Archivio del Tag ‘aziende’
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Orso: rabbia e odio esploderanno, al rogo servi e traditori
Più passa il tempo, più le osservazioni della realtà socio-politica italiana ed europea mediterranea mi spingono a trarre una sola conclusione: ci sarà una Rivoluzione, forse un dì ma non ora, e sarà inevitabilmente sanguinosa, con un tasso altissimo di violenza per regolare conti, sociali e politici, rimasti troppo a lungo in sospeso. Non so come e non so chi la farà, quella benedetta Rivoluzione, ma ci saranno grandi e catartici spargimenti di sangue, perché le abbiette falangi del collaborazionismo neoliberista avranno imperversato per interi lustri incontrastate, vessando e addirittura torturando le popolazioni. Rabbia e odio da troppo covano sotto le ceneri, senza trovare uno sfogo, mescolate a un senso diffuso di abbandono a se stessi, di concreta impotenza politica, d’impossibilità di determinare il proprio futuro. C’è la schizofrenia, suscitata ad arte dal sistema, di una realtà “reale” completamente divergente da quella virtuale dipinta dai media. Ci sono prigioni dai muri altissimi, conseguenza del ricatto economico, della paura di “fallire” individualmente e degli stili di vita truffaldini imposti in un habitat neocapitalistico.Il darwinismo sociale più feroce fa da contraltare ai risibili e vuoti diritti liberaldemocratici, mantenuti in vita propagandisticamente. La competizione pleistocenica fra dominati, per la pagnotta, che il dominio del mercato ha scatenato non porta alla civiltà, ma al suo esatto contrario. Darwinismo sociale senza welfare e competizione esasperata per una “pagnotta” sempre più misera sono il destino delle classi dominate, come in tanti, pur confusamente, dovrebbero aver intuito. Le “aspettative decrescenti” si sostituiscono prepotentemente, se permane in chi giudica un po’ di senso della realtà, a quelle crescenti di fine novecento, mentre procede il grande travaso di risorse dal lavoro (e dal piccolo capitale produttivo) al grande capitale finanziario. Nel nostro lembo d’Occidente, l’euro ha proprio questa specifica funzione di esproprio e impoverimento massivo. Grecia, Portogallo e persino Italia non dovrebbero più esistere, secondo la classe globale dominante che manovra la Troika, perché inutili alla creazione del valore finanziaria, azionaria e borsistica.Lo smottamento sociale continua, “ma il Re del Mondo ci tiene prigioniero il cuore” [“Il Re del Mondo”, Franco Battiato]. I mendicanti di Baudelaire, nel ventre della Parigi ottocentesca, avevano migliori prospettive dei nostri precari alla canna del gas. Distrutto il futuro e ottenebrate le menti, il neocapitalismo finanziario gestisce attraverso il mercato la politica, l’alimentazione, la biologia, la chimica, le nanotecnologie, la balistica, la teologia. Una superfetazione finanziaria, che esplode periodicamente in bolle e travolge i confini e le resistenze, rischia di annichilire il pianeta. La trasformazione dell’uomo è in pieno corso, ed è una diminuzione senza scampo. Magari fosse soltanto il passaggio da consumatore/produttore a precario/escluso, o la discesa in una nuova classe inferiore, nella parte più bassa della piramide sociale. “Sotto il mare sta cambiando la mia struttura e il mio corpo è sempre più uguale ai pesci. I miei capelli diventano alghe” [“Plancton”, Franco Battiato].E’ L’Italia che sconta la peggior manipolazione culturale-antropologica delle neoplebi precarie, sorta di futuri “schiavi autosussistenti” (che dovranno badare da soli alla propria sopravvivenza, pur essendo schiavi, senza alcun intervento del padrone) costretti a lavorare o semplicemente a campare con 400 euro il mese, o anche di meno. I segnali sono evidenti, perché è qui che si afferma senza contrasti la sinistra neoliberista più forte d’Europa (piddì), al soldo di Goldman Sachs e di Soros, non ci sono sommosse sociali, disordini di piazza, movimenti extraparlamentari apertamente contro, attivi e inquieti. C’è soltanto il nulla della dominazione neocapitalistica, condito con uno dei più alti tassi di corruzione del mondo (e le due cose sono collegate). Sarà l’Italia il banco di prova importante, in Occidente, del trionfo neocapitalista, perché non basterà la trasformazione in semi-Stato, espropriato di qualsivoglia sovranità e retto da infami collaborazionisti subpolitici (piddì). Si arriverà allo stadio finale, attraverso il commissariamento definitivo a cura della Troika e un esecutivo “ponte”, nominato ed esplicitamente straniero. Preludio alla dissoluzione finale delle istituzioni e al dominio dei “mercati & investitori”, esercitato in loro nome e per loro conto dagli organi sopranazionali della mondializzazione.I collaborazionisti subpolitici serviranno ancora all’inizio dello stadio finale, per ratificare in Parlamento le decisioni prese dalle élite. Questo sarà il misero ruolo, prima della sua scomparsa, della “sinistra più forte d’Europa” (piddì). Non “Romperemo l’asfalto con dei giardini colorati” [“Paranoia”, Franco Battiato], perché il riscatto sarà duro e difficile, soprattutto se il “risveglio” avverrà fuori tempo massimo. Dopo lustri d’inerzia della popolazione, torturata dai servi del grande capitale finanziario (sinistra neoliberista, piddì) e ingannata da gruppi parlamentari d’opposizione politicamente corretta (cinque stelle), dopo la latitanza di nuove élite rivoluzionarie disposte a rischiare per scardinare il sistema, la Rivoluzione in extremis (in punto di morte, letteralmente) se ci sarà non potrà che essere violentissima, costellata di roghi e di stragi di collaborazionisti, catartica come non mai, ma sommamente incerta negli esiti. Le masse straccione mosse dalla rabbia non saranno i mugik di Lenin, ma ci assomiglieranno un po’, complice la fame (quella vera) che farà capolino fra un po’, nell’Italia che si avvicinerà alla Grecia.Saranno, costoro, più feroci dei contadini poveri dell’Ottobre Rosso, nel remoto 1917, perché in una sola generazione avranno perso troppo – lavoro, reddito, futuro, dignità e diritti, cose che i contadini russi del ’17 non avevano e non si sognavano neppure. Non mi azzardo a prevedere quanti anni ci vorranno ancora (forse un lustro?) perché la corda sia ben tesa, tanto da rompersi. Non so quali gruppi e quali forze politico-sociali guideranno le masse inferocite, e con quali programmi alternativi (keynesiano dirigista-assistenziale, neocomunista?). Di certo non saranno quelli che vediamo oggi, alla guida di opposizioni finte e vigliacche – Landini, Civati, Vendola, Fassina, Cuperlo, in una la “sinistra radicale” – semplicemente inutili – il cinque stelle, Di Maio, Di Battista – o deboli perché prigioniere della liberaldemocrazia – nel nostro caso Salvini. Forse stanno aspettando, nell’ombra, ancora inconsapevoli del ruolo che affiderà loro la storia, o forse lasceranno l’opposizione debole, ingabbiata dal sistema, per seguire altre strade, più radicali e cruente. Dalle opposizioni finte e vigliacche e da quelle inutili, invece, non dovremo aspettarci niente di buono. Andranno rapidamente verso l’estinzione.(Eugenio Orso, “Una rivoluzione sanguinosa”, da “Pauper Class” del 7 giugno 2015).Più passa il tempo, più le osservazioni della realtà socio-politica italiana ed europea mediterranea mi spingono a trarre una sola conclusione: ci sarà una Rivoluzione, forse un dì ma non ora, e sarà inevitabilmente sanguinosa, con un tasso altissimo di violenza per regolare conti, sociali e politici, rimasti troppo a lungo in sospeso. Non so come e non so chi la farà, quella benedetta Rivoluzione, ma ci saranno grandi e catartici spargimenti di sangue, perché le abbiette falangi del collaborazionismo neoliberista avranno imperversato per interi lustri incontrastate, vessando e addirittura torturando le popolazioni. Rabbia e odio da troppo covano sotto le ceneri, senza trovare uno sfogo, mescolate a un senso diffuso di abbandono a se stessi, di concreta impotenza politica, d’impossibilità di determinare il proprio futuro. C’è la schizofrenia, suscitata ad arte dal sistema, di una realtà “reale” completamente divergente da quella virtuale dipinta dai media. Ci sono prigioni dai muri altissimi, conseguenza del ricatto economico, della paura di “fallire” individualmente e degli stili di vita truffaldini imposti in un habitat neocapitalistico.
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Lavoratori sotto minaccia, eccoci nel fascismo aziendale
Il quotidiano “Il Sole 24 Ore” anticipa i contenuti del decreto sul demansionamento, che il governo si prepara a varare. «Non è una notizia – afferma Giorgio Cremaschi – perché è oramai scontato che gli esperti ministeriali di Renzi e Poletti operino sotto la dettatura dei tecnici della Confindustria», il cui quotidiano «ci comunica la gioia delle imprese e dei loro uffici legali per il fatto di poter finalmente fare tutto ciò che era proibito dall’articolo 13 dello Statuto dei Lavoratori, senza dover incorrere in costose e spesso perdenti azioni legali». Un regalo ai profitti d’impresa, ai danni dei diritti e del salario dei lavoratori. Di fatto, «una sanatoria per tutti gli abusi ai danni della professionalità delle persone», e cioè «la licenza di mobbizzare e ricattare». Questa, per Cremaschi, «l’infamia di un provvedimento che realizza un altro sogno della Confindustria e produrrà incubi per chi deve subire il potere dell’impresa», amche perché ora «si potrà degradare il lavoratore per ragioni tecniche e organizzative, cioè quando al padrone serve».In teoria, scrive Cremaschi su “Micromega”, il salario dovrebbe rimanere lo stesso, ma senza le indennità. E un operaio montatore che fa i turni o va in trasferta potrà essere degradato a facchino nei magazzini e si vedrà ridotta la paga del 30%. I lavoratori licenziati per ragioni economiche? Potranno conciliare con l’azienda se accettano di riprendere a lavorare a mansione inferiore. «Questo è proprio il corollario che mancava al contratto senza articolo 18. Una misura che farà risparmiare alle imprese sull’indennità di licenziamento, rispondendo chiaramente ad un calcolo preciso degli uffici studi confindustriali». Come si sa, aggiunge Cremaschi, gli incentivi di 8.000 euro all’anno – che sono alla base delle assunzioni, secondo il Jobs Act – presto finiranno. «A quel punto le imprese si troveranno lavoratori licenziabili sì, ma pagando una indennità. Se però quei lavoratori verranno licenziati e poi riassunti con il demansionamento, l’indennità la pagherà il lavoratore con la qualifica più bassa, e per l’impresa sarà come se gli incentivi continuassero».Infine, conclude Cremaschi, se il padrone può degradare quando vuole, il lavoratore non può rivendicare la promozione. Con l’articolo 13 dello Statuto, se si operava per 3 mesi in mansioni superiori si aveva diritto alla qualifica corrispondente. Con il demansionamento, invece, bisognerà aspettare il doppio del tempo, salvo accordi peggiorativi nei contratti. «Insomma, dopo il diritto alla tutela contro il licenziamento ingiusto salta anche quello alla qualifica, e in ogni azienda le direzioni potranno fare di tutto ai propri sottoposti. E questo è il risultato più importante per i padroni: la licenza di mobbing. Le minacce di licenziamento o degradazione in molti caso saranno sufficienti per imporre di lavorare di più e peggio senza chiedere nulla. Il sadismo di certi capi e capetti avrà piena possibilità di dispiegarsi». Inutile girarci attorno: «Quando si dice che quello di Renzi e del suo sponsor Marchionne è fascismo, per ora aziendale, non si esagera: si descrive semplicemente quello che si sta giuridicamente realizzando misura dopo misura con il Jobs Act».Il quotidiano “Il Sole 24 Ore” anticipa i contenuti del decreto sul demansionamento, che il governo si prepara a varare. «Non è una notizia – afferma Giorgio Cremaschi – perché è oramai scontato che gli esperti ministeriali di Renzi e Poletti operino sotto la dettatura dei tecnici della Confindustria», il cui quotidiano «ci comunica la gioia delle imprese e dei loro uffici legali per il fatto di poter finalmente fare tutto ciò che era proibito dall’articolo 13 dello Statuto dei Lavoratori, senza dover incorrere in costose e spesso perdenti azioni legali». Un regalo ai profitti d’impresa, ai danni dei diritti e del salario dei lavoratori. Di fatto, «una sanatoria per tutti gli abusi ai danni della professionalità delle persone», e cioè «la licenza di mobbizzare e ricattare». Questa, per Cremaschi, «l’infamia di un provvedimento che realizza un altro sogno della Confindustria e produrrà incubi per chi deve subire il potere dell’impresa», amche perché ora «si potrà degradare il lavoratore per ragioni tecniche e organizzative, cioè quando al padrone serve».
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L’Imperatore Gross, 1.700 miliardi: sta arrivando la fine
Forse meglio ascoltarlo, l’Imperatore dell’Impero del Male. In fondo, ed è poca consolazione per te ragazzo, ragazza, anche lui ha un Padrone, il Padrone ultimo di tutto, anche di quella leggenda buffona di Dio con la barbetta bianca. Sì, l’Imperatore del Male ha anche lui un Padrone. La Morte. E lo sa. Ecco allora che Bill Gross, l’Imperatore che valeva 1.700 miliardi di dollari (il Pil di tutta l’Italia), fa una pausa. Vale la pena ascoltarlo, fidatevi. Lui ha sentito a 70 anni appena compiuti, e per la prima volta, la voce del Padrone. Mi chiedo, anche se non ho la risposta, quale sia la differenza fra il sentire il richiamo del Padrone, che è una folata sulla nuca con questo suono… “Io distruggerò te e tutto di te…”. Sentirlo, dicevo, in una cucina di un condominio di Gorizia o in un ufficio al 120esimo piano di un grattacielo di Manhattan mentre siedi su 1.700 miliardi di dollari. Curiosa ’sta cosa, eh? Credo che sia peggio la seconda. Cioè la realizzazione dell’Imperatore da 1.700 miliardi di dollari che sbatterli in faccia alla Morte, o che protestare alla Morte i confini immani del suo Impero, vale esattamente quanto sbattergli in faccia la pensione minima della 70enne di Gorizia. Non deve essergli facile.Ma Bill Gross ha ora “un senso della fine” e anche piuttosto forte. Questo lo ha profondamente scosso, lo si capisce dalle righe che ha scritto, e lo ha portato a estendere la nuova saggezza acquisita anche al suo Impero, l’Economia. Non v’è dubbio che quando il richiamo alla finitezza di tutto arriva dal Padrone dell’Universo con la falce, il suo potere sia tale da gelare le ossa e con esse l’euforia d’immortalità di questi Imperatori. Allora il Supremo fra i supremi della speculazione finanziaria ha guardato, dopo quel richiamo, con occhi molto diversi il formicolio impazzito del suo Impero di schermi in Borsa, di High Frequency Trading, di tempeste termonucleari di denari infiniti che passano sulla testa delle masse insignificanti di noi semplici senza che noi ne siamo toccati, ma solo pisciati in testa. Li ha guardati Bill Gross, e il suo “senso della fine” gli è apparso anche lì.Più che incredibile è però il fatto che ora, dopo l’immortale “il mio regno per un cavallo” di Riccardo III (Shakespeare), Bill Gross veda la fine del Potere, del Vero Potere in Terra. «La morte mi spaventa, e mi causa quello che lo scrittore inglese Julian Barnes chiama ‘una grande agitazione’… Finirò là da dove sono venuto, dimenticato, sconosciuto e incosciente, dopo miliardi di future eternità… Mi terrorizza il morire, quelle ore intollerabili stirate all’infinito dalla medicina moderna, che accompagneranno la maggioranza di noi su quei sentieri pieni di tumori, ictus, disabilità, vecchiaia…». «Ho un senso della fine. Lo stesso senso della fine che sta assillando da qualche tempo la Grande Carica dei tori finanziari iniziata nel 1981… In quegli anni con i Titoli di Stato che ci davano interessi del 14,5%, le Borse impazzirono, e la ricchezza finanziaria venne moltiplicata come mai prima nella Storia… Ma come descrive Barnes per le vite umane, lo stesso è accaduto alle economie finanziarie degli ultimi 30 anni: accumulo, responsabilità, agitazione, e infine una catastrofica agonia. Credo che la nostra super-orbita d’investimenti sia giunta alla fine».«Ma per l’economia globale che continua a gonfiare bolle finanziarie, invece che concentrarsi sui problemi strutturali (Keynes? nda), il percorso di salvezza sembra bloccato… Se sono stati inutili i trilioni di dollari di benzina monetaria pompata dalla nostra Banca Centrale Usa (come in Giappone), come possiamo aspettarci che le stesse mosse funzionino oggi nell’Europa di Draghi? Con crescite a zero, tassi d’interessi per i risparmiatori portati da Draghi a zero o addirittura a meno 0, e con crisi di indebitamenti montanti oltre immaginazione, il ‘senso della fine’ è ormai un cappio che stringe tutti i Mercati. Vi sarà un momento in cui qualsiasi risparmiatore si rifiuterà di scambiare i suoi euro contanti con Titoli di Stato, e tutto si seccherà al sole… Ho questo senso della fine del gioco della finanza, e come con la morte, solo la data è incerta. Sento un grande senso di agitazione, angoscia. E dovreste sentirlo anche voi».Bill Gross, l’uomo da 1.700 miliardi di dollari, parla anche a voi italiani, e vi predice – guarda che incredibile coincidenza – quello che intuì Marx, seppur con termini necessariamente diversi. Ma dove siete, voi italiani? Vi rispondo: a pascolare nell’erbetta del campo, pecore a capi chini d’imprenditori, operai, impiegate e studenti che vedono solo l’orizzonte dei 50 metri davanti, Renzi, Grillo, l’Expo, la Tv e l’elemosina delle bugie di Padoan. E il Padrone con la falce se la ride, di Gross, ma soprattutto di voi, che manco vi eravate accorti di essere vivi, né di cosa vi stava finendo prima di finire. Almeno lui, Mr. 1.700 miliardi di dollari, lo sguardo l’ha sempre avuto avanti. L’Imperatore del Male è meglio di voi, italiani. Sapete?(Paolo Barnard, “Ho il semso della fine, dice l’uomo che valeva 1.700 miliardi di dollari. E tu che hai 21 anni ce l’hai, quel senso?”, dal blog di Barnard del 21 maggio 2015).Forse meglio ascoltarlo, l’Imperatore dell’Impero del Male. In fondo, ed è poca consolazione per te ragazzo, ragazza, anche lui ha un Padrone, il Padrone ultimo di tutto, anche di quella leggenda buffona di Dio con la barbetta bianca. Sì, l’Imperatore del Male ha anche lui un Padrone. La Morte. E lo sa. Ecco allora che Bill Gross, l’Imperatore che valeva 1.700 miliardi di dollari (il Pil di tutta l’Italia), fa una pausa. Vale la pena ascoltarlo, fidatevi. Lui ha sentito a 70 anni appena compiuti, e per la prima volta, la voce del Padrone. Mi chiedo, anche se non ho la risposta, quale sia la differenza fra il sentire il richiamo del Padrone, che è una folata sulla nuca con questo suono… “Io distruggerò te e tutto di te…”. Sentirlo, dicevo, in una cucina di un condominio di Gorizia o in un ufficio al 120esimo piano di un grattacielo di Manhattan mentre siedi su 1.700 miliardi di dollari. Curiosa ’sta cosa, eh? Credo che sia peggio la seconda. Cioè la realizzazione dell’Imperatore da 1.700 miliardi di dollari che sbatterli in faccia alla Morte, o che protestare alla Morte i confini immani del suo Impero, vale esattamente quanto sbattergli in faccia la pensione minima della 70enne di Gorizia. Non deve essergli facile.
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Votate chiunque tranne il Pd, vero nemico storico dell’Italia
Probabilmente chi simpatizza per il Pd, una volta letto il titolo, non leggerà il pezzo, indignato. Ma farebbe molto male, perché la lettura potrebbe risultargli utile per capire il clima con il quale il Pd (ma forse il “Partito della Nazione”) dovrà misurarsi sempre più nei prossimi anni e perché. Comunque, fate pure come vi pare, sono abituato a dire quello che penso senza giri di parole. E allora, perché sostengo che il Pd sia il nemico peggiore? Per tre ragioni fondamentali: la politica economica, la politica sociale, la democrazia e la corruzione. Politica economica: il Pd, sin dal suo appoggio al governo Monti di infelice memoria, poi con il governo Letta e ora con il governo Renzi, sta perseguendo una politica fiscale che sarebbe demenziale, se non fosse deliberatamente finalizzata alla svendita del paese. Le aziende grandi e piccole soffocano e muoiono sotto il peso del prelievo fiscale e dei tassi giugulatori delle banche, l’occupazione si assesta a livello drammatici e, pur se di poco, peggiora costantemente, incurante della cosmesi dei conti fatta dal governo.Il Pd è il partito del capitale finanziario straniero che deve liquidare il patrimonio immobiliare degli italiani, per poi fare ugualmente fallimento. E’ il partito che ha svenduto Bankitalia e si appresta a svendere i pezzi nobili di Eni e Finmeccanica. L’Italia è, per colpa del Pd, terreno di caccia dei capitali francesi, americani, cinesi, quatarioti ecc. Peggio non potrebbe fare. La politica sociale non ha bisogno di commenti: il Jobs Act e la recente riforma della scuola fanno quello che la destra berlusconiana non osava neppure immaginare. La democrazia: il Pd – e prima di lui il Pds e i Ds – da venti anni guida l’attacco alla Costituzione, liquidando prima di tutto la legge elettorale proporzionale, che ne era l’architrave, poi intaccandone più pezzi, ora con un disegno organico di sistema costituzionale da repubblica del centro America. Il Partito si è conseguentemente evoluto in “partito del leader”, avendo trovato in Renzi il volenteroso Caudillo.Nel campo della giustizia ha osato anche più di Berlusconi, con una politica punitiva dei magistrati, finalizzata non ad un miglioramento della macchina giudiziaria del nostro paese ma, al contrario ad un suo peggioramento e alla subordinazione del potere giudiziario all’esecutivo. La corruzione: per anni il Pci-Pds-Ds-Pd ha goduto di una sorta di rendita di posizione di “partito della questione morale” che lo ha messo al riparo dalle ondate di protesta e dalle inchieste di una magistratura amica, troppo amica. Il risultato è stato che, al confortevole riparo di questo scudo è crescita una classe politica di lestofanti peggiore di quella del Pdl di triste memoria. Mose, Expo, Mafia Capitale, Cooperative: tutti i maggiori casi più recenti di corruzione hanno visto gli uomini del Pd in prima fila e talvolta esclusivi attori. Ora piovono avvisi di garanzia, ma in troppi fanno ancora finta di niente. Possiamo continuare così?C’è poi un motivo in più, di ordine per così dire “estetico” che mi induce a guardate la Pd come al peggiore di tutti i mali: che la destra faccia il mestiere della destra è giusto che sia così, non mi indigno certo se Salvini fa certe sparate sugli immigrati, sono un suo avversario politico dichiarato e combatto le sue deliranti proposte, allo stesso modo in cui riconosco in Berlusconi un aperto avversario da contrastare senza incertezze, ma il Pd è peggiore perché non è meno di destra degli altri, anzi lo è di più, ma si ammanta di un falso sembiante di sinistra per abbindolare quei babbei che ancora ci credono e lo votano, pensando di sostenere la reliquia del Pci. Svelare il trucco e spezzare l’imbroglio diventa una operazione di pulizia morale, prima ancora che politica. Tutto ciò premesso – e aspettando di essere contestato nel merito delle accuse che muovo al partito di Renzi – non vi sembra che sarebbe molto salutare per il paese un voto che segni una inversione di tendenza, con un iniziale calo elettorale del Pd? Qualcosa che lo avvii alla sconfitta nelle prossime politiche?Per anni abbiamo vissuto sotto l’eterno ricatto del “se-no-vince-la-destra”. Il risultato è stata la fine della sinistra. Non vi sembra l’ora di rigettare il ricatto e colpire la destra peggiore? Io, come si sa, voto M5S: non ve la sentite? Va bene, non votate M5S, votate Sel, ma, se non siete di sinistra, votate Forza Italia (tanto siamo alla fine) e persino Salvini, Fratelli d’Italia (tanto non vanno al di là di una certa soglia e, comunque, siamo ad elezioni amministrative) o chi vi pare (dipende da quanto sono orrendi i vostri gusti). Arrivo a dire persino Alfano o Sc: è un voto perfettamente inutile, ma è innocuo e comunque sono voti sottratti al Pd. E magari, se proprio non sapete chi possa essere il “meno peggio”, disperdete il voto scegliendo la classica lista del fiasco (evitate però cose come Forza Nuova o Casa Pound: non esageriamo!). Tutto, ma puniamo il Pd. E’ probabile che il lettore del Pd non sia arrivato sino a questo punto dell’articolo, vinto dal mal di stomaco: pazienza, come dire: “ce ne faremo una ragione”. Ma agli altri, a chi sente di poter condividere questo punto di vista, chiedo una cosa: segnalate il pezzo agli amici per mail o nei social, fatelo vostro e riprendetene le argomentazioni, non mi interessa neppure essere citato, ma iniziamo insieme una campagna virale contro il Pd.(Aldo Giannuli, “Perché il nemico da battere è il Pd”, dal blog di Giannuli del 10 maggio 2015).Probabilmente chi simpatizza per il Pd, una volta letto il titolo, non leggerà il pezzo, indignato. Ma farebbe molto male, perché la lettura potrebbe risultargli utile per capire il clima con il quale il Pd (ma forse il “Partito della Nazione”) dovrà misurarsi sempre più nei prossimi anni e perché. Comunque, fate pure come vi pare, sono abituato a dire quello che penso senza giri di parole. E allora, perché sostengo che il Pd sia il nemico peggiore? Per tre ragioni fondamentali: la politica economica, la politica sociale, la democrazia e la corruzione. Politica economica: il Pd, sin dal suo appoggio al governo Monti di infelice memoria, poi con il governo Letta e ora con il governo Renzi, sta perseguendo una politica fiscale che sarebbe demenziale, se non fosse deliberatamente finalizzata alla svendita del paese. Le aziende grandi e piccole soffocano e muoiono sotto il peso del prelievo fiscale e dei tassi giugulatori delle banche, l’occupazione si assesta a livello drammatici e, pur se di poco, peggiora costantemente, incurante della cosmesi dei conti fatta dal governo.
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Maastricht? Non ci risulta: la rovina dell’Italia siamo noi
L’Italia sprofonda in una crisi senza uscita? Tutta colpa nostra. Siamo pigri, ignoranti, poco innovativi e anche disonesti, vista l’elevata evasione fiscale. Per non parlare del debito pubblico, troppo elevato rispetto al Pil. Nonostante le analisi di prestigiosi economisti, ormai diventate un coro di fronte allo sfacelo planetario dell’Ue e dell’Eurozona, resta ben viva sui media la voce del mainstream, secondo cui il debito sovrano è un problema, anziché un insostituibile motore di sviluppo. Visione alla quale non si sottraggono osservatori come Guglielmo Forges Davanzati, per i quali, semplicemente, l’Italia ha perso il passo già negli anni ‘90. Il male oscuro? Non il Trattato di Maastricht, non lo storico divorzio fra Tesoro e Bankitalia con la “privatizzazione” del debito, consegnato alla speculazione finanziaria internazionale, ma la mancanza di adeguate politiche industriali per consentire al made in Italy di continuare a competere col resto del mondo.I governi che si sono succeduti a partire dagli anni ottanta, scrive Davanzati su “Micromega”, hanno rinunciato ad attuare politiche industriali, confidando nella presunta “vitalità” della nostra imprenditoria, fidando nella filosofia del “piccolo è bello”. La costante riduzione della domanda interna, aggiunge l’analista, è derivata non solo dalla riduzione di consumi e investimenti privati, «ma soprattutto da riduzioni della spesa pubblica e continui aumenti della pressione fiscale». Chi e perché ha indotto quelle politiche? Davanzati non lo spiega, preferendo concentrarsi sul loro esito disastroso: i tagli alla spesa hanno indebolito il sistema e il declino della domanda interna ha ridotto i mercati di sbocco, mettendo in crisi la maggioranza delle aziende (medio-piccole), fortemente dipendenti dal credito bancario. Poi, la crisi dei mutui subprime negli Usa è rimbalzata nella cosiddetta crisi dei debiti sovrani nell’Eurozona, con caduta della domanda globale, riduzioni dell’export, austerity, esplosione paurosa della disoccupazione.Unica mossa tentata: detassare e precarizzare il lavoro. Misura ingiusta e comunque insufficiente: «Se le aspettative sono pessimistiche gli investimenti non vengono effettuati e il solo effetto che può verificarsi è un aumento dei profitti netti». Giocare al ribasso, inoltre, disincentiva l’innovazione delle imprese. Servirebbe il contrario del Jobs Act, e cioè regole rigide e tutele per i dipendenti. Davanzati cita Keynes: «Se si paga meglio una persona si rende il suo datore di lavoro più efficiente, forzandolo a scartare metodi e impianti obsoleti, affrettando la fuoriuscita dall’industria degli imprenditori meno efficienti, elevando così lo standard generale». In altri termini, sostiene Davanzati, politiche di alti salari combinate con maggiore rigidità del rapporto di lavoro possono generare una condizione che aiuta le imprese a migliorare e crescere, puntando proprio sull’innovazione, senza contare che salari più alti «contribuiscono a tenere elevata la domanda aggregata, generando un potenziale circolo virtuoso di alta domanda ed elevata produttività».E’ esattamente il contrario di quanto è accaduto in Italia nell’ultimo ventennio, chiosa Davanzati. Già, ma perché è accaduto? Italiani pasticcioni o traviati da manovratori occulti? Nino Galloni, economista della Sapienza e già super-tecnico al ministero del bilancio, chiarisce: prima ancora del terremoto della globalizzazione, i guai veri per l’Italia sono cominciati nel 1981, quando la Banca d’Italia ha cessato di fare da “bancomat del governo”, costringendo l’esecutivo ad avvalersi dei titoli di Stato, acquistati dalla finanza internazionale, come fonte primaria di finanziamento pubblico. Immediata l’esplosione del debito, divenuta catastrofica con l’adozione dell’euro, moneta non più emessa dall’Italia. Galloni sintetizza: l’Italia non stava sulla luna, ma nell’Europa in cui la Francia di Mitterrand impose l’euro alla Germania che voleva la riunificazione tedesca del 1989. Kohl accettò a una condizione: che venisse sabotato il sistema industriale italiano, cioè il maggior concorrente dell’export di Berlino. A valle, quindi, gli inevitabili “errori” nella politica industriale, gli “incomprensibili” ritardi, i fallimenti a catena.Craxi fu il primo a profetizzare che, con Maastricht, l’Italia ci avrebbe rimesso le penne. Andreotti provò a resistere. E Galloni racconta che lo stesso Kohl fece pressioni, personalmente, per allontanare dal governo i funzionari come Galloni, che i “titoli di coda” per l’economia nazionale li avevano già visti alla fine degli anni ‘80. Fino a qualche anno fa, il fatidico meeting del Britannia per la svendita dell’Italia e la sua deindustrializzazione forzata era relegato tra le pieghe della letteratura “cospirazionista”, così come le pagine di libri usciti in questi anni, per esempio “Il golpe inglese”, di Giovanni Fasanella e Mario José Cereghino (Chiarelettere). A bordo del Britannia nel ‘92 c’era Draghi, allora al Tesoro, poi promosso governatore di Bankitalia e oggi alla guida della Bce. Ciampi, al vertice della Banca d’Italia all’epoca del divorzio dal governo, venne eletto addirittura al Quirinale. Nessi impossibili da ignorare, a proposito di “strano” declino del made in Italy.Un altro luogo comune, citato dallo stesso Davanzati che parla di “ipertrofia” dell’apparato pubblico (in linea con la retorica padronale di Renzi), riguarda il presunto peso della pubblica amministrazione: secondo l’Eurispes, in Italia si contano 58 impiegati pubblici ogni 1.000 abitanti contro i 135 della Svezia, i 94 della Francia, i 92 del Regno Unito, i 65 della Spagna e i 54 della Germania. Inoltre, negli ultimi 10 anni l’Italia ha visto diminuire i propri dipendenti pubblici del 4,7%, mentre tutti gli altri hanno assunto: +36,1% in Irlanda, +29,6% in Spagna, +12,8% in Belgio e +9,5% nel Regno Unito. Il pubblico impiego da noi pesa per l’equivalente dell’11,1% del Pil. Anche in questo caso, la vituperata burocrazia pubblica italiana si attesta in realtà su numeri tra i più bassi in Europa: in Danimarca il costo del pubblico impiego è pari al 19,2% del Pil, in Svezia e Finlandia al 14,4% mentre Francia, Belgio e Spagna spendono, rispettivamente, il 13,4%, il 12,6% e l’11,9% del Pil. Tutti, ma proprio tutti, più dell’Italia.Paolo Barnard ha spesso citato analoghe statistiche sul tasso di produttività: quello dei lavoratori italiani surclassa, storicamente, la capacità produttiva dei mitici lavoratori tedeschi. Com’è noto, Barnard si distingue per l’acutezza spietata dall’analisi: il sabotaggio dell’economia italiana a vantaggio dell’élite finanziaria straniera, con la necessaria complicità di “collaborazionisti” nostrani ricompensati con carriere d’oro, si sviluppa negli ultimi decenni in perfetta ottemperanza del famigerato “Memorandum” di Lewis Powell, l’avvocato di Wall Street incaricato già all’inizio degli anni ‘70 di stilare un vademecum per consentire agli oligarchi di liquidare la sinistra negli Usa e in Europa. Istruzioni eseguite alla lettera: “comprare” i leader di partiti e sindacati per indurli a varare norme contro i lavoratori, infiltrare università, giornali, televisioni e sistema editoriale per forgiare il dogma del pensiero unico neoliberista, cioè la fine dello Stato sovrano, la Costituzione democratica nata dalla Resistenza per tutelare i cittadini con pari diritti e pari opportunità.Con Renzi siamo all’atto finale, la privatizzazione universale definitiva. Non manca chi invoca una politica diversa e magari salari più alti. Già, ma con che soldi? Senza più moneta sovrana, lo Stato ora è in bolletta ed è costretto a super-tassare: lo Stato “risparmia”, quindi condanna aziende e famiglie. Siamo arrivati al puro delirio del pareggio di bilancio: lo Stato ridotto a colonia, impossibilitato a spendere, costretto a restituire ogni centesimo e con gli interessi, come se non fosse più un ente pubblico ma una semplice azienda privata, una normale famiglia alle prese con un debito contratto con la banca. Eppure, il mainstream continua a trascurare la portata termonucleare dell’euro-cataclisma, la fine dell’interesse pubblico, la morte clinica degli investimenti capaci di produrre occupazione. E in pieno 2015 preferisce continuare a parlare di errori, ataviche pigrizie e imperdonabili miopie nella piccola e provinciale Italietta, incapace – per tara genetica – di sviluppare una seria politica industriale.L’Italia sprofonda in una crisi senza uscita? Tutta colpa nostra. Siamo pigri, ignoranti, poco innovativi e anche disonesti, vista l’elevata evasione fiscale. Per non parlare del debito pubblico, troppo elevato rispetto al Pil. Nonostante le analisi di prestigiosi economisti, ormai diventate un coro di fronte allo sfacelo planetario dell’Ue e dell’Eurozona, resta ben viva sui media la voce del mainstream, secondo cui il debito sovrano è un problema, anziché un insostituibile motore di sviluppo. Visione alla quale non si sottraggono osservatori come Guglielmo Forges Davanzati, per i quali, semplicemente, l’Italia ha perso il passo già negli anni ‘90. Il male oscuro? Non il Trattato di Maastricht, non lo storico divorzio fra Tesoro e Bankitalia con la “privatizzazione” del debito, consegnato alla speculazione finanziaria internazionale, ma la mancanza di adeguate politiche industriali per consentire al made in Italy di continuare a competere col resto del mondo.
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Sdl, i giustizieri che ci difendono dagli abusi delle banche
L’anatocismo è la pratica di applicare interessi sugli interessi, quindi un illecito civile, mentre l’usura è un vero e proprio reato penale. Quando vengono commessi da qualche guappo, sicuramente ne abbiamo memoria anche nell’iconografia cinematografica, tutto sommato rientra in una logica di un certo tipo. Quando però queste cose vengono fatte da chi pratica il credito e ha firmato un codice etico – quindi istituti finanziari, Sim (società di intermediazione mobiliare) e, più nello specifico, istituti di credito e banche – ecco, allora la cosa diventa incomprensibile, ma comprensibile quando si vanno ad analizzare bene i conti. Troppo spesso, gli istituti di credito e le banche approfittano della loro posizione di forza, grazie al fatto che la materia è complessa e loro possono godere di esperti in matematica finanziaria e avvocati preparati in diritto bancario. Quindi il loro cliente – a cui a volte viene applicato ciò che non gli deve essere applicato (interessi ultra-legali) – non ha gli strumenti per potersi tutelare e difendere, e deve sempre abbassare la testa e pagare, altrimenti deve subire l’aggressione giudiziaria dell’istituto di credito, che culmina di solito nel pignoramento.Ti portano via i beni e la casa, con tutte le conseguenze socio-economiche che ci possiamo immaginare: troppo al spesso il telegiornale dà notizia di comportamenti anche estremi, che non dovrebbero accadere ma che la disperazione purtroppo porta le persone a compiere, quando sono logorate da una situazione di questo tipo. Il timore revenziale degli imprenditori verso le banche esiste perché le banche rappresentano i poteri forti e sono tutelate dai poteri forti. In ogni contesto sociale, le aggregazioni sociologiche avvengono per categorie – se no, non esisterebbero la curva sud dello stadio, il bar dello sport, la tifoseria e altre cose. I potenti si trattano da potenti e si tengono per mano l’uno con l’altro, perché è una sorta di consorteria che abbiamo ereditato dall’epoca medievale, quella delle arti e mestieri dei Comuni, tant’è che la prima banca – italiana e del mondo – è nata a Firenze (ora una di queste non sta godendo delle migliori sorti, per situazioni di cui abbiamo sentito parlare, e molto, anche in televisione, a proposito di derivati, “swap” e altri illeciti collegati che sono stati commessi).Abbiamo a che fare con una asimmetria informativa: gli istituti di credito hanno la cultura, la tecnica, la scienza, la competenza, la matenatica finanziaria. E quindi, di fronte a chi sa maneggiare queste cose – a chi ha la cultura, il sapere – non puoi che piegare la testa, per incompetenza. Ora, che cosa sta succedendo? L’evoluzione degli ultimi tre, quattro, cinque anni ha cambiato le circostanze: la crisi sta mordendo e le aziende sono con i bilanci in picchiata. Le banche, fino a quando sostenevano le aziende con i loro prestiti, svolgevano comunque una funzione di supporto sociologicamente utile. E quindi l’imprenditore, anche se veniva a sapere di essere vessato e in qualche modo rapinato o “alleggerito” oltre misura rispetto agli accordi contrattuali presi con gli istituti di credito, lasciava fare: perché comunque la logica era “una mano lava l’altra”, è vero che la banca si prende più di quanto dovrebbe, ma è anche vero che grazie ai suoi finanziamenti “io sto in piedi”. Ora però cosa succede? Anche le banche stanno sentendo questa morsa del credito e questa scarsa liquidità. E quindi succede che alcune banche, oggi, siano ancora più disperate di certi loro clienti, in termini di carenza di liquidità. E così aggrediscono il cliente per fare cassa e tornare in possesso della liquidità di cui a loro volta necessitano.Ecco che allora nasce quella lotta tra due disperati: l’impresa, che se non si difende fallisce, e la banca, che se non recupera credito rischia a sua volta di andare incontro a gravi problemi. Così, quel “metus” reverenziale è venuto meno, in quanto nasce la logica del “mors tua, vita mea”. Quindi, perso per perso, l’imprenditore che cosa fa? Acquista coraggio (non perché abbia coraggio: il suo è il coraggio della disperazione) e procede con l’azione ultima di difesa – di legittima difesa, la chiamo io. E allora prende il coraggio a due mani, abbandona il vecchio timore reverenziale e cerca di salvare magari una vita di lavoro, se non più di una generazione di lavoro, e si rivolge a chi è competente per poter contrastare lo strapotere culturale, formativo e informativo dell’istituto di credito.“Sdl Centro Studi”, di cui sono il responsabile dell’ufficio legale, ha strutturato un servizio vincente, che è il seguente: offre all’imprenditore la possibilità di conoscere in primo luogo, gratuitamente, qual è la situazione con l’istituto di credito. Quindi è nelle condizioni, Sdl, di dire all’imprenditore: guarda che queste banche ti hanno trattato così, questa ti ha trattato bene, quella ti ha rapinato, questa si è presa 20.000 euro, quell’altra se n’è presi 150. Quindi, un check-up gratuito di quella che è stata la gestione finanziaria e il rapporto contrattuale sui prodotti – mutuo, derivato, “swap” e conto corrente, soprattutto. Dopodiché, quando l’imprenditore è nelle condizioni di vedere quello che gli è stato combinato, può farsi commissionare una perizia, che è lo strumento principe per poter contrastare lo strapotere culturale della banca. Cosa può fare un imprenditore, con la perizia? Può bloccare e contrastare l’azione di aggressione della banca nei propri confronti. E, nella stragrande maggioranza dei casi, ritardare la fine o addirittura – come sempre più spesso capita – salvarsi la pelle, cioè salvare l’azienda e arrivare all’agognata ripresa economica.Quella è la vera soluzione del problema: quando ci sarà la ripresa economica, allora l’economia rifluirà e ci sarà la possibilità di rimettere tutti i conti in pari. Ma la logica qual lè? E’ che alla ripresa economica, egregi signori, bisogna arrivarci vivi. E invece, con questo atteggiamento che hanno assunto le banche negli ultimi due anni, rischiamo che la nostra imprenditoria, alla ripresa economica (se mai ci sarà) ci arriverà morta. E un’azienda morta non potrà produrre nuovo reddito. Ci saranno disoccupati, ci sarà il debito pubblico che quindi per conseguenza aumenterà, con tutte le situazioni che ogni sera il telegiornale ci racconta.(Serafino Di Loreto, dichiarazioni rilasciate a margine di un convegno a Perugia e riprese in un video editato su YouTube. “Sdl Centro Studi”, di cui Di Loreto è dirigente, è un team di legali a disposizione di imprese e famiglie che intendano verificare se le loro banche abbiano rispettato o meno le condizioni contrattuali dei servizi finanziari offerti).L’anatocismo è la pratica di applicare interessi sugli interessi, quindi un illecito civile, mentre l’usura è un vero e proprio reato penale. Quando vengono commessi da qualche guappo, sicuramente ne abbiamo memoria anche nell’iconografia cinematografica, tutto sommato rientra in una logica di un certo tipo. Quando però queste cose vengono fatte da chi pratica il credito e ha firmato un codice etico – quindi istituti finanziari, Sim (società di intermediazione mobiliare) e, più nello specifico, istituti di credito e banche – ecco, allora la cosa diventa incomprensibile, ma comprensibile quando si vanno ad analizzare bene i conti. Troppo spesso, gli istituti di credito e le banche approfittano della loro posizione di forza, grazie al fatto che la materia è complessa e loro possono godere di esperti in matematica finanziaria e avvocati preparati in diritto bancario. Quindi il loro cliente – a cui a volte viene applicato ciò che non gli deve essere applicato (interessi ultra-legali) – non ha gli strumenti per potersi tutelare e difendere, e deve sempre abbassare la testa e pagare, altrimenti deve subire l’aggressione giudiziaria dell’istituto di credito, che culmina di solito nei pignoramenti.
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Colpo di mano, Juncker autorizza gli Ogm anche in Europa
Il grosso vantaggio dell’Ue per le lobby finanziarie e industriali è che è molto più facile influenzare un potere centrale che i singoli governi dei 28 paesi membri. Le istituzioni europee soffrono di una cattiva immagine presso i cittadini europei (vedi Eurobarometer: fiducia nell’Unione Europea al 37% in Ue, sfiducia maggioritaria in 14 paesi tra cui l’Italia). I centri di potere di Bruxelles e Francoforte sono visti come lontani dal popolo; controllati dalle lobby; indifferenti agli interessi e alle opinioni dei cittadini comuni; proni a quelli delle élite finanziarie; sbilanciati a favore dei grandi gruppi a scapito di piccoli produttori e aziende familiari o individuali. Questi cliché sono stati ancora una volta confermati questa settimana in maniera ‘eclatante’ (cit. Renzi). Il colpaccio di Juncker: ieri infatti la Commissione guidata dall’ineffabile Juncker, noto amico dei piccoli contribuenti e feroce avversario delle grandi multinazionali che tentano di eludere il fisco, ha autorizzato l’introduzione in tutta l’Ue di 19 Ogm, senza attendere il parere di Parlamento e Consiglio Europeo. L’autorizzazione vale 10 anni su tutto il territorio europeo e include gli Stati che si erano opposti.Ovviamente sui giornaloni nazionali non troverete grandi titoli. Sopire, troncare. Fonti riportate dal “Figaro” spiegano che il presidente Juncker era «ossessionato dalla quantità di richieste di autorizzazione di Ogm bloccate» (dagli Stati membri, ndr). Bravo Juncker, è noto che i cittadini europei si torturano ogni giorno sul problema degli Ogm bloccati. Ue batte Natura 2 a 0. Andiamo a vedere la lista degli Ogm autorizzati da Juncker: sui 19 approvati, 17 sono per l’alimentazione umana e animale e 2 riguardano specie di garofani. Ben 11 sono brevetti dell’americana Monsanto (soia, mais, colza e cotone), gli altri 8 sono prodotti della statunitense Dupont e dei gruppi tedeschi Bayer e Basf. Tutto indica un’attenzione speciale delle istituzioni europee per gli interessi delle multinazionali a danno della biodiversità e della libera scelta. Ricordiamo infatti che sementi non incluse in una lista della Ue sono vietate. Lista i cui criteri privilegiano le sementi industriali ed escludono varietà antiche e tradizionali.A riprova, associazioni senza fini di lucro che come Kokopelli promuovevano la biodiversità sono state punite con multe astronomiche e la cessazione dell’attività per aver diffuso semenze tradizionali secondo una sentenza della Corte Europea del 2012. Una sentenza che rovesciava la posizione dell’Avvocatura Generale della stessa Corte Europea, la quale stimava che «il divieto di commercializzazione di sementi (…) è non valido in quanto viola i principi di proporzionalità e di libera impresa secondo l’articolo 16 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, la libera circolazione delle merci secondo l’articolo 34 Tfue così come il principio di uguaglianza di trattamento secondo l’articolo 20 della detta carta». Dunque la Corte ribalta il parere dell’Avvocatura e vieta le sementi tradizionali. Il terreno è pronto per la mossa successiva. E qui interviene Juncker, che motu proprio autorizza gli Ogm su tutto il territorio europeo.Per salvare le apparenze i singoli Stati potrebbero in teoria vietare gli Ogm sul proprio territorio – ma solo se accettano la riforma proposta tre giorni fa (guarda caso) dalla stessa Commissione Juncker, che rende più facile l’importazione di Ogm in Europa e allo stesso tempo permette ai singoli Stati di vietarle. Divieti che però devono essere motivati in base a pericolo per salute e ambiente (rovesciando l’onere della prova sugli Stati!), sono sempre impugnabili (cfr. Tttip e le prerogative del suo Regulatory Council) e difficilmente applicabili in pratica, vista la libera circolazione delle merci e le ambiguità europee sull’etichettatura degli alimenti. Nulla impedirebbe di trovarci in tavola carne di maiale nutrito con soia transgenica in Germania o Polonia. Poiché le multinazionali hanno tempi lunghi e costi elevati per dimostrare che gli Ogm sono innocui (quando ci riescono), saranno gli Stati a dover dimostrare che sono nocivi, in barba al principio di cautela che dovrebbe regolare le questioni attinenti la salute e l’ambiente. In sintesi, la nostra stessa sovranità alimentare è messa in pericolo dalla Ue.Ma vediamo cosa pensano i cittadini europei degli Ogm. L’Eurobarometer n. 341 del 2010 (stranamente Eurobarometer non ha condotto nessun sondaggio sugli Ogm dopo il 2010) vede una schiacciante maggioranza di cittadini europei CONTRARIA agli alimenti geneticamente modificati. A pagina 18: «Un’elevata percentuale, 70%, ritiene che il cibo Gm (geneticamente modificati) sia innaturale. Il 61% degli europei conviene che i cibi Gm li mettono a disagio. Inoltre, il 61% degli europei è contrario allo sviluppo di alimenti Gm, il 59% non è d’accordo che i cibi Gm siano sicuri per la salute loro e della loro famiglia, e il 58% non è nemmeno d’accordo che gli alimenti Gm siano sicuri per le generazioni future». Come al solito, quindi: le istituzioni europee capitanate dall’ineffabile Juncker si fanno un baffo dell’opinione dei cittadini; la Commissione si dimostra sempre molto attenta agli interessi delle lobby di grandi industrie e banche; la Commissione può agire in maniera autoritaria e antidemocratica, se occorre; l’informazione “ufficiale” oscura queste gravi vicende; il nostro governo è totalmente supino ai diktat europei, se non promotore attivo delle strategie delle lobby (Renzi: «Il Ttip ha l’appoggio totale e incondizionato del governo Italiano»). Morale: dopo la sovranità monetaria l’Ue ci farà perdere la sovranità alimentare.(Ulrich Anders, “Colpaccio di Juncker: fine della sovranità alimentare, Ogm per tutti”, da “Scenari economici” del 25 aprile 2015).Il grosso vantaggio dell’Ue per le lobby finanziarie e industriali è che è molto più facile influenzare un potere centrale che i singoli governi dei 28 paesi membri. Le istituzioni europee soffrono di una cattiva immagine presso i cittadini europei (vedi Eurobarometer: fiducia nell’Unione Europea al 37% in Ue, sfiducia maggioritaria in 14 paesi tra cui l’Italia). I centri di potere di Bruxelles e Francoforte sono visti come lontani dal popolo; controllati dalle lobby; indifferenti agli interessi e alle opinioni dei cittadini comuni; proni a quelli delle élite finanziarie; sbilanciati a favore dei grandi gruppi a scapito di piccoli produttori e aziende familiari o individuali. Questi cliché sono stati ancora una volta confermati questa settimana in maniera ‘eclatante’ (cit. Renzi). Il colpaccio di Juncker: ieri infatti la Commissione guidata dall’ineffabile Juncker, noto amico dei piccoli contribuenti e feroce avversario delle grandi multinazionali che tentano di eludere il fisco, ha autorizzato l’introduzione in tutta l’Ue di 19 Ogm, senza attendere il parere di Parlamento e Consiglio Europeo. L’autorizzazione vale 10 anni su tutto il territorio europeo e include gli Stati che si erano opposti.
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Fa crollare l’Italia, poi se la compra. Ma chi è BlackRock?
Faccio scoppiare l’Italia con la crisi dello spread, la costringo a svendere i gioielli di famiglia e quindi arrivo io, col portafogli in mano, pronto a rilevare a prezzi stracciati interi settori vitali dell’economia italiana, messa in ginocchio dalla manovra finanziaria. Secondo “Limes”, l’architetto supremo del complotto non è la Germania, ma il colossale fondo d’investimenti statunitense BlackRock, azionista rilevante della Deutsche Bank che nel 2011, annunciando la vendita dei titoli di Stato italiani, fece esplodere il divario tra Btp e Bund causando la “resa” di Berlusconi e l’avvento di Monti, l’emissario del grande business straniero. La rivista di Lucio Caracciolo, riassume Maria Grazia Bruzzone su “La Stampa”, ha messo a fuoco un po’ meglio le dimensioni, gli interessi e il vero potere del primo fondo d’investimenti mondiale, fattosi sotto con l’ascesa di Renzi a Palazzo Chigi, dopo che ormai il Pil italiano era stato letteralmente raso al suolo dai tecnocrati nostrani, in accordo con quelli di Bruxelles. Il “Moloch della finanza globale” vanta la gestione di 30.000 portafogli, per un totale di 4.650 miliardi di dollari: non ha rivali al mondo ed è una delle 4-5 “istituzioni” che ricorrono tra i maggiori azionisti delle banche americane.Con la globalizzazione dell’economia, il valore complessivo delle attività finanziarie internazionali primarie è passato dal 50% al 350% del Pil mondiale, raggiungendo i 280.000 miliardi di dollari, di cui solo il 25% legato agli scambi di merci. E il valore dei derivati negoziati fuori dalle Borse (“over the counter”) a fine giugno 2013 aveva toccato i 693.000 miliardi di dollari, in gran parte legati al mercato delle valute: al Forex si scambiano in media 1.900 miliardi di dollari al giorno. Tutto ha avuto inizio col neoliberismo promosso da Margaret Thatcher e Ronald Reagan: deregulation e meno vincoli per le megabanche, autorizzate a “giocare” con sempre nuovi prodotti finanziari come gli “hedge fund”, i fondi a rischio speculativi e le società di investimento spesso collegate alle banche, innanzitutto anglosassoni. Il colpo di grazia porta la firma di Bill Clinton, che negli anni ‘90 rende assoluta la deregolamentazione della finanza, abolendo il Glass-Steagal Act creato da Roosevelt negli anni ‘30 per limitare la speculazione alle sole banche d’affari e tenere il credito commerciale al riparo dalla “ruolette” finanziaria di Wall Street che aveva causato la Grande Crisi del 1929.A estendere al resto del mondo l’immediata cancellazione dei vincoli di sicurezza provvide il Wto, egemonizzato dagli Usa, su impulso delle megabanche, dell’allora segretario al Tesoro Larry Summers e del suo vice Tim Geithner, futuro ministro di Obama. Questo il clima in cui cominciò l’ascesa di BlackRock, autonoma dal 1992 e basata a New York, pronta a inserirsi in banche e aziende acquistando azioni, obbligazioni, titoli pubblici e proprietà, per un totale di oltre 4.500 miliardi, cioè pari al Pil della Francia sommato a quello della Spagna. BlackRock comincia anche a far politica: entra nel capitale delle due maggiori agenzie di rating, “Standard & Poor’s” (5,44%) e “Moody’s” (6,6%), ottenendo la possibilità di influire sulla determinazione di titoli sovrani, azioni e obbligazioni private, incidendo così su prezzo e valore delle attività acquistate o vendute. Quindi opera anche nell’analisi del rischio, vendendo “soluzioni informatiche” per la gestione di dati economici e finanziari, ed elabora dati che «incorporano anche pesanti elementi politici».Naturalmente sfrutta appieno la crisi del 2007: due anni dopo, lo stesso Geithner consulta proprio BlackWater per valutare gli asset tossici di Bear Stearns, Aig e Morgan Stanley. Compiti che BlackRock esegue, «agendo alla stregua di una sorta di Iri privato». Nel 2009 fa anche un colpo grosso, acquistando Barclays Investment Group, col suo carico immenso di partecipazioni azionarie nelle principali multinazionali. Il colosso finanziario americano informa e «manipola i propri clienti, utilizzando tecniche e software non diversi da quelli impiegati da Google (di cui ha il 5,8%) o dalla Nsa per sondare gli umori della gente», scrive “Limes”. Si serve della piattaforma Aladdin, «con almeno 6.000 computer in 12 siti più o meno segreti, 4 dei quali di nuova concezione, ai quali si rapportano 20.000 investitori sparsi per il mondo». Il suo centro studi d’eccellenza, il “BlackRock Investment Institute”, esamina le variabili politico-strategiche: il maxi-fondo è interessato al profitto «ma anche alla stabilità, sicurezza e prosperità degli Stati Uniti». Il fondatore e leader, Larry Fink, è considerato «il più importante personaggio della finanza mondiale», eppure resta «virtualmente uno sconosciuto» a Manhattan, secondo “Vanity Fair”.Proprio BlackRock, aggiunge “Limes” è probabilmente il vero regista della crisi italiana del 2011, o meglio della capitolazione dell’Italia di fronte agli appetiti della grande finanza. Lo spread fra i Bund tedeschi e i nostri Btp iniziò a dilatarsi non appena il “Financial Times” rese noto che nei primi sei mesi di quell’anno Deutsche Bank aveva venduto l’88% dei titoli che possedeva, per 7 miliardi di euro. «Molti videro un attacco al nostro paese ispirato da Berlino e dai poteri forti di Francoforte», ma forse – secondo “Limes” – non era così. La rivista di Caracciolo rivela che il potente istituto di credito tedesco aveva allora un azionariato diffuso, il 48% del capitale sociale era detenuto fuori dalla Repubblica Federale, e il suo azionista più importante era proprio BlackRock con il 5,1%. Peraltro, aggiunge la Bruzzone sulla “Stampa”, oggi la “Roccia Nera” detiene in Deutsche Bank una quota ancor maggiore (il 6,62%) e ne è il maggior azionista, seguito da Paramount Service Holdings, basato alle Isole Vergini Britanniche. «Si può escludere che il fondo non abbia avuto alcuna parte in una decisione tanto strategica come quella di dismettere in pochi mesi quasi tutti i titoli del debito sovrano di un paese dell’Ue?».«Se attacco c’è stato non è detto che sia stato perpetrato dalle autorità politiche ed economiche della Germania: è un fatto che a picchiare più duramente contro i nostri titoli a partire dall’autunno 2011 siano proprio “Standard & Poor’s” e “Moody’s”». Un’ipotesi, quella di Limes, che getta nuova luce su tanta parte della narrazione di questi anni sulla Germania, l’Europa e i Piigs, a partire dalle polemiche di quell’agosto bollente, «con Merkel e Sarkozy fustigati da Giuliano Amato sul “Sole 24 Ore”», anche se Amato – ricorda la Bruzzone – in quel 2011 era fra l’altro “senior advisor” proprio di Deutsche Bank. «E chissà che senza la decisione di Deutsche Bank di vendere i titoli di Stato di Portogallo, Italia, Irlanda, Grecia, Spagna, la tempesta finanziaria non sarebbe iniziata». Un’ipotesi realistica, secondo la Bruzzone, che apre altri interrogativi: sugli intrecci fra potere finanziario e politico, sul “potere sovrano” degli Stati (anche della potente Germania) e sulla composizione azionaria di questi onnipotenti istituti. Banche, fondi, superfondi: di chi sono? Chi decide che cosa, al di là dei luoghi comuni ripetuti delle narrative ufficiali?La fine della Deutsche Bank come motore sano dell’economia industriale tedesca risale all’epoca del crollo dell’Urss, quando l’attenzione della finanza angloamericana si concentra sull’Europa. E avviene a seguito di misteriosi omicidi, scrive la giornalista della “Stampa”, ricordando che Alfred Herrhausen, presidente della banca e consigliere fidato del cancelliere Kohl – un uomo che aveva in mente uno sviluppo della mission tradizionale e stilò addirittura un progetto di rinascita delle industrie ex comuniste, in Germania, Polonia e Russia, andandone persino parlarne a Wall Street – venne «improvvisamente freddato fuori dalla sua villa», a fine 1989. Si disse dalla Raf, o dalla Stasi, o da altri ancora. Stessa sorte toccò al suo successore, altro economista che si era opposto alla svendita delle imprese ex comuniste elaborando piani industriali alternativi alla privatizzazione. Fu ucciso nel 1991 da un tiratore scelto.Dopo di lui, alla sede londinese di Deutsche Bank arriva uno squadrone di ex banchieri della Merrill Lynch, compreso il capo, che diventa presidente, riorganizzando tutto in senso “moderno”. Anche lui però muore, a soli 47 anni, «in uno strano incidente del suo aereo privato». Va meglio al suo giovane braccio destro, Anshu Jain, un indiano con passaporto britannico, cresciuto professionalmente a New York, tutt’oggi presidente della banca diventata prima al mondo per quantità di derivati, spodestando Jp Morgan: la Deutsche Bank infatti è considerata fuori dalle righe “la banca più fallita del mondo”, «esposta per 55.000 miliardi, cioè 20 volte il Pil tedesco», a fronte di depositi per appena 522 miliardi. «Quanto è pericoloso il potere di mercato delle maggiori banche di investimento?». Se lo chiedeva due anni fa lo “Spiegel”, riportando un durissimo scontro fra Deutsche Bank e il ministro tedesco dell’economia, il super-massone Wolfgang Schaeuble.Scriveva il settimanale: «Un pugno di società finanziarie domina il trading di valute, risorse naturali, prodotti a interesse. Migliaiaia di investitori comprano, vendono, scommettono. Ma le transazioni sono in mano a un club di istituti globali come Deutsche Bank, Jp Morgan, Goldman Sachs. Quattro banche maneggiano la metà delle transazioni di valuta: Deutsche Bank, Citigroup, Barclays e Ubs». Un’altra ragione che dovrebbe farci prestare attenzione alla “Roccia Nera”, aggiunge “Limes”, è che ha messo radici in molte realtà imprenditoriali nel nostro paese. Per “L’Espresso”, addirittura, «si sta comprando l’Italia». Se un altro colosso americano, State Street Corporations, ha acquistato la divisione “securities” di Deutsche Bank e nel 2010 ha comprato l’attività di “banca depositaria” di Intesa SanPaolo (custodia globale, controllo di regolarità delle operazioni, calcoli, amministrazione delle quote, servizi ausiliari, gestione dei cambi e prestito di titoli), è proprio BlackRock a far la parte del leone.A fine 2011, il super-fondo americano aveva il 5,7% di Mediaset, il 3,9% di Unicredit, il 3,5% di Enel e del Banco Popolare, il 2,7% di Fiat e Telecom Italia, il 2,5% di Eni e Generali, il 2,2% di Finmeccanica, il 2,1% di Atlantia (che controlla Autostrade) e Terna, il 2% della Banca Popolare di Milano, Fonsai, Intesa San Paolo, Mediobanca e Ubi. E oggi Molte di queste quote sono cresciute e BlackRock è ormai il primo azionista di Unicredit (col 5,2%) e il secondo azionista di Intesa SanPaolo (5%). Stessa quota in Atlantia, mentre avrebbe ill 9,4% di Telecom. «Presidi strategici, che permetteranno a BlackRock di posizionarsi al meglio in vista delle privatizzazioni prossime venture invocate da molti “per far scendere il debito”», scrive “Limes”. E’ la nuova ondata in arrivo, dopo quella del 1992-93 a prezzi di saldo. «La crisi dei Piigs a che altro serve, se no?».Chi è BlackRock? Il web rivela, più che altro, un labirinto. Secondo “Yahoo Finanza”, il maggiore azionista (21,7%) sarebbe Pnc, antica banca di Pittsburgh, quinta per dimensioni negli Usa ma poco nota. Azionisti numero uno e due sarebbero Norges Bank, cioè la banca centrale di Norvegia, e Wellington Management Co., altro fondo di investimenti, di Boston, con 2.100 investitori istituzionali in 50 paesi e asset per 869 miliardi di dollari. Poi ci sono State Street Corporation, Fmr-Fidelity e Vanguard Group, che a loro volta sono gli unici investitori istituzionali di Pnc. Sempre loro, i “magnifici quattro”, si ritrovano con varie quote fra gli azionisti delle principali megabanche: non solo Jp Morgan, Bank of America, Citigroup e Wells Fargo, ma anche le banche d’affari come Goldman Sachs, Morgan Stanley, Bank of Ny Mellon. A ricorrere nell’azionariato di questi istituti ci sono anche altre società e banche, ma i “magnifici quattro” non mancano mai.Oltre ai soliti BlackRock, Vanguard, in Barclays – megabanca britannica che risale al 1690 – è presente anche Qatar Holding, sussidiaria del fondo sovrano del Golfo, specializzata in investimenti strategici. La stessa holding qatariota è anche maggior azionista di Credit Suisse, seguita dall’Olayan Group dell’Arabia Saudita, che ha partecipazioni in svariate società di ogni genere, mentre nell’altra megabanca elvetica, Ubs, si ritrovano BlackRock, una sussidiaria di Jp Morgan, una banca di Singapore e la solita Banca di Norvegia. Barclays Investment Group compariva tra i grandi azionisti di BlackRock, e viceversa, ma prima della crisi del 2008: dopo, non più – almeno in apparenza. Su “Global Research”, Matthias Chang mostra come nel 2006 “octopus” Barclays fosse davvero una piovra con tentacoli ovunque: Bank of America, Wells Fargo, Wachovia, Jp Morgan, Bank of New York Mellon, Goldman Sachs, Merrill Lynch, Morgan Stanley, Lehman Brothers e Bear Sterns, senza contare un lungo elenco di multinazionali di ogni genere, americane ed europee, comprese le miniere, senza dimenticare i grandi contractor della difesa.Dopo la crisi, che ha rimescolato le carte dell’élite finanziaria, il paesaggio cambia: Barclays Global Investors viene comprata nel 2009 da BlackRock. Il maxi-fondo, che nel 2006 aveva raggiunto il trilione di dollari in asset, dal 2010 al 2014 cresce ancora (fino ai 4.600 miliardi di dollari) insieme a Vanguard, presente in Deutsche Bank. Seguite i soldi, raccomanda il detective. Chi c’è dietro? «Attraverso il crescente indebitamento degli Stati – scrive la Bruzzone – megabanche e superfondi collegati, già azionisti di multinazionali, stanno entrando nel capitale di controllo di un numero crescente di banche, imprese strategiche, porti, aeroporti, centrali e reti energetiche. Solo per bilanciare l’espansione dei cinesi?». E’ un processo che va avanti da anni, «accelerato molto dalla “crisi” del 2007-8 e dalle politiche controproducenti come l’austerità, che sempre più si rivela una scelta politica». Tutto ciò è «evidentissimo nei paesi del Sud Europa, Grecia in testa, ma presente anche altrove e negli stessi Stati Uniti». Lo dicono blogger come Matt Taibbi ed economisti come Michael Hudson. Titolo del film: più che Germania contro Grecia, è la guerra delle banche verso il lavoro. Guerra che continua, dopo Thatcher e Reagan, nel mondo definitivamente globalizzato dai signori della finanza.Faccio scoppiare l’Italia con la crisi dello spread, la costringo a svendere i gioielli di famiglia e quindi arrivo io, col portafogli in mano, pronto a rilevare a prezzi stracciati interi settori vitali dell’economia italiana, messa in ginocchio dalla manovra finanziaria. Secondo “Limes”, l’architetto supremo del complotto non è la Germania, ma il colossale fondo d’investimenti statunitense BlackRock, azionista rilevante della Deutsche Bank che nel 2011, annunciando la vendita dei titoli di Stato italiani, fece esplodere il divario tra Btp e Bund causando la “resa” di Berlusconi e l’avvento di Monti, l’emissario del grande business straniero. La rivista di Lucio Caracciolo, riassume Maria Grazia Bruzzone su “La Stampa”, ha messo a fuoco un po’ meglio le dimensioni, gli interessi e il vero potere del primo fondo d’investimenti mondiale, fattosi sotto con l’ascesa di Renzi a Palazzo Chigi, dopo che ormai il Pil italiano era stato letteralmente raso al suolo dai tecnocrati nostrani, in accordo con quelli di Bruxelles. Il “Moloch della finanza globale” vanta la gestione di 30.000 portafogli, per un totale di 4.650 miliardi di dollari: non ha rivali al mondo ed è una delle 4-5 “istituzioni” che ricorrono tra i maggiori azionisti delle banche americane.
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Mentono e vi derubano ogni giorno, e voi gli credete ancora?
I dati forniti dall’Istat smentiscono l’interessato ottimismo sparso a piene mani dal premier Matteo Renzi e dal suo ministro del lavoro Giuliano Poletti. La disoccupazione, con buona pace del Jobs Act, continua ad aumentare, mentre la crescita resta un miraggio. Da quasi quattro anni, dall’arrivo cioè di Mario Monti sul trono d’Italia, i grandi media annunciano senza sosta l’imminente ripresa di un’Italia sempre più povera, stanca e sfiduciata. Chi di voi ricorda le promesse del professore di Varese, ridicolo fino al punto da ipotizzare un aumento del Pil prossimo al 10% in virtù delle famose liberalizzazioni riguardanti quattro tassisti e qualche farmacista? E chi di voi ha dimenticato il “piano giovani” varato da Enrichetto Letta, approvato in teoria per dare un futuro a generazioni intere senza speranze né prospettive? E come sarà possibile scordare in fretta le tante menzogne veicolate dell’attuale premier Matteo Renzi, degno successore dei vari Monti e Letta? Il gioco è semplice e scoperto: mentire, mentire e poi mentire ancora. Anche di fronte all’evidenza, anche a costo di sfidare la logica e di umiliare la verità e il buon senso.Mentire ad oltranza. Questo fanno i nostri governanti, etero-diretti dall’esterno dal ghigno malefico del Venerabile Maestro Mario Draghi, osannato dai servi di regime per avere varato un quantitative easing che serve solo per prolungare il più possibile l’agonia di questo mostro di Europa a trazione tecnocratica. Quando, e se, la cosiddetta pubblica opinione capirà di essere stata per anni raggirata e truffata, sarà oramai troppo tardi. Ma come può un uomo sano di mente credere che l’abolizione dei diritti possa avere un qualche effetto benefico sull’occupazione? Ma dove sono vissuti gli italiani negli ultimi venti anni, caratterizzati da un contestuale aumento di precarietà e disoccupazione? Ma come si fa a credere ancora che l’austerità serva per abbattere il debito, quando il debito di tutti i paesi dell’area euro è esploso proprio in virtù dell’applicazione cieca delle famose politiche del rigore? Come si fa a non capire che è in atto un progetto politico (definito “complotto” dai meno lucidi), gestito e supervisionato da una manipolo di burocrati illuminati, volto a regolare i conti una volta per tutte con le “masse plebee”?Non siete stanchi di sentire che la ripresa arriverà l’anno prossimo, e poi l’anno prossimo ancora? A nessuno sorge il dubbio che le famigerate “riforme strutturali” rappresentino poco più che un espediente retorico per giustificare la prosecuzione di una crisi in realtà voluta ed indotta? Non è dai tempi di Mani Pulite che il sistema di potere promuove senza sosta (destra o sinistra poco cambia) riforme destinate a colpire le pensioni, la rappresentanza democratica, i diritti dei lavoratori, il welfare e i salari? Non vi sono bastati venti anni di sbornia neoliberista, caratterizzati da una colossale svendita di Stato, per smascherare i trucchi usati da uomini senza scrupoli né morale? Resto sbigottito, incredulo e allibito. Noi del Movimento Roosevelt non ci stancheremo di dirvi che dalla crisi non usciremo mai fino a quando il popolo, per mezzo di rappresentanti democraticamente eletti, non intenderà riappropriarsi della sovranità che gli spetta.Bisogna riportare la Banca centrale sotto il controllo del potere politico per rifuggire dal continuo ricatto dei “fantomatici mercati”; bisogna varare su scala europea un piano per la piena occupazione al fine di rilanciare i consumi e ridare fiato alle imprese; bisogna rafforzare il welfare ed investire nella ricerca, e bisogna infine favorire la partecipazione dei cittadini nella formazione dei processi decisionali allargando e non comprimendo il perimetro democratico. Questo bisogna fare, avendo cura di coniugare libertà economica e interesse generale, giustizia sociale e meritocrazia. Ma bisogna farlo al più presto. Perché ogni giorno che passa i vari Draghi, Schaeuble, Hollande, Renzi e Merkel sradicano impunemente un albero dal nostro giardino. E se nessuno riuscirà a fermarli, in berve tempo il Vecchio Continente si trasformerà in un deserto di malinconia, rimpianto, cattiveria e depressione.(Francesco Maria Toscano, “Mentire sempre, comunque e a qualsiasi costo”, dal blog “Il Moralista” del 31 marzo 2015. Toscano è segretario del Movimento Roosevelt, co-fondato con Gioele Magaldi).I dati forniti dall’Istat smentiscono l’interessato ottimismo sparso a piene mani dal premier Matteo Renzi e dal suo ministro del lavoro Giuliano Poletti. La disoccupazione, con buona pace del Jobs Act, continua ad aumentare, mentre la crescita resta un miraggio. Da quasi quattro anni, dall’arrivo cioè di Mario Monti sul trono d’Italia, i grandi media annunciano senza sosta l’imminente ripresa di un’Italia sempre più povera, stanca e sfiduciata. Chi di voi ricorda le promesse del professore di Varese, ridicolo fino al punto da ipotizzare un aumento del Pil prossimo al 10% in virtù delle famose liberalizzazioni riguardanti quattro tassisti e qualche farmacista? E chi di voi ha dimenticato il “piano giovani” varato da Enrichetto Letta, approvato in teoria per dare un futuro a generazioni intere senza speranze né prospettive? E come sarà possibile scordare in fretta le tante menzogne veicolate dell’attuale premier Matteo Renzi, degno successore dei vari Monti e Letta? Il gioco è semplice e scoperto: mentire, mentire e poi mentire ancora. Anche di fronte all’evidenza, anche a costo di sfidare la logica e di umiliare la verità e il buon senso.
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Superlavoro e licenziamenti, la Cgil vi condanna al peggio
Con la firma dei contratti del commercio e dei bancari la Cgil, fieramente schierata contro il Jobs Act, lo ha nei fatti sottoscritto, applicato e persino interpretato creativamente. Il contratto del terziario peggiora i due contratti precedenti che la Cgil aveva avuto il coraggio di non sottoscrivere. Si potrebbe fare un elenco di tante piccole e grandi angherie verso i lavoratori che vengono confermate, ma credo basti sottolineare che il lavoro domenicale diventa regola e obbligo. Particolare attenzione è stata poi rivolta alla clausola di flessibilità, che consente all’impresa di obbligare il lavoratore a lavorare 44 ore settimanali per 16 settimane senza neanche pagargli lo straordinario. Con 5 milioni di disoccupati, aumentare l’orario di lavoro è proprio una bella sensibilità sociale, ma c’è di peggio. A livello aziendale o territoriale sarà possibile concordare orari di 48 ore per 24 settimane in un anno. Metà dell’anno si lavorerà con gli orari previsti dalla legge del 1923, senza neppure che sia riconosciuto lo straordinario.La Cgil nel passato si arrabbiò molto con il ministro berlusconiano Sacconi che aveva promosso il regime delle deroghe aziendali ai contratti nazionali. Ora sottoscrive una doppia deroga sugli orari di lavoro, realizzando un altro punto della famosa lettera di Draghi e Trichet, che nel 2011 dettarono ciò che si doveva fare in Italia per obbedire alla Troika. Il Jobs Act prevede il demansionamento, cioè la possibilità per la aziende di degradare i lavoratori. Il contratto del commercio lo permette in via anticipata, cioè si potranno assumere a termine disoccupati con due qualifiche al di sotto della mansione effettivamente svolta. Cosa non si fa pur di dare lavoro, Poletti e i supermercati sono commossi. Naturalmente gli enti bilaterali, cioè gli strumenti del peggiore consociativismo sindacale, e mi fermo qui, vengono rafforzati. Quello di fare enti è l’unico diritto che resta, perché è dei sindacati e non dei lavoratori. Se il contratto del commercio è soprattutto il veicolo di ogni flessibilità a carico di chi lavora, quello dei bancari corre in soccorso di una esigenza di fondo delle imprese, quella di tagliare il personale e ristrutturarsi con meno costi possibili. Uno privilegia la flessibilità in entrata, l’altro quella in uscita, ma la logica è sempre la stessa.Tutti sappiamo che la politica economica dei governi italiani ed europei ha un occhio di particolare riguardo per il sistema bancario, che viene sostenuto in tutti i modi con i nostri soldi. Lo stesso sostegno ai poveri banchieri lo fornisce per la sua parte l’accordo appena sottoscritto. Le banche potranno più serenamente licenziare, perché assumono l’impegno di prendere in considerazione i licenziati per eventuali nuove assunzioni. Hanno il via libera per le terziarizzazioni in tante belle newco, realizzate magari con la fusione di quelle banche popolari scalabili grazie alla riforma di Renzi. Si riducono i costi e il valore delle liquidazioni dei dipendenti così le banche risparmiano, ma per dare un contentino si afferma che i lavoratori dismessi in nuove società continueranno ad avere l’articolo 18. E qui c’è una mela avvelenata, perché con questa clausola il contratto dei bancari riconosce di fatto il rapporto di lavoro a tutele crescenti. Se infatti si esclude di applicarlo ai terziarizzati e solo a quelli, si accetta che sia pienamente applicabile a tutti gli altri che verranno assunti. Come sempre le eccezioni confermano la regola.È questa la realizzazione di quanto il gruppo dirigente della Cgil aveva promesso nelle piazze del 12 dicembre scorso? La lotta al Jobs Act si riduce a individuare le persone esentate dai suoi danni? Questi contratti distruggono bel po’ di diritti in cambio di un aumento di 85 euro lordi distribuiti su diversi anni. Un aumento mensile di 13 euro netti nella busta paga ogni anno non mi pare uno scambio equo rispetto a ciò che i lavoratori restituiscono. In effetti per un dipendente di un grande magazzino e di una banca sarebbe molto più conveniente vedersi prolungare il contratto precedente con zero aumenti, piuttosto che un rinnovo come questo. E infatti sono le aziende che festeggiano gli accordi. Perché allora i grandi sindacati firmano queste porcherie? Semplice, lo fanno per sopravvivere come grandi organizzazioni burocratiche, ma questo loro modo d’agire finisce proprio per rafforzare Renzi e le sue politiche.Non so se Landini si riferisse ad accordi come questi quando ha parlato di crisi sindacale, però non l’ho sentito contestare una frottola che oggi va per la maggiore e che serve a giustificare le politiche di flessibilità e precarietà. In ogni talkshow ad un certo punto c’è chi afferma che la colpa principale delle grandi confederazioni sia quella di difendere i sindacalizzati e non i precari. È falso. Cgil, Cisl e Uil in questi anni hanno firmato accordi che progressivamente hanno ridotto i diritti dei propri rappresentati, e per questo non hanno difeso neanche i precari. Come facevano ad estendere ciò a cui un po’ alla volta rinunciavano? Oggi più che mai il lavoro in tutte le sue forme ha bisogno di organizzarsi in sindacato per difendersi. Ma il sindacato che serve non è certo quello che firma contratti come quelli del commercio e dei bancari. No, quei sindacati che senza un minuto di sciopero firmano la resa e poi affermano di avere vinto fanno solo danno. Per ricostruire i diritti del lavoro ci vogliono organizzazioni e strategie diverse da quelle che ci hanno portato sino al disastro attuale.(Giorgio Cremaschi, “La finta opposizione della Cgil che firma il Jobs Act”, da “Micromega” del 2 aprile 2015).Con la firma dei contratti del commercio e dei bancari la Cgil, fieramente schierata contro il Jobs Act, lo ha nei fatti sottoscritto, applicato e persino interpretato creativamente. Il contratto del terziario peggiora i due contratti precedenti che la Cgil aveva avuto il coraggio di non sottoscrivere. Si potrebbe fare un elenco di tante piccole e grandi angherie verso i lavoratori che vengono confermate, ma credo basti sottolineare che il lavoro domenicale diventa regola e obbligo. Particolare attenzione è stata poi rivolta alla clausola di flessibilità, che consente all’impresa di obbligare il lavoratore a lavorare 44 ore settimanali per 16 settimane senza neanche pagargli lo straordinario. Con 5 milioni di disoccupati, aumentare l’orario di lavoro è proprio una bella sensibilità sociale, ma c’è di peggio. A livello aziendale o territoriale sarà possibile concordare orari di 48 ore per 24 settimane in un anno. Metà dell’anno si lavorerà con gli orari previsti dalla legge del 1923, senza neppure che sia riconosciuto lo straordinario.
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La Bce: non ci sarà più lavoro nemmeno in caso di ripresa
Vedete, parlo semplice. Ci sono i grandi capi, quelli che, come Mario Draghi o Jean-Claude Juncker, appaiono in pubblico e davanti alla stampa. Loro sorridono, e come canta l’immensa canzone di Povia “Chi comanda il mondo” vi dicono che tutto va bene, c’è la ripresa. Voi ragazzi, qui in Italia disoccupati al 44%, in Spagna oltre il 55% ecc, sperate. Poi ci sono i tecnici che lavorano nell’ombra degli uffici dei grandi capi, quegli scienziati economici ragionieri dei numeri VERITA’, che scrivono per i loro grandi capi la VERITA’. Eccola: “March 2015 Ecb Staff Macroeconomics Projections for the Euro Area”. Tradotto è: marzo 2015, proiezioni macroeconomiche del personale della Bce per la zona euro. E cosa ci dicono i tecnici che sanno la VERITA’ nelle ombre della dittatura dell’Eurozona? Che Draghi non risolverà un accidenti di nulla con tutti i suoi trucchi MONETARI (T-Ltro, Abs, Omt, Qe), perché l’ECONOMIA REALE non ne beneficia (lo diceva anche Barnard).E soprattutto che anche alla fine di tutti i trucchi di Draghi e della cosiddetta ripresa di cui parlano i giornalisti puzzoni delle Tv e quotidiani, attenti… La disoccupazione in Eurozona RIMARRA’ QUASI IDENTICA A OGGI, cioè RISOLTO NULLA, ZERO, per noi gente, famiglie, aziende. ZERO, NULLA. Questo ci dice “March 2015 Ecb Staff Macroeconomics Projections for the Euro Area”. Ma peggio. Il documento interno ha portato il “Financial Times” a scrivere: «La crisi dell’Eurozona è stata così devastante che ha PERMANENTEMENTE DISTRUTTO la capacità delle sue economie di creare lavoro, persino quando ci sarà ripresa». Agghiacciante. Questa è la verità del vostro futuro, ragazzi.E poi la beffa finale. Prima della crisi, INTERAMENTE DOVUTA all’avvento dell’euro come moneta non sovrana per nessuno (con moneta sovrana come il dollaro si rimedia, infatti gli Usa della crisi hanno oggi il 5,5% di disoccupazione, non il 12-14% nostro), ci dice il documento della Bce, «le disoccupazioni erano più o meno simili in tutti i maggiori paesi d’Europa». No, ma l’euro è un successone, suvvia. Lo dice Ezio Mauro di La (vomito) Repubblica, non date retta ai tecnici della Bce. De Benedetti ne sa di più. Poveri voi ragazzi. Vi voglio bene.(Paolo Barnard, “Dietro i loro sorrisi si cela il vostro funerale, ragazzi: la ripresa vista dal vero potere”, dal blog di Barnard del 28 marzo 2015).Vedete, parlo semplice. Ci sono i grandi capi, quelli che, come Mario Draghi o Jean-Claude Juncker, appaiono in pubblico e davanti alla stampa. Loro sorridono, e come canta l’immensa canzone di Povia “Chi comanda il mondo” vi dicono che tutto va bene, c’è la ripresa. Voi ragazzi, qui in Italia disoccupati al 44%, in Spagna oltre il 55% ecc, sperate. Poi ci sono i tecnici che lavorano nell’ombra degli uffici dei grandi capi, quegli scienziati economici ragionieri dei numeri verità, che scrivono per i loro grandi capi la verità. Eccola: “March 2015 Ecb Staff Macroeconomics Projections for the Euro Area”. Tradotto è: marzo 2015, proiezioni macroeconomiche del personale della Bce per la zona euro. E cosa ci dicono i tecnici che sanno la verità nelle ombre della dittatura dell’Eurozona? Che Draghi non risolverà un accidenti di nulla con tutti i suoi trucchi monetari (T-Ltro, Abs, Omt, Qe), perché l’economia reale non ne beneficia (lo diceva anche Barnard).
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Celente: le banche (e i loro politici) ci stanno rubando tutto
Non è mai accaduto niente di simile nella storia del mondo. Sotto gli occhi di tutti, e a spese di tutti, i governi continuano a razziare ingenti ricchezze per arricchire i responsabili dei più efferati crimini e nefandezze economico-finanziarie. Prima c’era la Tarp. Come pretesto per arginare le turbolenze nel mercato azionario dopo il collasso di Lehman Brothers nel settembre 2008, il presidente George W. Bush approvò solo un mese dopo il “Troubled Asset Relief Program”. Il piano permise al Tesoro degli Stati Uniti di assicurare 700 miliardi di dollari di “beni in difficoltà”, un eufemismo che in realtà significa coprire le nefandezze finanziarie commesse dalle grandi banche e dai grandi speculatori di Wall Street. Poco dopo, il neo-eletto presidente Barack Obama appioppò alla sua nazione nel 2009 il “Recovery and Reinvestment Act”, un piano da 900 miliardi, il più vasto programma finanziario del genere nell’intera storia americana.Obama dichiarò: «Quattrocentomila uomini e donne stanno per mettersi al lavoro per la ricostruzione delle nostre strade e dei nostri ponti fatiscenti, per la riparazione delle nostre dighe e i nostri argini instabili, per portare la banda larga alle imprese e alle famiglie in quasi tutte le comunità degli Stati Uniti d’America, per ammodernare i nostri sistemi di trasporto di massa e per la costruzione di linee ferroviarie ad alta velocità in grado di migliorare gli spostamenti e il commercio in tutta la nostra nazione». Le uniche ‘strade’ che quel trilione di dollari ha riparato veramente sono quelle di Wall Street. Allo stesso tempo, la Federal Reserve statunitense ha portato i tassi di interesse ai minimi storici e ha lanciato politiche di allentamento monetario senza precedenti, che hanno alimentato un boom di Wall Street al costo di Main Street. Il Dow è salito da 8.000 nel 2009 a 18.000 nel 2014, mentre si stima che il 95% dei guadagni è andato all’1% della popolazione degli Stati Uniti.Tuttavia, nello stesso periodo, il prodotto interno lordo ha arrancato intorno a una media del 2,2 %, senza mai dar segno di quel rialzo di cui tanto parlano e si vantano quelli di Washington e la stampa finanziaria. A seguito del piano della Fed, il programma monetario ‘Abenomico’ giapponese annunciato nel dicembre del 2012, ha ottenuto risultati simili. Il Nikkei recentemente ha raggiunto picchi mai toccati da 15 anni a questa parte, mentre il Pil del Giappone oscilla tra cadute improvvise e tiepidi rialzi. Ora, la Banca Centrale Europea ha avviato un programma di Qe (quantitative easing, allentamento monetario) che inietterà 1.300 miliardi di dollari nel sistema finanziario nel corso dei prossimi 16 mesi – e forse anche più a lungo, se sarà ritenuto necessario. Il risultato finale, come per Usa e Giappone, sarà lo stesso: i tassi d’interesse ai minimi storici e il flusso di denaro ‘facile’ faranno rialzare temporaneamente i mercati azionari, mentre le economie dell’Eurozona oscilleranno tra moderata crescita e nuova recessione.I più grandi perdenti in tutto questo saranno i comuni cittadini, senza più un posto sicuro dove mettere i propri risparmi e con sempre più banche europee che ‘pagano’ alcuni selezionati clienti per poter tenere il loro denaro. E con le obbligazioni che ripagano i rendimenti negativi, le compagnie di assicurazione che vendono prodotti e rendite e investono quel denaro in obbligazioni governative e societarie – con l’aspettativa che il rendimento delle obbligazioni sia maggiore di quello che dovranno pagare per l’assicurato – il danno è assicurato. In previsione del piano di Qe del presidente della Banca Centrale Europea Mario Draghi, che ammette si tratti di un piano “non convenzionale”, gli investitori (o meglio i giocatori d’azzardo di alto bordo) hanno già pompato circa 36 miliardi di dollari nei mercati azionari europei.Nel frattempo, l’uomo della strada ha appena visto il suo potere d’acquisto scendere drammaticamente a mano a mano che l’euro continua la sua caduta libera, da 1,39 dollari lo scorso marzo a un recente minimo di 1,04 , con la previsione che nel futuro – non troppo lontano – vada in parità o scenda anche al di sotto del dollaro. Breaking Point 2.0. Le iniezioni multi-trilionarie di dollari da parte delle banche centrali, le politiche a tasso zero, i tassi d’interesse negativi, i rendimenti obbligazionari negativi e i fiumi di dollari a basso prezzo che gonfiano artificialmente i mercati azionari e alimentano i giochi perversi di investimenti di capitali/private equity/hedge fund, hanno già avuto dei precedenti nella storia del mondo. E quando sulla terra esplode la Grande Bolla Speculativa, lo scoppio si avverte in tutto il mondo – e per generazioni.(Gerald Celente, “Il tuo denaro, la tua vita”, da “Information Clearing House” del 26 marzo 2015, ripreso da “Come Don Chisciotte”. Fondatore e direttore del “Trends Research Institute”, autore di “Trends 2000” e “Trend Tracking” nonché editore del “The Trends Journal”, Celente fa previsioni economiche e finanziarie fin dal 1980 e di recente ha pubblicato “Il Collasso del ‘09”).Non è mai accaduto niente di simile nella storia del mondo. Sotto gli occhi di tutti, e a spese di tutti, i governi continuano a razziare ingenti ricchezze per arricchire i responsabili dei più efferati crimini e nefandezze economico-finanziarie. Prima c’era la Tarp. Come pretesto per arginare le turbolenze nel mercato azionario dopo il collasso di Lehman Brothers nel settembre 2008, il presidente George W. Bush approvò solo un mese dopo il “Troubled Asset Relief Program”. Il piano permise al Tesoro degli Stati Uniti di assicurare 700 miliardi di dollari di “beni in difficoltà”, un eufemismo che in realtà significa coprire le nefandezze finanziarie commesse dalle grandi banche e dai grandi speculatori di Wall Street. Poco dopo, il neo-eletto presidente Barack Obama appioppò alla sua nazione nel 2009 il “Recovery and Reinvestment Act”, un piano da 900 miliardi, il più vasto programma finanziario del genere nell’intera storia americana.