Archivio del Tag ‘banche’
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Il vero guaio dei 5 Stelle? Il programma: sciatto e destrorso
«Io non mi fido di me stesso. Non ho mai fatto nessuna scorrettezza nelle rare occasioni in cui ho gestito briciole infinitesimali di denaro dello Stato (questo posso dirlo con serenità). Ma come mi comporterei di fronte a una tangente di decine di milioni? Spero che saprei resistere, ma come posso saperlo di sicuro?». La sincerità, innanzitutto: perché presentarsi come i “superman dell’onestà”, per poi rischiare la figuraccia di fronte allo scivolone della prima mela marcia? Da Aldo Giannuli, un consiglio ai 5 Stelle: meno ciance su aspetti davvero irrilevanti della politica, e più impegno sulla sostanza. Ovvero: il programma, «sciatto e destrorso» e le liste «da incubo». Una sonora lezione, quella dello scandalo dei mancati versamenti, che in realtà non sono un reato: nessuna appropriazione indebita di denaro pubblico. Certo, «c’è l’aspetto sgradevolissimo del bonifico poi revocato, fatto solo per esibire la fotocopia, che denota un animus incline alla frode». Un sotterfugio, che però tradisce solo «una regola interna al movimento, non una legge dello Stato». Che poi la stragrande maggioranza dei grillini siano stati ai patti, ai giornali non interessa: «Quel che conta è poter dire che sono tutti uguali: perché, se tutti sono colpevoli, nessuno è colpevole. “Così fan tutti”. Il che è come mettere sullo stesso piano un ragazzino che ha falsificato la firma del padre su una giustificazione e quello che ha fatto una rapina in banca con il mitra».E a proposito di banche: «Il Pd non penserà di risolvere tutto scaricando su Bankitalia e Consob, vero? Certo è che se i guai giudiziari dei renziani fossero come la questione dei rimborsi dei 5 Stelle, si bacerebbero i gomiti», scrive Giannuli nel suo bog. « Ma questo ceffone in pieno viso, i pentastellati se lo meritano e può fargli bene: così magari imparano che fare la giusta battaglia per l’onestà nella gestione del denaro pubblico non significa fare questa grottesca esibizione di onestà per cui “noi siamo i più onesti del reame e gli altri sono tutti merde”. Anche perché, sin qui non hanno avuto occasione di governare e non sappiamo come si comporterebbero». Non ci indurre in tentazione, recita la preghiera: «La melma della corruzione non si risolve promuovendo un ceto politico sedicente più onesto, ma evitando che si formino troppe tentazioni». E questo «lo si fa con i controlli preventivi». I 5 Stelle? «Hanno mostrato di essere inadeguati: hanno gonfiato i petti in una grottesca esibizione di onestà, di spirito francescano, di eroico senso del sacrificio, ma non hanno proposto niente di efficace nel contrasto alla corruzione». Un appello diretto: «Cari amici, non è necessario che siate perfetti, ci basta che siate umani e mediamente corretti, che di questi tempi è già molto».Qualcuno li ha voluti colpire, alla vigilia delle elezioni: ovvio. «Però, cari amici, ve la siete andata a cercare», scrive Giannuli. «I controlli che Di Maio va facendo ora andavano fatti a suo tempo e, al massimo, un mese prima di fare le liste. E’ da imbecilli matricolati non aspettarsi che gli altri stiano con il fucile spianato per beccarti». Per fortuna, aggiunge il politologo, «la gente ha una sua intelligenza e non credo che questa vicenda peserà più di tanto sul risultato elettorale». Non è questo irritante episodio che danneggerà granché il M5S, quanto «altre cose più serie come il programma sciatto e destrorso, le liste da incubo che hanno fatto dopo aver promesso il “controllo di qualità” (e meno male che hanno fatto questo controllo, perché sennò ci trovavamo Messina Denaro in lista!)». E poi, aggiunge Giannuli, c’è da capire «che impatto avrà la freddezza di Grillo, la rinuncia di Di Battista, il mutamento del simbolo, la pessima e illegittima riforma statutaria, la scissione di Borrelli e le critiche di Colomban». Si vedrà il 5 marzo. «Per ora, il M5S ha il problema di “uscire vivo” da questa campagna elettorale (cioè non scendere sotto il 25%)». Poi, dopo le elezioni, «occorrerà aprire una profonda riflessione su tutto: leadership, modello organizzativo, linea politica, stile di lavoro».«Io non mi fido di me stesso. Non ho mai fatto nessuna scorrettezza nelle rare occasioni in cui ho gestito briciole infinitesimali di denaro dello Stato (questo posso dirlo con serenità). Ma come mi comporterei di fronte a una tangente di decine di milioni? Spero che saprei resistere, ma come posso saperlo di sicuro?». La sincerità, innanzitutto: perché presentarsi come i “superman dell’onestà”, per poi rischiare la figuraccia di fronte allo scivolone della prima mela marcia? Da Aldo Giannuli, un consiglio ai 5 Stelle: meno ciance su aspetti davvero irrilevanti della politica, e più impegno sulla sostanza. Ovvero: il programma, «sciatto e destrorso» e le liste «da incubo». Una sonora lezione, quella dello scandalo dei mancati versamenti, che in realtà non sono un reato: nessuna appropriazione indebita di denaro pubblico. Certo, «c’è l’aspetto sgradevolissimo del bonifico poi revocato, fatto solo per esibire la fotocopia, che denota un animus incline alla frode». Un sotterfugio, che però tradisce solo «una regola interna al movimento, non una legge dello Stato». Che poi la stragrande maggioranza dei grillini siano stati ai patti, ai giornali non interessa: «Quel che conta è poter dire che sono tutti uguali: perché, se tutti sono colpevoli, nessuno è colpevole. “Così fan tutti”. Il che è come mettere sullo stesso piano un ragazzino che ha falsificato la firma del padre su una giustificazione e quello che ha fatto una rapina in banca con il mitra».
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Brutte notizie: la finanza-killer non teme le elezioni italiane
Dal primo gennaio 2018, la Borsa di Milano ha fatto meglio di quelle dei principali paesi europei (Francia, Germania e Spagna inclusi). E a una settimana dal voto, «il mercato non si è ancora accorto che in Italia ci saranno le elezioni». Oppure «pensa che non siano un problema». Ha ragione? Niente di più facile, scrive Paolo Annoni sul “Sussidiario”: il potere finanziario è convinto che dalle elezioni del 4 marzo uscirà l’ennesimo governo “responsabile”, cioè sottomesso all’oligarchia dominante. Certo, «le capacità predittive dei mercati non si sono dimostrate particolarmente spiccate in occasione di tornate elettorali», quindi in realtà «nessuno sa cosa uscirà dalle urne e quali combinazione di partiti sosterrà il prossimo governo». Ma sappiamo però che uno degli scenari possibili è una vittoria dei 5 Stelle – in teoria preoccupante per gli investitori? Non è così, a quanto pare. Anche perché, negli ultimi anni, «le votazioni che hanno disturbato davvero i mercati sono state quelle che hanno messo in discussione l’Unione Europea. Il referendum sulla Brexit e le elezioni francesi con un partito dichiaratamente anti-euro al ballottaggio hanno lasciato il mercato sospeso per mesi. È questa la ragione per cui a nessuno importa delle elezioni italiane: perché né Berlusconi, né il Pd, né il Movimento 5 Stelle sono anti-euro o anti-Europa».Tutto il resto non conta, scrive Annoni, perché la politica economica italiana viaggia sul “pilota automatico” delle decisioni europee. Una crisi del debito italiano? «E’ inconcepibile se l’Unione Europea entra in campo, come ampiamente dimostrato nel 2012 con l’intervento di Draghi». Viceversa, una crisi del debito italiano è il prodotto dell’Unione Europea, «nella misura in cui impone la sua politica, l’austerity, a un governo riottoso», oppure se “produce” un riequilibrio dei suoi rapporti interni a danno di uno dei suoi membri. «L’unica vera variabile che interessa ai mercati – sottolinea Annoni – è se ci sia un governo che, minacciando lo status quo europeo, inneschi la reazione dell’establishment continentale contro l’Italia, o se lo status quo venga minacciato da un governo anti-euro». L’Europa, insiste l’analista, «è in grado di provocare o fermare una crisi italiana in qualunque momento, a prescindere dalla performance economica del nostro paese». Basta poco: per esempio, «imporre un rientro del debito in un contesto economico globale magari difficile». Oppure, «imporre alle banche italiane di liberarsi dei Btp o un qualsiasi altro innesco, dato che l’Italia non ha più sovranità monetaria e bancaria».A far traballare il paese «basta, per esempio, cominciare a dichiarare ai quattro venti che l’Italia è un problema». Sarebbe sufficiente a far capire ai “mercati” l’aria che tira, e quindi «far partire una crisi del debito e poi “risolverla” con l’austerity dopo un bel bagno in Borsa». Oppure «basta dire che l’euro verrà difeso a ogni costo». Quello che è interessante, osserva Annoni, è che «nemico del “mercato” in quanto nemico dell’establishment europeo non è solo chi è contro l’euro, ma anche chi vuole riformare nella sostanza l’Europa, in questo minacciando gli attuali equilibri». Se un governo italiano “europeista” ma coraggioso attaccasse il surplus commerciale tedesco o l’austerity, rivendicasse più investimenti in infrastrutture o denunciasse la catastrofe sociale della disoccupazione greca, «anche in questo caso quello che accadrebbe nella sostanza sarebbe una minaccia per chi oggi controlla l’Europa e incassa i dividendi». E anche in questo caso, aggiunge Annoni, sarebbe ovvio aspettarsi «una reazione per mantenere gli equilibri attuali», che hanno palesemente dei vincitori e dei perdenti, in quest’Europa teoricamente unita e in realtà mai così ferocemente divisa, dalla fine della Seconda Guerra Mondiale.Qualsiasi accenno di contestazione alla gestione Ue costerebbe carissimo al nostro paese, in prima battuta: «La reazione dell’establishment europeo passerebbe, inizialmente, per i mercati finanziari contro l’Italia», sostiene Annoni. Ma il mercato finanziario – cioè il vero padrone di qualsuasi decisione importante – è convinto che dalle prossime elezioni italiane non uscirà niente che possa cambiare gli equilibri europei. «Speriamo che sbagli, perché non è un bene per l’Italia», conclude Annoni. «E su questo fronte ci dovrebbero essere sia i populisti anti-euro che gli europeisti che vogliono cambiare l’Europa dando all’Italia, nel processo, un ruolo diverso». Ma difficilmente sbaglia, il “mercato”, se resta così tranquillo di fronte alla scadenza elettorale italiana: probabilmente pensa di conoscere i suoi polli. Non è il referendum sulla Brexit, e nel Belpaese non c’è in giro nessuna Marine Le Pen. I volenterosi che vorrebbero “correggere” l’Unione Europea? Qualche nome, qua e là, ma nelle seconde file. Nulla che impensierisca i gestori della crisi nella quale viene fatta sprofondare l’Italia, dove – non a caso – l’astensionismo sembra apprestarsi a far registrare il suo record storico.Dal primo gennaio 2018, la Borsa di Milano ha fatto meglio di quelle dei principali paesi europei (Francia, Germania e Spagna inclusi). E a una settimana dal voto, «il mercato non si è ancora accorto che in Italia ci saranno le elezioni». Oppure «pensa che non siano un problema». Ha ragione? Niente di più facile, scrive Paolo Annoni sul “Sussidiario”: il potere finanziario è convinto che dalle elezioni del 4 marzo uscirà l’ennesimo governo “responsabile”, cioè sottomesso all’oligarchia dominante. Certo, «le capacità predittive dei mercati non si sono dimostrate particolarmente spiccate in occasione di tornate elettorali», quindi in realtà «nessuno sa cosa uscirà dalle urne e quali combinazione di partiti sosterrà il prossimo governo». Ma sappiamo però che uno degli scenari possibili è una vittoria dei 5 Stelle – in teoria preoccupante per gli investitori? Non è così, a quanto pare. Anche perché, negli ultimi anni, «le votazioni che hanno disturbato davvero i mercati sono state quelle che hanno messo in discussione l’Unione Europea. Il referendum sulla Brexit e le elezioni francesi con un partito dichiaratamente anti-euro al ballottaggio hanno lasciato il mercato sospeso per mesi. È questa la ragione per cui a nessuno importa delle elezioni italiane: perché né Berlusconi, né il Pd, né il Movimento 5 Stelle sono anti-euro o anti-Europa».
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Cliniche della morte: false diagnosi, per testimoni scomodi
Incidenti stradali, rapine finite male, pallottole vaganti. Oppure decessi archiviati sotto la voce “suicidio”. O ancora: infarti fulminei e complicazioni post-operatorie. Ovvero: “Come uccidere un uomo senza lasciare traccia”. Fino alla perversione più inimmaginabile: medici che uccidono su commissione, all’interno di “cliniche della morte”. Spesso, in questo modo, spariscono testimoni-chiave: poco prima di essere ascoltati dai Pm o prima dell’audizione a qualche commissione parlamentare d’inchiesta. «Il risultato di queste morti improvvise è sempre stata la mancata individuazione di mandanti e autori dei vari delitti o stragi», scrive Paolo Franceschetti. Non si tratta di fantasie: ne parla anche Paolo Muratori nella sua “Enciclopedia dello spionaggio”, pubblicata nel ‘93 dalle Edizioni Attualità del Parlamento (“Servizi segreti, spie, terroristi e dintorni”, prefazione di Flaminio Piccoli e postfazione di Alberto Fumi). «In alcuni casi i lettori sono sembrati un po’ scettici quando abbiamo avanzato dubbi su alcune morti, soprattutto quando il referto autoptico confermava magari l’infarto o il cancro», premette Franceschetti, avvocato per molti anni e docente di materie giuridiche. Già legale delle “Bestie di Satana” Franceschetti ha indagato su alcuni tra i più oscuri misteri italiani, dal Mostro di Firenze alla strage di Erba, dal giallo di Cogne a quello di Avetrana, passando per l’omicidio di Meredith Kercher, la ragazza inglese assassinata a Perugia, e quello di Yara Gambirasio. Delitti rituali?E’ la tesi sviluppata da Franceschetti, attraverso anni di riscontri e accurate analisi: «Spesso gli investigatori non prendono neppure in esame la pista esoterica, perché non ne conoscono il linguaggio». Ovvero: «Esistono circoli occultistici che attribuiscono un valore magico a determinati delitti, che infatti sono disseminati di indizi fortemente simbolici». Spesso, secondo Franceschetti, gli inquirenti vengono depistati «da qualcuno che sta al di sopra di loro, nelle istituzioni, e di fatto “copre” gli autori di certi delitti». Magari facendo anche sparire i testimoni? Nella sua enciclopedia, Muratori – allora presidente dell’Ircs, Istituto Ricerche Comunicazioni Sociali – spiega come si può uccidere una persona facendo credere che sia deceduta per cause naturali. «E’ appena il caso di sottolineare come i metodi elencati siano stati resi pubblici nel 1993 e quindi, con buona probabilità, già all’epoca superati da tecniche molto più sofisticate e ancora sconosciute (altrimenti non li avrebbero pubblicati)», premette Franceschetti, sul blog “Petali di Loto”. Esistono killer che non sparano e non spargono sangue: utilizzano la chimica. Per esempio l’acido cianidrico, comunemente detto acido prussico, usato nell’industria come innocuo disinfettante gassoso: «Sostanza letale ad effetto rapido e sicuro», viene usata «da agenti dei servizi segreti militari per assassinare i nemici».Poi c’è l’acido ossalico: impiegato nell’analisi chimica, come sbiancante nell’industria della stampa e nella produzione di tinture, detersivi, carta e gomma. «Anche questo usato come sostanza letale da agenti di certi servizi segreti militari per assassinare i nemici», scrive Muratori nel suo trattato enciclopedico. Non mancano le “cellule cancerogene vive”, somministrate «con iniezioni» da agenti di alcuni servizi militari per assassinare avversari e agenti nemici. «Il reperimento delle cellule cancerogene vive avviene, clandestinamente, nelle facoltà universitarie di medicina e in certi laboratori che le tengono di scorta per gli scienziati impegnati nella ricerca sulla cura del cancro», scrive Muratori. «Se una persona muore di cancro, come sospettare che sia stata uccisa?». E’ invece chiamata “cianuro” «un’arma di alluminio, con silenziatore, azionata da una pila da 1,5 volt: spara proiettili formati da piccole fiale, contenenti un veleno a base di cianuro che, dopo 5 minuti, non lascia alcuna traccia nell’organismo umano». E’ formata da tre cilindri, l’uno dentro l’altro: «Il primo cilindro contiene una molla e un pistone. La molla mossa da una leva spinge il pistone nel secondo cilindro. A quel momento la fialetta contenente il liquido si spezza ed il veleno è spruzzato verso il volto del nemico».La morte per “cianuro” sopravviene in pochi istanti. E quando il medico effettuarà l’autopsia, non potrà fare altro che constatare l’arresto del cuore: scontata la diagnosi, “crisi cardiaca”. Infine, il tallio: «Sostanza priva di sapore, ad effetto lento sul sistema nervoso, viene usata dalle spie per avvelenare gli agenti nemici e i traditori». Ma ancora non basta. Se queste tecniche sono state rese note nel 1993 e, quindi venivano probabilmente utilizzate nei decenni precedenti, c’è un’altra tecnica, ancora più incredibile: diagnosi infauste, ma false, per convincere la vittima di essere “condannata” da un tumore. Facile, poi, ucciderla, inserendo veleni nei liquidi chemioterapici. Una prassi allucinante, che Franceschetti ha scoperto negli atti della commissione parlamentare d’inchiesta su terrorismo e stragi, presieduta dal senatore Pci-Pds Giovanni Pellegrino. A parlare, nel 2000, non è un teste qualsiasi: si tratta dell’ex questore Arrigo Molinari, che poi sarà ucciso nella notte del 27 settembre 2005 con dieci coltellate infertegli nella sua casa di Andora (Savona). Molinari, ricorda “Repubblica”, era stato vicequestore vicario di Genova e questore di Nuoro. «Coinvolto nello scandalo della P2, era stato sospeso dal servizio e poi reintegrato. Affermava con orgoglio di aver fatto parte di Gladio».Arrigo Molinari si era anche occupato della strana morte di Luigi Tenco: commissario a Sanremo, quel giorno del ‘67 fu il primo a entrare nella stanza del cantante. «Su tutto quello che è accaduto nelle ore successive alla scoperta del suo cadavere – disse – non è stata ancora scritta tutta la verità». Da avvocato, aggiunge “Repubblica”, negli ultimi anni Molinari si era impegnato contro il fenomeno dell’anatocismo bancario: «In seguito a un suo esposto per conto di un cliente, la procura della Repubblica di Imperia aveva aperto un’inchiesta per usura aggravata indagando sei ex direttori della filiale di Imperia di un istituto di credito che si sono succeduti dal 1982 al 2000». La morte, scrive Franceschetti, lo ha colto «proprio pochi giorni prima della prima udienza della causa per signoraggio che aveva intentato contro la Banca d’Italia». Più volte nei mesi precedenti alla morte, Molinari aveva denunciato «tentativi, da parte di “sconosciuti”, di inseguimenti e pedinamenti nei suoi confronti e dei suoi familiari». In più, «fu soggetto di vari tentativi di sabotaggio da parte di non meglio identificati “individui” nei confronti della sua autovettura: cercarono di manomettere i freni». Un uomo nel mirino, dunque, quello assassinato in Liguria: una coltellata l’ha colpita al collo lateralmente, ricorda “Repubblica”, «come se si volesse sgozzarlo».Cinque anni prima, il 18 ottobre del 2000, Molinari risponde alle domande della commissione stragi, giunta alla sua 74esima seduta. E racconta: «Prima del 1978, a San Martino o nei pressi di San Martino, venne istituito un centro diagnostico (che adesso è presente in tutte le città d’Italia, in tutti gli ospedali), il cosiddetto Tac. Il primo di questi impianti ad essere installato in Italia. Ad installare questo impianto fu fittiziamente Rosati, che aveva la gestione di questa Tac. Ma in realtà la Tac era una struttura della P2 che doveva servire…». Pellegrino lo interrompe: «Mi scusi, avvocato Molinari: lei sta parlando della “tomografia assiale computerizzata”, cioè un modo di indagine radiografica. La P2 quindi importava per prima questo tipo di macchinario?». Molinari conferma: «Come la P2 frequentava la pellicceria di Pavia “Annabella”, gestiva anche questa struttura, perché doveva utilizzarla, non (come ha ritenuto la magistratura) per compiere truffe alla Regione, ma per avere uno strumento, e avere in mano tutti i medici di San Martino e d’Italia che dovevano servirsi di esso quando avevano dei malati da curare».Non è tutto: «Quando capitava qualche politico o qualcuno che volevano disturbare o molestare, o che sapevano che stava poco bene, effettuavano anche una diagnosi falsa, dicendo che aveva un tumore. I malati poi, magari, si recavano in Inghilterra e scoprivano che il tumore non esisteva. Per cui questa Tac era una struttura della P2, non di Rosati; lo si sapeva, lo sapevano praticamente tutti. La P2 doveva impadronirsi della presidenza della facoltà di medicina; al riguardo c’è una mia relazione». Secondo le dichiarazioni di Molinari, riassume Franceschetti, la Loggia P2, nel 1978, grazie alla complicità di medici “fratelli”, usava le strumentazioni ospedaliere «per diagnosticare falsi tumori a persone “scomode”». Dopo, «eliminarli doveva essere facile, avvelenandoli con iniezioni che venivano fatte passare per cura. Geniale». Ma la cosa più strana, per Franceschetti, è stata la reazione della commissione a una dichiarazione così atroce: nessuna. «Se scaricate l’audizione completa, che è disponibile sul web, potrete notare come la dichiarazione di Molinari non abbia fatto sobbalzare nessuno, e come la commissione abbia preferito proseguire con altro discorso. O erano molto distratti, o non hanno capito la gravità di quanto veniva affermato, o, probabilmente, la cosa era già nota».Certo, questa tecnica richiede tempo: quindi, se il personaggio scomodo deve essere eliminato velocemente, si può sempre ricorrere ai metodi “tradizionali” elencati nell’encliclopedia di Muratori. E la mente, aggiunge Franceschetti, non può che tornare al generale dei carabinieri Giorgio Manes, morto per “arresto cardiaco” pochi minuti prima di deporre davanti alla commissione parlamentare d’inchiesta sullo scandalo del Sifar – Piano Solo. O ancora al colonnello Umberto Bonaventura, dirigente del Sismi (controspionaggio, terrorismo internazionale e criminalità organizzata transnazionale), «un personaggio-chiave nel caso del dossier Mitrokhin: per primo aveva materialmente ricevuto il dossier, quindi più di altri poteva attestarne l’autenticità». Bonaventura? Morto anche lui “per infarto” «pochi giorni prima della sua audizione davanti alla commissione parlamentare chiamata ad indagare sul dossier». Franceschetti ricorda anche il colonnello Stefano Giovannone, «iscritto ai Cavalieri di Malta». Capocentro del Sismi a Beirut dal 1972 al 1981, poi «arrestato nel corso dell’indagine per il traffico di armi tra Olp e Br», è deceduto “per morte naturale” mentre era agli arresti domiciliari.Nella lista delle morti teoricamente sospette, Franceschetti include anche quella dell’ingegner Giorgio Mazzini, capo dei vigili del fuoco di Torino, morto nel palazzo di giustizia «dove si era recato per incontrare i magistrati che si occupavano del rogo alla ThyssenKrupp». Certo, ammette Franceschetti, i sistemi di eliminazione qui riportati sono vecchi di decenni: «Oggi la scienza e la tecnica hanno fatto passi da gigante in tutti i sensi: anche in quelli, purtroppo, deputati ad uccidere un uomo senza lasciare traccia». Come regolarsi? Coltivare il sospetto è più che lecito, sostiene il giurista: «Quando le morti sono troppo tempestive, qualche domanda in più ce la si deve poter porre, senza per forza essere immediatamente tacciati per dietrologi». Quanto alla magistratura, «farebbe bene ad indagare un po’ più a fondo, senza archiviare troppo velocemente una morte solo perché sul referto autoptico c’è scritto: “cause naturali”». Magari si tratta di testimoni che potrebbero svelare retroscena imbarazzanti, per il potere. Per questo, scrive Muratori nella sua enciclopedia, non restano mai senza lavoro quei killer invisibili, così abili nell’arte di non lasciare tracce.Incidenti stradali, rapine finite male, pallottole vaganti. Oppure decessi archiviati sotto la voce “suicidio”. O ancora: infarti fulminei e complicazioni post-operatorie. Ovvero: “Come uccidere un uomo senza lasciare traccia”. Fino alla perversione più inimmaginabile: medici che uccidono su commissione, all’interno di “cliniche della morte”. Spesso, in questo modo, spariscono testimoni-chiave: poco prima di essere ascoltati dai Pm o prima dell’audizione a qualche commissione parlamentare d’inchiesta. «Il risultato di queste morti improvvise è sempre stata la mancata individuazione di mandanti e autori dei vari delitti o stragi», scrive Solange Manfredi. Non si tratta di fantasie: ne parla anche Paolo Muratori nella sua “Enciclopedia dello spionaggio”, pubblicata nel ‘93 dalle Edizioni Attualità del Parlamento (“Servizi segreti, spie, terroristi e dintorni”, prefazione di Flaminio Piccoli e postfazione di Alberto Fumi). «In alcuni casi i lettori sono sembrati un po’ scettici quando abbiamo avanzato dubbi su alcune morti, soprattutto quando il referto autoptico confermava magari l’infarto o il cancro», premette Manfredi sul sito di Paolo Franceschetti, avvocato per molti anni e docente di materie giuridiche. Già legale delle “Bestie di Satana” Franceschetti ha indagato su alcuni tra i più oscuri misteri italiani, dal Mostro di Firenze alla strage di Erba, dal giallo di Cogne a quello di Avetrana, passando per l’omicidio di Meredith Kercher, la ragazza inglese assassinata a Perugia, e quello di Yara Gambirasio. Delitti rituali?
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Marmaglia grillista, manganello antifascista: e il potere ride
Marmaglia: quantità di gente rumorosa e turbolenta, tale da suscitare fastidio e disprezzo. Non c’è bisogno di consultare il vocabolario Treccani per scoprire cosa intendesse dire, Massimo Giannini, quando ha usato l’espressione “marmaglia grillista” (“Repubblica”, 18 febbraio) per qualificare gli italiani che guardano ai 5 Stelle. Fastidio e disprezzo per la “marmaglia” – cioè l’avversario, il nemico, il negro, l’ebreo, il comunista, il fascista – sono il pane quotidiano del neo-squadrismo dilagante. Un militante di “Potere al Popolo” accoltellato a Perugia, un attivista di Forza Nuova aggredito a Palermo. “Staniamo Di Stefano”, annuncia il fantomatico collettivo “Torino Antifascista”, annunciando un agguato dimostrativo al leader di CasaPound. Sulle barricate anche la fake-giustiziera Boldrini, che propone addirittura di abolirla per legge, la “marmaglia”, disciogliendo i gruppetti che inneggiano al ventennio che fu. Fermi tutti, per favore: «No ad antifascismi di maniera che adottino metodologie bastonatorie tipiche proprio della cultura fascio-comunista: violenta, illiberale e antidemocratica», scrive Gioele Magaldi sul blog del Movimento Roosevelt. E se proprio qualcuno vuole andare a caccia di “fascisti”, avverte un comunista doc come Marco Rizzo, lasci perdere i ragazzini dell’estrema destra: l’unico vero fascismo che conti, oggi, è quello dell’oligarchia finanziaria, il super-potere che nessun Giannini e nessuna Boldrini oseranno mai impensierire.«L’escalation di violenza va fermata», afferma il cossuttiano Rizzo, ora segretario del Partito Comunista. «Il potere è in crisi e quindi ha bisogno di riproporre una stagione simile a quella degli anni ’70, dove un’intera generazione di giovani è stata sacrificata. Da militante del ’77 – racconta – conosco molto bene le dinamiche che si possono scatenare e che il potere ha tutto l’interesse a incentivare, strumentalizzandole a proprio favore». In quegli anni, aggiunge Rizzo, le provocazioni e la logica degli “opposti estremismi” «servirono a fare il gioco del potere e a invocare la repressione: i giovani si scontravano, e alla fine vincevano i padroni». Oggi, dice, «il fascismo si combatte riprendendo le lotte tra i lavoratori, portando le parole d’ordine della solidarietà e dell’uguaglianza nei quartieri e nelle periferie, rifiutando la guerra tra poveri e dando una reale alternativa di lotta alle classi popolari, e non certo con l’antifascismo di facciata di chi ha scelto le banche e l’Unione Europea». Già dalla fine degli anni ’60, ricorda Magaldi, la “strategia della tensione” (lotta politica violenta, fino al terrorismo rosso e nero) «fu eterodiretta da quei “padroni del vapore sovranazionali” i quali avevano interesse ad alimentare un clima politico violento in Italia per propri scopi subdoli e inconfessabili». Scopi «del tutto lontani da quei pretesti pseudo-ideologici con cui veniva sobillata la lotta armata “neo-fascista” o delle cosiddette Brigate Rosse».In tempi come questi, «in cui la democrazia viene ridotta a mero formalismo rituale e svuotata di sostanza per interesse di élites oligarchiche», secondo Magaldi «l’eventuale ritorno della lotta politica violenta non può che giovare ai propugnatori degli “inciuci permanenti” e dei “governi di neo-solidarietà nazionale”, i quali servono soltanto ad anestetizzare proposte politiche alternative a quelle determinate dalla teologia dogmatica neoliberista e neoaristocratica». Dunque: rispetto e tolleranza, innanzitutto. «Non si fa antifascismo con la bastonatura di presunti fascisti. Ed è anche ora che chi si proclami antifascista si dichiari anche anticomunista, se vuole essere credibile in quanto autentico democratico e libertario: infatti, i regimi comunisti storicamente realizzatisi nel tempo sono stati altrettanto dispotici, totalitari, autoritari e liberticidi di quelli fascisti o fascistoidi». Violenza chiama violenza, avverte Magaldi: il che è tanto comodo, a chi vuole impedirci di riconquistare «democrazia sostanziale, libertà, giustizia, mobilità sociale e prosperità diffusa». Infatti: l’Italia è a pezzi, senza più una politica e con il bilancio appaltato a Bruxelles, ma per la Boldrini il pericolo sono le “fake news”. Oppure, citando Giannini, “l’accozzaglia forzaleghista”, che minaccia il paese al pari della “marmaglia grillista”. Il manganello è solo cartaceo, ma sprezzante. Un’idea infernale, come l’inferiorità biologica del nemico, nel ‘900 riempì fosse comuni e forni crematori.Marmaglia: quantità di gente rumorosa e turbolenta, tale da suscitare fastidio e disprezzo. Non c’è bisogno di consultare il vocabolario Treccani per scoprire cosa intendesse dire, Massimo Giannini, quando ha usato l’espressione “marmaglia grillista” (“Repubblica”, 18 febbraio) per qualificare gli italiani che guardano ai 5 Stelle. Fastidio e disprezzo per la “marmaglia” – cioè l’avversario, il nemico, il negro, l’ebreo, il comunista, il fascista – sono il pane quotidiano del neo-squadrismo dilagante. Un militante di “Potere al Popolo” accoltellato a Perugia, un attivista di Forza Nuova aggredito a Palermo. “Staniamo Di Stefano”, annuncia il fantomatico collettivo “Torino Antifascista”, annunciando un agguato dimostrativo al leader di CasaPound. Sulle barricate anche la fake-giustiziera Boldrini, che propone addirittura di abolirla per legge, la “marmaglia”, disciogliendo i gruppetti che inneggiano al ventennio che fu. Fermi tutti, per favore: «No ad antifascismi di maniera che adottino metodologie bastonatorie tipiche proprio della cultura fascio-comunista: violenta, illiberale e antidemocratica», scrive Gioele Magaldi sul blog del Movimento Roosevelt. E se proprio qualcuno vuole andare a caccia di “fascisti”, avverte un comunista doc come Marco Rizzo, lasci perdere i ragazzini dell’estrema destra: l’unico vero fascismo che conti, oggi, è quello dell’oligarchia finanziaria, il super-potere che nessun Giannini e nessuna Boldrini oseranno mai impensierire.
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Italia in declino da 25 anni, privatizzati 170.000 miliardi
E’ opinione diffusa tra gli accoliti della sinistra italiana che i mali economici del Belpaese siano stati in larga misura acuiti e creati dai governi presieduti da Silvio Berlusconi. Mentre un’altra grossa fetta della popolazione è convinta che si debba viceversa far risalire le cause del declino alla pazza spesa pubblica della stagione dei governi del Pentapartito, quindi grosso modo in quel periodo storico che va dal 1980 alla nascita della cosiddetta e fantomatica Seconda Repubblica (1993). Quest’ultima tesi è quella che va per la maggiore negli ambienti dei liberali moderati che indistintamente possono essere collocati all’interno del centro-destra o del centro-sinistra. In questa piccola analisi ci occuperemo invece di quel periodo che va dalla fine degli anni ’80 fino alla fine dei ’90. Scopriremo come e perché le cause di tutti i nostri mali economici siano da attribuire alle politiche intraprese durante quegli anni. Anni che hanno visto il crollo del nostro Pil e del valore della lira contro il marco tedesco e dollaro Usa e il drammatico avvento delle privatizzazioni. L’Italia perderà terreno nei confronti della Francia (-21%), della Germania (-29,3%), della Gran Bretagna (-11,1%), del Giappone (-27,7%) e degli Stati Uniti (-25,8%). Per ricchezza prodotta il nostro paese raggiungerà il suo punto più elevato nel 1986 entrando a pieno titolo al quinto posto delle nazioni del G6 e scavalcando anche la Gran Bretagna per 47 miliardi delle vecchie lire.L’Italia raggiunse un altro storico traguardo nel 1991 allorquando in piena Tangentopoli divenne la quinta potenza industriale del pianeta e sfiorando il quarto posto nella classifica delle nazioni più ricche. Fu l’ultimo capitolo di una stagione che vedeva la politica ancora con le redini per poter intervenire nei processi economici del paese. L’epitaffio più prestigioso prima che il pool di Mani Pulite facesse piazza pulita della classe dirigente e imprenditoriale con il chiaro intento di aprire la strada a potentati economici e finanziari di marca anglosassone. Si chiudeva la stagione dell’intervento pubblico e di tutti quei meccanismi partecipativi che permisero alla nostra economia di vivere i fasti del boom economico degli anni ’70 e del consolidamento degli ’80. Gran merito di questo successo va attribuito alle strutture, alle leggi e a quegli istituti (Iri su tutti) creati durante il fascismo che in un modo e nell’altro sopravvissero ancora nei decenni successivi al Ventennio. Nel 1987 l’Italia entra nello Sme (Sistema monetario europeo) e il Pil passa dai 617 miliardi di dollari dell’anno precedente ai 1.201 miliardi del 1991 (+94,6% contro il 64% della Francia, il 78,6% della Germania, l’87% della Gran Bretagna e il 34,5% degli Usa). Il saldo della bilancia commerciale è in attivo di 7 miliardi mentre la lira si rivaluta del +15,2% contro il dollaro e si svaluta del -8,6% contro il marco tedesco.Tutto questo, come detto, ha un suo apice e un suo termine coincidente con la nascita della Seconda Repubblica. La fredda legge dei numeri ci dice difatti che dal 31 dicembre del 1991 al 31 dicembre del 1995, solo quattro anni, la lira si svaluterà del -29,8% contro il marco tedesco e del -32,2% contro il dollaro Usa. La difesa ad oltranza e insostenibile del cambio con la moneta teutonica e l’attacco finanziario speculativo condotto da George Soros costarono all’Italia la folle cifra di 91.000 miliardi di lire. In questi quattro anni il Pil crescerà soltanto del 5,4% e sarà il fanalino di coda della crescita all’interno del G6. In questi anni di governi tecnici la crescita italiana perderà terreno nei confronti della Francia (-21%,), della Germania (-29,3%), della Gran Bretagna (-11,1%), del Giappone (-27,7%) e degli Usa (-25,8%). Sono questi gli anni più tragici per l’economia italiana. Da allora la crescita, quando c’è stata, si è contabilizzata sulla base di cifre percentuali da prefisso telefonico. L’Italia perse in pochi mesi la classe politica del trentennio precedente che venne rimpiazzata nei posti strategici soprattutto da gente proveniente da noti istituzioni bancarie che seguirono – facendo addirittura meglio – alla lettera l’esempio thatcheriano.Non è un caso che proprio la Gran Bretagna della Lady di ferro perse, nel periodo che va dal 1981 al 1986, il 29% di crescita nei confronti dell’Italia, il 4.9% nei confronti della Francia e il 5% nei confronti della Germania. La fredda legge dei numeri che una volta per tutte smentisce chi ancora oggi glorifica la svolta liberista intrapresa dalla Thatcher. Svolta liberista che a partire dai governi tecnici e di sinistra colpì pesantemente l’Italia. Tutte le riforme strutturali avviate in quegli anni portarono il nostro paese a perdere posizioni che mai più avrebbe riguadagnato. A seguire, tutte le privatizzazioni con relativo valore al momento della cessione in miliardi di lire dell’epoca: 1993 Italgel, Cirio-Bertolli-De Rica, Siv (2.753 miliardi); 1994 Comit, Imi, Ina, Sme, Nuovo Pignone, Acciai Speciali Terni (12.704 miliardi); 1995 Eni, Italtel, Ilva Laminati piani, Enichem, Augusta (13.462 miliardi); 1996 Dalmine Italimpianti, Nuova Tirrenia, Mac, Monte Fibre (18.000 miliardi); 1997 Telecom Italia, Banca di Roma, Seat, Aeroporti di Roma (40.000 miliardi); 1998 Bnl + altre tranche (25.000 miliardi); 1999 Enel, Autostrade, Medio Credito Centrale (47.100 miliardi); 2000 Dismissione Iri (19.000 miliardi).Con la scusa di reperire capitali in vista della futura introduzione della moneta unica, il governo presieduto da Romano Prodi (17 maggio 1996 – 20 ottobre 1998) iniziò a spingere sull’acceleratore delle privatizzazioni e sulle cartolarizzazioni, ovvero la sistematica svendita del patrimonio di tutti gli italiani. Il governo Prodi non riuscì a completare la sua missione perché ad ottobre del 1998 cadde, ma con una mossa a sorpresa, evitando di fatto il ricorso alle urne, si diede l’incarico di creare una nuova maggioranza all’ex comunista Massimo D’Alema, che che proseguì la barbarie fin quando gli fu permesso (aprile del 2000) e conseguentemente proseguito dal governo “tecnico” Amato, quest’ultimo finito con la chiamata alle urne nel maggio del 2001. Questa fu la stagione legata alla più colossale svendita del patrimonio pubblico italiano. Furono incassati 178.019 miliardi di lire, pari a 91 miliardi di euro. “Meglio” della liberale Inghilterra della Thatcher. Milioni di posti di lavoro cancellati negli anni a venire che fecero perdere quella crescita che viceversa aveva contraddistinto i decenni precedenti.Le privatizzazioni non sono mai cessate. Dopo il 2000 proseguirono e continuano ancor oggi a piè sospinto. Cambia solo la ragione per la quale i governi ci dicono che dobbiamo procedere obbligatoriamente per questa strada: l’abbattimento del debito pubblico. Vale a dire come far passare il fatidico cammello attraverso la cruna dell’ago. Ma le privatizzazioni non solo non sono servite a nessuna delle cause fin qui addotte, ma come detto prima, cancellano posti di lavoro abbassando l’occupazione reale nell’arco di qualche anno. Nessuna delle ex aziende pubbliche ristrutturate dai privati ha difatti provveduto ad assumere più dipendenti della vecchia gestione. Centinaia di migliaia di posti di lavoro persi in favore del precariato e di tutti quei contratti a termine che hanno tolto certezze e diritti. Un altro elemento che oggi favorisce questa continua barbarie ai danni del lavoro ci è data dall’immigrazione favorita e voluta dalla Ue, accompagnata dal solito finto e perfido buonismo, che ha la funzione di servire sempre alla stessa finalità: alzare la disoccupazione marginale per far accettare ai lavoratori salari e diritti calanti. L’Italia ha avuto nel suo passato degli ottimi spunti che ci hanno posto ai vertici delle nazioni più competitive, e questo malgrado le cassandre che enfatizzavano gli aspetti legati all’elevata corruzione, alla criminalità organizzata e all’ignavia tipica dei mediterranei.Un paese che era vivo e presente, con il giusto slancio per affrontare qualsiasi sfida posta a livello internazionale. E questo era stato ampiamente compreso dai nostri diretti competitor, Germania, Gran Bretagna e Francia in testa che hanno fatto di tutto per smantellarci pezzo dopo pezzo. Nel 1997 il Pil italiano ha ancora una brutta caduta e passa dai 1.266 miliardi dell’anno precedente ai 1.199 miliardi. Recupera qualcosa nel ’98 (1.225 miliardi) per poi scendere ancora a 1.208 miliardi di dollari nel 1999. L’intero periodo segna una decrescita complessiva del -4,6%. L’11 dicembre del 2001, dopo 15 anni di negoziati, la Cina entrava a far parte del Wto (World Trade Organization), l’organizzazione mondiale del commercio. Da allora tutto è cambiato. Le economie anglosassoni, grazie alla deregolamentazione dei mercati voluta da Bill Clinton e Tony Blair, si sono votate esclusivamente sul finanziario. Si è creata di fatto una asimmetria tra rendita finanziaria e profitto capitalistico che ha favorito la Cina, che con i presupposti della concorrenza sleale ha sparigliato tutti, soprattutto nel campo manifatturiero, da sempre fiore all’occhiello dell’Italia. Chi non ha retto questi primi tragici anni del terzo millennio o ha chiuso i battenti o ha delocalizzato la produzione proprio nel paese del Dragone. Dal 2001 in poi i protagonisti dell’economia mondiale saranno altri. L’Italia esce mestamente dal G6 accompagnata verso un ruolo di marginalità politico-economica sempre maggiore.(Giuseppe Maneggio, “Il declino nazionale? Tutto è cominciato negli anni ‘90”, da “Il Primato Nazionale” del 18 marzo 2015).E’ opinione diffusa tra gli accoliti della sinistra italiana che i mali economici del Belpaese siano stati in larga misura acuiti e creati dai governi presieduti da Silvio Berlusconi. Mentre un’altra grossa fetta della popolazione è convinta che si debba viceversa far risalire le cause del declino alla pazza spesa pubblica della stagione dei governi del Pentapartito, quindi grosso modo in quel periodo storico che va dal 1980 alla nascita della cosiddetta e fantomatica Seconda Repubblica (1993). Quest’ultima tesi è quella che va per la maggiore negli ambienti dei liberali moderati che indistintamente possono essere collocati all’interno del centro-destra o del centro-sinistra. In questa piccola analisi ci occuperemo invece di quel periodo che va dalla fine degli anni ’80 fino alla fine dei ’90. Scopriremo come e perché le cause di tutti i nostri mali economici siano da attribuire alle politiche intraprese durante quegli anni. Anni che hanno visto il crollo del nostro Pil e del valore della lira contro il marco tedesco e dollaro Usa e il drammatico avvento delle privatizzazioni. L’Italia perderà terreno nei confronti della Francia (-21%), della Germania (-29,3%), della Gran Bretagna (-11,1%), del Giappone (-27,7%) e degli Stati Uniti (-25,8%). Per ricchezza prodotta il nostro paese raggiungerà il suo punto più elevato nel 1986 entrando a pieno titolo al quinto posto delle nazioni del G6 e scavalcando anche la Gran Bretagna per 47 miliardi delle vecchie lire.
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I cannibali di Pamela e la fine (meritata) della razza bianca
Noi, “bianchi”, ci stiamo estinguendo. E ce lo meritiamo. Parola dell’avvocato Marco Della Luna, impietoso critico del sistema neoliberista, bancario e finanziario. Stiamo sparendo, lo dicono i numeri: «La razza bianca si sta estinguendo per denatalità, anche nella sua principale riserva, la Russia». Sembra che abbia maturato «un certo disincanto verso la vita e fosche aspettative circa il futuro». E all’interno dell’estinzione della razza bianca «sta avvenendo una seconda estinzione, forse più grave: l’estinzione della civiltà occidentale, creazione peculiare di una parte della razza bianca (diciamo essenzialmente dell’area greca, italica, franco-germanica e britannica)». Per Della Luna, la nostra «è l’unica civiltà che abbia concepito e in parte realizzato un pensiero scientifico, una filosofia razionale, le idee di democrazia, di Stato di diritto, di eguaglianza, di diritti individuali dell’uomo». Questa civiltà «sta estinguendosi per un generale imbarbarimento edonista e consumista» nonché «per il declino dei suoi capisaldi, per l’effetto della globalizzazione e della finanziarizzazione della società», senza contare «la pesante immigrazione di massa da aree culturali immensamente distanti e con caratteri generalmente opposti». Nella prospettiva dell’estinzione della nostra civiltà, «la minaccia della catastrofe ecologica ci angoscerà meno, appunto perché non colpirà gente simile a noi».Tutelare la “razza bianca” di fronte alla sua incombente estinzione? «Io la penso diversamente», dice Della Luna, secondo cui il mondo «sta diventando una fogna avvelenata senza via d’uscita», tiranneggiato da «una dominazione tecnologico-finanziaria disumana», al punto che, ormai, «estinguersi è un privilegio, è una liberazione, è un diritto che rivendichiamo». Meglio «lasciare questo mondo guastato all’avanzata di genti che lo accettano, anzi se lo vogliono proprio prendere, nonostante sia ridotto così». Provocazione inaccettabile, ovviamente, per chi ha figli. Una cosa, Della Luna, la pretende: «Essere lasciati estinguere in pace e con decoro, senza pressioni e intrusioni violente». Un caso atroce? Quello di Pamela Mastropietro, la ragazza uccisa e smembrata a Macerata. «Era stata irretita da alcuni nigeriani, membri della potente mafia tribale nigeriana». Una mafia che «spaccia droga, prostituzione e altro», e che «opera alla luce del sole e indisturbata nelle nostre città». Il che, sostiene l’avvocato, «implica che essa dispone di complicità opportunamente comperate negli apparati dello Stato italiano, il medesimo che va a imbarcare i migranti sotto le coste libiche». E il fatto che la criminalità migrante, specie africana, venga sostanzialmente tollerata, sempre secondo Della Luna, lascia supporre che le sue attività in Italia (droga, prostituzione, traffico di organi) «siano materia oggetto di accordi a livello politico nazionale», addirittura, «appoggiati dai capi dell’immigrazionismo organizzato, sia imprenditoriali, che politici, che religiosi».Il cadavere di Pamela, si apprende, è stato «dissezionato con grande perizia tecnica». Ma gli organi, «rilevanti per i sacrifici umani e per il pasto cannibalico rituale», non sono stati ritrovati. Forse perché la gente non si inquieti troppo? «Questi riti fanno parte del background culturale di quelle tribù nigeriane, in cui magia nera e affiliazione mafiosa e potere politico sono tutt’uno», continua Della Luna. Intanto, a Macerata si tengono manifestazioni in favore del meticciato, e l’Onu «rende noto il suo piano per la sostituzione del poco prolifico popolo italiano con il massiccio impianto di africani». Gli italiani però non sarebbero più così favorevoli all’idea del “melting”: «Sono divenuti in maggioranza afroscettici, oltreché euroscettici». Uno scenario da apocalisse? Della Luna l’aveva prefigurato nel saggio “Le chiavi del potere”, pubblicato nel 2003. Scriveva: per impedirgli di sentirsi libero di controllare il potere politico e il denaro pubblico, si costringe il cittadino a vivere nell’insicurezza, «attivamente importando criminalità soprattutto da paesi extracomunitari, e non reprimendola, anzi incoraggiandola quando criminali o facinorosi si impossessano di interi quartieri o spadroneggiano in ampie zone geografiche, sotto gli occhi di tutti, espropriandoci del nostro territorio, mentre le istituzioni non intervengono nemmeno su denuncia dei cittadini».«Si vuole che questi ultimi capiscano chiaramente che non sono cittadini, ma qualcosa di meno», sottolinea Della Luna. La legge scritta esiste, ma gli italiani «non possono pretendere che chi ha il potere la faccia osservare». E’ come se si dicesse: “Noi vi riduciamo a un livello di dignità e diritti inferiori a quelli degli immigrati clandestini”. «Il principale problema politico nella globalizzazione, da parte del potere, è produrre e governare le masse di consumisti-lavoratori imbecilli richieste dall’economia e dal bisogno di consenso», si legge ne “Le chiavi del potere”. «Il genere umano è ridotto a mera componente del ciclo produttivo del profitto. I popoli che non si prestano più al buon funzionamento del ciclo, anche per scarsa prolificità e troppa criticità – ossia noi – vengono rimpiazzati con invasioni di immigranti e neutralizzati con l’assistenzialismo, la droga e il rimbecillimento televisivo, in modo che non si accorgano e non si oppongano». Buonismo, cioè eutanasia di massa? «Guardate le nuove generazioni: in larga parte menomate da un’educazione narcisizzante, che non insegna il governo dei propri impulsi quindi non forma all’indipendenza e all’applicazione; instupidite dalla televisione, dalla discoteca, da un uso dilagante di droghe; esistenzialmente fragilissime; istruite da una scuola penosamente inadeguata; giovani pieni di esigenze, schizzinosi, delicati, incapaci di sostenere privazioni e frustrazioni».I giovani italiani «devono competere con immigrati che in larga parte sono spinti da fortissima motivazione ad affermarsi, sono disposti a sacrifici e disagi, capaci di rinunce e disciplina, ma anche di violenza – la quale fa spesso parte della loro storia di vita e di adattamento sin dalla nascita. Sono capaci di fare e sopportare cose che i nostri neanche si sognano, e fanno figli a non finire». Se si lascia che questa competizione dilaghi, scriveva Della Luna 15 anni fa, «possiamo considerarci già sopraffatti, sconfitti e scacciati». Il problema? «Non è la nostra superiorità, bensì la nostra inferiorità». Rammolliti dalla società dei consumi: «Le esigenze del capitale e la ricerca del consenso hanno richiesto la coltivazione di personalità deboli e dipendenti dal consumismo, poco disposti alla rinuncia e al sacrificio. Hanno plasmato così i popoli dell’Occidente. Ma ora, popoli così plasmati non rendono più, non vanno più bene. Hanno troppe pretese ecologiche, sindacali, assistenziali; non si riproducono; contestano; non comperano più come prima. Vanno rimpiazzati: dentro gli altri!». Mettere in dubbio il dovere di accoglienza? «E’ immorale e fascista». Secondo Della Luna, «l’etologia, confermando la storia, ci avverte che l’uomo, una volta sciolto il suo legame col territorio, perde l’attitudine a difendersi e diventa remissivo, facilmente dominabile».Noi, “bianchi”, ci stiamo estinguendo. E ce lo meritiamo. Parola dell’avvocato Marco Della Luna, impietoso critico del sistema neoliberista, bancario e finanziario. Stiamo sparendo, lo dicono i numeri: «La razza bianca si sta estinguendo per denatalità, anche nella sua principale riserva, la Russia». Sembra che abbia maturato «un certo disincanto verso la vita e fosche aspettative circa il futuro». E all’interno dell’estinzione della razza bianca «sta avvenendo una seconda estinzione, forse più grave: l’estinzione della civiltà occidentale, creazione peculiare di una parte della razza bianca (diciamo essenzialmente dell’area greca, italica, franco-germanica e britannica)». Per Della Luna, la nostra «è l’unica civiltà che abbia concepito e in parte realizzato un pensiero scientifico, una filosofia razionale, le idee di democrazia, di Stato di diritto, di eguaglianza, di diritti individuali dell’uomo». Questa civiltà «sta estinguendosi per un generale imbarbarimento edonista e consumista» nonché «per il declino dei suoi capisaldi, per l’effetto della globalizzazione e della finanziarizzazione della società», senza contare «la pesante immigrazione di massa da aree culturali immensamente distanti e con caratteri generalmente opposti». Nella prospettiva dell’estinzione della nostra civiltà, «la minaccia della catastrofe ecologica ci angoscerà meno, appunto perché non colpirà gente simile a noi».
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Lacrime e sangue: Silvio, Renzi e Di Maio sottomessi all’Ue
Renzi e Gentiloni, Berlusconi e Salvini, Grillo e Di Maio apparentemente si scontrano su tutto. Se però andiamo a vedere la sostanza dei loro programmi economici, beh l’ubbidienza ai vincoli dell’austerità europea è comune. Il Pd ha lanciato la campagna elettorale assieme ai suoi cespugli rispolverando dalle ragnatele l’idea degli Stati Uniti d’Europa. Naturalmente nella versione da figurine Panini, la sola che possa essere compresa dal segretario democratico. Gli Stati Uniti socialisti di Europa erano l’idea originaria di Altiero Spinelli. Come si sa la Ue ha imposto il potere autoritario liberista delle banche sugli Stati Sottomessi d’Europa. Quindi Renzi con questa battuta, naturalmente epurata di ogni legame con il socialismo, semplicemente issa la bandiera Ue a copertura della continuità delle politiche di austerità. Come hanno sempre fatto tutti i governanti in questi anni. Nel settembre del 2016 l’allora presidente del Consiglio incontrò su una nave da guerra, al largo di Ventotene, Hollande e Merkel. Allora non poteva parlare di Stati Uniti alla presenza dei padroni della Ue, lo avrebbero ridicolizzato, quindi fece solo qualche spot elettorale per il referendum che poi avrebbe perso. Ora ci riprova.Nel 1700 un conservatore inglese, Johnson, affermò che il patriottismo era l’ultimo rifugio dei mascalzoni. Oggi vale per l’europeismo. Non toccare la Fornero e il Jobs Act, avanti con i tagli alla spesa pubblica, mantenere gli impegni di applicazione del Fiscal Compact che Gentiloni e Padoan hanno sottoscritto a Bruxelles e che la Ue verrà a riscuotere il 5 marzo. Missioni di guerra europee come quella sporchissima in Niger. Il centrosinistra vuole semplicemente continuare a fare ciò che ha fatto e si è impegnato a fare. La bandiera degli Stati Uniti d’Europa, che hanno minori possibilità di realizzarsi di quelli mondiali, serve a raccogliere un poco di elettorato liberaldemocratico, quello che una volta si chiamava atlantico per la sua fedeltà ai soli “Stati uniti” esistenti, quelli d’America. Ma soprattutto serve ad accreditare il Pd come solo riferimento per i padroni della Ue, Macron, Merkel, Rajoy. Cui però oggi si rivolge anche Berlusconi. Il capo del centrodestra ha lasciato a Salvini il lavoro sporco sulla xenofobia e sul razzismo, peraltro oggi perfettamente compatibile con la Ue che fa accordi coi tagliagole libici, o con Erdogan, per fermare i migranti.Così, mentre il leghista urla “padroni in casa nostra”, Berlusconi va dai padroni veri a concordare il programma. Ha bisogno di ottenere il via libera Ue alla colossale riduzione delle tasse per i ricchi e al piccolo aumento delle pensioni più basse, nonché ad una abolizione della Fornero più simbolica che effettiva. I vertici europei non sono affezionati a questa o a quella misura, dall’epoca di Monti e dei massacri greci hanno appreso che si possono avere migliori risultati, se si allunga il guinzaglio con cui si tengono legati i governi degli Stati sotto controllo. Berlusconi questo lo sa benissimo, quindi ha fatto alla Ue una proposta che non può rifiutare. L’obbedienza assoluta al Fiscal Compact e un gigantesco piano di privatizzazioni a garanzia di essa. Quindi per banche e multinazionali tedesche e francesi, e naturalmente per tutte le altre, si preparano nuove occasioni di ottimi affari. Perché la commissione Ue dovrebbe fare obiezioni a chi realizza la parte fondamentale del suo programma liberista, mettendo all’asta il proprio paese così come ha fatto per la sua squadra di calcio?Berlusconi ha promesso alla Ue che il suo governo rispetterà rigidamente il vincolo del deficit di bilancio al di sotto del 3%. Il Movimento 5 Stelle invece propone di superarlo per far crescere l’economia. Sembrerebbe che con questa e altre misure la forza politica guidata da Di Maio abbia davvero deciso di rompere con l’austerità europea. Ma non è così. Si chiama “clausola di dissolvenza” la parte di un trattato o accordo che può mettere in discussione tutto il resto. Il programma in 20 punti varato dai Cinque Stelle ha la propria “dissolvenza” al punto 16. Lì si propone di ridurre il debito pubblico di ben 40 punti in dieci anni. È la pura applicazione del peggior vincolo del Fiscal Compact, che non impone solo il pareggio di bilancio, ma la riduzione dell’ammontare del debito fino al 60 % del Pil. Con un rapporto attualmente al 130% nessuno nella Ue pensa che l’Italia possa, e neppure debba, raggiungere quell’obiettivo. Ma la riduzione del rapporto debito-Pil al 90% farebbe felice anche Schaeuble. E questo è quanto propongono Di Maio e i suoi, cioè un taglio di spesa pubblica di 40 e più miliardi all’anno, aggiuntivo a tutti gli altri.O pensano alla più ingegnosa finanza creativa del nuovo millennio, o credono ad un tasso di sviluppo del 5% all’anno, oppure i Cinque Stelle hanno programmato dieci anni di lacrime e sangue… E tutte le altre loro proposte sono aria fritta, perché solo il punto 16 conta davvero e li accredita preso la Ue. Diversi sono gli strumenti, Jobs Act e Fornero, privatizzazioni, tagli draconiani alla spesa pubblica, ma tutti i principali schieramenti elettorali hanno in comune la volontà di essere accettati dalla Ue come fedeli esecutori del suo comando e dei suoi vincoli, primo fra tutti il Fiscal Compact. Il liberismo europeo in Italia può giocare su tre tavoli, sicuro di vincere in ogni caso. “Liberi e Uguali” a sua volta non rappresenta certo un’alternativa ai tre schieramenti liberisti che si contendono il governo, non solo perché su questi temi non sono pervenuti, ma perché come massima ambizione i suoi leader si propongono di rifare il centrosinistra col Pd. La bufala degli Stati Uniti d’Europa vale anche per loro. Solo “Potere al Popolo” propone la rottura con trattati e vincoli Ue come condizione per realizzare davvero un’altra politica economica e sociale. Per questo oggi è la sola forza di alternativa, destinata a crescere nonostante tutto le si opponga.(Giorgio Cremaschi, “Tre diversi liberismi a gara per obbedire alla Ue”, da “Micromega” del 23 gennaio 2018).Renzi e Gentiloni, Berlusconi e Salvini, Grillo e Di Maio apparentemente si scontrano su tutto. Se però andiamo a vedere la sostanza dei loro programmi economici, beh l’ubbidienza ai vincoli dell’austerità europea è comune. Il Pd ha lanciato la campagna elettorale assieme ai suoi cespugli rispolverando dalle ragnatele l’idea degli Stati Uniti d’Europa. Naturalmente nella versione da figurine Panini, la sola che possa essere compresa dal segretario democratico. Gli Stati Uniti socialisti di Europa erano l’idea originaria di Altiero Spinelli. Come si sa la Ue ha imposto il potere autoritario liberista delle banche sugli Stati Sottomessi d’Europa. Quindi Renzi con questa battuta, naturalmente epurata di ogni legame con il socialismo, semplicemente issa la bandiera Ue a copertura della continuità delle politiche di austerità. Come hanno sempre fatto tutti i governanti in questi anni. Nel settembre del 2016 l’allora presidente del Consiglio incontrò su una nave da guerra, al largo di Ventotene, Hollande e Merkel. Allora non poteva parlare di Stati Uniti alla presenza dei padroni della Ue, lo avrebbero ridicolizzato, quindi fece solo qualche spot elettorale per il referendum che poi avrebbe perso. Ora ci riprova.
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Crisi, colpa nostra? Bifarini: dai media, soltanto fake news
Se tutti pagassero le tasse in 18 anni si potrebbe sanare il debito pubblico? Ridicolo. A parte il fatto che il debito pubblico non va “sanato”, perché lo Stato non è una famiglia né un’azienda, in realtà non esiste nessuna relazione significativa tra il livello di evasione e il debito di un paese. Anzi, al contrario: se osserviamo Giappone e Stati Uniti, che hanno il più alto debito pubblico al mondo, notiamo che in questi paesi il livello di evasione è bassissimo. Parola di Ilaria Bifarini, “bocconiana redenta” intervistata dal “Giornale” sulle più ricorrenti “bufale”, spacciate di media, in materia di economia. E’ la solita strumentalizzazione: giornali e televisioni «puntano il dito sull’evasione, sui piccoli evasori, attribuendogli la colpa della crisi economica», magari denunciando «gli affitti in nero e ai piccoli imprenditori», ma senza mai fare alcun riferimento «alla grande evasione fiscale da parte delle banche e delle grandi corporation». Motivo: «Si vuole scatenare la solita guerra tra poveri, strumentale poi alla preservazione dello status quo». La “flat tax”? Non è vero che “aiuta solo i ricchi”, anche se «rimane non progressiva verso l’alto, quindi sarebbero avvantaggiate le fasce di reddito più alte». Comunque sia, «è urgente e improcrastinabile una semplificazione e una riduzione significativa della tassazione delle nostre imprese, che si trovano schiacciate dalla competizione internazionale anche in ambito fiscale».Le privatizzazioni come soluzione? Giammai: «Privatizzare vuol dire svendere il nostro bene pubblico senza risolvere il problema della crisi e del debito attuale, mettendolo per lo più in mano ad investitori stranieri», spiega Ilaria Bifarini. «Questo ha ripercussioni notevoli sul livello dei salari (che entrano nel sistema perverso della concorrenza sfrenata, propria del modello neoliberista) e sull’abbassamento ulteriore della qualità dei prodotti e dei servizi». Privatizzando, «si vuole estromettere il ruolo dello Stato dalla politica economica: questo è quanto suggerisce l’Unione Europea per risanare il debito pubblico». In realtà, nonostante le devastanti privatizzazioni degli ultimi anni, il debito pubblico continua a crescere. «Quindi, privare il proprio paese di asset pubblici fondamentali per il proprio sviluppo e per la fruibilità e la qualità dei servizi non è altro che controproducente per l’economia di un paese». Cosa rispondere a chi afferma anche che gli aiuti pubblici uccidono la concorrenza e il Pil? «In realtà è proprio vero il contrario: infatti esiste una relazione diretta tra le dimensioni del governo e il reddito pro capite dei cittadini. Perché un’economia aperta, sviluppata e competitiva possa prosperare, è necessario che ci sia un intervento da parte dello Stato. E che quindi uno Stato offra tutele alle fasce di popolazione più debole in modo che possa funzionare la dinamica del libero mercato».Attualmente, la “teologia” neoliberista imposta dall’Ue fa in modo che avvega l’esatto opposto: i soli aiuti pubblici «sono rivolti ai salvataggi delle banche». Per l’economista, «siamo di fronte a un sistema bancario ipertrofico che non produce ricchezza reale ma soltanto speculazione, evade ed elude i propri profitti». E i cittadini «si trovano a dover finanziare un simile sistema che è deleterio per la crescita e per lo sviluppo». E se la globalizzazione «ha portato indiscutibili miglioramenti nell’ambito dello sviluppo economico e del progresso industriale», oggi ci troviamo in una fase successiva, la cosiddetta “iperglobalizzazione”, «dove a rischio sono la sopravvivenza della democrazia e degli Stati nazionali». Secondo quello che il “trilemma di Rodrik”, dal nome dell’economista turco Danil Rodrik, esiste una relazione diretta di incompatibilità tra democrazia, Stato nazionale e globalizzazione: «Quindi, se spingiamo oltre la globalizzazione, come è già avvenuto, dobbiamo rinunciare o allo Stato nazionale o alla democrazia». Di fatto, aggiunge Bifarini, alla democrazia stiamo già rinunciando: «Ci troviamo di fronte a quella formale, ma completamente svuotata del suo contenuto sostanziale, la cosiddetta “democrazia apatica”». Ora, attraverso l’Ue e l’Eurozona, «ci dicono di rinunciare anche allo Stato nazionale in nome di una governance internazionale inefficace e carente».Altro tragico dogma in auge: limitare la spesa pubblica al 3% del Pil. «Il limite del 3% del rapporto deficit-Pil non è assolutamente salutare per l’economia», sottolinea Ilaria Bifarini. «La prova è che l’Italia si trova a generare un avanzo primario da ben 24 anni con una sola eccezione nel 2009, quindi in realtà paghiamo più di quanto riceviamo e questo non può essere salutare per l’economia e il suo sviluppo». Attenzione: «Non si può riuscire a pareggiare il bilancio attraverso politiche di riduzione del reddito nazionale senza occuparsi del problema della disoccupazione, come insegnava Keynes». Il più falso dei “refrain” impugnati dai profeti del rigore? Avremmo “vissuto al di sopra le nostre possibilità”. Ridicolo: il boom del debito italiano risale al 1981, anno del divorzio tra Banca d’Italia e Tesoro. Nulla a che vedere coi consumi italiani. La crisi finanziaria mondiale del 2008? «Non è una crisi da debito pubblico, ma una crisi generata da un fattore di debito privato». Propaganda: «Si vuole alimentare questa concezione per la quale ci sono paesi come il nostro, spendaccioni (i cosiddetti Pigs, che hanno “vissuto oltre le proprie possibilità”) e che quindi le misure dure, inefficaci e deleterie dell’austerity imposte dalla Troika e dalle istituzioni finanziarie internazionali siano la giusta pena da espiare per i peccati commessi». In altre parole, barando, «si è creata una questione morale su un argomento prettamente economico». Se ne sono accorti, gli italiani?Se tutti pagassero le tasse in 18 anni si potrebbe sanare il debito pubblico? Ridicolo. A parte il fatto che il debito pubblico non va “sanato”, perché lo Stato non è una famiglia né un’azienda, in realtà non esiste nessuna relazione significativa tra il livello di evasione e il debito di un paese. Anzi, al contrario: se osserviamo Giappone e Stati Uniti, che hanno il più alto debito pubblico al mondo, notiamo che in questi paesi il livello di evasione è bassissimo. Parola di Ilaria Bifarini, “bocconiana redenta” intervistata dal “Giornale” sulle più ricorrenti “bufale”, spacciate di media, in materia di economia. E’ la solita strumentalizzazione: giornali e televisioni «puntano il dito sull’evasione, sui piccoli evasori, attribuendogli la colpa della crisi economica», magari denunciando «gli affitti in nero e ai piccoli imprenditori», ma senza mai fare alcun riferimento «alla grande evasione fiscale da parte delle banche e delle grandi corporation». Motivo: «Si vuole scatenare la solita guerra tra poveri, strumentale poi alla preservazione dello status quo». La “flat tax”? Non è vero che “aiuta solo i ricchi”, anche se «rimane non progressiva verso l’alto, quindi sarebbero avvantaggiate le fasce di reddito più alte». Comunque sia, «è urgente e improcrastinabile una semplificazione e una riduzione significativa della tassazione delle nostre imprese, che si trovano schiacciate dalla competizione internazionale anche in ambito fiscale».
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Giannini: lo spettro del Britannia e il reddito di cittadinanza
Una importante novità nell’anno 2018 compare di fronte agli elettori: l’analisi dei principali aspetti riguardanti i programmi dei partiti, soprattutto sul piano dei costi. Tra le ricette che sono state presentate, quella del Movimento 5 Stelle ha destato subito interesse quando ci si è resi conto che conteneva passi copiati da Wikipedia o addirittura dal programma Pd. Per quanto la vicenda possa apparire come un indice di scarsa competenza e conoscenza e quindi suscitare inquietudine, l’attenzione andrebbe focalizzata piuttosto sui concetti di fondo della proposta pentastellata. Secondo gli economisti di stampo keynesiano, per uscire dalle situazioni di crisi economica si deve “fare deficit” per attuare politiche di espansione (di crescita) dando lavoro, investendo in infrastrutture, detassando, conferendo nuovi diritti sociali, ecc. In questo modo la disoccupazione si dovrebbe ridurre, i contribuenti dovrebbero aumentare e con essi le entrate andrebbero a ripianare non solo il nuovo deficit ma anche a ridurre lo stock del debito pregresso. Di Maio, apparentemente in linea con questo approccio, ha insistito sullo sforamento del parametro di bilancio del 3%, un parametro di scarsissima scientificità ma concordato con gli altri soggetti europei: «Prenderemo un po’ di debito e lo investiremo per lo sviluppo», è stato lo slogan in diverse conferenze elettorali.
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Ci svendono alla Francia, perché ci salvi da Berlino: illusi
La classe dirigente italiana ha preso progressivamente coscienza che il maggior pericolo per la nostra permanenza nel nocciolo europeo è la Germania. «Consapevole però di aver indissolubilmente legate le sue fortune al progetto d’integrazione europea e terrorizzata dal “salto nel vuoto” che comporterebbe un’uscita dall’Europa (si tratterebbe di riesumare una programmazione industriale ed una politica mediterranea, senza che nessuno ne abbia più le capacità), il nostro establishment ha quindi maturato dal 2011 una strategia disperata: “vendere l’Italia” alla Francia, in cambio dell’impegno francese a perorare la nostra causa di fronte alla Germania». Lo sostiene Federico Dezzani, secondo il quale «gli europeisti sognano un futuro da satellite francese». Lo scenario: la liquidità immessa dalla Bce ha “sedato” i mercati finanziari, senza però risolvere nessun problema di fondo. E così, per rimanere agganciata al progetto d’integrazione europea, l’Italia «sta cedendo quote crescenti del nostro sistema economico-finanziario alla Francia, nella speranza che Parigi ci apra le porte della “serie A”». Se l’Ue è ormai prossima al capolinea, emerge il Piano-B: l’Europa “a due velocità”, «che contempla una maggiore integrazione fiscale e politica tra Francia e Germania, con rispettivi satelliti».Un’unione a due, argomenta Dezzani sul suo blog, significherebbe che Berlino si faccia carico di Parigi, trasferendo un ammontare di risorse tale da consentirle di “vivere al di sopra dei propri mezzi”: ipotesi piuttosto remota, visto l’assetto politico tedesco. In compenso, «la Francia dispone ancora di un seggio permanente nel Consiglio di Sicurezza dell’Onu e di un arsenale atomico: per Berlino, “l’acquisto della Francia” sarebbe un buon affare e le consentirebbe di evitare la sindrome di isolamento/accerchiamento di cui ha sofferto dal 1870 in avanti». Al di là di una maggiore integrazione con Parigi, però, Berlino però non andrà: e sicuramente «non è nell’interesse della Germania creare le condizioni perché anche l’Italia possa partecipare “al nocciolo duro”». Tutte le iniziative tedesche di questi ultimi mesi, osserva l’analista, «vanno infatti nella direzione di un’espulsione forzata dell’Europa mediterranea dall’area euro: dall’ipotesi di “default controllati” avanzata da Wolfgang Schaeuble alla stretta sui crediti deteriorati, passando per nuovi criteri per la valutazione dei Btp iscritti nei bilanci delle banche, è chiaro che la Germania sta facendo di tutto per spingere l’Italia e l’euro-periferia fuori dall’euro».Da qui la tentazione, tutta italiana, di aggrapparsi alla Francia. Si considerino gli investimenti, scrive Dezzani: se le acquisizioni tedesche in Italia sono piuttosto limitate dal 2011 in avanti (il marchio Ducati, l’Italcementi della famiglia Pesenti), quelle francesi esplodono letteralmente e, concentrandosi in settori strategici come l’energia, la finanza e le telecomunicazioni, godono dell’esplicita approvazione dei governi Monti-Letta-Renzi. Nel 2011, ricorda l’analista, Parmalat è acquistata da Lactalis, mentre Bulgari è passata a Lvmh. L’anno seguente, Edison ha lasciato l’orbita Acea per entrare nel mondo Gdf Suez. Ancora: nel 2016, Pioneer è stata comprata da Amundi e Telecom è stata scalata da Vivendi. Nel 2017 Luxottica è stata inglobata da Essilor. Saltuariamente, aggiunge Dezzani, circolano voci di un acquisto di Unicredit da parte di Société Générale, mentre le Assicurazioni Generali sarebbero nel mirino di Axa. «Quel che è certo è la finanza italiana è ormai dominata dal trio francese Jean Pierre Mustier (ad di Unicredit), Philippe Donnet (ad di Generali) e Vincent Bolloré (azionista di Mediobanca e padrone di Telecom), a loro volta espressione della finanza Rothschild che occupa attualmente l’Eliseo con Emmanuel Macron».Negli ultimi sette anni, rileva Dezzani, «l’Italia è diventata un sotto-sistema dell’economia francese, con l’avvallo dei governi “europeisti” nostrani: il governo Gentiloni ha persino inviato i nostri militari a presidiare i fortini della Legione Straniera in Niger». Qualsiasi acquisto italiano in Francia è stato bloccato, dal passato interesse di Enel per Suez alle più recenti mire di Fincantieri su Stx Saint-Nazaire. «In quest’integrazione a senso unico si può facilmente scorgere il grande disegno geopolitico della Francia: ridurre l’Italia, acquisendo il controllo di tutti i gangli dell’economia, alla condizione di Stato-vassallo, così da raggiungere una massa tale da confrontarsi con la Germania che, al contrario, sta coagulando attorno a sé i paesi dell’Europa nordica e centrale (Olanda, Austria, Slovenia, Paesi Baltici)». L’Italia, che ha la “stazza” economica e una popolazione sufficiente per restare un attore autonomo, «guadagna invece da questo scivolamento nell’orbita francese soltanto la promessa di rimanere agganciata al processo di integrazione europea: come satellite di Parigi». Secondo Dezzani, «la fallimentare classe dirigente sta, in sostanza, vendendo il paese alla Francia per salvare se stessa, sperando che l’assoggettamento a Parigi eviti la nostra espulsione “dall’Europa”».Anche lo schema dei trattati bilaterali, osserva l’analista, è un indice della gerarchia che si sta creando in Europa: la proposta di un nuovo Trattato dell’Eliseo, presentata il 22 gennaio 20182, dovrebbe rafforzare l’integrazione tra la Germania (contraente forte) e la Francia (contraente debole). «Nessun accordo simile è previsto tra Germania e Italia». Il nostro paese dovrebbe invece siglare entro il 2018 il cosiddetto “Trattato del Quirinale”, presentato dal premier Gentiloni lo scorso 10 gennaio, in occasione della visita a Roma di Emmenuel Macron: «Si tratterebbe del corrispettivo del Trattato dell’Eliseo, dove però la Francia è il contraente forte e l’Italia quello debole». Di fatto, «accantonata qualsiasi pretesa di parità tra i diversi Stati», “l’Europa a due velocità” sarebbe quindi «una struttura gerarchica, dove l’Italia è un sotto-sistema della Francia, a sua volta dipendente dalla Germania». Secondo Dezzani, i prossimi mesi saranno decisivi per le sorti dell’Ue: collasso accelerato o precario asse Merkel-Macron? «In qualsiasi caso, non è interesse dell’Italia rimanere in “serie A” come satellite della Francia». Se una classe dirigente «fallita ed esautorata» sogna di stipulare il “Trattato del Quirinale” e assoggettarci alla Francia, «una nuova classe dirigente dovrebbe studiare come ricollocare l’Italia al centro del Mediterraneo e rimettere in sesto l’economia con un’accurata programmazione industriale».La classe dirigente italiana ha preso progressivamente coscienza che il maggior pericolo per la nostra permanenza nel nocciolo europeo è la Germania. «Consapevole però di aver indissolubilmente legate le sue fortune al progetto d’integrazione europea e terrorizzata dal “salto nel vuoto” che comporterebbe un’uscita dall’Europa (si tratterebbe di riesumare una programmazione industriale ed una politica mediterranea, senza che nessuno ne abbia più le capacità), il nostro establishment ha quindi maturato dal 2011 una strategia disperata: “vendere l’Italia” alla Francia, in cambio dell’impegno francese a perorare la nostra causa di fronte alla Germania». Lo sostiene Federico Dezzani, secondo il quale «gli europeisti sognano un futuro da satellite francese». Lo scenario: la liquidità immessa dalla Bce ha “sedato” i mercati finanziari, senza però risolvere nessun problema di fondo. E così, per rimanere agganciata al progetto d’integrazione europea, l’Italia «sta cedendo quote crescenti del nostro sistema economico-finanziario alla Francia, nella speranza che Parigi ci apra le porte della “serie A”». Se l’Ue è ormai prossima al capolinea, emerge il Piano-B: l’Europa “a due velocità”, «che contempla una maggiore integrazione fiscale e politica tra Francia e Germania, con rispettivi satelliti».
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Barnard: siamo in crisi perché l’antica élite si è ripresa tutto
Ogni aspetto che regola la nostra vita nell’Unione Europea è deciso dalla Commissione, non eletta da nessuno. La Commissione Europea decide anche sulle Costituzioni: una sentenza della Corte Europea di Giustizia decreta che le leggi europee hanno priorità anche sulle Costituzioni dei singoli paesi. Oggi, per statuto, parlamentari e ministri italiani in Europa sono tenuti a fare gli interessi dell’Europa in Italia, non gli interessi dell’Italia in Europa. Non rappresentano l’Italia in Europa: rappresentano l’Europa in Italia. Questa struttura sovranazionale, creata dall’élite politico-economica messa all’angolo dalla Rivoluzione Francese e poi nel ‘900 dall’affermazione della democrazia, ha ripreso il potere e ha creato l’euro per togliere la sovranità agli Stati. Lo sapevano dal 1943: l’euro serve a togliere agli Stati la loro ragione di esistere, fino a distruggerli. Cito una frase, pronunciata da uno dei grandi burocrati europei, uno degli uomini del vero potere, Jacques Attali. Era consulente di Mitterrand insieme a un insigne economista, Alain Parguez, poi ravvedutosi. Parguez lo ferma in un corridoio della Commissione Europea e gli dice: «Sapete cosa state facendo? State distruggendo l’Europa. Cos’avete in mente?». E Attali risponde, letteralmente: «Non è colpa nostra se la plebaglia europea pensa che l’unione monetaria sia stata fatta per la loro felicità».Questa è la mentalità di coloro che ci considerato «degli outsider rompicoglioni», «una massa ignorante» da mettere ai margini. E hanno vinto, su di noi. Questo progetto di Unione Europea messo nelle mani di burocrati dell’estrema destra finanziaria, completamente svincolato dal controllo dei cittadini, prende piede formalmente in Italia negli anni ‘90, quando improvvisamente crolla la Prima Repubblica. Crolla un sistema di partiti: arriva Tangentopoli e spazza via una classe politica che la finanza internazionale (specie americana) considerava incontrollabile, non dedita a sufficienza al mantra delle privatizzazioni e dei tappeti rossi stesi davanti alla grande finanza speculativa. In Italia c’erano ancora leggi che impedivano grandemente l’esportazione dei capitali (il famoso “capital flight”, che è un fenomeno devastante, che distrugge interi paesi nell’arco di un attimo). L’Italia era un paese con partiti corrotti, ladri, bugiardi e mafiosi. Ma non erano nella Serie A. Erano nella Serie C, non facevano il gioco che contava. E con il crollo dell’Unione Sovietica, scrive un importante economista come Marcello De Cecco, questi partiti perdono ulteriormente il loro valore, per gli Stati Uniti: non servivano più a niente. E chi serviva veramente, in quel momento, alla grande finanza internazionale? Chi poteva essere il grande interlocutore per gli anni ‘90 e Duemila, per la grande finanza speculativa internazionale? Il candidato ovvio: il partito comunista.Era dagli anni ‘60 che il Pci faceva riunioni a Bellagio, sul Lago di Como, con la Fondazione Rockefeller: Sergio Segre, Amendola e soprattutto Giorgio Napolitano, che è stato il grande accoglitore del grande capitale finanziario internazionale dentro il Pci, in Italia, garantendo tappeti rossi stesi davanti a loro. Era dagli anni ‘60 che il Pci, mentre in piazza faceva la retorica dei lavoratori, della sinistra, sotto sotto dialogava. Al Mulino, a Bologna, facevano le riunioni con la Fondazione Agnelli. Veniva Brzezinski, a parlare col Pci: si stavano già mettendo d’accordo negli anni ‘60. E quindi, a maggior ragione, negli anni ‘90 questo partito diventa l’interlocutore privilegiato. Gli americani lo dicono molto chiaro, in un rapporto del Council on Foreign Relations, che incarna la politica estera statunitense: è un partito che ci è utile, scrivono, perché è l’unico in Italia a essere strutturato come una grande azienda, sa come fare business. E infatti lo facevano, il business: facevano chiudere le fabbriche in Italia e assicuravano i soldi per la Fiat in Russia, eccetera. Tangentopoli distrugge la Dc e il Psi ma risparmia il Pci (poi Pds, Ds e Pd). Ne chiesi conto a Gherardo Colombo, giudice di Mani Pulite (io sono di Bologna, città dove si pagavano mazzette per qualsiasi servizio), e Colombo rispose: gli imprenditori denunciavano solo la Dc e il Psi.Di fatto, dopo il ‘92-93 crolla questa classe politica, in Europa si sta consolidando l’Unione Europea, e in Italia arrivano i cosiddetti governi tecnici: Ciampi, poi il grande periodo del centrosinistra fino al 2000. In Italia, questa pianificazione orrenda che ha distrutto Stati, leggi e cittadini è stata portata su un vassoio d’argento unicamente dal centrosinistra. I nomi sono quelli di Andreatta, Prodi, Visco, Bassanini, Draghi, Amato, D’Alema. Le privatizzazioni selvagge dell’Italia avvengono tutte sotto i governi di centrosinistra, che stabiliscono il record europeo delle privatizzazioni, dal 1997 al 2000. Record europeo: riusciamo a battere addirittura l’Inghilterra del partito laburista di destra di Toby Blair. Oggi come allora, pubblicamente il centrosinistra fa la retorica del mondo del lavoro e della solidarietà sociale: tutte balle, questa gente è veramente bieca. L’Italia in quel periodo comincia a vendere i suoi beni pubblici, fa delle scelte sempre condizionate dal fantasma dell’inflazione. Scelte importanti: decide di internazionalizzare il proprio debito. Anziché fare quello che avrebbe dovuto fare una vera coalizione di centrosinistra, cioè trovare le risorse nazionali per gestire il proprio debito (perfettamente gestibile), l’Italia di Prodi e D’Alema internazionalizza il debito, mettendolo nelle mani delle grandi fondazioni economiche estere. Così, grazie a questa bella gente, negli anni ‘90 l’Italia è l’unico paese europeo a consegnarsi totalmente nelle mani della finanza internazionale.Marcello De Cecco (Normale di Pisa, La Sapienza) è considerato il più autorevole economista italiano, in assoluto. Scrive: il permanere di un debito pubblico internazionalizzato costituisce una zavorra permanente per l’economia italiana. Non le permette di correre, e le impedisce di seguire una politica in contrasto con le opinioni dei mercati finanziari internzionali, dai quali può discostarsi solo per pochi mesi. Cioè: se si sgarra per pochi mesi, si è finiti. E aggiunge, citando la caduta del governo Berlusconi nel ‘94: è la prova lampante del fatto che una maggioranza parlamentare che si metta in contrasto con i mercati internazionali si decompone, e il governo cade. Aprite gli occhi: Berlusconi ha avuto guai continui – non per via del fatto che è un pessimo politico, ma perché ha disobbedito a questa gente. Mentre gli altri, quelli che dovrebbero fare i nostri interessi, ci stanno rovinando: la nostra sinistra, quelli di “Repubblica”, Scalfari e De Benedetti (a cui D’Alema ha regalato miliardi, come la rete telefonica delle Ferrovie dello Stato venduta a De Benedetti per niente, e che De Bedenetti ha rivenduto facendo profitti di oltre il 300%). Questa sinistra sta rovinando gli operai, i lavoratori, i cassintegrati, i precari, i giovani che non trovano lavoro.Questo centrosinistra che, internazionalizzando il debito, ha consegnato l’Italia nelle mani della finanza internazionale, che cosa ci ha fatto perdere? Sapete qual è la cifra finale (dati del 2011) che l’Italia ha perduto, per la crisi finanziaria del 2007-2008 causata da questa gente? E ci siamo dentro fino al collo, nelle privatizzazioni e nella svendita del bene pubblico, a beneficio delle grandi banche d’investimento grazie a Prodi e D’Alema. Abbiamo perso 457 miliardi di euro: ricchezza sparita dall’Italia in soli tre anni. Una cifra che vale 33 finanziarie. Il conflitto d’interessi di Berlusconi sono 6 miliardi di euro, la casta di Beppe Grillo sono 4 miliardi di euro, tutte le mafie italiane messe assieme contano per 90-100 miliardi di euro. Questi signori ce ne hanno portati via 457. Questo paese non ha più alcuna possibilità di riscattarsi in nessun modo: con l’arrivo dell’euro, siamo veramente rovinati. In una situazione di questo genere, uno Stato avrebbe una sola possibilità di scampo, che è quello che fanno gli Stati Uniti: spendere a deficit. Stampare denaro, continuare a indebitarsi, svalutare la propria moneta – cioè, tutto quello che si può fare quando uno Stato ha una moneta propria (come il dollaro e la sterlina, com’erano il marco in Germania e la lira in Italia). Noi una moneta propria non l’abbiamo più, abbiamo l’euro.Di chi è l’euro? Di nessuno, nemmeno delle banche. La sua emissione viene decisa dai 16 governatori delle banche centrali dell’Eurozona, la Bce formalmente prende la decisione e le banche centrali nazionali stampano questa moneta. Sapete, quando viene stampato, a chi va in mano l’euro? Al ministero del Tesoro? No: va alle banche private, e da queste ai mercati dei capitali. Il ministro del Tesoro deve costruire un ospedale, aprire una strada, pagare gli stipendi agli insegnanti? Va a bussare ai mercati dei capitali privati e dice: per favore, mi date degli euro? Vi rendete conto di cosa sta succedendo? Uno Stato (teoricamente sovrano, ma non più sovrano) per comprare un cancellino di una lavagna di scuola deve andare al mercato dei capitali privati a prendere in prestito gli euro. I mercati dicono: certo che te li prestiamo, gli euro, ma i tassi di interesse li decidiamo noi. Sapete cosa vuol dire, questo? Sapete cos’è la variazione percentuale di un punto sui tassi d’interesse su miliardi di euro? L’Italia è ridotta come il cittadino strangolato dalla banca a cui ricorre per un prestito, se deve comprarsi l’auto. Ecco perché siamo costretti a tagliare le spese pubbliche. Al contrario di uno Stato a moneta sovrana (Usa, Inghilterra, Giappone) oggi l’Italia ha un debito che è veramente un debito – prima non lo era: era un fantasma, era inventato che fosse un problema, perché lo Stato era indebitato solo con se stesso, non doveva soldi a nessuno.Il debito dello Stato era la ricchezza dei cittadini. Oggi, con l’euro, è cambiato tutto. Oggi siamo veramente indebitati, dobbiamo veramente fare i tagli ai servizi pubblici e dobbiamo veramente tassare per tirar su dei soldi, perché dobbiamo bussare alla porta dei capitali privati per spendere ogni singolo euro destinato alla nazione. A questo pensava l’economista francese François Perroux nel 1943, quando disse: togliendogli la moneta, si toglie agli Stati la ragione di esistere e li si distrugge. Questo ci hanno fatto, e chi ha portato in Italia questa roba su un tappeto rosso è Romano Prodi, con tutta la sua cricca di delinquenti. E’ un disastro: non possiamo neanche più dire che è sbagliato tagliare i fondi alla sanità o alla scuola. I soldi dove andiamo a prenderli? Prima sì, si poteva dire: è sbagliato fare quei tagli, è una scelta politica, ideologica. Oggi non più: ci hanno tolto la funzione primaria dello Stato, e hanno vinto definitivamente. Prima ci impedivano di fare la piena occupazione, il welfare e il benessere per tutti, terrorizzandoci con dei fantasmi ideologici per impedire allo Stato di spendere. Adesso ce lo hanno impedito con uno strumento che è addirittura irreversibile. Adesso, anche un primo ministro si svegliasse una mattina e dicesse “io sono uno Stato sovrano e posso spendere a deficit e creare la piena occupazione”, non può più farlo neanche se vuole, perché non ha più la moneta per farlo.Vuol dire posti di lavoro perduti, aziende chiuse, ricchezza evaporata, povertà. La disoccupazione galoppa, i fallimenti delle aziende sono aumentati del 40% nel solo 2009. Il 30% degli italiani è costretto al prestito, il 38% è in difficoltà economiche, il 76% è costretto alla flessibilità. Il lavoro a chiamata è aumentato del 75%. Un milione e 650.000 italiani sono senza coperture di alcun tipo, se licenziati: non percepiscono nulla. Il 50% delle pensioni italiane sono sotto i mille euro: non ci vivi, non ce la fai. Un italiano su cinque rimanda le visite specialistiche, l’11% degli italiani non si riscalda, l’11% non ha soldi per le spese mediche ordinarie. Il 31% degli italiani non può permettersi di spendere 750 euro per un’emergenza in famiglia. E la grande finanza internazionale ci ha rubato 457 miliardi di euro in tre anni. Qui dobbiamo spalancare la mente. Che cosa succederà? Da qui in avanti, succederà esattamente quello che era pianificato dagli anni ‘30: il ritorno al potere assoluto dell’élite finanziaria, con la marginalizzazione delle leggi e dei cittadini. In particolare, pianificavano che in Europa si creassero delle sacche di povertà talmente ampie da poter poi fare del blocco industriale franco-tedesco una grande potenza dell’export, in competizione con gli Stati Uniti, con la Cina e con l’India.Mantenendo un euro estremamente sopravvalutato, hanno introdotto tutte queste misure di precarizzazione del lavoro e di erosione dei diritti. Stiamo privatizzando a man bassa, stiamo alienando beni pubblici per due lire al capitale privato. Con un euro molto forte, l’Europa non è competitiva sui mercati: ne soffrono le aziende, che devono tagliare il costo del lavoro. Significa che lo Stato deve sborsare cassa integrazione e sborsare un sacco di soldi che non si può più permettere, con l’euro. Questo mette in crisi gli Stati, e la crisi degli Stati crea ancora più incertezza economica, ancora più deflazione e disoccupazione. Il costo del lavoro cala ancora di più: oggi è normale accettare un posto di lavoro al supermercato per 700 euro, coi turni spezzati. In Germania è lo stesso: nel 2009 i lavoratori hanno registrato la più alta produttività europea coi più bassi stipendi. Quindi in Europa si sta creando questa situazione dove c’è un impoverimento drastico, una disoccupazione che sta schizzando alle stelle: stiamo a 23 milioni di disoccupati. Incertezza, povertà crescente, sacche di lavoro sottopagato per competere con la Cina, con l’India e con gli Stati Uniti sul mercato delle esportazioni. E qui il vero potere fa la prima, grande tornata di profitti: diventerà competitivo esportare dall’Europa pagando una miseria il lavoratore europeo.La deflazione e l’incertezza finanziaria fanno sì che i mercati perdano di valore, e se perdono di valore gli Stati sono costretti ai tagli. Devono alienare i beni pubblici, e quindi al primo che arriva a comprare vendono a due lire una Telecom, l’acqua, il sistema sanitario o le ferrovie, cosa che succede dagli anni ‘90 e che succederà ancora di più. Loro comprano a due lire, e quindi fanno la seconda tornata di profitti. Poi l’euro crollerà: crolleranno i tassi di interesse, e gli speculatori internazionali faranno profitti immensi, con i “credit default swaps” e le altre scommesse che si fanno sui crolli delle monete. E alla fine di tutto questo, quando l’Europa sarà un buco nero di economia, ridotta quasi a un territorio da Secondo Mondo balcanico, il vero potere farà la quarta tornata di profitti: le scommesse, coi derivati, sul crollo del mercato europeo. Che è quello che hanno fatto in Grecia: hanno scommesso sul crollo della Grecia, che loro stessi stavano causando. Questo è il futuro che si prospetta, per noi, grazie a questa pianificazione di 70 anni. Guardate che il Fondo Monetario Internazionale (che è uno degli attori principali di questo piano scellerato) ha capito di aver troppo calcato la mano, arrivando a pubblicare un rapporto che prevede per l’Europa lo spettro della disoccupazione di massa. Dobbiamo correre ai ripari, dice il Fmi, che chiede agli Stati di cominciare a spendere a deficit e aumentare la spesa pubblica (ma non lo possiamo più fare, non abbiamo più la moneta).Se il Fondo Monetario arriva a questo, vuol dire che la situazione è più che drammatica. Ci sono uomini – ne cito uno, Carlo De Benedetti – che fin dagli anni ‘90, in combutta coi politici del centrosinistra, avevano già capito perfettamente che cosa stava succedendo, e come fare queste quattro tornate di profitti. Cosa ha fatto? Si è tolto dall’Olivetti, che aveva una competizione sui mercati che non poteva reggere, e si è messo nell’industria dei servizi. E così hanno fatto tanti industriali, anche Benetton: ha lasciato le magliette ai competitor cinesi e indiani e si è buttato nell’acquisizione di questi servizi essenziali. Perché lo fanno? Ok, stanno creando questo buco nero, in Europa. Ci stanno distruggendo completamente. Ma quando saremo tutti più poveri, come faremo a fargli fare dei profitti? La risposta è questa, e loro la conoscono da tanto tempo: in termini tecnico-economici si chiama “captive demand”. Che cosa fanno? Ti impoveriscono, ti precarizzano e guadagnano sulle esportazioni, intanto però si comprano i servizi essenziali per la cittadinanza: la sanità, l’acqua, la luce, i trasporti – tutto, anche l’anagrafe e i servizi funerari. Tutto già previsto dai negoziati internazionali, verrà venduto tutto. Il Pd è il partito italiano più avanzato nella privatizzazione della sanità: ci lavora nelle lobby europee.Quando avranno acquisito questi servizi essenziali, e noi saremo tutti più poveri, loro faranno profitti spaventosi: perché senza l’acqua non possiamo vivere, non possiamo stare senza i treni o senza la sanità. Siamo prigionieri: “captive demand” vuol dire “richiesta prigioniera”, il cittadino diventa prigioniero di una richiesta che deve soddisfare. Per cui starà senza mangiare, rinuncerà alle vacanze e non comprerà più le lenti a contatto, ma l’acqua la pagherà, il gas lo pagherà, la nonna la seppellerirà, l’operazione al fegato la dovrà fare. Chi è l’uomo più ricco del mondo? Non più Bill Gates, ma Carlos Slim: è un messicano, e ha nelle sue mani tutte le telecomunicazioni del Messico. Ha fatto quello che ha fatto De Benedetti, che ha fatto Benetton in Italia. Si è comprato un servizio essenziale: i messicani devono telefonare, non possono non farlo. Saranno dei poveracci, il Messico è un paese di poveri. Ma lui è l’uomo più ricco del mondo, guardacaso. Questo ci stanno facendo, questo ci aspetta.Sbalordisce l’ampiezza di questo disegno criminale, che è il più grande crimine della storia occidentale dalla fine della Seconda Guerra Mondiale a oggi. Perché non solo hanno distrutto gli Stati, le leggi e i cittadini , ma hanno anche tenuto milioni di persone in condizioni di povertà, di bisogno, di indigenza. E oggi tengono i nostri ragazzi precari, le donne che non possono fare figli perché non possono mantenerli, le coppie che non si sposano perché non possono comprare casa. Tuttto questa sofferenza, che è stata immensa per milioni di persone in tutte le nazioni cosiddette ricche, è stato deciso a tavolino. E’ veramente il più grande crimine. E quello che ci aspetta è proprio la conclusione degna di questo crimine immenso, che hanno commesso. Non esito a dire che, di fronte a una pianificazione di questo tipo, occorrerebbe una nuova Norimberga. Bisognerebbe portare questi personaggi (molti sono ancora vivi) a un processo internazionale per crimini contro l’umanità.(Paolo Barnard, estratto della conferenza “Il più grande crimine”, video caricato su YouTube nel 2011. I dati citati, relativi al 2009, disegnano un quadro che poi si è aggravato in modo ulteriormente drammatico, con il governo Monti. Già nel 2010 Barnard aveva pubblicato online il suo saggio “Il più grande crimine”, che ricostruisce la riconquista del potere da parte dell’élite, a spese della democrazia, con un piano concepito a partire dagli anni ‘20 del ‘900, giunto a compimento in Europa con la creazione dell’Unione Europea e dell’Eurozona).Ogni aspetto che regola la nostra vita nell’Unione Europea è deciso dalla Commissione, non eletta da nessuno. La Commissione Europea decide anche sulle Costituzioni: una sentenza della Corte Europea di Giustizia decreta che le leggi europee hanno priorità anche sulle Costituzioni dei singoli paesi. Oggi, per statuto, parlamentari e ministri italiani in Europa sono tenuti a fare gli interessi dell’Europa in Italia, non gli interessi dell’Italia in Europa. Non rappresentano l’Italia in Europa: rappresentano l’Europa in Italia. Questa struttura sovranazionale, creata dall’élite politico-economica messa all’angolo dalla Rivoluzione Francese e poi nel ‘900 dall’affermazione della democrazia, ha ripreso il potere e ha creato l’euro per togliere la sovranità agli Stati. Lo sapevano dal 1943: l’euro serve a togliere agli Stati la loro ragione di esistere, fino a distruggerli. Cito una frase, pronunciata da uno dei grandi burocrati europei, uno degli uomini del vero potere, Jacques Attali. Era consulente di Mitterrand insieme a un insigne economista, Alain Parguez, poi ravvedutosi. Parguez lo ferma in un corridoio della Commissione Europea e gli dice: «Sapete cosa state facendo? State distruggendo l’Europa. Cos’avete in mente?». E Attali risponde, letteralmente: «Non è colpa nostra se la plebaglia europea pensa che l’unione monetaria sia stata fatta per la loro felicità».
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Ma davvero andrete a votare, legittimando questi pagliacci?
La gara dei polli sta per iniziare. Si stanno raccogliendo le scommesse su chi vincerà. Il tifo è alle stelle e la lucidità mentale è sparita da tempo. Ormai si combatte a colpi di slogan collettivisti e di tale idiozia da ritenere il tifoso privo di capacità mentali: dai redditi di cittadinanza regalati nelle patatine, alla restituzione delle tasse pagate, fino all’abbassamento delle tasse da parte di colui che le ha aumentate ieri, oggi e domani decidendo aumenti per il prossimo lustro (Iva, imposte sui bolli, Tares, multe), ce n’è da sbizzarrirsi. E’ la sagra del collettivismo, l’importante è spararla grossa, apparire sui giornali, sulle vignette in Facebook, esaltare la propria tifoseria, illuderla, comprarla con qualche panzana. Ormai il popolo crede che il governante possa fare quello che vuole una volta al potere, è disposto a dargli ancora più potere e privarsi di ogni libertà, purché il processo di irresponsabilizzazione continui e sia qualcun altro a pagare il pasto che oggi viene consumato (illusoriamente) gratis. Il conto sarà salato, ma tanto pagherà il perdente…