali della Russia, li aiuterebbe a speculare contro il rublo». Inoltre, anche i nuovi proprietari russi degli asset privatizzati potrebbero mandare all’estero i loro profitti. «Almeno, il governo russo si rende conto che dei proprietari soggetti alla giurisdizione russa vengono disciplinati più facilmente rispetto a dei proprietari in grado di controllare le aziende dall’estero e di tenere il loro capitale attivo a Londra o in altri centri finanziari (tutti soggetti alla pressione diplomatica Usa e alle sanzioni della Nuova Guerra Fredda)».A monte, comunque, il governo russo dovrebbe finanziare i propri deficit di bilancio semplicemente attraverso «la banca centrale che crea il denaro necessario, così come fanno gli Usa e la Gran Bretagna». Al contrario, «alienare per sempre dei flussi di ricavi futuri per coprire solo il deficit di un anno», secondo Hudson e Craig Roberts, «è la strada per l’impoverimento e la perdita dell’indipendenza politica ed economica». La globalizzazione? «E’ stata inventata come uno strumento dell’impero americano». La Russia se ne dovrebbe difendere, piuttosto che aprirvisi. E le privatizzazioni «sono il mezzo per minare la sovranità economica e accrescere i profitti tramite l’aumento delle tariffe». Che se ne rendano conto o meno, concludono i due analisti, gli economisti neoliberisti di Mosca si comportano «come le Ong finanziate dall’Occidente», che «agiscono in Russia come una quinta colonna contro l’interesse nazionale». In altre parole, «la Russia non sarà al riparo dalla manipolazione occidentale fino a quando la propria economia non sarà impermeabile ai tentativi da parte dell’Occidente di piegarla ai propri interessi piuttosto che a quelli nazionali».Assalto al Cremlino, usando il grimaldello delle privatizzazioni per ingolosire gli oligarchi: domani, quando l’economia russa dovesse riprendersi (archiviate le sanzioni Usa-Ue), i ricchi saranno ricchissimi, e lo Stato avrà perso il suo potere. E’ la tesi avanzata dall’economista democratico statunitense Michael Hudson e da Paul Craig Roberts, già viceministro di Reagan. La notizia: alcuni funzionari russi stanno discutendo, da ormai due anni, un piano per la maxi-privatizzazione di grandi imprese strategiche statali, tra cui la compagnia petrolifera Rosneft, la Vtb Bank, le Ferrovie Russe e la compagnia aerea di bandiera, l’Aeroflot. Obiettivo dichiarato: ottimizzare il management, oltre che indurre gli oligarchi a invertire la ventennale emorragia di capitali dal paese per tornare a investire nell’economia di Mosca. Ma le prospettive economiche russe sono peggiorate dal momento in cui gli Stati Uniti hanno spinto l’Occidente a imporre sanzioni economiche contro il paese, e anche per il crollo del prezzo del petrolio. Ciò ha reso l’economia russa meno attraente per gli investitori esteri. Così, la vendita di queste compagnie avverrà oggi a prezzi verosimilmente molto più bassi rispetto a quelli che sarebbero stati nel 2014.
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Bankitalia: lo Stato spende meno, ma così cresce il debito
Da 8 anni, ma in realtà è da 24 anni almeno, in Italia il Vero Potere (Ue, Fmi, Bce, Neoliberismo, Neofeudalesimo) ci bombarda con la formula delle Austerità, la cui logica è che se lo Stato spende pochissimo e tassa moltissimo, finirà col ridurre il suo debito pubblico, e quindi tornerà sano e prospero. Dal 2009 Paolo Barnard ha portato in Italia la moderna versione delle teorie economiche keynesiane, che chiamiamo Mosler Economics Mmt, che ci dicono l’esatto opposto. Ci dicono: se lo Stato spende pochissimo e tassa moltissimo, finirà con l’aumentare il suo debito pubblico, e quindi sprofonderà sempre più. Per capire questo assunto, va capita una verità INCONTESTABILE nella sfera economico-scientifica, e cioè che, al contrario di quanto dice il Vero Potere, la spesa dello Stato (il suo debito) è precisamente il CREDITO (benessere) dei cittadini. Se i cittadini stanno bene grazie alla spesa/debito dello Stato PRODUTTIVI (investimenti, salari, case, tecnologie, istruzione, credito agevolato…), essi creano poi ricchezza privata, e questa DIMINUISCE il bisogno dello Stato di spendere a debito e diminuisce il bisogno dello Stato di tassarci. Lapalissiano.Ora, capito questo, capirete facilmente perché la formuletta catastrofica delle Austerità AUMENTA IL DEBITO PUBBLICO aumenta il debito pubblico, non lo diminuisce. Infatti venendo meno, secondo gli ordini delle Austerità, la spesa dello Stato, viene meno il credito (benessere) dei cittadini, e l’economia crolla a spirale. A quel punto lo Stato è costretto a intervenire con spese per mettere pezze ovunque (ammortizzatori sociali, aumento vertiginoso della spesa sanitaria per aumentate patologie, esborsi per salvare le banche, garanzie all’export in agonia, fughe di cervelli…) e finisce così per SPENDERE PIU’ DEBITO, NON MENO spendere più debito, non meno, ma queste spese sono IMPRODUTTIVE, debito IMPRODUTTIVO. Allora che fa? Ci tassa a morte per recuperare lo sperpero di spesa che ha fatto.Ecco le prove, per gentile concessione della Banca d’Italia, che annuncia con la sua proverbiale sobrietà che i conti dello Stato italiano condotto dal Coccige della Merkel sig. Matteo Renzi secondo le regole delle Austerità, sono infatti… da piangere, E HANNO AUMENTATO IL DEBITO PUBBLICO e hanno aumentato il debito pubblico. Ecco i dati della nostra banca centrale pubblicati 4 giorni fa: 1) ll debito pubblico chiude il 2015 con una crescita di 33 miliardi e 800 milioni, altro che riduzione del debito se si fanno i compitini della maestra Merkel. 2) Assolutamente falso incolpare le amministrazioni locali, che Bankitalia definisce diligenti nella spesa e anzi, risparmiatrici. La colpa è tutta di Palazzo Chigi. 3) Mentre, tristemente, le tasse sono aumentate del 6,4% da un anno fa.Per forza, 2+2 fa 4, e non si scappa. E Barnard ribadisce ancora: se cala la spesa pubblica PRODUTTIVA come comandano le Austerità, cala il benessere dei cittadini, l’economia va giù per il gabinetto, quindi lo Stato deve metterci le pezze di cui sopra aumentando vertiginosamente la sua spesa pubblica/debito di tipo IMPRODUTTIVO, e poi tenta di recuperare lo spreco tassandoci a morte. Banca d’Italia conferma. Che formula magica le Austerità! Un successone! Io ve l’avevo detto. Ora basta, dovete tornare alla mangiatoia, e vi dedico un brindisi. Baci.(Paolo Barnard, “Cosa vi avevo detto cinque anni fa? Che 2+2 fa sempre 4. E infatti la Banca d’Italia…”, dal blog di Barnard del 18 febbraio 2016).Da 8 anni, ma in realtà è da 24 anni almeno, in Italia il Vero Potere (Ue, Fmi, Bce, Neoliberismo, Neofeudalesimo) ci bombarda con la formula delle Austerità, la cui logica è che se lo Stato spende pochissimo e tassa moltissimo, finirà col ridurre il suo debito pubblico, e quindi tornerà sano e prospero. Dal 2009 Paolo Barnard ha portato in Italia la moderna versione delle teorie economiche keynesiane, che chiamiamo Mosler Economics Mmt, che ci dicono l’esatto opposto. Ci dicono: se lo Stato spende pochissimo e tassa moltissimo, finirà con l’aumentare il suo debito pubblico, e quindi sprofonderà sempre più. Per capire questo assunto, va capita una verità incontestabile nella sfera economico-scientifica, e cioè che, al contrario di quanto dice il Vero Potere, la spesa dello Stato (il suo debito) è precisamente il credito (benessere) dei cittadini. Se i cittadini stanno bene grazie alla spesa/debito dello Stato produttivi (investimenti, salari, case, tecnologie, istruzione, credito agevolato…), essi creano poi ricchezza privata, e questa diminuisce il bisogno dello Stato di spendere a debito e diminuisce il bisogno dello Stato di tassarci. Lapalissiano.
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Game over, l’orrida Europa non digerisce il pessimo Renzi
Prosegue imperterrita la “danza degli schiaffoni” fra Renzi e l’Unione Europea. In prima linea ci sono i popolari, ma il silenzio sprezzante dei socialisti pesa ancora di più. Quel povero diavolo di Pittella (per sua sfortuna capogruppo socialista a Strasburgo) cerca di sostenere il suo signore e padrone italiano, giungendo a minacciare la crisi dell’accordo popolari-socialisti che regge la Commissione, mentre i suoi compagni di gruppo francesi, tedeschi e olandesi lo guardano come lo scemo del villaggio con l’aria di pensare “Ma che stai dicendo?”. Da dove nasce questa inedita replica della Cavalleria Rusticana? I punti veri di dissenso sono due: l’applicazione del bail-in e la riduzione delle tasse. Renzi ha bisogno di margini di flessibilità molto più ampi (e usa l’emergenza rifugiati) perché vuol fare un taglio di tasse prima delle elezioni. Sul primo punto, Renzi, che non aveva mosso paglia contro la formazione della direttiva sul bail-in e neppure sulla sua immediata applicazione dal 1° gennaio 2016, aveva pensato di cavarsela con qualche furbata all’italiana (tipo il “salvabanche”), ma gli “europei” non glielo permettono, dando della direttiva l’interpretazione più restrittiva possibile (e ci vuol, poco perché la lettera è già più che sufficiente a bloccare il giullare).E questa rigidezza dipende dal fatto che i nostri valenti alleati tedeschi e francesi hanno già forchette in pugno e tovagliolo al collo per banchettare suo beni italiani. Sul secondo punto, Renzi ha bisogno di fare qualcosa sul fisco per non arrivare alle elezioni con un bilancio fatto solo di promesse mancate. Magari, poi le tasse le raddoppierebbe un minuto dopo la vittoria elettorale. Ma anche qui gli europei non mollano: “Niente tagli fiscali, devi pagare gli interessi sul debito e non puoi fare altro disavanzo”. Ma perché tanta indisponibilità, mentre all’Inghilterra è stato concesso tutto o quasi? I soci di maggioranza della Ue non vogliono perdere Londra che (sbagliando) ritengono un punto di forza dell’alleanza, mentre non hanno alcuna particolare propensione a tenersi Roma che (ricordiamolo sempre) è il terzo debito pubblico mondiale. Se a minacciare un referendum sull’uscita dalla Ue fosse il governo italiano, a fare la campagna elettorale a favore dell’uscita, giungerebbe in Italia Juncker.In secondo luogo, proprio perché all’Uk è stato concesso tutto, poi non si può dare niente all’Italia, pena un assalto alla diligenza di tutti gli altri. L’Italia non è la Grecia, è uno dei 4 principali contraenti il patto e, dal punto di vista di Strasburgo ed Amburgo, sta dando un pessimo esempio agli altri. Se non si dà una lezione all’Italia, poi verranno la Spagna, il Portogallo, l’Estonia, Cipro, magari di nuovo la Grecia. In breve la Ue sarebbe solo una marmellata, mentre qui gli “alleati” intendono ribadire che nella Ue c’è chi comanda (la Germania), chi è capo in seconda (la Francia), chi ha diritto a privilegi (l’Inghilterra) e tutti gli altri che devono obbedire. Questo ordine interno non deve essere turbato per nessuna ragione e Renzi deve piantarla. Questo è il modo di vedere dei nostri ineffabili alleati. Beninteso: l’Italia se lo merita. Non si può mandare in giro per il mondo rappresentanti impresentabili come Berlusconi e Renzi, proni come Monti o Letta o deboli come Prodi e pretendere che gli altri ti prendano sul serio. O vigliamo parlare dei ministri degli esteri che abbiamo espresso?Lo scontro fra Renzi e la Commissione Europea è uno scontro fra un branco di squali feroci ed uno squalo scemo, impossibile fare il tifo per nessuno dei due. D’altro canto, ho l’impressione che l’elenco dei nemici di Renzi sia già molto lungo e cresce di giorno in giorno: la magistratura, le grandi banche italiane, ora la Farnesina, la tecnocrazia europea, il Consiglio di Stato, infine buona parte del mondo ecclesiale inviperito per la legge sulle unioni civili… E molto è dovuto all’arroganza personale dell’uomo, splendido esempio del “fiorentino spirito bizzarro” andato a male. Forse sono troppo ottimista ma ho l’impressione che, per Renzi, il cronometro della Ue abbia già iniziato a scorrere verso l’ora zero.(Aldo Giannuli, “Perché l’Europa non digerisce Renzi”, dal blog di Giannuli del 10 febbraio 2016).Prosegue imperterrita la “danza degli schiaffoni” fra Renzi e l’Unione Europea. In prima linea ci sono i popolari, ma il silenzio sprezzante dei socialisti pesa ancora di più. Quel povero diavolo di Pittella (per sua sfortuna capogruppo socialista a Strasburgo) cerca di sostenere il suo signore e padrone italiano, giungendo a minacciare la crisi dell’accordo popolari-socialisti che regge la Commissione, mentre i suoi compagni di gruppo francesi, tedeschi e olandesi lo guardano come lo scemo del villaggio con l’aria di pensare “Ma che stai dicendo?”. Da dove nasce questa inedita replica della Cavalleria Rusticana? I punti veri di dissenso sono due: l’applicazione del bail-in e la riduzione delle tasse. Renzi ha bisogno di margini di flessibilità molto più ampi (e usa l’emergenza rifugiati) perché vuol fare un taglio di tasse prima delle elezioni. Sul primo punto, Renzi, che non aveva mosso paglia contro la formazione della direttiva sul bail-in e neppure sulla sua immediata applicazione dal 1° gennaio 2016, aveva pensato di cavarsela con qualche furbata all’italiana (tipo il “salvabanche”), ma gli “europei” non glielo permettono, dando della direttiva l’interpretazione più restrittiva possibile (e ci vuol, poco perché la lettera è già più che sufficiente a bloccare il giullare).
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Trump contro Sanders, se l’America archivia i moderati
«Le elezioni americane, comunque vadano a finire, non servono a cambiare il corso della storia: nessun presidente, per quanto tenace e caparbio possa essere, è in grado di farlo». Secondo Massimo Mazzucco, autore di documentari come “Inganno globale” sull’11 Settembre, le elezioni americane servono però a capire quale sia il sentimento generale della popolazione. E le primarie attualmente in corso «ci stanno dicendo una cosa molto chiara: sia da destra che da sinistra, la gente è stufa del tradizionale sistema politico». Il fatto che a destra stia vincendo un candidato, Donald Trump, che non è mai stato eletto ad alcun ruolo pubblico nella sua vita, secondo Mazzucco la dice lunga su quanto basso sia l’entusiasmo dei repubblicani per i loro rappresentanti moderati, “di sistema”, come Marco Rubio o Jeb Bush. Idem a sinistra, dove sta prevalendo un candidato, Bernie Sanders, che si dichiara apertamente “socialista”, «una parolaccia vera e propria, nella cultura americana». Così come i repubblicani bocciano Bush e Rubio, i democratici votano contro la loro rappresentante “moderata e di sistema”, Hillary Clinton.«La grande fatica che la Clinton sta facendo nell’imporsi in campo democratico, inoltre, rivela un’altra verità storica importante: quello che otto anni fa avrebbe rappresentato un cambiamento storico epocale, e cioè l’elezione della prima donna nella storia a presidente degli Stati Uniti, oggi è considerato semplicemente un fatto aneddotico: che vinca un uomo o una donna non fa più nessuna differenza per gli americani», scrive Mazzucco su “Luogo Comune”. «Le nuove generazioni di donne non si sentono più in dovere di votare la Clinton “in quanto donna”, ma sono tornate a mettere le questioni di principio al di sopra di quelle di gender. E a quanto pare, sulle questioni di principio Sanders è molto più forte della Clinton. È bastato infatti che Sanders denunciasse pubblicamente il fatto che la Clinton abbia preso 800.000 dollari di compenso dalla Goldman Sachs per una banalissima conferenza, per appiccicare alla sua rivale quell’etichetta di “servitrice dei banchieri” che fa decisamente storcere il naso alla base democratica».In sintesi, conclude Mazzucco, abbiamo un’America fortemente polarizzata, sia a destra che a sinistra, con l’estremismo radicale e xenofobo di Trump a fare da traino sul primo fronte, e con un richiamo ai diritti sociali della middle-class a fare da traino sul secondo. «Alla fine, molto probabilmente, prevarrà una posizione centrista e moderata (rep o dem che sia, non fa molta differenza – la convergenza prima di novembre è d’obbligo, da un lato come dall’altro)». Morale? Il vero vincitore «sarà il sistema stesso, che è stato progettato proprio per impedire scossoni e sbilanciamenti in qualunque direzione: “In medium stat power”, dicono i banchieri di Wall Steet». Ma un’America fortemente divisa al suo interno non può essere che un cattivo auspicio per il resto del mondo: «Un’America polarizzata e divisa infatti è molto più facile da controllare, con un’opinione pubblica che può essere molto più facilmente indirizzata verso una guerra sempre più disastrosa per il mondo intero».«Le elezioni americane, comunque vadano a finire, non servono a cambiare il corso della storia: nessun presidente, per quanto tenace e caparbio possa essere, è in grado di farlo». Secondo Massimo Mazzucco, autore di documentari come “Inganno globale” sull’11 Settembre, le elezioni americane servono però a capire quale sia il sentimento generale della popolazione. E le primarie attualmente in corso «ci stanno dicendo una cosa molto chiara: sia da destra che da sinistra, la gente è stufa del tradizionale sistema politico». Il fatto che a destra stia vincendo un candidato, Donald Trump, che non è mai stato eletto ad alcun ruolo pubblico nella sua vita, secondo Mazzucco la dice lunga su quanto basso sia l’entusiasmo dei repubblicani per i loro rappresentanti moderati, “di sistema”, come Marco Rubio o Jeb Bush. Idem a sinistra, dove sta prevalendo un candidato, Bernie Sanders, che si dichiara apertamente “socialista”, «una parolaccia vera e propria, nella cultura americana». Così come i repubblicani bocciano Bush e Rubio, i democratici votano contro la loro rappresentante “moderata e di sistema”, Hillary Clinton.
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Katherine Frisk: il Diavolo veste Prada e siede in Vaticano
Il Vaticano è il prototipo di un’entità fascio-corporativa. Non risponde né paga le tasse a nessuno. I suoi vescovi e i suoi sacerdoti hanno l’immunità diplomatica in tutto il mondo. Ha le sue ambasciate e possiede più beni immobili di qualsiasi altra entità del pianeta. Non ha mai avuto a che fare con Dio, Gesù o il cristianesimo …. ma con il potere, il controllo e la ‘moda’. Il Vaticano ha rilevanti partecipazioni in tutte le più grandi aziende multinazionali, come ad esempio la Lockheed-Martin e la Bank of America. Ma chi e che cosa è davvero il Vaticano? Cosa si nasconde dietro agli ‘uomini eletti’ [i Papi] che calzano scarpe rosse fatte da Prada (il Diavolo veste Prada)? Una fra le più grandi reti pedofile presenti sul pianeta, un’industria attiva nel riciclaggio del denaro e nella gestione del commercio illegale dei farmaci e delle armi. Il Vaticano è una ‘copertura’ per la ‘nobiltà nera’ d’Europa, per i banchieri sionisti e per la setta wahhabita controllata dalla famiglia reale saudita.Non crede nella democrazia e certamente non nelle strutture democratiche di una Repubblica. Sostiene il monopolio, la tirannia politica, l’egemonia e le strutture di tipo gerarchico. I suoi Tribunali sono delle ordalie [il ‘giudizio di Dio’] e non dei luoghi dove i testimoni, sotto la propria responsabilità, possono parlare liberamente. Negli ultimi 1.000 anni il Vaticano si è sempre posto l’obiettivo di fagocitare la Russia, che invece è rimasta cristiano-ortodossa – a dispetto dell’invasione comunista finanziata dai banchieri di Wall Street – e non ha ceduto alla dittatura del Papa né alla sua pretesa di possedere tutto il pianeta, con tutti i suoi corpi e tutte le sue anime. Una Chiesa Apostolica basata su tutti i suoi dodici discepoli – e non del solo Pietro, che è l’unica persona che la Bibbia considera al livello di Satana – è più in linea con il concetto di Federazione di Stati, di Repubblica e di democrazia.Gli spagnoli, ai tempi dell’Inquisizione e dell’ascesa dei Gesuiti, hanno esplorato e colonizzato il Nuovo Mondo, in particolare il Sud America. Nel 20° secolo, in tutto il Continente, abbiamo regolarmente assistito alla soppressione della volontà popolare per mezzo delle violente dittature fasciste, con la ‘mano nascosta’ della Cia, forzata dal Vaticano, a svolgere un ruolo di primo piano. C’è ancora chi sta cercando di divorarsi la Russia – oggi come negli ultimi 1.000 anni – ma c’è anche chi ha preferito trasferirsi, poco a poco, nei paesi del Sud America, portando con sé le sue ricchezze. Queste persone hanno anche generato – utilizzando le ampie risorse del Vaticano – un Nuovo Ordine Mondiale, prototipo del fascismo corporativo, sotto l’egida degli accordi per il Tpp [Trans Pacific Partnership] e per il Ttip [Transatlantic Trade and Investment Partnership]. Il Vaticano, che una volta era il loro ‘pane-e-burro’, si è ora ampliato trasformandosi in quello che è conosciuto come il ‘Vampire Squid’. Una piovra costituita da multinazionali i cui tentacoli abbracciano tutto il mondo.Sotto il regime del Tpp e del Ttip le multinazionali diventeranno esse stesse, analogamente al Vaticano, una specie di Stato, con i loro Tribunali segreti, le loro immunità diplomatiche ed il loro status di aziende esentasse. Avranno gli stessi diritti e gli stessi poteri dei governi. Potranno anche citarli in giudizio per le perdite di reddito conseguenza di Leggi da loro emanate sulla remunerazione del lavoro, sulla sanità e sull’ambiente …. in realtà su qualsiasi Legge governativa che le multinazionali vedessero come un ostacolo alla loro redditività. La Nobiltà Nera, i Gesuiti, gli Illuminati ed i Banchieri Sionisti cambieranno come camaleonti … anzi, lo hanno già fatto. Sono diventati gli Amministratori Delegati delle multinazionali e si sono liberati con successo degli stati-nazione, dei troni sui quali una volta erano seduti, degli altari che una volta servivano come sacerdoti ed infine delle Banche Centrali che un tempo controllavano. Scusate ragazzi, ma il cavallo è già scappato dalla stalla.Negli ultimi 500 anni hanno rubato tutto l’oro che potevano e l’hanno immagazzinato in impianti privati di cui non si sa nulla, lasciando i paesi di tutto il mondo con ‘sistemi bancari centrali’ ormai pressoché defunti, in bancarotta. Il Vaticano diventerà una ‘chiesa povera’ semplicemente perché tutta la sua ricchezza ha già da tempo lasciato l’Italia, insieme a tutto l’oro che era nelle sue catacombe, alle sue opere d’arte e alla sua biblioteca. Oggi, tutto ciò che si vede in Vaticano è una replica. Il ‘vero potere’ del Vaticano ha da tempo lasciato libero l’edificio. Ora siede nei Consigli d’Amministrazione, traccia e pianifica la piena attuazione del Tpp e del Ttip e, se incontra delle difficoltà lungo la strada, scatena ‘rivoluzioni colorate’, tsunami, terremoti e siccità, per convincere le varie nazioni a rientrare nei ranghi. Si tratta, fra l’altro, di crimini contro l’umanità che dovrebbero essere affrontati in un ‘Tribunale di Diritto Internazionale’. I suoi responsabili dovrebbero essere indagati, processati e condannati.Avendo fallito in almeno tre occasioni di prendersi la Russia – Napoleone e le due Guerre Mondiali, ma anche la guerra in Ucraina del 2014 e i patetici tentativi degli anni ’90, attuati attraverso delle guerre economiche – [il vero potere] ha ora deciso di scaricare l’Europa nel suo complesso, per approdare nei più salubri climi del sud del mondo. E, come al solito, farà in modo che tutto questo sembri colpa di qualcun altro. In ogni caso è questo il loro piano. Da qui il finanziamento di Soros ai ‘profughi’ diretti in Europa e la promessa fatta ai wahabiti [sauditi] che la fallita invasione [a suo tempo tentata] dall’Impero Ottomano potrà ora aver luogo. I musulmani saranno chiamati invasori, colonizzatori … e saranno la causa principale della distruzione della società europea per come la conosciamo. Ma le cose potrebbero risultare del tutto diverse da come [il vero potere] se le aspetta.Per gli europei la soluzione migliore, se vogliono sopravvivere, è di chiudere le frontiere, rifiutare di firmare il Ttip e poi andare verso Est unendosi all’Aiib [Asian Infrastructure Investment Bank] e ai Brics. Si tratta di un ‘caval donato’, non stiano a ‘guardare in bocca’. Dovrebbe tenere la Monsanto fuori dall’Europa e rimandare i ‘profughi’ da Soros con un biglietto di sola andata! Egli è così ricco che potrà senz’altro accoglierli, nutrirli e vestirli. Egli li ha finanziati, in primo luogo, perché potessero andare in Europa …. ed allora rimandateglieli indietro. Dopo secoli di tirannia del Vaticano gli europei diventeranno liberi. Dite ciao alla Nobiltà Nera, ai Gesuiti ed ai banchieri sionisti perché stanno imbarcandosi su aerei diretti in Sud America. Vi siete liberati di loro. Mille anni di persone inviate al rogo sono stati veramente troppi. Papa Francesco ha fondamentalmente chiuso bottega e il Vaticano è ormai un guscio vuoto. Lui non calza scarpe Prada e sta dando una rappresentazione del ruolo che contrasta con quella di Papa Benedetto, che sedeva su un Wc dal coperchio d’oro. Ma il suo è solo fumo negli occhi, baby!Polonia, Ungheria, Austria, Repubblica Ceca e Slovacchia si sono già svegliate. Si muovono verso Est ed hanno gettato nella discarica le politiche di Bruxelles. Questi paesi sono stanchi di essere usati ed abusati, di essere scaraventati in mezzo a guerre che hanno attraversato e distrutto il Continente, mentre coloro che le hanno istigate se ne vanno via con le tasche piene, dopo aver devastato le popolazioni. L’Ungheria, nella sua saggezza, ha bruciato i campi Ogm della Monsanto e ha sradicato questa multinazionale dal paese. Seguirà presto il resto dell’Europa. L’Ucraina Orientale diventerà uno Stato indipendente. La Polonia e l’Ungheria reclameranno quello che originariamente era il loro territorio e la giunta nazi-sionista di Kiev resterà isolata in un piccolo Stato. Chi è che ha bisogno di quei mostri? Il mondo intero, nel 2014, ha visto i loro barbari stupri, le loro ruberie ed i loro saccheggi. La Germania andrà presto verso Est, così come la Francia.Per quanto riguarda la Spagna, il paese è ancora legato al Sud America da un cordone ombelicale, analogamente alla Nobiltà Nera e a quello che una volta era il Vaticano, ma ora solo il grande ‘Vampire Squid’. Chissà come andrà a finire? La Turchia sta scavandosi la tomba con le proprie mani, minacciando la Russia nel nord della Siria. Dovesse persistere, il paese sarà suddiviso tra Armeni, Curdi e Cristiani Ortodossi d’Occidente. Quello che sarà lasciato alla Turchia sarà solo un territorio di lieve entità. Mi aspetto anche che Costantinopoli e la Basilica di Santa Sofia siano restituite alla Grecia, paese cui appartengono. E così l’Apocalisse sarà compiuta. Questo è quello che, a torto o a ragione, son riuscita a capire. Io sono solo una donna [nel senso di ‘essere umano’] e mi riservo di conseguenza il diritto di cambiare idea in qualsiasi momento. Il tempo dirà se ho avuto o meno ragione.(Katherine Frisk, “Il diavolo veste Prada – il fascismo, il Vaticano e il 21° secolo”, da “Veterans Today” del 23 gennaio 2016, tradotto da “Come Don Chisciotte).Il Vaticano è il prototipo di un’entità fascio-corporativa. Non risponde né paga le tasse a nessuno. I suoi vescovi e i suoi sacerdoti hanno l’immunità diplomatica in tutto il mondo. Ha le sue ambasciate e possiede più beni immobili di qualsiasi altra entità del pianeta. Non ha mai avuto a che fare con Dio, Gesù o il cristianesimo …. ma con il potere, il controllo e la ‘moda’. Il Vaticano ha rilevanti partecipazioni in tutte le più grandi aziende multinazionali, come ad esempio la Lockheed-Martin e la Bank of America. Ma chi e che cosa è davvero il Vaticano? Cosa si nasconde dietro agli ‘uomini eletti’ [i Papi] che calzano scarpe rosse fatte da Prada (il Diavolo veste Prada)? Una fra le più grandi reti pedofile presenti sul pianeta, un’industria attiva nel riciclaggio del denaro e nella gestione del commercio illegale dei farmaci e delle armi. Il Vaticano è una ‘copertura’ per la ‘nobiltà nera’ d’Europa, per i banchieri sionisti e per la setta wahhabita controllata dalla famiglia reale saudita.
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Bofinger: Btp a rischio, il piano-Schäuble devasterà l’Italia
Euro e Germania, ultimo capitolo della catastrofe: «Se fossi un politico italiano vorrei tornare alla mia moneta il più velocemente possibile: è questo l’unico modo per evitare la bancarotta». Parola di Peter Bofinger, uno dei cinque “saggi” del supremo consiglio economico del governo tedesco, secondo cui il nuovo piano di Berlino sul taglio dei debiti “sovrani” nell’Eurozona, con la fine delle garanzie pubbliche sui titoli di Stato, innescherà l’inarrestabile crisi delle obbligazioni europee e potrebbe costringere l’Italia e la Spagna a ripristinare le loro valute. «E’ il modo più veloce per porre fine all’Eurozona», dichiara al “Telegraph” il professor Bofinger, che spiega: «Potrebbe arrivare molto velocemente un attacco speculativo». Per questo, aggiunge, l’unica via d’uscita è il ritorno alla moneta nazionale. Tutto questo, dopo che il “German Council of Econonomic Advisers” ha chiesto l’introduzione di uno specifico meccanismo da attivare per eventuali “insolvenze sovrane”, anche a costo di sovvertire i principi finanziari dell’“ordine del dopoguerra’ in Europa. Stop ai bail-out, i salvataggi statali, proprio come previsto dal Trattato di Maastricht.Il piano tedesco ha il sostegno della Bundesbank e, più di recente, del ministro delle finanze tedesco Wolfgang Schaeuble, «che di solito riesce a imporre la sua volontà, nell’Eurozona», scrive Ambrose Evans-Pritchard sul “Telegraph”, in un articolo ripreso da “Come Don Chisciotte”. «Colloqui molto delicati sono attualmente in corso nelle principali capitali europee e stanno provocando dei forti brividi a Roma, Madrid e Lisbona». Secondo questo schema, riassume Pritchard, ad ogni futura crisi del “debito sovrano”, gli obbligazionisti (cioè i detentori dei titoli di Stato) dovranno subire delle perdite (“haircut”), prima che ci possa essere un salvataggio da parte dell’Esm, il Fondo Salva-Stati europeo. «Questo piano provocherà dei guai», ha dichiarato Lorenzo Codogno, già capo-economista del Tesoro italiano. Il bail-in sui debiti sovrani (salvataggio interno, anche con preliveo forzoso) corrisponde a quello entrato in vigore lo scorso gennaio nei riguardi degli obbligazionisti delle banche, che ha contribuito alla drastica svendita delle azioni bancarie dell’Eurozona.In una nota, Bofinger avverte che il piano tedesco potrebbe auto-avverarsi molto in fretta, innescando «una corsa alla vendita delle obbligazioni da parte degli investitori, per liberarsi delle loro partecipazioni ed evitare l’’haircut». Italia, Portogallo e Spagna non potrebbero difendersi perché prive dei propri strumenti monetari: «Questi paesi rischierebbero di essere colpiti da una pericolosa crisi di fiducia», conclude. Il “German Council” ritiene che il primo passo sia quello di assegnare un più alto “rischio-ponderazione” al debito pubblico detenuto dalle banche, in termini di titoli di Stato, e anche un limite a quanto ne possono acquistare, «con l’esplicito obbiettivo di costringerle a cederne per 604 miliardi di euro: dovrebbero in alternativa raccogliere 35 miliardi di capitale fresco, perché la situazione possa essere ritenuta “gestibile”», scrive Evans-Pritchard. «Si tratta di un problema nevralgico, per l’Italia, dove le banche possiedono 400 miliardi di euro di debito pubblico e hanno effettivamente utilizzato i fondi della Banca Centrale Europea per sostenere il Tesoro italiano».Per ora, Mario Draghi ha aggirato la questione: «E’ un problema con cui abbiamo a che fare: è necessario un approccio ponderato e graduale». Ma il Portogallo è già nell’occhio del ciclone, sottolinea Pritchard: Lisbona deve affrontare sia un rallentamento dell’economia che uno scontro con Bruxelles sull’austerità. Lo spread portoghese è salito a 410 punti-base rispetto a quello tedesco, spingendo gli oneri finanziari a livelli insostenibili. Il debito pubblico del Portogallo è al 132% del Pil, mentre l’indebitamento totale è al 341%, il più alto d’Europa. Il paese è caduto nella trappola del debito-deflazione e, per poterne sfuggire, avrebbe bisogno di anni e anni di forte crescita. Il paese «potrebbe perdere l’accesso al mercato finanziario», ha dichiarato Mark Dowding, della “Blue Bay”. «Abbiamo visto una situazione molto brutta, la scorsa settimana. I grandi Fondi statunitensi che avevano investito nei titoli di Stato portoghesi stanno cercando di uscire da quelle posizioni. Con i riscatti che sono in corso, si tratta di una vera e propria ‘tempesta perfetta’». Se la crisi dovesse perdurare, aggiunge Evans-Pritchard, le preoccupazioni per un nuovo salvataggio della Troika – e per le condizioni che sarebbero imposte – potrebbero rapidamente prendere piede.Il “German Council” ritiene che lo speciale status normativo del “debito sovrano” posseduto dalle banche debba essere eliminato: chi detiene bond pubblici deve “rischiare” il proprio capitale. Peccato che – con l’euro – l’emissione di titoli è l’unico strumento di finanziamento dello Stato. Proprio la finanza pubblica, la sovranità nazionale democratica, è il grande obiettivo dell’operazione-Eurozona, che punta a demolire l’interesse pubblico sabotando la capacità finanziaria dello Stato per consegnare il sistema al pieno dominio dell’élite economico-finanziaria. Il piano-Schäuble vuole che i titoli di Stato non siano più “sicuri”, garantiti dal Tesoro, ma condizionati alle coperture bancarie, come qualsiasi obbligazione privata. Sicché, «i rischi maggiori sono per le banche di Grecia, Portogallo, Spagna, Irlanda e Italia». L’obiettivo dichiarato, naturalmente, è un altro: ridurre il legame fra “debito sovrano” e banche attraverso una separazione parziale, per prevenire che le crisi del debito pubblico possano diffondersi e “smontare” i sistemi bancari nazionali. Ma la verità è ben diversa: il piano mira proprio a indebolire i sistemi nazionali.Per Bofinger, il vero problema è che la Germania e i paesi-creditori dell’Eurozona si rifiutano di accettare le implicazioni di una vera unione monetaria, cioè la condivisione del debito e l’unione fiscale. A suo parere, la nozione di “meccanismo d’insolvenza sovrana” è interpretata in modo sbagliato: «Perpetua la bufala che la radice della crisi sia negli abusi fiscali dei governi». In realtà, annota Evans-Pritchard, il debito pubblico è esploso nel 2008 perché i paesi in crisi hanno dovuto prendere misure d’emergenza per evitare il collasso delle loro economie, dopo il crack Lehman a Wall Street. Ma quello era solo l’ultimo capitolo. Il problema è a monte, come spiega l’economista democratico e sovranista Nino Galloni: il dramma, per l’Italia (crisi e declino, deindustrializzazione) cominciò nel lontano 1981, quando – ben prima dell’adozione dell’euro – il ministro del Tesoro Beniamino Andreatta e il governatore di Bankitalia Carlo Azeglio Ciampi tagliarono il cordone ombelicale tra Banca d’Italia e bilancio: da quel momento, la banca centrale smise di essere il “bancomat del governo”, a costo zero, e lo Stato dovette affidarsi alla finanza privata, cui vendere titoli di Stato, a beneficio esclusivo degli “investitori” e dei loro interessi.L’euro ha reso “sistemico” il quadro, sprofondando l’Europa in una crisi senza precedenti, con disoccupazione mai vista dal dopoguerra. Ora, il nuovo piano dei tedeschi consentirebbe inoltre agli investitori privati di agire come “giudici” della solvibilità degli Stati, sottolinea Evans-Pritchard. La pensa così anche Peter Bofinger, che avverte: «Non possiamo consentire un sistema in cui i mercati diventano padroni dei governi». Il “German Council” è «alquanto sprezzante nelle sue conclusioni», annota il giornalista economico inglese. «Ha schiacciato qualsiasi discorso relativo ad un Tesoro o ad un’Autorità Fiscale condivisa: l’unico modo per sostenere l’unione monetaria è di imporre un controllo rigoroso e di rafforzare le norme esistenti». Con buona pace dell’Europa che affonda, con il suo euro, e con politici che ancora evitano di denunciare apertamente la tragedia innescata dalla moneta europea a controllo tedesco.Euro e Germania, ultimo capitolo della catastrofe: «Se fossi un politico italiano vorrei tornare alla mia moneta il più velocemente possibile: è questo l’unico modo per evitare la bancarotta». Parola di Peter Bofinger, uno dei cinque “saggi” del supremo consiglio economico del governo tedesco, secondo cui il nuovo piano di Berlino sul taglio dei debiti “sovrani” nell’Eurozona, con la fine delle garanzie pubbliche sui titoli di Stato, innescherà l’inarrestabile crisi delle obbligazioni europee e potrebbe costringere l’Italia e la Spagna a ripristinare le loro valute. «E’ il modo più veloce per porre fine all’Eurozona», dichiara al “Telegraph” il professor Bofinger, che spiega: «Potrebbe arrivare molto velocemente un attacco speculativo». Per questo, aggiunge, l’unica via d’uscita è il ritorno alla moneta nazionale. Tutto questo, dopo che il “German Council of Econonomic Advisers” ha chiesto l’introduzione di uno specifico meccanismo da attivare per eventuali “insolvenze sovrane”, anche a costo di sovvertire i principi finanziari dell’“ordine del dopoguerra’ in Europa. Stop ai bail-out, i salvataggi statali, proprio come previsto dal Trattato di Maastricht.
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Prodi & D’Alema puntano su Tito Boeri per deporre Renzi
La scena che vi stiamo per descrivere si ripete ormai da un po’ di settimane con una certa continuità. E da quando i mercati hanno deciso di punire con decisione le Borse europee, e soprattutto quella italiana, facendo registrare delle brusche oscillazioni sui titoli bancari (ieri Milano ha chiuso a meno 5,63 per cento) e rimettendo in movimento lo spread tra titoli di stato italiani e titoli di stato tedeschi (spread che ieri ha superato i 150 punti base), capita sempre più spesso che i collaboratori più stretti del presidente del Consiglio si ritrovino a rispondere a domande brusche come quelle ricevute in queste ore, a Roma, da diversi ambasciatori. Il tema è il seguente e la domanda è stata rivolta ancora una volta ieri, da parte di un importante ambasciatore, a un esponente del Pd vicino al premier: “Ci risulta ci sia un piano per far cadere questo governo. Siete sicuri che il presidente del Consiglio non faccia la fine che ha fatto Berlusconi nel 2011?”. Il collaboratore di Renzi anche in questa occasione ha risposto con un sorriso e ha argomentato l’inesistenza di questa eventualità. La scena si ripete ormai da settimane con vari pezzi più o meno pregiati della diplomazia straniera.Ma al contrario di quello che si potrebbe credere, la ragione per cui si è diffusa, anche in molte ambasciate romane, la voce che ci sia qualcuno che stia provando a lavorare ai fianchi il presidente del Consiglio non è legata a un’invenzione di qualche malelingua diplomatica. E’ legata, piuttosto, alla presenza sulla scena internazionale di un pezzo di establishment italiano, un po’ sgangherato, che da alcune settimane tende a sponsorizzare la tesi, esplicita, che ci sia una connessione precisa tra lo stato di salute delle Borse italiane e lo stato di salute del governo. Un pezzo di establishment, dicevamo, guidato da uno speciale club con ottimi contatti in Europa formato da ex presidenti del Consiglio (Enrico Letta, Massimo D’Alema, Romano Prodi) che da tempo, a vario titolo, sostiene, in modo più o meno implicito, che – per salvare l’Italia e non condannare il nostro paese a una nuova recessione e a un imminente collasso economico – sia necessario, urgentissimo, preparare la strada a un’alternativa all’attuale presidente del Consiglio. Commissariare, adesso.L’idea che D’Alema, Letta e Prodi – spalleggiati da un establishment in movimento e in leggero riposizionamento che si riconosce negli editoriali di Eugenio Scalfari e in molti fondi del Corriere della Sera improvvisamente critici con il governo – possano ambire a innescare una scintilla capace di far saltare Renzi può apparire goffa e sconclusionata anche perché i tre ex presidenti del Consiglio si trovano ormai distanti anni luce dal Parlamento e dai giochi di palazzo e difficilmente sarebbe sufficiente una raffica di interviste o una mitragliata di dichiarazioni sulle agenzie, come quelle registrate negli ultimi giorni, per far cambiare il volto di un governo (anche se Enrico Letta, per esempio, mantiene da tempo ottimi rapporti con il Mef, dove si trovano diversi tecnici che Letta aveva a Palazzo Chigi, e con lo stato maggiore del Quirinale). Eppure, a credere alla possibilità di uno switch off, non sono soltanto gli amici del club degli ex premier e alcuni ambasciatori ma è anche un personaggio particolare, un tecnico di lusso con il profilo da perfetto politico, che da mesi prova ad accreditarsi, anche con il Quirinale, come il sostituto naturale di Matteo Renzi in caso di improvviso collasso di questo governo.Come se fosse lui, in un certo senso, il Mario Monti del 2016. Il nome del tecnico è quello dell’attuale presidente dell’Inps Tito Boeri, economista di fama internazionale, professore ordinario di Economia del lavoro all’Università Bocconi, già consulente del Fondo monetario internazionale, della Banca mondiale, della Commissione europea, già senior economist all’Ocse dal 1987 al 1996, già direttore della Fondazione Rodolfo Debenedetti, ottimi rapporti con il mondo Rep. e ottimi legami con la sinistra non solo del Pd (ai tempi della riforma del mercato del lavoro, la proposta alternativa al Jobs Act, la legge Boeri-Garibaldi, fu sponsorizzata non solo dalla sinistra del Pd ma persino dalla sinistra a sinistra del Pd, fronte Pippo Civati). Nonostante sia stato proprio Renzi a nominarlo a capo dell’Inps – anche se la decisione è stata presa più sulla base della rinuncia degli altri candidati che su quella di un investimento specifico di Palazzo Chigi – dal giorno del suo insediamento all’Istituto nazionale della previdenza sociale Boeri ha scelto di muoversi con un passo non da tecnico puro ma da tecnico politico. Già pochi mesi dopo la sua nomina (24 dicembre 2014) ha cominciato a intestarsi alcune battaglie squisitamente politiche: lotta ai vitalizi (“Dimezziamo quelli sopra gli 80 mila euro”), lotta alle pensioni d’oro (“Ricalcoliamo tutte le pensioni retributive o miste con il solo calcolo contributivo”), lotta a favore dell’introduzione del reddito minimo (“Andrebbe introdotto un reddito minimo garantito per gli over 55”).Al di là delle dichiarazioni, che quasi somigliano comunque a una bozza di agenda di governo, la tentazione di Boeri (fratello di Stefano, architetto, ex assessore della giunta Pisapia) di svestire i panni del tecnico per indossare gli abiti del politico era già emersa esattamente due anni fa, quando il fondatore del sito Lavoce.info si illuse che le voci che lo davano come prossimo ministro del Lavoro del governo Renzi fossero vere – Boeri digerì a fatica la scelta fatta dal segretario del Pd di affidare invece quel ruolo a Giuliano Poletti. Oggi Tito Boeri coltiva una nuova illusione. E se da un lato il club delle prime mogli (D’Alema, Letta, Prodi) probabilmente non crede fino in fondo alla possibilità di spodestare Renzi da Palazzo Chigi (anche perché il presidente della Bce Mario Draghi, pur mantenendo alcune riserve nei confronti dell’atteggiamento del governo in Europa, non ha alcuna intenzione di triangolare neanche lontanamente con il partito della zizzania), dall’altro lato si può dire che il bocconiano Boeri sogna ormai da tempo di poter essere un giorno la guida di un governo alternativo a quello attuale (e poi chissà). Oggi i renziani sorridono, e sorridiamo anche noi. Ma se un domani dovesse esserci un qualche cortocircuito al governo il partito trasversale di Tito Boeri proverà in tutti i modi a trasformare il presidente dell’Inps nel Monti del 2016. Auguri, e figli spread.(Claudio Cerasa, “Chi vuol mandare in pensione Renzi”, da “Il Foglio” del 12 febbraio 2016).La scena che vi stiamo per descrivere si ripete ormai da un po’ di settimane con una certa continuità. E da quando i mercati hanno deciso di punire con decisione le Borse europee, e soprattutto quella italiana, facendo registrare delle brusche oscillazioni sui titoli bancari (ieri Milano ha chiuso a meno 5,63 per cento) e rimettendo in movimento lo spread tra titoli di stato italiani e titoli di stato tedeschi (spread che ieri ha superato i 150 punti base), capita sempre più spesso che i collaboratori più stretti del presidente del Consiglio si ritrovino a rispondere a domande brusche come quelle ricevute in queste ore, a Roma, da diversi ambasciatori. Il tema è il seguente e la domanda è stata rivolta ancora una volta ieri, da parte di un importante ambasciatore, a un esponente del Pd vicino al premier: “Ci risulta ci sia un piano per far cadere questo governo. Siete sicuri che il presidente del Consiglio non faccia la fine che ha fatto Berlusconi nel 2011?”. Il collaboratore di Renzi anche in questa occasione ha risposto con un sorriso e ha argomentato l’inesistenza di questa eventualità. La scena si ripete ormai da settimane con vari pezzi più o meno pregiati della diplomazia straniera.
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Crescita, l’Europa senza euro surclassa i paesi della Bce
Se l’euro non fosse stato adottato, la crisi sarebbe da tempo alle nostre spalle. Lo sostiene l’insigne economista danese Lars Christensen, che sostiene che la crisi greca non riguarda la Grecia, ma è il sintomo di un problema più grande, cioè l’euro stesso. Se non fosse stato per la moneta della Bce, «non saremmo stati obbligati ad affrontare massicci salvataggi di Stati, non ci saremmo trovati con sette anni di recessione nell’Eurozona e la disoccupazione sarebbe stata molto più bassa». Tutto questo sarebbe avvenuto «se in Europa avessimo avuto un tasso di cambio flessibile invece di quello che potremmo chiamare il Meccanismo di Strangolamento Monetario (Mms)». Fortunatamente, non tutti i paesi europei sono entrati nell’euro: «L’andamento economico dei paesi che non sono entrati potrebbe darci qualche suggerimento su come le cose avrebbero potuto andare se l’euro non fosse mai stato introdotto». Per questo, Christensen ha esaminato i risultati della crescita nei paesi dell’area euro e in quelli che in Europa hanno avuto tassi di cambio flessibili (o quasi flessibili), per mettere a confronto paesi “agganciati” con paesi “flessibili”. Inutile dire che la differenza è impressionante: chi è fuori dall’euro se la cava, gli altri hanno un Pil inferiore a quello che avevano nel 2007.
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Deutsche Bank: 20 volte il Pil tedesco, ma è carta straccia
E’ arrivato il momento del panico per Deutsche Bank? Quello che sembrava un colosso finanziario, si rivela la banca speculativa più esposta al mondo, con un mostruoso giacimento di titoli tossici: qualcosa come 75.000 miliardi di dollari in derivati, cioè 20 volte il Pil della Germania. E ora la realtà sta venendo alla luce, facendo temere il minaccioso collasso del “gigante d’argilla” tedesco. Un evento che – da solo – potrebbe terremotare in modo irreparabile la finanza europea, mettendo in pericolo il sistema finanziario mondiale. Lo sostiene “Zero Hedge”, in un’analisi tradotta da “Voci dall’Estero” che riprende e rilancia un allarme datato almeno 2013 sul rischio sistemico rappresentato dall’istituto bancario di Francoforte. Già nell’aprile del 2013, infatti, “Zero Hedge” aveva mostrato per la prima volta qualcosa di cui pochi erano a conoscenza, vale a dire che «con 72.800 miliardi di dollari, la banca più esposta ai derivati del mondo» non era Jp Morgan come alcuni pensavano, ma il colosso bancario tedesco, Deutsche Bank. Alcuni hanno alzato le spalle, dicendo che non si dovrebbe mai guardare l’esposizione lorda ai derivati ma solo la netta. Risposta: «Il netto diventa immediatamente pari al lordo quando anche una sola controparte nella catena dei collaterali va a picco: si vedano ad esempio i fallimenti Lehman e Aig e il conseguente terremoto per salvare il mondo intero, costato migliaia di miliardi di fondi dei contribuenti».L’anno seguente, nuovo allarme: Deutsche Bank diventa “l’elefante nella stanza”, con una devastante esposizione in derivati (75.000 miliardi di dollari, 20 volte superiore al Pil tedesco). Lo scorso giugno, una domanda ancora più diretta: «Deutsche Bank è la prossima Lehman?». A preoccupare, non era solo il gigantesco rischio sullo stato patrimoniale della banca, «ma il fatto che le sue attività deteriorate avevano finalmente iniziato a intaccare il conto economico, portando a una perdita dopo l’altra, una cambio al vertice dopo l’altro, un accordo giudiziale per aggiotaggio dopo l’altro». Tutto è culminato ora «con la perdita titanica, e da record per la banca, di 7 miliardi di euro, peggiore perfino delle difficoltà della banca anche nel pieno della crisi finanziaria globale», scrive “Zero Hedge”. Come se non bastasse, «anche le altre banche hanno iniziato a prestare attenzione allo stato patrimoniale di Db». Per Citigroup, il “rapporto di leva” (vincolo fondamentale per il capitale) nel caso di Deutsche è al 3,5%, cioè «ben al di sotto dei suoi concorrenti e dell’obiettivo del 4,5% dell’azienda». Ciò implica «un deficit di 15 miliardi di euro». Al netto di manovre possibili, resterebbe ancora una voragine da 7 miliardi che entro il 2017 «rischia di rendere necessario un aumento di capitale fino a 7 miliardi di euro».E poi, aggiuge “Zero Hedge”, c’è l’enorme buco nero che è la Cina, verso la quale Deutsche Bank è super-esposta. Secondo “New Europe”, «le più grandi banche europee sono esposte in modo significativo verso la Cina e, se dovesse esserci una significativa riduzione della leva finanziaria, l’impatto sarebbe senza dubbio globale». Parliamo di tutto questo, spiega “Zero Hedge”, perché a preoccupare è l’andamento del prezzo delle azioni di Deutsche Bank, in calo vertiginoso dal primo “avvertimento” del 2013 circa i rischi potenziali, enormi, connessi all’azzardo finanziario della banca tedesca. «Ma il grafico a cui tutti dovrebbero prestare attenzione – conclude “Zero Hedge” – non è neppure quello del rischio d’impresa, che è da allarme rosso, bensì quello dei Cds, i “credit default swaps”, relativi al mercato e all’ammissione del rischio: finalmente i dati reali «sono saltati fuori e hanno urlato che c’è qualcosa di molto, molto sbagliato nella banca con la più grande esposizione di derivati nozionali lorda nel mondo. Quindi, ecco la nostra domanda di oggi: è già arrivato il momento del panico per Deutsche Bank?».E’ arrivato il momento del panico per Deutsche Bank? Quello che sembrava un colosso finanziario, si rivela la banca speculativa più esposta al mondo, con un mostruoso giacimento di titoli tossici: qualcosa come 75.000 miliardi di dollari in derivati, cioè 20 volte il Pil della Germania. E ora la realtà sta venendo alla luce, facendo temere il minaccioso collasso del “gigante d’argilla” tedesco. Un evento che – da solo – potrebbe terremotare in modo irreparabile la finanza europea, mettendo in pericolo il sistema finanziario mondiale. Lo sostiene “Zero Hedge”, in un’analisi tradotta da “Voci dall’Estero” che riprende e rilancia un allarme datato almeno 2013 sul rischio sistemico rappresentato dall’istituto bancario di Francoforte. Già nell’aprile del 2013, infatti, “Zero Hedge” aveva mostrato per la prima volta qualcosa di cui pochi erano a conoscenza, vale a dire che «con 72.800 miliardi di dollari, la banca più esposta ai derivati del mondo» non era Jp Morgan come alcuni pensavano, ma il colosso bancario tedesco, Deutsche Bank. Alcuni hanno alzato le spalle, dicendo che non si dovrebbe mai guardare l’esposizione lorda ai derivati ma solo la netta. Risposta: «Il netto diventa immediatamente pari al lordo quando anche una sola controparte nella catena dei collaterali va a picco: si vedano ad esempio i fallimenti Lehman e Aig e il conseguente terremoto per salvare il mondo intero, costato migliaia di miliardi di fondi dei contribuenti».
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Nazionalizzare il denaro, l’unica rivoluzione per noi schiavi
Noi uomini siamo portati a pensare che sia possibile risolvere un problema, una crisi, un’ingiustizia, attraverso un’azione collettiva delle persone interessate e consapevoli. Se scopriamo quello che ci sembra essere la causa di un grave male che affligge la società (questa causa potrebbe essere il signoraggio o un certo uso delle onde elettromagnetiche o i vaccini o le registrazioni anagrafiche, tanto per fare qualche esempio), siamo portati a pensare che, diffondendo la consapevolezza di questa nostra scoperta fondamentale, susciteremo una reazione collettiva e coordinata dei nostri simili che potrà risolvere il problema dal basso, con un’azione di massa, magari rivoluzionaria. Solo che tale reazione collettiva e coordinata, nel mondo reale, non vuole partire: il grosso della popolazione non si interessa, se si interessa non capisce, se capisce presto dimentica, se non dimentica comunque non si coordina e non agisce. Questa è l’umanità reale, con i suoi reali comportamenti. Mi obietterete che però, di fatto, l’umanità è capace di fare rivoluzioni. Lo ha dimostrato. Avete ragione.L’attuale situazione della società è veramente molto grave e con pessime prospettive, soprattutto perché la cosiddetta crisi economica appare ormai chiaramente come uno strumento volontariamente attivato e mantenuto per concentrare il reddito e la ricchezza, ma anche il potere politico, nelle mani di pochi grandi finanzieri che si deresponsabilizzano celandosi dietro istituzioni politiche ufficiali che essi hanno svuotato di potere effettivo; e al contempo per far accettare alla gente di avere meno diritti, meno libertà, meno dignità, meno benessere, e di essere governata da lontano e da soggetti irresponsabili. Insomma è una crisi indotta a scopi di ingegneria sociale. Appare altrettanto chiaro che, pertanto, non è possibile risolverla per le vie interne dell’ordinamento giuridico nazionale o internazionale, cioè ad esempio attraverso le elezioni e i parlamenti, dato che esse sono interamente controllate dall’oligarchia al potere su scala globale. Quindi solo un’azione rivoluzionaria dal basso, una rivoluzione popolare, parrebbe idonea a risolvere il problema.Lo conferma il fatto che sono rimasti e rimangono completamente inascoltati, anche di fronte all’avverarsi delle loro previsioni, gli autorevoli economisti che, dagli anni ’70 ad oggi, hanno preavvertito le istituzioni dei disastri che sarebbero stati causati dalle riforme monetarie e bancarie in cantiere, perché hanno proposto e stanno proponendo rimedi razionali. Sono rimasti inascoltati perché parlavano dal punto di vista dell’interesse collettivo, non di quello dell’élite decidente. Molto semplice. Ed eccoci ritornati all’opzione rivoluzionaria. Ma questa opzione deve fare i conti con i dati della realtà storica seguenti. Pensiamo alle grandi rivoluzioni popolari: quella francese, quella sovietica, quella cinese, quella nazista, quella khomeinista in Persia. Tutte sono avvenute a furor di popolo, il popolo si aspettava di risolvere i suoi problemi, ma le cose sono andate diversamente, nel senso che il popolo ha subito un forte peggioramento della sua situazione.In Francia, dopo la rivoluzione, vi fu un ventennio di stragi, con il periodo del Terrore, poi delle guerre contro le coalizioni monarchiche, poi delle guerre napoleoniche, e intere generazioni di giovani furono annientate sui campi di battaglia. Alla fine, in Francia ritornò la monarchia – non è buffo? – e per giunta la Francia si ritrovò subalterna al Regno Unito, cioè perse la sua indipendenza politica. Certo, la rivoluzione francese pose fine al feudalesimo e mise al potere il capitalismo. Negli altri esempi citati, sappiamo tutti che cosa avvenne a quelle nazioni dalle loro rivoluzioni popolari in termini di guerre, distruzioni, dittature, arretratezza. Alle volte, in periodi di acuta crisi, nei quali era evidente una qualche particolare causa della crisi, gli interessi collettivi hanno ottenuto riforme a loro tutela contro gli interessi delle classi sfruttatrice dominanti. Cito come esempi le riforme dei Gracchi nella Roma antica e il Glass-Steagall Act a seguito della crisi del ’29, entrambe tese a porre freno al saccheggio della società da parte della classe finanziaria.Ma poi, in tutti i casi di questo tipo, le classi dominanti, attraverso una pianificazione politica di medio e lungo termine, con azione di lobbying e corruzione, approfittando della cronica distrazione del popolo, hanno sempre recuperato le posizioni perdute e hanno portato avanti i loro interessi contro la popolazione subalterna. Ciò avvenne al tempo dei Gracchi, ed è avvenuto anche ultimamente, con l’abolizione del Glass Steagall Act nel 1999 e tutta una serie di riforme del diritto finanziario e bancario, che hanno permesso le megafrodi bancarie con cui i banchieri hanno realizzato e stanno realizzando enormi profitti a danno della collettività anche oggi e praticamente senza mai pagare il fio. Gli interessi concentrati e consapevoli vincono su sempre su quelli diffusi, nel medio e lungo periodo. Di solito però già anche nel breve periodo.La via rivoluzionaria, nel mondo odierno, è peraltro impraticabile, sia perché l’oligarchia al potere a un enorme vantaggio tecnologico e militare su qualsiasi movimento popolare, disponendo non solo di argomenti ma anche di strumenti di monitoraggio e intervento capillari nella vita di ciascuno, il sogno di tutti i dittatori della storia; sia perché è un mondo interdipendente, perciò, quand’anche un paese insorgesse e se liberasse dai suoi oppressori finanziari e politici, verrebbe bloccato e messo in ginocchio nel giro di pochi giorni. Pensiamo inoltre che l’Italia è un paese e militarmente occupato dagli Stati Uniti con oltre 130 basi militari. E che dipende da forniture esterne per sopravvivere, innanzitutto dal petrolio, che si paga in dollari.Siamo insomma condannati a restare stabilmente in questa situazione e in questo trend peggiorativo, che ci porta verso abissi di insicurezza, di privazione di diritti e libertà, di invasione delle nostre vite da parte di un potere tecnologico incontenibile, entro un regime alla Orwell? Con ragionevole sicurezza, in base all’osservazione dei fatti storici, a questa domanda si può rispondere di no, poiché la storia ci mostra che i sistemi di potere, regni, imperi e repubbliche, così come le costituzioni e le condizioni giuridiche ed economiche, non sono mai stati stabili, non sono mai durati a lungo, soprattutto da quando l’umanità si è messa a commerciare e ha sviluppato varie tecnologie. Cioè da più di 25 secoli. Anche gli imperi apparentemente più solidi, più forti, più invincibili, sono crollati, si sono frantumati, perlomeno a causa di processi disorganizzati ivi interni. Senza bisogno di rivoluzioni popolari.Se esaminate per esempio la storia di Roma, dall’epoca monarchica a quella repubblicana a quella del principato e a quella del dominatus, cioè da Diocleziano in poi, vedrete che gli assetti costituzionali, economici, organizzativi, demografici, si trasformano incessantemente, e che le cose più costanti sono proprio i meccanismi che alimentano squilibri: la lenta demolizione dell’agricoltura e della popolazione in Italia, il trasferimento della ricchezza e del potere dall’aristocrazia terriera senatoriale alla classe finanziaria equestre, il travaso di oro da occidente a oriente (causato dal passivo della bilancia commerciale). Insomma, i grandi cambiamenti avvengono, sono sempre avvenuti, nella storia. Sono avvenuti non solo per effetto di azioni volontarie (collettive o individuali), ma pure e soprattutto per il concorso di forze e di processi molteplici, impersonali, perlopiù incompresi o fraintesi, perlopiù irresistibili, e solitamente con esiti diversi da quelli previsti, progettati, desiderati. Fattori di tipo climatico, economico, demografico o tecnico-scientifico. Pensate all’inaridimento delle fertili pianure nordafricane, al declino demografico della Grecia antica, al declino tecnologico dell’Impero romano, alla divaricazione economica operata dall’introduzione dell’euro tra i paesi che lo usano.Altra illusione abituale: l’uomo pensa che le cose continueranno ad andare in futuro nel modo in cui sono andate in passato, e mira sempre a raggiungere qualche assetto definitivo e sicuro, nel privato come nel pubblico: l’amore per sempre, il matrimonio indissolubile, il posto fisso, i diritti umani inalienabili, un’organizzazione statale perenne, definitiva, perfetta, come la repubblica progettata da Platone. O almeno destinata a durare 1000 anni, come il Reich vagheggiato da Hitler. Ma, al contrario, tutti gli assetti prodotti dall’uomo sono impermanenti, caduchi, transeunti, provvisori. Come l’uomo stesso. Tutto scorre, giustamente osserva Eraclito. Non riusciamo a stabilizzare un tubo. Il grande Cesare Ottaviano Augusto aveva capito i difetti strutturali del possente sistema-paese che governava, e cercò di correggerli, ma non vi riuscì, e come lui non vi riuscirono molti, a Roma e altrove.I grandi cambiamenti, le trasformazioni sistemiche, avvengono, ma solitamente sono molto diversi dai progetti di coloro che li causano: il divenire storico sfugge dal controllo e dalla pianificazione. Pensate per esempio alla I Guerra Mondiale: ognuna delle potenze che vi parteciparono aveva i suoi piani, le sue previsioni, le sue intenzioni, e tutte furono smentite dallo svilupparsi dei fatti. La guerra stessa assunse caratteri che nessuno aveva immaginato. Il suo esito fu… di innescare fascismo, nazismo e una seconda guerra mondiale. Invero, nessuno è mai riuscito a governare la storia, né a prevederla. Tanto meno ci sono riuscite le rivoluzioni popolari, le quali hanno bensì dato colpi e prodotto effetti, ma non gli effetti voluti e progettati, bensì gli altri e impreveduti – almeno per esse. Il comportamento collettivo è sempre miope e ottuso. I popoli non riescono a evitare fallimenti prevedibili.Anche l’attuale tecnocrazia globalizzata, come sistema di potere, è destinata a deteriorarsi, e a cadere, magari proprio perché primo poi le sfuggirà di mano la stessa tecnologia, che si sviluppa e moltiplica le sue capacità in modo praticamente è miracoloso – come Skynet della serie Terminator. Oppure forse cadrà per la sua contrarietà ai bisogni oggettivi, fisiologici, degli esseri umani: essa, guidata com’è dalla logica del bilancio, del rendimento annuale o comunque di brevissimo termine, sta forzando l’uomo e la comunità ad adattarsi a vivere secondo questo brevissimo termine, accettando la precarietà, la discontinuità, l’instabilità come caratteri di fondo dell’esistenza, e rinunciando alla sicurezza, alla progettabilità di lungo termine, alla stabilità, che sono esigenze oggettivamente insite nell’essere umano. E’ una violenza radicale e protratta, implementata attraverso il controllo delle istituzioni. Se scoppiamo, allora potremo dire davvero di essere noi il cambiamento. Oppure ancora è una catastrofe geofisica, climatica, ecologica, il fattore che sta per rimescolare le carte.La popolazione generale, anche buona parte di quelli con istruzione superiore, è consapevole del suo malessere, dell’insicurezza oggettiva in cui sempre più vive, di alcune malefatte compiute da certi potenti; ha una consapevolezza aneddotica, episodica, spesso personificata, dei mali del sistema; ma non è consapevole delle cause strutturali e non manifeste. Non saprebbe dove intervenire, anche potendo. Quindi, mi direte, tu stai dicendo che non c’è niente da fare, per uscire dall’attuale situazione, perché non abbiamo la capacità di correggerla, e del resto essa prima o poi finirà da sé. In effetti, più o meno è così. Più o meno, perché razionalmente e realisticamente ci sono alcune cose da fare, anche per cercare di fare in modo che l’uscita dall’attuale condizione sia verso una condizione non peggiore, magari migliore. Innanzitutto, bisogna fare cose per mettersi al riparo, per difendersi, a livello privato, personale. L’azione politica è pressoché inutile o controproducente, come dimostrano i casi di quei movimenti e di quei partiti che, dopo avere iniziato con grande promesse di rottura, o si sono spenti, oppure si sono omologati al sistema che dovevano abbattere, come in Grecia e in Spagna. Anche tra i grilli nostrani molti danno segni di volersi alleare col Partito Democratico per stabilizzarsi nel potere e nei suoi vantaggi.L’azione collettiva raramente parte e ancora più raramente è efficace, ma l’azione individuale o su scala di piccoli gruppi è fattibile, sul fronte della tutela della salute, del patrimonio, della libertà, considerando sempre anche l’opzione dell’emigrazione verso paesi che consentono una migliore tutela di questi valori. Certamente, di fronte a un drastico e rapido peggioramento della condizione di vita e del livello di dignità, a breve potrebbe anche porsi fortemente l’opzione del suicidio, del suicidio stoico, cioè dell’uomo che rifiuta di vivere privato della libertà e della dignità: pensiamo a Lucio Anneo Seneca che si suicida per non soggiacere agli arbitri e ai capricci di Nerone. Ma non preoccupatevi: pochissimi seguiranno Seneca, in ogni caso, perché gli uomini si adattano facilmente a una vita di pecore schiave, o di topi che sopravvivono arrangiandosi negli angoli bui.Che cosa resta da fare, in positivo, dopo tanti “non podemos”? Proprio grazie a ciò che dicevo all’inizio, ossia alla indeterminatezza e libertà del divenire storico, alla sua apertura, non può mai venir meno la possibilità di entrare in modo rilevante in questo divenire. Poche verità storiche sono certe e comprovate come la potenza esercitata dalle idee nei millenni: Platone, Aristotele, Gesù, Galileo, Marx, Freud, Einstein, e Fra’ Luca Pacioli, l’inventore della partita doppia – solo per fare qualche nome – sono più che mai attuali e attivi, sono potentissimi… La Rivoluzione Francese mancò gli obiettivi pratici di breve e medio termine, ma nel lunghissimo termine essa è – si può ben dire – ancora in svolgimento… nei cambiamenti nel pensiero, nella coscienza collettiva, nelle dinamiche sociali… nell’aver creato una cosa che cosa prima assente, in Europa, dai tempi di Atene, ossia il pubblico dibattito politico.Assieme all’amico psichiatra Paolo Cioni, col saggio “Neuroschiavi”, ho cercato di dare un contributo mirato all’analisi e al contrasto ai mezzi di rimbecillimento e irreggimentazione di massa che tanta parte hanno nella governance sociale, nella compressione della libertà mentale e critica che è l’anima di quel dibattito. E in altri saggi, in solitaria oppure in cooperazione con qualche amico, ho diretto i riflettori su quello strumento di dominazione e sfruttamento sociale che è il potere monetario vestito nelle banche private, e sui suoi meccanismi occultati dalle prassi contabili oggi applicate, e la cui comprensione da qualche anno si viene ora diffondendo. La sua comprensione a livello perlomeno di classi imprenditoriali e intellettuali sarebbe un presupposto per un possibile rivolgimento strutturale della società, per una possibile fine del regime parassitario imposto dal capitalismo finanziario attraverso proprio quelle prassi contabili false, le quali sono alla base del fatto che esso è divenuto un perfetto strumento di dominio sociale: uno strumento che, da un lato, rende la società e l’economia e le istituzioni sempre più dipendenti da sé stesso e sempre più forzatamente obbedienti ai suoi dettami, perché sotto permanente ricatto di fatali conseguenze; e che, dall’altro lato, attraverso l’uso di moneta-debito progressivamente indebitante, sottrae alla società una quota sempre crescente di reddito, pubblico e privato, sotto forma di interessi, di bail out (saccheggio dell’erario) e bail in (saccheggio dei risparmi o investimenti finanziari).E’ una prigionia estorsiva sistemica, in via di perfezionamento, rispetto a cui le truffette del tipo Banca Popolare dell’Etruria sono soltanto incidenti dovuti all’avidità di banchieri locali, incidenti da coprire subito in qualche modo al fine di poter proseguire col perfezionamento del sistema, col piano di lungo periodo. Prima della rivoluzione del 1789, i popolani francesi, sfruttati dai signori feudali, avevano fatto jacqueries, ossia assalti ai depositi di granaglie dei castelli sotto la spinta della fame – cioè avevano attaccato la sola superficie del problema. Questo equivale ai nostri movimentisti, agli indignados, a quelli che oggi manifestano contro i banchieri che li hanno fregati e chiedono rimborsi da parte dello Stato e carcere ai furbetti del credito e le dimissioni della bella ministra Boschi. Niente di risolutivo.Il salto di qualità che dalle jacqueries (le quali lasciano il tempo che trovano) portò alla vera rivoluzione (che cambia invece il tempo), sia pur nel senso che abbiamo visto, avvenne allorquando, nell’agosto del 1789, alla guida del popolino, si misero intellettuali che sapevano dove mettere le mani, e allora gli insorti penetrarono nei castelli non per rubare la farina, ma per aprire i forzieri e distruggere gli atti di proprietà dei fondi terrieri in essi custoditi, facendo così crollare il sistema latifondista. L’equivalente di questa operazione, oggi, potrebbe essere – dico: potrebbe – il pubblico smascheramento dei sistematici falsi in bilancio con cui i banchieri privati creano la quasi totalità dei mezzi monetari circolanti senza pagare su tale creazione alcuna tassa e senza assumersi le responsabilità politiche e sociali dell’esercizio di un tale primario potere pubblico, e la conseguente nazionalizzazione del sistema monetario-creditizio con la liberazione della società dalla moneta indebitante ora in uso. Ma ciò non credo possa partire dall’Italia, la quale non ha alcuna tradizione o predisposizione rivoluzionaria.(Marco Della Luna, estratto da “Crisi, rottura del sistema e trasformazione”, testo preparato per la conferenza organizzata dalla casa editrice Nexus a Cagliari il 17 gennaio 2016 e ripreso dal blog di Della Luna).Noi uomini siamo portati a pensare che sia possibile risolvere un problema, una crisi, un’ingiustizia, attraverso un’azione collettiva delle persone interessate e consapevoli. Se scopriamo quello che ci sembra essere la causa di un grave male che affligge la società (questa causa potrebbe essere il signoraggio o un certo uso delle onde elettromagnetiche o i vaccini o le registrazioni anagrafiche, tanto per fare qualche esempio), siamo portati a pensare che, diffondendo la consapevolezza di questa nostra scoperta fondamentale, susciteremo una reazione collettiva e coordinata dei nostri simili che potrà risolvere il problema dal basso, con un’azione di massa, magari rivoluzionaria. Solo che tale reazione collettiva e coordinata, nel mondo reale, non vuole partire: il grosso della popolazione non si interessa, se si interessa non capisce, se capisce presto dimentica, se non dimentica comunque non si coordina e non agisce. Questa è l’umanità reale, con i suoi reali comportamenti. Mi obietterete che però, di fatto, l’umanità è capace di fare rivoluzioni. Lo ha dimostrato. Avete ragione.