Archivio del Tag ‘armi di distruzione di massa’
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Zeman: ipocriti, siamo noi a creare migranti e terroristi
A quanto pare, in Europa non ci sono soltanto politici come Renzi e la Merkel, Hollande e Napolitano. Esistono anche personaggi capaci di esprimersi in modo insolitamente franco e diretto. Come il presidente della Repubblica Ceca, Milos Zeman, che ammonisce: piantiamola di lamentarci dell’ondata di migranti, siamo stati noi – accodandoci agli Usa – a provocare i terremoti, tra Africa e Medio Oriente, da cui stanno fuggendo, ininterrottamente, milioni di profughi. «Di questo grande afflusso di rifugiati e di clandestini illegali verso l’Europa sono responsabili gli Stati Uniti e i paesi europei che hanno partecipato all’esecuzione dei piani dementi attuati in paesi come l’Iraq, la Libia e la Siria», ha detto Zeman al giornale ceco “Blesk”. «L’attuale ondata di immigrazione in Europa è sorta a causa della idea demenziale di invadere l’Iraq, dove presumibilmente (secondo gli Usa) si immagazzinavamo grandi armi di distruzione di massa, ma alla fine non si è trovato nulla del genere. Questa ondata deriva anche a causa dell’idea folle di voler “restaurare l’ordine” in Libia e successivamente in Siria».Oltre alla fame, l’eredità più grave del devastante intervento occidentale in quelle terre è la paura: caduti i regimi precedenti, ora quei paesi sono in mano a fanatici e tagliagole finto-islamici, sapientemente pilotati. «Come risultato di queste azioni», ha aggiunto il presidente della Repubblica Ceca, «sono venuti fuori in quei paesi regimi di terroristi che, in ultima istanza, hanno spinto l’attuale flusso incontrollato di migranti illegali in Europa». Di chi è la colpa? Tutta nostra: «La responsabilità di tutto questo non ricade soltanto sugli Stati Uniti, ma anche sui paesi dell’Unione Europea che hanno dato il loro assenso nel partecipare a queste operazioni belliche insensate, come avvenuto in Libia». L’intervento di Zeman “risponde” anche alle recenti manifestazioni popolari organizzate a Brno per protestare contro la politica migratoria della Ue: gli attivisti si sono mostrati contrari ad attuare le politiche migratorie di accoglienza per quote, dettate dalla Commissione Europea.Il presidente Zeman è lo stesso che, mesi addietro, in occasione della sua visita programmata a Mosca per presenziare ai festeggiamenti per i 70 anni della vittoria dell’Unione Sovietica nel secondo conflitto mondiale, aveva letteralmente cacciato dalla residenza presidenziale di Praga l’ambasciatore statunitense, Andrew Schapiro, che era venuto a suggerigli di “non recarsi in Russia” per uniformarsi alle decisioni sanzionatorie di Washington. In quell’occasione Zeman aveva dichiarato: «Qualcuno potrebbe immaginare il nostro ambasciatore a Washington mentre porge “raccomandazioni” al presidente Obama su dove deve o non deve recarsi in visita?». Sempre esplicito, Zeman, citato anche da “Radio Praga”: «Non permetto a nessun ambasciatore straniero di interferire nelle mie visite pianificate».A quanto pare, in Europa non ci sono soltanto politici come Renzi e la Merkel, Hollande e Napolitano. Esistono anche personaggi capaci di esprimersi in modo insolitamente franco e diretto. Come il presidente della Repubblica Ceca, Milos Zeman, che ammonisce: piantiamola di lamentarci dell’ondata di migranti, siamo stati noi – accodandoci agli Usa – a provocare i terremoti, tra Africa e Medio Oriente, da cui stanno fuggendo, ininterrottamente, milioni di profughi. «Di questo grande afflusso di rifugiati e di clandestini illegali verso l’Europa sono responsabili gli Stati Uniti e i paesi europei che hanno partecipato all’esecuzione dei piani dementi attuati in paesi come l’Iraq, la Libia e la Siria», ha detto Zeman al giornale ceco “Blesk”. «L’attuale ondata di immigrazione in Europa è sorta a causa della idea demenziale di invadere l’Iraq, dove presumibilmente (secondo gli Usa) si immagazzinavamo grandi armi di distruzione di massa, ma alla fine non si è trovato nulla del genere. Questa ondata deriva anche a causa dell’idea folle di voler “restaurare l’ordine” in Libia e successivamente in Siria».
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Obama fa pace con l’Iran. Smetterà di sostenere l’Isis?
«È sicuramente storico: la diplomazia forse ha vinto». Così anche Pepe Escobar saluta l’accordo tra Usa e Iran, dopo 35 anni di incomunicabilità e le tensioni continue dell’ultimo decennio. Un accordo “epocale”, nei termini del Nuovo Grande Gioco in Eurasia, con «conseguenti scosse tettoniche che riorganizzano la zona». In pratica, l’Iran, supportato da Russia e Cina , «ha finalmente, con successo, scoperto il bluff degli atlantisti – lungo, tortuoso e durato 12 anni – riguardo le proprie “armi nucleari”». Tutto ciò, continua Escobar, è accaduto solo perché l’amministrazione Obama ha bisogno di «almeno un successo di politica estera», nonché di un modo per «provare a influenzare la messa in opera del nuovo ordine geopolitico che ruoterà attorno all’Eurasia». Grande domanda, a questo punto: se gli Usa “sdoganano” Teheran, permettendole di svolgere appieno il suo ruolo di grande potenza regionale, questo significa che Washington si appresta ad abbandonare il sostegno occulto all’Isis, consentendo agli iraniani di sbaragliare sul campo i tagliagole jihadisti annidati in Siria e in Iraq sotto la protezione delle monarchie petrolifere del Golfo?Ci spera Vladimir Putin, super-negoziatore accanto all’Iran, secondo cui l’accordo contribuirà alla lotta al terrorismo in Medio Oriente. Il presidente russo parla di «miglioramento della sicurezza globale e regionale, dato dal rafforzamento dell’accordo di non-proliferazione del nucleare», fino alla eventuale «creazione, in Medio Oriente, di una zona libera da armi di distruzione di massa». Il vero problema, scrive Escobar in un post ripreso da “Come Don Chisciotte”, è iniziato quando il ministro degli esteri russo Sergeij Lavrov ha affermato che Mosca si aspetta la cancellazione del piano di difesa missilistica di Washington, dopo che l’accordo con l’Iran ha dimostrato che Teheran non è, e non sarà, una “minaccia” nucleare. «Ecco l’ostacolo. Il Pentagono semplicemente non vuole cancellare una parte della propria dottrina militare “Full Spectrum Dominance”», accampando banali ragioni “diplomatiche”. «Ogni analista di sicurezza non accecato dall’ideologia sa che la difesa missilistica non è mai stata rivolta all’Iran, ma alla Russia. L’ultima analisi militare del Pentagono menziona – non a caso – le maggiori figure asiatiche (Iran, Russia e Cina) come “minacce” alla sicurezza nazionale statunitense».Dal punto di vista delle relazioni Iran-Russia, aggiunge Escobar, il commercio è destinato ad aumentare, specialmente in nanotecnologie, componenti meccaniche e agricoltura. Sul fronte energetico, l’Iran sicuramente competerà con la Russia sui più importanti mercati come la Turchia e presto l’Europa occidentale, ma c’è ampio margine per Gazprom e l’iraniana Nioc (National Iranian Oil Company) per spartirsi le quote di mercato. Il capo di Nioc, Mohsen Qamsari, anticipa che l’Iran darà priorità alle esportazioni verso l’Asia e proverà a recuperare almeno il 42% del mercato che aveva in Europa prima delle sanzioni. «Piuttosto mediocre», secondo Escobar, reazione di Washington: «Obama ha preferito affermare – giustamente – che ogni percorso che portasse ad armi nucleari iraniane è stato impedito, e ha promesso di porre il veto a qualsiasi intervento del Congresso atto a bloccare l’accordo. Quando ero a Vienna, la settimana scorsa, ho avuto una conferma sicura – da fonte europea – che l’amministrazione Obama è fiduciosa di avere i voti necessari a Capitol Hill».Cosa succederà a tutto quel greggio iraniano? Tariq Rauf, ex capo delle politiche di sicurezza dell’Aiea, l’agenzia Onu per il controllo del nucleare, e ora direttore del programma di non-proliferazione e disarmo all’Istituto di Ricerca Internazionale sulla Pace di Stoccolma (Sipri), definisce l’intesa «il più importante accordo multilaterale sul nucleare degli ultimi vent’anni», dopo quello contro i test nucleari del 1996, al punto di proporre il Nobel per la Pace per il segretario di Stato John Kerry e il ministro degli esteri iraniano Javad Zarif. «Ricostruire la fiducia tra Iran e Usa, tuttavia, sarà una via lunga e pericolosa», spiega Escobar. Teheran ha acconsentito a una moratoria di 15 anni per limitare di due terzi la sua potenzialità di arricchimento dell’uranio. Entro il 15 dicembre, tutte le questioni ancora in sospeso – si parla di 12 punti – andranno chiarite, e l’Aiea farà una valutazione finale. «Uno dei punti più spinosi è stato risolto quando Teheran ha permesso agli ispettori dell’Onu di visitare potenzialmente tutti i siti». Non ci saranno ispettori statunitensi, ma solo di nazioni con relazioni diplomatiche in atto con l’Iran. Tuttavia, «l’implementazione dell’accordo richiederà almeno i prossimi 5 mesi», sicché «le sanzioni verranno tolte solo all’inizio del 2016».L’Iran diventerà una calamita per gli investimenti esteri, continua Escobar: «Le più grandi multinazionali occidentali e asiatiche sono già ai blocchi di partenza per iniziare a martellare questo mercato praticamente vergine, con più di 70 milioni di abitanti, tra cui una classe dall’educazione molto valida. Ci sarà un boom in settori come l’elettronica, l’industria dell’auto e il turismo e il tempo libero». Poi c’è, come al solito, il greggio. «L’Iran ha ben 50 milioni di barili conservati in porto – pronti ad essere buttati sul mercato globale. Il cliente preferito sarà, inevitabilmente, la Cina – dato che l’Occidente resta imbrigliato nella recessione. Il primo punto all’ordine del giorno iraniano è riacquisire le fette di mercato perse a vantaggio dei produttori del Golfo. Attualmente il trend dei prezzi del greggio è in discesa – quindi l’Iran non può contare su grandi profitti a medio-breve termine». E la “guerra al terrore”, finora solo promessa da Obama? Tanto per cominciare, «l’embargo ai danni dell’Iran per quanto riguarda le armi convenzionali resta in essere, per 5 anni: è assurdo, se paragonato ad Israele e alla Casa di Saud che continuano ad armarsi fino ai denti».Lo scorso maggio, ricorda Escobar, il Congresso Usa ha approvato un vendita di armi da 1,9 miliardi di dollari ad Israele. Comprende 50 bombe anti-bunker Blu-113 («per far cosa? Bombardare il sito iraniano di Natanz?») e 3.000 missili Hellfire. Per quanto riguarda l’Arabia Saudita, secondo il Sipri, la Casa di Saud ha speso ben 80 miliardi di dollari in armi lo scorso anno: più del potenziale nucleare di Francia e Gran Bretagna. L’Arabia Saudita «sta foraggiando una – illegale – guerra in Yemen», accusa il giornalista. «Il Qatar non sta indietro di molto. Ha raggiunto un accordo da 11 miliardi di dollari per acquistare elicotteri Apache e sistemi di difesa missilistica Patriot, e ha in programma di comprare un sacco di caccia F-15». Trita Parsi, presidente del Consiglio Nazionale Statunitense-Iraniano, va dritto al punto: «L’Arabia Saudita spende per la difesa 13 volte l’Iran, ma in qualche modo l’Iran, e non l’Arabia Saudita, è visto dagli Usa come un potenziale aggressore». Questa è la realtà: «Quindi, qualsiasi cosa succeda, aspettiamoci giorni duri», conclude Escobar, presente ai negoziati di Vienna.A un ristretto gruppo di giornalisti indipendenti, racconta Escobar, il ministro degli esteri Zafidha rivelato che le negoziazioni saranno un successo perché Usa e Iran si sono accordati sul «non umiliarsi a vicenda». Ha affermato di aver pagato «un alto prezzo domestico per non incolpare gli statunitensi» e ha elogiato Kerry come «un uomo ragionevole». Ma era molto sospettoso dell’establishment Usa, «fermamente intenzionato a non togliere le sanzioni». Zarif ha anche elogiato l’idea russa: in seguito all’accordo, sarebbe ora di creare una vera coalizione contro il terrorismo, unendo Stati Uniti, Iran, Russia, Cina ed Europa – anche se Putin e Obama hanno acconsentito a lavorare insieme per “questioni regionali”. «La diplomazia iraniana dava segnali del fatto che l’amministrazione Obama si è finalmente resa conto che l’alternativa ad Assad in Siria è l’Isis/Isil/Daesh, non il “libero” esercito siriano». Un tale grado di collaborazione, dopo il muro della diffidenza, deve ancora essere visto. Solo allora «sarà veramente possibile valutare chiaramente se l’amministrazione Obama avrà preso una decisione strategica e se la “normalizzazione” delle relazioni con l’Iran comporti più di quanto non stia alla luce del sole», compresa quindi la liquidazione dell’armata di tagliagole telecomandati che agisce in favore di telecamera.«È sicuramente storico: la diplomazia forse ha vinto». Così anche Pepe Escobar saluta l’accordo tra Usa e Iran, dopo 35 anni di incomunicabilità e le tensioni continue dell’ultimo decennio. Un accordo “epocale”, nei termini del Nuovo Grande Gioco in Eurasia, con «conseguenti scosse tettoniche che riorganizzano la zona». In pratica, l’Iran, supportato da Russia e Cina , «ha finalmente, con successo, scoperto il bluff degli atlantisti – lungo, tortuoso e durato 12 anni – riguardo le proprie “armi nucleari”». Tutto ciò, continua Escobar, è accaduto solo perché l’amministrazione Obama ha bisogno di «almeno un successo di politica estera», nonché di un modo per «provare a influenzare la messa in opera del nuovo ordine geopolitico che ruoterà attorno all’Eurasia». Grande domanda, a questo punto: se gli Usa “sdoganano” Teheran, permettendole di svolgere appieno il suo ruolo di grande potenza regionale, questo significa che Washington si appresta ad abbandonare il sostegno occulto all’Isis, consentendo agli iraniani di sbaragliare sul campo i tagliagole jihadisti annidati in Siria e in Iraq sotto la protezione delle monarchie petrolifere del Golfo?
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Ancora menzogne sulla Grande Guerra, odissea nell’orrore
Certo non si può dire che da Marcello Veneziani l’apologia della Grande Guerra non ce la si potesse aspettare. È in fondo un intellettuale della nuova destra, lo stesso che alla vigilia del 70mo anniversario del 25 aprile aveva riaffermato: «Non celebriamo il 25 aprile perché non è una festa», perché – a suo dire – sarebbe considerata una ricorrenza divisiva, che non è stata concepita «all’insegna della veritas e della pietas». Aveva, Veneziani, anche rincarato la dose, sostenendo che sarebbe «cresciuta l’enfasi per i 70 anni della Liberazione parallelamente a una minore attenzione per i 100 anni della Prima Guerra Mondiale». Se si considera però che Veneziani, giornalista e scrittore, autore di saggi storici e filosofici, è oggi anche membro del comitato scientifico che si occupa degli anniversari della storia d’Italia (istituito a Palazzo Chigi e dal 2013 presieduto da Franco Marini), le sue prese di posizione sulla storia del paese – visto il ruolo “istituzionale” che ricopre – non possono lasciare indifferenti. Così come non lascia indifferenti lo spazio che il “Corriere della Sera” del 20 maggio 2015 ha concesso ad un suo intervento-appello a fare del 24 maggio, almeno quello di quest’anno, l’occasione per una celebrazione istituzionale.Nel suo intervento Veneziani rispolvera tutto l’armamentario ideologico che a proposito della Grande Guerra è stato usato nell’ultimo secolo, riadattato ovviamente ad una sensibilità meno incline di una volta a celebrare l’ardimento e l’eroismo, la guerra e l’annientamento del “nemico”. E infatti Veneziani precisa subito che «ricordando l’entrata in guerra dell’Italia non si vuole certo celebrare l’amore per la guerra». E però, insiste, «col 24 maggio si vuole commemorare la nascita di una nazione con una mobilitazione popolare senza precedenti e un rito di sangue che fu un’ecatombe. Ricordare quel centenario significa ripensare l’Italia, riproporre il tema dell’identità nazionale nello scenario presente e proiettarsi a pensare il futuro senza cancellare o smantellare le storie e le culture nazionali. L’intervento nella Prima Guerra Mondiale portò a compimento, come allora si disse, il Risorgimento, non solo perché ricondusse all’Italia Trento e Trieste, quanto perché coinvolse per la prima volta il paese intero, da nord a sud, popolo e borghesia, e lo indusse a sentirsi nazione e comunità di destino, fino a donare alla patria la propria vita».«Quella conquista unitaria, dovuta nel secolo precedente a una minoranza, diventò con la mobilitazione totale e la leva obbligatoria, patrimonio sofferto di un popolo intero. Non mancarono episodi di valore, un’epica popolare che coinvolse le famiglie italiane, i nostri nonni». Ecco, questo è il senso comune che viene ancora una volta dispensato alle nuove come alle vecchie generazioni, condannate a non avere accesso, sui mezzi di comunicazione mainstream, a strumenti che gli consentano di riflettere in maniera critica sulle vicende che hanno caratterizzato, in maniera spesso drammatica, la storia individuale come quella collettiva. Pochi i testi che tentano di contrastare la retorica mistificatoria del “mito” della Grande Guerra, seppure edulcorato e reso più adatto al contesto di generale, quanto spesso ipocrita, esaltazione della pace, che viene sparso a piene mani; e che trova la sua sintesi forse più brillante nelle drammatiche poesie dal fronte di Ungaretti, lette dal poeta stesso in età avanzata e riproposte in questi giorni dalla Rai col sottofondo della marcetta della “Canzone del Piave”.Tra i testi di fresca pubblicazione che possono costituire uno strumento utile per demistificare in maniera documentata e puntuale tale retorica, ce n’è uno particolarmente interessante. Si tratta del libro scritto di recente da Valerio Gigante, Luca Kocci e Sergio Tanzarella, insegnati e redattori dell’agenzia di stampa Adista i primi due, storico del cristianesimo ed ex deputato nelle file degli indipendenti di sinistra il secondo. “La grande menzogna. Tutto quello che non vi hanno mai raccontato sulla Prima Guerra Mondiale” (Dissensi editore) non è certo l’unico volume attualmente in circolazione ad avere un taglio “critico” di assoluto rigore rispetto agli eventi considerati. Esso ha però il pregio di essere specificamente destinato ad un pubblico di non specialisti, cui gli autori propongono una serie di brevi ma documentati saggi (completi di riferimenti storico-critici, bibliografici, documenti e foto) che cercano di indagare aspetti che della Prima Guerra Mondiale sono certamente noti a cultori, specialisti e studiosi di storia contemporanea ma non al grande pubblico. Fatti che sono però di fondamentale rilievo se si vuole restituire alla Grande Guerra il suo volto più tragico e vero.Gli autori spiegano le ragioni dell’incredibile percorso che in pochi mesi porta forze politiche, grandi giornali ed intellettuali a schierarsi dal neutralismo più convinto all’interventismo più acceso. Il ruolo giocato dalle forze industriali e dai poteri finanziari nel periodo che va dalla fine del 1914 al maggio del 1915. Raccontano l’uso di armi terribili durante i combattimenti, quali l’iprite, uno dei gas impiegati nella guerra chimica, o le mazze ferrate utilizzate dai fanti per finire i nemici agonizzanti, in genere proprio in seguito a un attacco con quel gas. Viene inoltre descritta la capillare organizzazione della prostituzione che lo Stato Maggiore dell’esercito offriva ai fanti ed agli ufficiali – in maniera ovviamente diversa, dal momento che tutta la guerra, come ben emerge da questo lavoro, viene combattuta secondo una rigida concezione classista della vita militare. Una sorta di “sfogo risarcitorio” nei confronti della disumanizzante esperienza del fronte, con il conseguente, brutale sfruttamento delle donne e dei loro corpi, sistematicamente ed istituzionalmente perpetrato.Gli autori svelano poi i casi di patologie mentali diffusi nelle trincee, l’uso sistematico della repressione per impedire che si diffondesse tra i soldati il rifiuto o il dissenso nei confronti della prosecuzione della guerra: il francescano padre Agostino Gemelli, medico e psicologo, collaborò con lo Stato Maggiore nell’individuare le strategie più efficaci per mantenere il consenso e la disciplina tra i soldati. E proprio dal punto di vista del ruolo della Chiesa cattolica nel grande massacro, il libro analizza come – al di là della posizione (sostanzialmente isolata e comunque neutralizzata da parte della gerarchia ecclesiastica) di Benedetto XV – sia stato fondamentale il ruolo dei cappellani militari. Quest’ultimi distribuivano nelle trincee materiale devozionale (di cui nel libro vengono pubblicati alcuni esempi) teso ad esaltare l’eroismo di coloro che si erano immolati per la patria, rappresentavano Gesù nell’atto di accogliere in paradiso i caduti o di incitare i soldati ad andare all’assalto; benedicevano i gagliardetti militari e le truppe lanciate contro il nemico, intonando Te Deum di ringraziamento per le stragi compiute.Eppure, anche dentro questo desolante quadro e nel contesto di una martellante ideologia mistificatoria, si faceva largo una coscienza delle reali ragioni della guerra: ecco allora i capitoli dedicati alle lettere (censurate) dei soldati al fronte; gli appelli di donne ed uomini al re affinché fermasse la strage; le canzoni che raccontavano la realtà di classe della guerra, il cinema che già prima della pace di Versailles aveva cominciato a raccontare cosa quella guerra fosse realmente. Come fa questo libro che, scrivono gli autori nella loro introduzione, intende creare “una solida coscienza critica del perché fu orrore quella guerra, come e più di altre guerre. E suscitare ugualmente orrore nei confronti della ‘grande menzogna’ attraverso la quale ancora oggi molti vorrebbero continuare a ricordarla, nonostante devastazioni, lutti, torture, prigionie, ruberie, deportazioni”.(Giovanni Avena, “Oltre la retorica, l’orrore della Grande Guerra”, da “Micromega” del 22 maggio 2015. Il libro: Valerio Gigante, Luca Kocci, Sergio Tanzarella, “La grande menzogna. Tutto quello che non vi hanno mai raccontato sulla Prima Guerra Mondiale”, Dissensi editore, 170 pagiene, euro 13,90).Certo non si può dire che da Marcello Veneziani l’apologia della Grande Guerra non ce la si potesse aspettare. È in fondo un intellettuale della nuova destra, lo stesso che alla vigilia del 70mo anniversario del 25 aprile aveva riaffermato: «Non celebriamo il 25 aprile perché non è una festa», perché – a suo dire – sarebbe considerata una ricorrenza divisiva, che non è stata concepita «all’insegna della veritas e della pietas». Aveva, Veneziani, anche rincarato la dose, sostenendo che sarebbe «cresciuta l’enfasi per i 70 anni della Liberazione parallelamente a una minore attenzione per i 100 anni della Prima Guerra Mondiale». Se si considera però che Veneziani, giornalista e scrittore, autore di saggi storici e filosofici, è oggi anche membro del comitato scientifico che si occupa degli anniversari della storia d’Italia (istituito a Palazzo Chigi e dal 2013 presieduto da Franco Marini), le sue prese di posizione sulla storia del paese – visto il ruolo “istituzionale” che ricopre – non possono lasciare indifferenti. Così come non lascia indifferenti lo spazio che il “Corriere della Sera” del 20 maggio 2015 ha concesso ad un suo intervento-appello a fare del 24 maggio, almeno quello di quest’anno, l’occasione per una celebrazione istituzionale.
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Olocausto: abbiamo sterminato 4 milioni di musulmani
Negli ultimi 25 anni, l’Occidente ha commesso una sorta di genocidio: a partire dal 1990, attraverso le cosiddette “guerre al terrore” sono stati sterminati qualcosa come 4 milioni di cittadini musulmani. Lo afferma Nafeez Ahmed, giornalista investigativo impegnato sui media internazionali. L’ultima notizia la fornisce la Prs di Washington: l’associazione “Physicians for Social Responsibility”, composta da medici e Premi Nobel per la Pace, in un rapporto di 97 pagine dichiara che il solo decennio seguito all’11 Settembre «è costato la vita a circa 1,3 milioni di persone, forse anche 2 milioni», calcolando il numero di vittime civili mietute dagli interventi militari statunitensi in Iraq, Afganistan e Pakistan nel quadro delle “operazioni contro il terrorismo”. Il rapporto Psr è stato realizzato da un team interdisciplinare di esperti in salute pubblica, tra cui il dottor Robert Gould, direttore del Centro Medico di educazione e ricerca medica dell’Università della California, e il professor Tim Takaro della facoltà di medicina della Simon Fraser University. «Eppure, è stato praticamente oscurato dai canali anglofoni d’informazione».La denuncia, continua Ahmed in un post su “Middle East Eye”, ripreso da “Come Don Chisciotte”, è stata completamente ignorata dal mainstream nonostante rappresentasse il primo sforzo di un’organizzazione internazionale di medici nel produrre un calcolo scientificamente provato del numero delle persone uccise nella “guerra al terrore” condotta da Stati Uniti e Gran Bretagna. Hans von Sponeck, ex vice segretario generale delle Nazioni Unite, descrive il rapporto Psr come «un contributo importante nel coprire il divario che esiste tra il numero reale delle vittime civili della guerra in Iraq, Afganistan e Pakistan e le cifre fittizie, manipolate e talvolta anche fraudolente che vengono fatte circolare». Il rapporto esegue una revisione critica delle stime precedenti delle vittime civili della “guerra al terrore”. E mette in crisi la cifra più citata dai maggiori canali d’informazione, che parla di “appena” 110.000 persone cadute in Iraq. Nella sola Najaf, dall’inizio della “guerra” sono stati seppelliti 40.000 corpi, mentre i vecchi dati ufficiali ne contavano solo 1.354. Il rapporto verità-menzogna è di 1 a 30, e sale a 1 a 40 nel caso degli attacchi arei: solo 3 per il mainstream nel 2005, ben 120 per il rapporto dei Nobel.Sempre secondo lo studio Psr, il tanto contestato rapporto di “Lancet” che ha stimato 655.000 morti iracheni fino al 2006 (e oltre un milione fino ad oggi, per estrapolazione) era probabilmente molto più accurato dei dati forniti dall’Ibc, la conta ufficiale dei morti (“Iraq Body Count”). Negazione politicizzata, dunque: i Psr, continua Ahmed, ha anche rivisto la metodologia di altri studi che indicavano cifre più basse, come il documento pubblicato dal “New England Journal of Medicine”, che «ignorava le aree colpite da maggiore violenza, come Baghdad, Anbar e Ninive, basandosi su dati inesatti di Ibc». Inoltre, indicava “restrizioni politicamente motivate” nella raccolta e nell’analisi dei dati – le interviste erano state condotte dal ministero della salute iracheno, che era «completamente dipendente dal nuovo potere occupante» e si era rifiutato, su pressione Usa, di fornire i dati esatti dei morti iracheni. In generale, Psr conclude che il numero più vicino alla realtà dei civili morti in Iraq dal 2003 a oggi è di circa 1 milione. A cui si aggiungono circa 220.000 civili uccisi in Afganistan e 80.000 in Pakistan. Il conto finale parla di un minimo di 1,3 milioni di persone, fino a un massimo di 2 milioni attraverso ricognizioni definitive e complete.Tuttavia, aggiunhe Ahmed, anche lo studio Psr presenta dei limiti, perché «la guerra al terrore lanciata dopo il 9/11 non era una cosa nuova, ma l’estensione di politiche interventiste precedenti sia in Iraq sia in Afganistan», e poi perché «il numero piuttosto contenuto delle vittime civili afghane mostrato dal Psr indica che questo ha probabilmente sottovalutato il prezzo umano degli scontri in Afghanistan. Una storia di sangue, a senso unico, iniziata in Iraq nel 1991 con la prima Guerra del Golfo, seguita poi dal regime sanzionatorio delle Nazioni Unite. Un precedente rapporto di Beth Daponte, allora demografa dell’ufficio censimenti del governo americano, mostrava che le morti irachene causate direttamente e indirettamente dall’impatto della prima Guerra del Golfo fossero intorno alle 200.000, di cui la maggior parte civili. «Nel frattempo, quel suo studio fu fatto sparire dalla circolazione». Dopo la guerra, Usa e Regno Unito imposero all’Onu le durissime sanzioni, «con il pretesto di dover negare a Saddam Hussein i beni e le materie prime necessarie per poter costruire armi di distruzione di massa». Molti prodotti inclusi nella lista delle materie negate, in reatà, comprendevano anche beni di prima necessità: per l’Onu, «1,7 milioni di civili iracheni sono morti come conseguenza del regime sanzionatorio imposto dall’Occidente, e metà di questi erano bambini».Queste eliminazioni di massa appaiono come intenzionali, sottolinea Ahmed. Tra le merci vietate c’erano prodotti chimici e attrezzature essenziali per la depurazione delle risorse idriche nazionali. Un documento segreto dell’agenzia d’intelligence del ministero della difesa statunitense, scoperto dal professor Thomas Nagy della School of Business della George Washington University, indicava chiaramente le «intenzioni di genocidio del popolo iracheno». In un documento per l’Associazione degli Studiosi di Genocidi della University of Manitoba, Nagy spiega che il documento della Dia conteneva dettagli minuziosi di un metodo praticamente infallibile per far «degradare il sistema idrico di un’intera nazione» nel giro di una decina di anni. La politica sanzionatoria avrebbe creato «le condizioni per la diffusione delle malattie, comprese vere e proprie epidemie su vasta scala», causando «di conseguenza l’eliminazione di una vasta porzione della popolazione irachena». Questo significa che, solo in Iraq, la guerra condotta dagli Usa dal 1991 al 2003 ha ucciso 1,9 milioni di iracheni, conclude Nafeez Ahmed. Poi, dal 2003 ad oggi, un altro milione circa. «In totale, circa 3 milioni di iracheni morti nel giro di due decenni».Quanto all’Afganistan, la stima delle morti totali in base al rapporto Psr potrebbe anche essere «molto conservativa». Sei mesi dopo la campagna di bombardamenti successiva al 2001, il giornalista del “Guardian” Jonathan Steele rivelò che rimasero uccisi un numero tra i 1.300 e gli 8.000 afghani, ed altri 50.000 morirono come conseguenza indiretta della guerra. Nel suo libro “La conta dei morti: la mortalità che si sarebbe potuta evitare nel mondo dal 1950 ad oggi”, il professor Gideon Polya applicò la stessa metodologia utilizzata dal “Guardian” per i dati della divisione demografica delle Nazioni Unite sulla mortalità annuale, per calcolare cifre plausibili delle “morti in eccesso”, tutte evitabili. Biochimico in pensione della La Trobe University di Melbourne, Polya concluse che il totale delle uccisioni evitabili in Afganistan dal 2001, causate dalle privazioni imposte, ammontavano a circa 3 milioni di persone, di cui 900.000 bambini sotto i cinque anni. Il suo studio è raccomandato dalla sociologa Jacqueline Carrigan della California State University, che sul “Routledge Journal” lo definisce «un profilo ad alto contenuto di dati sulla situazione della mortalità infantile nel mondo».Come per l’Iraq, in Afganistan gli interventi statunitensi sono iniziati molto prima dell’11 Settembre, sotto forma di sostegno militare, logistico e finanziario segreto ai Talebani. Tutto questo, ricorda Ahmed, dal 1992 in poi. Decisivo, il supporto Usa, per la «belligeranza talebana», consentendole di conquistare il 90% del territorio afghano. In un rapporto del 2001 della National Academy of Sciences su migrazioni forzate e mortalità, l’illustre epidemiologo Steven Hansch, direttore di “Relief International”, osservò che la mortalità evitabile totale in Afganistan causata dagli impatti indiretti delle guerra nel corso degli anni ’90 potrebbe attestarsi ovunque tra i 200.000 e i 2 milioni di morti. «Anche l’ Unione Sovietica, naturalmente, ne fu responsabile, per il suo ruolo nella distruzione intenzionale delle infrastrutture civili afghane, causando indirettamente moltissime morti. Tutto questo – scrive Ahmed – suggerisce che, nel complesso, il numero totale di morti afghane conseguenza diretta e indiretta dell’intervento statunitense nel paese a partire dai primi anni ’90 fino ad oggi, potrebbe raggiungere i 3,5 milioni». Un bilancio spaventoso: 2 milioni in Iraq e altri 2 in Afghanistan. Da 4 milioni di morti, il totale «potrebbe raggiungere i 6/8 milioni, contabilizzando anche le stime superiori delle morti evitabili in Afganistan».Sono cifre che probabilmente superano la realtà, continua Nafeez Ahmed, ma questo non lo sapremo mai con certezza: «Le forze armate degli Stati Uniti e del Regno Unito, per una questione di politica, si rifiutano di tenere traccia del numero di vittime civili nelle operazioni militari – considerate solo degli inconvenienti irrilevanti». A causa della grave mancanza di dati certi in Iraq, della quasi totale assenza di informazioni per l’Afganistan e dell’indifferenza dei governi occidentali riguardo alle morti civili, è letteralmente impossibile determinare la reale portata delle perdite di vite umane. In assenza della possibilità di conferme certe, queste cifre «forniscono stime plausibili sulla base di metodologie statistiche standard». Pur non fornendo un dato preciso, danno una chiara indicazione della portata della distruzione in queste aree. «Gran parte di queste morti viene giustificata nel contesto della lotta contro la tirannia e il terrorismo. Tuttavia, a causa del silenzio dei maggiori mezzi d’informazione, la maggior parte delle persone non ha idea della reale portata distruttiva della guerra al terrore protratta negli anni da Usa e Uk in Iraq e Afghanistan».Negli ultimi 25 anni, l’Occidente ha commesso una sorta di genocidio: a partire dal 1990, attraverso le cosiddette “guerre al terrore” sono stati sterminati qualcosa come 4 milioni di cittadini musulmani. Lo afferma Nafeez Ahmed, giornalista investigativo impegnato sui media internazionali. L’ultima notizia la fornisce la Prs di Washington: l’associazione “Physicians for Social Responsibility”, composta da medici e Premi Nobel per la Pace, in un rapporto di 97 pagine dichiara che il solo decennio seguito all’11 Settembre «è costato la vita a circa 1,3 milioni di persone, forse anche 2 milioni», calcolando il numero di vittime civili mietute dagli interventi militari statunitensi in Iraq, Afganistan e Pakistan nel quadro delle “operazioni contro il terrorismo”. Il rapporto Psr è stato realizzato da un team interdisciplinare di esperti in salute pubblica, tra cui il dottor Robert Gould, direttore del Centro Medico di educazione e ricerca medica dell’Università della California, e il professor Tim Takaro della facoltà di medicina della Simon Fraser University. «Eppure, è stato praticamente oscurato dai canali anglofoni d’informazione».
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G8 Genova, prove generali per lo choc dell’11 Settembre
La Corte europea dei diritti umani ha certificato sul piano legale e formale ciò che era già chiaro sul piano sostanziale a tutti gli uomini onesti presenti sulla faccia della Terra: i poliziotti che fecero irruzione presso la scuola Diaz a Genova la notte del 21 luglio del 2001 si abbandonarono volutamente a pratiche di tortura. I giudici inoltre, dopo avere accertato l’utilizzo di metodi e prassi degne del regime argentino di Jorge Videla, stigmatizzano pure l’inerzia del sistema Italia nel (non) rendere giustizia alle vittime. Non solo i torturatori protagonisti della mattanza di Genova non ricevettero condanne penali proporzionate alla gravità dei fatti, ma molti di loro non furono neppure individuati e/o espulsi dai corpi di polizia. Paradossalmente, quindi, ancora oggi, lo Stato italiano potrebbe affidare il mantenimento dell’ordine pubblico a uomini resisi protagonisti nel recente passato di condotte che avrebbero ben meritato una ragionevole e giustificata condanna alla pena dell’ergastolo (con relativo isolamento diurno). Il capo della polizia del tempo, prefetto Gianni De Gennaro, siede adesso al vertice di Finmeccanica, degno premio da garantire a chi ha già irrimediabilmente infangato l’immagine dell’Italia nel mondo.Comunque, della gravità dei fatti di Genova si sapeva già prima che la corte europea si pronunciasse nel merito, così come ampiamente nota era la propensione dei governi ad insabbiare e sminuire la gravità di quanto accaduto. Che l’Italia del 2001 somigliasse più al Cile di Pinochet che ad una democrazia occidentale è un dato di fatto. Meno chiare sono invece le ragioni che determinarono una tanto grave sospensione delle libertà democratiche, realizzata da un corpo armato grazie alla fattiva complicità del governo dell’epoca. Proviamo insieme ad indagare ora la parte nascosta della faccenda, avendo cura di collegare razionalmente i tanti tasselli di un unico mosaico. A pagina 535 del libro “Massoni” scritto da Gioele Magaldi è possibile scorgere una traccia importante. Come saprà chi ha letto il libro, l’ultimo capitolo riporta un dialogo intercorso fra quattro massoni di alto rango, appartenenti cioè al circuito segreto delle Ur-Lodges, vero e sconosciuto vertice del potere globale. Ad un certo punto, nel ricordare le precondizioni che consentirono l’arrivo di George W. Bush alla Casa Bianca, uno dei “fratelli” domanda all’altro: “A proposito, perdonami se ti interrompo, non ci hai parlato dei fatti del G8 di Genova, del luglio 2001. Chi ne fu responsabile, ai piani alti del potere?”.Sfortunatamente non è possibile leggere la risposta offerta da Frater Kronos, massone oligarchico al quale la domanda era rivolta, di fatto impedita dalla rapida entrata in scena di Frater J.: “Scusate se mi intrometto. Ma è solo per dire che affronteremo la questione, che è intimamente collegata alla preparazione dell’11 settembre successivo, nei prossimi volumi di Massoni”. Per avere maggiori dettagli non resta che attendere l’uscita, si spera imminente, degli altri volumi. Nel frattempo però è possibile abbozzare un ragionamento anche limitandosi ad analizzare soltanto le circostanze già conosciute. Come sappiamo la strage dell’11 Settembre del 2001 fu pensata, voluta e pianificata all’interno di una specifica loggia, la Hathor Pentalpha, fondata tra gli altri da Bush padre e Dick Cheney. Una loggia certamente influente in America ma con addentellati presenti in tutto il mondo, Italia compresa. E’ possibile leggere i fatti di Genova alla stregua di esperimento preparativo in vista dell’evento principale (l’attacco alle Torri Gemelle) da consumarsi di lì a poco sull’altra sponda dell’Atlantico? Beh, io credo di sì.Tanto per cominciare è giusto ricordare come nel 2001 il ministro della difesa del governo italiano fosse Antonio Martino, figura organica alla loggia dei Bush, mentre sullo scranno più alto di Palazzo Madama sedeva allora un altro politico iniziato nella stessa Ur-Lodge “del sangue e della vendetta”: Marcello Pera. Dipoi, per giustificare un uso spropositato della forza, la polizia italiana fabbricò dopo i fatti di Genova alcune prove false, a partire dal ritrovamento delle famose “molotov”. Analogamente George W. Bush e Tony Blair (anche quest’ultimo affiliato presso la Hathor Pentapha) si inventarono di sana pianta la presenza di fantomatiche “armi di distruzione di massa” per rendere possibile un insensato e folle attacco all’Iraq di Saddam Hussein. La tecnica volta ad esasperare un finto pericolo per dare vita a scelte altrimenti improponibili fu chiaramente testata pure a Genova. Una tecnica nella quale i massoni della Hathor Pentalpha eccellono. Basti pensare a cosa è recentemente accaduto nella Francia di Sarkozy (Hathor Pentalpha), e a cosa ora accade nella Turchia di Erdogan (Hathor Pentalpha). Ordo ab chao.(Francesco Maria Toscano, “Il filo esoterico che lega la mattanza della scuola Diaz alla strage dell’11 Settembre”, dal blog “Il Moralista” del 15 aprile 2015. Toscano è segretario del Movimento Roosevelt, fondato con Gioele Magaldi).La Corte europea dei diritti umani ha certificato sul piano legale e formale ciò che era già chiaro sul piano sostanziale a tutti gli uomini onesti presenti sulla faccia della Terra: i poliziotti che fecero irruzione presso la scuola Diaz a Genova la notte del 21 luglio del 2001 si abbandonarono volutamente a pratiche di tortura. I giudici inoltre, dopo avere accertato l’utilizzo di metodi e prassi degne del regime argentino di Jorge Videla, stigmatizzano pure l’inerzia del sistema Italia nel (non) rendere giustizia alle vittime. Non solo i torturatori protagonisti della mattanza di Genova non ricevettero condanne penali proporzionate alla gravità dei fatti, ma molti di loro non furono neppure individuati e/o espulsi dai corpi di polizia. Paradossalmente, quindi, ancora oggi, lo Stato italiano potrebbe affidare il mantenimento dell’ordine pubblico a uomini resisi protagonisti nel recente passato di condotte che avrebbero ben meritato una ragionevole e giustificata condanna alla pena dell’ergastolo (con relativo isolamento diurno). Il capo della polizia del tempo, prefetto Gianni De Gennaro, siede adesso al vertice di Finmeccanica, degno premio da garantire a chi ha già irrimediabilmente infangato l’immagine dell’Italia nel mondo.
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Pilger: Obama, il fascista bugiardo che uccide sorridendo
Ciò che accomuna il fascismo passato a quello presente sono gli omicidi di massa. L’invasione americana del Vietnam aveva le sue “zone di fuoco libero”, “conteggio dei caduti” e “danni collaterali”. Nella provincia di Quang Ngai, da dove corrispondevo, molte migliaia di civili (“musi gialli”) sono stati assassinati dagli Stati Uniti; eppure si ricorda solo un massacro, quello di My Lai. In Laos e Cambogia, il più grande bombardamento aereo della storia ha prodotto un’epoca di terrore contrassegnato ancora oggi dallo spettacolo di crateri di bombe congiunti che, dal cielo, assomigliano a mostruose collane. Il bombardamento diede alla Cambogia il proprio Isis, guidato da Pol Pot. Oggi, la più grande campagna del terrore al mondo ha come conseguenza l’esecuzione di intere famiglie, di ospiti a matrimoni, di persone in lutto ai funerali. Sono queste le vittime di Obama. Secondo il “New York Times”, ogni martedì, nella Situation Room della Casa Bianca, Obama consulta un “elenco di persone da uccidere” procuratogli dalla Cia. Decide allora, senza uno straccio di giustificazione legale, chi vivrà e chi morirà.La sua arma di esecuzione sono i missili Hellfire portati da un velivolo senza pilota, un drone; questi arrostiscono le loro vittime e deturpano la zona con i loro resti. Ogni “colpo” viene registrato sullo schermo di un lontano computer. «I marciatori al passo dell’oca», scrisse lo storico Norman Pollock, «sostituiscono la militarizzazione apparentemente più innocua della cultura totale. E come loro tronfio capoccia, abbiamo un riformatore mancato, allegramente al lavoro, a pianificare ed eseguire assassinii, sorridendo continuamente». Ciò che accomuna i fascismi vecchio e nuovo è il culto della superiorità. «Credo nell’eccezionalità americana con ogni fibra del mio essere», disse Obama, evocando dichiarazioni da fanatismo nazionale degli anni ‘30. Come lo storico Alfred W. McCoy ha fatto notare, è stato Carl Schmitt, devoto di Hitler, a dire: «Il sovrano è colui che decide l’eccezione». Questo riassume l’americanismo, l’ideologia dominante del mondo. Che non sia riconosciuta come un’ideologia predatrice è merito di un ugualmente riconosciuto lavaggio di cervello. Infida, non dichiarata, presentata spiritosamente come illuminazione in cammino, la sua arroganza permea la cultura occidentale.Sono cresciuto con una dieta cinematografica di gloria americana, quasi tutta fatta di distorsione della realtà. Non avevo idea che fosse stata l’Armata Rossa a distruggere la maggior parte della macchina da guerra nazista, ad un costo di ben 13 milioni di soldati. Per contro, le perdite degli Stati Uniti, quelle nel Pacifico incluse, sono state di 400.000 vittime. Hollywood ha falsificato anche questo. La differenza ora è che gli spettatori sono invitati a contorcersi sui sedili guardando la “tragedia” di psicopatici americani che devono uccidere persone in luoghi lontani – proprio come fa il loro stesso presidente. L’attore e regista Clint Eastwood, incarnazione della violenza di Hollywood, è stato nominato per un Oscar quest’anno per il suo film “American Sniper”, che parla di un assassino pazzoide con licenza di uccidere. Il “New York Times” ha descritto il film come «patriottico e pro-famiglia, che ha battuto tutti i record di presenze già nei primi giorni di apertura».Non ci sono film eroici che descrivono l’abbraccio americano del fascismo. Durante la Seconda Guerra Mondiale, l’America (e la Gran Bretagna) sono scese in guerra contro i greci che avevano combattuto eroicamente contro il nazismo e resistevano all’ascesa del fascismo greco. Nel 1967, la Cia ha contribuito a portare al potere una giunta militare fascista ad Atene – come ha fatto in Brasile e nella maggior parte dell’America Latina. Ai tedeschi ed europei dell’Est collusi con l’aggressore nazista e coinvolti in crimini contro l’umanità è stato dato un rifugio sicuro negli Stati Uniti; molti sono stati elogiati e premiati per il loro talento. Wernher von Braun è stato il “padre” sia della terribile bomba nazista V-2 che del programma spaziale degli Stati Uniti. Nel 1990, come ex repubbliche sovietiche, l’Europa orientale e i Balcani divennero avamposti militari della Nato, e gli eredi di un movimento nazista in Ucraina hanno avuto la loro opportunità. Nonostante fosse responsabile della morte di migliaia di ebrei, polacchi e russi durante l’invasione nazista dell’Unione Sovietica, il fascismo ucraino è stato riabilitato e la sua “new wave”, salutata dai suddetti tutori dell’ordine come “nazionalista”.Il suo apice è stato raggiunto nel 2014, quando l’amministrazione Obama stanziò 5 miliardi di dollari per un colpo di Stato contro il governo eletto. Le truppe d’assalto erano neonaziste, note come “Settore Destro” e “Svoboda”. Tra i loro capi c’è Oleh Tyahnybok, che ha chiesto l’epurazione della «mafia ebrea di Mosca» e di «altra feccia», tra cui gay, femministe e quelli della sinistra politica. Adesso questi fascisti sono integrati nel governo golpista di Kiev. Il primo vice-presidente del parlamento ucraino, Andriy Parubiy, leader del partito di governo, è co-fondatore di “Svoboda”. Il 14 febbraio scorso, Parubiy ha annunciato che sarebbe volato a Washington per ottenere «dagli Stati Uniti armi molto più moderne e precise». Se ci riesce, questo sarà considerato come un atto di guerra dalla Russia. Nessun leader occidentale ha parlato della rinascita del fascismo nel cuore stesso dell’Europa, ad eccezione di Vladimir Putin, il cui popolo ha sacrificato 22 milioni di persone all’invasione nazista avvenuta attraverso il confine dell’Ucraina.Alla recente conferenza sulla sicurezza di Monaco, l’assistente segretario di Stato di Obama per gli affari europei ed eurasiatici, Victoria Nuland, ha urlato abusi ai leader europei che si opponevano all’armamento degli Stati Uniti del regime di Kiev. Ha chiamato il ministro della difesa tedesco «ministro per il disfattismo». Era stata la Nuland a progettare il colpo di Stato a Kiev. È la moglie di Robert D. Kaplan, un’autorità tra i “neo-con” di estrema destra del “Centro per una Nuova Sicurezza Americana”, ed è stata consigliere per la politica estera del fascista Dick Cheney. I piani della Nuland non sono andati a buon fine. Alla Nato è stato impedito di appropriarsi della storica e legittima base navale russa nelle calde acque della Crimea – dove la popolazione, in gran parte russa ma illegalmente accorpata all’Ucraina da Nikita Krusciov nel 1954 – ha votato in massa per tornare alla Russia, come già aveva fatto nel 1990. Il referendum è stato volontario, popolare e controllato a livello internazionale. Non c’era stata alcuna invasione.Nello stesso momento il regime di Kiev si è avventato ad est sulla popolazione di etnia russa con una ferocia da pulizia etnica. Usando milizie neo-naziste alla maniera delle Waffen-SS, hanno bombardato e messo a ferro e fuoco le città. Hanno usato la fame di massa come arma, tagliato l’elettricità, congelato conti bancari, bloccato l’erogazione di assegni sociali e delle pensioni. Più di un milione di profughi sono fuggiti oltre confine, in Russia. Per i media occidentali, erano persone in fuga “dalla violenza” causata dalla “invasione russa”. Il comandante Nato, generale Breedlove – il cui nome e le cui azioni potrebbero essere stati ispirati al “Dottor Stranamore” di Stanley Kubrick – dichiarò che 40.000 soldati russi si stavano «ammassando» ai confini ucraini. Nell’era di prove forensi satellitari, non ne fornì alcuna.È da lungo tempo che le persone di lingua russa e bilingue dell’Ucraina – un terzo della popolazione – stanno cercando di costruirsi una federazione che rifletta le diversità etniche del paese e che sia autonoma e indipendente da Mosca. La maggior parte non è composta da “separatisti”, ma da cittadini che vogliono vivere in sicurezza nella loro patria e che si oppongono alla presa di potere a Kiev. La loro rivolta e la creazione di “Stati” autonomi è la reazione agli attacchi effettuati da Kiev su di loro. Poco di tutto ciò è stato spiegato al pubblico occidentale. Il 2 maggio 2014, a Odessa, 41 persone di etnia russa sono state bruciate vive nel quartier generale del loro sindacato, nonostante la presenza della polizia. Il leader di “Settore Destro”, Dmytro Yarosh, salutò il massacro come «un altro giorno luminoso nella storia del nostro paese». Nei media americani e britannici, l’atrocità venne riportata come una «tragedia poco chiara», derivante da «scontri» tra «nazionalisti» (neonazisti) e «separatisti» (persone che raccoglievano firme per un referendum per un’Ucraina federale).Il “New York Times” seppellì la notizia, ricacciando come propaganda russa gli avvertimenti sulle politiche fasciste e antisemite dei nuovi clienti di Washington. Il “Wall Street Journal” condannò le vittime stesse titolando: “Incendio mortale in Ucraina probabilmente causato dai ribelli, dice il governo”. Obama si congratulò con la giunta per il loro «contegno». Se Putin si lascerà provocare e andrà in loro aiuto, il suo ruolo di “paria” (preconfezionato in Occidente) giustificherà la menzogna che la Russia sta invadendo l’Ucraina. Il 29 gennaio, il comandante supremo ucraino, generale Viktor Muzhenko, quasi involontariamente fece crollare la base su cui le sanzioni degli Stati Uniti e dell’Ue alla Russia sono posate, quando in una conferenza stampa dichiarò con enfasi che «l’esercito ucraino non sta combattendo contro le truppe regolari dell’esercito russo». Si trattava di «singoli cittadini», membri di «gruppi armati illegali», ma non c’era un’invasione russa. Questo però non fece notizia. Il ministro degli esteri di Kiev, Vadym Prystaiko, ha chiesto una «guerra totale» contro la Russia, potenza nucleare.Il senatore statunitense James Inhofe, repubblicano dell’Oklahoma, il 21 febbraio ha proposto un disegno di legge che autorizza l’invio di armi americane al regime di Kiev. Nella sua presentazione al Senato, Inhofe ha usato fotografie a suo dire di truppe russe che entravano in Ucraina, anche se da tempo si sapeva che erano false. Il fatto ricorda le immagini false di un impianto sovietico in Nicaragua presentate da Ronald Reagan, e delle prove false prodotte da Colin Powell alle Nazioni Unite delle armi di distruzione di massa in Iraq. L’intensità della campagna diffamatoria contro la Russia e la rappresentazione del suo presidente come un cattivo da farsa è qualcosa che io non ho mai visto prima come giornalista. Robert Parry, uno dei giornalisti investigativi più rinomati d’America, che svelò lo scandalo Iran-Contras, ha scritto di recente: «Nessun governo europeo, da quello tedesco di Adolf Hitler, ha finora pensato bene di inviare truppe d’assalto naziste a fare la guerra ad una popolazione nazionale, ma il regime di Kiev lo ha fatto, e lo ha fatto consapevolmente. Eppure tra i media e nello spettro politico dell’Occidente, c’è stato uno studiato sforzo di coprire questa realtà fino al punto da ignorare fatti che sono stati ben definiti».«Se vi domandate come il mondo potrebbe incappare nella Terza Guerra Mondiale – come ha fatto nella Prima Guerra Mondiale un secolo fa – tutto quello che dovete fare è guardare alla follia Ucraina che si è dimostrata insensibile a fatti o ragione». Nel 1946, il pubblico ministero del Tribunale di Norimberga disse dei media tedeschi: «L’uso della guerra psicologica fatto dai cospiratori nazisti è ben noto. Prima di ogni aggressione di grande portata, con alcune poche eccezioni basate su ragioni opportunistiche, hanno avviato una campagna di stampa mirata a indebolire le loro vittime e a preparare psicologicamente il popolo tedesco all’attacco. Nel sistema di propaganda di Stato di Hitler erano i quotidiani e le emittenti radio ad essere le armi più importanti». Sul “Guardian” del 2 febbraio scorso, Timothy Garton-Ash ha in effetti auspicato una guerra mondiale. “Putin deve essere fermato”, diceva il titolo. “E a volte solo le armi possono fermare le armi”. Ha ammesso che la minaccia di una guerra potrebbe «alimentare nei russi una paranoia da accerchiamento»; ma che questo andrebbe bene. Dopo aver controllato le attrezzature militari necessarie per il lavoro, ha rassicurato i suoi lettori che «l’America è equipaggiata meglio».Nel 2003, Garton-Ash, professore di Oxford, ribadì la propaganda che portò al massacro in Iraq. «Saddam Hussein», scrisse, «come Colin Powell ha documentato, ha accumulato grandi quantità di spaventose armi chimiche e biologiche, e ora nasconde quel che ne resta. Sta ancora cercando di procurarsi quelle nucleari». Elogiò Blair come «un proselito di Gladstone, un cristiano liberale interventista». E nel 2006, scrisse: «Ora ci troviamo di fronte alla prossima grande prova dell’Occidente dopo l’Iraq: l’Iran». Tali sfoghi – o come preferisce dire Garton-Ash, le sue «tormentate incertezze liberali» – non sono diversi da quelli delle élite liberali transatlantiche che hanno raggiunto un accordo faustiano. Il criminale di guerra Blair è il loro capo perduto. Il “Guardian”, in cui è apparso l’articolo di Garton-Ash, ha pubblicato un’inserzione a pagina intera di un bombardiere stealth americano. Sulla minacciosa immagine del mostro della Lockheed Martin era scritto: “L’F-35, ottimo per la Gran Bretagna”.Questo “gingillo” americano costerà ai contribuenti britannici 1.3 miliardi di sterline, visto che i suoi precursori modelli “F” hanno fatto stragi in tutto il mondo. In sintonia con il suo inserzionista, un editoriale del “Guardian” chiedeva un aumento delle spese militari. Ancora una volta, dietro tutto questo c’è un motivo serio. Non solo i padroni del mondo vogliono l’Ucraina come base missilistica, ma vogliono anche la sua economia. Il nuovo ministro delle finanze di Kiev, Natalie Jaresko, è un ex alto funzionario del Dipartimento di Stato Usa incaricato degli “investimenti” degli Stati Uniti all’estero. Le è stata conferita frettolosamente la cittadinanza ucraina. Vogliono l’Ucraina per le sue riserve di gas. Il figlio del vice presidente Usa Joe Biden è nel consiglio di amministrazione della più grande compagnia petrolifera del gas e fracking dell’Ucraina. I produttori di sementi geneticamente modificate, aziende come la famigerata Monsanto, vogliono il ricco suolo agricolo dell’Ucraina. Soprattutto, vogliono il potente vicino di casa dell’Ucraina, la Russia.Vogliono balcanizzare o smembrare la Russia per poter sfruttare la più grande fonte di gas naturale sulla terra. Visto che il ghiaccio artico si sta sciogliendo, essi vogliono il controllo dell’Oceano Artico e delle sue ricchezze energetiche, e le estese terre di confine artico della Russia. Il loro uomo a Mosca era stato Boris Eltsin, un ubriacone che ha consegnato l’economia del suo paese alll’Occidente. Il suo successore, Putin, ha ristabilito la Russia come nazione sovrana; questo è il suo crimine. La responsabilità di tutti noi è chiara. È quella di scoprire e denunciare le incoscienti menzogne dei guerrafondai e di non colludere con loro. È di risvegliare i grandi movimenti popolari che hanno portato una fragile civiltà a moderni stati imperiali. Ma soprattutto è di prevenire la conquista di noi stessi: delle nostre menti, della nostra umanità, della nostra autostima. Se rimaniamo in silenzio, la vittoria su di noi è certa, e un olocausto ci aspetta.(John Pilger, estratto da “Perché l’avanzata del fascismo è nuovamente il problema”, post scritto il 26 febbraio sul proprio blog e ripreso il 3 marzo 2015 da “Come Don Chisciotte”).Ciò che accomuna il fascismo passato a quello presente sono gli omicidi di massa. L’invasione americana del Vietnam aveva le sue “zone di fuoco libero”, “conteggio dei caduti” e “danni collaterali”. Nella provincia di Quang Ngai, da dove corrispondevo, molte migliaia di civili (“musi gialli”) sono stati assassinati dagli Stati Uniti; eppure si ricorda solo un massacro, quello di My Lai. In Laos e Cambogia, il più grande bombardamento aereo della storia ha prodotto un’epoca di terrore contrassegnato ancora oggi dallo spettacolo di crateri di bombe congiunti che, dal cielo, assomigliano a mostruose collane. Il bombardamento diede alla Cambogia il proprio Isis, guidato da Pol Pot. Oggi, la più grande campagna del terrore al mondo ha come conseguenza l’esecuzione di intere famiglie, di ospiti a matrimoni, di persone in lutto ai funerali. Sono queste le vittime di Obama. Secondo il “New York Times”, ogni martedì, nella Situation Room della Casa Bianca, Obama consulta un “elenco di persone da uccidere” procuratogli dalla Cia. Decide allora, senza uno straccio di giustificazione legale, chi vivrà e chi morirà.
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Guerra civile internazionale, contro le città. Il bersaglio? Noi
Con la caduta dell’Unione Sovietica e la fine dell’equilibrio tra potenze, è scomparsa anche la nozione classica di guerra, sostituita da conflitti locali permanenti che hanno l’obiettivo di seminare il panico nelle grandi città. La dissuasione, ricorda Paul Virilio, si poneva ancora sul piano strettamente militare: gli Stati praticavano una dissuasione reciproca, favorendo l’equilibrio del terrore. Venticinque anni dopo, sono costretti ad ammettere che la corsa agli armamenti tipica della “guerra pura” ha cancellato non soltanto l’Unione Sovietica, che è implosa, ma anche l’idea stessa della “grande guerra classica”, la guerra clausewitziana, prolungamento della politica con altri mezzi. «Questa dissoluzione ha condotto il nostro mondo direttamente tra le braccia del terrore, del disequilibrio terrorista e della proliferazione nucleare che, purtroppo, impariamo a conoscere ogni giorno di più». La copertura antimissilistica globale degli americani, quella sorta di ombrello o parafulmine che Bush andava proponendo a tutti nel mondo, esemplifica bene «il grado di squilibrio e il delirio geostrategico di cui siamo vittime».Surreale, aggiunge Virilio in un post su “Tysm”, anche la risposta che diede Putin a Bush: benissimo, il vostro scudo anti-missile potete installarlo in Russia e in Azerbaigian. «Così, dopo la “grande guerra classica” e politica ci ritroviamo adesso alle prese con una guerra asimmetrica e transpolitica». Sostenere che una guerra è asimmetrica e transpolitica al tempo stesso, secondo Virilio «significa affermare che esiste una condizione di totale disequilibrio fra gli eserciti nazionali, quello internazionale, l’esercito della guerra mondiale e i gruppuscoli di tutti gli ordini e gradi che praticano la guerra asimmetrica, dalle semplici gang di quartiere ai paramilitari». Ed esiste «un parallelismo fra la decomposizione degli Stati avvenuta in Africa e quello che sta succedendo ora nell’America del Sud – in Colombia, tanto per fare un esempio – dove nessun esercito nazionale può nulla contro la proliferazione di gang, mafie locali, paramilitari e guerriglieri alla “Sendero Luminoso”». Persino un esercito potentissimo come quello di Israele fu costretto a impantanarsi, in Libano, contro le milizie “artigianali” e inafferrabili di Hezbollah.Non esistono più “guerre pure”, insiste Virilio, ma c’è ormai una guerra totale e “impura”, nata dalle diverse esigenze e dalla diversa struttura della dissuasione armata: «Questa dissuasione non ha più di mira i soli militari, anzi direi che si indirizza essenzialmente ai civili». Vengono proprio da questo «salto di paradigma nella natura della dissuasione» i recenti fenomeni «inconcepibili, solo venti o venticinque anni fa, quali il “Patriot Act” o le prigioni di Guantanamo». Un fatto da non sottovalutare è il disequilibrio imposto dall’emergere di un nuovo terrorismo. «Nell’era della “guerra impura” ci si sforzava di resistere riportando il sistema al suo punto di equilibrio. Ma tutto questo è diventato impossibile, con la continua proliferazione di “nemici asimmetrici”. Siamo di fronte a una enorme minaccia che incombe sulla democrazia di ogni paese, non soltanto sulla testa dei regimi dell’est, del sud, del nord, di dove vi pare, ma anche sui paesi ritenuti “democratici”, tanto in Europa quanto negli Stati Uniti. Esiste una dissuasione civile – il “Patriot Act” ne rappresenta il segno più tangibile, ma ce ne sono molti altri, pensiamo a certe leggi contro gli immigrati che rischiano di passare in Europa – che rende la situazione molto più incerta».Virilio denuncia l’esistenza di «una strategia contro le città». Certo, gli esperti sostengono che si debba “ristabilire l’ordine”, «ma ristabilire l’ordine nella società civile è come aprire una finestra sul caos, è una minaccia assoluta, una sfida lanciata vis-à-vis nei confronti di qualsiasi democrazia: su questo punto ci si accorge di avere a che fare con i sintomi di un vero e proprio delirio». La strategia militare, continua Virilio, sembra essersi dislocata nel cuore stesso delle città: «Si potrebbe parlare di un proseguimento della strategia anti-città iniziata durante la Seconda Guerra Mondiale, con i bombardamenti di Guernica, Oradour, Berlino, Dresda, Hiroshima, Nagasaki. La strategia anti-città è stata una delle innovazioni introdotte durante la Seconda Guerra Mondiale, guerra che ha però introdotto anche un equilibrio del terrore: ricordiamoci che le testate nucleari, a est come a occidente, erano puntate direttamente sul cuore delle città. Oggigiorno, assistiamo però a un dislocamento di questa strategia. Siamo passati dall’equilibrio del terrore all’iperterrorismo». Attenzione: «L’iperterrorismo ha un solo campo di battaglia, e questo campo di battaglia è, appunto, la città». Motivo? «Nelle moderne città si concentra il maximum della popolazione e, con un minimo di armi, può essere raggiunto il massimo risultato, il massimo disastro possibile. Non importa con quali armi si può raggiungere questo risultato: niente più bisogno di panzer, nessuna necessità di portaerei, sottomarini imponenti e via discorrendo».La guerra asimmetrica, oramai sinonimo del disequilibrio terrorista, «cancella il teatro delle operazioni esterne a tutto vantaggio della concentrazione metropolitana». Così, «il luogo della guerra diventa, appunto, la città: l’affollamento urbano trascina guerra e terrorismo nel solco di una geostrategia territoriale, portandolo direttamente sulla linea del fronte». Nella Seconda Guerra Mondiale, «la geopolitica si giocava sui campi di battaglia, a Verdun, attorno a Stalingrado, sulle spiagge della Normandia». Ora, nel mirino sono essenzialmente le metropoli. Quando Putin invita Bush a installare in Russia i super-radar, mette a nudo il problema: contro chi dovremmo difenderci? «Oggi, quasi senza accorgercene, ci ritroviamo preda di ciò che i fisici chiamano principio di indeterminazione: i nostri piedi poggiano su terreni incerti, scossi dalla globalizzazione economica e dalla guerra globale eppure “locale”. Questo apparente paradosso è determinato dal fatto che l’estensione del campo e del fronte non contano più in rapporto all’immediatezza della minaccia».«Quando si arriva a collocare un ordigno nucleare direttamente nella metropolitana di New York, di Parigi o Londra – continua Virilio – allora dobbiamo comprendere che non siamo più nella logica totale, ma in quella locale. L’obiettivo è una città, preferibilmente una grande città, per ottenere il massimo disastro». La “guerra impura” nasce dal globalismo inteso come cambiamento di scala: «Il globalismo riduce tutto al più piccolo fra i comuni denominatori possibili: è così che anche un singolo individuo può significare una guerra totale – e quando dico uno, possono ovviamente essere due, tre, dieci. Quando si pensa al World Trade Center, sono stati undici uomini a fare duemila e ottocento vittime, quasi quante a Pearl Harbor. Stesso risultato. Quanto meno il rapporto tra costi ed efficacia è stato straordinario! Le grandi divisioni, le macchine, la portaerei “Eisenhower” restano lì in attesa di una disfatta che non è determinata dal conflitto di un campo contro l’altro, ma dalla dissoluzione del campo stesso che alimentava la guerra “politica”».La guerra politica, conclude Virilio, aveva di mira un territorio o uno Stato delimitato, che da par suo rispondeva arroccandosi attorno alle proprie frontiere. Ora assistiamo a una confusione babelica tra la guerra civile terrorista e la guerra internazionale. A partire dall’11 Settembre la si potrebbe chiamare “guerra civile internazionale”, propone Virilio. «Fino a quel momento, c’erano state guerre civili nazionali, ma quella era la prima vera guerra civile mondiale». Certo, è ancora possibile premere un bottone e far partire dei missili – la Corea e l’Iran possono farlo – ma in realtà, «con la grande dislocazione della strategia, con la fusione fra guerra civile iperterrorista e guerra internazionale, non è più possibile fare troppe distinzioni», perché «non c’è più alcun equilibrio da ristabilire, solo caos da creare», anche grazie alla crisi degli Stati-nazione esplosa in Europa e ai trattati commerciali “dettati” dalle multinazionali, dal Nafta al Ttip. «La guerra legata alla mera territorialità non è più possibile». Avanza un’altra guerra: sporca, asimmetrica, impura, basata sul terrorismo contro le città e i loro abitanti. «Ne va della nostra esistenza, proprio mentre un enorme punto di domanda leva la sua ombra sulla Storia».Con la caduta dell’Unione Sovietica e la fine dell’equilibrio tra potenze, è scomparsa anche la nozione classica di guerra, sostituita da conflitti locali permanenti che hanno l’obiettivo di seminare il panico nelle grandi città. La dissuasione, ricorda Paul Virilio, si poneva ancora sul piano strettamente militare: gli Stati praticavano una dissuasione reciproca, favorendo l’equilibrio del terrore. Venticinque anni dopo, sono costretti ad ammettere che la corsa agli armamenti tipica della “guerra pura” ha cancellato non soltanto l’Unione Sovietica, che è implosa, ma anche l’idea stessa della “grande guerra classica”, la guerra clausewitziana, prolungamento della politica con altri mezzi. «Questa dissoluzione ha condotto il nostro mondo direttamente tra le braccia del terrore, del disequilibrio terrorista e della proliferazione nucleare che, purtroppo, impariamo a conoscere ogni giorno di più». La copertura antimissilistica globale degli americani, quella sorta di ombrello o parafulmine che Bush andava proponendo a tutti nel mondo, esemplifica bene «il grado di squilibrio e il delirio geostrategico di cui siamo vittime».
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La sensazionale notizia della presenza dell’Isis in Libia
Tragico errore o cinica scommessa? E se l’attacco a Gheddafi scatenato da Francia e Gran Bretagna nel 2011 fosse coinciso con il vero atto di fondazione della mostruosa creatura occidentale chiamata Isis? La Libia viene ora presentata come se fosse invasa da un’armata di Gengis Khan arrivata all’improvviso da non si sa dove, attraverso quali frontiere. In realtà, tra gli “shabab” insorti contro Gheddafi prevalse da subito la leadership fondamentalista, appoggiata dalle bombe della Nato. Crollato il regime, e aperto l’immediato e sanguinoso regolamento di conti tra clan, centinaia di guerriglieri libici furono segretamente dirottati in Siria, attraverso la Turchia, per creare il nerbo all’Esercito Siriano Libero, quello che un anno più tardi – con le armi chimiche usate contro i civili nel tentativo di incolpare Assad – portò il mondo a un passo dalla Terza Guerra Mondiale, spingendo anche il Papa (insieme al Parlamento di Londra) a schierarsi vigorosamente contro l’attacco Nato. Svanita la possibilità di “jihadizzare” Damasco, ecco la nascita dell’Isis, guidato tra le macerie dell’Iraq dall’oscuro al-Baghdadi reduce dalla Siria, dov’era assistito e finanziato dagli Usa tramite missioni come quelle coordinate sul campo dal senatore John McCain. Qualcuno dunque riesce ancora a stupirsi della “comparsa” dell’Isis in Libia?Visto il tragico copione degli eventi, Vincenzo Brandi su “Megachip” ricorda che quattro anni fa fu attaccato il paese più prospero dell’Africa, uno Stato che «stava in pace da 42 anni» ed «era riuscito a contenere i contrasti tra le varie tribù». Il Pil di Tripoli era il più alto di tutto il continente: la Libia di Gheddafi «ospitava 2 milioni di lavoratori immigrati, aveva ricontrattato le licenze petrolifere con le compagnie straniere ottenendo il 90% dei proventi per lo Stato libico redistribuendo i profitti tra la popolazione», e inoltre «riconosceva pienamente i diritti delle donne, aveva fornito il paese di acqua potabile riuscendo anche a raggiungere l’autosufficienza alimentare», dopo aver «allontanato tutte le basi militari straniere, acquisendo una piena indipendenza». La campagna militare anglo-francese del 2011, cui si associò l’Italia in extremis per tutelare i terminali petroliferi dell’Eni, fu preceduta dalla consueta disinformazione mirata a creare consenso bellico, con l’invariabile demonizzazione del dittatore, grande amico dell’Italia fino al giorno prima, accusato persino di aver fatto scavare inesistenti fosse comuni, evidentemente per occultare i corpi di altrettanto immaginarie stragi di civili.Sulla Libia, nel 2011 gli Usa si lasciarono ritrarre in posizione più defilata. «La pensavamo come l’Italia: non bisogna intervenire», dice ora a “La7” un super-falco come il politologo Edward Luttwak, che però sui tagliagole mediatici del “Califfato” oggi dice: «Non chiamiamoli Isis, ma Islam: quello è il pericolo da fermare». E’ esattamente la stessa conclusione a cui puntano i macellai parigini di “Charlie Hebdo” e lo stragista solitario danese: il risultato delle loro azioni è la criminalizzazione indiscriminata di tutti i musulmani, verso lo “scontro di civiltà” tanto caro ai signori della guerra, al comando della politica estera Usa a partire dall’11 Settembre. Secondo Gioele Magaldi, autore del libro-denuncia “Massoni”, l’ex presidente francese Sarkozy, che per primo attaccò la Libia bomdardando Bengasi, sarebbe affiliato alla superloggia “Hathor Pentalpha” creata dai Bush, loggia a cui apparterrebbe anche Tony Blair, l’inventore delle “armi di distruzione di massa” di Saddam. Lo stesso filo rosso-sangue collegherebbe Jeb Bush, possibile candidato alle presidenziali 2016, con lo stesso al-Baghdadi, il leader jihadista in apparenza comparso dal nulla – come Bin Laden – per terrorizzare l’opinione pubblica occidentale.Nell’immenso caos nel quale è stato precipitato il mondo dopo il crollo dell’Urss, si susseguono ipotesi di spregiudicati complotti – alcuni chiaramente leggibili subito, altri confermati spesso dai fatti a posteriori, da prove e ammissioni – mentre avanza all’orizzonte l’inevitabile collisione geopolitica con la Cina, sempre più prossima a una Russia sfidata in Siria e ora assediata alla frontiera con l’Ucraina. Oltre alla coltre di nebbia stesa dai media e dai tanti “debunker”, gli incursori anti-complottistici (la Gran Bretagna ha recentemente reclutato centinaia di “troll” da scatenare su Facebook per smentire le accuse più insidiose), restano perfettamente percepibili le trame in corso, soggette poi al vaglio dell’imponderabile, e in particolare le manovre dell’Occidente per incunearsi nella grande faglia che separa i due rami dell’Islam: da Bin Laden in poi, finora l’intelligence atlantica ha puntato sui sunniti, arma letale contro l’Iran sciita e i suoi alleati regionali, come le milizie libanesi di Hezbollah che hanno arginato l’espansione di Israele. Nonostante quasi 15 anni di guerre ininterrotte, rovine, vittime e profughi, paesi devastati, “fallimenti” dietro cui si celano lucrosissimi business di armamenti e ricostruzioni, i signori della guerra restano al riparo: nessuno si domanda perché tutto questo accada, e il mainstream può persino permettersi di inscenare la “sorpresa libica” dell’Isis, col suo spettacolo dell’orrore.Tragico errore o cinica scommessa? E se l’attacco a Gheddafi scatenato da Francia e Gran Bretagna nel 2011 fosse coinciso con il vero atto di fondazione della mostruosa creatura occidentale chiamata Isis? La Libia viene ora presentata come se fosse invasa da un’armata di Gengis Khan arrivata all’improvviso da non si sa dove, attraverso quali frontiere. In realtà, tra gli “shabab” insorti contro Gheddafi prevalse da subito la leadership fondamentalista, appoggiata dalle bombe della Nato. Crollato il regime, e aperto l’immediato e sanguinoso regolamento di conti tra clan, centinaia di guerriglieri libici furono segretamente dirottati in Siria, attraverso la Turchia, per creare il nerbo all’Esercito Siriano Libero, quello che un anno più tardi – con le armi chimiche usate contro i civili nel tentativo di incolpare Assad – portò il mondo a un passo dalla Terza Guerra Mondiale, spingendo anche il Papa (insieme al Parlamento di Londra) a schierarsi vigorosamente contro l’attacco Nato. Svanita la possibilità di “jihadizzare” Damasco, ecco la nascita dell’Isis, guidato tra le macerie dell’Iraq dall’oscuro al-Baghdadi reduce dalla Siria, dov’era assistito e finanziato dagli Usa tramite missioni come quelle coordinate sul campo dal senatore John McCain. Qualcuno dunque riesce ancora a stupirsi della “comparsa” dell’Isis in Libia?
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Putin: 11 Settembre organizzato dagli Usa, eccovi le prove
L’attacco alle Torri Gemelle «è stato pianificato dal governo degli Stati Uniti, ma è stato eseguito per procura, in modo tale che l’attacco contro l’America e il popolo degli Stati Uniti sembrasse un’aggressione effettuata da organizzazioni terroristiche internazionali». Attenzione: «Le prove fornite sarebbero a tal punto convincenti, da smontare completamente la versione ufficiale dell’11 Settembre sostenuta dal governo degli Stati Uniti». Quali prove? Quelle che starebbero per essere pubblicate a Mosca, controfirmate nientemeno che da Vladimir Putin. Ultima mossa, clamorosa, per tentare di fermare la macchina da guerra che – dalla Siria all’Ucraina – sta assediando i non-allienati allo strapotere di Washington, Russia e Cina in primis, tenendo sotto ricatto anche i paesi del petrolio e la stessa Europa, costretta a varare sanzioni autolesioniste contro l’impero del gas e usare la Nato come minaccia contro Mosca. Il presidente russo, annuncia la “Pravda”, si prepara dunque al colpo del ko: l’esibizione di «prove schiaccianti», satellitari, che inchioderebbero l’intelligence di Bush al crimine dell’11 Settembre, spaventoso massacro ai danni dei cittadini americani, da terrorizzare al punto da indurli a sostenere le guerre a venire, cominciando da Iraq e Afghanistan.La notizia trapela dal newsmagazine “Veterans Today”: un collaboratore, Gordon Duff, segnala che sulla “Pravda” del 7 gennaio 2015 si parla dell’imminente, clamorosa iniziativa dei russi: smascherare definitivamente l’imbroglio mondiale dell’11 Settembre, quello degli arei dirottati sulle Torri “all’insaputa della Cia e dell’Fbi”, senza alcuna reazione da parte della difesa aerea americana. «Le evidenze satellitari russe che provano la demolizione controllata del World Trade Center con “armi speciali” – scrive “Come Don Chisciotte” – sono state recensite da un redattore di “Veterans Today”, mentre si trovava a Mosca». Gli analisti ritengono che l’attuale situazione di “guerra fredda” tra Washingon e Mosca rappresenti la quiete prima della tempesta: «Putin colpirà una sola volta, ma ha intenzione di farlo con notevole durezza», annuncia “Veterans Today”. «L’elenco delle prove include delle immagini satellitari», aggiunge il newsmagazine, e il materiale in via di pubblicazione «dimostrerebbe la complicità del governo degli Stati Uniti negli attacchi del 9/11 e la successiva manipolazione dell’opinione pubblica».«Le ragioni dell’inganno e dell’assassinio dei propri cittadini – continua Duff – avrebbero servito gli interessi petroliferi degli Stati Uniti e delle corporazioni statali del Medio Oriente». La Russia si preparebbe quindi a dimostrare, in modo clamoroso, che «l’America ha utilizzato il terrorismo “false flag”, sotto falsa bandiera, contro i suoi stessi cittadini, per creare il pretesto per un intervento militare in paesi stranieri». Se così dovesse essere, aggiunge Duff, «la conseguenza diretta della tattica di Putin sarebbe quella di rendere note le politiche terroristiche segretamente adottate dal governo degli Stati Uniti: secondo gli analisti americani, la credibilità del governo statunitense ne risulterebbe compromessa e ci sarebbero, di conseguenza, delle proteste di massa nelle città e infine una rivolta generalizzata». A quel punto, si domanda Duff, gli Usa come potranno rapportarsi ancora sulla scena politica mondiale? «La leadership americana nella lotta contro il terrorismo internazionale ne risulterebbe totalmente compromessa, dando un immediato vantaggio agli Stati-canaglia e ai terroristi islamici».Lo stesso Barack Obama non è immune da accuse: tutti ricordano la scandalosa gestione dell’ultimo capitolo dell’affare Bin Laden, dichiarato morto in Pakistan senza uno straccio di prova, il presunto cadavere inabissato nell’Oceano Indiano. Morti anche i soldati del commando che avrebbe ucciso il capo di Al-Qaeda ad Abbottabad: fulminati “per errore” da fuoco amico, a Kabul, poche settimane dopo il misterioso blitz. Tutte le voci più importanti della dissidenza, negli Usa, hanno denunciato come palesemente falsa la versione ufficiale sulla strage dell’11 Settembre, mentre il Senato degli Stati Uniti ha concluso, di recente, che l’Fbi era perfettamente al corrente delle mosse dei futuri dirottatori-kamikaze. Finora, il manistream ha avuto buon gioco nel rifiutare i sospetti, avvalorando la verità ufficiale sulla base di una semplice tesi: il crimine evocato – strategia della tensione, con numeri smisuratamente stragistici – è troppo mostruoso per essere accettato. Impossibile digerire l’idea che qualcuno, al Pentagono, abbia organizzato l’attentato del secolo, arrivando addirittura ad “accecare” l’aviazione Usa per molte ore e a “sequestrare” il presidente Bush, fatto letteralmente scomparire “per proteggerlo”, e anche per impedirgli di reagire. “Complottismo”, è stata finora la formula liquidatoria per seppellire le scomode verità sull’11 Settembre, illuminate da prestigiose contro-inchieste: le Torri sarebbero crollate secondo le procedure della “demolizione controllata”, grazie all’impiego di esplosivi speciali come la nano-termite, di origine militare. E se ora Putin riuscisse davvero a confermare questa versione con evidenze esclusive?Gioele Magaldi, autore del dirompente libro “Massoni”, sulla scorta di documentazione top secret di origine massonica (che l’autore si dichiara pronto a esibire in caso di contestazioni) rivela che Osama Bin Laden non fu soltanto reclutato dalla Cia in Afghanistan ai tempi dell’invasione sovietica, ma fu “affiliato” nientemeno che da Zbigniew Brzezinski e inserito nel potentissimo club ultra-segreto delle superlogge internazionali. Una di queste, denominata “Hathor Pentalpha”, sarebbe stata creata da Bush padre con intenti palesemente eversivi: usare il terrorismo per manipolare l’opinione pubblica e trascinare l’Occidente nella “guerra infinita”, a beneficio delle super-lobby del petrolio e delle armi. Nella “Hathor Pentalpha” sarebbe arruolato anche Tony Blair, che più di ogni altro si spese per costruire la suprema menzogna delle inesistenti “armi di distruzione di massa” di Saddam Hussein. Oggi, l’erede di Bin Laden è il “califfo” Abu Bakr al-Baghdadi, misteriosamente scarcerato nel 2009 dal centro di detenzione di Camp Bucca in Iraq, perché potesse combattere nel sedicente “Esercito Siriano Libero” e poi fondare l’Isis, il cui nome coincide con quello della divinità egizia Iside, vedova di Osiride, nei testi antichi chiamata anche “Hathor”. Solito schema: creare l’armata del terrore per poi scatenare una guerra. E, prima ancora, una campagna elettorale: quella di Jeb Bush, ultimo rampollo della dinastia presidenziale del fondatore della “Hathor Pentalpha”, definita «superloggia del sangue e della vendetta» perché nata quando Bush – affiliato a superlogge reazionarie – fu battuto nella corsa alla Casa Bianca da Ronald Reagan, sostenuto da clan massonici concorrenti.Sempre secondo Magaldi, lo stesso Putin è “affiliato” a una superloggia latomistica internazionale. L’autore di “Massoni” sostiene inoltre che da qualche anno sia in atto una sorta di guerra inframassonica: le “Ur-Lodges” progressiste starebbero preparando una controffensiva, dopo gli ultimi decenni in cui il mondo è caduto letteralmente nelle mani dell’élite finanziaria che ha pilotato la globalizzazione più selvaggia, calpestando i diritti dei popoli e gettando anche l’Occidente in una crisi senza precedenti, il cui punto più critico è l’Europa, dove le classi medie sono state rapidamente impoverite a beneficio dell’oligarchia neo-feudale che domina Bruxelles con il dogma neoliberista del rigore. In parallelo, si muovono scenari geopolitici: come previsto da tutti gli analisti, il gigante cinese è cresciuto in modo esponenziale, minacciando la supremazia americana. La Russia di Putin, prima provocata in Siria e ora assediata in Ucraina a due passi da casa, rappresenta la prima linea del fronte, mentre i Brics lavorano nelle retrovie per preparare un’alternativa multipolare, anche finanziaria, alla “dittatura” del petrodollaro. Quella che Papa Francesco chiama Terza Guerra Mondiale si sta avvicinando. Nel tentativo di scongiurarla, Putin giocherà davvero la sconvolgente carta delle “prove definitive” per accusare il governo Usa per l’11 Settembre?L’attacco alle Torri Gemelle «è stato pianificato dal governo degli Stati Uniti, ma è stato eseguito per procura, in modo tale che l’attacco contro l’America e il popolo degli Stati Uniti sembrasse un’aggressione effettuata da organizzazioni terroristiche internazionali». Attenzione: «Le prove fornite sarebbero a tal punto convincenti, da smontare completamente la versione ufficiale dell’11 Settembre sostenuta dal governo degli Stati Uniti». Quali prove? Quelle che starebbero per essere pubblicate a Mosca, controfirmate nientemeno che da Vladimir Putin. Ultima mossa, clamorosa, per tentare di fermare la macchina da guerra che – dalla Siria all’Ucraina – sta assediando i non-allienati allo strapotere di Washington, Russia e Cina in primis, tenendo sotto ricatto anche i paesi del petrolio e la stessa Europa, costretta a varare sanzioni autolesioniste contro l’impero del gas e usare la Nato come minaccia contro Mosca. Il presidente russo, annuncia la “Pravda”, si prepara dunque al colpo del ko: l’esibizione di «prove schiaccianti», satellitari, che inchioderebbero l’intelligence di Bush al crimine dell’11 Settembre, spaventoso massacro ai danni dei cittadini americani, da terrorizzare al punto da indurli a sostenere le guerre a venire, cominciando da Iraq e Afghanistan.
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Delocalizzazioni e bugie: e gli americani han perso il lavoro
In America il saccheggio non si basa sull’indebitamento perché il dollaro è la valuta di riserva e gli Stati Uniti possono stampare tutto il denaro necessario per pagare i conti e riscattare il debito: in America il depredamento è stato fatto attraverso l’offshoring, cioè la delocalizzazione del lavoro. Grandi aziende americane hanno scoperto − e se non l’avessero fatto sarebbero state invitate da Wall Street a trasferire fuori i conti o a essere rilevate − che avrebbero potuto aumentare i profitti spostando all’estero le loro attività di produzione. Il minor costo del lavoro ha determinato maggiori profitti, valori delle azioni più elevati, enormi bonus manageriali basati su “prestazioni”, guadagni in conto capitale per gli azionisti. Negli Stati Uniti l’offshoring ha notevolmente aumentato la disparità nel reddito e nella ricchezza: il capitale è riuscito a depredare il lavoro. Laddove fossero in grado di trovare lavori sostitutivi, i ben pagati operai manifatturieri che hanno perso il posto lavorerebbero part-time a salario minimo da Walmart e Home Depot.Economisti − ammesso che siano degni di essere chiamati così − come Michael Porter e Matthew Slaughter hanno promesso agli americani che l’immaginaria “new economy” avrebbe prodotto posti di lavoro migliori, con stipendi più alti e più puliti dei lavori dalle “unghie sporche” che fortunatamente le nostre aziende stavano delocalizzando. Come ho definitivamente dimostrato, dopo anni non vi è alcuna traccia di questi posti di lavoro “new economy”. Ciò che abbiamo è invece un forte calo del tasso di partecipazione della forza lavoro, come i disoccupati che non riescono a ricollocarsi. Gli impieghi sostitutivi dei posti in fabbrica sono principalmente lavori part-time per servizi domestici, e la gente deve mantenere due o tre di questi lavori per sbarcare il lunario. Ora che questo fatto − che i polemici ci credano o no − si è dimostrato del tutto vero, gli stessi prezzolati portavoce di chi ha rubato il lavoro e di chi ha distrutto i sindacati sostengono, senza uno straccio di prova, che i posti di lavoro delocalizzati stanno tornando a casa.Secondo questi propagandisti, ora abbiamo quello che viene chiamato “reshoring”, rimpatrio della produzione. Un propagandista del rimpatrio della produzione dichiara che la crescita di “reshoring” nel corso degli ultimi quattro anni è del 1.775%, un aumento pari a 18 volte. Non vi è alcuna traccia di questi presunti posti di lavoro rimpatriati nelle statistiche mensili Bls (“Bank Lending Survey”, indagine sul credito bancario) sugli impieghi regolarmente retribuiti. Il “reshoring” è solo propaganda per compensare la constatazione tardiva che gli accordi di “libero scambio” e delocalizzazione del lavoro non erano vantaggiosi per l’economia americana né per la sua forza lavoro, ma lo erano solo per i super-ricchi. Come è capitato alle persone nel corso della storia, gli americani sono diventati servi e schiavi perché gli sciocchi credono alle bugie che gli si dà in pasto. Si siedono davanti a “Fox News”, “Cnn” e roba del genere, leggono il “New York Times”. Se volete imparare come gli americani sono serviti male dai cosiddetti mezzi d’informazione, leggete “Storia del popolo americano dal 1492 ad oggi” (1980, 2003) dello storico Howard Zinn e guardate la serie di documentari “The Untold History of the United States” (2012) di Oliver Stone e Peter Kuznick.I media aiutano il governo, e gli interessi privati che traggono profitto controllando il governo controllano il lavaggio pubblico del cervello. Dobbiamo invadere l’Afghanistan perché una fazione che lotta per il controllo politico del paese protegge Osama bin Laden, che gli Stati Uniti accusano senza alcuna prova di infastidire i potenti Stati Uniti con l’attacco dell’11 Settembre. Dobbiamo invadere l’Iraq perché Saddam ha “armi di distruzione di massa”, che ha sicuramente nonostante le relazioni contrarie da parte degli ispettori dell’Onu. Dobbiamo rovesciare Gheddafi a causa di una lista di menzogne che è meglio dimenticare. Dobbiamo rovesciare Assad perché ha usato armi chimiche, anche se tutte le prove dicono il contrario. È la Russia la responsabile dei problemi in Ucraina: non perché gli Stati Uniti hanno rovesciato il governo democraticamente eletto ma perché la Russia ha accettato il 97,6% dei voti del referendum per il ricongiungimento della Crimea alla Russia, della quale era stata provincia per centinaia d’anni prima che un leader sovietico ucraino Krusciov unisse la Crimea all’Ucraina, allora parte dell’Urss insieme alla Russia.Guerra, guerra, guerra: questo è tutto ciò che Washington vuole. Arricchisce il connubio esercito/sicurezza, la voce più importante del Pil americano e il maggior contribuente, insieme con Wall Street e la lobby israeliana, delle campagne politiche Usa. Chiunque o qualsiasi organizzazione che opponga la verità alle menzogne è demonizzato. La settimana scorsa il nuovo capo della “Broadcasting Board of Governors” (Bbg, l’agenzia governativa indipendente responsabile per tutti i mezzi di comunicazione non militari), Andrew Lack, ha indicato il servizio Internet-Tv russo “Russia Today” come l’equivalente di Boko Haram e dei gruppi terroristici dell’Isis. Quest’accusa assurda è un preludio alla chiusura di “Rt” negli Stati Uniti proprio mentre il governo britannico, fantoccio di Washington, ha chiuso la rete televisiva iraniana “Press Tv”. In altre parole, gli anglo-americani non consentono notizie diverse da quelle che sono state loro servite dai “loro” governi. Questo è lo stato della “libertà” oggi in Occidente.(Paul Craig Roberts, estratto da “Libertà dove sei? Non in America né in Europa”, pubblicato da “Global Research” e ripreso da “Megachip” il 30 gennaio 2015).In America il saccheggio non si basa sull’indebitamento perché il dollaro è la valuta di riserva e gli Stati Uniti possono stampare tutto il denaro necessario per pagare i conti e riscattare il debito: in America il depredamento è stato fatto attraverso l’offshoring, cioè la delocalizzazione del lavoro. Grandi aziende americane hanno scoperto − e se non l’avessero fatto sarebbero state invitate da Wall Street a trasferire fuori i conti o a essere rilevate − che avrebbero potuto aumentare i profitti spostando all’estero le loro attività di produzione. Il minor costo del lavoro ha determinato maggiori profitti, valori delle azioni più elevati, enormi bonus manageriali basati su “prestazioni”, guadagni in conto capitale per gli azionisti. Negli Stati Uniti l’offshoring ha notevolmente aumentato la disparità nel reddito e nella ricchezza: il capitale è riuscito a depredare il lavoro. Laddove fossero in grado di trovare lavori sostitutivi, i ben pagati operai manifatturieri che hanno perso il posto lavorerebbero part-time a salario minimo da Walmart e Home Depot.
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Walking Dead, zombie cannibali: siamo carne da macello
Conosco molte persone che non hanno nessun interesse a guardare la televisione perché il 99% dei programmi è spazzatura o propaganda politica da parte del governo. Solo l’1% propone le tematiche più profonde e gli stati d’animo presenti nella nostra società. Gli show televisivi come “Breaking Bad”, “Game of Thrones” e “The Walking Dead” riflettono lo stato d’animo deprimente dell’incalzante “Fourth Turning”. In aprile ho scritto uno dei miei articoli più pessimisti, intitolato “Welcome to Terminus”, benvenuti a Terminus, riguardo alla fine della quarta serie di “Walking Dead”. In sintesi argomentavo che ci stiamo avvicinando alla fine del mondo e che il mondo stesso diventerà odioso. Nei sei brevi mesi da quando ho scritto questo deprimente articolo, abbiamo visto nei video di YouTube uomini decapitati da parte di terroristi di cui non si sapeva nemmeno l’esistenza a inizio anno. È stata messa in piedi alla buona una banda di 30.000 terroristi musulmani che usa le armi militari americane fornite per combattere Assad in Siria e sottratte dalle forze armate irachene quando hanno tagliato la corda e sono scappate via; sono stati in grado di sconfiggere 600.000 combattenti iracheni e curdi che avevano l’appoggio da parte della grandiosa forza aerea americana.La Siria, l’Iraq, la Libia e l’Afghanistan crollano verso una guerra religiosa senza fine. Abbiamo addirittura passeggeri aerei che spariscono misteriosamente in Asia senza lasciare traccia. La Crimea si è staccata dall’Ucraina per appartenere alla Russia ed è stato messo in moto un piano da parte delle potenze occidentali per punire la Russia. L’America supporta e pianifica un rovesciamento da parte di un governo eletto democraticamente in Ucraina. Abbiamo assistito al “false flag” dell’abbattimento di un aereo di linea sopra l’Ucraina da parte del governo ucraino, del quale vengono accusati la Russia e Putin da Obama e dai suoi complici europei. Le agenzie di media portavoce americane hanno ignorato l’occultamento delle trasmissioni di controllo mancanti, le registrazioni della scatola nera e gli indizi evidenti della morte di centinaia di persone innocenti per mano di politici europei. Israele e Hamas hanno ripreso la loro infinita guerra religiosa a Gaza causando migliaia di vittime e distruzione.L’Inghilterra intimorita dalla guerra e dalle minacce finanziare a stento si accorge della secessione della Scozia. La Catalogna continua a premere per un voto di secessione per lasciare la Spagna. Proteste violente sono scoppiate in Spagna, Italia, Francia e anche in Svezia. Turbolenze, proteste e rivolte in Brasile, Venezuela, Argentina e in Messico sono germogliate a causa della rabbia per la corruzione politica, per l’inflazione e per un generale malfunzionamento dell’economia. Si è alzato un polverone tra Cina e Giappone e i giovani di Hong Kong sono scesi in piazza a protestare per la scarsa democrazia concessa dalla Cina nelle elezioni. L’economia mondiale, che subisce il venir meno dello stimolo da parte della banca centrale, sta tornando in una fase di recessione con Germania, Cina e Stati Uniti che si uniscono al declino economico del resto del mondo. E ora, in Africa occidentale scoppia l’Ebola che si è già sparsa in tutto il mondo con la previsione di un’epidemia che potrebbe portare il pianeta in un caos completo.Quello che sta succedendo nel mondo reale rende lo zombie distopico di “Walking Dead” un essere quasi bizzarro. Con un uso brillante del simbolismo e dell’arte figurativa, gli autori di questo show catturano il mondo nella sua essenza violenta, caotica, inumana, deprimente e brutale come il periodo di crisi “Fourth Turning” nel quale siamo entrati nel 2008 e che si intensifica di giorno in giorno. C’è una buona ragione per cui il primo episodio della quinta stagione ha stabilito il record di ascolti nella storia della Tv via cavo. La serie sta chiaramente prendendo a piene mani dallo stato d’animo che pervade la massa. Prima, nell’ultimo episodio della serie precedente, ci si rende conto che Terminus è diventato un centro di produzione gestito dai cannibali. La linea di confine tra vittime e criminali, tra preda e cacciatore, tra male e bene, tra follia e sanità mentale, tra morale e immorale ha contorni sfumati e indefiniti. Tutto diventa relativo, nel mondo post-apocalittico di “Walking Dead”.Vedere i cannibali di Wall Street andarsene indenni dopo aver divorato il sistema economico mondiale nel 2008 con i loro calcoli finanziari fraudolenti, vedere i politici corrotti arricchitisi buttando coloro-che-pagano-le-tasse sotto un autobus, le forze di polizia calpestare il Quarto Emendamento, la Nsa sorvegliare ogni cittadino americano, una banca centrale privata arricchire i suoi azionisti facendo transitare migliaia di miliardi nelle loro camere blindate, un presidente calpestare la Costituzione emanando ordini che scavalcano gli altri rami del governo e ancora miliardi di frodi, fiscali e del welfare, dai ghetti urbani fino alle suite-attico di New York; tutto ciò ha convinto gran parte degli americani che tutto sia relativo e che niente importi davvero nel nostro mondo distopico e corrotto. Giusto e sbagliato non contano più. La morale è un concetto antico. La fedeltà alla Costituzione è una consuetudine fuori moda. La nostra società inneggia e accetta il paradigma dell’homo homini lupus. O lo zombie che mangia qualsiasi cosa, nel caso di “Walking Dead”.La comunità Terminus ricorda il campo di concentramento nel film Shindler’s List. Ci sono addirittura vagoni per i prigionieri, cancelli con filo spinato, guardie armate e un numero infinito di attrezzature per “processare” i prigionieri. Un fitto fumo nero impregna l’aria. C’è una stanza piena della refurtiva ben impilata, orsacchiotti, orologi, vestiti di tutto tranne le otturazioni d’oro. La precisione e l’attenzione al dettaglio tanto cara ai nazi si riflettono nel metodo professionale con cui gli amministratori di Terminus stanno per divorare le loro prede. La raccapricciante efficienza e l’ambiente antisettico dell’impianto di preparazione evocano il ricordo delle camere a gas dell’Olocausto. La scena iniziale quando Rick, Daryl, Glenn e Bob sono in mezzo a un gruppo di uomini in fila pronti per essere sventrati come maiali, attorno a una mangiatoia in attesa che venga raccolto il loro sangue, può essere a buon diritto una delle scene più terribili mai messa in onda sulla Tv via cavo.Il modo freddo e spietato in cui i prigionieri (la carne da macello) sono allineati di fronte a un’inossidabile mangiatoia d’acciaio è sconcertante e agghiacciante. Le vittime sono colpite con una mazza da baseball e le loro gole vengono squarciate da uomini con tute protettive. Non sono diventati altro che carne pronta per essere macellata e consumata dai cannibali di Terminus. In un’ altra parte dell’impianto di “macellazione” si vedono essere umani appesi a dei ganci esattamente come pezzi di carne. Gareth, il leader di Terminus, supervisiona l’operazione come un perfetto amministratore delegato, rimproverando i macellai per non essere arrivati alla quota stabilita e per non aver seguito le procedure standard. Situazione non molto diversa da come vengono gestite le grandi aziende oggigiorno. L’altra affascinante similitudine tra il distopico “incubo del volere” rappresentato in Terminus e il nostro moderno distopico “regno dell’eccesso” è l’uso di una pubblicità falsa e una propaganda che induce i consumatori in trappola.La loro versione dei cartelloni pubblicitari era compensata da messaggi scritti a mano della serie “Un rifugio per tutti”, “Una comunità per tutti” e “Coloro che arrivano sopravvivono”. I cannibali di Terminus si sarebbero trovati benissimo in Madison Avenue con gli artisti Spinart meglio pagati, i divulgatori e le puttane per gli oligarchi delle banche. I cartelli lungo le rotaie e le trasmissioni radio da parte di un call center mostrano la business efficiency con cui i cannibali conducono le loro vittime al macello. È la stessa tecnica utilizzata dagli apostoli di Edward Bernays per manipolare in maniera consapevole e intelligente le abitudini, le opinioni, i gusti, le idee e le azioni delle masse per poterle controllare in ciò che comprano e nelle decisioni di voto e per sostenere le loro regole. Gli uomini invisibili che costituiscono il “governo invisibile” prediligono la tecnica di mantenere il bestiame docile, fedele e ignorante dato che lo porteranno al macello.Il governo e l’assenza di governo sono il torbido retroscena di come e perché gli Stati Uniti siano finiti nel mondo infetto di “Walking Dead”. Questo episodio fornisce alcuni indizi su come i laboratori del governo producano virus come armi da usare contro non meglio definiti nemici. L’insinuazione che traspare nel racconto è che il governo abbia in qualche modo perso il controllo del virus e che la conseguente pandemia abbia distrutto il mondo moderno lasciando i sopravvissuti a combattere contro gli zombie per il poco che è rimasto. Il governo federale ha causato il collasso della società ed è assente ed introvabile nel momento in cui bisogna ricostruire la nazione. Non è chiaro come l’apocalisse finisca, ma si può immaginare che inizi con paura, la quale porta al panico, al caos, al crollo economico, a uno sconvolgimento violento, alla guerra, a un totale collasso dell’autorità e del controllo da parte del governo. Si può leggere dell’ironia nel fatto che la paura che l’Ebola diventi un’epidemia pandemica coincide con un’inevitabile implosione economica, con le guerre che risuonano in Medio Oriente, con le violente proteste in tutto il mondo, e con la fiducia nell’autorità dei governi che crolla in un solo momento.“Walking Dead” ha intenzionalmente o meno catturato l’essenza della nostra epoca turbolenta. Quando si affrontano circostanze disperate, o si fa tutto il possibile per sopravvivere o si accetta sommessamente il proprio destino e si muore. Gareth e la sua schiera di cannibali sono nella stessa situazione, così come Rick e i suoi, ma sono riusciti in qualche modo a cambiare la situazione dei loro carcerieri. Nella comunità di Gareth la sopravvivenza del più forte era secondo il motto “o sei il macellaio o sei carne da macello”. L’essere umano reagisce in modi diversi a una forte pressione e alle situazioni di minaccia che capitano nella vita. Alcune persone vengono annientate e diventano dei mostri, come Gareth. Alcuni vengono annientati e perdono la testa. Altre, come Rick e Carol, mettono insieme una grande forza interiore per fare tutto il possibile per sopravvivere cercando di mantenere il loro buon senso. Altri si convertono in ciechi sostenitori di un leader forte senza mettere in discussione la morale, la legalità e il buon senso di quello che sono chiamati a fare. La linea tra ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, tra ciò che è necessario e non necessario, tra la vendetta e la giustizia, tra il macellaio e la carne da macello appare sfumato in un mondo senza regole, governo e norme accettate.Credo che l’analogia del macellaio e della carne da macello sia purtroppo un valido memo del mondo nel quale stiamo vivendo. Nel mondo di “Walking Dead” gli individui devono scegliere tra il macellaio o la carne da macello. È un mondo darwiniano costituito da coloro che uccidono e da coloro che vengono uccisi. Gli individui solidali con valori e obiettivi comuni formano una comunità e cercano di portare un ordine nel mondo caotico in cui vivono. La comunità di Westbury, presieduta dal governatore e la comunità di Terminus, diretta da Gareth, sono fondate sul male e alla fine sono distrutte. La comunità di Rick è costituita da guerrieri liberi che fanno il necessario per sopravvivere, ma controllano la loro umanità, dignità e il loro desiderio di creare un mondo migliore. Il mondo nel quale viviamo oggi potrebbe non essere brutale come quello di “Walking Dead”; e anche se il confine tra la realtà e la finzione è spesso indefinibile quando si sfogliano i giornali, quello tra macellaio e carne da macello è chiaro.I governanti eletti e non eletti dello Stato sono i macellai, sono coloro che spediscono fuori dal paese i giovani a morire per compagnie di petrolio e trafficanti d’armi, coloro che impoveriscono il popolo attraverso l’inflazione e il controllo sulla moneta e allo stesso tempo si arricchiscono attraverso il completo controllo della politica, della finanza, della giustizia e dei sistemi economici. Questa classe dirigente, o governo invisibile come lo descrive Bernays, è dedito al proprio arricchimento e alla perpetuazione. Il suo scopo, le risorse finanziarie, e la ricchezza globale lo pongono di per sé dalla parte dei predatori. La gente comune rappresenta la carne da macello. Ci stanno tenendo buoni con un’incessante propaganda da parte dei media principali; i messaggi pubblicitari su Madison Avenue; siamo nutriti con dati economici filtrati, aggiustati, manipolati da parte delle agenzie statali; un infinito rifornimento di iGadgets e altre distrazioni elettroniche; l’educazione statale organizzata per mantenerci ignoranti; 24 ore al giorno, 7 giorni su 7 di reality show su seicento canali diversi per tenerci occupati; cibo tossico e industriale per tenerci obesi e mansueti; e una scorta infinita sull’indebitamento di Wall Street per tenerci intrappolati nelle nostre stesse ali senza speranza di scappare. Lo Stato macellaio ha mantenuto il controllo per decadi, ma stiamo entrando in una nuova era.Il libro “The Fourth Turning” fa capire che i ruoli sono cambiati e questa volta tocca ai macellai. Un po’ di bestiame da macello si sta svegliando dallo stupore. Riescono a vedere il sangue delle scritte nelle mura del macello. Chiunque non stia vedendo un cambiamento drammatico nel proprio stato o è uno zombie senza coscienza o un funzionario dello Stato. Le bravate finanziarie della classe alta non si stanno rivelando altro che un schema Ponzi costruito sulle fondamenta del debito e sostenuto da delusione e ignoranza. Quando the House of Cards crollerà in futuro, il gioco cambierà. Quando le persone non avranno più niente da perdere, andranno fuori di testa. I macellai diventeranno la carne da macello. Non ci sarà riparo per questi uomini del male. Il loro regno del male verrà spazzato via in un turbinio di castigo morte e distruzione. Ciò potrebbe anche rendere “The Walking Dead” una passeggiata nel parco, a confronto.(“Benvenuti a Terminus”, intervento pubblicato il 16 ottobre 2014 da “The Burning Platform”, blog gestito da Jim Quinn, e tradotto da “Come Don Chisciotte”; ripetuti i riferimenti al libro “The Fourth Turning”, dei sociologi William Strauss e Neil Howe).Conosco molte persone che non hanno nessun interesse a guardare la televisione perché il 99% dei programmi è spazzatura o propaganda politica da parte del governo. Solo l’1% propone le tematiche più profonde e gli stati d’animo presenti nella nostra società. Gli show televisivi come “Breaking Bad”, “Game of Thrones” e “The Walking Dead” riflettono lo stato d’animo deprimente dell’incalzante “Fourth Turning”. In aprile ho scritto uno dei miei articoli più pessimisti, intitolato “Welcome to Terminus”, benvenuti a Terminus, riguardo alla fine della quarta serie di “Walking Dead”. In sintesi argomentavo che ci stiamo avvicinando alla fine del mondo e che il mondo stesso diventerà odioso. Nei sei brevi mesi da quando ho scritto questo deprimente articolo, abbiamo visto nei video di YouTube uomini decapitati da parte di terroristi di cui non si sapeva nemmeno l’esistenza a inizio anno. È stata messa in piedi alla buona una banda di 30.000 terroristi musulmani che usa le armi militari americane fornite per combattere Assad in Siria e sottratte dalle forze armate irachene quando hanno tagliato la corda e sono scappate via; sono stati in grado di sconfiggere 600.000 combattenti iracheni e curdi che avevano l’appoggio da parte della grandiosa forza aerea americana.
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Gli Usa puntano sulla guerra, non potendo sfidare la Cina
E’ necessario dire la verità sull’Ucraina. Vi è una usurpazione di potere. Chi governa non è stato eletto in elezioni presidenziali, ma dall’ambasciatore americano e dai servizi speciali. Tutto quello che succede in Ucraina è nell’illegalità. Il referendum in Crimea per la riunificazione con la Russia si è svolto nei termini della legalità internazionale e della legge dello stato di Crimea. I referendum in Donbass sono assolutamente legali in termini di sovranità e indipendenza. Al contrario, in Ucraina lo Stato è occupato, è sotto il controllo dei servizi speciali americani. Il potere a Kiev è esercitato dall’esterno. Pertanto, gli accordi di cessate il fuoco e la difesa dei civili non funzionano. La dirigenza ucraina li viola sistematicamente. Ogni giorno a Donetsk soffrono bombardamenti, e la gente muore. I paesi della Nato lo supportano, e la propaganda nazista mistifica gli eventi nel paese. Ora abbiamo lo stesso copione geopolitico. Gli americani avranno bisogno di vincere una guerra per preservare l’egemonia nel mondo, dal momento che non hanno alcuna possibilità di competere con la Cina.L’élite che domina in America cerca una crescente tensione politica e ha ora messo gli occhi su una guerra in Europa, che permetterebbe agli Stati Uniti di diventare un super-Stato. Le due guerre mondiali hanno creato flussi di capitale, di tecnologia e di mentalità tali da conformare l’Europa agli auspici americani. Il continente europeo si è trasformato in forza trainante per il capitalismo americano. Proseguendo il percorso tradizionale, gli americani hanno finanziato bande naziste in Ucraina e formato il regime terrorista anti-russo in Ucraina. L’Ucraina, come parte del mondo russo, non può seriamente essere percepita da noi come un nemico. A questo proposito non si può applicare una soluzione militare dura. Il compito degli americani è stato quello di organizzare il genocidio della popolazione russa, provocare operazioni militari di risposta, che costringerebbero a misure anche contro gli alleati in Europa della Nato. L’obiettivo dichiarato è quello di utilizzare i nazisti ucraini come ariete contro il sistema statale russo, fare una serie di “rivoluzioni arancioni” nel nostro territorio, smembrare e stabilire il controllo sulla Russia e sull’Asia Centrale. La guerra è necessaria per l’oligarchia americana. Per mantenere il dominio del mondo, cerca di scatenare una guerra in Europa.Noi siamo in grado di costruire una coalizione globale contro la guerra, che impedrà agli americani di isolarci. Usano il principio del “divide et impera” per alienare le nostre relazioni con gli Stati vicini. Se siamo in grado di mantenere l’unità strategica con la Cina, l’India, e creare nuovi centri di influenza politica nel blocco Brics, che copre più della metà dell’umanità, concentrandolo intorno ai nostri partner e amici nello spazio post-sovietico, i piani americani di una nuova guerra mondiale sono condannati alla sconfitta. La verità è che siamo già in guerra, una guerra che hanno scatenato gli Stati Uniti. È una guerra ibrida. Nessun mezzo come carri armati o armi di distruzione di massa. Il conflitto si basa su una vasta gamma di altri metodi disponibili: informativi, finanziari. La guerra finanziaria contro di noi viene svolta seriamente. Stiamo già chiedendo sostegno a fonti esterne di credito. Sono state approvate sanzioni che sono una grave violazione del diritto internazionale civile, commerciale e finanziario. Vi è anche la guerra contro di noi nel Donbass, non dovremmo dubitare di questo. Per trascinare il conflitto verso l’Europa, l’amministrazione americana che decide a Kiev ha demolito l’aereo malese. L’Ucraina è ormai un Stato quasi terrorista”.(Sergey Glazev, dichiarazioni rilasciate a Tatiana Medvedev per un’intervista ripresa da “L’Antidiplomatico” il 29 dicembre 2014. Economista e consulente vicino al presidente Putin, Glazev ha pubblicato il libro “L’incidente ucraino, dall’aggressione americana alla guerra mondiale?”).E’ necessario dire la verità sull’Ucraina. Vi è una usurpazione di potere. Chi governa non è stato eletto in elezioni presidenziali, ma dall’ambasciatore americano e dai servizi speciali. Tutto quello che succede in Ucraina è nell’illegalità. Il referendum in Crimea per la riunificazione con la Russia si è svolto nei termini della legalità internazionale e della legge dello stato di Crimea. I referendum in Donbass sono assolutamente legali in termini di sovranità e indipendenza. Al contrario, in Ucraina lo Stato è occupato, è sotto il controllo dei servizi speciali americani. Il potere a Kiev è esercitato dall’esterno. Pertanto, gli accordi di cessate il fuoco e la difesa dei civili non funzionano. La dirigenza ucraina li viola sistematicamente. Ogni giorno a Donetsk soffrono bombardamenti, e la gente muore. I paesi della Nato lo supportano, e la propaganda nazista mistifica gli eventi nel paese. Ora abbiamo lo stesso copione geopolitico. Gli americani avranno bisogno di vincere una guerra per preservare l’egemonia nel mondo, dal momento che non hanno alcuna possibilità di competere con la Cina.