Archivio del Tag ‘appello’
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Mazzucco: vaccini, vergogna nazionale. E i 5 Stelle, complici
Vaccini non sempre utili e non sempre sicuri, non testati come gli altri farmaci, e in alcuni casi pericolosi (letali) per i bambini. Vaccini non “spiegati”, imposti senza la necessaria trasparenza. E pagati dai cittadini con le tasse, a prezzi salatissimi: il costo è schizzato alle stelle dopo l’introduzione dell’obbligatorietà. In caso di problemi, chi paga? Sempre noi, con le imposte, perché è lo Stato a risarcire i danneggiati. Peggio ancora: il piano, evidente, mira a imporre l’obbligo a tutti, anche agli adulti (come in Argentina, dove alle vaccinazioni è vincolato il rinnovo del passaporto, come quello della patente di guida). Come chiamarlo, questo schifo? E poi: possibile che non ci sia un cane di politico che lo denunci? Non dovevano essere lì per quello, i 5 Stelle? Non a caso, infatti, sono stati votati da milioni di italiani. Molti dei quali oggi sono letteralmente inferociti: «Il mio voto non lo avranno mai più», annuncia Massimo Mazzucco, che accusa Giulia Grillo di essere la fotocopia di Beatrice Lorenzin. I militanti più irriducibili “perdonano” i grillini, perché se non cedessero al ricatto-vaccini finirebbero fuori dal governo? Tanto meglio, dice Mazzucco: se avessero il coraggio di denunciare il marcio, avete idea di come la prenderebbero, gli elettori? Se i 5 Stelle si dimettessero in nome della sicurezza sanitaria dei cittadini, il giorno dopo verrebbe giù l’Italia. Ma non lo fanno: e questo ci fa capire chi sono, veramente.
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Mazzucco: che pena, se Grillo si allinea anche sui vaccini
Bei tempi, quando Grillo era ancora Grillo. Da parte sua, dire che non è favorevole all’obbligo vaccinale «è un modo vile per togliersi dal pasticcio nel quale si è cacciato», dopo aver firmato – con Renzi – l’appello di Roberto Burioni che di fatto invita lo Stato a emanare leggi «che impediscano alla scienza di fare il suo mestiere, cioè di non smettere mai di porre in discussione le certezze apparenti, anche in tema di vaccini». Per Masssimo Mazzucco, è devastante il danno che Grillo ha inferto al vasto movimento (fatto di medici e genitori) che rivendica il diritto di essere informato, sulle vaccinazioni. Prescrizioni ormai obbligatorie, con l’introduzione della legge Lorenzin: «Era la prima norma che il governo gialloverde avrebbe dovuto eliminare, come peraltro annunciato in campagna elettorale, e invece non l’ha fatto». Strano? No, ma triste: «Più ti avvicini al potere – dice Mazzucco – e più trovi qualcuno che ti batte la mano sulla spalla, per dirti che certi interessi non li puoi toccare. Lo stesso Salvini, ieri contrario all’obbligo vaccinale, oggi tace. Se non altro – aggiunge Mazzucco – almeno, Salvini ha la decenza di non schierarsi apertamente, come fa Grillo, dalla parte di quelli che fino a ieri erano gli avversari dichiarati, cioè Burioni e Renzi».Roberto Burioni è l’immunologo che fa fatto della crociata-vaccini una ragione di vita. Grillo ha detto di non conoscerlo neppure. «Curioso, non vi pare?». Povero Beppe: «Che fa, firma un documento come quello senza accorgersi che, tra le righe, propone di silenziare – per legge – anche scienziati come il presidente dei biologi, Vincenzo D’Anna, che ha scoperto vaccini “sporchi” e inefficaci? Non si rende conto, Grillo, che così facendo sdogana il pensiero unico di Big Pharma come il solo ammissibile, negando agli italiani il diritto democratico di essere innanzitutto informati sulla sicurezza dei vaccini che vengono iniettati ai neonati?». Porta lontano, l’amarezza che Mazzucco esprime nella diretta web-streaming su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights”. «Per principio – sottolinea – non escludo mai la buona fede di nessuno, quindi neppure quella di Grillo: che in ogni caso è ancora in tempo a prendere le distanze da quel documento, se l’ha firmato incautamente, ritirando la sua firma». Certo però che siamo di fronte all’ennesima retromarcia tattica: uno dopo l’altro, tutti i cavalli di battaglia del Movimento 5 Stelle finiscono in soffitta. Al punto da far dilagare il sospetto che Grillo non sia mai stato altro che un abile “gatekeeper”, un dirottatore del dissenso, da “addormentare” poi con calma, affidando a personaggi come Di Maio il pensionamento progressivo, e sempre più sbiadito, delle dirompenti denunce di un tempo.C’era una volta il Beppe Grillo rampante, il trascinatore dei teatri: tuonava contro i vaccini e gli abusi di Big Pharma, contro l’acquisto degli inutili F-35, contro l’euro e contro il bieco signoraggio bancario. «Tutti temi mai più riproposti, ora che ci sarebbe la possibilità – coi 5 Stelle al governo – di affrontarli in modo finalmente incisivo». Su un tema, dice Mazzucco, Grillo non si era scatenato nemmeno prima, quand’era ancora un battitore libero: «Lo avvicinai per chiedergli supporto, riguardo ai miei documentari e ai libri di Giulietto Chiesa, ma lui mi disse che, se si fosse messo a parlare anche di 11 Settembre, il suo pubblico non l’avrebbe più seguito». Fabio Frabetti conferma: in uno dei suoi spettacoli, una sera, Grillo citò la denuncia di Thierry Meyssan: interamente falsa la versione ufficiale, secondo cui le Torri Gemelle sarebbero crollate per via dell’impatto con gli aerei. «La sala praticamente ammutolì», segno che il timore di Grillo era fondato: sarebbe stato troppo, per quel pubblico, accettare anche quella verità. Grillo “gatekeeper”? «Mi rifiuto di crederlo – taglia corto Mazzucco – anche perché parliamo di spettacoli di molti anni fa».Piuttosto, ragione l’autore di “Inganno globale” e “La nuova Pearl Harbor”, il più delle volte la realtà è più semplice. «Succede che arrivi nella stanza dei bottoni, e quel giorno “qualcuno” ti spiega che devi rinunciare a molte delle tue idee. Accade per gradi, senza che vi sia per forza chissà quale complotto, già in partenza». E’ uno schema che si ripete sempre, insiste Mazzucco, citando gli anni di piombo: «Le Brigate Rosse non le avevano inventate i servizi segreti che poi le hanno infiltrate. All’inizio, erano un fenomeno spontaneo. Poi, un giorno, i fondatori delle prime Br – Curcio e gli altri – sono finiti tutti in galera. Da quel momento le nuove leve hanno comiciato a sparare e uccidere, fino alla tragedia di Aldo Moro». E oggi rieccoci qua, con i due Grillo all’opera: la ministra Giulia, che si guarda bene dal bocciare la legge Lorenzin, e l’ex mattatore Beppe, che si mette a tifare per i Talebani della vaccinazione universale, da imporre per legge e a scatola chiusa. Il governo gialloverde? «Non si capisce in cosa si differenzi dai precedenti, visto il poco o nulla che sta combinando, allineato com’è al volere dei soliti poteri forti». Elettori ingannati fin dall’inizio o traditi da politici non all’altezza della situazione? Mazzucco propende per la seconda ipotesi: al di là delle ciance, a Lega e 5 Stelle mancano “gli attributi” per imporsi, e difendere – davvero – gli italiani.Bei tempi, quando Grillo era ancora Grillo. Da parte sua, dire che non è favorevole all’obbligo vaccinale «è un modo vile per togliersi dal pasticcio nel quale si è cacciato», dopo aver firmato – con Renzi – l’appello di Roberto Burioni che di fatto invita lo Stato a emanare leggi «che impediscano alla scienza di fare il suo mestiere, cioè di non smettere mai di porre in discussione le certezze apparenti, anche in tema di vaccini». Per Masssimo Mazzucco, è devastante il danno che Grillo ha inferto al vasto movimento (fatto di medici e genitori) che rivendica il diritto di essere informato, sulle vaccinazioni. Prescrizioni ormai obbligatorie, con l’introduzione della legge Lorenzin: «Era la prima norma che il governo gialloverde avrebbe dovuto eliminare, come peraltro annunciato in campagna elettorale, e invece non l’ha fatto». Strano? No, ma triste: «Più ti avvicini al potere – dice Mazzucco – e più trovi qualcuno che ti batte la mano sulla spalla, per dirti che certi interessi non li puoi toccare. Lo stesso Salvini, ieri contrario all’obbligo vaccinale, oggi tace. Se non altro – aggiunge Mazzucco – almeno, Salvini ha la decenza di non schierarsi apertamente, come fa Grillo, dalla parte di quelli che fino a ieri erano gli avversari dichiarati, cioè Burioni e Renzi».
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Vaccini, Carpeoro ai pm: inquisite Burioni, il Patto è illegale
Vaccini, associazione a delinquere: «Il reato è così grave che non c’è bisogno di sporgere denuncia: qualunque Procura dalla Repubblica può procedere d’ufficio». È un appello ai pm italiani, oltre che al presidente Mattarella, quello che l’avvocato Gianfranco Pecoraro (in arte Carpeoro) rivolge, in web-streaming su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights”, il 13 gennaio. Pietra dello scandalo, il “patto per la scienza” promosso dall’immunologo Roberto Burioni e sottoscritto da Beppe Grillo, Matteo Renzi, Enrico Mentana, Carlo Calenda, Vittoria Brambilla e molti altri. Secondo Carpeoro, dirigente del Movimento Roosevelt, la magistratura deve intervenire: quel testo configura gravissime ipotesi di reato, fino all’attentato alla Costituzione, dal momento che si propone di abolire la libertà d’opinione e la libertà di ricerca scientifica, entrambe tutelate dalla Carta costituzionale. Se mai diventasse legge, lo sciagurato “patto” proposto da Burioni, secondo Carpeoro segnerebbe la fine della ricerca scientifica in Italia: per questo, insiste, va fermato subito, per via giudiziaria, prima che sia troppo tardi, in nome della democrazia e dello Stato di diritto.«Se il potere si coagula attorno a questo patto – dice Carpeoro – saremmo poi costretti a cambiare le leggi, cosa molto più difficile. Ecco perché io chiamo tutti quanti alla mobilitazione per fermare il patto: configura il reato, associativo, di attentato alla Costituzione». Carpeoro punta il dito contro Burioni, professore ordinario di microbiologia e virologia presso la facoltà di medicina e chirurgia dell’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano. «Quella del San Raffaele – dice – è l’università dove insegnava il professor Cacciari, che aveva come splendida studentessa la figlia di Berlusconi. Un’università ben frequentata: come assistente odontotecnica vi lavorava anche una bella ragazza come Nicole Minetti». Ma, a parte le credenziali accademiche di Burioni, Carpeoro si concentra sul testo del suo “patto”: “Tutte le forze politiche italiane si impegnano a sostenere la scienza come valore universale di progresso dell’umanità”. Aria fritta: c’è qualcuno che potrebbe non impegnarsi a sostenere la scienza come valore universale? Valore che ovviamente “non ha alcun colore politico”, avendo lo scopo di “aumentare la conoscenza umana e migliorare la qualità di vita dei nostri simili”.Sempre aria fritta, aggiunge Carpeoro: chi mai, in Italia, ha evitato di sostenere la scienza? «Il problema – obietta – è che Burioni è convinto che “la scienza” sia lui. E allora, tutti quelli che non sostengono Burioni, non sostengono la scienza. È come il Re Sole: “l’État c’est moi!”, “dopo di me il diluvio”. E siccome Burioni è convinto che la scienza sia lui, tutti quanti devono firmare queste politiche: devono firmare un patto dove si sostiene lui». Continua il testo: “Nessuna forza politica italiana si presta a sostenere o tollerare in alcun modo forme di pseudoscienza e/o di pseudomedicina che mettono a repentaglio la salute pubblica (i.e., negazionismo dell’Aids, anti-vaccinismo, terapie non basate sull’evidenza scientifica, etc.)”. Anche questa è aria fritta, sottolinea Carpeoro, «ma con qualche effetto un po’ più grave, perché bisogna stabilire chi decide qual è la scienza e qual è la “pseudoscienza”, qual è la medicina e qual è la “pseudomedicina”. E sotto questo profilo, Burioni mi deve dire chi lo ha nominato arbitro di questa valutazione».Per il resto, aggiunge Carpeoro, se uno fa una ricerca sull’Aids partendo da presupposti alternativi, o una ricerca sull’efficacia o meno di certi vaccini, questo è perfettamente lecito, in Italia. «Qui stiamo parlando di ricerca: poi è lo Stato che decide. Burioni invece vuole proprio proibire la ricerca – e criminalizzarla, se è alternativa alla sua. Quanto alle politiche sanitarie nazionali, quelle le decide lo Stato: non le decide né Burioni né il suo “patto”». Ma fin qui, prosegue Carpeoro, siamo di fronte solo a delle emerite stupidaggini, non ancora a ipotesi di reato. La musica, secondo l’avvocato, comincia a invece a cambiare a partire dal punto 3 del “patto” di Burioni, dove si legge: “Tutte le forze politiche italiane si impegnano a governare e legiferare in modo tale da fermare l’operato di quegli pseudoscienziati che, con affermazioni non-dimostrate ed allarmiste, creano paure ingiustificate tra la popolazione nei confronti di presidi terapeutici validati dall’evidenza scientifica e medica”. Tanto per cominciare, premette Carpeoro, non può esistere nessun “patto” che impegni le forze politiche italiane a “legiferare e governare”, come dice Burioni, «perché le leggi le approva il Parlamento senza impegni preventivi, dato che i nostri deputati e senatori sono liberi da vincolo di mandato».Ma il peggio viene dopo, dove si propone di “fermare l’operato” dei liberi ricercatori (come i biologi coordinati da Vincenzo D’Anna, che hanno appena scoperto vaccini “sporchi” e inefficaci, privi degli agenti immunizzanti). «Sapete cosa significa, “fermare l’operato di quegli pseudoscienziati”? Significa fermare la ricerca», sottolinea Carpeoro. «Tutte le ricerche alternative a quelle che Burioni considera “scienza” non devono essere fatte. Non si potrà più ricercare, in Italia, perché le forze politiche italiane hanno fatto un patto con Burioni. E se domani si scopre che una determinata cosa, oggi considerata certa, non lo è più?». Secondo Carpeoro, «questo è un reato di attentato alle libertà costituzionali. Il reato è: attentato alla Costituzione. E tutti coloro che hanno firmato – Grillo, Renzi, Mentana – concorrono al reato associativo di associazione per delinquere, per commettere il reato di attentato alla Costituzione. Perché questo testo è contrario al dettato costituzionale di cui all’articolo 21 della Carta costituzionale, che è la libertà di opinione. E inoltre è contrario a un altro articolo, che tutela specificamente la libertà di ricerca scientifica».Sempre secondo Carpeoro, Burioni «lo rincalza, il reato», laddove scrive: “Tutte le forze politiche italiane si impegnano ad implementare programmi capillari di informazione sulla scienza per la popolazione”. Ovvero: «Informazione non sulla scienza: su quello che pensa Burioni». E questa informazione unilaterale andrebbe imposta “a partire dalla scuola dell’obbligo, e coinvolgendo media, divulgatori, comunicatori, ed ogni categoria di professionisti della ricerca e della sanità”. Per Carpeoro, «Burioni vuole instaurare il Minculpop», il ministero della propaganda mussoliniana, «in modo che nessuno – fin dalla scuola dell’obbligo – possa pensarla diversamente, da come la vede lui». Infine, l’avvocato segnala l’articolo che sembra il meno importante, ma è quello a cui probabilmente Burioni tiene di più: tutte le forze politiche italiane si impegnano affinché si assicurino alla scienza («cioè a Burioni»), “adeguati finanziamenti pubblici, a partire da un immediato raddoppio dei fondi ministeriali per la ricerca biomedica di base”. Burioni dice che i soldi devono finire solo a chi la pensa come lui? Quindi, di fatto, si vieterebbero «tutte le forme di ricerca che comportino il mettere in discussione anche cose che sembrano certe». Assurdo: «Nella scienza, tutto è sempre in discussione».Come si può pretendere di limitare il raggio d’azione della ricerca? A quanto pare, Burioni lo taglierebbe in modo netto. E attenzione: «Vuole farlo con un patto di potere. E il potere si è saldato». Ragiona Carpeoro: «Che Grillo, Renzi, Mentana e compagnia cantante si trovino su quello stesso versante, è il segnale che il potere – su quell’argomento – si è saldato». L’avvocato non si rivolge personalmente né a Grillo, né a Renzi, né a Mentana: «So perfettamente che sarebbe inutile, magari per tre tipi diversi di motivi». Spiega: «A Mentana “fa immagine”, il fatto di essere tra queste firme». Renzi? «È un naufrago, alla ricerca disperata di zattere». E Grillo «non l’ha neanche letto, questo “patto”, o se l’ha letto non l’ha capito, e anche ammesso che non l’abbia capito, qualcuno gli ha detto: firma lo stesso». Carpeoro si rivolge direttamente al capo dello Stato, anche in virtù della sua specifica esperienza di costituzionalista: «Gli chiedo se sia ammissibile che circoli, tra la popolazione, un “patto” che contiene due capoversi che esprimono la volontà di attentare alle libertà costituzionali, la libertà di opinione e la libertà di ricerca scientifica».Il suo appello è diretto anche al potere giudiziario: «Mi rivolgo alla magistratura: quelli che ho evidenziato sono reati procedibili d’ufficio», dichiara Carpeoro. «Non c’è bisogno che i “no-vax” sporgano delle denunce. Perché il problema di questo “patto” è che vuole andare a monte: non vuole proibire posizioni politiche di disapprovazione di obblighi vaccinali, vuole proibire che venga svolta tutta quella vasta gamma di ricerca, e di possibilità di ricerca, che possa mettere in discussione certezze scientifiche che non sappiamo se siano di effettiva valenza scientifica o di esclusivo comodo e sfruttamento commerciale». E questo, aggiunge Carpeoro, è un dubbio che tutta l’Italia ha. «E probabilmente, un “governo del cambiamento” dovrebbe porsi il problema di questo dubbio e cercare di fugarlo, nei modi legittimi, legali e trasparenti, previsti dalle nostre leggi». Quindi, aggiunge Carpeoro, «mi appello a tutti i magistrati d’Italia: chiunque di loro può aprire un fascicolo, d’ufficio, per un reato di questo tipo, iscrivendo nel registro degli indagati – da subito – il signor Burioni, il signor Mentana, il signor Renzi, il signor Grillo e tutti gli altri firmatari. Burioni come responsabile, e gli altri come associati al reato, nell’ipotesi del reato associativo (associazione per delinquere), che poi dovrà essere vagliata in sede istruttoria».Aggiunge Carpeoro: «Questo appello lo faccio ufficialmente, perché penso che una cosa così grave meriti una risposta netta, ferma e trasparente. Non sto commettendo nessun reato, nel chiedere giustizia. Chiedo giustizia nei confronti delle persone che ho nominato. Purtroppo, a meno che non realizzino un comportamento di “desistenza operante”, cioè revochino la loro firma a quest’accordo, questi signori sono associati a reato – per il solo fatto di aver firmato questo appello – perché hanno gli strumenti culturali e personali per valutare la gravità di questo appello, nei suoi termini di attentato alla democrazia». Per Carpeoro, quello promosso da Burioni è un testo «gravissimo», di cui le istituzioni – politica, Quirinale e magistrati – dovrebbero valutare seriamente le conseguenze: una precettazione di questo tipo va bloccata sul nascere, sottoponendo al vaglio della magistratura «le persone che hanno pensato di poter fare questo, in uno Stato democratico».Per chiarezza, Carporo ribadisce la sua posizione in merito all’obbligo vaccinale: «Teniamo presente che io non sono un “no-vax”. L’ho detto più volte: voglio solo poter verificare, di volta in volta, e avendo un ampio spettro di informazioni da parte di scienziati che ne capiscano, l’opportunità relativa a stabilire un obbligo per un determinato tipo di vaccino e la conoscenza degli effetti, anche di quelli collaterali, di quel vaccino. Cosa fondamentale, sulla quale, sì, le forze politiche dovrebbero firmare un patto, ben diverso da quello proposto da Burioni». Certo, i vaccini sono anche un business: «Quando la loro utilità e necessità non sono scientificamente dimostrate, e quando non sono spiegati in modo trasparente al pubblico, sono l’espressione di un modo assolutamente perverso di fare del business sulla pelle della gente». Precisa ancora Carpeoro: «Non mi assocerò mai a chi criminalizza i vaccini in quanto tali, o a chi esprime disistima nei confronti dei medici. Bisogna procedere esaminando caso per caso, senza mai giudicare per schemi generali». Aggiunge: «Sull’obbligo vaccinale, in Italia, c’è stata poca chiarezza, e la chiarezza è fondamentale: quando lo Stato stabilisce degli obblighi e tocca il corpo delle persone, ha il dovere legale e morale di essere trasparente. Deve spiegarle bene, le cose: deve spiegare che cosa ti vuole iniettare, anche utilizzando pagine intere sui giornali. Questo non è stato fatto: non sono state chiarite tutta una serie di perplessità sui contenuti di alcuni vaccini».(“Vaccini, associazione a delinquere. Carpeoro ai pm: indagate Burioni, Grillo, Renzi, Mentana e gli altri firmatari del “patto” che chiede di limitare la ricerca scientifica, violando la Costituzione”, dal blog del Movimento Roosevelt del 14 gennaio 2019).Vaccini, associazione a delinquere: «Il reato è così grave che non c’è bisogno di sporgere denuncia: qualunque Procura dalla Repubblica può procedere d’ufficio». È un appello ai pm italiani, oltre che al presidente Mattarella, quello che l’avvocato Gianfranco Pecoraro (in arte Carpeoro) rivolge, in web-streaming su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights”, il 13 gennaio. Pietra dello scandalo, il “patto per la scienza” promosso dall’immunologo Roberto Burioni e sottoscritto da Beppe Grillo, Matteo Renzi, Enrico Mentana, Carlo Calenda, Vittoria Brambilla e molti altri. Secondo Carpeoro, dirigente del Movimento Roosevelt, la magistratura deve intervenire: quel testo configura gravissime ipotesi di reato, fino all’attentato alla Costituzione, dal momento che si propone di abolire la libertà d’opinione e la libertà di ricerca scientifica, entrambe tutelate dalla Carta costituzionale. Se mai diventasse legge, lo sciagurato “patto” proposto da Burioni, secondo Carpeoro segnerebbe la fine della ricerca scientifica in Italia: per questo, insiste, va fermato subito, per via giudiziaria, prima che sia troppo tardi, in nome della democrazia e dello Stato di diritto.
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Grillo con Renzi: punire i Free-Vax. Mazzucco: è dittatura
Vorrei mandare un messaggino a Beppe Grillo, nella speranza che abbia la pazienza di ascoltarmi. Caro Beppe, prima di dare dei “terrapiattisti” a quelli che ti criticano, lo hai almeno letto, quello che hai firmato? Perché tu dici: non c’è niente di male, a firmare un documento a favore della scienza. Questo è vero, ci mancherebbe. Ma tu non hai firmato un documento generico a favore della scienza. Tu hai firmato una precisa richiesta politica – di Burioni – di fare delle leggi contro chi è contrario all’obbligo vaccinale. Questo hai firmato tu. Perché, finché al punto 1 si dice “sostenere la scienza come valore universale di progresso dell’umanità”, è chiaro che sono tutti d’accordo. Ma questo è solo uno specchietto per le allodole. E lascia passare l’alibi che permette a gente come Mentana di dire: come si fa a non essere d’accordo? Ma il punto 2, dello stesso documento che tu hai firmato, recita: “Non sostenere o tollerare in alcun modo forme di pseudoscienza e/o pseudo-medicina che mettono a repentaglio la salute pubblica, come il negazionismo dell’Aids, l’antivaccinismo, le terapie non basate sulle prove scientifiche”, eccetera. Lo sai cosa vuol dire, in italiano, “non tollerare in alcun modo”? Vuol dire reprimere. Vuol dire vietare, vuol dire togliere al medico il suo sacrosanto diritto, ad esempio, di esprimere un dubbio sulla sicurezza dei vaccini.Vuol dire, per fare un esempio qualunque, che il presidente dell’Ordine dei Biologi, Vincenzo D’Anna (che ha legittimamente sollevato dei dubbi sulla sicurezza dei vaccini) non potrà più farlo. Questa è l’Italia che vuoi tu? Un posto dove non si possa più nemmeno sollevare un’obiezione al pensiero unificato di Big Pharma? Perché, allora, viva Hitler è viva Mussolini: vivere sotto di loro era una pacchia, in confronto. Se non ti bastasse, per capire dove vuole arrivare Burioni, leggi bene il punto 3: “Governare e legiferare in modo tale da fermare l’operato di quegli pseudoscienziati che, con affermazioni non dimostrate, allarmiste, creano paure ingiustificate fra la popolazione nei confronti di presidi terapeutici validati dell’evidenza scientifica e medica”. Lo sai cosa vuol dire, in italiano, “legiferare per fermare l’operato”? Vuol dire poter arrestare. Mandare sotto processo. Sbattere in galera. Questo vuol dire, “legiferare per fermare l’operato”.E visto che, naturalmente, quella che sia l’evidenza scientifica la decide Burioni (perché lo ha detto lui che “la scienza non è democratica”), allora, domani, un Burloni qualunque potrà stabilire – in nome dell’autoproclamata scienza – chi deve andare sotto processo e chi no. Questo hai firmato, caro Grillo: non un generico appello a supporto del metodo scientifico, perché il metodo scientifico prevede anche il confronto, la discussione e la diversità di opinioni. Altrimenti si chiama dittatura. Quindi svegliati, Beppe: ammetti di aver sbagliato. E ritira la tua firma, finché sei ancora in tempo: perché non solo in questo caso hai fatto il gioco dell’Ebetino di Firenze, ma tu qui rischi di fare la figura dell’Ebetone, in tutta questa faccenda.Vorrei mandare un messaggino a Beppe Grillo, nella speranza che abbia la pazienza di ascoltarmi. Caro Beppe, prima di dare dei “terrapiattisti” a quelli che ti criticano, lo hai almeno letto, quello che hai firmato? Perché tu dici: non c’è niente di male, a firmare un documento a favore della scienza. Questo è vero, ci mancherebbe. Ma tu non hai firmato un documento generico a favore della scienza. Tu hai firmato una precisa richiesta politica – di Burioni – di fare delle leggi contro chi è contrario all’obbligo vaccinale. Questo hai firmato tu. Perché, finché al punto 1 si dice “sostenere la scienza come valore universale di progresso dell’umanità”, è chiaro che sono tutti d’accordo. Ma questo è solo uno specchietto per le allodole. E lascia passare l’alibi che permette a gente come Mentana di dire: come si fa a non essere d’accordo? Ma il punto 2, dello stesso documento che tu hai firmato, recita: “Non sostenere o tollerare in alcun modo forme di pseudoscienza e/o pseudo-medicina che mettono a repentaglio la salute pubblica, come il negazionismo dell’Aids, l’antivaccinismo, le terapie non basate sulle prove scientifiche”, eccetera. Lo sai cosa vuol dire, in italiano, “non tollerare in alcun modo”? Vuol dire reprimere. Vuol dire vietare, vuol dire togliere al medico il suo sacrosanto diritto, ad esempio, di esprimere un dubbio sulla sicurezza dei vaccini.
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Appello al governo: vi regalo la prevenzione dei terremoti
Appello al governo italiano: Salvini e Di Maio se la sentono di prendere finalmente in considerazione il sistema di prevenzione sismica collaudato da Giampaolo Giuliani, l’ex tecnico dell’istituito di astrofisica del Gran Sasso che nel 2009 previde il catastrofico terremoto dell’Aquila? La notizia: pur di salvare vite umane, Giuliani regalerebbe volentieri allo Stato il suo rivoluzionario brevetto, per il quale ha ricevuto offerte milionarie. Si tratta di un dispositivo di rilevazione e allertamento, installato con successo in mezzo mondo, dall’America all’Asia. Ha dell’incredibile il fatto che una scoperta italiana venga completamente ignorata in patria, dove la terra ha ripreso a tremare – dall’Abruzzo alla Sicilia. «Trovo vergognoso che ancora oggi i telegiornali sostengano impunemente che i terremoti non si possano prevedere», protesta Gianfranco Pecoraro (Carpeoro), dirigente del Movimento Roosevelt. Carpeoro ha rilanciato l’offerta salva-vita di Giuliani in una diretta web-streaming su YouTube il 6 gennaio, condotta da Fabio Frabetti di “Border Nights”, in collegamento con lo stesso Giuliani.
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Trump rischia: fu l’unico a denunciare il falso 11 Settembre
Sapevate che Donald Trump fu l’unico cittadino americano, insieme all’immobiliarista Jimmy Walter, a denunciare immediatamente come falsa la versione ufficiale sull’11 Settembre fornita da Bush? Walter fu costretto all’esilio, mentre Trump è oggi alla Casa Bianca: proprio a lui si rivolge il giornalista francese Thierry Meyssan, acuto analista geopolitico, in un appello nel quale si chiede al presidente Usa di fare il punto, finalmente, sui veri responsabili del devastante attacco terroristico al cuore di Manhattan, e sulle micidiali conseguenze che l’attentato ha avuto, in tutto il mondo. Da allora, ricorda Meyssan, il potere dei neocon ha sistematicamente colpito tutti i paesi non ancora globalizzati, a partire dall’Afghanistan e dall’Iraq, con il pretesto di Al-Qaeda e poi dell’Isis, fino alle laceranti devastazioni inflitte alla Libia e alla Siria. Da Meyssan anche un preciso avvertimento, a Trump: l’uomo che lavora al suo impeachment, Robert Mueller, oggi nei panni di procuratore generale, nel 2001 era il capo dell’Fbi, e in quella veste contribuì a mentire sull’11 Settembre, partecipando al grande insabbiamento sui veri mandanti della strage. Ecco il testo della lettera aperta che Meyssan indirizza all’attuale presidente degli Stati Uniti:Signor presidente, i crimini dell’11 settembre 2001 non sono mai stati giudicati nel suo paese. Le scrivo da cittadino francese, il primo a denunciare le incongruenze della versione ufficiale e ad aprire il mondo al dibattito e alla ricerca dei veri esecutori. In un tribunale penale, in quanto giuria, dobbiamo determinare se il sospetto portatoci sia colpevole o meno, e, alla fine, decidere quale punizione dovrebbe ricevere. Quando abbiamo assistito agli eventi dell’11 Settembre, l’amministrazione Bush Junior ci ha detto che il colpevole era Al-Qaïda, e la punizione che avrebbe dovuto ricevere era il rovesciamento di coloro che l’avevano aiutata: prima i Talebani afghani, poi il regime iracheno di Saddam Hussein. C’è tuttavia una serie di prove che attesta l’impossibilità di questa tesi. Se fossimo membri di una giuria, dovremmo oggettivamente dichiarare che i Talebani e il regime di Saddam non sono colpevoli di questo crimine. Questo da solo, naturalmente, non ci consentirebbe di indicare i veri colpevoli. Non potremmo però concepire di condannare parti innocenti sol perché non abbiamo saputo come trovare i colpevoli.Quando il segretario di Stato per la giustizia e il direttore dell’Fbi, Robert Mueller, rivelarono i nomi dei 19 presunti dirottatori, capimmo tutti che stavano mentendo. Avevamo già di fronte a noi, infatti, le liste divulgate dalle compagnie aeree di tutti i passeggeri imbarcati – liste su cui nessuno dei sospettati era presente. Da lì, siamo diventati sospettosi della “Continuità del Governo”, l’istanza incaricata di subentrare alle autorità elette dovessero queste venire uccise durante uno scontro nucleare. Abbiamo avanzato l’ipotesi che questi attacchi mascherassero un colpo di Stato, in conformità col metodo Luttwak: mantenere l’apparenza dell’esecutivo, ma imponendo una politica diversa. Nei giorni successivi all’11 Settembre, l’amministrazione Bush prese diverse decisioni: la creazione dell’Ufficio di Sicurezza Nazionale e il voto per un voluminoso codice antiterrorismo elaborato molto tempo prima, il Patriot Act. Per questioni che l’amministrazione stessa definisce “terroristiche”, questo testo sospende la Carta dei Diritti, che era il vanto del vostro paese. Sbilancia le vostre istituzioni. Due secoli più tardi, sancisce il trionfo dei grandi proprietari terrieri, che scrissero la Costituzione, e la sconfitta degli eroi della Guerra d’Indipendenza, che chiedevano che venisse aggiunta la Carta dei Diritti.Il segretario alla difesa, Donald Rumsfeld, creò l’Office of Force Transformation, sotto il comando dell’ammiraglio Arthur Cebrowski. Quest’ultimo presentò immediatamente un programma, anch’esso pronto da tempo, che prevedeva il controllo dell’accesso alle risorse naturali dei paesi del sud geopolitico. Chiedeva la distruzione dello Stato e delle strutture sociali nella metà del mondo che non era ancora globalizzata. Il direttore della Cia lanciò contemporaneamente la “Worldwide Attack Matrix”, un pacchetto di operazioni segrete in 85 paesi, dei quali Rumsfeld e Cebrowski intendevano distruggere le strutture statali. Considerando che solo i paesi le cui economie erano globalizzate sarebbero rimasti stabili e che gli altri sarebbero stati distrutti, gli uomini dell’11 Settembre hanno dispiegato le forze armate statunitensi al servizio degli interessi finanziari transnazionali. Hanno tradito il suo paese e l’hanno trasformato nell’ala armata di questi predatori. Negli ultimi 17 anni, abbiamo assistito alle bugie che vengono date ai suoi compatrioti dai successori di coloro che redassero la Costituzione e che al tempo si opposero – senza successo – alla Carta dei Diritti. Questi ricchi sono diventati super-ricchi, mentre la classe media è stata ridotta di un quinto e la povertà è aumentata. Abbiamo anche assistito all’attuazione della strategia Rumsfeld-Cebrowski: quasi tutto il Grande Medio Oriente è stato devastato da “guerre civili”. Intere città sono state cancellate dalla mappa, dall’Afghanistan alla Libia, tramite Arabia Saudita e Turchia, che non erano esse stesse in guerra.Nel 2001, solo due cittadini statunitensi hanno denunciato l’incoerenza della versione di Bush, due promotori immobiliari – il democratico Jimmy Walter, poi costretto all’esilio, e lei stesso, poi entrato in politica ed eletto presidente. Nel 2011, abbiamo visto il comandante di AfriCom sollevato dalla propria posizione e sostituito dalla Nato, per essersi rifiutato di sostenere Al-Qaïda nella liquidazione della Libia. Abbiamo poi visto il LandCom della Nato organizzare il sostegno occidentale ai jihadisti in generale, e ad al-Qaïda in particolare, nel loro tentativo di rovesciare la Siria. I jihadisti, considerati “combattenti della libertà” contro i sovietici, poi come “terroristi” dopo l’11 Settembre, ancora una volta sono quindi diventati alleati del Deep State (cosa che, in realtà, sono sempre stati). Con immensa speranza, abbiamo quindi osservato le sue azioni per sopprimere, uno ad uno, tutti i loro sostenitori. È con la stessa speranza che vediamo oggi che sta parlando con la sua controparte russa per riportare vita nel devastato Medio Oriente. È però anche con analoga ansia che vediamo Robert Mueller, ora procuratore speciale, inseguire la distruzione della sua patria attaccando la sua posizione. Signor presidente, non solo lei ed i suoi connazionali soffrite della diarchia che è salita al potere dal colpo di Stato dell’11/9, ma il mondo intero ne è vittima. Signor presidente, l’11 Settembre non è storia antica. È il trionfo di quegli interessi transnazionali che stanno schiacciando non solo il suo popolo, ma tutta l’umanità che aspira alla libertà.(Thierry Meyssan, “Lettera a aperta a Trump sulle conseguenze dell’11 Settembre”, pubblicata da “Voltaire Net” il 30 agosto 2018 e quindi tradotta da Hmg per “Come Come Chisciotte”).Sapevate che Donald Trump fu l’unico cittadino americano, insieme all’immobiliarista Jimmy Walter, a denunciare immediatamente come falsa la versione ufficiale sull’11 Settembre fornita da Bush? Walter fu costretto all’esilio, mentre Trump è oggi alla Casa Bianca: proprio a lui si rivolge il giornalista francese Thierry Meyssan, acuto analista geopolitico, in un appello nel quale si chiede al presidente Usa di fare il punto, finalmente, sui veri responsabili del devastante attacco terroristico al cuore di Manhattan, e sulle micidiali conseguenze che l’attentato ha avuto, in tutto il mondo. Da allora, ricorda Meyssan, il potere dei neocon ha sistematicamente colpito tutti i paesi non ancora globalizzati, a partire dall’Afghanistan e dall’Iraq, con il pretesto di Al-Qaeda e poi dell’Isis, fino alle laceranti devastazioni inflitte alla Libia e alla Siria. Da Meyssan anche un preciso avvertimento, a Trump: l’uomo che lavora al suo impeachment, Robert Mueller, oggi nei panni di procuratore generale, nel 2001 era il capo dell’Fbi, e in quella veste contribuì a mentire sull’11 Settembre, partecipando al grande insabbiamento sui veri mandanti della strage. Ecco il testo della lettera aperta che Meyssan indirizza all’attuale presidente degli Stati Uniti:
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Fascismo? Ci vuole orecchio, per smontare chi odia Salvini
«Roberto Saviano ha invitato a rompere il silenzio sulla politica e la retorica sostanzialmente fasciste di Matteo Salvini». Lo scrive il giovane storico dell’arte Tomaso Montanari, 46 anni, autore (con Antonello Caporale) del libro “Matteo Salvini, il ministro della paura”, ovvero: “Come il leader della Lega ha conquistato gli italiani”. Per le edizioni del Gruppo Abele, Montanari ha inoltre scritto “Cassandra muta. Intellettuali e potere nell’Italia senza verità”. Parafrasando Enzo Jannacci, su “Micromega” il professore spiega che «ci vuole orecchio, per battere Salvini». Sempre Montanari – proprio a causa dell’alleanza gialloverde con la Lega – ha rifiutato la propoposta avanzatagli da Luigi Di Maio, che lo voleva ministro dei beni culturali. Vincitore nel 2016 del Premio Giorgio Bassani di Italia Nostra, tre anni prima Montanari era stato insignito, da Giorgio Napolitano, dell’onorificenza di commendatore «per il suo impegno a difesa del nostro patrimonio». E sempre nel 2013 – sotto il disastroso governo Letta – era stato membro della commissione per la riforma del Mibac, istituita dal ministro Massimo Bray. Su “Micromega”, a proposito di Salvini, Montanari cita il filosofo Norberto Bobbio: «Non lasciare il monopolio della verità a chi ha già il monopolio della forza». Quale monopolio? Non vede, Montanari, che il governo Conte è assediato a reti unificate da tutti i media mainstream e da tutti i poteri che contano, italiani ed europei?Dal Quirinale a Confindustria, dalla magistratura a Bankitalia, da Macron a Juncker: ha solo nemici, quello che Montanari definisce il “ministro della paura”. Nemici così potenti da riuscire a impedire – in modo rocambolesco, grazie al solito Berlusconi alleatosi col Pd – l’elezione di un giornalista di razza come Marcello Foa alla presidenza della Rai, bloccata (secondo il massone Gianfranco Carpeoro) da una triangolazione telefonica tra il francese Jacques Attali (mentore di Macron), Giorgio Napolitano (membro della stessa superloggia, la “Three Eyes”, secondo Gioele Magaldi) e Antonio Tajani, massone anche lui. Dov’è il monopolio della forza di cui parla Montanari? Abbagli colossali, sia pure da un eminente intellettuale innamorato del patrimonio artistico italiano? «Ho indicato proprio in Saviano – scrive sempre Montanari su “Micromega” – uno dei non molti intellettuali liberi, e disposti a schierarsi». Salviano chi? L’autore di “Gomorra”, condannato a vita a recitare la parte della vittima sotto scorta, per la gioia del suo marketing editoriale? Allude, Montanari, allo stesso Saviano che in Italia spara a man salva sul leader della Lega ma, appena si volge verso il Medio Oriente, si schiera con Israele senza mai una parola sulle brutalità che lo Stato ebraico guidato da Netanyahu infligge ai “negri” della situazione, cioè ipalestinesi?Affacciandosi sul Paese delle Meraviglie, Tomaso Montanari è comunque capace di stupirsi: evidentemente, per lui, il “ministro della paura” non è l’unico imputato. «Come si fa a chiedere agli italiani sommersi e sfruttati – scrive – di stringersi intorno ai valori della Costituzione proprio mentre Sergio Mattarella, massimo garante della Carta e del suo primo articolo, si genuflette di fronte a un Sergio Marchionne?». Già. Ma dov’era, Montanari, quando Mattarella faceva il ministro nel governo D’Alema, l’esecutivo che “regalava” la rete autostradale italiana ai Benetton? Se ne riparla oggi, dopo l’immane tragedia del crollo a Genova del viadotto Morandi, con il governo Conte deciso a imporre ad Autostrade per l’Italia la revoca della concessione. Non vede come stanno realmente le cose, il professor Montanari? «Come possiamo pensare che gli italiani in difficoltà ascoltino i nostri appelli antifascisti se essi sono sostenuti dallo stesso establishment che esalta Marchionne, il quale non ha voluto restituire all’Italia, e a ciò che resta del suo stato sociale, nemmeno i soldi delle tasse sul proprio gigantesco patrimonio?». Le domande di Montanari, che appare sinceramente disorientato, sembrano rivolte all’interlocutore sbagliato. Cosa si aspetta, Montanari, da un potere-ombra così ipocrita e marcio da usare all’occorrenza le bandiere della sinstra per varare, in Italia, il neoliberismo più selvaggio?Equivoci, probabilmente figli della “santa alleanza” contro il falso bersaglio – Berlusconi – che ha permesso ai veri dominus di agire indisturbati per vent’anni, graniticamente supportati (senza chiasso, né olgettine) dal centrosinistra dei Prodi e dei D’Alema, degli Amato e dei Padoa Schioppa. L’impegno civile di Tomaso Montanari è cristallino: nel marzo 2017 è diventato presidente del cartello “Libertà e Giustizia”, succedendo a Nadia Urbinati. Nel giugno 2017, con Anna Falcone, è stato fra i promotori di “Alleanza Popolare per la Democrazia e l’Uguaglianza”, giornalisticamente ribattezzata come “percorso del Brancaccio”, dal nome dell’omonimo teatro romano dove si riunirono le prime 1.500 persone. Obiettivo: creare una lista civica nazionale della sinistra. Progetto poi naufragato a meno di sei mesi dalle elezioni, visto anche lo stato confusionale della sinistra stessa, reduce da due decenni di antiberlusconismo militante spacciato per progressismo. Si tratta della stessa sinistra che preferì sparare sul Cavaliere piuttosto che sul pareggio di bilancio inserito da Monti nella Costituzione con l’appoggio di Bersani, così come oggi – pur con i suoi dubbi – Montanari preferisce colpire Salvini, piuttosto che un establishment che aveva ridotto l’Italia a Cenerentola politica d’Europa, prona a qualsiasi diktat, incluso quello di tenersi i migranti salvati nel Mediterraneo dalla marina tricolore.Montanari è uno di quegli intellettuali italiani che non esitano a utilizzare la parola “fascismo” per connotare l’azione di Salvini, cioè del leader più rappresentativo del primo e unico governo – dopo tanti anni – formatosi a furor di popolo, sotto la spinta squisitamente democratica degli elettori, ansiosi di metter fine a una lunga sequela di “governi dell’orrore”, pronti a precipitare il paese (loro sì) nella paura: la paura di perdere tutto e di sprofondare in un’Italia senza futuro. «Tutto l’establishment che chiama al conflitto contro Salvini – riconosce Montanari – è quello che diceva e dice che non è possibile alcun conflitto sociale: che è invece lo strumento per creare giustizia sociale, ed è stato disinnescato proprio dal Partito Democratico e dai suoi sostenitori». Quando Salvini dice “prima gli italiani”, per il professore «nessuna risposta è credibile se non afferma la necessità di un conflitto invece “tra gli italiani”», ovvero tra i poveri e i ricchi, che notoriamente «non vogliono le stesse cose», per citare lo storico britannico Tony Judt. Quand’anche: perché Montanari spara su Salvini, che non ha alcuna responsabilità nella catastrofe della Seconda Repubblica, evitando di usare il termine “fascismo” per i decisivi collaborazionisti del “nazismo tecnocratico”, ai cui “successi” si deve, oggi, la vasta popolarità del leader della Lega?«Alla sinistra dei politici, professori, giornalisti paghi di appartenere alla ristretta cerchia dei salvati, disinteressati a cambiare il mondo e capaci solo di parlare di “austerità” e “responsabilità” – aggiunge Montanari – è subentrata una destra con una visione terribile e propagandistica, sanguinosa e fasulla». Sempre secondo il professore, «Salvini sa benissimo che non potrà cambiare in meglio la vita degli italiani: ed è per questo che accende la miccia della caccia al nero». C’è un che di vertiginoso, nel ricorrente abuso dei termini: il fascismo si impose in modo strisciante con le violenze delle camicie nere, incoraggiato dall’élite e ignobilmente tollerato dallo Stato liberale, monarchia in primis. Crede davvero, il professor Montanari, che l’ex anarchico ed ex socialista Mussolini abbia potuto marciare su Roma in solitudine, senza l’appoggio dei poteri forti attraverso il network discreto della massoneria? Crede che abbia potuto guidare svariati governi senza il sostegno decisivo del Vaticano, accanto a quello dei latifondisti e della grande industria?E perché mai spendere ancora, impunemente, nel 2018, la parola “fascismo”? Non vede, Montanari, da quale pulpito democratico vengono le lezioncine impartite all’Italia sui diritti umani? Non sa, Montanari, da quale scuola proviene l’illustre burattino francese Macron? Non vede quali onori gli sono stati tributati, in Vaticano, dall’uomo che la dottrina cattolica considera il vicario di Dio in terra? Conosce un altro fascismo, Montanari, che oggi sia più feroce di quello con cui la Germania e la Bce hanno ridotto la Grecia come un paese del terzo mondo? «Bisogna saper vedere, e saper dire, che Salvini è il sintomo terribile, e finale, della malattia che ha devastato questo paese anche “grazie” a ciò che chiamavamo “sinistra”», sostiene Montanari. Ma, anziché attaccare a testa bassa il tumore, lo storico dell’arte si accanisce su quello che considera il sintomo, come se i buoi non fossero già scappati dalla stalla. E questa incredibile miopia, probabilmente, mette fuori gioco molta parte dell’intellettualità italiana: se Salvini sarà sempre di più il nuovo leader del paese, con i suoi toni spesso così indigesti, lo si dovrà anche e soprattutto a chi vede l’autoritarismo dove non c’è, senza averlo visto – in tempo utile – là dove c’era, e dove sta tuttora, esercitando il suo immenso potere, ogni giorno, contro l’Italia e l’avvenire degli italiani.«Roberto Saviano ha invitato a rompere il silenzio sulla politica e la retorica sostanzialmente fasciste di Matteo Salvini». Lo scrive il giovane storico dell’arte Tomaso Montanari, 46 anni, autore (con Antonello Caporale) del libro “Matteo Salvini, il ministro della paura”, ovvero: “Come il leader della Lega ha conquistato gli italiani”. Per le edizioni del Gruppo Abele, Montanari ha inoltre scritto “Cassandra muta. Intellettuali e potere nell’Italia senza verità”. Parafrasando Enzo Jannacci, su “Micromega” il professore spiega che «ci vuole orecchio, per battere Salvini». Sempre Montanari – proprio a causa dell’alleanza gialloverde con la Lega – ha rifiutato la propoposta avanzatagli da Luigi Di Maio, che lo voleva ministro dei beni culturali. Vincitore nel 2016 del Premio Giorgio Bassani di Italia Nostra, tre anni prima Montanari era stato insignito, da Giorgio Napolitano, dell’onorificenza di commendatore «per il suo impegno a difesa del nostro patrimonio». E sempre nel 2013 – sotto il disastroso governo Letta – era stato membro della commissione per la riforma del Mibac, istituita dal ministro Massimo Bray. Su “Micromega”, a proposito di Salvini, Montanari cita il filosofo Norberto Bobbio: «Non lasciare il monopolio della verità a chi ha già il monopolio della forza». Quale monopolio? Non vede, Montanari, che il governo Conte è assediato a reti unificate da tutti i media mainstream e da tutti i poteri che contano, italiani ed europei?
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I NoTav accusano i 5 Stelle: solo ciance, sulla Torino-Lione
«Non ci sono governi amici dei No Tav». Alberto Perino, voce storica del movimento che si oppone alla linea Torino-Lione, lo ripete da anni. A febbraio, però, quando i candidati del M5S furono presentati in val di Susa, aveva dato loro una chance: «L’unica forza politica che in questo momento può fare la differenza – aveva detto – è il Movimento 5 Stelle». Sono passati sei mesi, scrive Carlotta Rocci su “Repubblica”, e la rottura sembra definitiva. «I Sì Tav e Telt fanno i fatti, vanno avanti e lanciano gli appalti. I Cinque Stelle continuano a fare sterili proclami invece di fare atti amministrativi», si legge in un documento di fuoco che Perino ha fatto circolare negli ambienti NoTav. «E pensare che di cartucce da sparare ne avrebbero tantissime per bloccare gli ingranaggi della grande opera. Basta volerlo fare. Ma per non disturbare il manovratore (Telt e Lega) queste cose non non vengono fatte da chi è stato mandato a Roma per bloccare la Tav». Il commento arriva a poche ore dalle dichiarazioni del ministro delle infrastrutture Danilo Toninelli, che aveva commentato senza scomprsi il via libera del Cipe alle modifiche della delibera 30 sulla Torino-Lione di aprile. «Il testo è stato messo a punto dal governo precedente, nonostante la batosta elettorale appena presa che lo obbligava ad agire solo per gli affari correnti», aveva protestato Toninelli, senza però alzare la voce.«Ma state tranquilli», aveva aggiunto il ministro: «Non è nulla che possa influire in modo decisivo sull’analisi costi-benefici che finalmente stiamo conducendo in maniera seria e obiettiva». Ancora Toninelli: «Teniamo gli occhi aperti sul cantiere e, come detto, considereremo quale atto ostile ogni decisione che faccia avanzare la Tav senza una scelta politica del governo». Ed è su questo punto, scrive “Repubblica”, che si consuma la rottura. «I nostri tecnici hanno suggerito molti modi per fermare l’opera, ma loro niente», aggiunge Perino, sempre riferendosi ai 5 Stelle: «Attendono i risultati dell’analisi costi-benefici. Poi, quando questa sarà conclusa vedranno cosa fare, se saranno ancora al governo e se esisteranno ancora. In che mani ci siamo messi…». Tra l’incudine e il martello, ovvero tra il movimento NoTav e i ministri pentastellati al governo, sostiene Carlotta Rocci, ci sono gli esponenti del M5S valsusini come Francesca Frediani: «Siamo la prima forza politica del paese, finalmente al governo, ma l’opposizione al Tav resta la nostra bandiera», scrive la consigliera regionale. «La val Susa ha dimostrato di avere fiducia in noi e la responsabilità di questa fiducia è grande, soprattutto per i portavoce legati a questo territorio. Dal nostro ministro ci si aspetta un gesto formale, forte e deciso».«Questa rottura avrà ricadute non di poco conto, non solo in val Susa ma a livello nazionale», secondo Enzo Locatelli, segretario provinciale di Rifondazione Comunista (mini-partito che, quand’era guidato da Paolo Ferrero, si era schierato insieme a Beppe Grillo contro la Torino-Lione). Insieme a Nicoletta Dosio, segretaria valsusina di Rifondazione candidatasi con “Potere al Popolo”, Locatelli era stato criticato, a febbraio, da chi nel movimento NoTav aveva lanciato un appello al “voto utile”, evidentemente concentrato sui 5 Stelle. «Questa volta – osserva Locatelli – le critiche non provengono solo da Rifondazione Comunista o dalle variegate anime antagoniste del movimento No Tav, ma da chi fino a ieri era un accanito sostenitore di Grillo». E l’esponente di Rifondazione profetizza «un autunno caldo, in val di Susa», dove intanto nessuno ha ancora mai spiegato – dopo vent’anni di contestazioni – in cosa mai consisterebbe il vantaggio strategico della Torino-Lione e il suo significato economico. A oggi, numeri alla mano, se ne conosce solo il devastante impatto ambientale, urbanistico, idrogeologico e naturalmente finanziario, senza contare i rischi per salute in un territorio pieno di rocce amiantifere che sarebbe sconvolto, per decenni, da maxi-cantieri. Per cosa?«Non ci sono governi amici dei No Tav». Alberto Perino, voce storica del movimento che si oppone alla linea Torino-Lione, lo ripete da anni. A febbraio, però, quando i candidati del M5S furono presentati in val di Susa, aveva dato loro una chance: «L’unica forza politica che in questo momento può fare la differenza – aveva detto – è il Movimento 5 Stelle». Sono passati sei mesi, scrive Carlotta Rocci su “Repubblica”, e la rottura sembra definitiva. «I Sì Tav e Telt fanno i fatti, vanno avanti e lanciano gli appalti. I Cinque Stelle continuano a fare sterili proclami invece di fare atti amministrativi», si legge in un documento di fuoco che Perino ha fatto circolare negli ambienti NoTav. «E pensare che di cartucce da sparare ne avrebbero tantissime per bloccare gli ingranaggi della grande opera. Basta volerlo fare. Ma per non disturbare il manovratore (Telt e Lega) queste cose non non vengono fatte da chi è stato mandato a Roma per bloccare la Tav». Il commento arriva a poche ore dalle dichiarazioni del ministro delle infrastrutture Danilo Toninelli, che aveva commentato senza scomprsi il via libera del Cipe alle modifiche della delibera 30 sulla Torino-Lione di aprile. «Il testo è stato messo a punto dal governo precedente, nonostante la batosta elettorale appena presa che lo obbligava ad agire solo per gli affari correnti», aveva protestato Toninelli, senza però alzare la voce.
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Patrizia Scanu: smettiamo di avere paura, l’Italia risorgerà
Qualunque cambiamento a livello politico e sociale passa attraverso un cambiamento di livello della coscienza, perché la realtà che viviamo rispecchia i nostri pensieri e le nostre aspettative. Ne sono profondamente convinta. Nessuno schiavo è più impotente di chi si sente schiavo nell’animo. E anche se Marx non sarebbe d’accordo, perfino i sistemi economici rispecchiano uno stato globale della coscienza. Al Movimento Roosevelt sono arrivata attraverso il tema della scuola, partecipando con una relazione al convegno “Le forme della democrazia”. Ma la spinta mi è venuta dalla lettura del libro di Gioele Magaldi “Massoni: società a responsabilità illimitata”. Fu una vera rivelazione. Pur avendo studiato storia, solo leggendo quel libro vidi molti tasselli andare a posto e cominciai a capire che cosa fosse successo davvero nel mondo negli ultimi decenni. Perché ho deciso di candidarmi alla segreteria generale del Movimento Roosevelt? Mi hanno convinta l’entusiasmo che mi hanno mostrato gli amici rooseveltiani e la constatazione che il momento storico che viviamo richiede il massimo sforzo da parte di tutte le persone non soddisfatte del clima pesante e post-democratico che ci opprime. Se non si impegna chi ha maturato qualche consapevolezza, chi lo deve fare?Generare disgusto e disaffezione verso la politica per indebolire la democrazia era uno degli obiettivi del gruppo oligarchico che nel 1975 produsse “The crisis of democracy”, scritto da Michel Crozier, Samuel P. Huntington, e Joji Watanuki per la Trilateral Commission e che potremmo definire come il manuale per la transizione dalla democrazia all’oligarchia tecnocratica. Bisogna assolutamente invertire la rotta. Però l’aria sta cambiando: sta finendo un mondo, anche se le transizioni non sono mai indolori. Occorrerà il contributo di tutti, ed io ho deciso di non tirarmi indietro, proprio in quanto donna. C’è bisogno di un riequilibrio fra maschile e femminile. Il Movimento Roosevelt è un metapartito, ovvero un soggetto politico del tutto originale, nel quale si confrontano e dialogano laicamente persone di ogni credo religioso e politico, accomunate dalla convinzione che le etichette di destra, sinistra e centro siano ormai sorpassate dagli eventi. Quello che conta è la comune visione progressista della società, fondata sulla democrazia sostanziale, sulla Costituzione del ’48, deturpata da successive e indebite cessioni di sovranità a danno del popolo, sui diritti civili e sociali, sulla partecipazione popolare e sulla valorizzazione delle ricchezze culturali, ambientali, produttive di questo meraviglioso paese.La linea di demarcazione passa ormai fra chi difende la democrazia e i diritti e chi ci ha imposto questo modello economico predatorio neoliberista, di stampo feudale, che drena continuamente ricchezza dai poveri ai ricchi. Perciò mi sono impegnata a favorire il dialogo, a cui ci hanno disabituati la prevaricazione cialtrona e l’insulto sguaiato di vent’anni di mala politica; a sviluppare nel movimento la formazione degli iscritti; a diffondere, in forma divulgativa, la conoscenza sulla realtà economica e politica, camuffata quotidianamente dai media asserviti; a riorganizzare il movimento e a radicarlo a livello territoriale; a dialogare con altri soggetti politici orientati allo stesso fine di superare questa fase storica e di istituire una Terza Repubblica, si spera migliore della seconda, caratterizzata dal tradimento eversivo della casta. Benché il Movimento Roosevelt sia un laboratorio di idee politiche e di iniziative sociali, contribuirà, con le sue proposte e con alcuni iscritti, a costituire con altri soggetti un partito nuovo, di cui ora si sente il bisogno.Come si può vincere il “piano nero” del neoliberismo che toglie diritti, serenità, benessere e futuro ai tanti a favore di pochi? Il primo passo è la conoscenza. La gente è stata narcotizzata da decenni di informazione di regime, pilotata per nascondere quello che conta e per mostrare quello che fa comodo a chi tiene in mano il potere reale. Le battaglie più importanti si giocano sull’informazione e sulla scuola. Non è un caso che proprio su questi due ambiti si siano accaniti i poteri sovranazionali e oligarchici che hanno pianificato l’asservimento dell’Italia. Il fatto che in Europa si continui a presentare le cosiddette “fake news” come una priorità politica, dopo decenni di mostruose menzogne raccontate dai vertici istituzionali nazionali ed europei, la dice lunga sul nervosismo di chi teme un’informazione libera e critica. La scuola è stata impoverita, snaturata e ridotta a centro di formazione per il mondo del lavoro, priva ormai quasi del tutto del potere emancipante che il sapere dovrebbe avere in base alla Costituzione. Quindi la cancellazione della Buona Scuola e delle riforme neoliberiste diventa una priorità assoluta. Ma poi bisogna rendersi conto che il potere esercitato abusivamente su di noi per tanto tempo si regge sulla paura. Bisogna smettere di avere paura, per non farsi manipolare ogni giorno.Dobbiamo renderci conto, ciascuno di noi e tutti insieme, che chi ci ha ridotti così ha potere solo perché noi glielo abbiamo permesso. Dobbiamo smettere di credere alle bugie depressive che ci hanno raccontato. Non siamo condannati alla precarietà, alla povertà, alla svendita dei nostri beni più preziosi, alla corruzione, alle mafie, alla crisi perpetua. L’Italia è una terra benedetta dalla natura, dal clima e dalla storia. Arrivò ad essere nel 1991 la quarta potenza industriale del mondo e poteva diventare la seconda economia europea. E’ stata svenduta per ragioni inconfessabili da una classe politica ed economica che meriterebbe un processo per alto tradimento per la sofferenza e il dolore che ha prodotto consapevolmente e intenzionalmente, come spiega con cognizione di causa Gioele Magaldi nel suo libro “Massoni”. Non c’è nulla di cui avere paura. Ci serve invece alimentare la speranza e riprenderci ciò che ci è stato rubato. Ma questa è responsabilità di ciascuno di noi, per quello che può fare. Nel Movimento Roosevelt vorrei un concentrato di persone piene di idee e di voglia di futuro – e tanti, tanti giovani. Questo è un appello rivolto a tutti, ma proprio tutti i cittadini italiani che vogliono sentirsi orgogliosi del loro paese. Più numerosi saremo, più sarà realizzabile il progetto di riprendersi la democrazia.(Patrizia Scanu, dichiarazioni rilasciate a Enzo Di Frenna per l’intervista “La rivoluzione politica e pedagogica di Patrizia Scanu con il Movimento Roosevelt”, pubblicata sul blog dello stesso Di Frenna il 9 luglio 2018. Eletta segretaria generale del movimento presieduto da Gioele Magaldi, Patrizia Scanu è insegnante, psicologa e ricercatrice nei territori di confine fra le discipline, tra scienza e spiritualità. Laureata in filosofia, lettere classiche e psicologia clinica, ha insegnato filosofia e storia, lettere, latino, greco, pedagogia; ora insegna scienze umane, ovvero psicologia, sociologia, antropologia culturale, etologia, statistica e metodologia della ricerca. Esperta in Fiori di Bach e consulente del Bach Centre di Wallingford, Regno Unito, ha inoltre conseguito un diploma in Gestalt Counselling. Dichiara: «Ci vuole una grande presunzione per poter insegnare, ma è così che si comincia ad imparare; quando sei costretto a farti capire, devi sforzarti prima di capire tu: così scopri quanto sia immensa la tua ignoranza». E aggiunge: «Per me, che in fondo mi sento un po’ guerriera, insegnare è combattere una strenua battaglia contro l’ignoranza: la mia, intanto, e poi quella dei miei giovani pupilli. La conoscenza, per me, è il bene e il potere più grande. Come diceva Socrate, nella testimonianza di Platone, una vita senza farsi domande non è degna di essere vissuta»).Qualunque cambiamento a livello politico e sociale passa attraverso un cambiamento di livello della coscienza, perché la realtà che viviamo rispecchia i nostri pensieri e le nostre aspettative. Ne sono profondamente convinta. Nessuno schiavo è più impotente di chi si sente schiavo nell’animo. E anche se Marx non sarebbe d’accordo, perfino i sistemi economici rispecchiano uno stato globale della coscienza. Al Movimento Roosevelt sono arrivata attraverso il tema della scuola, partecipando con una relazione al convegno “Le forme della democrazia”. Ma la spinta mi è venuta dalla lettura del libro di Gioele Magaldi “Massoni: società a responsabilità illimitata”. Fu una vera rivelazione. Pur avendo studiato storia, solo leggendo quel libro vidi molti tasselli andare a posto e cominciai a capire che cosa fosse successo davvero nel mondo negli ultimi decenni. Perché ho deciso di candidarmi alla segreteria generale del Movimento Roosevelt? Mi hanno convinta l’entusiasmo che mi hanno mostrato gli amici rooseveltiani e la constatazione che il momento storico che viviamo richiede il massimo sforzo da parte di tutte le persone non soddisfatte del clima pesante e post-democratico che ci opprime. Se non si impegna chi ha maturato qualche consapevolezza, chi lo deve fare?
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Belano contro Salvini e tacciono sul martirio degli italiani
La parola “intellettuale” deriva dal latino intus-legere, e in quanto tale dovrebbe essere riferita ad un individuo in grado di “leggere dentro” e di non accontentarsi della sola parte emersa di una informazione. L’intellettuale, stando al senso etimologico, dovrebbe essere dunque l’opposto del superficiale – colui che approfondisce, appunto. Invece, gli intellettuali con cui abbiamo a che fare sui media tradizionali e sui social, in linea di massima tendono ad aggregarsi come una classe sociale qualunque. Esistono dunque gli operai, i lavoratori autonomi, gli imprenditori, i colletti bianchi e… gli intellettuali. Sono divenuti una professione, e come tale autoreferenziali e inclini a salvaguardare i propri interessi di casta. Manca solo che ne venga istituito l’ordine professionale e il quadro si completa. Ecco allora che gli intellettuali di oggi si smarcano completamente dalla funzione tradizionalmente loro attribuita di dotti perennemente curiosi che esercitano il dubbio, per abbracciare l’appartenenza ad una élite culturale. Caso emblematico, quello della rivista “Rolling Stone” che ha appena lanciato un manifesto contro il ministro dell’interno Salvini, in cui compaiono le adesioni di oltre 50 artisti e personaggi del mondo dello spettacolo.Il messaggio, prontamente copiaincollato sui social da tutti i “Napalm51” del web, ha come sfondo una copertina arcobaleno con scritto: “Noi non stiamo con Salvini. Da adesso chi tace è complice”. E’ del tutto evidente che il politico di punta oggi in Italia, il leader della Lega, possa portarci alla rovina e che le sue politiche possano legittimamente essere considerate sbagliate. Quello che però dovrebbe destare non poca preoccupazione è il format che sta dietro (e davanti) alla protesta: un format visto mille volte e che, francamente, ha stufato anche i santi. La bandiera arcobaleno ancora una volta diventa un brand per tutte le stagioni e rinuncia a selezionare davvero opinioni e analisi: ci mettiamo dentro i pacifisti (bandiere esposte sui balconi ai tempi della guerra in Iraq), ci mettiamo dentro partiti politici (la sinistra radicale o pseudotale), ci mettiamo dentro anche i gay. Ora, a questo varipinto calderone si aggiunge anche l’individuazione dell’uomo nero, un nemico, che, come tutta la storia della propaganda insegna, è il modo migliore per raggiungere obiettivi identitari. Per dirla senza tanti giri i parole: con questa operazione, rivolta contro un singolo uomo, si prova a riunificare la sinistra, ma identificandola con la categoria degli intellettuali. Non con i lavoratori, non con gli operai, non con la classe media, non con gli impiegati, ma con i maître à penser.Quante volte abbiamo visto in moto questo meccanismo? Come fenomeno sarebbe anche divertente da analizzare, visto che le prime aggregazioni degli intellettuali italiani sotto l’ombrellone multicolore arcobaleno proponevano temi alquanto “salviniani”. Li ricordate i no-global di inizio millenio? Per non parlare delle battaglie degli artisti come Jovanotti contro il debito pubblico dei paesi in via di sviluppo. “Cancella il debito”, urlava il Jova a squarciagola dal palco, per poi scordarsi sbadatamente di tutto quanto predicato fino ad ora contro il debito, quando a soffrire dell’inganno finanziario sul debito sono i suoi connazionali. La serie degli appelli ai “valori” è così diventata sempre più lunga. Si tratta però di riferimenti – come i diritti umani o i diritti civili – che non potrebbero nemmeno essere concettualmente compresi se per paradosso non esistesse, a renderli credibili, ciò che essi stessi aspramente criticano, e cioè gli Stati ed i confini. Il vero guaio non sta nel legittimo e sacrosanto dissenso, ma nel fatto che, così formulati, portano l’intellettuale alla definitiva abdicazione al suo ruolo.In un’indimenticabile intervista, il filosofo torinese Costanzo Preve riassumeva il problema degli intellettuali superficiali con questo duro giudizio: «Mentre ai tempi di Hegel e Schopenhauer, ma anche ai tempi di Adorno, gli intellettuali erano generalmente più intelligenti delle persone comuni, oggi ci troviamo in una situazione nuova: gli intellettuali sono nella stragrande maggioranza più stupidi delle persone comuni. E’ una novità degli ultimi 50 anni e lo vediamo quando vengono interpellati nei talk show televisivi, perchè dicono una quantità di stupidaggini molto maggiore di quelle che si sentono pronunciare dai tassisti, dai baristi o dalle casalinghe al mercato. Adorno, Marcuse e Sartre, ad esempio, si possono contestare, io ad esempio non sono d’accordo con loro – concludeva Preve – ma senza dubbio dicevano cose intelligenti, che fanno riflettere. Oggi questo non accade più e dobbiamo aspettarci solo scemenze». La constatazione di Preve, che risale al 2011, è oggi più attuale che mai. Resta da chiedersi: perchè accade ciò? Secondo Preve questa situazione è da ascrivere alla sudditanza di filosofia, letteratura, arte, ecc. all’economia, la scienza triste che si è presa tutti gli spazi del sapere. A questo dato di fatto, aggiungerei però anche la modalità di selezione della classe dirigente, in Italia determinata da circoli ristretti e salotti, impenetrabili a tutti coloro i quali non si lasciano omologare. Nell’ultimo demenziale appello ad una civiltà nemmeno pensabile senza lo Stato di diritto e la sovranità questi circoli chiusi sono tornati a belare.(Massimo Bordin, “Gli intellettuali di oggi sono stupidi”, dal blog “Micidial” del 6 luglio 2018).La parola “intellettuale” deriva dal latino intus-legere, e in quanto tale dovrebbe essere riferita ad un individuo in grado di “leggere dentro” e di non accontentarsi della sola parte emersa di una informazione. L’intellettuale, stando al senso etimologico, dovrebbe essere dunque l’opposto del superficiale – colui che approfondisce, appunto. Invece, gli intellettuali con cui abbiamo a che fare sui media tradizionali e sui social, in linea di massima tendono ad aggregarsi come una classe sociale qualunque. Esistono dunque gli operai, i lavoratori autonomi, gli imprenditori, i colletti bianchi e… gli intellettuali. Sono divenuti una professione, e come tale autoreferenziali e inclini a salvaguardare i propri interessi di casta. Manca solo che ne venga istituito l’ordine professionale e il quadro si completa. Ecco allora che gli intellettuali di oggi si smarcano completamente dalla funzione tradizionalmente loro attribuita di dotti perennemente curiosi che esercitano il dubbio, per abbracciare l’appartenenza ad una élite culturale. Caso emblematico, quello della rivista “Rolling Stone” che ha appena lanciato un manifesto contro il ministro dell’interno Salvini, in cui compaiono le adesioni di oltre 50 artisti e personaggi del mondo dello spettacolo.
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Oscurare il web: una firma contro l’ultima vergogna dell’Ue
Ci stanno provando in tutti i modi da tempo, negli Stati Uniti e, soprattutto, in Europa. Chi segue questo blog sa come la penso: da quando l’establishment ha perso il controllo della Rete e soprattutto dei social media, veicolando idee non mainstream e favorendo l’affermazione di movimenti alternativi, quelli che vengono sprezzamentemente definiti “populisti”, ogni pretesto è buono per favorire misure per limitare la libertà di pensiero. Ci hanno provato usando l’ariete delle “fake news” e il tentativo è ancora in corso, in queste ore stanno usando un altro grimaldello, il copyright. Come ha denunciato, in perfetta solitudine, Claudio Messora su “ByoBlu”, la Commissione Affari Legali del Parlamento Europeo, su proposta dell’immancabile commisario tedesco Oettinger, ha dato il primo via libera alla legge sul copyright, che di fatto, se verrà approvata anche in Aula, permetterà di introdurre misure censorie. L’articolo 11, instaura la cosiddetta “tassa sui link”. Non stiamo parlando, a scanso di equivoci di film o di canzoni o di interi libri, ma stiamo parlando del testo che, citato testualmente si riferisce, “anche ai più piccoli frammenti di articoli contenenti notizie”, che “devono avere una licenza”. Avete presente quel piccolo testo di anteprima che appare a fianco o sotto a un link, in mancanza del quale nessuno sano di mente si sogna di cliccare? Ecco, anche quello dovrebbe disporre di un’adeguata licenza!Spiega Messora, che così continua: «Secondo l’articolo 13 “le piattaforme online sono responsabili per le violazioni del copyright dei loro utenti” e “devono in ogni caso implementare filtri preventivi sugli upload”. Significa che gli algoritmi rigetteranno a priori qualunque contenuto che “potrebbe” violare il copyright, prima ancora che appaia online. Ma gli algoritmi non sono immuni ai falsi positivi e non possono certamente distinguere gli usi ammissibili, come le parodie, i meme, il diritto di critica… Non c’è nessuna concessione al concetto stesso di “Fair Use”. Ecco, ad esempio sarà impossibile pubblicare la foto di chicchessia con una scritta sotto, appunto i meme, a meno che quella foto non l’abbiate scattata voi stessi, e anche così sarete comunque giudicati “colpevoli” a meno che non vi dimostriate “innocenti” e non conduciate lunghe battaglie per riportare online i vostri contenuti». Il messaggio è chiaro: se questa legge passerà, la diffusione di contenuti politici potrà avvenire solo senza il supporto di immagini, perché è evidente che il singolo cittadino mai potrà procurarsi le foto di un primo ministro o della guerra in Siria. E anche la citazione di brani di articoli potrebbe portare alla soppressione della vostra pagina Facebook o del vostro account Twitter.Insomma, se questa legge dovesse entrare in vigore, i blog e le pagine politiche sui social media con foto “non autorizzate” potebbero essere cancellate d’ufficio, privando la Rete di uno strumento di supporto ormai indispensabile. Quale attrattiva potrebbero avere avere pagine di solo testo? Volete davvero che la Rete venga ridotta a un’immensa bacheca di foto di gattini (solo i vostri, perché gli altri violerebbero il copyright)? Claudio Messora ha lanciato una petizione contro questo provvedimento, che sarà votato in aula a Bruxelles il 4 luglio. Lo scopo è di suscitare una sollevazione della Rete e siccome le grandi testate stanno, ovviamente, ignorando la notizia, l’unica possibilità è di innescare un passaparola che induca decine di migliaia di cittadini a firmare questa petizione. Io ho firmato. E tu? Mancano pochi giorni, non perdere tempo!(Marcello Foa, “L’ultima della Ue: il web senza immagini (e senza idee). Si chiama censura. Io non ci sto. E tu?”, dal blog di Foa sul “Giornale” del 24 giugno 2018).Ci stanno provando in tutti i modi da tempo, negli Stati Uniti e, soprattutto, in Europa. Chi segue questo blog sa come la penso: da quando l’establishment ha perso il controllo della Rete e soprattutto dei social media, veicolando idee non mainstream e favorendo l’affermazione di movimenti alternativi, quelli che vengono sprezzamentemente definiti “populisti”, ogni pretesto è buono per favorire misure per limitare la libertà di pensiero. Ci hanno provato usando l’ariete delle “fake news” e il tentativo è ancora in corso, in queste ore stanno usando un altro grimaldello, il copyright. Come ha denunciato, in perfetta solitudine, Claudio Messora su “ByoBlu”, la Commissione Affari Legali del Parlamento Europeo, su proposta dell’immancabile commisario tedesco Oettinger, ha dato il primo via libera alla legge sul copyright, che di fatto, se verrà approvata anche in Aula, permetterà di introdurre misure censorie. L’articolo 11, instaura la cosiddetta “tassa sui link”. Non stiamo parlando, a scanso di equivoci di film o di canzoni o di interi libri, ma stiamo parlando del testo che, citato testualmente si riferisce, “anche ai più piccoli frammenti di articoli contenenti notizie”, che “devono avere una licenza”. Avete presente quel piccolo testo di anteprima che appare a fianco o sotto a un link, in mancanza del quale nessuno sano di mente si sogna di cliccare? Ecco, anche quello dovrebbe disporre di un’adeguata licenza!
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Moro, storia da riscrivere: prigioniero in una casa dello Ior
Tutto quello che abbiamo saputo fin qui (e sono passati quarant’anni anni) del rapimento e dell’uccisione di Aldo Moro, è da riscrivere. Anzi, in gran parte è stato già riscritto dalla commissione parlamentare d’inchiesta presieduta da Giuseppe Fioroni. La terza e ultima relazione, scrive Maria Antonietta Calabrò sull’“Huffington Post”, spiega come e perché Moro non è stato ucciso sul pianale della Renault 4 rossa parcheggiata nel garage di via Montalcini 8. In base alle nuove perizie espletate dal Ris dei carabinieri, quell’auto non avrebbe potuto neppure avere il cofano aperto, tanto ristretto era il box dove secondo la versione dei brigatisti sarebbe stata eseguita la condanna a morte dello statista. Il documento spiega che il presidente della Dc avrebbe avuto la possibilità di rimanere in vita: la segnalazione di un possibile attentato, giunta a Roma un mese prima del sequestro dalle fonti palestinesi del colonnello del Sismi Stefano Giovannone, vicinissimo a Moro, era assolutamente attendibile. A evitare la tragedia sarebbe bastata una macchina blindata e una scorta. La commissione Fioroni rivela inoltre che il prigioniero Moro, prima di essere ucciso, ebbe la possibilità di ricevere la visita di un prete e di confessarsi. Il che «dimostra che in un modo o nell’altro uomini del mondo vaticano sono stati centrali nella vicenda».L’ombra del Vaticano spunta «a cominciare dall’individuazione, nella zona della Balduina, in via Massimi 91, di una palazzina di proprietà Ior, la cosiddetta banca vaticana, (posseduta attraverso la società Prato Verde srl, e gestita da Luigi Mennini), abitata (o frequentata) da cardinali (Vagnozzi e Ottaviani), da prelati e dallo stesso presidente dello Ior, Paul Marcinkus», scrive Maria Antonietta Calabrò. Nello stabile aveva sede una società americana che lavorava per la Nato, e vivevano in affitto esponenti tedeschi dell’Autonomia, finanzieri libici e due persone contigue alle Brigate Rosse. «Complesso edilizio che, anche alla luce della posizione, potrebbe essere stato utilizzato – si legge nel documento – per spostare Aldo Moro dalle auto utilizzate in via Fani a quelle con cui fu successivamente trasferito, oppure potrebbe aver addirittura svolto la funzione di prigione dello statista». La relazione, grazie a nuovi testimoni, dimostra addirittura che per alcuni mesi, nell’autunno del 1978, in quello stabile si sarebbe nascosto Prospero Gallinari (il britagatista carceriere di Moro) insieme alle armi usate dal commando che in via Fani sterminò la scorta di Moro. L’alloggio di via Massimi 91 è stato anche il covo-prigione in cui fu detenuto il presidente della Dc? E’ un’ipotesi che la commissione non scarta.Soprattutto, sottolinea l’“Huffington”, grazie alla declassificazione di una grande quantità di atti dei servizi segreti e delle forze dell’ordine, «la commissione ha accertato che la “narrativa” ufficiale sul sequestro e la morte di Moro, contenuta nel cosiddetto memoriale Morucci-Faranda, altro non è che una “versione ufficiale e di Stato” del caso Moro, preparata a tavolino molti anni prima che essa approdasse sul tavolo di Francesco Cossiga». In altre parole, «l’unica verità “dicibile” per chiudere l’epoca del terrorismo». Una verità di comodo, «messa a punto da magistrati (Imposimato, Priore: citati con nome e cognome), esponenti delle forze dell’ordine e naturalmente dai brigatisti». Valerio Morucci divenne addirittura consulente del Sisde, il servizio segreto interno di allora. La stessa vicenda del suo arresto e di quello di Adriana Faranda in casa di Giuliana Conforto (figlia «del più importante agente del Kgb in Italia», come l’ha definito il professor Christopher Andrew nel suo libro “L’Archivio Mitrokhin”), per la commissione «è stata oggetto di una completa rilettura, che ha consentito di mettere finalmente alcuni punti fermi sulla scoperta del rifugio di viale Giulio Cesare 47, ma anche di evidenziare uno scenario più complesso, che chiama in causa la possibilità che l’arresto di Morucci e Faranda sia stato negoziato».Alla luce delle indagini compiute, comunque, scrive Fioroni, «il rapimento e l’omicidio di Aldo Moro non appaiono affatto come una pagina puramente interna dell’eversione di sinistra, ma acquisiscono una rilevante dimensione internazionale». Ancora: «Al di là dell’accertamento materiale dei nomi e dei ruoli dei brigatisti impegnati nell’azione di fuoco di via Fani e poi nel sequestro e nell’omicidio di Moro, emerge infatti un più vasto tessuto di forze che, a seconda dei casi, operarono per una conclusione felice o tragica del sequestro, talora interagendo direttamente con i brigatisti, più spesso condizionando la dinamica degli eventi, anche grazie alla presenza di molteplici aree grigie, permeabili alle influenze più diverse». Al riguardo, Fioroni parla di «martirio laico» di Moro, sacrificato sull’altare della guerra fredda: gli americani preoccupati dall’apertura al Pci, che avrebbe avvicinato l’Italia alla Jugoslavia di Tito, e i sovietici allarmati dall’eurocomunismo di Berlinguer, polemico con Mosca e virtualmente contagioso per gli altri partiti comunisti europei, a partire da quello francese.Un capitolo particolare, aggiunge Maria Antonietta Calabrò, è dedicato alle “protezioni” che hanno messo al sicuro la latitanza di uno dei brigatisti presenti in via Fani, Alessio Casimirri. «La primula rossa delle Br, tuttora latitante, prima di giungere in Nicaragua, riuscì più volte, in maniera rocambolesca, a sfuggire alla cattura. Per l’ex brigatista, di cui anche nei mesi scorsi è stata sollecitata l’estradizione, ci fu però un momento in cui mancò veramente un nulla ad ammanettarlo. A riconoscerlo, proprio nei dintorni di San Pietro, fu il padre di Jovanotti, al secolo Lorenzo Cherubini, uno dei più noti cantautori italiani». Mario Cherubini, che era un gendarme vaticano, riconobbe Casimirri, già latitante, per strada, «Corse a denunciarlo, ma non si riuscì a fermarlo», racconta Vero Grassi, vicepresidente della commissione Fioroni. Il cantante toscano ha raccontato a “Vanity Fair” di quando la famiglia Casimirri, a metà degli anni ‘70, invitava i Cherubini nella casa di campagna a Monterotondo, dove Alessio (provetto sub) gli mostrava i suoi trofei di pesca. Il padre di Casimirri, Luciano, è a sua volta un personaggio leggendario: sopravvissuto allo sterminio nazista della Divisione Acqui a Cefalonia dopo l’8 settembre del ‘43 (come il protagonista del film “Il mandolino del capitano Corelli”, con Nichoals Cage e Penelope Cruz), era poi stato responsabile della sala stampa vaticana sotto tre Papi: Pio XII, Giovanni XXIII e Paolo VI, quello che rivolse lo storico appello agli “uomini delle Brigate Rosse” per la liberazione di Moro – sequestrato e trattenuto, si apprende ora, in un palazzo di proprietà del Vaticano.Tutto quello che abbiamo saputo fin qui (e sono passati quarant’anni) del rapimento e dell’uccisione di Aldo Moro, è da riscrivere. Anzi, in gran parte è stato già riscritto dalla commissione parlamentare d’inchiesta presieduta da Giuseppe Fioroni. La terza e ultima relazione, scrive Maria Antonietta Calabrò sull’“Huffington Post”, spiega come e perché Moro non è stato ucciso sul pianale della Renault 4 rossa parcheggiata nel garage di via Montalcini 8. In base alle nuove perizie espletate dal Ris dei carabinieri, quell’auto non avrebbe potuto neppure avere il cofano aperto, tanto ristretto era il box dove secondo la versione dei brigatisti sarebbe stata eseguita la condanna a morte dello statista. Il documento spiega che il presidente della Dc avrebbe avuto la possibilità di rimanere in vita: la segnalazione di un possibile attentato, giunta a Roma un mese prima del sequestro dalle fonti palestinesi del colonnello del Sismi Stefano Giovannone, vicinissimo a Moro, era assolutamente attendibile. A evitare la tragedia sarebbe bastata una macchina blindata e una scorta. La commissione Fioroni rivela inoltre che il prigioniero Moro, prima di essere ucciso, ebbe la possibilità di ricevere la visita di un prete e di confessarsi. Il che «dimostra che in un modo o nell’altro uomini del mondo vaticano sono stati centrali nella vicenda».