Archivio del Tag ‘banche’
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Draghi: rivoluzione in Europa. Soldi pubblici a tutti, e subito
Stiamo combattendo una guerra. E durante le guerre «i debiti salgono». Dopo settimane di silenzio – annuncia Alessandro Barbera, sulla “Stampa” – Mario Draghi si riaffaccia in pubblico in uno dei momenti più delicati della storia europea, quando ormai la crisi del coronavirus ha messo in ginocchio il continente. Nove paesi dell’Eurozona – in primis l’Italia, insieme alla Spagna e, udite, udite, la Francia di Macron (e dei Gilet Gialli) – invocano l’introduzione di strumenti di debito comuni, ma si scontrano come sempre contro il muro di tedeschi e olandesi. «Il messaggio dell’ex numero uno della Banca Centrale Europea, apparso sul “Financial Times”, è di quelli fatti apposta per lasciare il segno nel dibattito», annota la “Stampa”. «C’è chi lo vede a Palazzo Chigi, chi già al Quirinale, chi come commissario europeo all’emergenza Covid». Draghi per il momento si limita a recapitare consigli. «La perdita di reddito del settore privato e ogni debito assunto per riempirla – dice – deve essere assorbita dai bilanci pubblici. Il ruolo dello Stato – aggiunge – è utilizzarli per proteggere cittadini ed economia contro gli shock di cui il settore privato non è responsabile».
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I trogloditi del pareggio di bilancio, cavalieri della catastrofe
Una mozione d’ordine, anche se inutile. Un lettore ha commentato così la proposta (che ho riportato) da Bagnai e Molinari di cancellare l’obbligo di pareggio di bilancio nella Costituzione: «Il pareggio è una regola di buon senso soprattutto per un paese sull’orlo del baratro. Lei, Blondet, dovrebbe studiare un po’ di economia». Ora, questo signore essendo un abisso di ignoranza, ignora che mi sono occupato professionalmente di economia su “Il Giornale” quando lo dirigeva Montanelli, e ho scritto sui pericoli della globalizzazione un saggio, “Schiavi delle banche”. Ma se questo può essere perdonabile, perché si tratta di cose di oltre un decennio fa e il neo-primitivo vive nel presente totale, meno perdonabile è che l’ignorante ignori gli articoli di tema economico che scrivo sul blog. E anzitutto quello che ho scritto, freschissimo, su come Boris Johnson affronta il blocco economico da coronavirus: assicurando l’80 per cento del salario ad ogni dipendente d’azienda, e il sussidio malattia ad ogni lavoratore autonomo, e ciò sull’unghia (la gente ha già cominciato a vedere i soldi accreditati sul proprio conto), incurante del “pareggio di bilancio” e accettando di far aumentare il suo debito pubblico di un 20-30%.Ciò non solo perché ha una banca centrale e la sua valuta (al contrario di noi schiavi dell’euro tedesco), ma perché è noto – a chi non è ignorante – che le ricostruzioni dopo le guerre mondiali sono avvenute proprio così, spendendo al di là del pareggio, facendo grossi deficit e grossi debiti pubblici – sapendo che poi la ripresa economica, conseguente a queste misure, avrebbe permesso di chiudere, diminuire il debito pubblico. All’ignorante ho risposto, sotto il suo commento, con questo testo: nel 2011, i premi Nobel Kenneth Arrow, Peter Diamond, William Sharpe, Eric Maskin e Robert Solow, in un appello rivolto al presidente Obama, hanno affermato che «inserire nella Costituzione il vincolo di pareggio del bilancio rappresenterebbe una scelta politica estremamente improvvida. Aggiungere ulteriori restrizioni, quale un tetto rigido della spesa pubblica, non farebbe che peggiorare le cose»; soprattutto, «avrebbe effetti perversi in caso di recessione. Nei momenti di difficoltà diminuisce il gettito fiscale e aumentano alcune spese tra cui i sussidi di disoccupazione. Questi ammortizzatori sociali fanno aumentare il deficit, ma limitano la contrazione del reddito disponibile e del potere d’acquisto».Nell’attuale fase dell’economia, aggiungevano i Nobel, «è pericoloso tentare di riportare il bilancio in pareggio troppo rapidamente. I grossi tagli di spesa e/o gli incrementi della pressione fiscale necessari per raggiungere questo scopo danneggerebbero una ripresa economica già di per sé debole». Ma inoltre, «anche nei periodi di espansione dell’economia, un tetto rigido di spesa potrebbe danneggiare la crescita economica, perché gli incrementi degli investimenti a elevata remunerazione – anche quelli interamente finanziati dall’aumento del gettito – sarebbero ritenuti incostituzionali se non controbilanciati da riduzioni della spesa di pari importo. Un tetto vincolante di spesa, poi, comporterebbe la necessità, in caso di spese di emergenza (per esempio in caso di disastri naturali), di tagliare altri capitoli del bilancio pubblico mettendo in pericolo il finanziamento dei programmi non di emergenza». Critico anche l’economista e premio Nobel Paul Krugman, il quale ritiene che l’inserimento in Costituzione del vincolo di pareggio del bilancio «possa portare alla dissoluzione del Welfare State» (che è proprio lo scopo perseguito dagli “europeisti”).La fonte di questo testo? Forse un trattato che ho nella biblioteca? No, è la voce di Wikipedia. Quindi qualcosa di accessibile anche all’ignorantissimo. Ma questo non è il peggio. Quello che nel suo commento l’ignorante rivela, è di essere neo-primitivo. Ossia di far parte di una massa enorme, e purtroppo imperante, decisiva in Italia per come vota. Chi è il neo-primitivo? Colui che, come l’uomo del dodicesimo secolo, o il tribale del Mato Grosso, vive di certezze dogmatiche. Non ha capacità di pensiero critico, e riceve queste certezze da “fuori”, da quelle che crede “autorità”. Esattamente come il contadino medievale, che credeva ai dogmi cristiani. Invece il neo-primitivo crede nella Scienza. E nella Tv da cui la riceve. La Scienza con la maiuscola. La Scienza in cui non distingue se sia chimica, fisica, farmaceutica, virologia, economia e sociologia o la fantomatica “Scienza delle Comunicazioni”: tutto è Scienza e degno della sua fede assoluta e indiscussa.Nel caso qui esposto, l’ignorante – essendo anche neoprimitivo – crede che il Pareggio di Bilancio sia un dogma scientificamente provato. Per cui, vieta che se ne discuta. Ignora lo stato della questione nel campo scientifico. Ignora che il dogma è messo in discussione da manciate di Premi Nobel, con argomenti perfettamente comprensibili (a chi sia capace di pensare un minimo). E che la discussione, non affatto segreta, è facilmente reperibile persino su Wikipedia. Il neo-primitivo ignora che la scienza (senza maiuscola, e ammesso che l’economia sia scienza) è essenzialmente “discussione” delle certezze, tentativo di non stare ai dogmi, superamento di essi. No. L’ignorante essendo neo-primitivo, fa della Scienza un insieme di dogmi. Ad essi confida tutta la sua “fede”, esattamente come il contadino del medioevo aveva fede nei dogmi cristiani e nel sangue di San Gennaro. Ma per di più, crede di essere moderno – invece è al corrente di qualche punto superato della Scienza – e quindi, imperiosamente, impone il suo non-sapere a chi sa più di lui. «Blondet, lei dovrebbe studiare un po di economia», dice il saputello. E mi è andata ancora bene: non mi ha segnalato alla psicopolizia per il trattamento di rieducazione o Tso.Ma nella dittatura perfetta della Scienza dogmatica che si sta instaurando, le torme di neoprimitivi accenderanno i roghi per chi mette in discussione il Pareggio di Bilancio e tutti i altri dogmi in corso, infurianti con la scusa della lotta “scientifica” al coronavirus. La restrizione delle libertà politiche, così palesemente in corso, ha il neo-primitivo come entusiasta promotore; i poteri occulti sanno di poter contare sulle masse neo-primitive per bollare i critici e dissidenti rispetto al Sistema, e punirli – togliere loro il voto, e magari la vita. E per far arretrare il livello di civiltà, di cultura, di intelligenza dei popoli occidentali, che è il loro scopo reale, servono appunto i neo-primitivi, adepti di qualche dogma superato e arretrato, non più vigente nel dibattito scientifico reale. Un caso plateale di primitivismo s’è concluso tragicamente in Arizona: due anziani coniugi, letto che la clorochina è raccomandata e usata per contrastare gli effetti peggiori del coronavirus nei ricoverati, s’è somministrata dosi di fosfato di clorochina: un composto chimico in libera vendita, perché è un additivo che serve a pulire gli acquari e le piscine.A trarre i due nel tragico inganno è la loro credenza “scientifica” che il termine “clorochina” indichi in tutti i casi la stessa realtà: purtroppo, la clorochina farmaco è “idrossido di clorochina”; una formulazione del tutto diversa dal lava-acquari, e un medicinale usato da 50 anni come anti-malarico. I due sono morti. E qui si vede la differenza fra i neo-primitivi americani e quello italiano, a tutto vantaggio dei primi: il primitivo americano si avvvelena da sé, privatamenteì; e non pretende – come quello italiano – di partecipare al dibattito pubblico su temi di cui ignora tutto, anzi peggio, di voler far prevalere imperativamente nel dibattito pubblico le sue vedute arretrate e dogmatiche come nel caso del commentatore, la su ignoranza come superiore certezza. Il neo-primitivo italiano ha votato Pd e 5 Stelle, il movimento creato da un noto neo-primitivo che promuove la decrescita come dogma scientifico… Il neoprimitivo italiano avvelena anche te. Ma dirgli di smettere è inutile: ritorna sempre, e in massa.(Maurizio Blondet, “Il pericolo del neo-primitivo scientifico”, dal blog di Blondet del 25 marzo 2020).Una mozione d’ordine, anche se inutile. Un lettore ha commentato così la proposta (che ho riportato) da Bagnai e Molinari di cancellare l’obbligo di pareggio di bilancio nella Costituzione: «Il pareggio è una regola di buon senso soprattutto per un paese sull’orlo del baratro. Lei, Blondet, dovrebbe studiare un po’ di economia». Ora, questo signore essendo un abisso di ignoranza, ignora che mi sono occupato professionalmente di economia su “Il Giornale” quando lo dirigeva Montanelli, e ho scritto sui pericoli della globalizzazione un saggio, “Schiavi delle banche”. Ma se questo può essere perdonabile, perché si tratta di cose di oltre un decennio fa e il neo-primitivo vive nel presente totale, meno perdonabile è che l’ignorante ignori gli articoli di tema economico che scrivo sul blog. E anzitutto quello che ho scritto, freschissimo, su come Boris Johnson affronta il blocco economico da coronavirus: assicurando l’80 per cento del salario ad ogni dipendente d’azienda, e il sussidio malattia ad ogni lavoratore autonomo, e ciò sull’unghia (la gente ha già cominciato a vedere i soldi accreditati sul proprio conto), incurante del “pareggio di bilancio” e accettando di far aumentare il suo debito pubblico di un 20-30%.
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Giulietto Chiesa: difendiamoci, niente sarà più come prima
Sappiamo già che andremo in recessione. La crisi è sicuramente molto grave, molto seria, e sarà una crisi non soltanto italiana: sarà una crisi mondiale. Cosa ha che fare, col Mes? Con tutta probabilità, nel caso venisse approvato, questo cosiddetto “meccanismo salva-Stati”, presto ci troveremmo in una situazione insostenibile, in Italia. Perché adesso ci lasceranno sforare, ci lasceranno spendere un po’ di più – o meglio, ci diranno che potremo spendere un po’ di più. Quanto più spenderemo (e credo che dovremo spendere molto, per fermare questa emergenza), tanto più fra qualche mese ci diranno che siamo inadempienti, che siamo in debito e che dovremo pagare. E siccome dovremo pagare, ci dovremo rivolgere a questo nuovo organismo internazionale, che ci darà i soldi. Cioè: ci darà i soldi prendendoli dalle nostre tasche, perché sono i soldi che ci abbiamo messo noi. Quindi dovremo pagare al tasso d’interesse che loro decidono e che noi non potremo controllare, perché saranno “i mercati” a dire quanto e quando dovremo pagare. Non potremo farlo, e dunque ci commissarieranno. Quindi il Mes è uno scivolo, per andare velocemente in Grecia. E a prendere queste decisioni, come sempre, non sono quelli che governano in Italia: queste decisioni si prendono un po’ più in su, al piano di sopra. E i “padroni universali” sfruttano anche le crisi che nascono: lo fanno per fregare la gente, cioè tutti noi.Sostanzialmente, quindi, noi andiamo verso una grave crisi sociale: per pagare la quale, la prima cosa che decideranno di fare sarà mettere i soldi nelle tasche di tutti gli italiani, nei loro conti correnti. Ci porteranno via i soldi: quello che abbiamo risparmiato, tutti insieme, resterà a disposizione delle banche. Poi c’è la dimensione mondiale della crisi (sanitaria, epidemica, pandemica). Abbiamo di fronte un problema nuovo: la società nella quale viviamo non è più sostenibile. Quello che sta accadendo ci dice che è cominciata l’era della insostenibilità. Il che vuol dire che dobbiamo abituarci a pensare in termini molto più vasti, perché quello che sta accadendo non è transitorio: è un cambio d’epoca. Forse non tutti se ne sono ancora accorti, ma io lo dico perché vorrei che ce ne accorgessimo. Questo è un cambio d’epoca, nel quale tutti i criteri e i parametri della nostra vita saranno rimessi in discussione: l’economia, la cultura, la morale, i rapporti sociali. Tutto sta saltando.Quello su cui tutti vivevamo tranquilli, più o meno, era l’accettazione di una società che, ora lo vediamo, non può più stare in piedi. Non sta in piedi, sicuramente, insieme alla democrazia. Tant’è vero che in questo momento noi oggi siamo qui (su YouTube, ndr) perché non c’è democrazia: è una democrazia sospesa. Dobbiamo cominciare a pensare di organizzarci in un mondo diverso, che non sarà più quello dell’altro ieri. E organizzarci per difenderci significa mettere in piedi degli strumenti che ci consentano, appunto, di sapere che cosa sta accadendo. Questa informazione che noi oggi stiamo dando, in questa forma, dice questo: o noi avremo un canale di comunicazione per il popolo, in grado di dire la verità al popolo, o ci troveremo improvvisamente indifesi in una situazione in cui non potremo agire. E’ l’inizio di una nuova riflessione politica, per tutto il movimento di opposizione al potere dei “padroni universali”. Vi saluto con un augurio: che questa riflessione la facciamo tutti insieme, in qualunque parte d’Italia, e possibilmente anche in qualunque parte del mondo. Buona fortuna.(Giulietto Chiesa, intervento nella diretta web-streaming “Mes, fermare il contagio” trasmessa su “ByoBlu” e “Pandora Tv” il 7 marzo 2020, registrata su YouTube).Sappiamo già che andremo in recessione. La crisi è sicuramente molto grave, molto seria, e sarà una crisi non soltanto italiana: sarà una crisi mondiale. Cosa ha che fare, col Mes? Con tutta probabilità, nel caso venisse approvato, questo cosiddetto “meccanismo salva-Stati”, presto ci troveremmo in una situazione insostenibile, in Italia. Perché adesso ci lasceranno sforare, ci lasceranno spendere un po’ di più – o meglio, ci diranno che potremo spendere un po’ di più. Quanto più spenderemo (e credo che dovremo spendere molto, per fermare questa emergenza), tanto più fra qualche mese ci diranno che siamo inadempienti, che siamo in debito e che dovremo pagare. E siccome dovremo pagare, ci dovremo rivolgere a questo nuovo organismo internazionale, che ci darà i soldi. Cioè: ci darà i soldi prendendoli dalle nostre tasche, perché sono i soldi che ci abbiamo messo noi. Quindi dovremo pagare al tasso d’interesse che loro decidono e che noi non potremo controllare, perché saranno “i mercati” a dire quanto e quando dovremo pagare. Non potremo farlo, e dunque ci commissarieranno. Quindi il Mes è uno scivolo, per andare velocemente in Grecia. E a prendere queste decisioni, come sempre, non sono quelli che governano in Italia: queste decisioni si prendono un po’ più in su, al piano di sopra. E i “padroni universali” sfruttano anche le crisi che nascono: lo fanno per fregare la gente, cioè tutti noi.
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Grossi: virus Mes, il potere ha paura e prova a farci paura
Il mondo non ha nessun bisogno, del Mes. Se proprio volessero salvare le banche (il Mes serve a quello) potrebbero usare la Banca Centrale Europea. La Bce i soldi li crea dal nulla: non le costano niente, ne ha quanti ne vuole. Perché non lo fanno? La Bce ha il divieto di dare soldi allo Stato, ma può darli alle banche. E invece, per salvare le banche, si sceglie un’istituzione finanziaria intrernazionale che prende i soldi nostri, dei cittadini – e noi i soldi ce li guadagniamo col sudore della fronte. Il Mes prende i soldi nostri e salva queste banche, che potrebbero essere salvate dalla Banca Centrale Europea. Non tornano i conti, no? C’è decisamente qualcosa che non va. Ecco, io penso che la controinformazione che si sta facendo da molti anni a questa parte sta diventando efficace. Il potere sta in piedi perché manipola le coscienze, perché carpisce la buona fede delle persone. Ma, mano a mano, le balle che racconta stanno venendo fuori tutte, una dopo l’altra.Forse, il potere ha paura. E cosa può fare, per difendersi? Mette paura a noi: il fallimento, la malattia, l’epidemia…. E cosa fanno, le persone, quando hanno paura? Da una parte c’è la libertà, dall’altra c’è la sicurezza. Se non hai un elevato livello di coscienza, scegli la sicurezza e rinunci alla tua libertà. E allora mi rivolgo alle persone che hanno già sviluppato un certo livello di coscienza, e dico che è venuto il momento di conseguire molto seriamente quell’idea, di cui si parla da tempo, di una rivoluzione: nonviolenta, ma organizzata; seria, efficace. Perché noi, nei prossimi mesi, ci troveremo – con un discreto grado di possibilità – in una situazione in cui le masse potrebbero scegliere di rinnciare alla loro libertà. E non sarebbe per poco tempo.(Guido Grossi, intervento nella diretta web-streaming “Mes, fermare il contagio” trasmessa su “ByoBlu” e “Pandora Tv” il 7 marzo 2020, registrata su YouTube. Già dirigente bancario, tesoriere della Banca Nazionale del Lavoro, Grossi è stato vicepresidente dell’AticForex, associazione dei tesorieri italiani. Ex membro del consiglio di amministrazione di E-Mid, società di mercato che gestisce i depositi interbancari, Grossi è stato membro del gruppo di contatto presso Bankitalia, nonché responsabile dei mercati finanziari e delle attività in titoli azionari e obbligazionari. Da tempo critico rispetto alla manipolazione politica della finanza, l’ex super-manager della Bnl è in prima fila tra quanti si battono per un risveglio della sovranità democratica italiana).Il mondo non ha nessun bisogno, del Mes. Se proprio volessero salvare le banche (il Mes serve a quello) potrebbero usare la Banca Centrale Europea. La Bce i soldi li crea dal nulla: non le costano niente, ne ha quanti ne vuole. Perché non lo fanno? La Bce ha il divieto di dare soldi allo Stato, ma può darli alle banche. E invece, per salvare le banche, si sceglie un’istituzione finanziaria intrernazionale che prende i soldi nostri, dei cittadini – e noi i soldi ce li guadagniamo col sudore della fronte. Il Mes prende i soldi nostri e salva queste banche, che potrebbero essere salvate dalla Banca Centrale Europea. Non tornano i conti, no? C’è decisamente qualcosa che non va. Ecco, io penso che la controinformazione che si sta facendo da molti anni a questa parte sta diventando efficace. Il potere sta in piedi perché manipola le coscienze, perché carpisce la buona fede delle persone. Ma, mano a mano, le balle che racconta stanno venendo fuori tutte, una dopo l’altra.
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Tentazione: usare l’emergenza per un golpe, incluso il Mes
Il coronavirus sembra non volerne sapere dei modelli matematici fatti apposta per ingabbiarlo: le cifre crescono, e così assistiamo a una moltiplicazione dell’incertezza, mentre si consuma il balletto quotidiano dell’indecisione del governo. Attenti: il momento è propizio per instaurare uno “stato d’eccezione”. Lo afferma il professor Alessandro Mangia, ordinario di diritto costituzionale alla Cattolica di Milano, intervistato da Federico Ferraù sul “Sussidiario“. «L’emergenza – spiega Mangia – consente di fare infinite cose che in condizioni normali non si potrebbero fare», dalla nomina di un “commissario al coronavirus” fino alla firma del Mes, passando per l’introduzione forzata del wireless 5G. Esistono precedenti: all’indomani del terremoto di Messina del 1908, lo Stato neo-unitario inventò l’istituzione del decreto-legge. «La disciplina dell’emergenza si è sviluppata simultaneamente in tutta Europa, e se n’è fatto ampio uso durante e soprattutto subito dopo la Prima Guerra Mondiale: basti pensare a una calamità come l’influenza spagnola, che uccise soltanto in Italia quasi 400.000 persone». Un giurista come Santi Romano diceva che l’emergenza è una fonte del diritto: «Vale sicuramente per il coronavirus. Pensiamo al decreto-legge 6/2020 appena varato dal governo e ad altro che potrebbe arrivare».
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Banche pubbliche: rivoluzione, nella culla del neoliberismo
Il 2019 ha segnato un punto di svolta in un crescente movimento di banche pubbliche che ha preso slancio negli Stati Uniti. Tra le conquiste del movimento troviamo il passaggio del Public Banking Act (Ab-857) in California, l’istituzione di una banca pubblica statale nel New Jersey e l’apertura della Banca territoriale delle Samoa americane. Dopo che i legislatori della California hanno emanato il Public Banking Act dello Stato, San Francisco e Los Angeles hanno annunciato piani per l’istituzione di banche pubbliche. E ora ci sono più di 25 leggi per l’apertura di banche pubbliche in esame in altri stati. Perché il settore bancario pubblico? Perché ora? Dalla crisi bancaria del 2008, l’opinione pubblica ha espresso preoccupazioni per le banche commerciali e la natura del sistema bancario. Ogni anno miliardi di dollari di fondi pubblici vengono depositati in banche private (Wall Street). Non è il governo che conserva i nostri soldi, sono le banche private. In genere, questi fondi pubblici non sono investiti in comunità o Stati locali. Questi fondi finiscono in investimenti ad alto rendimento come l’industria dei combustibili fossili, condutture, prigioni private.Un movimento di disinvestimento in crescita si concentra ora sulla cessione di programmi governativi, come i fondi pensione dei dipendenti pubblici ad esempio, togliendoli alle grandi banche. La domanda quindi è dove metterli. Gli attivisti della giustizia economica affermano che la risposta è il settore bancario pubblico. Le banche pubbliche sono servizi pubblici, di proprietà delle persone con la missione di servire il bene pubblico e i valori della comunità. Secondo i sostenitori, le banche pubbliche possono offrire prestiti a basso tasso d’interesse per studenti e agenzie pubbliche e capitali per piccole imprese e organizzazioni no profit. In tal caso, il sistema bancario pubblico consentirebbe alle città, alle contee o agli Stati di ottenere di più per i loro fondi limitati e di gestire efficacemente il proprio denaro per fornire più servizi ai propri cittadini. Vale a dire alloggi a prezzi accessibili, servizi per i senzatetto, istruzione, energie rinnovabili, strutture sanitarie comunitarie, trasporto pubblico.Il 2019 è stato anche il centesimo anniversario della prima banca statale di proprietà pubblica americana, la Bank of North Dakota (Bnd), un’eredità vivente che fa prestiti al di sotto del mercato per le comunità locali e le imprese, generando allo stesso tempo un profitto per lo Stato. La Bank of North Dakota è stata fondata in risposta a una rivolta degli agricoltori contro le banche private che stavano ingiustamente pignorando le loro fattorie. Da allora la Bnd si è evoluta in una banca da 7,4 miliardi di dollari, che risulta essere ancora più redditizia rispetto a Jp Morgan Chase e Goldman Sachs, sebbene il suo mandato non sia effettivamente quello di generare profitti ma di servire le comunità locali. Insieme a centinaia di banche pubbliche in tutto il mondo, Bnd ha dimostrato cosa si può fare tagliando azionisti e intermediari privati e mobilitando le entrate pubbliche per servire il pubblico. Con la leadership di Bnd, il Nord Dakota è stato l’unico stato negli Stati Uniti a sfuggire alla crisi del credito del 2008, avendo anche il più basso tasso di disoccupazione e tasso di pignoramento nel paese. La Bank of Nord Dakota si pone come modello di successo.La rivoluzione del settore bancario pubblico potrebbe andare oltre, esplorando la rinascita del sistema bancario postale, un servizio realizzato in passato dagli uffici postali statunitensi. Le banche che inseguono gli utili tendono ad abbandonare i quartieri rurali e a basso reddito, lasciando una persona su cinque senza servizi bancari o “underbanked”. Questo, spesso li costringe a fare affidamento su servizi finanziari predatori come banchi dei pegni, servizi di cambio assegno e prestatori di giorno di paga. Di conseguenza, le famiglie senza accesso ai servizi bancari spendono quasi il 10% delle loro entrate solo per accedere al proprio denaro. L’ufficio postale locale potrebbe facilmente cambiare la situazione. Mentre le città e gli Stati iniziano a svilupparsi e ad investire nei propri sistemi bancari pubblici, siamo in un momento storico che potrebbe portare a un futuro più prospero per l’americano medio. La copertura mediatica di questo argomento è stata limitata all’annuncio di notizie isolate, invece di raccontare questa rivoluzione in atto nel settore bancario locale e le forze che la guidano.(Mattew Ascano, “La rivoluzione delle banche pubbliche, nella culla del neoliberismo”, da “Projectcensored.org”; articolo presentato da Riccardo Donat-Cattin su “Come Don Chisciotte”. Ascano è un ricercatore della San Francisco University).Il 2019 ha segnato un punto di svolta in un crescente movimento di banche pubbliche che ha preso slancio negli Stati Uniti. Tra le conquiste del movimento troviamo il passaggio del Public Banking Act (Ab-857) in California, l’istituzione di una banca pubblica statale nel New Jersey e l’apertura della Banca territoriale delle Samoa americane. Dopo che i legislatori della California hanno emanato il Public Banking Act dello Stato, San Francisco e Los Angeles hanno annunciato piani per l’istituzione di banche pubbliche. E ora ci sono più di 25 leggi per l’apertura di banche pubbliche in esame in altri stati. Perché il settore bancario pubblico? Perché ora? Dalla crisi bancaria del 2008, l’opinione pubblica ha espresso preoccupazioni per le banche commerciali e la natura del sistema bancario. Ogni anno miliardi di dollari di fondi pubblici vengono depositati in banche private (Wall Street). Non è il governo che conserva i nostri soldi, sono le banche private. In genere, questi fondi pubblici non sono investiti in comunità o Stati locali. Questi fondi finiscono in investimenti ad alto rendimento come l’industria dei combustibili fossili, condutture, prigioni private.
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Bifarini: l’Ue “guarisce” solo con un New Deal rooseveltiano
Nel mio libro “Inganni economici” parlo di un fenomeno preciso, la “divinizzazione dell’economia”, in base al quale i postulati economici diventano dogmi, e le previsioni profezie. L’inganno principale è credere che l’economia sia una scienza esatta come la matematica. Oggi, un modello economico (valido, forse, in alcune circostanze) viene fatto passare per una legge universale. E’ la logica del “there is no alternative”, non c’è alternativa: il principio con il quale ci è stata propugnata l’austerity. Da questo concetto discendono tanti luoghi comuni. Come la convinzione che la disuguaglianza sociale alla lunga possa portare alla crescita e che le riforme strutturali siano la panacea di tutti i mali, quando spesso si traducono in riduzioni dei salari e dei diritti dei lavoratori e possono addirittura aumentare la disoccupazione nel breve periodo, in una situazione di crisi della domanda quale quella stiamo vivendo oggi. A Davos la Merkel ha detto che la Grecia sarebbe tornata a crescere? Ci vuole un grande coraggio per parlare di successo sulla Grecia. Anzi, è una frase che nasconde una profonda mancanza di sensibilità per il lato umano del dramma greco.E non parlo solo di disoccupazione giovanile inaccettabile, del Pil caduto del 25%, del debito pubblico che dopo la cura della Troika era arrivato al 180%. A causa dei tagli nel settore sanitario in Grecia si è assistito addirittura ad aumento di casi di Hiv, e al ritorno della malaria. L’errore che si fa quando si disumanizza l’economia è non pensare al paese reale: per valutare lo stato di salute di un paese occorre guardare all’occupazione, alle sue imprese, agli investimenti interni, al livello di equità e a quanto la crescita non sia legata a fattori endogeni e contingenti. E sotto questi punti di vista la situazione non è ancora così rosea come si vuol far credere. Intanto, la locomotiva tedesca rallenta vistosamente. La Germania è uno dei paesi più in crisi in questo periodo: la crescita è timidissima, ha sfiorato la recessione tecnica. E’ l’emblema di un modello fallimentare, quello neomercantilista, tutto basato sull’export. Non è solo una crisi industriale, ma anche sociale: è vero che hanno un basso tasso di disoccupazione, ma scontano un alto livello di “working poors”, lavoratori precari e con salari molto bassi. Troppo rigore e pochi investimenti. Per questo la Germania potrebbe implodere su se stessa. Una fragilità tanto più marcata, nel momento in cui Donald Trump, siglato l’accordo con la Cina, adopera lo strumento dei dazi come arma di ricatto in chiave antieuropea.Anche la salute bancaria tedesca non fa ben sperare. Deutsche Bank è uno degli istituti che da tempo ha un problema di sofferenze bancarie e ha subito già dei declassamenti da parte delle agenzie di rating. Pare abbia derivati per oltre 14 volte il Pil della Germania, di cui un alto quantitativo ritenuti tossici. Se la situazione dovesse precipitare, il contagio potrebbe diffondersi, a catena, sulla stabilità dei mercati europei. Quale futuro prevedo per l’Eurozona? Sui tempi non sono ottimista, ma per forza di cose dovrà esserci un cambiamento radicale. Ci sono dei segnali di apertura, anche se restano fazioni di resistenza interne, dovuti agli adoratori dell’austerity, che come cultori di una religione continuano a spingere per un modello economico sbagliato. Il peccato originale dell’Unione Europea? Il problema fondamentale è che la moneta unica è stata anteposta al percorso di integrazione politica e fiscale, che di fatto non c’è ancora. È come costruire un palazzo senza partire dalle fondamenta. Questo rappresenta un handicap di partenza pesantissimo. La crisi del 2008 è nata negli Usa, ma dagli Usa è stata superata, a differenza dell’Europa, che è rimasta ingabbiata nelle sue regole. Dunque le alternative sono due: o una rottura totale, che è alquanto improbabile, oppure continuare il processo di integrazione.Ultimamente c’è chi pensa che la via ambientale possa essere una valida via d’uscita. Larry Fink, il capo del più grande fondo d’investimento mondiale, BlackRock, sostiene che il “climate change” cambierà per sempre il volto della finanza. L’ambientalismo potrebbe essere la leva del cambiamento, l’innesco che ci costringerà a rivedere l’attuale modello economico. Inoltre può essere un incentivo a rivedere tante assurdità di questo sistema, come le delocalizzazioni alimentari, ad esempio, per cui importiamo prodotti che potremmo produrre. Anche il Premio Nobel Joseph Stiglitz, uno dei più accesi critici dell’euro, sostiene che il cosiddetto “green new deal” salverà la moneta unica, perché gli investimenti verdi porranno fine all’austerity. E’ uno scenario credibile? Sicuramente è una visione molto ottimistica. Bisogna vedere se riuscirà a passare la proposta che consente di scorporare dal conteggio del deficit gli investimenti sostenibili, superando il Patto di Stabilità. Ma ad oggi c’è stato un rifiuto soprattutto dai paesi del Nord Europa. Da dove passa il cambiamento?Dobbiamo sperare che qualcuno si svegli: per ritornare a crescere occorre un New Deal di stampo rooseveltiano. Che poi sia verde o di qualsiasi altro colore, poco importa. Anzi, meglio.(Ilaria Bifarini, dichiarazioni rilasciate a “La Verità” per l’intervista pubblicata il 27 gennaio 2020, ripresa dal blog dell’economista: “Economia, Unione Europea, ambiente: cosa ci aspetta?”).Nel mio libro “Inganni economici” parlo di un fenomeno preciso, la “divinizzazione dell’economia”, in base al quale i postulati economici diventano dogmi, e le previsioni profezie. L’inganno principale è credere che l’economia sia una scienza esatta come la matematica. Oggi, un modello economico (valido, forse, in alcune circostanze) viene fatto passare per una legge universale. E’ la logica del “there is no alternative”, non c’è alternativa: il principio con il quale ci è stata propugnata l’austerity. Da questo concetto discendono tanti luoghi comuni. Come la convinzione che la disuguaglianza sociale alla lunga possa portare alla crescita e che le riforme strutturali siano la panacea di tutti i mali, quando spesso si traducono in riduzioni dei salari e dei diritti dei lavoratori e possono addirittura aumentare la disoccupazione nel breve periodo, in una situazione di crisi della domanda quale quella stiamo vivendo oggi. A Davos la Merkel ha detto che la Grecia sarebbe tornata a crescere? Ci vuole un grande coraggio per parlare di successo sulla Grecia. Anzi, è una frase che nasconde una profonda mancanza di sensibilità per il lato umano del dramma greco.
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Ti svuoto il conto, violando l’home banking su smartphone
Il primo pensiero, quando se ne sente parlare, è che a noi non capiterà mai. Eppure, con gli smartphone ormai diventati dei veri e propri terminali bancari, il rischio c’è. E per perdere i risparmi di una vita possono bastare poche ore. Lo scrive Stefano Galeotti sul “Fatto Quotidiano”, denunciando lo svuotamento improvviso dei conti correnti. Parla una delle vittime: «I soldi sono spariti tramite quattro bonifici, ordinati con causali fantasiose». E addio denaro: «Abbiamo provato a fare il richiamo delle operazioni, ma non è stato possibile». Il giorno dopo è scattata la denuncia alla polizia postale. Il verdetto: vittime di “sim swap”. È una tipologia di frode informatica articolata in vari passaggi, spiega Marcello La Bella, dirigente della polizia postale della Sicilia Orientale, che nel 2018 ha compiuto la prima operazione in Italia contro questo tipo di truffa, con 13 persone arrestate e un bottino totale di oltre 600.000 euro. «Una volta individuata la vittima si procede all’acquisizione delle credenziali di home banking tramite tecniche di hacking. Poi, utilizzando documenti falsi, si sostituisce la sim card della vittima e, attraverso lo stesso numero telefonico, si ottengono dalla banca le credenziali per operare sul conto corrente online».La pericolosità di questa truffa, aggiunge il “Fatto”, sta nel superamento del secondo fattore di autenticazione, di recente legato al numero di telefono: «Il cellulare viene identificato con la sim, e chi ne entra fisicamente in possesso ha un grande vantaggio», rivela Stefano Zanero, docente di elettronica al Politecnico di Milano ed esperto di cyber-sicurezza: « Il numero di telefono infatti è anche il canale di comunicazione utilizzato dalle banche per notificare i movimenti e per fare eventuali controlli di sicurezza. In questo caso però messaggi e chiamate di verifica arrivano a chi sta commettendo il reato». I guai cominciano con l’assenza di segnale sul telefono. «Da Tim ci rassicurano, dicono che si tratta di un errore nella configurazione», racconta uno dei derubati: «Consigliano di spegnere e riaccendere il telefono, di farlo più volte». Ma è inutile: ormai quel numero è collegato a una sim che sta nelle mani del truffatore. Agli operatori, le vittime raccontano: «Lo stesso giorno abbiamo ricevuto un messaggio che confermava l’avvenuta disattivazione della sim, da noi però mai richiesta». Nel pomeriggio, la Tim conferma: alle 10 del mattino la sim era stata sospesa per furto e smarrimento e poi, in un altro centro, era stato fatto un duplicato della scheda.Le ore trascorse, continua il “Fatto”, hanno permesso a chi ha rubato la sim di utilizzare il numero di telefono per effettuare bonifici, verosimilmente istantanei, e svuotare completamente il conto. Recuperare il maltolto, almeno in parte? Su questa materia regna il caos, e la lentezza della giustizia italiana non aiuta. «Questa truffa informatica – scrive il quotidiano – è strettamente legata alla recente entrata in vigore di una direttiva europea dedicata ai servizi di pagamento digitali, la “Psd2”, Payment Services Directive 2, che ha reso necessario un doppio fattore di autenticazione, in aggiunta a username e password dell’internet banking, legato al contenuto dell’operazione». Per sostituire i vecchi “token” fisici, quasi tutti gli istituti bancari hanno deciso di puntare sull’autenticazione tramite un’applicazione su smartphone. L’introduzione di un passaggio ulteriore ha aumentato il livello di sicurezza complessivo, ma espone a un altro tipo di rischio: «Chi entra in possesso della sim – dice il professor Zanero – ottiene l’accesso a tutte le comunicazioni legate ai pagamenti». Ovvero: «Nel caso di un’operazione sospetta, come un bonifico molto consistente, la banca manda un sms al cliente per verificare che tutto sia regolare. Con l’attacco di sim swap, l’avviso arriva a chi ha rubato la sim. E se l’utente ha già presentato login e password corretti, il secondo fattore e anche il codice contenuto nel messaggio di avviso, è difficile dubitare della sua identità».Insomma, le banche non possono farci granché, se non insistere con gli operatori telefonici per ottenere un cambiamento nelle procedure di duplicazione della sim: «Negli Stati Uniti, dove questa truffa è molto diffusa già da qualche anno, i clienti che si sentono a rischio possono chiedere al proprio operatore di non rilasciare duplicati della sim in centri servizi standard», dice ancora Zanero. «Questo passaggio è scomodo quando capita di perdere per davvero la sim, ma forse è il momento di rivalutarlo vista la crescita di questo tipo di truffe». Il punto di partenza rimane in ogni caso il furto delle credenziali di home banking, che nella grande maggioranza dei casi avviene tramite il cosiddetto phishing: «Il caso classico è una mail che sembra provenire dalla nostra banca. All’interno, con tecniche di inganno differenti, ci viene chiesto di inserire le nostre credenziali, magari tramite il link a un sito che presenta la stessa interfaccia di quello della nostra banca, ma che in realtà è un falso». Inserendo il codice utente e la password, stiamo regalando le chiavi di accesso del nostro conto online. E questo rende pressoché impossibile indurre la banca a restituire il denaro. Mai aprire quei link, ovviamente. Altro consiglio, aggiornare il sistema operativo dei dispositivi cui cui operiamo: «Molti attacchi avvengono tramite l’installazione di malware sul pc, e questo spesso accade perché non abbiamo aggiornato il sistema operativo e i browser con cui navighiamo».Il primo pensiero, quando se ne sente parlare, è che a noi non capiterà mai. Eppure, con gli smartphone ormai diventati dei veri e propri terminali bancari, il rischio c’è. E per perdere i risparmi di una vita possono bastare poche ore. Lo scrive Stefano Galeotti sul “Fatto Quotidiano”, denunciando lo svuotamento improvviso dei conti correnti. Parla una delle vittime: «I soldi sono spariti tramite quattro bonifici, ordinati con causali fantasiose». E addio denaro: «Abbiamo provato a fare il richiamo delle operazioni, ma non è stato possibile». Il giorno dopo è scattata la denuncia alla polizia postale. Il verdetto: vittime di “sim swap”. È una tipologia di frode informatica articolata in vari passaggi, spiega Marcello La Bella, dirigente della polizia postale della Sicilia Orientale, che nel 2018 ha compiuto la prima operazione in Italia contro questo tipo di truffa, con 13 persone arrestate e un bottino totale di oltre 600.000 euro. «Una volta individuata la vittima si procede all’acquisizione delle credenziali di home banking tramite tecniche di hacking. Poi, utilizzando documenti falsi, si sostituisce la sim card della vittima e, attraverso lo stesso numero telefonico, si ottengono dalla banca le credenziali per operare sul conto corrente online».
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Magaldi: leader effimeri per false guerre, così perde l’Italia
Tra gli scontati vincitori delle regionali in Emilia ci sono le Sardine, che non chiedono nulla tranne una cosa: l’espulsione di Salvini. I ragazzi per cui Prodi fa il tifo vorrebbero la squalifica a vita del leader leghista, un animale politico da cartellino rosso: indegno, incivile, nazista e cannibale. L’interessato anche stavolta ci ha messo del suo per alimentare l’equivoco, scatenando una caccia alle streghe porta a porta, edizione 2020: il suo “dagli all’untore” (tunisino) gli avrà sicuramente alienato simpatie tra gli osservatori garantisti che alla Lega hanno guardato come a una possibile alternativa sistemica, contro le regole truccate dell’Ue che condannano tanti giovani italiani, Sardine in primis, a cercarsi un futuro all’estero. Comunque, tranquilli: come volevasi dimostrare, in Emilia non è successo niente. Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt, era stato il primo a spegnere gli entusiasmi salviniani per le regionali: era praticamente impossibile che qualche estraneo riuscisse a sfrattare il blocco di potere che regna sugli emiliani dal 1945. Se non altro, dice Magaldi, Salvini è riuscito a mettere il sale sulla coda a Bonaccini e compagni. Ma il tracollo parallelo dei 5 Stelle ricicla un vecchio film inguardabile: la finta sfida tra il sedicente centrosinistra e l’altrettanto immaginario centrodestra.Attenzione: il cosiddetto bipolarismo italiano (solo formale, mai sostanziale) ha fatto della famigerata Seconda Repubblica un posto dove si sta peggio, non si cresce più, dilaga la disoccupazione, le crisi industriali non hanno soluzione. E’ la cancrena dell’austerity Ue, imposta in modo subdolo del potere economico neoliberista attraverso le direttive della Commissione Europea e il rigore suicida nei conti pubblici, dopo la catastrofe nazionale delle privatizzazioni varate da Prodi e Draghi. Un sistema deprimente (che infatti ha prodotto solo recessione, più debito e più tasse) a cui non si sono mai opposti né Berlusconi né i suoi presunti oppositori, da Prodi a Gentiloni. Ora ci risiamo, con la santa alleanza contro il demonio Salvini, male assoluto della politica italiana e quindi degno erede del Cavaliere? Di questo passo le cose andranno sempre peggio, avverte Magaldi, in video-chat su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights”: l’Italia non può certo uscire dal tunnel con l’ennesima stagione di schermaglie-fuffa tra due schieramenti ben decisi, entrambi, a non cambiare proprio niente. Se Salvini vuole voltare pagina, che ci sta a fare col vecchio Silvio e con i cascami del tradizionalismo polveroso, tra gli anacronismi del “popolo della famiglia” e le ridicole crociate contro la cannabis?A Magaldi non piace nemmeno la predilezione salviniana per il sistema elettorale maggioritario, che oggi premierebbe la Lega come primo partito: meglio un sistema totalmente proporzionale, magari compensato dell’elezione diretta del presidente della Repubblica. Un sistema che dia voce a tutti, restituendo piena dignità a un Parlamento sempre più precario, con deputati e senatori non più tutelati completamente dall’immunità e in più falcidiati dall’incombente taglio dei seggi, che farebbe eleggere inevitabilmente solo i candidati più vicini ai leader, riducendo ulteriormente la dialettica democratica. A proposito: anche Salvini, dice Magaldi, rischia di soffrire della stessa sindrome “liquida” che ha colpito Di Maio e, prima ancora, Renzi. Successi-lampo, con numeri strabilianti: i 5 Stelle al 33% nel 2018, il Pd renziano addirittura al 41% nella precedente tornata delle europee. E poi? Il tonfo: oggi basta un attimo, e si cade. Ieri sembravi il padrone assoluto della scena, ma già domani sei ridotto all’elemosina elettorale, come Di Maio e colleghi, o a fare piccoli giochi di palazzo come l’ex Rottamatore fiorentino. La loro colpa? Troppe parole al vento: solo proclami altisonanti, tutto fumo e niente arrosto. Di Maio doveva “sconfiggere la poverità”, con le briciole del suo patetico reddito di cittadinanza. E Matteo Renzi, zerbino della Merkel e dei grandi privatizzatori, non aveva forse promesso di riscattare la sovranità economica del made in Italy?La verità, osserva Magaldi, è che gli italiani – almeno, quelli che chiedono di cambiare tutto – esprimono un voto essenzialmente di speranza. Prima Renzi, poi Di Maio e ora Salvini: cambiali in bianco e suffragi temporanei, concessi in modo condizionato. Inevitabile la delusione, in tempi rapidissimi: Renzi nella polvere, “asfaltato” dal referendum, e Di Maio ora in fuga dal politburo grillino. Salvini? Rischia anche lui, specie se – ridando vita al cadavere del centrodestra – si auto-condanna a non incidere in nulla, nella dialettica decisiva con i poteri che reggono l’Ue e massacrano abitualmente l’Italia. Come Renzi e Di Maio, anche Salvini ha essenzialmente abbaiato alla luna, chiedendo più deficit per finanziare il rilancio del paese, senza però ottenere nulla. Su questo, Magaldi ha le idee chiare: la governance Ue va sfidata in modo frontale, visto che l’Italia ha bisogno di investimenti immediati per 200 miliardi di euro, scomputabili dal debito. Il paese cade a pezzi, ha bisogno di infrastrutture strategiche e milioni di posti di lavoro. Il Movimento Roosevelt sogna la piena occupazione, sorretta da un intervento pubblico di tipo keynesiano. Persino Draghi, oggi, riconosce che i tagli sono l’anticamera del disastro. Sintetizza Magaldi: se tutti i cittadini, a prescindere dal loro reddito, percepissero 500 euro mensili (con l’obbligo di spenderli subito), l’iniezione di liquidità farebbe volare i consumi e il lavoro, ripagando poi abbondantemente, con le tasse, l’investimento iniziale.C’è qualcuno che oggi è in grado di fare discorsi del genere, a parte Magaldi? Forse – di nuovo – lo stesso Draghi: fino a ieri, massimo architetto della drammatica austerità europea, e ora invece pronto, a parole, a tornare sui suoi passi, aprendo addirittura alla Modern Money Theory, la spesa statale illimitata per rianimare l’economia inondandola di soldi creati dal nulla. Eresia pura, in un’Europa dove i grandi poteri privatistici controllano la stessa Bce, organizzando la scarsità artificiosa della moneta a scopo speculativo, facendo soffrire il 90% delle famiglie e delle aziende e impedendo agli Stati di recuperare la sovranità finanziaria che è indispensabile per governare davvero i paesi. Insegneremo agli italiani come votare, disse il commissario tedesco Günther Oettinger nel 2018, inviperito per lo squillante successo gialloverde. Gli fece eco Sergio Mattarella, bloccando la nomina di Paolo Savona all’economia, sgradito ai santuari europei del rigore: l’ultima parola – sostenne il capo dello Stato – spetta ai mercati finanziari, dunque non al cittadino-elettore che si illude di scegliersi democraticamente il proprio governo. Ancora un anno fa, il consenso al governo gialloverde superava il 60%: un record storico. Risultati? Zero, tranne la Quota 100 strappata da Salvini sulle pensioni. Poi il film ha proposto il Papeete e l’orrendo Conte-bis: il trasformismo sfacciato e traditore, prono ai diktat di Bruxelles. Ora siamo alle comiche finali, dice Magaldi, se qualcuno pensa davvero alla riedizione del grottesco: centrodestra e centrosinistra che fingono di litigare, ma di fatto obbediscono entrambi ai soliti nemici dell’Italia.Tra gli scontati vincitori delle regionali in Emilia ci sono le Sardine, che non chiedono nulla tranne una cosa: l’espulsione di Salvini. I ragazzi per cui Prodi fa il tifo vorrebbero la squalifica a vita del leader leghista, un animale politico da cartellino rosso: indegno, incivile, nazista e cannibale. L’interessato anche stavolta ci ha messo del suo per alimentare l’equivoco, scatenando una caccia alle streghe porta a porta, edizione 2020: il suo “dagli all’untore” (tunisino) gli avrà sicuramente alienato simpatie tra gli osservatori garantisti che alla Lega hanno guardato come a una possibile alternativa sistemica, contro le regole truccate dell’Ue che condannano tanti giovani italiani, Sardine in primis, a cercarsi un futuro all’estero. Comunque, tranquilli: come volevasi dimostrare, in Emilia non è successo niente. Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt, era stato il primo a spegnere gli entusiasmi salviniani per le regionali: era praticamente impossibile che qualche estraneo riuscisse a sfrattare il blocco di potere che regna sugli emiliani dal 1945. Se non altro, dice Magaldi, Salvini è riuscito a mettere il sale sulla coda a Bonaccini e compagni. Ma il tracollo parallelo dei 5 Stelle ricicla un vecchio film inguardabile: la finta sfida tra il sedicente centrosinistra e l’altrettanto immaginario centrodestra.
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Usa e Israele ricattano l’Italia, pavida e disonesta con l’Iran
Dilaga la disonestà intellettuale. Per avventura ho partecipato a una trasmissione televisiva dove un invitato e la conduttrice non sapevano niente di Iran e delle sanzioni imposte dagli Usa alla Repubblica islamica, distorcendo i fatti e la realtà. In onda si perde tempo a correggere errori marchiani di gente che per ignoranza o evidenti motivi ideologici – demonizzare l’Iran e sostenere Usa e Israele – non sa neppure la sequenza degli eventi. È la propaganda del nostro regime mediatico, asservito a Washington e a Israele, sostenuto dai cosiddetti sovranisti con la complicità di una sinistra ufficiale inesistente. Soprattutto adesso che l’Europa – con Gran Bretagna, Francia e Germania – contesta agli iraniani la violazione dell’accordo sul nucleare del 2015 in seguito alla ripresa dell’arricchimento dell’uranio che è seguita all’uccisione da parte di Trump del generale Qassem Soleimani. Riepiloghiamo i fatti. L’accordo, un trattato internazionale supervisionato dall’Onu, entra in vigore alla fine del 2015 e con molte difficoltà l’Iran rientra nel circuito degli scambi internazionali. In realtà neppure con Obama era facile: le banche occidentali erano costantemente bersaglio del Tesoro americano se aprivano linee di credito con Teheran.L’Italia che aveva 30 miliardi di euro di commesse con l’Iran dovette rinegoziare con il governo iraniano arrivando a un accordo per una linea di credito da 5 miliardi di euro, che doveva coprire le nostre esportazioni. Il governo Gentiloni aspettò la vigilia delle elezioni nel 2018 e non fece mai il decreto attuativo perché messo sotto pressione di Usa e Israele. Così abbiamo perso altri soldi e posti di lavoro. Nel 2018 Trump straccia l’accordo sul nucleare ma per un anno l’Iran non vìola nessuna delle regole del trattato e non arricchisce l’uranio. Il governo del moderato Hassan Rohani, tenendo a freno i falchi del regime, aspettava che l’Europa mettesse a punto un sistema, definito Instex, per l’aggiramento delle sanzioni. A questo sistema, voluto da Gran Bretagna, Francia e Germania, aderiscono oggi sei nazioni europee ma l’Italia non vi partecipa ancora. Ufficialmente perché lo sta studiando, in realtà in quanto ha subito nuove pressioni americane e israeliane, anche da parte dei sovranisti della Lega che al governo con i Cinquestelle sostenevano soprattutto Israele e non gli interessi nazionali. I Cinquestelle, prima ancora della rottura con la Lega, hanno adottato le stesse posizioni con Conte e Di Maio nonostante una parte del movimento fosse contrario.Il sistema Instex comunque non ha ancora funzionato e il governo iraniano si è così trovato strangolato da continue sanzioni: ecco perché Teheran, sotto attacco di Trump, ha ripreso l’arricchimento dell’uranio. Il presidente americano continua falsamente a dire di essere pronto a negoziare una nuova intesa con Teheran che comprenda anche i missili balistici, non solo il nucleare. Ma invece di incoraggiare il negoziato prima fa assassinare il vero numero 2 del regime poi impone altre sanzioni giugulatorie. Trump non vuole negoziare con Teheran ma strangolarla, e spingere se possibile verso un cambio di regime sfruttando le piazze e le laceranti divisioni interne. Senza naturalmente sapere bene chi mettere al posto degli ayatollah, magari aprendo altre voragini come è accaduto in Iraq o in Libia o come stava per accadere in Siria. È parso evidente che Trump in Medio Oriente ha a cuore soltanto le sorti di Israele e quelle dell’Arabia Saudita, il suo maggiore cliente di armi. Il prossimo G-20 a Riad sancirà la piena assoluzione del principe ereditario Mohammed bin Salman, mandante, anche secondo la Cia, dell’assassinio del giornalista Jamaal Kashoggi.In questo ultimo anno Trump ha riconosciuto l’annessione israeliana di Gerusalemme e del Golan e sarebbe pronto a farlo anche per la Cisgiordania: contro tutte le risoluzioni Onu. Trump odia i trattati multilaterali e la legalità internazionale: li considera un impedimento all’uso della forza. Gli europei devono stare bene attenti. Ora Trump bastona arabi e iraniani, poi toccherà anche a noi europei. Anzi ha già iniziato, praticamente sciogliendo la vecchia Nato e consentendo a un suo membro, la Turchia, di acquistare armi dalla Russia, di fare una strage di curdi siriani, i nostri maggiori alleati contro il terrorismo e l’Isis, e di tentare l’avventura libica con soldati e mercenari jihadisti. La Nato gli serve soltanto per mettere i soldati italiani ed europei al posto dei marines in Iraq se gli americani se ne dovessero andare o ridurre le truppe: carne da cannone per avere mano libera nei raid con i droni. Ma la cieca propaganda dei media italiani e in parte europei fa sì che andremo al macello senza lamentarci. Non come agnelli sacrificali di biblica memoria ma come asini felici di essere bastonati. Anzi, meno ancora degli asini, perché ogni tanto pure loro si ribellano e mollano quale calcione. E i media dietro, a tirare il carro della propaganda. Che stampa, bellezza!(Alberto Negri, “Sull’Iran dilaga la disonestà intellettuale”, dal “Manifesto” del 17 gennaio 2020; articolo ripreso da “Come Don Chisciotte”).Dilaga la disonestà intellettuale. Per avventura ho partecipato a una trasmissione televisiva dove un invitato e la conduttrice non sapevano niente di Iran e delle sanzioni imposte dagli Usa alla Repubblica islamica, distorcendo i fatti e la realtà. In onda si perde tempo a correggere errori marchiani di gente che per ignoranza o evidenti motivi ideologici – demonizzare l’Iran e sostenere Usa e Israele – non sa neppure la sequenza degli eventi. È la propaganda del nostro regime mediatico, asservito a Washington e a Israele, sostenuto dai cosiddetti sovranisti con la complicità di una sinistra ufficiale inesistente. Soprattutto adesso che l’Europa – con Gran Bretagna, Francia e Germania – contesta agli iraniani la violazione dell’accordo sul nucleare del 2015 in seguito alla ripresa dell’arricchimento dell’uranio che è seguita all’uccisione da parte di Trump del generale Qassem Soleimani. Riepiloghiamo i fatti. L’accordo, un trattato internazionale supervisionato dall’Onu, entra in vigore alla fine del 2015 e con molte difficoltà l’Iran rientra nel circuito degli scambi internazionali. In realtà neppure con Obama era facile: le banche occidentali erano costantemente bersaglio del Tesoro americano se aprivano linee di credito con Teheran.
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Di Maio e Grillo, al capolinea la grande farsa dei 5 Stelle
La notizia, in fondo, è che faccia notizia l’harakiri di Di Maio alla vigilia delle regionali emiliane e calabresi. Era il 27 maggio 2018: chiederemo l’impeachment per Mattarella, tuonava il cosiddetto capo politico dei 5 Stelle. Già l’indomani tornava sui suoi passi, preparandosi a salire a testa china al Quirinale, ingoiato in sole 24 ore il “niet” presidenziale sulla nomina strategica di Paolo Savona al dicastero dell’economia. Due anni prima, i 5 Stelle avevano tentato – a freddo, senza preavviso né spiegazioni – il clamoroso trasloco, a Strasburgo, nel gruppo europarlamentare dell’Alde, quello dei pasdaran ultra-euristi, amici di Mario Monti. L’abbaglio pentastellato si era già palesato in tutto il suo fulgore: un grandioso equivoco da 9 milioni di voti, in un’Italia stremata dalla finta alternanza tra berlusconiani e antiberlusconiani, tutti strettamente devoti alle direttive austeritarie del neoliberismo eurocratico e privatizzatore. Il ciclone Grillo si era abbattuto in modo spettacolare sulla palude italica, promettendo una rivoluzione nella governance. Ora Grillo (lo stesso che nel 2016 tentò di associare i pentastellati ai fanatici guardiani dell’euro) è l’uomo che ha imposto ai suoi sudditi l’alleanza sfacciata con il loro nemico storico, il Pd, il “partito del potere” contro cui si era gonfiato il consenso incautamente attribuito al MoVimento.L’eredità elettorale di Grillo è stata largamente acquisita da Matteo Salvini, che negli ultimi anni ha cavalcato l’onda contestataria dei 5 Stelle, facendo proprie molte delle parole d’ordine grilline. Esattamente come fino a ieri i pentastellati, Salvini – ora all’opposizione – può insistere nell’invocare un rovesciamento sostanziale della filosofia di governo, nel segno del recupero della sovranità italiana. E, proprio come i suoi ex sodali gialloverdi, nemmeno Salvini offre soluzioni praticabili, fondate su parole nette e su un disegno politico credibile, preciso e sostanziale. Non a caso, l’ex vicepremier leghista ha tirato a campare per un anno intero, insieme al suo socio grillino, senza nulla osare: il “governo del cambiamento”, infatti, non ha cambiato di una virgola le avvilenti condizioni della sudditanza italiana rispetto ai poteri forti che gestiscono privatisticamente l’Unione Europea, dentro il grande “frame” del neoliberismo universale dove lo Stato – ridotto in bolletta e ricattato dai “mercati” col giochino dello spread – viene neutralizzato come motore economico e ridotto al ruolo di spietato esattore. A differenza dei 5 Stelle, almeno Salvini si era impegnato sul fronte dell’alleggerimento fiscale: ma, proprio come i suoi ex compagni di viaggio, senza mai entrare davvero nel merito. Tante chiacchiere sulla Flat Tax di Armando Siri, ma mai una spiegazione su come trasformarla in realtà.In altre parole, il salvinismo barricadero edizione 2020, recitato comodamente dall’opposizione, ricorda in modo sinistro le roboanti promesse dei 5 Stelle alla vigilia del loro storico esordio al governo del paese. S’è visto come i grillini abbiano prontamente tradito tutti gli elettori, nel modo più sconcertante: Tap e Tav, vaccini, Ilva, armamenti, trivelle, euro e banche. Velo pietoso sullo sbandieratissimo reddito di cittadinanza, micro-elemosina vincolata a stringenti condizionalità. Inevitabile, peraltro, avendo evitato di affrontare il problema dei problemi: la liquidità a disposizione dello Stato per poter dispiegare vere politiche utili al paese, detassazioni e investimenti di lungo respiro. Sul Grande Nulla degli imbarazzanti 5 Stelle ha imperato solo e sempre il misterioso Grillo, giunto a umiliare Di Maio tentando di fargli credere di avere davvero il potere di decidere qualcosa. Il fatto che oggi Di Maio getti finalmente la spugna, aumentando ulteriormente il caos generale che regna tra i grillini, non dovrebbe avere la minima importanza per chi osserva lucidamente la politica italiana, i devastanti problemi del paese e l’assenza cosmica di soluzioni sul tappeto, da parte di tutti gli attori attualmente sulla scena.La notizia, in fondo, è che faccia notizia l’harakiri di Di Maio alla vigilia delle regionali emiliane e calabresi. Era il 27 maggio 2018: chiederemo l’impeachment per Mattarella, tuonava il cosiddetto capo politico dei 5 Stelle. Già l’indomani tornava sui suoi passi, preparandosi a salire a testa china al Quirinale, ingoiato in sole 24 ore il “niet” presidenziale sulla nomina strategica di Paolo Savona al dicastero dell’economia. Due anni prima, i 5 Stelle avevano tentato – a freddo, senza preavviso né spiegazioni – il clamoroso trasloco, a Strasburgo, nel gruppo europarlamentare dell’Alde, quello dei pasdaran ultra-euristi, amici di Mario Monti. L’abbaglio pentastellato si era già palesato in tutto il suo fulgore: un grandioso equivoco da 9 milioni di voti, in un’Italia stremata dalla finta alternanza tra berlusconiani e antiberlusconiani, tutti strettamente devoti alle direttive austeritarie del neoliberismo eurocratico e privatizzatore. Il ciclone Grillo si era abbattuto in modo spettacolare sulla palude italica, promettendo una rivoluzione nella governance. Ora Grillo (lo stesso che nel 2016 tentò di associare i pentastellati ai fanatici guardiani dell’euro) è l’uomo che ha imposto ai suoi sudditi l’alleanza sfacciata con il loro nemico storico, il Pd, il “partito del potere” contro cui si era gonfiato il consenso incautamente attribuito al MoVimento.
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Billi: Travaglio ha “normalizzato” i 5 Stelle, ora globalisti
Il “Fatto” ci prova da mesi. Da anni, forse, e non ce ne eravamo accorti. Il giornale a torto considerato “fiancheggiatore del MoVimento”, in realtà ha inoculato nel tempo e a piccole dosi il suo veleno girotondino. Già, perché altro che Sardine: il girotondinismo non è mai morto. Quel vecchio sogno morettiano di cambiare il Pd perché “con questi leader non vinceremo mai”, rinacque a nuova vita con l’apparizione sulla scena politica del M5S. Molti, moltissimi dem videro nel Movimento l’incarnazione del Pd tanto auspicata: la “base”, i giovani, lo spirito ribelle, le tematiche ambientali e del lavoro, persino il centralismo democratico casaleggino tanto criticato aveva però quel profumo leninista capace di destare più di una nostalgia. Insomma, un’estetica da Pci, ma innestando quei contenuti globalisti tanto cari ai dem di tutto il mondo: che dire, proprio un sogno. Così, mentre i media tutti hanno picconato per anni il M5S concorrente dem, il “Fatto” ha scelto una strada più astuta: trasformarlo nella reincarnazione. Il M5S, appunto, non se ne è accorto. Soprattutto, in moltissimi non si sono accorti che nel frattempo è cambiato il mondo: dalla Brexit a Trump ai Gilet Gialli, lo scontro con la pressione delle idee globaliste sull’umanità è ormai aperto.Qualche illuso continua ad aggrapparsi all’idea del “torniamo al M5S delle origini”: ebbene, questo è impossibile. Il M5S delle origini rappresentava una sintesi di posizioni possibile in tempo di pace, a globalismo imperante. Questo momento storico, piaccia o no, impone invece di schierarsi: pro, o contro. Succede ovunque, in tutti i paesi, in tutti i continenti, e il M5S non può pretendere di starsene fuori dalla storia per rimanere aggrappato a un purismo ultras partes che avrà sì rappresentato in passato un successo politico, ma che ormai non è più quello che gli stessi elettori chiedono. Per questo perde voti (#stacce, direbbero su Twitter). Il dibattito interno del M5S è completamente fuori sintonia: dito e luna, in due parole. Questo è ciò che succede quando ci si fa orientare la discussione dai giornali, d’altronde. Il “Fatto”, in primis, sta schiacciando l’acceleratore: mi spiace per Luca De Carolis, persona perbene e giornalista serio (uno dei pochi), ma il suo “scoop” su Di Maio contribuirà a dare il colpo di grazia al M5S e normalizzarlo nella direzione voluta dal potere, ovvero l’allineamento al paradigma dominante.Ma soprattutto, lo scopo di tutta l’operazione in corso da mesi è scongiurare il coagularsi di una formazione antiglobalista in Italia: quindi distruzione dell’anima M5S statalista, pro-lavoratori, contro l’arroganza Ue, della finanza, delle banche, le ingerenze e i ricatti delle potenze straniere, via insomma quell’anima ribelle che non avrebbe potuto fare altro che appunto ribellarsi alla prepotenza di un potere che, messo in discussione ovunque, vuole ora imporsi in modo più aggressivo che mai. Tutto il panorama politico italiano va normalizzato, e la scheggia imprevedibile messa sotto controllo (così come è ancora sotto controllo la Lega, tante volte qualcuno si illuda). Non si possono correre rischi di Gilet Gialli nelle strade o peggio, che spunti qualche leader alla Johnson in Parlamento… non che se ne intravedano all’orizzonte del M5S, ma non si sa mai. Di Maio, seppur moderatissimo (ahimé, e questo è il suo errore) dovrà essere asportato in quanto rappresentante del vecchio M5S incontrollabile, e sostituito con qualche figura dal carisma zingarettiano che assicuri la transizione verso la soporifera reincarnazione piddina. Conte il liquidatore farà il resto, come sta peraltro già attivamente facendo.(Debora Billi, “La normalizzazione globalista del M5S”, dalla pagina Facebook della Billi dell’11 gennaio 2020).Il “Fatto” ci prova da mesi. Da anni, forse, e non ce ne eravamo accorti. Il giornale a torto considerato “fiancheggiatore del MoVimento”, in realtà ha inoculato nel tempo e a piccole dosi il suo veleno girotondino. Già, perché altro che Sardine: il girotondinismo non è mai morto. Quel vecchio sogno morettiano di cambiare il Pd perché “con questi leader non vinceremo mai”, rinacque a nuova vita con l’apparizione sulla scena politica del M5S. Molti, moltissimi dem videro nel Movimento l’incarnazione del Pd tanto auspicata: la “base”, i giovani, lo spirito ribelle, le tematiche ambientali e del lavoro, persino il centralismo democratico casaleggino tanto criticato aveva però quel profumo leninista capace di destare più di una nostalgia. Insomma, un’estetica da Pci, ma innestando quei contenuti globalisti tanto cari ai dem di tutto il mondo: che dire, proprio un sogno. Così, mentre i media tutti hanno picconato per anni il M5S concorrente dem, il “Fatto” ha scelto una strada più astuta: trasformarlo nella reincarnazione. Il M5S, appunto, non se ne è accorto. Soprattutto, in moltissimi non si sono accorti che nel frattempo è cambiato il mondo: dalla Brexit a Trump ai Gilet Gialli, lo scontro con la pressione delle idee globaliste sull’umanità è ormai aperto.