Archivio del Tag ‘aziende’
-
L’influenza stagionale uccide 1.000 volte più del coronavirus
Se il coronavirus si rivela grave, poiché al momento non sembra esserlo, molte economie potrebbero essere influenzate negativamente. La Cina è la fonte di molte parti fornite ai produttori di altri paesi e la Cina è la fonte dei prodotti finiti di molte aziende statunitensi come Apple. Se non è possibile effettuare spedizioni, le vendite e la produzione al di fuori della Cina ne risentono. Senza entrate, i dipendenti non possono essere pagati. A differenza della crisi finanziaria del 2008, si tratterebbe di una crisi di disoccupazione e di un fallimento delle grandi società manifatturiere e commerciali. Questo è il pericolo a cui il globalismo ci rende vulnerabili. Se le società statunitensi producessero negli Stati Uniti i prodotti che commercializzano negli Stati Uniti e nel mondo, un’epidemia in Cina influenzerebbe solo le loro vendite cinesi, non minaccerebbe i ricavi delle società. Le persone sconsiderate che hanno costruito il “globalismo” hanno trascurato che l’interdipendenza è pericolosa e può avere enormi conseguenze indesiderate. Con o senza un’epidemia, le forniture possono essere tagliate per una serie di motivi. Ad esempio, scioperi, instabilità politica, catastrofi naturali, sanzioni e altre ostilità come guerre e così via.Chiaramente, questi pericoli per il sistema non sono giustificati dal minor costo del lavoro e dalle conseguenti plusvalenze per gli azionisti e bonus per i dirigenti aziendali. Solo l’uno per cento beneficia del globalismo. Il globalismo è stato costruito da persone motivate dall’avidità a breve termine. Nessuna delle promesse del globalismo è stata mantenuta: il globalismo è un errore enorme. Tuttavia, quasi ovunque i leader politici e gli economisti sono protettivi nei confronti del globalismo. Questo per quanto riguarda l’intelligenza umana. A questo punto, è difficile comprendere l’isteria sul coronavirus e le previsioni della pandemia globale. In Cina ci sono circa 24.000 infezioni e 500 morti in una popolazione di 1,3 miliardi di persone. Questa è una malattia insignificante. Rispetto alla normale influenza stagionale che infetta milioni di persone in tutto il mondo e uccide 600.000, il coronavirus finora non equivale a nulla. Le infezioni al di fuori della Cina sono minuscole e sembrano essere limitate ai cinesi. È difficile sapere con certezza, a causa della riluttanza a identificare le persone per razza. Eppure la Cina ha vaste aree in quarantena e i viaggi da e verso il paese sono limitati.Nulla di simile a queste precauzioni è preso contro l’influenza stagionale. Finora questa stagione influenzale nei soli Stati Uniti 19 milioni di persone sono state ammalate, 180.000 ricoverate in ospedale e 10.000 sono morte. L’ultimo rapporto è che 16 persone negli Stati Uniti (forse tutti cinesi) hanno avuto il coronavirus, e nessuno è morto. Forse il coronavirus si sta appena scaldando e molto peggio deve arrivare. In tal caso, il Pil mondiale subirà un colpo. Le quarantene impediscono il lavoro. I prodotti e le parti finiti non possono essere realizzati e spediti. Le vendite non possono avvenire senza prodotti da vendere. Senza entrate le aziende non possono pagare dipendenti e altre spese. I redditi diminuiscono in tutto il mondo. Le aziende falliscono. Se scoppia una micidiale pandemia di coronavirus o di qualosa’altro e c’è una depressione mondiale, dovremmo essere molto chiari nella nostra mente che il globalismo ne sarà stata la causa. I paesi i cui governi sono così sconsiderati o corrotti da rendere le loro popolazioni vulnerabili a eventi dirompenti all’estero sono instabili dal punto di vista medico, economico, sociale e politico. La conseguenza del globalismo è l’instabilità mondiale.(Paul Craig Roberts, “La conseguenza del globalismo è l’instabilità mondiale”, dal blog di Craig Roberts del 5 febbraio 2020).Se il coronavirus si rivela grave, poiché al momento non sembra esserlo, molte economie potrebbero essere influenzate negativamente. La Cina è la fonte di molte parti fornite ai produttori di altri paesi e la Cina è la fonte dei prodotti finiti di molte aziende statunitensi come Apple. Se non è possibile effettuare spedizioni, le vendite e la produzione al di fuori della Cina ne risentono. Senza entrate, i dipendenti non possono essere pagati. A differenza della crisi finanziaria del 2008, si tratterebbe di una crisi di disoccupazione e di un fallimento delle grandi società manifatturiere e commerciali. Questo è il pericolo a cui il globalismo ci rende vulnerabili. Se le società statunitensi producessero negli Stati Uniti i prodotti che commercializzano negli Stati Uniti e nel mondo, un’epidemia in Cina influenzerebbe solo le loro vendite cinesi, non minaccerebbe i ricavi delle società. Le persone sconsiderate che hanno costruito il “globalismo” hanno trascurato che l’interdipendenza è pericolosa e può avere enormi conseguenze indesiderate. Con o senza un’epidemia, le forniture possono essere tagliate per una serie di motivi. Ad esempio, scioperi, instabilità politica, catastrofi naturali, sanzioni e altre ostilità come guerre e così via.
-
Magaldi: leader effimeri per false guerre, così perde l’Italia
Tra gli scontati vincitori delle regionali in Emilia ci sono le Sardine, che non chiedono nulla tranne una cosa: l’espulsione di Salvini. I ragazzi per cui Prodi fa il tifo vorrebbero la squalifica a vita del leader leghista, un animale politico da cartellino rosso: indegno, incivile, nazista e cannibale. L’interessato anche stavolta ci ha messo del suo per alimentare l’equivoco, scatenando una caccia alle streghe porta a porta, edizione 2020: il suo “dagli all’untore” (tunisino) gli avrà sicuramente alienato simpatie tra gli osservatori garantisti che alla Lega hanno guardato come a una possibile alternativa sistemica, contro le regole truccate dell’Ue che condannano tanti giovani italiani, Sardine in primis, a cercarsi un futuro all’estero. Comunque, tranquilli: come volevasi dimostrare, in Emilia non è successo niente. Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt, era stato il primo a spegnere gli entusiasmi salviniani per le regionali: era praticamente impossibile che qualche estraneo riuscisse a sfrattare il blocco di potere che regna sugli emiliani dal 1945. Se non altro, dice Magaldi, Salvini è riuscito a mettere il sale sulla coda a Bonaccini e compagni. Ma il tracollo parallelo dei 5 Stelle ricicla un vecchio film inguardabile: la finta sfida tra il sedicente centrosinistra e l’altrettanto immaginario centrodestra.Attenzione: il cosiddetto bipolarismo italiano (solo formale, mai sostanziale) ha fatto della famigerata Seconda Repubblica un posto dove si sta peggio, non si cresce più, dilaga la disoccupazione, le crisi industriali non hanno soluzione. E’ la cancrena dell’austerity Ue, imposta in modo subdolo del potere economico neoliberista attraverso le direttive della Commissione Europea e il rigore suicida nei conti pubblici, dopo la catastrofe nazionale delle privatizzazioni varate da Prodi e Draghi. Un sistema deprimente (che infatti ha prodotto solo recessione, più debito e più tasse) a cui non si sono mai opposti né Berlusconi né i suoi presunti oppositori, da Prodi a Gentiloni. Ora ci risiamo, con la santa alleanza contro il demonio Salvini, male assoluto della politica italiana e quindi degno erede del Cavaliere? Di questo passo le cose andranno sempre peggio, avverte Magaldi, in video-chat su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights”: l’Italia non può certo uscire dal tunnel con l’ennesima stagione di schermaglie-fuffa tra due schieramenti ben decisi, entrambi, a non cambiare proprio niente. Se Salvini vuole voltare pagina, che ci sta a fare col vecchio Silvio e con i cascami del tradizionalismo polveroso, tra gli anacronismi del “popolo della famiglia” e le ridicole crociate contro la cannabis?A Magaldi non piace nemmeno la predilezione salviniana per il sistema elettorale maggioritario, che oggi premierebbe la Lega come primo partito: meglio un sistema totalmente proporzionale, magari compensato dell’elezione diretta del presidente della Repubblica. Un sistema che dia voce a tutti, restituendo piena dignità a un Parlamento sempre più precario, con deputati e senatori non più tutelati completamente dall’immunità e in più falcidiati dall’incombente taglio dei seggi, che farebbe eleggere inevitabilmente solo i candidati più vicini ai leader, riducendo ulteriormente la dialettica democratica. A proposito: anche Salvini, dice Magaldi, rischia di soffrire della stessa sindrome “liquida” che ha colpito Di Maio e, prima ancora, Renzi. Successi-lampo, con numeri strabilianti: i 5 Stelle al 33% nel 2018, il Pd renziano addirittura al 41% nella precedente tornata delle europee. E poi? Il tonfo: oggi basta un attimo, e si cade. Ieri sembravi il padrone assoluto della scena, ma già domani sei ridotto all’elemosina elettorale, come Di Maio e colleghi, o a fare piccoli giochi di palazzo come l’ex Rottamatore fiorentino. La loro colpa? Troppe parole al vento: solo proclami altisonanti, tutto fumo e niente arrosto. Di Maio doveva “sconfiggere la poverità”, con le briciole del suo patetico reddito di cittadinanza. E Matteo Renzi, zerbino della Merkel e dei grandi privatizzatori, non aveva forse promesso di riscattare la sovranità economica del made in Italy?La verità, osserva Magaldi, è che gli italiani – almeno, quelli che chiedono di cambiare tutto – esprimono un voto essenzialmente di speranza. Prima Renzi, poi Di Maio e ora Salvini: cambiali in bianco e suffragi temporanei, concessi in modo condizionato. Inevitabile la delusione, in tempi rapidissimi: Renzi nella polvere, “asfaltato” dal referendum, e Di Maio ora in fuga dal politburo grillino. Salvini? Rischia anche lui, specie se – ridando vita al cadavere del centrodestra – si auto-condanna a non incidere in nulla, nella dialettica decisiva con i poteri che reggono l’Ue e massacrano abitualmente l’Italia. Come Renzi e Di Maio, anche Salvini ha essenzialmente abbaiato alla luna, chiedendo più deficit per finanziare il rilancio del paese, senza però ottenere nulla. Su questo, Magaldi ha le idee chiare: la governance Ue va sfidata in modo frontale, visto che l’Italia ha bisogno di investimenti immediati per 200 miliardi di euro, scomputabili dal debito. Il paese cade a pezzi, ha bisogno di infrastrutture strategiche e milioni di posti di lavoro. Il Movimento Roosevelt sogna la piena occupazione, sorretta da un intervento pubblico di tipo keynesiano. Persino Draghi, oggi, riconosce che i tagli sono l’anticamera del disastro. Sintetizza Magaldi: se tutti i cittadini, a prescindere dal loro reddito, percepissero 500 euro mensili (con l’obbligo di spenderli subito), l’iniezione di liquidità farebbe volare i consumi e il lavoro, ripagando poi abbondantemente, con le tasse, l’investimento iniziale.C’è qualcuno che oggi è in grado di fare discorsi del genere, a parte Magaldi? Forse – di nuovo – lo stesso Draghi: fino a ieri, massimo architetto della drammatica austerità europea, e ora invece pronto, a parole, a tornare sui suoi passi, aprendo addirittura alla Modern Money Theory, la spesa statale illimitata per rianimare l’economia inondandola di soldi creati dal nulla. Eresia pura, in un’Europa dove i grandi poteri privatistici controllano la stessa Bce, organizzando la scarsità artificiosa della moneta a scopo speculativo, facendo soffrire il 90% delle famiglie e delle aziende e impedendo agli Stati di recuperare la sovranità finanziaria che è indispensabile per governare davvero i paesi. Insegneremo agli italiani come votare, disse il commissario tedesco Günther Oettinger nel 2018, inviperito per lo squillante successo gialloverde. Gli fece eco Sergio Mattarella, bloccando la nomina di Paolo Savona all’economia, sgradito ai santuari europei del rigore: l’ultima parola – sostenne il capo dello Stato – spetta ai mercati finanziari, dunque non al cittadino-elettore che si illude di scegliersi democraticamente il proprio governo. Ancora un anno fa, il consenso al governo gialloverde superava il 60%: un record storico. Risultati? Zero, tranne la Quota 100 strappata da Salvini sulle pensioni. Poi il film ha proposto il Papeete e l’orrendo Conte-bis: il trasformismo sfacciato e traditore, prono ai diktat di Bruxelles. Ora siamo alle comiche finali, dice Magaldi, se qualcuno pensa davvero alla riedizione del grottesco: centrodestra e centrosinistra che fingono di litigare, ma di fatto obbediscono entrambi ai soliti nemici dell’Italia.Tra gli scontati vincitori delle regionali in Emilia ci sono le Sardine, che non chiedono nulla tranne una cosa: l’espulsione di Salvini. I ragazzi per cui Prodi fa il tifo vorrebbero la squalifica a vita del leader leghista, un animale politico da cartellino rosso: indegno, incivile, nazista e cannibale. L’interessato anche stavolta ci ha messo del suo per alimentare l’equivoco, scatenando una caccia alle streghe porta a porta, edizione 2020: il suo “dagli all’untore” (tunisino) gli avrà sicuramente alienato simpatie tra gli osservatori garantisti che alla Lega hanno guardato come a una possibile alternativa sistemica, contro le regole truccate dell’Ue che condannano tanti giovani italiani, Sardine in primis, a cercarsi un futuro all’estero. Comunque, tranquilli: come volevasi dimostrare, in Emilia non è successo niente. Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt, era stato il primo a spegnere gli entusiasmi salviniani per le regionali: era praticamente impossibile che qualche estraneo riuscisse a sfrattare il blocco di potere che regna sugli emiliani dal 1945. Se non altro, dice Magaldi, Salvini è riuscito a mettere il sale sulla coda a Bonaccini e compagni. Ma il tracollo parallelo dei 5 Stelle ricicla un vecchio film inguardabile: la finta sfida tra il sedicente centrosinistra e l’altrettanto immaginario centrodestra.
-
Sos dai vignaioli: i dazi di Trump condannano il vino italiano
Siamo vignaioli italiani, piccoli e grandi, proveniamo da tutte le Regioni italiane e abbiamo un unico, comune obiettivo: produrre vini di grande qualità che contribuiscano all’economia del nostro paese e al consolidamento della sua reputazione nel mondo. Gli Stati Uniti sono un mercato estremamente importante per i nostri vini, un mercato che insieme alle nostre famiglie abbiamo costruito con fatica, impegno quotidiano ed enorme investimento di tempo e risorse, con quelle che fino a pochi giorni fa consideravamo come prospettive di sviluppo per gli anni a venire che avrebbero garantito lavoro e reddito per noi e per i nostri collaboratori. In questi giorni assistiamo sconcertati agli sviluppi della disputa DS316 presso la Wto, riguardante “European Communities and Certain member States — Measures Affecting Trade in Large Civil Aircraft”. Una disputa in cui il vino, insieme ad altri prodotti agroalimentari di origine europea, è solo una vittima collaterale. Il valore dell’export agroalimentare dall’Europa verso gli Stati Uniti si aggira sui 22 miliardi di euro; di questi, il valore del vino europeo è pari a 4 miliardi, e pesa per il 75% sulle complessive importazioni statunitensi di vino. L’Italia, con oltre 1,7 miliardi di euro, è il secondo esportatore di vino dopo la Francia.Sono numeri impressionanti, che rappresentano il lavoro di migliaia di aziende con decine di migliaia di addetti; piccole aziende, per la maggior parte, che costituiscono il tessuto fondamentale dell’agricoltura italiana. Sono piccole aziende che non soltanto generano reddito per i produttori e i loro collaboratori: esse sono custodi dei territori nei quali operano, difendono il nostro paese dal dissesto idrogeologico, presidiano lecampagne impegnandosi nella difesa dei suoli e contribuiscono a moderare gli effetti del cambiamento climatico. Inoltre, esportando i loro prodotti, concorrono a consolidare la reputazione dell’Italia nel mondo, promuovono la nostra cultura e mantengono solidi rapporti con i nostri connazionali all’estero, si fanno ambasciatori di uno stile alimentare (la dieta mediterranea) e di vita che genera, in cambio, consistenti flussi turistici, un altro settore fondamentale per il nostro paese. Tutto questo oggi è a rischio. L’incremento del 100% dei dazi statunitensi sull’importazione di vini ed altri prodotti agroalimentari europei rischia di distruggere in breve tempo quanto abbiamo costruito in decine d’anni di lavoro e impegno costante. Dazi che non sono legati a dinamiche interne al settore agroalimentare, ma che vengono trasferire ad esso come misura di rappresaglia commerciale per i sussidi che alcuni paesi europei hanno erogato all’industria aeronautica.Tutto questo è profondamente sbagliato. La viticoltura italiana non può diventare la merce di scambio sul tavolo dell’industria aeronautica o di quella delle digital companies, e i vignaioli italiani non devono diventare le vittime di una guerra iniziata su altri fronti, e che dovrebbe essere risolta attraverso mediazioni condotte su ampia scala. Noi diciamo no a questa guerra commerciale, e ci schieriamo al fianco dei nostri importatori e distributoriamericani, che in queste settimane hanno avviato numerose campagne di informazione e sensibilizzazione nei confronti dell’amministrazione Usa e della Ustr, alle quali sono state indirizzate migliaia di commenti e di appelli affinché i nuovi dazi non entrino mai in vigore, e affinché vengano sospesi i dazi del 25% già in essere per alcuni vini europei. Chiediamo ai nostri rappresentanti al governo nazionale e in Europa di farsi immediatamente carico di una questione capace di devastare tutto il comparto vinicolo continentale, e che non lascerà indenni nemmeno i mercati più lontani dagli Usa per via della necessità di ricollocare rapidamente e improvvisamente i prodotti destinati oltre Atlantico, con intuibili e irreversibili ripercussioni sui prezzi e sulle nostre quote di mercato.(”Aiutaci a difendere il vino e chi ci lavora!”, petizione lanciata su Change.org da 100 viticoltori italiani, in poche ore sottoscritta da migliaia di produttori e consumatori italiani).Siamo vignaioli italiani, piccoli e grandi, proveniamo da tutte le Regioni italiane e abbiamo un unico, comune obiettivo: produrre vini di grande qualità che contribuiscano all’economia del nostro paese e al consolidamento della sua reputazione nel mondo. Gli Stati Uniti sono un mercato estremamente importante per i nostri vini, un mercato che insieme alle nostre famiglie abbiamo costruito con fatica, impegno quotidiano ed enorme investimento di tempo e risorse, con quelle che fino a pochi giorni fa consideravamo come prospettive di sviluppo per gli anni a venire che avrebbero garantito lavoro e reddito per noi e per i nostri collaboratori. In questi giorni assistiamo sconcertati agli sviluppi della disputa DS316 presso la Wto, riguardante “European Communities and Certain member States — Measures Affecting Trade in Large Civil Aircraft”. Una disputa in cui il vino, insieme ad altri prodotti agroalimentari di origine europea, è solo una vittima collaterale. Il valore dell’export agroalimentare dall’Europa verso gli Stati Uniti si aggira sui 22 miliardi di euro; di questi, il valore del vino europeo è pari a 4 miliardi, e pesa per il 75% sulle complessive importazioni statunitensi di vino. L’Italia, con oltre 1,7 miliardi di euro, è il secondo esportatore di vino dopo la Francia.
-
Come rinascere, nel bosco: la scuola di Michele Giovagnoli
Memoria ancestrale: ricordare cosa eravamo, per scoprire chi siamo. Meta: diventare “genitori di se stessi”, acquisendo una consapevolezza mai prima sfiorata. E’ il dono segreto del bosco, secondo la ricetta del naturalista e alchimista Michele Giovagnoli, pioniere dell’educazione ambientale, autore nel 2003 del primo progetto-pilota del ministero dell’ambiente per trasformare la natura in un’aula didattica a cielo aperto. E’ a suo agio anche tra scuole e aziende, lavoratori stressati dall’ufficio, sportivi di varie nazionali (italiane e straniere) da preparare per le gare aiutandoli ad acquisire una marcia in più, grazie al contatto con gli alberi. Da sempre appassionato conoscitore della vita selvatica, ha istituito una sorta di “presidio devozionale” itinerante: tra il 2018 e il 2019 ha fatto il giro d’Italia, isole comprese, per “incontrare” 366 alberi monumentali, spesso protetti dalle attenzioni quotidiane dei loro custodi. Abile trainer, padrone delle più avanzate tecniche psicologiche, ha lavorato con 30.000 bambini. Ed è proprio la vocazione pedagogica il fondamento della sua ultima invenzione, l’Accademia Genitore Albero (concepita a numero chiuso, e subito “sold out”). Immersione teorico-pratica: 6 weekend, per un totale di 56 ore, nella quiete delle foreste di Carpegna, a due passi da San Marino, tra i silenzi della dorsale appenninica.
-
Carpeoro: se fossi Mattarella. Più Stato, Italia da ribaltare
Se alla presidenza della Repubblica, oltre che una persona per bene, ci fosse anche uno statista, si preoccuperebbe di fare un’inversione di rotta, una specie di rivoluzione copernicana, per la quale l’Italia dovrebbe cominciare a pensare al proprio futuro in termini diversi. L’Italia dovrebbe darsi il coraggio di affermare delle priorità diverse dalle attuali, e in base alle quali richiedere con fermezza ciò che le è necessario. L’Italia non riceverà le risorse che dovrebbe ricevere dai meccanismi finanziari del progetto generale europeo, e invece queste risorse le servono disperatamente. L’Italia ha il suo Welfare State gravemente pregiudicato dal fatto che l’Inps è in stato pre-fallimentare. L’Italia non ha fatto nessun investimento produttivo, negli ultimi anni: ha i cantieri fermi, le grandi opere, i trasporti, le infrastrutture ferme. Tutto è vecchio, desueto, e niente è in grado di produrre innovazione. Ci vorrebbe un cambiamento di paradigma molto forte, con dei segnali che inevitabilmente ci metterebbero in conflitto con le burocrazie europee: ma nella vita i conflitti bisogna affrontarli, sia pure in modo incruento. L’Italia deve capovolgere una serie di cose: deve capovolgere parzialmente la logica delle privatizzazioni riducendole al minimo, deve rifare subito il ministero delle partecipazioni statali, deve ripristinare l’Iri (e possibilmente non farla presiedere mai più a Prodi).
-
Basta fango: se tutti i partiti si unissero per salvare il paese
Fango su fango, per produrre altro fango, lungo un desolato orizzonte di fango. Tutto è uguale a niente, ormai? Buio sul povero Giulio Regeni, massacrato in Egitto: anni di parole contro il truce regime del Cairo, e silenzio assordante sugli elusivi committenti di Giulio, le ambigue e reticenti agenzie di Cambridge che probabilmente lo mandarono al macello, a sua insaputa. Fango su fango, anche se si vuole inquadrare il martirio dei migranti: tutto sembra risolversi nell’insulso derby violento all’italiana, pro o contro Salvini, senza uno sputo di analisi sull’immane tragedia dell’Africa. Solo maschere, per questo piccolo avanspettacolo nutrito di personaggi come Carola Rackete e Greta Thunberg (perfetta, la svedese, per eludere – con il suo dogma climatico – il vero dramma dell’avvelenamento terrestre). A vincere è il fango, declinato ovunque. Fango sulla Russia, anche in salsa olimpionica: tutto si esaurisce negli ipotetici Russiagate, senza che nessuno si interroghi sul ruolo di Mosca, di Bruxelles, di Berlino e di Washington. I media fotografano una società che, anziché pensare, insulta. Fango su Trump, per le presunte intrusioni in Ucraina, dopo che il paese fu travolto da una rivoluzione colorata, progettata a tavolino e finita con la consegna del gas ucraino al figlio di Joe Biden, allora vice di Obama. Fango su tutti, a turno: sui siriani e gli iracheni, sui palestinesi, sui curdi.Fango e morte per i libici, gli yemeniti, gli stessi europei fatti a pezzi nelle piazze dal sedicente Isis, sotto il naso di polizie distratte. Fango e botte, per buon peso: sprangate in faccia ai manifestanti di Hong Kong e a quelli di Parigi. C’è chi la chiama terza guerra mondiale a rate, a puntate, a geometria variabile. Con tanto sangue, e soprattutto fango, a ogni latitudine. La piccola Italia (non così piccola, ma rimpicciolita dagli stregoni dell’Ue) diventa addirittura microscopica, nella fanghiglia della sua non-politica di ieri e di oggi. Non un partito vero, che pensi al domani: tutto è fermo alle elezioni del giorno dopo. Sondaggi, telegiornali, talkshow. Il non-governo attanagliato dal terrore del voto, l’opposizione che non va oltre l’ovvio disgusto per le non-decisioni dei prestanome che occupano i palazzi. La cosiddetta crisi morde sempre di più: acciaierie in panne e banche sull’orlo del tracollo, viadotti che si schiantano, fabbriche che chiudono, industrie che scappano all’estero per pagare meno (sia il lavoro che le tasse). Politica assente: massima irrisione, la non-protesta delle Sardine. Una beffa grottesca: festicciole e canzoni, al funerale dell’Italia.Uno spettacolo surreale, offerto al mondo che ci guarda, e che osserva la nostra incapacità strutturale di leggere la crisi, di riconoscerne i mandanti e gli esecutori. Attaccano Salvini, i dimostranti ipnotizzati dalla disinformazione: se la prendono con un micro-leader che domani forse non esisterà nemmeno più, e che comunque (questa la sua colpa) non ha ancora fatto assolutamente niente per restituire al paese una visione precisa, nonché una strategia su come uscire dall’oceano di fango nel quale sta affondando. Quel che non si perdona, alla Lega, è di essere l’unico partito a suo modo vitale, legittimato dal consenso? In effetti sembra fuori posto, questa Lega – prontamente assediata dalle inchieste – nell’Italia dell’anonimo e cardinalizio Conte, dell’esanime Zingaretti, della caricatura Renzi, degli zombie un po’ cialtroni che fino a ieri promettevano un mondo a 5 stelle. Altro? Macché. Fango per tutti, a reti unificate, senza sforzarsi di capire perché siamo finiti così in basso. Cos’è il debito pubblico? Cosa sono l’Eurozona, il Mes, la Brexit, il Fiscal Compact, il pareggio di bilancio? Cos’è davvero l’avanzo primario, che da quasi trent’anni fa sì che lo Stato prelevi dai cittadini, sotto forma di tasse, più di quanto il governo non spenda, per gli italiani, in termini di servizi?Economia, questa sconosciuta: deve provvedere Mario Draghi, nientemeno, a suggerire che la via d’uscita può essere dalla parte opposta, rispetto al plumbeo rigorismo della Bce. Proprio lui, Draghi, è come se dicesse: ci si salva facendo l’esatto contrario di quel che ho fatto io, in tutti questi anni, prima al Tesoro e poi a Bankitalia, quindi a Francoforte. Modern Money Theory: emissione illimitata di liquidità, a costo zero. Altro che super-tasse, altro che austerity imposta per volere divino. Deficit positivo: vuol dire soldi da investire, lavoro, consumi, economia (e alla fine, risanamento del bilancio). Il “nuovo” Draghi, keynesiano e sovranitario, potrebbe essere l’eroe perfetto, per le Sardine – per loro, e per chiunque aspiri a recuperare il senso delle cose, il contatto con la realtà (cos’è lo Stato e a cosa serve, come deve funzionare). “Prestatore di ultima istanza”: parole divenute antiche solo qui, in questa Europa nanizzata dall’Ue, dai trattati intangibili che la recintano, deprimendola. Atroce, storicamente, per un continente dove – tra Parigi e Londra – nacque la democrazia moderna, già incubata in modo larvale nel medioevo italiano dei Comuni, e poi evocata tra le barricate della Repubblica Romana. Mazzini e Garibaldi: non volevano forse una democrazia europea, di popoli fratelli? Sappiamo com’è andata: due guerre mondiali. Poi la pace tra le rovine, la ricostruzione, la prodigiosa rinascita nel Belpaese. Fino a quando, lassù, non s’è deciso che potesse bastare, e che dovessimo tornare a soffrire.Modern Money Theory: massima eresia. La sventola Draghi, e nessuno fiata. Nessuno lo intervista, lo interroga, lo incalza. Sarebbe la notizia del secolo, in teoria, in materia finanziaria. Certo, non è merce maneggevole per l’insultificio. Meglio il fango, certo: è tanto più comodo. Nel fango si sguazza un po’ tutti, perché non è difficile trovare il bersaglio adatto, visto il livello dello zoo politico. Sarebbe bello vedere un altro film. Gente che accetta di sedersi allo stesso tavolo, a discutere. Fine del tifo, della gara di rutti. Tema: rimettere insieme i frantumi. Unirsi, con un obbligo: cancellare la lavagna delle prossime elezioni, e mettersi a pensare. Trovare, insieme, il gusto del bicchiere mezzo pieno. Ce ne sarebbe, da studiare. Prima, però, converrebbe archiviare le bandiere. Si fa così, da sempre, quando si vuole la pace. Si mettono da parte i vecchi rancori, le liturgie rituali, le identità solo formali. Destra e sinistra: che senso hanno, oggi? Cos’ha fatto, di buono, il centrodestra di governo? E in cosa si è distinto, il centrosinistra, rispetto ai tagli sociali dell’era berlusconiana? Entrambe le fazioni hanno obbedito a diktat. L’hanno votata insieme, la legge Fornero. Hanno mostrato il medesimo rispetto reverenziale per lo sciagurato Patto di Stabilità, che in capo a dieci anni ha ridotto le strade dei paesi italiani a campi minati, dove si fa lo slalom tra le buche perché il Comune non ha i soldi per l’asfalto.Hanno ragione, le Sardine, a reclamare una diversa estetica, gentile e dialogante. Mancano il bersaglio, certo: sparano all’orso di cartone, senza avvedersi che il luna park è recintato come un lager, dove tutto è proibito. Siamo prigionieri, ecco il punto. Beninteso, prigionieri europei del terzo millennio: privilegiati, senza nessuna guerra in casa da settant’anni. Siamo persino liberi di parlare, di insultarci allegramente, di vomitare fango contro gli orsetti di cartone. Ma è tutto qui, quel che sappiamo fare? Non ci viene il sospetto che le nostre animose divisioni siano l’habitat perfetto, per chi vuole continuare a portarci via tutto? Nei decenni della sovranità relativa, monetaria, l’Italia divenne la quarta potenza industriale del pianeta. E questo, nonostante le sue piaghe: mafia, evasione fiscale di massa, corruzione dilagante della politica. Eppure il paese cresceva, tutti stavano meglio e sapevano che i figli avrebbero avuto ancora più opportunità. Il deficit aveva fatto da motore, e il mastodonte Iri era il volano di un’economia che trascinava migliaia di aziende. Poi hanno fatto a pezzi tutto, dando la colpa a noi: al debito delle cicale, alla mafia, agli evasori, ai politici corrotti.Con queste miserabili menzogne hanno eretto il recinto spinato dell’attuale luna park, su cui sventola la bandierina blu-stellata della cosiddetta Europa. Mafia, evasione, corruzione? Esattamente come prima. La differenza? Non possiamo più spendere. Il risultato è una specie di catastrofe: meno servizi, meno welfare, meno sanità, meno pensioni. Meno soldi, meno consumi, meno futuro, meno tutto. Rigore, tasse, delimitazioni assurde come la suprema frode del famigerato tetto del 3% alla spesa pubblica: pura invenzione di un’ideologia maligna, spacciata per norma scientifica, per legge economica. Balordo imbroglio, grazie al caos organizzato a tradimento. Dopo decenni di cospicue regalie statali, la grande industria se la svigna in Serbia, in Romania e in Polonia, dove le maestranze costano di meno. La Fiat scappa in Olanda, lasciando a secco il fisco del paese che l’ha coperta di miliardi per decenni. E che dire dell’inflessibile Germania? Trucca i suoi conti pubblici, facendo dimagrire il debito di Stato depennando quello delle Regioni e la spesa pensionistica. E noi in piazza, valorosamente, a intonare gli inni dell’antifascismo di un secolo fa, mentre i predoni del 2019 ridono degli italiani, ingenui incorreggibili.Che bello, se qualcuno mettesse in produzione l’altro film: quello che manca. Tutti seduti allo stesso tavolo. Di Maio e Renzi, Salvini e Zingaretti, la Meloni. Conferenza a reti unificate, per dire: signori, c’è un problema. Le regole vanno cambiate. Siamo tutti d’accordo, finalmente. Vogliamo salvare gli italiani, tornare alla democrazia reale dello Stato. Lanciare una democrazia continentale. Far nascere qualcosa che ancora non esiste: una Unione Europea, di gente che si aiuta. Bello e impossibile? Soltanto un sogno, un’utopia? Pure, proprio da lì si parte: sono i sogni a dissipare il fango. Il resto, poi, viene da sé. Di fronte a un orizzonte nuovo, chi mai perderebbe ancora tempo a vomitare insulti? Molto sta nel crederci, all’orizzonte amico. Serve qualcuno che innanzitutto lo disegni, faccia vedere quanto sarebbe attraente, e spieghi anche quali passi, esattamente, sarebbe necessario compiere, verso la meta. Prima, però, deve tornare il sole almeno nei pensieri: per metter fine al fango, alla paura, alla stupidità dell’odio. Sta a noi, la prima mossa: se scoppia la pace, si mette male per gli sfruttatori. Lo sanno bene, i padroni del luna park. Gli unici a non saperlo ancora, a quanto pare, siamo noi?(Giorgio Cattaneo, “Basta fango: se tutti i partiti italiani si unissero, per salvare il paese”, dal blog del Movimento Roosevelt del 18 dicembre 2019).Fango su fango, per produrre altro fango, lungo un desolato orizzonte di fango. Tutto è uguale a niente, ormai? Buio sul povero Giulio Regeni, massacrato in Egitto: anni di parole contro il truce regime del Cairo, e silenzio assordante sugli elusivi committenti di Giulio, le ambigue e reticenti agenzie di Cambridge che probabilmente lo mandarono al macello, a sua insaputa. Fango su fango, anche se si vuole inquadrare il martirio dei migranti: tutto sembra risolversi nell’insulso derby violento all’italiana, pro o contro Salvini, senza uno sputo di analisi sull’immane tragedia dell’Africa. Solo maschere, per questo piccolo avanspettacolo nutrito di personaggi come Carola Rackete e Greta Thunberg (perfetta, la svedese, per eludere – con il suo dogma climatico – il vero dramma dell’avvelenamento terrestre). A vincere è il fango, declinato ovunque. Fango sulla Russia, anche in salsa olimpionica: tutto si esaurisce negli ipotetici Russiagate, senza che nessuno si interroghi sul ruolo di Mosca, di Bruxelles, di Berlino e di Washington. I media fotografano una società che, anziché pensare, insulta. Fango su Trump, per le presunte intrusioni in Ucraina, dopo che il paese fu travolto da una rivoluzione colorata, progettata a tavolino e finita con la consegna del gas ucraino al figlio di Joe Biden, allora vice di Obama. Fango su tutti, a turno: sui siriani e gli iracheni, sui palestinesi, sui curdi.
-
La truffa 5 Stelle: il cancro che ha impedito il cambiamento
Quest’anno il Movimento 5 Stelle ha celebrato il decimo anniversario della sua nascita suicidandosi. Per andare al governo, s’è svenduto a tutti i Mattei che accusava d’avere distrutto il paese, portando Salvini al 33% dei votanti, e resuscitando Renzi. Ha dato via libera a tutte le rovinose Grandi Opere che prometteva di bloccare. Ha obbedito a tutti i diktat Ue, Usa, Nato, Bce, come il più diligente dei droni. Ha occupato tutte le poltrone, poltroncine, seggiole, seggiolini e sgabelli che è riuscito a raggiungere. Ha rifinanziato i lager libici. Ha illuso i riders, i truffati dalle banche, i terremotati, i lavoratori di centinaia di crisi aziendali, per poi abbandonarli. Ed ha ovviamente perduto tre quarti dei voti, riducendosi a cercare di ritirare la propria lista dalle elezioni regionali per eccesso di ribasso, come si fa coi titoli fallimentari in borsa. Un vero e proprio record.Ministro del lavoro, ministro dello sviluppo economico, ministro degli esteri, vicepremier, capo politico del M5S, anche la carriera di Luigi Di Maio è da record: in 18 mesi ha ricoperto ben cinque alte cariche, senza mai esercitarne davvero nessuna, perché totalmente privo delle capacità e delle competenze necessarie. Era più qualificato il cavallo senatore di Caligola. Al momento, Gigi il Fenomeno è commissariato da Grillo, che lo trattiene per un orecchio dallo scappare a iscriversi alla Lega insieme ai suoi “fedelissimi”. Incapaci, strafottenti, voltagabbana, quelli della banda di Maiana condividono tutte le principali caratteristiche del loro capo corrente, e sono fra i peggiori parassiti che la politica italiana abbia mai prodotto, il che è tutto dire. Con loro, il Movimento 5 Stelle è diventato l’infestazione che prometteva di debellare. La malattia di cui si fingeva la cura.Grillo cerca adesso pateticamente di salvarne i resti riciclandoli come minions del Pd, come d’alemiana “costola della sinistra”. Il Movimento 5 Stelle non è di sinistra. E non è neanche equidistante, trasversale, ortogonale, post-ideologico, o qualche altra stronzata del genere. Il Movimento 5 Stelle è di destra. Il qualunquismo è di destra. Ed è una truffa. Un buco nero che ha inghiottito e neutralizzato più d’un decennio di proteste e speranze che altrimenti avrebbero potuto fare la differenza. Dieci anni nei quali l’Italia sarebbe potuta cambiare davvero. Un’arma di distrazione di massa, che invece di realizzare il cambiamento promesso l’ha di fatto impedito. Il Movimento 5 Stelle è di destra, ed è una truffa. Quindi è l’alleato ideale del Pd.(Alessandra Daniele, “Decàde”, da “Carmilla” del 1° dicembre 2019).Quest’anno il Movimento 5 Stelle ha celebrato il decimo anniversario della sua nascita suicidandosi. Per andare al governo, s’è svenduto a tutti i Mattei che accusava d’avere distrutto il paese, portando Salvini al 33% dei votanti, e resuscitando Renzi. Ha dato via libera a tutte le rovinose Grandi Opere che prometteva di bloccare. Ha obbedito a tutti i diktat Ue, Usa, Nato, Bce, come il più diligente dei droni. Ha occupato tutte le poltrone, poltroncine, seggiole, seggiolini e sgabelli che è riuscito a raggiungere. Ha rifinanziato i lager libici. Ha illuso i riders, i truffati dalle banche, i terremotati, i lavoratori di centinaia di crisi aziendali, per poi abbandonarli. Ed ha ovviamente perduto tre quarti dei voti, riducendosi a cercare di ritirare la propria lista dalle elezioni regionali per eccesso di ribasso, come si fa coi titoli fallimentari in borsa. Un vero e proprio record.
-
Giovani servi contro i senior, in ufficio: guerra alla memoria
Leggo con malcelato fastidio e un senso di ribrezzo il post di una persona che si autodefinisce “owner trading room”. Così secondo lui la colpa di tutto questo è dovuta alla scarsa produttività di una popolazione che diventa sempre più anziana, come se il calo della produttività non fosse dovuto proprio alle politiche economiche di aziende con scarsa propensione all’innovazione, alla scarsa organizzazione ed efficienza produttiva, alla mediocrità del management, a dottrine economiche neoliberiste sbagliate, tassi d’interesse, difficoltà di finanziamento. No, le cause sono principalmente di una popolazione che non riesce a lavorare ai ritmi sempre più forsennati che una società malata impone. L’esperienza di una persona anziana, la capacità di problem solving che la maturità gli dà non viene minimamente presa in considerazione; conta, come nella migliore tradizione schiavistica dell’America confederata, la “forza produttiva” massima che la macchina “bestia umana” può produrre. L’uomo diventa lo strumento al servizio del moloc produttore, schiacciato da esso, non il contrario. L’anziano che non riesce (o non vuole, grazie alla sua esperienza e intelligenza che quest’ultima gli dà) assimilarsi i diktat deve venir eliminato, come il calciatore che non riesce a correre più come una volta: il 10% in meno di velocità non è ammissibile, come nelle migliori “tradizioni” di una Amazon…Così osserviamo la schizofrenia in base a cui da una parte si ritarda sempre più il pensionamento, dall’altra si tende a eliminare la persona “anziana” che non regge alla supposta produttività imposta. Quindi cosa facciamo di tutta questa massa di persone, “non più in grado” di reggere ai ritmi produttivi? La eliminiamo? E dopo, come già proposto da “eminenti soloni”, gli togliamo il diritto di voto? Nel più bel e illuminato esempio di uguaglianza, libertà, democrazia? Una società sana si avvale proprio di un equilibrato rapporto tra l’esperienza e la memoria storica di una parte anziana, e la freschezza e la capacità di portare nuove idee di una parte giovane. Ma è proprio la “memoria storica”, l’esperienza, a dare fastidio, perché questa tende a scoprire e sfatare abbastanza facilmente le cazzate fatte anche per inesperienza, pressapochismo e scarso buon senso, quindi l’inadeguatezza di chi dirige e non è facilmente manipolabile e indirizzabile come i giovani senza esperienza. Tra l’altro l’età anagrafica spesso abbaglia: ci sono anziani che sono più freschi, innovativi e “giovani mentalmente” di chi ha trent’anni meno di loro, e certi giovani che sono “vecchi” già a trent’anni.E non è vero che la persona più anziana pensa meno al futuro di una più giovane; forse invece di più, perché ha a cuore l’avvenire dei propri figli, dei propri nipoti, altrimenti non si sacrificherebbe per farli studiare, cosa che spesso non avviene in senso contrario. Il futuro per un giovane è cosa lontana nel tempo, con la prospettiva di una lunga vita da trascorrere; per un anziano il futuro è già domani, anche se non lo vedrà, ma sa che i suoi figli lo vedranno. Il modello più vicino che mi viene in mente è Pol Pot, (ma forse il giovane virgulto non l’ha mai sentito nominare), la Cambogia dove gli anziani, le persone con gli occhiali (intellettuali, quindi persone pensanti) venivano eliminate per selezionare una popolazione giovanissima, senza esperienza del passato per non far paragoni, e facilmente manipolabile e soggetta a lavaggio di cervello. Di contro mi viene in mente un bel film di fantascienza, “La fuga di Logan”, in cui in una società distopica venivano eliminati tutti i maggiori di trent’anni. Cosa si vuole quindi proporre? Quella società distopica? Certi film precorrono i tempi….Due esempi assolutamente reali: in una media azienda del Nord-Est il proprietario decide che l’Ebitda deve aumentare, così come la produttività. Cosa fa? Chiama un consulente della scuola bocconiana. Cosa fa il consulente? Quello che tutti noi sapremmo fare. Prende un foglio Excel con gli stipendi dei dipendenti e taglia il 20% delle persone con gli stipendi più alti – cioè, vista l’anzianità e l’abilità, quelle appunto più vecchie. Facile, no? Peccato che la produttività diminuisce con oggetti in cui sono sbagliati i progetti e macchinari che si fermano per non adeguata manutenzione, o per inadeguate tecniche di produzione magari di progetti sulla carta perfetti, senza contare il calo di motivazione e di senso di appartenenza all’azienda di tutto il personale rimanente. Secondo episodio, una grande azienda chiede a una piccola di produrre maniglie per mezzi di trasporto. La piccola azienda si accorge subito che i pezzi che le vengono commissionati potrebbero avere problemi di compatibilità con il progetto complessivo, e lo fa presente. Risposta: lasciate perdere, fate così; tutti gli ingegneri anziani e con esperienza sono stati prepensionati o mandati via, quelli rimasti non hanno esperienza e non sanno progettare bene nemmeno le cose più semplici. Quella azienda oramai non è più italiana, è stata venduta, appunto perché sempre meno produttiva.Nei tempi antichi erano gli anziani a governare (forse troppo, in effetti) perché erano dei “superstiti” che erano arrivati a quel punto perché avevano appreso dai propri errori, ne avevano fatto tesoro, avevano visto gli errori fatali altrui e insegnavano alle nuove generazioni a non ripeterli. Non è forse un caso che la Storia con la S maiuscola venga insegnata sempre meno (ed era stata tolta dagli esami di maturità). Una società senza storia è una società senza anima. Ma una cosa si può dire, a certi giovani virgulti: ricordatevi che voi siete gli anziani di domani, che è poco saggio avviare guerre generazionali al servizio di chi vi vuol blandire – meglio, inculcare – e asservirvi alla loro visione (che di solito sono a loro volta persone molto anziane ma anche molto potenti e facoltose). Non avete ancora la percezione che il tempo passa per tutti, avete dentro di voi un senso di immortalità (come l’avevo io) ma farete esattamente la stessa fine, espulsi dalle filiere produttive perché non riuscirete a sostenere ritmi ancor più forsennati. Negli occhi anziani che adesso accusate di essere la causa della scarsa produttività, potete scorgere i vostri futuri occhi e la vostra futura fine.(Roberto Hechich, “Giovani servi contro gli anziani, sul lavoro: guerra alla memoria”, dalla pagina Facebook del gruppo ufficiale del Movimento Roosevelt, 2 dicembre 2019).Leggo con malcelato fastidio e un senso di ribrezzo il post di una persona che si autodefinisce “owner trading room”. Così secondo lui la colpa di tutto questo è dovuta alla scarsa produttività di una popolazione che diventa sempre più anziana, come se il calo della produttività non fosse dovuto proprio alle politiche economiche di aziende con scarsa propensione all’innovazione, alla scarsa organizzazione ed efficienza produttiva, alla mediocrità del management, a dottrine economiche neoliberiste sbagliate, tassi d’interesse, difficoltà di finanziamento. No, le cause sono principalmente di una popolazione che non riesce a lavorare ai ritmi sempre più forsennati che una società malata impone. L’esperienza di una persona anziana, la capacità di problem solving che la maturità gli dà non viene minimamente presa in considerazione; conta, come nella migliore tradizione schiavistica dell’America confederata, la “forza produttiva” massima che la macchina “bestia umana” può produrre. L’uomo diventa lo strumento al servizio del moloc produttore, schiacciato da esso, non il contrario. L’anziano che non riesce (o non vuole, grazie alla sua esperienza e intelligenza che quest’ultima gli dà) assimilarsi i diktat deve venir eliminato, come il calciatore che non riesce a correre più come una volta: il 10% in meno di velocità non è ammissibile, come nelle migliori “tradizioni” di una Amazon…
-
Care Sardine, perché non vi rivolgete ai padroni dell’Italia?
Care Sardine, volete decidervi a dire qualcosa di importante? Ovvero: «Perché non vi rivolgete ai veri padroni delle cose italiane, a quelli che decidono cosa si fa in Italia, invece di polemizzare con questo o quello, come se il problema nostro fosse l’immigrazione o le eventuali tendenze neofasciste?». Per la cronaca: oggi le frange “nere” sono relegate in «minuscoli raggruppamenti dello 0,0%, che non esprimono nemmeno un parlamentare». Secondo Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt, «pensare di liquidare la Lega parlando di xenofobia e neofascismo è un’idiozia: la Lega non è né fascista né xenofoba, e il tema dell’immigrazione Salvini l’ha posto in termini democratici». Al movimento delle Sardine, piuttosto, una domanda netta: «Perché non scendete in piazza per chiedere una Costituzione politica europea, l’emissione degli eurobond per far sparire il ricatto dello spread e 200 miliardi di investimenti per l’Italia?». Servirebbero giusto per «rilanciare l’occupazione, fare manutenzione del territorio e riammodernare i trasporti». Insiste Magaldi: «Consiglierei alle Sardine di puntare il dito verso che coloro che davvero, dall’Europa e dalle grandi centrali della globalizzazione, hanno deciso politiche neoliberiste, mortificatrici dell’interesse collettivo italiano».Parlando a ruota libera in diretta web-streaming su YouTube, Magaldi vede con favore la mobilitazione giovanile delle piazze: sarebbe un peccato, dice, se tanta energia venisse sprecata solo in termini di interdizione contro la Lega, in vista delle regionali emiliane. Per inciso: «Non credo che la Lega possa vincere, in Emilia, una Regione peraltro governata piuttosto bene dagli amministratori locali del centrosinistra». Clamoroso, se Lucia Borgonzoni riuscisse a battere Stefano Bonaccini: «Sarebbe come se il Pd conquistasse il Veneto, o la Lombardia». Consultazioni irrilevanti, dunque? Tutt’altro: la posta in gioco, secondo Magaldi, non è la presidenza della Regione, ma il trend elettorale che emergerà. «E’ sull’aumento della Lega in Emilia Romagna che si misura il tipo di mutamento che sta avvenendo nella politica italiana», di cui non si potrà non tener conto. Alle ultime regionali, nel 2014, in Emilia la Lega ottenne il 19%. Stesso risultato alle politiche del 2018. Poi, un anno di governo ha “miracolato” Salvini agli occhi degli elettori emiliano-romagnoli: alle europee di maggio, la Lega è volata al 33,7%. Per questo, oggi – anche se Magaldi resta scettico – i sondaggi la accreditano addirittura come possibile vincitrice della gara.Partita chiusa, invece, per il Movimento 5 Stelle, su cui Grillo ha fatto calare il sipario commissariando Di Maio e zittendo chiunque non gradisca il menù imposto dall’Elevato. «Requiem per Grillo, a meno che una mattina non si svegli e dica ai suoi: abbiamo sbagliato tutto». Quello che doveva fare, secondo Magaldi, era una cosa sola: «Cambiare l’Europa in senso democratico, invocare politiche keynesiane e chiedere di stralciare gli investimenti dal computo del deficit». Ma non creda, Grillo, di cavarsela così, cioè emarginando l’inconsistente Di Maio: «Riorganizzare la dirigenza? Ai cittadini non importa se accanto a Di Maio ci sarà una cabina di regia. Per fare cosa, poi? Si continua a non dirlo». Per il presidente del Movimento Roosevelt, a certificare ulteriormente il fallimento dei penstastellati è la grottesca “santificazione” che Grillo fa dell’attuale premier: «Conte non ha un’idea di paese, e intanto l’Italia è in pieno declino: disoccupazione e consumi in calo, aziende che chiudono, infrastrutture e scuole fatiscenti, professionisti che faticano a farsi pagare». Se in Emilia la Lega crescerà ancora, è evidente che per Conte saranno guai.Care Sardine, volete decidervi a dire qualcosa di importante? Ovvero: «Perché non vi rivolgete ai veri padroni delle cose italiane, a quelli che decidono cosa si fa in Italia, invece di polemizzare con questo o quello, come se il problema nostro fosse l’immigrazione o le eventuali tendenze neofasciste?». Per la cronaca: oggi le frange “nere” sono relegate in «minuscoli raggruppamenti dello 0,0%, che non esprimono nemmeno un parlamentare». Secondo Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt, «pensare di liquidare la Lega parlando di xenofobia e neofascismo è un’idiozia: la Lega non è né fascista né xenofoba, e il tema dell’immigrazione Salvini l’ha posto in termini democratici». Al movimento delle Sardine, piuttosto, una domanda netta: «Perché non scendete in piazza per chiedere una Costituzione politica europea, l’emissione degli eurobond per far sparire il ricatto dello spread e 200 miliardi di investimenti per l’Italia?». Servirebbero giusto per «rilanciare l’occupazione, fare manutenzione del territorio e riammodernare i trasporti». Insiste Magaldi: «Consiglierei alle Sardine di puntare il dito verso coloro che davvero, dall’Europa e dalle grandi centrali della globalizzazione, hanno deciso politiche neoliberiste, mortificatrici dell’interesse collettivo italiano».
-
Sardine contro Uomo Nero, così i ladri festeggiano in eterno
Le Sardine ce l’hanno con Salvini, non con il cancro che ha sfigurato l’Italia mettendola in ginocchio. Ce l’hanno con Salvini, non con Prodi che ha smembrato l’Iri, facendo finire all’asta tutto quello che faceva funzionare il paese, dalla Montedison ad aziende come l’Ilva. Non ce l’hanno con Monti, che ha deturpato la Costituzione “più bella del mondo” piegandola al pareggio di bilancio, cioè all’obbligo di cessare di sostenere l’economia italiana. Ce l’hanno con Salvini, le Sardine, e non con Bersani, che – pur di sfrattare Berlusconi da Palazzo Chigi – accettò di lesionare il tessuto sociale ed economico sostenendo il governo Monti, la legge Fornero, il Fiscal Compact. Ce l’hanno con Salvini, non con Ciampi che tolse al paese il supporto finanziario della banca centrale, prima ancora di togliergli tutto il resto, vincolandolo alla tagliola di Maastricht che, da allora, ci ha fatto sprofondare nella crisi eterna: la fuga delle aziende e dei cervelli, le super-tasse, la catastrofe della disoccupazione e i tagli sanguinosi al welfare, fino alle buche nelle strade che oggi regalano all’Italia europea un aspetto sinistramente balcanico, con infrastrutture fatiscenti e viadotti che crollano seminando strage.Ce l’hanno con Salvini, le Sardine, e non con D’Alema e compagni che hanno regalato a piene mani le autostrade, i trasporti, l’industria, la telefonia e tutto il resto, nella foga di obbedire al potere internazionale che imponeva loro di liberarsi di quel che faceva dell’Italia la quarta potenza industriale del mondo, invidiata e temuta: un paese da cui non scappava nessuno, e dove l’avvenire dei figli era migliore di quello dei genitori. Ce l’hanno con Salvini, le Sardine, non con la Fiat che ora lascia l’Italia senza più un’industria nazionale dell’auto, dopo aver campato per decenni grazie ai cospicui contributi dello Stato. Ce l’hanno con Salvini, non con il sordomuto Zingaretti e il furbetto Renzi, il misterioso Conte che (non votato da nessuno) discute amabilmente con la Germania la revisione del Mes, il virtuale Fondo Monetario Europeo che domani potrebbe accollare ai contribuenti il debito dello Stato, radendo al suolo banche e risparmi. Ce l’hanno con Salvini, le Sardine, e non con Draghi, che della spremitura di carne umana negli ultimi decenni ha fatto una ragione di vita, una sorta di oscura religione, coadiuvato in Italia dall’ineffabile Giorgio Napolitano.Ce l’hanno con Salvini e non con Grillo e Di Maio, che in pochi mesi hanno tradito ogni promessa fatta agli elettori, cedendo su tutta la linea, dal gasdotto Tap all’obbligo vaccinale, dalle trivelle in Adriatico al Muos di Niscemi, dagli F-35 al Tav in valle di Susa. Ce l’hanno con Salvini, le Sardine, e non coi prestanome che in Parlamento obbediscono a Big Pharma nell’imporre vaccinazioni in batteria: in Puglia il 40% dei vaccinati è alle prese con reazioni avverse, e per la prima volta nella storia italiana 130.000 bambini sono stati esclusi dalle scuole materne. Ce l’hanno con Salvini, il Cazzaro Verde mirabilmente rappresentato dal formidabile “Fatto Quotidiano”, e non con l’omertà degli scaldasedie, reticenti e inerti di fronte alle preoccupazioni di cittadini e sindaci per l’avvento del wireless 5G. Ce l’hanno con Salvini, che attraverso Armando Siri (prontamente squalificato, con un avviso di garanzia) aveva studiato un piano per abbattere drasticamente le tasse, restituendo ossigeno alle aziende. Ce l’hanno con Salvini, non col governo-ombra che si prepara a eliminare il contante, nel tentativo di attribuire all’idraulico Rossi, quell’infame, l’origine dei mali atavici della nazione.L’Italia è a pezzi, sbocconcellata da Francia e Germania, ma le Sardine ce l’hanno con Salvini, il controverso nocchiero dell’unico partito italiano non integralmente compromesso con lo sport nazionale del tradimento della patria, del popolo un tempo sovrano. Coltivano livore, le Sardine, scagliandosi contro un politico oggi apprezzato da una robusta maggioranza di elettori, dandogli del pericoloso buffone, anche se è l’unico – grazie ad economisti come Borghi, Bagnai e Rinaldi – ad aver almeno provato a dare un nome alla malattia che da decenni corrode e devasta famiglie e imprese. Sanno, le Sardine, che il bieco Nemico dell’Umanità fa il pieno di voti grazie allo sfacelo in cui siamo finiti, ma non si domandano chi l’ha provocato, lo sfacelo, negli anni in cui l’Uomo Nero andava ancora all’asilo. Più in là del naso non sembrano arrivare, le Sardine: a loro basta vederlo cadere, l’Uomo Nero, magari appeso a testa in giù come a piazzale Loreto, dopo esser stato preso, letteralmente, “a sprangate sui denti”. Può dormire sonni tranquilli, chi ormai fa dell’Italia quello che vuole: da oggi, sul futuro del paese vigileranno le Sardine democratiche e antifasciste. Si sprecano i brindisi, lassù: dopo i Calenda e le Boschi, i Grillo e le Raggi, siamo alle Sardine. Branco, ovviamente, visto che il film (la caccia al mostro) è di gran lunga il più adatto per distrarre gli spettatori, mentre si svaligia la loro casa.(Giorgio Cattaneo, Libreidee, 25 novembre 2019).Le Sardine ce l’hanno con Salvini, non con il cancro che ha sfigurato l’Italia mettendola in ginocchio. Ce l’hanno con Salvini, non con Prodi che ha smembrato l’Iri, facendo finire all’asta tutto quello che faceva funzionare il paese, dalla Montedison ad aziende come l’Ilva. Non ce l’hanno con Monti, che ha deturpato la Costituzione “più bella del mondo” piegandola al pareggio di bilancio, cioè all’obbligo di cessare di sostenere l’economia italiana. Ce l’hanno con Salvini, le Sardine, e non con Bersani, che – pur di sfrattare Berlusconi da Palazzo Chigi – accettò di lesionare il tessuto sociale ed economico sostenendo il governo Monti, la legge Fornero, il Fiscal Compact. Ce l’hanno con Salvini, non con Ciampi che tolse al paese il supporto finanziario della banca centrale, prima ancora di togliergli tutto il resto, vincolandolo alla tagliola di Maastricht che, da allora, ci ha fatto sprofondare nella crisi eterna: la fuga delle aziende e dei cervelli, le super-tasse, la catastrofe della disoccupazione e i tagli sanguinosi al welfare, fino alle buche nelle strade che oggi regalano all’Italia europea un aspetto sinistramente balcanico, con infrastrutture fatiscenti e viadotti che crollano seminando strage.
-
Della Luna: la lotta all’odio nasconde la schiavitù per debiti
«Le persistenti campagne istituzionali e mediatiche contro l’espressione di idee e sentimenti di odio, razzismo, nazismo, fascismo, stanno producendo effetti contrari a quelli dichiarati, cioè stimolano e confermano nella gente proprio quelle idee e quei sentimenti». Secondo Marco Della Luna, «la gente sembra percepire che si tratta di montature strumentali ed esagerazioni isteriche adoperate dalla casta e dai suoi ‘intellettuali’ per non parlare dei mali veri e presenti, di cui essa è responsabile: disoccupazione, impoverimento, continua perdita di efficienza, di prospettive, e i continui fallimenti di governanti incapaci e falsi». Per l’avvocato e saggista, autore di “Euroschiavi”, la causa di questi mali socio-economici italiani sta in alcuni precisi fattori di moneta e mercato: l’Italia è inserita in un sistema in cui, partendo da condizioni di svantaggio in quanto a debito pubblico e liquidità di sistema, deve competere con paesi più efficienti, con un cambio monetario bloccato (cioè senza poter svalutare la propria moneta per recuperare competitività), subendo un mercato commerciale non protetto da barriere doganali. Impossibile limitare la fuga di capitali, né concedere aiuti di Stato alle proprie industrie, tentate di vendersi agli stranieri o emigrare all’estero.L’Italia deve competere «sottostando al potere legislativo, fiscale e politico di un’Unione Europea diretta proprio dai paesi competitori controinteressati (che adattano le regole ai propri interessi), e senza nemmeno il meccanismo federale della condivisione del debito pubblico con redistribuzione dei surplus verso le aree in difficoltà (come avviene negli Usa)». Ovvio che, in queste condizioni, per Della Luna «l’Italia non ha speranze di risanarsi e risollevarsi: è matematicamente spacciata, chiunque sia al governo, e la gente starà sempre peggio, sarà sempre più povera, più tassata, più privata di servizi, più esclusa dalle decisioni, più gestita da investitori e decisori stranieri». A un livello più profondo e globale, di cui non si parla nei mass media, la causa dei mali economici è sempre nel sistema monetario, ma in un senso ulteriore: «Per scambiare i beni e i servizi che producono, i soggetti economici (persone, aziende, enti pubblici) sono costretti a servirsi, prendendola a prestito contro interesse, di moneta», la quale «è prodotta (a costo zero) in regime di monopolio da un cartello bancario in mano a poche persone».Dato che tutta la moneta è immessa nel mercato come prestito (debito) soggetto a interesse composto, costantemente deve essere presa a prestito ulteriore moneta. Questo rende i produttori di ricchezza reale, nell’insieme (quindi anche la società nel suo complesso e lo Stato stesso) sempre più indebitati verso i produttori di moneta, sia in termini di capitale che in termini di interessi, «finché il debito capitale espropria tutto il risparmio e gli interessi espropriano tutto il reddito, e si finisce a lavorare come schiavi per pagare gli interessi su un debito inestinguibile». L’obiettivo del capitalismo neoliberista, cioè il modello dominante e adottato dalla Ue, «è la generale schiavitù per debito, e ci siamo vicini», sostiene della Della Luna. «Questo esito viene accelerato dai banchieri con le note manovre di “pump and dump”, cioè di allargamento-restringimento del credito, organizzati ad arte: le bolle di mercato». Ovviamente, la posizione di monopolio dei “padroni della moneta” è tutt’uno con una posizione di potere politico «soprastante a quello dei governi e dei parlamenti (e di potere culturale soprastante a quello dell’accademia)».Matematico: «Uno Stato che, per funzionare (per finanziarsi), dipende da una moneta che non controlla e che gli deve essere prestata da speculatori internazionali privati, riceve la politica economica ed estera da questi medesimi speculatori come condizionalità: non ha alcuna autonomia decisionale sostanziale». Questo tipo di Stato, osserva Della Luna, non fa neppure più le privatizzazioni: è già esso stesso privatizzato. Essenzialmente, «non è al servizio dei cittadini e non li può rappresentare, bensì è al servizio dei suoi finanziatori, che lo usano come schermo e capro espiatorio per deresponsabilizzarsi dei mali che essi causano alle popolazioni nel perseguire i propri interessi e disegni globali». Per queste ragioni, il modello socioeconomico in atto è imposto senza alternative. «Il sovranismo, il populismo, il socialismo, la dottrina sociale della Chiesa, come ogni critica del suddescritto modello di potere monetario sulla politica, possono aver successo sul piano teorico, ma non hanno alcuna possibilità di affermarsi su quello politico e concreto», perché per farlo dovrebbero abbattere, su scala perlomeno continentale, «un sistema immensamente potente di interessi contrari».Consci di ciò, Salvini e di Maio, che erano partiti da posizioni incompatibili con alcuni aspetti (peraltro secondari) del sistema, «avvicinandosi al potere si sono ravveduti e allineati ideologicamente ad esso, dichiarandosi per l’euro, per l’Unione Europea e per la sua dottrina economica». Inutile illudersi che la politica – almeno, quella in campo oggi, con l’attuale offerta elettorale – possa davvero risollevare le sorti di un paese come l’Italia, da decenni costretto all’avanzo primario: lo Stato incamera con le tasse più soldi di quanti ne spenda per famiglie e aziende, in termini di servizi. Un siffatto sistema di dominio, conclude Della Luna, «potrà cadere solo per effetto di una rottura interna, oppure di una catastrofe globale climatica o geofisica o biologica o bellica». Ma la sua naturale evoluzione, che l’autore ha descritto nel saggio “Tecnoschiavi”, ormai procede «verso la tecnocrazia assoluta, zootecnica».«Le persistenti campagne istituzionali e mediatiche contro l’espressione di idee e sentimenti di odio, razzismo, nazismo, fascismo, stanno producendo effetti contrari a quelli dichiarati, cioè stimolano e confermano nella gente proprio quelle idee e quei sentimenti». Secondo Marco Della Luna, «la gente sembra percepire che si tratta di montature strumentali ed esagerazioni isteriche adoperate dalla casta e dai suoi ‘intellettuali’ per non parlare dei mali veri e presenti, di cui essa è responsabile: disoccupazione, impoverimento, continua perdita di efficienza, di prospettive, e i continui fallimenti di governanti incapaci e falsi». Per l’avvocato e saggista, autore di “Euroschiavi”, la causa di questi mali socio-economici italiani sta in alcuni precisi fattori di moneta e mercato: l’Italia è inserita in un sistema in cui, partendo da condizioni di svantaggio in quanto a debito pubblico e liquidità di sistema, deve competere con paesi più efficienti, con un cambio monetario bloccato (cioè senza poter svalutare la propria moneta per recuperare competitività), subendo un mercato commerciale non protetto da barriere doganali. Impossibile limitare la fuga di capitali, né concedere aiuti di Stato alle proprie industrie, tentate di vendersi agli stranieri o delocalizzarsi scappando all’estero.
-
Autopsia degli italiani: il nostro sistema-paese sta sparendo
Cos’hanno in comune le coppie che non vogliono avere figli, i ragazzi che se ne vanno all’estero, i pensionati che prendono la cittadinanza in paesi dove il costo della vita e delle tasse è più basso; oppure quanti rigettano i simboli viventi della vita italiana, dal crocifisso al presepe, quelli che chiedono di abbattere le frontiere e di lasciar entrare chiunque decida di vivere da noi e i censori che condannano chiunque voglia tutelare la nostra identità nazionale? Concorrono tutti, spesso a loro insaputa, al suicidio degli italiani o se preferite alla loro eutanasia. Corale, anche se spesso individuale. Molti di loro hanno buone ragioni personali, concrete e contingenti per le loro scelte e le loro rinunce. Non fanno figli perché si sentono precari, non hanno lavoro stabile né casa adeguata né sostegni di alcun tipo per metterli al mondo. Oppure vanno via dall’Italia perché qui non trovano lavoro, non vedono riconosciuti i loro studi, i loro meriti, la loro capacità. O ancora, abbandonano il paese perché sono tartassati e qui non ce la fanno a mantenere uno standard di vita adeguato, non si sentono garantiti come pensionati, temono la criminalità e sono disamorati del loro paese.Altri considerano l’Italia un corridoio umanitario, un luogo di transito e di approdo per chiunque voglia; reputano sacrosanto accogliere tutti, anche se sbarcati clandestinamente, perché sono umanitari, si mettono nei panni di chi parte, di chi arriva e sempre meno nei panni di chi fu, è o sarà italiano. O ancora: vogliono aprirsi al mondo e dar posto ad altri modi e modelli di vita, sono xenofili, desiderano le storie d’altri, sono stanchi delle proprie. Ragioni diverse tra loro, assolutamente non accorpabili e diseguali anche sul piano etico, diversamente rispettabili, ma il risultato è uno solo: si pongono mentalmente o fisicamente fuori dal loro paese, contribuiscono alla fine degli italiani, a cominciare da se stessi. Ciascuno a suo modo, spesso in buona fede e con le migliori intenzioni, stacca la spina all’Italia, concorre alla scomparsa degli italiani, si dimette da italiani o non ne garantisce la prosecuzione; accelera la cessazione della nazione e dell’identità collettiva. Per non dire dell’autodenigrazione nazionale e del diffuso vizio di rappresentare il mondo sempre a rovescio: i buoni sono quelli che vengono da fuori, i cattivi sono quelli di dentro.E tralascio la cornice di un paese in via di dismissione, marchi distintivi che vanno all’estero, aziende che chiudono, l’Italia che perde l’auto, il burro e l’acciaio, l’auto. Si cambia paese come si cambia gestore telefonico perché è più vantaggioso. Il dispatrio diventa solo una voltura. Sopravvivono come individui, come cittadini del mondo, come nomadi, utenti e consumatori, come esuli o profughi dal nostro paese, ma si cancellano come italiani, come famiglie, come abitati di una terra, di una città, scelgono l’evacuazione, la desertificazione, alimentano la sostituzione di popolo. Non riusciamo più a vedere le cose dal punto di vista sociale, comunitario, nazionale e tantomeno con lo sguardo storico e connesso al rapporto tra le generazioni; le vediamo solo dal punto di vista individuale, soggettivo, utilitario e contingente. O peggio, ideologico. Non riusciamo più a capire il senso storico di quel che stiamo vivendo e facendo, ci occupiamo solo dell’occasione del momento, siamo interamente immersi nella situazione, non siamo in grado di proiettare le scelte immediate nel futuro, di capirne gli effetti e di rapportarli al mondo circostante.Eppure sta avvenendo un processo storico importante e letale. È l’eutanasia di un popolo, di una nazione, di una civiltà. Ma se lo dici rischi pure di essere perseguitato a norma di legge come se la preoccupazione per la vita del tuo paese e del tuo popolo, fosse una forma di odio, di razzismo e di disprezzo nei confronti degli altri. È chiaro che l’italianità non si misura dal colore della pelle, e nemmeno da altri indicatori superficiali. Anzi, chi si affida solo a quelli già è estraneo allo spirito di una nazione, non capisce l’importanza di un’identità, di una cultura, di una tradizione nazionale. Ci sono bianchissimi e purissimi italiani che sono meno italiani nella testa e nel cuore di tanti altri, oriundi o sopraggiunti. Come si fronteggia il suicidio degli italiani? Innanzitutto assumendone coscienza, diventando consapevoli di quel che sta accadendo; poi cercando con realismo, senza velleità, possibili rimedi e possibili alternative ai percorsi ritenuti obbligati della deitalianizzazione in automatico; infine studiando, sollecitando e promuovendo iniziative, programmi, politiche, per rispondere al fenomeno e incoraggiarne la ripresa, a ogni livello.Invece non vedo niente di tutto questo, se non qualche scaramuccia di basso livello su qualche minchiata secondaria, come il caso Balotelli o poco altro. In particolare trovo sconfortante un’area politica che pure è maggioritaria nel paese ma si lascia dettare l’agenda dalla dittatura del politically correct e si limita a saltare o a non saltare al comando dei circensi. L’ultimo è stato il caso Segre, con la relativa commissione anti-odio, così prefabbricato. Prendete voi iniziative in senso inverso piuttosto che limitarvi a discutere se acconsentire, astenervi o respingere le iniziative altrui, nate al puro scopo di mettervi in difficoltà, spaccarvi e mantenere il bastone del comando, imponendo il loro canone. Anche perché nel caso in questione, non è in gioco una parte politica o una spicciola convenienza elettorale. È in gioco un popolo, una storia, una patria; il loro passato e il loro futuro.(Marcello Veneziani, “Il suicidio degli italiani”, da “La Verità” del 7 novembre 2019; articolo ripreso dal blog di Veneziani).Cos’hanno in comune le coppie che non vogliono avere figli, i ragazzi che se ne vanno all’estero, i pensionati che prendono la cittadinanza in paesi dove il costo della vita e delle tasse è più basso; oppure quanti rigettano i simboli viventi della vita italiana, dal crocifisso al presepe, quelli che chiedono di abbattere le frontiere e di lasciar entrare chiunque decida di vivere da noi e i censori che condannano chiunque voglia tutelare la nostra identità nazionale? Concorrono tutti, spesso a loro insaputa, al suicidio degli italiani o se preferite alla loro eutanasia. Corale, anche se spesso individuale. Molti di loro hanno buone ragioni personali, concrete e contingenti per le loro scelte e le loro rinunce. Non fanno figli perché si sentono precari, non hanno lavoro stabile né casa adeguata né sostegni di alcun tipo per metterli al mondo. Oppure vanno via dall’Italia perché qui non trovano lavoro, non vedono riconosciuti i loro studi, i loro meriti, la loro capacità. O ancora, abbandonano il paese perché sono tartassati e qui non ce la fanno a mantenere uno standard di vita adeguato, non si sentono garantiti come pensionati, temono la criminalità e sono disamorati del loro paese.