Archivio del Tag ‘Arabia Saudita’
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Frantumare il mondo: a chi serve la macchietta Renzi
Se avete visto il magnifico e sconvolgente “The wolf of Wall Street”, di quel bimbo di Andersen (“Il re è nudo”) che è Martin Scorsese, avrete compreso l’affinità antropologica tra quei cannibali e il loro sottoprodotto al mandolino, Renzi. Ma, per capire il modello che stanno mettendo in opera, conviene fare un breve elenco dei tratti fisiognomici di una classe di criminali che ha imperversato sulle Americhe e poi sul mondo dalla Mayflower in qua. Dal genocidio degli indio-americani a oggi, gli Usa hanno superato qualsiasi altro Stato della storia per numero di guerre e vittime; in media una guerra all’anno, sempre portate, mai ricevute. Dal 1945 al 2014 sono intervenuti militarmente in 90 paesi. Attualmente sono impegnati con forze speciali, Ong, quinte colonne, bombardieri e droni, colpi di Stato effettuati o tentati, sanzioni, destabilizzazioni e mercenariato surrogato, in 135 paesi.I serial-mass-killer insediati nella Casa Bianca dal 1991 hanno ammazzato 3 milioni in Iraq, 40 mila in Afghanistan, 4000 in Serbia, 100 mila in Libia, 130 mila in Siria, migliaia in Pakistan, Yemen, Somalia. Altri milioni li hanno fatti uccidere da proconsoli e ascari in Ruanda (dove si sono confrontati Francia e Usa per chi facesse scannare più hutu), Congo, Mali, Rac, Latinoamerica. E abbiamo saltato Vietnam, Corea, Centroamerica. Con il 4% della popolazione mondiale contano per il 75% dell’inquinamento globale, l’80% del traffico e consumo di stupefacenti e il 65% dell’acqua dolce del mondo è stata avvelenata dagli agro-tossici Usa. Ogni anno la polizia Usa uccide più di 5.000 persone disarmate. Con 2,5 milioni di detenuti, sono il paese con il più alto tasso di carcerazione del mondo. Lo 0,01 più ricco possiede il 23% della ricchezza nazionale, il 90% più povero il 4%. La loro teoria economica chiamata “crisi” ha procurato al 3% un più 75% di ricchezza, alle multinazionali più 171%.Una macchina da devastazione, saccheggio, terrorismo e morte che, nel nostro paese, ha espettorato una serie di zombie addestrati a tirarsi uova marce di giorno e banchettare insieme di notte, come dal ‘700, sotto varie denominazioni, partito repubblicano e partito democratico nordamericani insegnano. E, come in ogni teatro di marionette che si rispetti, i pupi si scambiano i ruoli, a seconda delle temperie e delle urgenze di “cambiamento” e “innovazionie”, da Bertinotti a Renzi, da Occhetto a Letta, da Berlusconi ai fascisti dichiarati. Di questo avvicendarsi di parti in commedia oggi vediamo l’espressione più chiara, del tutto de-mimetizzata: il blob che si definisce centrosinistra, socialdemocrazia, rappresentante di classe operaia e ceti popolari, mette in campo un manipolo di trucidi e sciacquette che soffiano al finto avversario il modello Chiesa-Wall Street-Pentagono-mafia; gli altri, mutati da grassatori, puttanieri, ladri, in “moderati”, saltano il fosso e si pretendono a fianco di operai, ceti medi scarnificati, euroschifati e perfino Putin.Di tutto questo l’incarnazione più lineare è il capobastone del Colle, transitato dagli inni ai carri sovietici di Budapest a quelli agli F-35 Usa. E’ vero che il sangue nelle vene di costoro, se non intorbidito, si deve essere un bel po’ diluito, se riusciamo a resistere in poltrona davanti a certi vaudeville, oltre a tutto sempre più Grand Guignol. Con, per opposizione, solo una ruspa truccata da tanko di chi si vorrebbe fare lo stesso spettacolo tutto da solo. Lo stupefacente e agghiacciante fatto che un saltimbanco, incolto e abissalmente ignorante, spargitore di fuffa tossica, manifestamente imbroglione e bugiardo al solo sguardo volpino da pusher, al solo arricciarsi della boccuccia a culo di gallina, possa aver affascinato, interessato, anche solo incuriosito, questi vasti pezzi di società italiana (fuori se la ridono), è la dimostrazione di cosa ci hanno fatto vent’anni di vaudeville berlusconiana, con la stuoina “centrosinistra” a fargli strofinare le scarpe.Il volgare e mediocre Stenterello schiamazzone, accademico ineguagliato di populismo, restauratore mascherato da rottamatore, confezionato con un tweet di Bilderberg e carburato da euro-merda e cianuro, ha fatto meglio in pochi mesi di Andreotti in quarant’anni. Si permette di definirsi rullo compressore e, pur essendo di cartone, l’ignavia di massa gli consente di fare il lavoro dello schiacciasassi che tutto asfalta e sotto cui niente vive. Assimilata la pseudo-opposizione parlamentare sindacale e mediatica, quella residua delle istituzioni e dell’intelletto è considerata stravaganza di comici e, insistendo in piazza, eversione e terrorismo (vedi No Tav o No Muos). Nessun Mussolini, nessun Hitler e nemmeno i falsari elettorali delle democrazie borghesi avrebbero avuto la protervia di presentarci una legge elettorale così spudoratamente da roulette truccata con la calamita sotto. Una legge che vieta agli elettori di scegliere i loro rappresentanti, che, escludendo da ogni voce in capitolo milionate di cittadini, dà, alla tibetana, potere di vita e di morte sui sudditi a chi arriva al 20% del 50% di italiani che votano.Neanche la Gorgone Fornero, del rettilario bancario, avrebbe osato sognare la socialdemocratica riduzione in panico e schiavitù delle generazioni presenti e a venire, grazie ai 36 mesi a tempo determinato, a zompi intervallati di 4 mesi, dopodiché fuori dalle palle e sotto un altro. Infine, per elevare l’indispensabile tasso di criminalità, il bellimbusto pitocco fa passare una legge sulla custodia cautelare che esime dal gabbio quelli che, forse, si beccherebbero fino a 4 anni, cioè in prima fila i compari elettori e finanziatori dai colletti bianchi. Dopo l’avvenuta evirazione dei Comuni, abolizione delle provincie per collocare negli enti sostitutivi altri 30 mila clienti, come dimostrato dai Cinque Stelle, ma soprattutto per togliere di mezzo gli organismi intermedi di rappresentanza, potenzialmente più vicini al territorio e più distanti dalle cosche apicali. Obliterazione, grazie allo tsunami propagandistico dei “costi della politica”, di quell’istanza d’appello e di controllo che è il Senato. La sua scomparsa, per risparmiare, dicono, 300 milioni (fatti passare per 1 miliardo) ci costerà quanto costò alle libertà romane, nel passaggio dalla Repubblica al Principato, il Senato trasformato in innocua camera di compensazione di latifondisti e usurai. Riduzione delle pene per il voto di scambio, per chi si fa comprare – e obbligare – dai voti procurati dall’altra criminalità, a conferma dell’unità di gestione aziendale di Stato e mafia.Mascherine da festa cotillon che si agitano ai piani bassi dei palazzi dove, in alto, si scatenano i lupi mannari di Wall Street. Rispetto a quella realizzata nel ‘22, la loro dittatura in fieri parrebbe l’avanspettacolo di Bonolis a fronte di una tragedia di Euripide. Ma le cose stanno molto peggio. Rispetto ai triumviri e federali di Mussolini, ai gauleiter e feldmarescialli di Hitler, fenomeno assediato dal resto del mondo, questi sono i tentacoli di una piovra gigante che abbranca mezzo emisfero, tre quarti di tutte le bombe atomiche, mezzo patrimonio produttivo e finanziario, le tecnologie di controllo e soppressione più avanzate e la complicità del più potente istituto per la manipolazione religiosa di coscienze di tutti i tempi. A proposito di quest’ultimo, capeggiato oggi dal quasi-santo Francesco, a strappare i veli dall’umile buonismo esibito da costui basta la pronuncia della gerarchia cattolica del Venezuela, capeggiata dal nunzio nominato dal papa, Parolin, avverso al “despota” Maduro, e a sostegno delle bande di terroristi scatenati dalla Cia contro la nazione bolivariana. Oscenità imperialista che si affianca alla nomina a consigliere del papa di Oscar Maradiaga, primate dell’Honduras e complice di quei golpisti che proseguono nella strage di oppositori, contadini e indigeni. Fin dal suo primo “buonasera”, si sarebbe dovuto capire che il Bergoglio silente tra i generali argentini sarebbe stato l’anti-Chavez dell’America Latina.Del rilievo dato al burattino italiota dalla strategia del Nuovo Ordine Mondiale sono stati testimoni gli augusti visitatori che si sono precipitati a Roma a completare l’agenda che a Renzi era stata commissionata nei giri per Londra, Berlino, Bruxelles e Parigi. Per Obama, d’intesa con il proconsole sul Colle, è stata la consueta intimazione-consacrazione del vassallo di turno. Per la regina Elisabetta è stato il rinnovo del patto tra classe dirigente italiana e la secolare loggia Rothschild-Windsor, sancito nel 1992 in forma definitiva sul suo yacht “Britannia”, quando emissari come Soros, Draghi, Andreatta e bancari vari, concordarono con Ciampi e poi Amato e Prodi la privatizzazione dell’Italia e la sua riduzione a piattaforma mediterranea di guerre d’aggressione e a hub del traffico di energia e stupefacenti, terra di rapina per multinazionali perfezionata nel Ttip, “Partneriato Transatlantico per Commercio e Investimenti”.Prima mossa domestica, capitoletto dell’ordine di servizio imperiale eseguito in Ucraina, Venezuela, Iran, Siria, non i soli F-35, ma la messa fuori gioco di Paolo Scaroni, ad dell’Eni. Non si tratta di compiangere un lestofante, con stipendio milionario, che s’è aperto la strada verso giacimenti e rotte petroliferi in tutto il mondo a forza di creste e tangenti. Così fan tutte ed è la condizione in questo mondo di merda per assicurare al tuo paese rifornimenti energetici. Specie se di fornitori incorrotti ne hai solo uno, il Venezuela e quell’altro onesto, la Libia, l’hai regalato ai terroristi Al Qaida. E per farcene prevedere la detronizzazione basterebbe la corifea delle banche (“basta col contante, tutto per via bancaria”), Milena Gabanelli, con la sua ossessiva denuncia delle malefatte del capo dell’Eni, in “profonda sintonia” con l’avversione al tipo da parte di governanti e petrolieri angloamericani, per le libertà che si prendeva nel saltare, insieme a russi, iraniani, africani e centroasiatici, i tubi del petrolio e del gas sotto controllo Usa. Per molto meno Enrico Mattei e Giorgio Mazzanti furono fatti fuori, uno per attentato, l’altro per scandalo.Sette sorelle, vecchie, ma sempre arrapate. In un sistema in cui i petrolieri texani devono tenere in mano il rubinetto dell’energia e neutralizzare, come predica Brzezinski, demonio all’orecchio di Obama, Bush, Clinton, Reagan e Nixon, la fisiologica tentazione europea verso l’orizzonte euroasiatico, uno come Scaroni risulta incompatibile. Ci vogliono, come per la Jugoslavia, quinte colonne imperiali che contribuiscano alla debolezza e subalternità del proprio continente e dei suoi singoli Stati. Renzi è perfetto. Il frenetico tour di Obama tra i valvassori europei e partner del Golfo va visto in sinergia con le mattanze in atto in Afghanistan, avamposto asiatico anti-russo, il caos creativo del terrorismo nel Pakistan nucleare, le stragi da droni in Somalia e Yemen, capisaldi geostrategici non normalizzati, lo sminuzzamento della Siria antisraeliana, come prima della Libia, le spedizioni degli ascari francesi nel Sahel dell’uranio e del petrolio, lo spolpamento dell’Ucraina dagli enormi terreni da assegnare alle multinazionali del cibo e dell’agrocombustibile e dei missili da piazzare sui piedi di Putin, lo scatenamento del naziterrorismo contro il Venezuela bolivariano.E’ in gioco una dittatura mondiale, fatta gestire agli Usa con stampelle anglosassoni che, attraverso il controllo del rubinetto dell’energia, regoli i rapporti di forza globali. Il Pakistan e l’Iran non devono realizzare l’oleodotto che li unirebbe. Iran, Iraq e Siria non si sognino di approvvigionare, con una nuova pipeline, l’Europa. Russia ed Europa non devono collegarsi tramite i due tubi “North Stream” e “South Stream”. Il Venezuela la deve smettere di assicurare a basso prezzo e con notevoli ricadute politiche e sociali i paesi poveri dell’area e, magari, domani l’Europa. I recentemente scoperti enormi giacimenti di gas nel bacino est del Mediterraneo devono essere sottratti a titolari come Siria, Libano, Gaza, Egitto (apposta paralizzati da costanti fibrillazioni indotte) e Cipro e messi tutti sotto controllo israeliano. Ovunque, in questi fastidi recati a “Big Oil”, c’è stata anche lo zampino dell’Eni di Scaroni (“Senza il gas russo siamo nei guai”). Tutti i percorsi indicati lacerano per il lungo e per il largo la rete sotto controllo anglo-franco-statunitense, solleticano l’insubordinazione dell’America Latina, legano Europa ai detestati Russia e Iran, garantiscono i rifornimenti alla secca Cina.Fratturare il mondo? Lo strumento si chiama scisti. Il metodo per estrarli dal sottosuolo, “fracking”, fratturazione idraulica. L’esito, la destabilizzazione del pianeta dalle profondità alla superficie, l’inquinamento delle falde e dei terreni attraverso l’immissione forzata di enormi quantità d’acqua mista a sostanze chimiche tossiche che spaccano la roccia e liberano le riserve fossili. E, come sperano, la graduale riduzione dei flussi dagli Stati indipendenti, sostituiti dal gas liquefatto che dai destinatari deve poi essere rigassificato. Costi di gran lunga superiori all’estrazione dai giacimenti e perfino alle energie rinnovabili (quelle che i petrolieri raccomandano a Sgarbi di demonizzare) e, perciò, uso della potenza militare, di cecchini nazisti, tagliagole jihadisti e vicerè obbedienti, per imporne l’inconveniente adozione.Il commercio tra Europa e Russia è 10 volte quello tra Europa e Usa. L’Europa orientale trae un terzo della sua energia dalla Russia e una bella fetta dall’Iran. L’Italia quasi metà, con il resto che arriva dall’Algeria, anche per questo in costante guerra di bassa intensità con le armate di complemento jihadiste, non più dalla Libia, e da fonti minori. Berlino ha 6.000 aziende operanti in Russia. Unica a far valere questa situazione è la Germania, che tenta una resistenza sia alle sanzioni a Mosca, sia alla deriva nazista dell’Ucraina favorita dagli Usa (il suo candidato al governo di Kiev era il “moderato” Klitschko, “fottuto”, nelle sue stesse parole, dalla sottosegretaria Usa, Nuland, con il candidato amerikano Jatseniuk). Renzianamente, Obama (vengono tutti dalla stessa caverna) ha promesso a noi e agli altri bischeri europei tanto gas dai suoi scisti da farci rinunciare a quello finora preso dalla Russia. E’ vero che le riserve nordamericane sembrano vaste e sono già fratturate da migliaia di trivelle (con altrettante rivolte della popolazione locale).Ma, se l’Europa ha un po’ di rigassificatori per il gas liquefatto negli Usa, questo paese non dispone neanche di un solo liquefattore. Nella migliore delle ipotesi il gas da scisti arriverà in Europa fra quattro anni, convogliato dal primo liquefattore costruito, capace di spedirci la miseria di 4 miliardi di Bcf di gas al giorno. Basta appena per il Belgio. E ricordiamo: il fracking per scisti incastrati tra rocce da far esplodere, e che dovrà col Ttip essere imposto a un’Europa che già si è dichiarata disponibile e ha iniziato a spaccare il sottosuolo (anche in Italia), sarà costosissimo e quindi provocherà ribellioni tra i consumatori. Sconvolge la pancia della Terra con l’immissione forzata di gigantesche quantità d’acqua – in prospettiva della guerra dell’acqua che si sta per scatenare in tutto il pianeta – e conseguente rottura verticale e orizzontale di ciò che stabilizza i nostri piedi e le nostre case. Scarseggerà l’acqua per bere, per irrigare, per tutto, e conflitti e mega-migrazioni sconvolgeranno quel che resta della stabilità globale.(Fulvio Grimaldi, estratti dall’intervento “Il fracking di Renzi e quello di Obama”, dal blog di Grimaldi dell’8 aprile 2014).Se avete visto il magnifico e sconvolgente “The wolf of Wall Street”, di quel bimbo di Andersen (“Il re è nudo”) che è Martin Scorsese, avrete compreso l’affinità antropologica tra quei cannibali e il loro sottoprodotto al mandolino, Renzi. Ma, per capire il modello che stanno mettendo in opera, conviene fare un breve elenco dei tratti fisiognomici di una classe di criminali che ha imperversato sulle Americhe e poi sul mondo dalla Mayflower in qua. Dal genocidio degli indio-americani a oggi, gli Usa hanno superato qualsiasi altro Stato della storia per numero di guerre e vittime; in media una guerra all’anno, sempre portate, mai ricevute. Dal 1945 al 2014 sono intervenuti militarmente in 90 paesi. Attualmente sono impegnati con forze speciali, Ong, quinte colonne, bombardieri e droni, colpi di Stato effettuati o tentati, sanzioni, destabilizzazioni e mercenariato surrogato, in 135 paesi.
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Russia isolata? No, più vicina alla Cina. E addio dollaro
La crisi in Ucraina, sollecitata dagli Usa coinvolgendo l’Europa, finirà con l’accelerare in modo decisivo le relazioni strategiche tra Mosca e Pechino, cioè tra la superpotenza delle risorse naturali e quella del capitale e del lavoro. «Mentre l’Europa sta cercando disperatamente di trovare delle fonti energetiche alternative, nel caso la Gazprom dovesse bloccare le esportazioni di gas naturale verso la Germania e l’Europa», osserva il blog “Zero Hedge”, la Russia sta preparando l’annuncio-chiave del commercio energetico, cioè la nascita dell’asse preferenziale con la Cina. «Una mossa che causerebbe onde d’urto geopolitiche in tutto il mondo»: getterebbe le basi «per una nuova valuta di riserva, in grado di aggirare il dollaro». La Russia, come ventilato, potrebbe astenersi dal chiedere prestiti esteri, già nel corso di quest’anno. La grande corsa verso la Cina, a quanto pare, è cominciata.Tradotto in parole semplici, riassume “Zero Hedge” in un post ripreso da “Come Don Chisciotte”, significa che Mosca «potrebbe fare a meno degli acquisti occidentali di debito russo», a loro volta finanziati dagli acquisti cinesi di T-bonds statunitensi, e andare «direttamente alla fonte», ovvero la Cina. E’ questo che intende Mosca quando dice che le sanzioni per l’annessione della Crimea sarebbero «controproducenti». Chiaro il messaggio proveniente dalla Rosneft: se l’Europa e gli Stati Uniti dovessero isolare la Russia, Mosca cercherà nuovi affari, accordi energetici, contratti militari e alleanze politiche ad Oriente. Già per maggio si attende che Putin, in visita in Cina, firmi l’accordo per il super-gasdotto destinato a collegare la Russia con Pechino, sostituendo così l’Occidente come “grande cliente”. Già a partire dal 2018, la Gazprom spera di pompare 38 miliardi di metri cubi di gas naturale all’anno verso la Cina.«Quello che è dolorosamente evidente a tutti», aggiunge il blog, è che «più peggiorano le relazioni della Russia con l’Occidente, più la Russia vorrà averne di buone con la Cina». A questo si aggiungono gli scambi bilaterali denominati sia in rubli che in renminbi (o in oro) con paesi come Iran e India. Presto toccherà anche all’Arabia Saudita, il maggior fornitore di greggio per la Cina: il principe ereditario ha appena incontrato il presidente Xi Jinping per espandere ulteriormente i commerci. «Possiamo cominciare a dire addio ai petrodollari», ipotizza “Zero Hedge”. Per il leader di Pechino, l’asse con Mosca «sarebbe utile ad entrambi i paesi, come contrappeso agli Stati Uniti». Quest’anno, inoltre, la Cina ha superato la Germania come più grande acquirente di petrolio russo, grazie alla Rosneft, che ha aumentato le forniture di petrolio verso est, attraverso il gasdotto che unisce la Siberia Orientale all’Oceano Pacifico, e quello che attraversa il Kazakhstan.«Se Mosca fosse isolata da un nuovo round di sanzioni occidentali – continua “Zero Hedge” – Russia e Cina potrebbero rafforzare la cooperazione anche in altri settori, oltre all’energia. La crescita dei rapporti bilaterali include investimenti strategici nelle infrastrutture ma anche forniture militari, come quella per i caccia Sukhoi Su-35. Un declino del commercio con l’Occidente potrebbe costringere Mosca ad abbandonare alcune delle sue riserve sugli investimenti cinesi nei settori strategici. Il volume del commercio russo-cinese è cresciuto del 8,2% nel 2013, raggiungendo quota 8,1 miliardi di dollari, ma la Russia lo scorso anno era ancora solo il settimo più grande partner cinese per le esportazioni, e non era tra i primi 10 paesi per le merci importate. E’ l’Unione Europea il principale partner economico della Russia, e ancora oggi rappresenta quasi la metà di tutto il suo fatturato commerciale.«E se spingere la Russia verso un caldo abbraccio con la nazione più popolosa del mondo non fosse ancora abbastanza, c’è anche a disposizione il secondo paese più popoloso del mondo, l’India». Putin, in effetti, non ha perso tempo: non si è limitato a rigraziare la Cina per la “comprensione” dimostrata col voto non contrario, all’Onu, sull’annessione della Crimea, ma si è affrettato a riconoscere anche la “moderazione e obiettività” dell’India, intavolando relazioni col premier Manmohan Singh sulla possibilità di sviluppare accordi con un paese non-allineato come l’India. Per l’editore del quotidiano “The Hindu”, autorevole voce dell’establishment di New Delhi, sulla Crimea «la Russia ha degli interessi legittimi». Così, «mentre il più grande spostamento geopolitico dai tempi della Guerra Fredda sta accelerando, con l’inevitabile consolidamento dell’“asse asiatico”», per “Zero Hedge” l’Occidente «monetizza il suo debito e si crogiola nella ricchezza di carta creata da un mercato azionario fortemente manipolato», mentre la propria economia si indebolisce e il futuro svolta verso Oriente.La crisi in Ucraina, sollecitata dagli Usa coinvolgendo l’Europa, finirà con l’accelerare in modo decisivo le relazioni strategiche tra Mosca e Pechino, cioè tra la superpotenza delle risorse naturali e quella del capitale e del lavoro. «Mentre l’Europa sta cercando disperatamente di trovare delle fonti energetiche alternative, nel caso la Gazprom dovesse bloccare le esportazioni di gas naturale verso la Germania e l’Europa», osserva il blog “Zero Hedge”, la Russia sta preparando l’annuncio-chiave del commercio energetico, cioè la nascita dell’asse preferenziale con la Cina. «Una mossa che causerebbe onde d’urto geopolitiche in tutto il mondo»: getterebbe le basi «per una nuova valuta di riserva, in grado di aggirare il dollaro». La Russia, come ventilato, potrebbe astenersi dal chiedere prestiti esteri, già nel corso di quest’anno. La grande corsa verso la Cina, a quanto pare, è cominciata.
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Renzi? Bugiardo e pericoloso: ha troppi padroni potenti
«Matteo Renzi è un mentitore pericoloso», taglia corto Pino Cabras su “Megachip”. «Ha illuso milioni di elettori con la narrazione del Rottamatore, ma ha rottamato solo chi gli si opponeva, imbarcando ogni genere di boss e sotto-boss nella sua scalata». Una lunga sequenza di menzogne: aveva «dichiarato solennemente di non voler andare a Palazzo Chigi senza legittimazione popolare», mentre ora – abbattendo Letta – disegna il nuovo scenario «con un Parlamento eletto con una legge incostituzionale», peraltro peggiorata con l’aiuto del Cavaliere, «con il quale – altra bugia per prendere i voti – diceva che non si potevano mai fare accordi». Il nuovo capo del Pd tradisce sistematicamente chi gli ha dato fiducia? «Certo, Renzi ha un disegno. Ma questo disegno non è nelle mani di alcuno che gli abbia dato fiducia dal basso. È nelle mani dei veri potenti che detengono le cambiali politiche che Renzi ha firmato durante la fase ascendente della sua parabola». E gli “azionisti” di Renzi non sono soltanto italianiQuando negli anni ‘80 Michael Ledeen varcava l’ingresso del dipartimento di Stato, ricorda Franco Fracassi su “Popoff”, chiunque avesse dimestichezza con il potere di Washington sapeva che si trattava di una finta: quello, per lo storico di Los Angeles, rappresentava solo un impiego di facciata, per nascondere il suo reale lavoro. E cioè: consulente strategico per la Cia e per la Casa Bianca. «Ledeen è stato la mente della strategia aggressiva nella Guerra Fredda di Ronald Reagan, è stato la mente degli squadroni della morte in Nicaragua, è stato consulente del Sismi negli anni della Strategia della tensione, è stato una delle menti della guerra al terrore promossa dall’amministrazione Bush, oltre che teorico della guerra all’Iraq e della potenziale guerra all’Iran, è stato uno dei consulenti del ministero degli Esteri israeliano. Oggi – aggiunge Fracassi – Michael Ledeen è una delle menti della politica estera del segretario del Partito democratico Matteo Renzi».Forse è stato anche per garantirsi la futura collaborazione di Ledeen che l’allora presidente della Provincia di Firenze si recò nel 2007 al dipartimento di Stato Usa «per un inspiegabile tour». Non è un caso, continua Fracassi, che il segretario di Stato Usa John Kerry abbia più volte espresso giudizi favorevoli nei confronti di Renzi. Ma sono principalmente i neocon ad appoggiare Renzi dagli Stati Uniti. Secondo il “New York Post”, ammiratori del sindaco di Firenze sarebbero gli ambienti della destra repubblicana, legati alle lobby che lavorano per Israele e per l’Arabia Saudita. «In questa direzione vanno anche il guru economico di Renzi, Yoram Gutgeld, e il suo principale consulente politico, Marco Carrai, entrambi molti vicini a Israele». Carrai, scrive Fracassi, ha addirittura propri interessi in Israele, dove si occupa di venture capital e nuove tecnologie. «Infine, anche il suppoter renziano Marco Bernabè ha forti legami con Tel Aviv, attraverso il fondo speculativo Wadi Ventures». Suo padre, Franco Bernabè, fino a pochi anni fa è stato «arcigno custode delle dorsali telefoniche mediterranee che collegano l’Italia a Israele».Forse aveva ragione l’ultimo cassiere dei Ds, Ugo Sposetti, quando disse: «Dietro i finanziamenti milionari a Renzi c’è Israele e la destra americana». O perfino Massimo D’Alema, che definì Renzi il terminale di «quei poteri forti che vogliono liquidare la sinistra». Dietro Renzi, continua Fracassi, ci sono anche i poteri forti economici, a partire dalla Morgan Stanley, una delle banche d’affari responsabile della crisi mondiale. «Davide Serra entrò in Morgan Stanley nel 2001, e fece subito carriera, scalando posizioni su posizioni, in un quinquennio che lo condusse a diventare direttore generale e capo degli analisti bancari». Una carriera, quella del giovane broker italiano, punteggiata di premi e riconoscimenti per le sue abilità di valutazione dei mercati. «In quegli anni trascorsi dentro il gruppo statunitense, Serra iniziò a frequentare anche i grandi nomi del mondo bancario italiano, da Matteo Arpe (che ancora era in Capitalia) ad Alessandro Profumo (Unicredit), passando per l’allora gran capo di Intesa-San Paolo Corrado Passera».Nel 2006 Serra decise tuttavia che era il momento di spiccare il volo. E con il francese Eric Halet lanciò Algebris Investments. Già nel primo anno Algebris passò da circa 700 milioni a quasi due miliardi di dollari gestiti. L’anno successivo Serra, con il suo hedge fund, lanciò l’attacco al colosso bancario olandese Abn Amro, compiendo la più importante scalata bancaria d’ogni tempo. Poi fu il turno del banchiere francese Antoine Bernheim a essere fatto fuori da Serra dalla presidenza di Generali, permettendo al rampante finanziere di mettere un piede in Mediobanca. Definito dall’ex segretario Pd Pier Luigi Bersani «il bandito delle Cayman», Serra oggi ha quarantatré anni, vive nel più lussuoso quartiere di Londra (Mayfair), fa miliardi a palate scommettendo sui ribassi in Borsa (ovvero sulla crisi) ed è «il principale consulente finanziario di Renzi, nonché suo grande raccoglietore di denaro, attraverso cene organizzate da Algebris e dalla sua fondazione Metropolis».E così, nell’ultimo anno il gotha dell’industria e della finanza italiane si è schierato dalla parte di Renzi. A cominciare da Fedele Confalonieri che, riferendosi al sindaco di Firenze, disse: «Non saranno i Fini, i Casini e gli altri leader già presenti sulla scena politica a succedere a Berlusconi, sarà un giovane». Poi venne Carlo De Benedetti, con il suo potentissimo gruppo editoriale Espresso-Repubblica («I partiti hanno perduto il contatto con la gente, lui invece quel contatto ce l’ha»). E ancora, Diego Della Valle, il numero uno di Vodafone Vittorio Colao, il fondatore di Luxottica Leonardo Del Vecchio e l’amministratore delegato Andrea Guerra, il presidente di Pirelli Marco Tronchetti Provera con la moglie Afef, l’ex direttore di Canale 5 Giorgio Gori, il patron di Eataly Oscar Farinetti, Francesco Gaetano Caltagirone, Cesare Romiti, Martina Mondadori, Barbara Berlusconi, il banchiere Claudio Costamagna, il numero uno di Assolombarda Gianfelice Rocca, il patron di Lega Coop Giuliano Poletti, Patrizio Bertelli di Prada e Fabrizio Palenzona di Unicredit.Fracassi cita anche il Monte dei Paschi di Siena, collegato al leader del Pd attraverso il controllo della Fondazione Montepaschi gestita dal renziano sindaco di Siena Bruno Valentini. Con Renzi anche l’amministratore delegato di Mediobanca, Albert Nagel, erede di Cuccia nell’istituto di credito. «Proprio sul giornale controllato da Mediobanca, il “Corriere della Sera”, da sempre schierato dalla parte dei poteri forti, è arrivato lo scoop su Monti e Napolitano, sui governi tecnici. Il “Corriere” ha ripreso alcuni passaggi dell’ultimo libro di Alan Friedman, altro uomo Rcs. Lo scoop ha colpito a fondo il governo Letta e aperto la strada di Palazzo Chigi a Renzi». Fracassi conclude citando il defunto segretario del Psi, Bettino Craxi, che diceva: «Guarda come si muove il “Corriere” e capirai dove si va a parare nella politica».Gad Lerner, recentemente, ha detto: «Non troverete alla Leopolda i portavoce del movimento degli sfrattati, né le mille voci del Quinto Stato dei precari all’italiana. Lui (Renzi) vuole impersonare una storia di successo. Gli sfigati non fanno audience». Ormai è tardi per tutto: il Pd – già in coma, da anni – si è completamente arreso all’ex Rottamatore. «Dove mai andrà il “voto utile” in mano a Renzi? In quale manovra di palazzo, in quale strategia dell’alta finanza verrebbe bruciato? In quale menzogna da Piano di rinascita democratica?», si domanda Pino Cabras. «Ogni complicità con il nuovo Sovversore dall’alto diventa intollerabile ogni minuto di più». Fine della cosiddetta sinistra italiana. Fuori tempo massimo, ora, «in tanti saranno costretti ad aprire gli occhi, e a comprendere la differenza fra militanti e militonti. Ma hanno riflessi troppo lenti. La riscossa – a trent’anni dalla morte di Enrico Berlinguer – passerà da altre parti».«Matteo Renzi è un mentitore pericoloso», taglia corto Pino Cabras su “Megachip”. «Ha illuso milioni di elettori con la narrazione del Rottamatore, ma ha rottamato solo chi gli si opponeva, imbarcando ogni genere di boss e sotto-boss nella sua scalata». Una lunga sequenza di menzogne: aveva «dichiarato solennemente di non voler andare a Palazzo Chigi senza legittimazione popolare», mentre ora – abbattendo Letta – disegna il nuovo scenario «con un Parlamento eletto con una legge incostituzionale», peraltro peggiorata con l’aiuto del Cavaliere, «con il quale – altra bugia per prendere i voti – diceva che non si potevano mai fare accordi». Il nuovo capo del Pd tradisce sistematicamente chi gli ha dato fiducia? «Certo, Renzi ha un disegno. Ma questo disegno non è nelle mani di alcuno che gli abbia dato fiducia dal basso. È nelle mani dei veri potenti che detengono le cambiali politiche che Renzi ha firmato durante la fase ascendente della sua parabola». E gli “azionisti” di Renzi non sono soltanto italiani.
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Obama finanzia i terroristi, a insaputa degli americani
Dopo la guerra in Afghanistan contro i sovietici, molti autori hanno messo in evidenza il ruolo degli Stati Uniti come finanziatori del terrorismo internazionale. Tuttavia, fino ad ora si trattava solo di azioni segrete, di cui finora Washington non si era assunta la paternità. Un passo decisivo è stato compiuto con la Siria: il Congresso ha approvato il finanziamento e l’armamento di due organizzazioni rappresentative di Al-Qaeda. Ciò che era in precedenza il segreto di Pulcinella ora è diventato la politica ufficiale del “Paese della libertà”: il terrorismo. In violazione delle risoluzioni 1267 e 1373 del Consiglio di sicurezza, Il Congresso degli Stati Uniti ha votato il finanziamento e l’armamento del “Fronte al-Nusra” e dell’“Emirato islamico dell’Iraq e del Levante”, due importanti organizzazioni di Al-Qa’ida e classificate come “terroriste” dalle Nazioni Unite. Questa decisione sarà valida fino al 30 settembre 2014.Lo ricorda il francese Thierry Meyssan, giornalista indipendente, in un’analisi pubblicata da diverse testate e ripresa da “Megachip”. Il paradosso della guerra in Siria? «Le immagini sono esattamente il contrario della realtà». Secondo i media mainstream, il conflitto oppone da un lato gli Stati raccoltisi intorno a Washington e Riyadh, intenti a difendere la democrazia e condurre la lotta mondiale contro il terrorismo, e dall’altra la Siria e i suoi alleati russi, «diffamati come dittature che manipolano il terrorismo». Se tutti sono ben consapevoli del fatto che l’Arabia Saudita non è una democrazia, bensì una monarchia assoluta, «laddove la tirannia di una famiglia e di una setta controlla un intero popolo», gli Stati Uniti godono invece dell’immagine di un democrazia, paladina della “libertà”. Eppure, una notizia-bomba come quella del finanziamento ufficiale della guerriglia jihadista è stata censurata, dal momento che il Congresso «si è riunito segretamente per votare il finanziamento e l’armamento dei “ribelli” in Siria». Può sembrare incredibile, ma «il Congresso tiene incontri segreti che la stampa non può menzionare».Ecco perché la notizia,originariamente pubblicata dall’agenzia di stampa britannica Reuters, è stata «scrupolosamente ignorata dalla stampa e dai media negli Stati Uniti e dalla maggior parte dei media in Europa occidentale e nel Golfo: solo gli abitanti del “resto del mondo” avevano il diritto di conoscere la verità». Poiché nessuno ha letto la legge appena approvata, aggiunge Meyssan, non si sa che cosa stabilisca esattamente. «Tuttavia, è chiaro che i “ribelli” in questione non mirano a rovesciare il governo siriano – ci hanno rinunciato – ma piuttosto a “insanguinarlo”. Ecco perché non si comportano come soldati, ma come terroristi». Sicché l’America, presunta vittima di Al-Qaeda l’11 Settembre e poi leader mondiale della “guerra al terrorismo”, di fatto finanzia «il principale focolaio terroristico internazionale», in cui agiscono due organizzazioni ufficialmente subordinate ad Al-Qaeda. «Non si tratta più di una manovra oscura dei servizi segreti, ma piuttosto di una legge, pienamente assunta, ancorché approvata a porte chiuse per non contraddire la propaganda».D’altra parte, continua Meyssan, ci si chiede in che modo la stampa occidentale – che da 13 anni imputa ad Al-Qaeda di essere l’autrice degli attentati dell’11 Settembre – potrebbe mai spiegare all’opinione pubblica la sua decisione. Infatti, la speciale procedura seguita in questo caso (Cog, “continuità di governo”) è protetta anch’essa dalla censura. «È anche per questo che gli occidentali non hanno mai saputo che, nel corso di quell’11 settembre, il potere era stato trasferito dai civili ai militari, dalle 10 del mattino fino a sera, e durante tutto quel giorno gli Stati Uniti erano governati da un’autorità segreta, in violazione delle loro leggi e della loro Costituzione». Lo stesso discorso annuale di Barack Obama sullo stato dell’Unione «si è trasformato in un eccezionale esercizio di menzogne». Davanti ai 538 membri del Congresso che sin dall’inizio lo applaudivano, il presidente ha dichiarato: «Una cosa non cambierà: la nostra determinazione a non permettere ai terroristi di lanciare altri attacchi contro il nostro paese». E ancora: «In Siria, sosterremo l’opposizione che respinge il programma delle reti terroristiche».Eppure, quando la delegazione siriana ai negoziati di “Ginevra 2” ha sottoposto – a quella che s’intendeva rappresentare come la sua “opposizione” – una mozione, esclusivamente basata sulle risoluzioni 1267 e 1373 del Consiglio di sicurezza, a condanna del terrorismo, questa è stata respinta senza causare alcuna protesta da parte di Washington. E per una buona ragione: il terrorismo sono gli Stati Uniti, e la delegazione “dell’opposizione” riceve i suoi ordini direttamente dall’ambasciatore Robert S. Ford, presente in loco». Ford è stato assistente di John Negroponte in Iraq. Nei primi anni ‘80, ricorda Meyssan, Negroponte aveva contrastato la rivoluzione nicaraguense arruolando migliaia di mercenari e alcuni collaboratori locali, costituendo i cosiddetti “Contras”. La Corte internazionale di giustizia, cioè il tribunale interno delle Nazioni Unite, ha condannato Washington per questa ingerenza che non osava pronunciare il proprio nome. Poi, negli anni Duemila, Negroponte e Ford riproposero lo stesso scenario in Iraq. Questa volta però l’intento era di annientare la resistenza nazionalista facendola combattere da Al-Qaeda.Oggi, mentre i siriani e la delegazione dell’“opposizione” discutevano a Ginevra, a Washington il presidente Obama, applaudito meccanicamente dal Congresso, ha continuato il suo esercizio di ipocrisia: «Noi lottiamo contro il terrorismo non grazie all’intelligence e alle operazioni militari, ma anche rimanendo fedeli agli ideali della nostra Costituzione e restando un esempio per il mondo intero. E continueremo a lavorare con la comunità internazionale per dare al popolo siriano il futuro che merita: un futuro senza dittatura, senza terrore e senza paura». La guerra orchestrata dalla Nato in Siria ha già causato più di 130.000 morti, secondo i dati del Mi6, l’intelligence inglese. La beffa: «I carnefici attribuiscono la responsabilità al popolo che osa contrastarli e al suo presidente, Bashar el-Assad». Durante la guerra fredda, conclude Meyssan, la Cia «finanziava lo scrittore George Orwell affinché immaginasse la dittatura del futuro: Washington ha creduto così di svegliare le coscienze di fronte alla minaccia sovietica». In realtà, l’Urss «non ha mai assomigliato all’incubo di “1984”, intanto che gli Stati Uniti ne sono diventati l’incarnazione».Dopo la guerra in Afghanistan contro i sovietici, molti autori hanno messo in evidenza il ruolo degli Stati Uniti come finanziatori del terrorismo internazionale. Tuttavia, fino ad ora si trattava solo di azioni segrete, di cui finora Washington non si era assunta la paternità. Un passo decisivo è stato compiuto con la Siria: il Congresso ha approvato il finanziamento e l’armamento di due organizzazioni rappresentative di Al-Qaeda. Ciò che era in precedenza il segreto di Pulcinella ora è diventato la politica ufficiale del “Paese della libertà”: il terrorismo. In violazione delle risoluzioni 1267 e 1373 del Consiglio di sicurezza, Il Congresso degli Stati Uniti ha votato il finanziamento e l’armamento del “Fronte al-Nusra” e dell’“Emirato islamico dell’Iraq e del Levante”, due importanti organizzazioni di Al-Qa’ida e classificate come “terroriste” dalle Nazioni Unite. Questa decisione sarà valida fino al 30 settembre 2014.
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Siria, era tutto falso: chi ha mentito ora chieda scusa
Una colossale montatura, progettata a tavolino sulla base di prove false: l’esercito siriano, che la Nato stava per bombardare lo scorso settembre, non ha mai usato armi chimiche contro la popolazione civile di Damasco. Il gas Sarin che ha ucciso centinaia di siriani è stato usato dai “ribelli”, finanziati e protetti dall’Occidente. E’ stata dunque una gigantesca menzogna mediatica – esattamente come quella delle “armi di distruzione di massa” di Saddam – a trascinare il mondo sull’orlo di una guerra devastante. Lo affermano da Boston gli specialisti del Mit, il prestigioso Massachusetts Institute of Technology. «Adesso – dichiara Giulietto Chiesa – sappiamo, oltre ogni dubbio, che la Cia ha mentito e che il bombardamento di armi chimiche sulla periferia di Damasco, il 21 agosto 2013, fu compiuto dai mercenari che combattono contro Bashar al-Assad. Ci furono oltre mille morti, dissero». E non è stato un “tragico errore”. La verità è un’altra: «Mentivano, ma è il loro mestiere».Il nuovo rapporto del Mit, scrive Marinella Correggia in un post ripreso da “Megachip”, smentisce definitivamente Obama, che aveva accusato Assad dell’attacco chimico avvenuto a Ghouta, il 21 agosto 2013. A settembre si era arrivati a un passo dai bombardamenti sulla Siria, evitati solo in extremis grazie alla fermezza di Putin e alla drammatica sollecitudine di Papa Francesco. La prova regina: insieme a Theodore Postol, l’ex ispettore Onu sugli armamenti, Richard Lloyd, rivela che la gittata del «missile rudimentale» trovato dagli ispettori Onu «non poteva essere superiore ai due chilometri». E quindi, «sulla base della mappa delle forze in campo presentata dalla stessa Casa Bianca il 30 agosto, il punto di lancio si doveva per forza trovare nelle aree controllate dai “ribelli”». Contraddizioni e contraffazioni erano del resto subito emerse dalle centinaia di video scioccanti postati dagli anti-Assad che controllavano l’area. «Perfino il numero delle vittime è stranamente rimasto un mistero – le stime vanno da 300 a 1.400, il “dato” degli Usa, stimato sulla base dei corpi apparsi nei video».Come mai non è andata come con la provetta di Colin Powell che scatenò l’inferno in Iraq nel 2003? Il giornalista investigativo Seymour Hersh ha analizzato il caso sulla “London Review of Books”, citando fonti militari e dei servizi. Da mesi l’intelligence aveva avvertito la Casa Bianca che «anche i ribelli potevano avere e usare il gas Sarin». Ma Obama e i suoi, «senza portare nessuna prova, hanno cercato di vendere un bel sacco di bugie». Salvo poi cambiare linea all’ultimo minuto, quando è stato evidente che un’azione militare sarebbe stata sgradita ai più: clamoroso il “no” del Parlamento britannico, schiaccianti i sondaggi tra i cittadini americani, contrari all’intervento. Mesi fa, aggiunge Marinella Correggia, l’analista Sharmine Narwani ha studiato il rapporto degli ispettori Onu: «Alla fine non ci dice nulla su che cosa sia successo a Ghouta, né su come o su chi». Gli esperti militari notano «discrepanze fra le analisi dell’ambiente – niente tracce di Sarin a Muadamya ad esempio – e quelle sulle munizioni e sulle persone esaminate – positive al Sarin, forse portate lì da altri luoghi, dai ribelli che controllano l’area?».Del resto, ammettevano gli ispettori stessi che tutta l’ispezione era avvenuta – cinque giorni dopo il fatto – sotto il controllo dei ribelli e con possibili manipolazioni dei reperti e dei luoghi. Un funzionario dell’Onu, anonimo, puntava il dito sull’intelligence saudita, «ma nessuno osa dirlo». Lo ha detto anche, a suo tempo, il sito di opposizione “Syriatruth” (e anche il newsmagazine “Sibialiria”). Di recente il “New York Times” ha di fatto smentito – a pagina 8 e in poche righe – la propria famosa «analisi del vettore» fatta in settembre insieme a “Human Rights Watch”, analisi a suo tempo così utile a Obama e agli altri interventisti che, come dice Hersh, non avevano davvero altro per le mani. Eppure, protesta Giulietto Chiesa, «per settimane tutti i giornali e tutti i telegiornali italiani dissero – nei titoli, nei testi, nei commenti, come se fosse ovvio – che “il dittatore sanguinario Assad” gasava, massacrava i propri cittadini. Verifiche? Nessuna. Bastava copiare quello che diceva Obama».Adesso, scrive Chiesa sul “Fatto Quotidiano”, quei media dovrebbero essere obbligati a smentire, ma non smentiscono. «Dovrebbero licenziare i giornalisti bugiardi e incompetenti (unico licenziamento che noi saremmo disposti ad applaudire), ma non licenziano. I direttori di quei giornali e telegiornali dovrebbero apparire in video, o in prima pagina, scusandosi per i propri “errori” e orrori. Ma fanno finta di non ricordarsi niente». Eppure non fu cosa da poco. «Arrivammo a un passo dal bombardamento di Damasco da parte delle forze americane e della Nato, per punire il “gasatore”». Gli ipocriti ora tacciono, ed è un silenzio poco rassicurante: «Stiamo tutti molto attenti: una masnada di delinquenti (o di irresponsabili) ha in mano i principali canali di informazione dell’Occidente. Adesso abbiamo la prova che avremmo potuto essere trascinati in guerra da costoro. E sappiamo anche che è già avvenuto ripetutamente. Sono armati. Bisogna togliere loro le armi della menzogna di cui dispongono».Una colossale montatura, progettata a tavolino sulla base di prove false: l’esercito siriano, che la Nato stava per bombardare lo scorso settembre, non ha mai usato armi chimiche contro la popolazione civile di Damasco. Il gas Sarin che ha ucciso centinaia di siriani è stato usato dai “ribelli”, finanziati e protetti dall’Occidente. E’ stata dunque una gigantesca menzogna mediatica – esattamente come quella delle “armi di distruzione di massa” di Saddam – a trascinare il mondo sull’orlo di una guerra devastante. Lo affermano da Boston gli specialisti del Mit, il prestigioso Massachusetts Institute of Technology. «Adesso – dichiara Giulietto Chiesa – sappiamo, oltre ogni dubbio, che la Cia ha mentito e che il bombardamento di armi chimiche sulla periferia di Damasco, il 21 agosto 2013, fu compiuto dai mercenari che combattono contro Bashar al-Assad. Ci furono oltre mille morti, dissero». Ma on è stato un “tragico errore”. La verità è un’altra: «Mentivano», e in fondo «è il loro mestiere».
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Brutte notizie: i complottisti hanno ragione, è provato
Oggi è di moda l’accusa di “complottismo”. D’altra parte come possiamo pensare che chi stia al potere non dica il vero? Visto che viviamo nel regno della libertà e della trasparenza, come possiamo criticare le nostre fonti informative? Come possiamo pensare che qualcosa di essenziale non ci sia stato detto? In tempi di mobilitazione strategica lo stesso fatto di pensare criticamente è di per sé eversivo. Il culmine della nostra libertà personale sembra sia accettare che i mezzi di comunicazione ci liberino dal fardello della critica. Nel marzo del 2010, Bashar al-Assad, il futuro tiranno siriano, fu decorato ufficialmente da Napolitano, il nostro Presidente della Repubblica. Per la precisione il figlio di suo padre, che all’epoca era buono, meritava il nostro elogio ed ebbe effettivamente la più alta decorazione del nostro paese. L’evento fu realmente memorabile. Assad entrava ufficialmente nel palco dei nostri migliori alleati, assieme al beneamato colonnello Gheddafi.Il presidente siriano venne dunque insignito col più importante titolo onorifico italiano, quello di “Cavaliere di Gran Croce decorato di Gran cordone al merito della Repubblica italiana”. Il titolo sanciva l’inizio di un’alleanza talmente “profonda” che sarebbe finita, di lì a pochi mesi, con l’accusa di essere a capo di uno ‘Stato canaglia’. Pochi anni prima, nel 2007, il comandante supremo delle forze Nato in Europa dal 1997 al 2000, generale Wesley Clark, aveva letteralmente sbigottito il suo uditorio in un incontro pubblico a San Francisco. Rendeva di pubblico dominio un breafing avuto poco dopo l’11 settembre 2001. Sosteneva di essere stato messo al corrente dal vice-presidente Cheney e dal ministro della Difesa Rumsfeld dell’intenzione dell’amministrazione di scatenare una serie di guerre contro Siria, Iraq, Libano, Libia, Somalia, Sudan e Iran.L’obiettivo era trasformare il “volto” del Medio Oriente prima di essere costretti ad accettare la sfida strategica della prossima superpotenza emergente. Il generale Clark sosteneva che, per costoro, l’esercito americano doveva servire per scatenare guerre e per far cadere governi e non per rafforzare la pace e la stabilità. La sua opinione era che un gruppo di persone avesse preso il controllo del paese con un colpo di Stato politico. Si trattava di inventarsi nemici per destabilizzare intere aree geografiche e dare così vita a nuovi scenari geopolitici. La strategia americana era sostanzialmente quella di produrre caos: seminare vento per raccogliere tempesta. Il punto chiave non è la menzogna in quanto tale. Altre volte nella storia l’alleato è diventato il nemico, l’aggressore ha vestito i panni della vittima e la menzogna ha assunto le parvenze della verità. Le bugie sono sempre esistite, ma oggi sembrano molto più credibili che in passato. Adesso, se una campagna informativa è svolta con un’adeguata potenza di fuoco, qualsiasi cosa può essere creduta vera.Da sempre ci vengono fornite informazioni “sicure” che non possiamo verificare; però ora lo stesso fatto di porsi in modo critico appare come un elemento di lesa maestà. In tempi teologici l’uso critico della ragione si chiamava “eresia”; oggi, invece, l’accusa è quella di “complottismo”. In un mondo in cui le cose apparentemente sembrano andare bene, chi afferma il contrario può essere solo un malato, un debole di spirito, un paranoico. Come si può criticare la bontà e la lungimiranza dell’Impero del bene? Il libro di Paolo Sensini, “Divide et impera. Strategie del caos per il XXI secolo nel Vicino e Medio Oriente”, è un rigoroso tentativo di andare oltre la mostruosa cortina del “politicamente corretto”. L’apparato di note del testo è assolutamente notevole e le chiavi di lettura che il testo permette sono molto variegate.Ciò che balza subito agli occhi è il gigantesco lavoro di scavo fatto dall’autore fra i documenti a disposizione. La quantità di dati circolanti è effettivamente molto ampia nelle pubblicazioni in lingua inglese e francese (meno in italiano). La cosa è molto interessante perché anche all’interno del mainstream si trovano autentiche perle che illuminano parecchi degli eventi recenti. Troviamo le dichiarazioni pubbliche del generale Clark sulla politica estera di Bush riportate poche righe sopra; quelle del generale Fabio Mini, che afferma che la politica estera statunitense nel Mediterraneo è asservita agli interessi israeliani; troviamo chiarimenti relativi all’inquietante rapporto fra sunniti e wahhabiti – per inciso, senza il petrolio e l’aiuto statunitense, i wahhabiti sarebbero solo una setta semiereticale di beduini analfabeti che si è impadronita con la forza della Mecca; e troviamo anche molte ragioni del perché una parte dei siriani stia ancora sostenendo, malgrado tutto, Assad.Fra tutti i documenti risalta di gran lunga la dichiarazione, sicuramente fatta a braccio, di Karl Rove, l’anima nera dell’entourage di Bush che, in un attimo di vera autenticità esistenziale, dice chiaramente: «Ora noi siamo un Impero e quando agiamo creiamo la nostra realtà. E mentre voi state giudiziosamente analizzando quella realtà, noi agiremo di nuovo e ne creeremo un’altra e poi un’altra ancora che voi potrete studiare. È così che andranno le cose. Noi facciamo la storia e a voi, a tutti voi, non resterà altro da fare che studiare ciò che facciamo». I vertici americani sanno dunque di “scrivere la storia” e non si curano affatto della verità, della giustizia e anche degli eventuali danni collaterali. Sull’argomento vi sono un’infinità di problemi aperti: dalla quantità enorme di stranezze dell’11 settembre 2001, all’influenza della lobby israeliana nelle politiche mediorientali degli Stati Uniti. La cosa interessante è che esiste, e Sensini se ne da conto, un’ampia documentazione. In tale contesto, più che l’informazione puntuale, manca la capacità di formulare i quesiti giusti e di seguire le piste più interessanti.Per esempio, perché nessuno si chiede come sia possibile che l’Arabia Saudita, un paese che non permette il voto e la guida alle donne, sia riuscito a diventare, assieme a Israele, nazione che pratica l’apartheid, il difensore della democrazia e dei diritti umani nel mondo arabo? Come è stato possibile che le petromonarchie più integraliste, come gli Stati sunniti del Golfo Persico, abbiano come peggior nemico l’Iran, un altro petrostato integralista musulmano, e non Israele, il loro declamato nemico assoluto? I petrostati sciiti e sunniti non dovrebbero essere, come da teologia islamica, alleati per respingere l’influenza di americani e israeliani? Perché a sua volta Israele, apparentemente uno Stato moderno, “l’unica democrazia del Medio Oriente”, è alleato di queste monarchie medievali? E ancora: perché Assad, che certamente non è un santo, ha sempre avuto dalla sua una parte della popolazione siriana? Perché in tanti anni non è stata raggiunta nell’area neppure una limitata forma di quieto vivere? Che senso storico ha il tentativo, iniziato un decennio fa dal precedente presidente degli Stati Uniti, di cambiare il volto del Medio Oriente?Le tesi del libro sono molte e non vorrei togliere al lettore il piacere della lettura. Tuttavia, fra tutti i capitoli, segnalo il gustoso “I precedenti storici dell’11 settembre” nella politica estera statunitense. Si tratta di un capitolo delizioso per brevità e concisione. In queste pagine l’autore mostra alcune costellazioni di eventi che hanno spinto più volte gli Stati Uniti ad agire per “autodifesa”. La trama elementare è quella di un “nemico traditore” che agisce nell’ombra per pugnalare alle spalle l’ingenuo ma coraggioso campione della democrazia; un canovaccio che si ripropone più volte nella storia americana con poche e lievi varianti. La prima guerra provocata da un nemico traditore, fu quella contro la Spagna del 1898. Essa venne dichiarata dopo l’esplosione dell’Uss Maine, una nave da guerra alla fonda nel porto dell’Avana. La colpa dell’esplosione fu attribuita d’ufficio agli spagnoli, venne impedita ogni perizia sulle cause del disastro; poco dopo il Maine fu affondato in alto mare, appena in tempo per iniziare una guerra che la Spagna non aveva alcun interesse a fare.Un altro caso molto noto fu quello del Lusitania, un transatlantico civile britannico pieno di materiale bellico (fra l’altro esplosivi ad alto potenziale che esplodono a contatto con l’acqua), che viaggiava a pieno carico di passeggeri in zone dove si sapeva battevano sommergibili tedeschi. Pearl Harbour è un altro esempio paradigmatico. Nel dicembre 1941, la marina americana venne attaccata apparentemente di sorpresa dalla flotta giapponese nelle Hawaii. All’epoca i servizi segreti statunitensi avevano decrittato il cifrario segreto giapponese e seppero con anticipo dell’imminente attacco. Il presidente Roosevelt aveva bisogno di una scusa per entrare in guerra senza problemi. Alla fine della giornata gli unici veramente sorpresi dal bombardamento furono i marinai americani usati come carne da macello. Anche gli incidenti del Golfo del Tonchino dell’agosto 1964, quelli che provocarono l’intervento in forze degli Stati Uniti in Vietnam, erano una bugia. La vicenda finì talmente male, con l’inglorioso ritiro americano di dieci anni dopo, che gli stessi diretti responsabili politici statunitensi furono costretti ad ammettere pubblicamente la loro colossale frode.Per brevità tralascio tutta la propaganda che diede inizio alla prima e seconda guerra irachena, come la penosa vicenda delle fotografie dei cormorani incatramati, o la serie di false dichiarazioni fatte al Congresso da testimoni compiacenti istruiti per l’occasione dai servizi segreti statunitensi. Quello che a me interessa è fare notare che gli Stati Uniti sono un paese come gli altri. Il Destino Manifesto non impedisce a questo paese di fare tutte quelle brutte figure che sono così consuete nei paesi in cui abitano i comuni mortali. Certo loro producono telegiornali per tutto il mondo e questo migliora la loro immagine. Per esempio nei pacchetti informativi è implicito chi sia il buono e chi sia il cattivo, così com’è ovvio che loro, che sono buoni, stiano aiutando i buoni. Vorrei solo far notare che anch’io, pur avendo ritenuto certa l’esistenza di Babbo Natale, dopo qualche anno ho smesso di crederci.(Alfio Neri, “Breve elogio del complottismo”, recensione del saggio “Divide et impera”, di Sensini, pubblicata da “Carmilla” il 21 dicembre 2013. Il libro: Paolo Sensini, “Divide et impera. Strategie del caos per il XXI secolo nel Vicino e Medio Oriente”, Mimesis, 322 pagine, 24 euro).Oggi è di moda l’accusa di “complottismo”. D’altra parte come possiamo pensare che chi stia al potere non dica il vero? Visto che viviamo nel regno della libertà e della trasparenza, come possiamo criticare le nostre fonti informative? Come possiamo pensare che qualcosa di essenziale non ci sia stato detto? In tempi di mobilitazione strategica lo stesso fatto di pensare criticamente è di per sé eversivo. Il culmine della nostra libertà personale sembra sia accettare che i mezzi di comunicazione ci liberino dal fardello della critica. Nel marzo del 2010, Bashar al-Assad, il futuro tiranno siriano, fu decorato ufficialmente da Napolitano, il nostro Presidente della Repubblica. Per la precisione il figlio di suo padre, che all’epoca era buono, meritava il nostro elogio ed ebbe effettivamente la più alta decorazione del nostro paese. L’evento fu realmente memorabile. Assad entrava ufficialmente nel palco dei nostri migliori alleati, assieme al beneamato colonnello Gheddafi.
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L’accordo con l’Iran prelude alla guerra: sarà violato?
Attenti: lo storico accordo con l’Iran sul nucleare potrebbe addirittura preludere a una guerra. Ovvero: sembra fatto apposta per provocare una reazione militare, nel caso in cui Teheran dovesse disattenderlo. Lo sostiene Tony Cartalucci, rileggendo il perverso rapporto 2009 della Brooking Institutions, alla voce “Which path to Persia”. «Qualsiasi operazione militare contro l’Iran sarà probabilmente molto impopolare in tutto il mondo e richiederà un adeguato contesto internazionale, sia per garantire supporto logistico all’operazione che per ridurre al minimo il contraccolpo», sostenevano solo qualche anno fa gli strateghi americani, ben consapevoli di dover costruire a tavolino un casus belli sufficientemente solido. «Il modo migliore per ridurre al minimo lo sdegno internazionale e massimizzare il sostegno (anche riluttante o dissimulato)», secondo gli analisti statunitensi consiste nel «colpire solo quando vi sia una diffusa convinzione che agli iraniani è stati fatta un’offerta superba, ma che essi hanno respinto – un’offerta così buona che solo un regime determinato a dotarsi di armi nucleari ed a farlo per motivazioni malvagie poteva rifiutare».In tali circostanze, continua il rapporto, «gli Stati Uniti (o Israele) potrebbero presentare le loro operazioni come prese con dolore, non con rabbia, e almeno alcuni nella comunità internazionale concluderebbero che gli iraniani “se la sono cercata”, rifiutando un buon affare». Il documento, ricorda Cartalucci, è stato scritto anni fa, «quando gli Usa, l’Arabia Saudita e Israele già stavano complottando per invadere con Al-Qaeda il vicino Iran, alleato della Siria, allo scopo di indebolire la Repubblica islamica prima di una guerra inevitabile». Il documento «mostra integralmente come l’“affare nucleare iraniano” sia in effetti una farsa». Secondo Cartalucci, autore di un’analisi su “Information Clearing House”, in realtà l’Occidente non ha alcuna intenzione di fare alcun accordo duraturo con l’Iran, riguardo alla capacità nucleare, e anche l’acquisto di armi nucleari da parte di Teheran non è mai stato veramente una minaccia esistenziale per le nazioni occidentali o i loro partner regionali.«Il problema dell’Occidente con l’Iran è la sua sovranità e la sua capacità di proiettare i propri interessi in ambiti tradizionalmente monopolizzati dagli Stati Uniti e dal Regno Unito in tutto il Medio Oriente», continua Cartalucci. «A meno che l’Iran pianifichi la rinuncia alla propria sovranità ed alla propria influenza regionale, insieme con il suo diritto di sviluppare e utilizzare la tecnologia nucleare, il tradimento di un “accordo sul nucleare” è semplicemente inevitabile, come inevitabile è la guerra che deve seguire subito dopo la disdetta dell’accordo». Denunciare la doppiezza che accompagna gli “sforzi” occidentali per raggiungere un accordo significherà «minare gravemente il loro tentativo di utilizzare l’accordo come leva per giustificare le operazioni militari contro l’Iran». Sia Teheran che i suoi alleati «devono essere preparati per la guerra», tanto più quando l’Occidente «finge interesse per la pace». La Libia? E’ un esempio perfetto: chi non abbassa la testa di fronte all’Occidente firma la propria condanna a morte.Attenti: lo storico accordo con l’Iran sul nucleare potrebbe addirittura preludere a una guerra. Ovvero: sembra fatto apposta per provocare una reazione militare, nel caso in cui Teheran dovesse disattenderlo. Lo sostiene Tony Cartalucci, rileggendo il perverso rapporto 2009 della Brooking Institutions, alla voce “Which path to Persia”. «Qualsiasi operazione militare contro l’Iran sarà probabilmente molto impopolare in tutto il mondo e richiederà un adeguato contesto internazionale, sia per garantire supporto logistico all’operazione che per ridurre al minimo il contraccolpo», sostenevano solo qualche anno fa gli strateghi americani, ben consapevoli di dover costruire a tavolino un casus belli sufficientemente solido. «Il modo migliore per ridurre al minimo lo sdegno internazionale e massimizzare il sostegno (anche riluttante o dissimulato)», secondo gli analisti statunitensi consiste nel «colpire solo quando vi sia una diffusa convinzione che agli iraniani è stati fatta un’offerta superba, ma che essi hanno respinto – un’offerta così buona che solo un regime determinato a dotarsi di armi nucleari ed a farlo per motivazioni malvagie poteva rifiutare».
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Expo-guerra, il bazar galleggiante dell’Italia che affonda
Il nemico complotta contro l’Italia fino a farla crollare, ma la portaerei Cavour – ammiraglia della marina militare, costata 3,5 miliardi – non si dirige contro chi attenta alla vita e al futuro degli italiani, tramando per devastare l’economia, impoverire il paese e trascinarlo nella catastrofe sociale pianificata tra Bruxelles e Berlino, Wall Street e Francoforte. Al contrario, la grande nave trasformata in expò galleggiante del made in Italy bellico preferisce incrociare in acque lontane: «Si vanno a vendere altre armi ai paesi mediorientali e africani, dominati da oligarchie e caste militari, provocando un ulteriore aumento delle loro spese militari che comporterà un ulteriore aumento della povertà soprattutto in Africa», scrive il “Manifesto”. Scopo ufficiale della “campagna navale” organizzata dal governo Letta, è presentare il “sistema paese” in movimento e «rafforzare la presenza dell’Italia nelle aree geografiche considerate strategiche per gli interessi nazionali», senza trascurare la consueta ipocrisia della «assistenza umanitaria alle popolazioni bisognose».Per il ministro Mauro, il bazar navigante – ribattezzato “crociera di morte” – non andrà a vendere armi di distruzione di massa al di fuori dalle convenzioni internazionali, ma resta una «missione di promozione» che incrocerà aree dove impazzano guerre e repressioni, come ad esempio Congo, Nigeria e Kenya, o terre «dove governi potenti finanziano guerre per procura», scrivono Manlio Dinucci e Tommaso Di Francesco, indicando paesi come l’Arabia Saudita impegnata in Siria, o il Barhein con la sua “primavera” cancellata dai militari. Regioni del mondo «dove le spese sociali vengono ridimensionate se non cancellate per sostenere la sicurezza interna e le frontiere, come in Angola e Mozambico». Oman, Dubai, Doha, Gibuti, Madagascar, Sudafrica, Ghana, Senegal, e poi su fino a Casablanca in Marocco, e poi Algeri. In navigazione fino al 7 aprile 2014. Costo: 20 milioni di euro, di cui 7 a carico dello Stato e 13 dei “partner dell’industria privata”. «Soldi ben spesi: potranno usare la portaerei, lunga 244 metri e larga 39, come una grande fiera espositiva itinerante», con stand per accogliere i clienti. Prezzo amico: 200.000 euro per ogni giorno di navigazione.La portaerei non venderà certo l’immagine turistica dell’Italia: gli “ambasciatori” del paese sono le industrie di Finmeccanica come Agusta-Westland (elicotteri da guerra), Oto Melara (cannoni), Selex Es (sistemi radar e di combattimento), Wass (siluri), Telespazio (satelliti), e poi Mbda, coi suoi missili Aspide, Aster, Teseo. Poi ci sono la Intermarine (vascelli militari) e Elt, che offre apparecchiature elettroniche per la guerra aerea, terrestre e navale, mentre Beretta mette in mostra le sue pistole, accanto agli stand di lusso che presentano gli aerei executive della Piaggio e della Blackshape. «Ogni cannone, ogni missile, ogni mitraglia venduta dai commessi viaggiatori della Cavour ai governi clienti – scrivono i giornalisti del “Manifesto” – significherà meno investimenti locali nel sociale e quindi altre migliaia di bisognosi, affamati e morti, soprattutto tra i bambini, per sottoalimentazione cronica e malattie che potrebbero essere curate». Ma niente paura, sulla nave «ci sono anche gli “operatori umanitari” pronti a soccorrere i disperati che abbiamo contribuito a creare con il traffico di armi, per dimostrare quanto l’Italia sia sensibile e pronta ad aiutare “le popolazioni bisognose”».Il nemico complotta contro l’Italia fino a farla crollare, ma la portaerei Cavour – ammiraglia della marina militare, costata 3,5 miliardi – non si dirige contro chi attenta alla vita e al futuro degli italiani, tramando per devastare l’economia, impoverire il paese e trascinarlo nella catastrofe sociale pianificata tra Bruxelles e Berlino, Wall Street e Francoforte. Al contrario, la grande nave trasformata in expò galleggiante del made in Italy bellico preferisce incrociare in acque lontane: «Si vanno a vendere altre armi ai paesi mediorientali e africani, dominati da oligarchie e caste militari, provocando un ulteriore aumento delle loro spese militari che comporterà un ulteriore aumento della povertà soprattutto in Africa», scrive il “Manifesto”. Scopo ufficiale della “campagna navale” organizzata dal governo Letta, è presentare il “sistema paese” in movimento e «rafforzare la presenza dell’Italia nelle aree geografiche considerate strategiche per gli interessi nazionali», senza trascurare la consueta ipocrisia della «assistenza umanitaria alle popolazioni bisognose».
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La grande sete: senza cibo per tutti, un futuro di guerre
Quello che non ci raccontano è che la grande sete ci sta ormai minacciando da vicino, come una vera e propria guerra: solo dalla Siria, 800.000 persone sono scappate già nel 2010, ben prima dell’esplosione del conflitto, abbandonando le aree rurali del paese. Motivo dell’esodo, oltre alle dighe turche che drenano le acque dell’Eufrate, «la peggiore siccità a lungo termine e il più grave insieme di fallimenti agricoli da quando cominciarono le civiltà nella Mezzaluna Fertile», quelle che “inventarono” l’agricoltura. Francesco Femia, co-fondatore del “Center for climate and security”, sostiene che – insieme all’esplosione demografica – l’innalzamento del clima terrestre (e quindi la scarsità d’acqua) si stiano traducendo in un problema drammatico, a livello planetario: la carenza di cibo. Ne risentono persino le aree centrali degli Stati Uniti, oltre al Medio Oriente e all’Asia Centrale. L’emergenza non ha confini: investe Cina e India, ripercuotendosi anche sull’Africa.Per i climatologi, la recente e prolungata siccità nel Mediterraneo orientale è dovuta al surriscaldamento terrestre, rivela Katie Horner in un report sullo stato del pianeta, ripreso da “Come Don Chisciotte”. Poco più a sud della Siria, vacilla anche l’Arabia Saudita, che già oggi è uno dei primi 5 importatori mondiali di riso: dopo aver pompato acqua per decenni dal sottosuolo per far crescere il grano nel deserto, l’emirato petrolifero sa che dal 2016 sarà probabilmente dipendente al 100% dalle importazioni di derrate alimentari. Una spia allarmante: «Dato il ruolo dell’Arabia Saudita come produttore di petrolio, disordini politici dovuti al clima e all’acqua potrebbero gettare scompiglio sull’economia globale». Di acqua e terra fertile è invece ricchissima l’Africa, che però fa gola agli assetati e agli affamati. secondo “Oxfam International”, il Medio Oriente e l’Asia – Cina in primis – hanno già comprato qualcosa come 560 milioni di acri di terra africana, in una sorta di “neo-colonialismo climatico” che prevede l’inevitabile sfratto dei nativi, espropriati dei loro terreni e costretti a emigrare. «Non c’è bisogno di dire che anche questa dinamica è una ricetta per un conflitto».Due giganti come Cina e India sono costrette ad affrontare gravissime crisi idriche, «con popolazioni affamate dai raccolti asciutti». Inoltre, l’energia richiesta per pompare e canalizzare l’acqua è normalmente fornita da impianti potenti, che per funzionare richiedono a loro volta grandi quantità d’acqua. Come se non bastasse, Pechino controlla la più grande fonte di acque fluviali, a nord dell’India. Per Brahma Chellaney, esperto geostrategico dell’università di Nuova Delhi, nessuna nazione nella storia ha costruito più dighe della Cina: più di quelle del resto del mondo messo insieme. Sbarramenti che dirottano altrove anche l’acqua che fluirebbe in India. L’acqua manca per tutti, ci si affida alle piogge stagionali e l’agricoltura diventa instabile: dovendo affrontare la prospettiva di nutrire due miliardi e mezzo di persone, «non è difficile immaginare tensioni in ebollizione», lungo i confini tra i due colossi dell’Est.Non troppo lontano, in Asia Centrale, la caduta dell’Urss ha provocato il collasso del bacino irriguo del Syr Darya, il fiume che bagna Kirghizistan, Uzbekistan, Tagikistan e Kazakistan prima di svuotarsi nel lago d’Aral, a sua volta prosciugato dalle monocolture come il cotone introdotte negli anni ’50. Rimasto senza il gas russo a buon mercato, ora il Kirighizistan trattiene a scopo idroelettrico le acque del lago artificiale di Toktogul, creato per scopi irrigui. A valle, ne soffrono uzbeki e kazaki: finora, nessun accordo internazionale ha risolto il problema, neutralizzando le tensioni. Senza contare i guai dei paesi meno sospettabili, dal punto di vista della carenza idrica: l’ennesima siccità nel Midwest degli Usa ha seriamente compromesso il raccolto di prodotti strategici come il mais e la soia. Visto che il paniere agricolo americano influenza i prezzi del cibo globale, la penuria apre un conflitto coi paesi in via di sviluppo. Basandosi su dati storici, il “New England Complex Systems Institute” dimostra che, oltre una certa soglia, il rincaro dei prezzi alimentari causa quasi certamente rivolte: la stessa “primavera araba”, del resto, fu innescata dalla protesta per il costo del pane.Quello che non ci raccontano è che la grande sete ci sta ormai minacciando da vicino, come una vera e propria guerra: solo dalla Siria, 800.000 persone sono scappate già nel 2010, ben prima dell’esplosione del conflitto, abbandonando le aree rurali del paese. Motivo dell’esodo, oltre alle dighe turche che drenano le acque dell’Eufrate, «la peggiore siccità a lungo termine e il più grave insieme di fallimenti agricoli da quando cominciarono le civiltà nella Mezzaluna Fertile», quelle che “inventarono” l’agricoltura. Francesco Femia, co-fondatore del “Center for climate and security”, sostiene che – insieme all’esplosione demografica – l’innalzamento del clima terrestre (e quindi la scarsità d’acqua) si stiano traducendo in un problema drammatico, a livello planetario: la carenza di cibo. Ne risentono persino le aree centrali degli Stati Uniti, oltre al Medio Oriente e all’Asia Centrale. L’emergenza non ha confini: investe Cina e India, ripercuotendosi anche sull’Africa.
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L’oro di Berlino contro il dollaro? Finiremo nella bufera
Giusto il tempo di chiudere il capitolo “guerra in Siria” sbattendo la porta in faccia all’ambasciatore di Al-Qaeda, il capo dei servizi segreti sauditi Bandar Bin Sultan, ed ecco che la violenza terrorista esplode simultaneamente al confine con l’Iran, a Volgograd in Russia e in piazza Tienanmen a Pechino, cioè a casa dei sostenitori di Assad che hanno appena fermato i missili Nato nel Mediterraneo. L’America di Obama? Infangata dagli imbarazzi del Datagate e decisa a farla pagare cara a Snowden e Assange, il quale – fra le rituali proteste dei governi europei, coinvolti fino al collo nello spionaggio Usa – rivela che «un ministro dell’Ue collabora attivamente con la Cia». Il clamore per lo scandalo planetario, sostiene Antonio De Martini, in realtà nasconde la vera “bomba” in arrivo, e cioè la crisi dell’euro. E se collassa l’Europa, salta in aria l’unico soggetto «in grado di competere con gli Usa a livello mondiale», e di mettere in crisi l’arma principale del dominio americano: il dollaro.Nel clamore generale, scrive De Martini sul “Corriere della Collera”, l’unica cosa che i leader europei hanno certamente capito è «che persino le loro telefonate più private – anche quelle sentimentali delle signore – sono state registrate». Quindi, un “leak” potrebbe «tradire i loro più riposti rapporti con il governo americano». Faranno meglio a tenerlo a mente, aggiunge De Martini, il giorno – ormai non lontano – in cui collasserà l’insostenibile Eurozona. «L’attuale quotazione dell’euro non è così forte da provocare una grave crisi diplomatica con gli Usa, ma è abbastanza forte da provocare un restringimento della base occupazionale e delle esportazioni dei paesi europei». Attenzione: questa crisi farà traboccare il vaso, perché «si aggiunge alla crisi della bolla Internet, a quella dei subprime, a quella immobiliare, a quella bancaria, a quella produttiva e a quella occupazionale». Il detestato euro, la moneta che doveva unire il continente, rischia di spezzarlo, lasciando l’Europa totalmente indifesa di fronte al declinante dominio dell’impero americano.Ormai, un euro vale quasi un dollaro e mezzo. E’ considerato troppo forte dagli acquirenti mondiali di beni industriali, cosa che penalizza le esportazioni europee (non certo quelle statunitensi). «In pratica è come se le imprese americane vendessero col 40% di sconto rispetto a noi». L’inflazione, in Eurozona? «Praticamente inesistente: il tasso d’interesse della Bce è ormai dello 0%», quindi la banca centrale «non è in grado di stimolare l’economia». Contraccolpi: i bond italiani franano, la Francia continua a perdere 50.000 posti di lavoro al mese. Il solo ossigeno possibile, dice De Marini, è il “quantitative easing”, che il governo Letta rifiuta, preferendo la ricetta tedesca: più tasse e meno spesa pubblica. «La Germania, forte di un surplus commerciale quasi triplo in termini reali e assoluti rispetto alla stessa Cina, vuole tornare al Gold Standard», anche se questa scelta antinflazionistica penalizza i paesi come l’Italia, che dispone sì della quarta riserva aurea mondiale, ma ha i conti pubblici devastati.Secondo De Martini, la scelta tedesca di puntare sull’oro «comporta il crollo americano», profilando scenari da guerra mondiale. Gli Usa, ricorda l’analista, abbandonarono il vincolo aureo per la quotazione del dollaro nel 1971: stampare tanto denaro quanto necessario al rilancio dell’economia significa considerare che «la vera ricchezza su cui misurare un paese è il suo apparato produttivo e la sua capacità di penetrazione commerciale nel mondo». Oggi, gli Usa stampano 85 miliardi di dollari al mese. «Questo potrebbe creare un problema di credibilità nell’ipotesi di una richiesta di rientro dal debito, ma nessuno si sogna di chiedere il rientro a un debitore manesco che domina i mari del globo con diciannove portaerei». Durante la recente crisi per l’approvazione del bilancio americano, in cui aleggiava lo spettro del default, i tassi d’interesse del debito Usa non si sono mossi di un millimetro: «Chi spera nel default del dollaro si disilluda», avverte De Martini. «La legge per i forti non è la stessa nostra. Il ferro pesa più dell’oro».Insieme agli Usa, a non temere più il rischio-inflazione per decenni agitato dai neoliberisti sono oggi Gran Bretagna e Giappone. «Alla lunga, dicono gli economisti ortodossi, il default è inevitabile». Alla lunga, appunto: mentre il respiro corto dell’Europa “tedesca”, quell’euro tenuto al guinzaglio dalla Bce, segna già oggi la fine economica di tutto ciò che non è Germania. I riflessi geopolitici dello scontro che si profila sono di vastissima portata, scrive De Martini: al confronto planetario tra Usa, Cina e Russia si aggiunge ora la collisione economica e ideologica fra «la triade del quantitative easing», cioè Usa, Regno Unito e Giappone, e la Germania, «attorniata dai vari paesi della Ue, alcuni dei quali stanno dando segnali di esaurimento economico e politico». La Russia «non sfida apertamente il dominio del dollaro», mentre i cinesi cercano di affermare la loro valuta sugli scambi internazionali, per ora solo bilaterali, con India, Indonesia e Giappone. E mentre un paese come l’Italia è alla canna del gas, la Merkel continua a barare: dopo averci tenuto col fiato sospeso in attesa del traguardo elettorale tedesco «facendoci soffrire in attesa di un momento di sollievo», ora attende le elezioni europee «per distinguere gli alleati buoni dai cattivi e i fedeli dagli infedeli». Ma ormai «sono in molti a ritenere che stia tirando troppo la corda».Giusto il tempo di chiudere il capitolo “guerra in Siria” sbattendo la porta in faccia all’ambasciatore di Al-Qaeda, il capo dei servizi segreti sauditi Bandar Bin Sultan, ed ecco che la violenza terrorista esplode simultaneamente al confine con l’Iran, a Volgograd in Russia e in piazza Tienanmen a Pechino, cioè a casa dei sostenitori di Assad che hanno appena fermato i missili Nato nel Mediterraneo. L’America di Obama? Infangata dagli imbarazzi del Datagate e decisa a farla pagare cara a Snowden e Assange, il quale – fra le rituali proteste dei governi europei, coinvolti fino al collo nello spionaggio Usa – rivela che «un ministro dell’Ue collabora attivamente con la Cia». Il clamore per lo scandalo planetario, sostiene Antonio De Martini, in realtà nasconde la vera “bomba” in arrivo, e cioè la crisi dell’euro. E se collassa l’Europa, salta in aria l’unico soggetto «in grado di competere con gli Usa a livello mondiale», e di mettere in crisi l’arma principale del dominio americano: il dollaro.
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Al-Qaeda non serve più, e gli Usa “licenziano” i sauditi
Dopo aver minacciato e “insultato” la Russia e la Cina, l’Onu e persino gli Usa, l’Arabia Saudita – che ha deciso di continuare ad alimentare la guerra civile in Siria nonostante il disgelo tra Washington e Mosca persino sull’Iran – ora rischia grosso: il suo petrolio non è più così indispensabile, e in ogni caso l’America non lo comprerebbe sotto ricatto, cioè in cambio della cessione a Riyadh della sua politica in Medio Oriente. Qualcosa di fondamentale sta accadendo, avverte il giornalista indipendente Thierry Meyssan: per la prima volta, dopo tanti anni, gli Usa stanno abbandonando il loro più decisivo alleato occulto, il network del terrore chiamato “Al-Qaeda”, emanazione diretta dell’intelligence saudita. Agli occhi del nuovo capo della Cia, John Brennan, «lo jihadismo internazionale deve essere ridotto a proporzioni più deboli», tenuto in vita solo come carta di riserva da usare «in alcune occasioni». Lo dimostra la rinuncia della Casa Bianca – di fronte alla fermezza di Putin – a scatenare in Siria l’inizio di una possibile Terza Guerra Mondiale. I terroristi usa e getta? Probabilmente non serviranno più.Secondo Meyssan, se Riyadh non si adegua alla nuova linea di Obama, è a rischio la stessa sopravvivenza dell’Arabia Saudita come Stato: l’emirato petrolifero potrebbe facilmente essere smembrato in cinque unità. «È improbabile che Washington si lasci dettare la propria condotta da alcuni facoltosi beduini, mentre è prevedibile che li rimetterà a posto. Nel 1975, non esitarono a far assassinare il re Faysal. Questa volta, dovrebbero essere ancora più radicali». Lo conferma la presenza alla guida della Cia di un uomo come Brennan, «strenuo oppositore del sistema messo in atto dai suoi predecessori assieme a Riyadh: lo jihadismo internazionale». Secondo Meyssan, Brennan ritiene che, «ancorché questi combattenti abbiano svolto bene il loro compito, un tempo in Afghanistan, Jugoslavia e in Cecenia, siano nondimeno diventati troppo numerosi e troppo ingestibili». Quella che all’inizio era costituita da alcuni estremisti arabi partiti per sparare all’Armata Rossa, è poi diventata una costellazione di gruppi, presenti dal Marocco alla Cina, che si battono per far trionfare il modello saudita di società, più che per sconfiggere gli avversari degli Stati Uniti.Già nel 2001, continua Meyssan, gli Usa avevano pensato di eliminare Al-Qaeda «attribuendole la responsabilità degli attentati dell’11 Settembre». Tuttavia, «con l’assassinio ufficiale di Osama Bin Laden nel maggio 2011, hanno deciso di riabilitare questo sistema per farne ampio uso in Libia e in Siria: senza Al-Qaeda non si sarebbe mai potuto rovesciare Muhammar Gheddafi, come dimostra oggi la presenza di Abdelkader Belhaj, ex numero due dell’organizzazione, come governatore militare di Tripoli». Licenziare i terroristi e i loro gestori mediorientali? “Gettare i Saud fuori dall’Arabia” era il titolo di un powerpoint del 2002 presentato dal Pentagono allora diretto da Donald Rumsfeld. Sono i sauditi, oggi, a mettersi nei guai. Il principe Bandar Bin Sultan, capo dei servizi segreti, in pochi mesi si è messo contro il resto del mondo: ha minacciato la Russia (terrorismo sulle Olimpiadi di Soči), bocciato la politica dell’Onu sulla Siria (promossa anche dalla Cina, super-cliente saudita), rifiutato di parlare al Palazzo di Vetro e annunciato che non userà mai il seggio offerto all’Arabia Saudita al Consiglio di Sicurezza. Quindi ha accusato Israele e l’Iran di accumulare “armi di distruzione di massa”, e ha addirittura annunciato il ritiro dagli Usa degli investimenti sauditi. Gioco pericoloso. Riyadh non ha ancora capito che è terminata la fiction della dittatura medievale travestita da “alleato arabo moderato”, perché – oltre al petrolio – è finita in soffitta la sua arma migliore: il terrorismo “islamico” pilotato dall’intelligence occidentale.Dopo aver minacciato e “insultato” la Russia e la Cina, l’Onu e persino gli Usa, l’Arabia Saudita – che ha deciso di continuare ad alimentare la guerra civile in Siria nonostante il disgelo tra Washington e Mosca persino sull’Iran – ora rischia grosso: il suo petrolio non è più così indispensabile, e in ogni caso l’America non lo comprerebbe sotto ricatto, cioè in cambio della cessione a Riyadh della sua politica in Medio Oriente. Qualcosa di fondamentale sta accadendo, avverte su “Megachip” il giornalista indipendente Thierry Meyssan: per la prima volta, dopo tanti anni, gli Usa stanno abbandonando il loro più decisivo alleato occulto, il network del terrore chiamato “Al-Qaeda”, emanazione diretta dell’intelligence saudita. Agli occhi del nuovo capo della Cia, John Brennan, «lo jihadismo internazionale deve essere ridotto a proporzioni più deboli», tenuto in vita solo come carta di riserva da usare «in alcune occasioni». Lo dimostra la rinuncia della Casa Bianca – di fronte alla fermezza di Putin – a scatenare in Siria l’inizio di una possibile Terza Guerra Mondiale. I terroristi usa e getta? Probabilmente non serviranno più.
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Facciamo esplodere la Siria, poi piangiamo per gli sbarchi
Era completamente falsa la “notizia” strombazzata per due giorni, in primis da “Repubblica”, degli “scafisti siriani” che, a cinghiate, avrebbero costretto i migranti a uccidersi, gettandosi dal gommone proveniente dalla Libia nel mare davanti Scicli. Una notizia vera ha trovato, invece, pochissimo spazio sul mainstream: secondo l’Oim, Organizzazione internazionale per le migrazioni, sono sempre di più i siriani che approdano sulle nostre coste: lo fanno per fuggire dalle bande di mercenari che stanno insanguinando quella nazione, e dalla conseguente reazione dell’esercito siriano, ma soprattutto, per fuggire dalla fame e dalla miseria esplose in Siria col feroce embargo decretato due anni fa dall’Unione Europea, Italia compresa. E i motivi di questo embargo, accusa Francesco Santoianni, sono politici e scritti nero su bianco: l’obiettivo è costringere la popolazione a ribellarsi ad Assad. «Una “primavera araba” dettata dall’Occidente, che ha già fatto 100.000 morti e due milioni di profughi».