Archivio del Tag ‘Angela Merkel’
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Pura ferocia, ecco l’Ue: spietata, contro il pallido Tsipras
Consenti alla finanza privata di impadronirsi della moneta e quindi del debito pubblico degli Stati? Vietato stupirsi, dopo, gli se esattori rivogliono tutto indietro, con gli interessi. Sul “Guardian”, l’ex ministro delle finanze ellenico Yanis Varoufakis denuncia «la testarda ostinazione» dei creditori nel rifiutarsi di concedere una sostanziale riduzione del debito, in barba a «qualsiasi normale prassi bancaria», che consiglierebbe di «non accanirsi contro i debitori in difficoltà». Di “normale”, in realtà, in Europa non c’è più nulla, dal momento in cui – col Trattato di Maastricht – proprio la “prassi bancaria” ha sostituito l’interesse pubblico, basato sul governo sovrano della moneta per evitare che lo Stato cada nelle mani di creditori privati, i veri padroni della scena, che manovrano politici-fantoccio e istituzioni comunitarie create solo per proteggere il business finanziario a spese delle comunità nazionali. L’altra notizia è che i paesi europei non insorgano in favore dei greci: nessun governo si ribella, le piazze europee non sono gremite di bandiere greche. E i sondaggi rivelano che 7 tedeschi su 10 danno ragione al super-falco Schaeuble, l’uomo dei diktat, l’esecutore fiduciario dei banchieri.Alla sopravvivenza economica della Grecia, scrive Varoufakis, l’Ue ha preferito «il salvataggio delle banche francesi e tedesche esposte sul debito pubblico ellenico». Nulla di così strano: l’anomalia, semmai, consiste nel fatto che il debito statale di Atene sia stato finanziato da banche private, attraverso la moneta privata chiamata euro. L’austerity che ha devastato la Grecia, facendone crollare il Pil del 25%, serviva solo a “rifondere” le banche straniere, non certo a risollevare l’economia di Atene. «Una volta che questa sordida operazione è stata completata, l’Europa si è subito inventata un altro motivo per rifiutarsi di discutere la ristrutturazione del debito: andava a colpire le tasche dei cittadini europei! E quindi – continua Varoufakis – venivano somministrate dosi ancora maggiori di austerità, mentre il debito cresceva spingendo i creditori a erogare nuovi prestiti in cambio di altra austerità».Il governo Tsipras, continua l’ex ministro, è stato eletto «per porre fine a questo circolo vizioso, per esigere un haircut del debito e mettere fine all’austerità». Mission impossible, ovviamente, sotto il regime euro-Ue: Syriza, invece, si è fatta eleggere raccontando ai greci che sarebbe stato possibile passare all’inferno al paradiso, pur restando nell’Eurozona. Il resto sono dettagli: «Le trattative – racconta Varoufakis – si sono arenate nella ben nota impasse per una semplice ragione: i nostri creditori continuavano a negare qualsiasi ristrutturazione, mentre allo stesso tempo esigevano che il nostro debito, che non è pagabile, fosse rimborsato “parametricamente” dalle fasce più deboli della popolazione greca, dai loro figli e dai loro nipoti». In realtà, il debitro sovrano non è mai “pagabile”, non lo è mai stato e non deve esserlo: il debito del Giappone rappresenta il 250% del Pil ma non è un problema, perché lo Stato – padrone della sua moneta – è in grado di sostenerlo in qualsiasi momento. Nell’Eurozona, invece, si “deve” ricorrere al denaro dei banchieri, che non concedono prestiti a scopo di beneficenza.Lo stesso Varoufakis ricorda che, nella sua prima settimana da ministro, il presidente dell’Eurogruppo, Jeroen Dijsselbloem (l’Eurogruppo è l’assemblea dei ministri delle finanze europei) lo mise «brutalmente» messo di fronte a un ultimatum: «Accettare la logica dei bailout e rinunciare a ogni pretesa di ristrutturazione, altrimenti il nostro accordo sui nuovi prestiti sarebbe stato cancellato – con l’implicita conseguenza non detta che le nostre banche avrebbero dovuto chiudere». Dopo cinque mesi di trattative, eccoci al redde rationem: le “istituzioni” europee, guidate da Merkel e Schaeuble, impongono a Tsipras di rimangiarsi tutto, per screditarlo di fronte ai greci, dopo l’intollerabile sfida democratica del referendum contro l’austerity. Nel 2010, ricorda ancora Varoufakis, la minaccia della Grexit «nel 2010 spaventava a morte gli investitori finanziari perché le loro banche erano piene zeppe di debito greco». E ancora nel 2012, «nonostante Wolfgang Schaeuble ritenesse che i costi della Grexit avrebbero avuto il vantaggio di disciplinare la Francia e gli altri, la prospettiva continuava a creare grandi preoccupazioni». Quando invece Syriza è andata al potere a gennaio scorso, «a conferma del fatto che i bailout non hanno realmente lo scopo di salvare la Grecia (ma piuttosto quello di costruire una muraglia cinese attorno al nord Europa), una larga maggioranza dell’Eurogruppo – sotto la tutela di Schaeuble – ha considerato la Grexit come l’esito più favorevole e l’ha adoperata come minaccia contro il nostro governo».Varoufakis sostiene che i greci, «giustamente», hanno «i brividi al pensiero di essere amputati dall’unione monetaria». Il problema è proprio l’euro, «una moneta completamente controllata da creditori ostili alla ristrutturazione del nostro insostenibile debito nazionale». Per uscire dall’euro, secondo l’ex ministro, «dovremmo inventarci una valuta dal nulla: nell’Iraq occupato c’è voluto un anno per introdurre nuove banconote, circa 20 Boeing 747, la mobilitazione di tutta la potenza militare americana, tre stabilimenti per stampare il denaro, centinaia di camion. Senza questi aiuti – continua Varoufakis – sarebbe come se la Grecia dovesse annunciare una grossa svalutazione con 18 mesi di anticipo, il che porterebbe all’immediata liquidazione di tutti i capitali investiti e al loro trasferimento all’estero con ogni mezzo possibile». Così, con la minaccia della Grexit che rafforzava il “bank run” indotto dalla Bce, «il nostro tentativo di rimettere sul tavolo la questione della ristrutturazione si è scontrato contro un muro di gomma. Tutte le volte ci rispondevano che quella era una questione da affrontare in un non meglio specificato futuro successivo alla completa realizzazione del “programma”».Scontata, quindi, l’intransigenza tedesca, anche di fronte al tentativo del successore di Varoufakis, Euclid Tsakalaotos, che ha tentato di convincere «un Eurogruppo chiaramente ostile» che la ristrutturazione del debito «è un prerequisito per il successo delle riforme in Grecia». Finalmente, Varoufakis ammette che il problema è proprio la moneta unica europea: «L’euro è un ibrido fra un vincolo valutario fisso come l’Erm del 1980 o il gold standard e una “moneta di Stato”. Il primo fonda la sua forza sulla paura di esserne espulsi, mentre la “moneta di Stato” implica meccanismi di riciclo (reinvestimento) dei surplus fra Stati membri», ad esempio un budget federale e l’emissione di titoli di Stato in comune, gli eurobond invocati inutilmente già ai tempi di Tremonti. «L’euro è una via di mezzo – più vincolo monetario che moneta di Stato». Di statale, in realtà, l’euro non ha nulla: è anzi il braccio operativo dell’élite finanziaria interessata a lucrare sullo smantellamento degli Stati, ma questo Syriza non l’ha mai osato dire.Anche oggi, Varoufakis si limita in fondo a considerazioni tattiche: «Il ministro delle finanze tedesco – scrive, sul “Guardian” – vuole che la Grecia venga costretta a uscire dalla moneta unica per mettere una paura del diavolo ai francesi e convincerli ad accettare un modello di Eurozona di tipo disciplinario». E’, in fondo, il peccato originale di Syriza: pensare che esista un modello di Eurozona non-disciplinario. E’ come aspettarsi che possa davvero essere ristrutturato (tagliato) un debito nominalmente pubblico, ma non denominato in moneta sovrana. Eppure, nonostante gli errori strategici di Syriza, il “martirio” della Grecia offre un terrificante spettacolo di cos’è realmente l’Unione Europea. L’Austria farà un referendum per uscirne, la Gran Bretagna voterà nel 2017 per abbandonare Bruxelles, mentre Obama teme l’aiuto di Putin alla Grecia e l’Ue punta tutto sulle dimissioni di Tsipras per ripristinare il dominio totale della Troika, togliendo ai greci ogni illusione di sovranità.Consenti alla finanza privata di impadronirsi della moneta e quindi del debito pubblico degli Stati? Vietato stupirsi, dopo, se gli esattori rivogliono tutto indietro, con gli interessi. Sul “Guardian”, l’ex ministro delle finanze ellenico Yanis Varoufakis denuncia «la testarda ostinazione» dei creditori nel rifiutarsi di concedere una sostanziale riduzione del debito, in barba a «qualsiasi normale prassi bancaria», che consiglierebbe di «non accanirsi contro i debitori in difficoltà». Di “normale”, in realtà, in Europa non c’è più nulla, dal momento in cui – col Trattato di Maastricht – proprio la “prassi bancaria” ha sostituito l’interesse pubblico, basato sul governo sovrano della moneta per evitare che lo Stato cada nelle mani di creditori privati, i veri padroni della scena, che manovrano politici-fantoccio e istituzioni comunitarie create solo per proteggere il business finanziario a spese delle comunità nazionali. L’altra notizia è che i paesi europei non insorgano in favore dei greci: nessun governo si ribella, le piazze europee non sono gremite di bandiere greche. E i sondaggi rivelano che 7 tedeschi su 10 danno ragione al super-falco Schaeuble, l’uomo dei diktat, l’esecutore fiduciario dei banchieri.
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Grecia, la dignità ha sconfitto la paura. E’ fallito un golpe
La finanza tossica internazionale e il cancelliere tedesco hanno cercato di rovesciare il governo democratico greco. Questa era la reale posta in gioco del referendum. Sono stati sconfitti. Volevano rovesciare Tsipras per dare una lezione anticipata ai democratici spagnoli che a novembre forse troveranno il coraggio di scegliere con “Podemos” una strada di democrazia coerente. Quanto tentato dai finanzieri e dalla signora Merkel si chiama, se vogliano evitare eufemismi, un tentativo di golpe bianco. Una maggioranza di greci dalle dimensioni inaspettate lo ha sventato col suo Oxi, la dignità ha sconfitto la paura. Da domani, inutile farsi illusioni, il tentativo di assoggettare irreversibilmente l’Europa ai croupier del gioco di Borsa riprenderà in piena sintonia con la maggior parte dei governi e con le istituzioni comunitarie. Vedremo fino a che punto si allineerà anche il governo francese del “socialista” inconsistente Hollande.Dopo la vittoria della democrazia greca alcune cose sono comunque definitivamente chiare. È del tutto insensato continuare con l’omelia dei Delors, Habermas e Cohn-Bendit secondo cui il problema è il deficit di legittimazione democratica delle istituzioni europee. Se il Parlamento di Strasburgo avesse i poteri della Camera dei Comuni, del Bundestag o dell’Assemblea Nazionale, ad avere la fiducia e governare l’Europa nella pienezza dei poteri sarebbe oggi la destra più becera e autoritaria. A dimostrazione che la democrazia non si riduce e non coincide con libere elezioni. Queste ultime sono un irrinunciabile strumento della vita democratica, ma come fin troppe volte è stato dimostrato nelle vicende storiche, il suffragio può servire anche a sopprimere la democrazia. Istituzioni democratiche possono nascere in Europa solo a partire da una Costituzione che fissi i diritti imprescrittibili di ogni cittadino, che nessuna maggioranza può schiacciare, e che non possono ridursi a quelli della tradizione liberale classica, e meno che mai a quelli liberisti, ma devono comprendere inalienabili diritti sociali, sindacali, ecologici, “roosveltiani”, incompatibili con la sovranità del mondo finanziario.Senza un accordo preliminare su tali valori l’Europa non è una conquista da difendere ma un fallimento da archiviare al più presto studiando la via della dissoluzione della comunità la meno tragica possibile (e non sarà facile). Tsipras ha intanto il dovere di fare “qualcosa di sinistra” che pure aveva promesso. Non ci sono tracce di una lotta spietata alla grande evasione fiscale, agli indecenti privilegi degli armatori, alle micidiali sperequazioni tra i quartieri dorati del lusso più sfrenato e una povertà che talvolta ha scene da immediato dopoguerra. Solo una politica di grande redistribuzione delle ricchezze può salvare l’Europa, e la Grecia per prima.(Paolo Flores d’Arcais, “Grecia, la dignità ha sconfitto la paura”, da “Micromega” del 5 luglio 2015).La finanza tossica internazionale e il cancelliere tedesco hanno cercato di rovesciare il governo democratico greco. Questa era la reale posta in gioco del referendum. Sono stati sconfitti. Volevano rovesciare Tsipras per dare una lezione anticipata ai democratici spagnoli che a novembre forse troveranno il coraggio di scegliere con “Podemos” una strada di democrazia coerente. Quanto tentato dai finanzieri e dalla signora Merkel si chiama, se vogliano evitare eufemismi, un tentativo di golpe bianco. Una maggioranza di greci dalle dimensioni inaspettate lo ha sventato col suo Oxi, la dignità ha sconfitto la paura. Da domani, inutile farsi illusioni, il tentativo di assoggettare irreversibilmente l’Europa ai croupier del gioco di Borsa riprenderà in piena sintonia con la maggior parte dei governi e con le istituzioni comunitarie. Vedremo fino a che punto si allineerà anche il governo francese del “socialista” inconsistente Hollande.
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Promise felicità nell’Eurozona, così ora Tsipras è nei guai
Quella che si apre, in questa settimana, è una partita a scacchi a mosse obbligate per entrambi i contendenti. E’ evidente che Tsipras ha bisogno di una squillante vittoria dei No all’accordo. Se vincessero i si a lui non resterebbe che dimettersi, la Troika avrebbe vinto e i partiti di centro cercherebbero di fare una coalizione “europeista” (magari con una scissione fra i deputati di Syriza) per un governo di servizio (di servizio alla Merkel, naturalmente). Per Syriza sarebbe una disfatta e per la Grecia inizierebbe un calvario ancora peggiore di quello attuale, perché il referendum legittimerebbe qualsiasi misura, anche la più aberrante. Magari non da subito, anzi la Troika potrebbe mostrarsi inizialmente più comprensiva con un governo “moderato” e fare anche qualche regalino, magari sino a novembre, giusto il tempo di far affondare (o addomesticare) Podemos, ma dopo sarebbe un crescendo, sino all’inevitabile default. Si capisce quindi, l’apertura della Merkel (che tiene d’occhio anche lo slittamento di Atene in campo sino-russo) alla Grecia, ma non al suo governo attuale e il rinvio della questione a dopo il referendum. Questa sarà la campagna elettorale della Troika e, per essa, della Merkel: sbarazzatevi di Tsipras e Varoufakis e ragioniamo.Fratoianni ha scritto che, anche in quel caso, Tsipras avrebbe comunque vinto, perché avrebbe dimostrato il ritorno a metodi di governo democratico; si: peccato che si tratterebbe di una “vittoria morale” e che il vincitore morale sia sempre quello che ha perso. Ma a Tsipras andrebbe molto male anche se a vincere fossero i No, ma di stretta misura: avrebbe una legittimazione limitatissima, dovrebbe fare i conti con un default, nessuno sottoscriverebbe più alcun titolo greco e quindi, per far fronte alla situazione, dovrebbe emettere moneta propria, altrimenti non saprebbe come pagare neppure gli stipendi dei dipendenti statali, e questo significherebbe implicitamente l’uscita dall’euro. Ovviamente in condizioni disastrose, con una moneta debolissima e una Ue e Bce scatenate per punire i ribelli greci. Per di più, una vittoria di misura significherebbe che Alba Dorata è stata determinante e questo lo obbligherebbe, di fatto, ad una qualche intesa su quel lato (allegria!).Di fatto, l’unica speranza di non affondare sarebbe quella di un rapidissimo soccorso russo e cinese. Unica via d’uscita relativamente più agevole, una forte vittoria dei No, che lo incoraggerebbe a tener duro ed, in qualche modo, scaricherebbe una parte delle tensioni sulla Ue, costringendola su posizioni meno oltranziste. Sarebbe comunque un momento difficilissimo, perché ugualmente si prospetterebbe il default e l’uscita dalla moneta, ma sarebbe più facile gestire le cose con un popolo greco compatto dietro le sue spalle. Per ora i sondaggi sono sfavorevoli al No (e gioca evidentemente la paura di cosa accadrebbe tornando alla Dracma), ma non è detto che in questi giorni non ci sia un recupero: i greci sono un popolo orgoglioso e questo potrebbe bilanciare le paure. Ovviamente, noi facciamo il tifo per il No, ma la partita, bisogna dircelo, per ora è abbastanza compromessa e qui si capisce perché la “furbata” di aver promesso l’euro e la fine dell’austerità non è stata una grande idea.(Aldo Giannuli, “Grecia, il gioco che si profila”, dal blog di Giannuli del 28 giugno 2015).Quella che si apre, in questa settimana, è una partita a scacchi a mosse obbligate per entrambi i contendenti. E’ evidente che Tsipras ha bisogno di una squillante vittoria dei No all’accordo. Se vincessero i si a lui non resterebbe che dimettersi, la Troika avrebbe vinto e i partiti di centro cercherebbero di fare una coalizione “europeista” (magari con una scissione fra i deputati di Syriza) per un governo di servizio (di servizio alla Merkel, naturalmente). Per Syriza sarebbe una disfatta e per la Grecia inizierebbe un calvario ancora peggiore di quello attuale, perché il referendum legittimerebbe qualsiasi misura, anche la più aberrante. Magari non da subito, anzi la Troika potrebbe mostrarsi inizialmente più comprensiva con un governo “moderato” e fare anche qualche regalino, magari sino a novembre, giusto il tempo di far affondare (o addomesticare) Podemos, ma dopo sarebbe un crescendo, sino all’inevitabile default. Si capisce quindi, l’apertura della Merkel (che tiene d’occhio anche lo slittamento di Atene in campo sino-russo) alla Grecia, ma non al suo governo attuale e il rinvio della questione a dopo il referendum. Questa sarà la campagna elettorale della Troika e, per essa, della Merkel: sbarazzatevi di Tsipras e Varoufakis e ragioniamo.
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Grecia: 10.000 suicidi in 5 anni, l’ultimo quello di mio figlio
Theodoros Giannaros tiene gli occhi fissi sul computer e una sigaretta tra le dita. Guarda le immagini di alberi, di spiagge. È talmente assorto da non accorgersi che la cenere sta coprendo la tastiera. Compare l’immagine di un giovane. Bello, sorridente. «È mio figlio, si è tolto la vita pochi giorni fa. Aveva 26 anni. Quando l’ho saputo non sono riuscito a fare altro che questo video». Atene, Ospedale Elpis: un complesso di palazzine bianche nel centro della città. È un giorno festivo, ma il dottor Giannaros si fa trovare nel suo ufficetto di direttore. Siede lì dal 2010. È un biologo molecolare, specializzato in genetica. Ha studiato a Karlsruhe, in Germania, a San Francisco e a Vienna. Da anni è un punto di riferimento assoluto per tutta la Grecia. Quando interviene sui giornali o in tv nessuno si permette di contraddirlo. Fruga ancora nel pacchetto di nazionali, tira fuori l’ennesima sigaretta e un’altra sassata: «Mio figlio è solo l’ultimo di una lista interminabile. Da quando è iniziata la crisi in questo paese si sono suicidate 10 mila persone. Sì, ha capito bene: 10 mila. È come se una grande città fosse stata cancellata dalla carta geografica della nazione».Giannaros ha un passato nelle truppe speciali: mostra le foto delle sue ultime missioni, in mimetica, immerso in un fiume fino alle ginocchia. È come se avesse bisogno di una pausa, vuole raccontare ancora qualcosa della sua famiglia, degli altri due figli, 24 e 28 anni. «Anche il più piccolo è un soldato». Lo dice con un sottinteso chiaro: lui si è salvato. Ma quanti sono i giovani senza speranza? Le statistiche si afflosciano come svuotate di senso al cospetto della forza, della dignità di quest’uomo. «Appena arrivato qui incontravo pazienti che mi chiedevano: ma quanto devo pagare per operarmi qui? Quanto per una lastra? Nulla, rispondevo, questo è un ospedale pubblico. Poi mi sono fatto portare il registro delle prenotazioni e ho capito. La lista d’attesa risultava sempre infinita, ma con una buona “fakelaki” si poteva comodamente saltare la fila». “Fakelaki”, la bustarella. «In cortile ho fatto mettere dei cartelli con una busta sbarrata con una grande x rossa. Significa che qui non si accettano tangenti».Le parole del più atipico dei manager conducono nell’antro della crisi. I ragionamenti sulla sostenibilità del debito lasciano il posto alla scarsità di siringhe, bisturi, persino guanti per la sala operatoria. «Abbiamo sviluppato un network di scambi tra le diverse cliniche. Andiamo avanti anche grazie a donazioni in arrivo dalla Svizzera, dall’Austria, dalla Germania». Theodoros accende un’altra sigaretta. Aspira profondamente, poi scarica fumo e una lunga invettiva. Contro le vecchie classi politiche, le dieci famiglie che hanno monopolizzato l’economia del paese, le «idiote» prescrizioni della “Troika”, il Fondo Monetario, la Bce, la Commissione Europea, Angela Merkel. Spera che Alexis Tsipras possa raggiungere qualche risultato, «ma deve avere dietro tutti i partiti, tutta la Grecia. Questo è l’unico modo che abbiamo per sopravvivere». Già, «sopravvivere».«Penso continuamente a quei 10 mila morti che abbiamo seppellito nel silenzio. Penso a mio figlio. E penso che se in Germania un cane muore in malo modo, ecco che il caso finisce sui giornali, se ne dibatte in tv. Ma avete mai sentito parlare dei nostri giovani, dei nostri anziani che si sono suicidati? La guerra civile della Jugoslavia ha fatto 20 mila morti. Quella, però, era una guerra. Che cos’è, invece, questa nostra strage? È una domanda a cui non so rispondere, posso solo dire che in questo momento mi vergogno di essere un europeo». Forse è arrivato il momento di andare. Ma Theodoros ha ancora qualcosa da dire: «In questi anni sono stato corteggiato da tutti i partiti, avrei potuto fare il ministro cento volte. Invece ho sempre voluto restare un uomo libero e mi sono fatto un mare di nemici. Continuo a stare qui, a lavorare per 1.400 euro al mese, cinque volte meno di qualche anno fa. Non posso permettermi la macchina, viaggio in scooter e giro con una pistola. Prima che mio figlio se ne andasse così, mi sentivo anche un privilegiato».(Giuseppe Sarcina, “Grecia: il conto della disperazione? Diecimila suicidi in 5 anni, l’ultimo quello di mio figlio”, dal sito del “Corriere della Sera” del 10 giugno 2015).Theodoros Giannaros tiene gli occhi fissi sul computer e una sigaretta tra le dita. Guarda le immagini di alberi, di spiagge. È talmente assorto da non accorgersi che la cenere sta coprendo la tastiera. Compare l’immagine di un giovane. Bello, sorridente. «È mio figlio, si è tolto la vita pochi giorni fa. Aveva 26 anni. Quando l’ho saputo non sono riuscito a fare altro che questo video». Atene, Ospedale Elpis: un complesso di palazzine bianche nel centro della città. È un giorno festivo, ma il dottor Giannaros si fa trovare nel suo ufficetto di direttore. Siede lì dal 2010. È un biologo molecolare, specializzato in genetica. Ha studiato a Karlsruhe, in Germania, a San Francisco e a Vienna. Da anni è un punto di riferimento assoluto per tutta la Grecia. Quando interviene sui giornali o in tv nessuno si permette di contraddirlo. Fruga ancora nel pacchetto di nazionali, tira fuori l’ennesima sigaretta e un’altra sassata: «Mio figlio è solo l’ultimo di una lista interminabile. Da quando è iniziata la crisi in questo paese si sono suicidate 10 mila persone. Sì, ha capito bene: 10 mila. È come se una grande città fosse stata cancellata dalla carta geografica della nazione».
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Fa crollare l’Italia, poi se la compra. Ma chi è BlackRock?
Faccio scoppiare l’Italia con la crisi dello spread, la costringo a svendere i gioielli di famiglia e quindi arrivo io, col portafogli in mano, pronto a rilevare a prezzi stracciati interi settori vitali dell’economia italiana, messa in ginocchio dalla manovra finanziaria. Secondo “Limes”, l’architetto supremo del complotto non è la Germania, ma il colossale fondo d’investimenti statunitense BlackRock, azionista rilevante della Deutsche Bank che nel 2011, annunciando la vendita dei titoli di Stato italiani, fece esplodere il divario tra Btp e Bund causando la “resa” di Berlusconi e l’avvento di Monti, l’emissario del grande business straniero. La rivista di Lucio Caracciolo, riassume Maria Grazia Bruzzone su “La Stampa”, ha messo a fuoco un po’ meglio le dimensioni, gli interessi e il vero potere del primo fondo d’investimenti mondiale, fattosi sotto con l’ascesa di Renzi a Palazzo Chigi, dopo che ormai il Pil italiano era stato letteralmente raso al suolo dai tecnocrati nostrani, in accordo con quelli di Bruxelles. Il “Moloch della finanza globale” vanta la gestione di 30.000 portafogli, per un totale di 4.650 miliardi di dollari: non ha rivali al mondo ed è una delle 4-5 “istituzioni” che ricorrono tra i maggiori azionisti delle banche americane.Con la globalizzazione dell’economia, il valore complessivo delle attività finanziarie internazionali primarie è passato dal 50% al 350% del Pil mondiale, raggiungendo i 280.000 miliardi di dollari, di cui solo il 25% legato agli scambi di merci. E il valore dei derivati negoziati fuori dalle Borse (“over the counter”) a fine giugno 2013 aveva toccato i 693.000 miliardi di dollari, in gran parte legati al mercato delle valute: al Forex si scambiano in media 1.900 miliardi di dollari al giorno. Tutto ha avuto inizio col neoliberismo promosso da Margaret Thatcher e Ronald Reagan: deregulation e meno vincoli per le megabanche, autorizzate a “giocare” con sempre nuovi prodotti finanziari come gli “hedge fund”, i fondi a rischio speculativi e le società di investimento spesso collegate alle banche, innanzitutto anglosassoni. Il colpo di grazia porta la firma di Bill Clinton, che negli anni ‘90 rende assoluta la deregolamentazione della finanza, abolendo il Glass-Steagal Act creato da Roosevelt negli anni ‘30 per limitare la speculazione alle sole banche d’affari e tenere il credito commerciale al riparo dalla “ruolette” finanziaria di Wall Street che aveva causato la Grande Crisi del 1929.A estendere al resto del mondo l’immediata cancellazione dei vincoli di sicurezza provvide il Wto, egemonizzato dagli Usa, su impulso delle megabanche, dell’allora segretario al Tesoro Larry Summers e del suo vice Tim Geithner, futuro ministro di Obama. Questo il clima in cui cominciò l’ascesa di BlackRock, autonoma dal 1992 e basata a New York, pronta a inserirsi in banche e aziende acquistando azioni, obbligazioni, titoli pubblici e proprietà, per un totale di oltre 4.500 miliardi, cioè pari al Pil della Francia sommato a quello della Spagna. BlackRock comincia anche a far politica: entra nel capitale delle due maggiori agenzie di rating, “Standard & Poor’s” (5,44%) e “Moody’s” (6,6%), ottenendo la possibilità di influire sulla determinazione di titoli sovrani, azioni e obbligazioni private, incidendo così su prezzo e valore delle attività acquistate o vendute. Quindi opera anche nell’analisi del rischio, vendendo “soluzioni informatiche” per la gestione di dati economici e finanziari, ed elabora dati che «incorporano anche pesanti elementi politici».Naturalmente sfrutta appieno la crisi del 2007: due anni dopo, lo stesso Geithner consulta proprio BlackWater per valutare gli asset tossici di Bear Stearns, Aig e Morgan Stanley. Compiti che BlackRock esegue, «agendo alla stregua di una sorta di Iri privato». Nel 2009 fa anche un colpo grosso, acquistando Barclays Investment Group, col suo carico immenso di partecipazioni azionarie nelle principali multinazionali. Il colosso finanziario americano informa e «manipola i propri clienti, utilizzando tecniche e software non diversi da quelli impiegati da Google (di cui ha il 5,8%) o dalla Nsa per sondare gli umori della gente», scrive “Limes”. Si serve della piattaforma Aladdin, «con almeno 6.000 computer in 12 siti più o meno segreti, 4 dei quali di nuova concezione, ai quali si rapportano 20.000 investitori sparsi per il mondo». Il suo centro studi d’eccellenza, il “BlackRock Investment Institute”, esamina le variabili politico-strategiche: il maxi-fondo è interessato al profitto «ma anche alla stabilità, sicurezza e prosperità degli Stati Uniti». Il fondatore e leader, Larry Fink, è considerato «il più importante personaggio della finanza mondiale», eppure resta «virtualmente uno sconosciuto» a Manhattan, secondo “Vanity Fair”.Proprio BlackRock, aggiunge “Limes” è probabilmente il vero regista della crisi italiana del 2011, o meglio della capitolazione dell’Italia di fronte agli appetiti della grande finanza. Lo spread fra i Bund tedeschi e i nostri Btp iniziò a dilatarsi non appena il “Financial Times” rese noto che nei primi sei mesi di quell’anno Deutsche Bank aveva venduto l’88% dei titoli che possedeva, per 7 miliardi di euro. «Molti videro un attacco al nostro paese ispirato da Berlino e dai poteri forti di Francoforte», ma forse – secondo “Limes” – non era così. La rivista di Caracciolo rivela che il potente istituto di credito tedesco aveva allora un azionariato diffuso, il 48% del capitale sociale era detenuto fuori dalla Repubblica Federale, e il suo azionista più importante era proprio BlackRock con il 5,1%. Peraltro, aggiunge la Bruzzone sulla “Stampa”, oggi la “Roccia Nera” detiene in Deutsche Bank una quota ancor maggiore (il 6,62%) e ne è il maggior azionista, seguito da Paramount Service Holdings, basato alle Isole Vergini Britanniche. «Si può escludere che il fondo non abbia avuto alcuna parte in una decisione tanto strategica come quella di dismettere in pochi mesi quasi tutti i titoli del debito sovrano di un paese dell’Ue?».«Se attacco c’è stato non è detto che sia stato perpetrato dalle autorità politiche ed economiche della Germania: è un fatto che a picchiare più duramente contro i nostri titoli a partire dall’autunno 2011 siano proprio “Standard & Poor’s” e “Moody’s”». Un’ipotesi, quella di Limes, che getta nuova luce su tanta parte della narrazione di questi anni sulla Germania, l’Europa e i Piigs, a partire dalle polemiche di quell’agosto bollente, «con Merkel e Sarkozy fustigati da Giuliano Amato sul “Sole 24 Ore”», anche se Amato – ricorda la Bruzzone – in quel 2011 era fra l’altro “senior advisor” proprio di Deutsche Bank. «E chissà che senza la decisione di Deutsche Bank di vendere i titoli di Stato di Portogallo, Italia, Irlanda, Grecia, Spagna, la tempesta finanziaria non sarebbe iniziata». Un’ipotesi realistica, secondo la Bruzzone, che apre altri interrogativi: sugli intrecci fra potere finanziario e politico, sul “potere sovrano” degli Stati (anche della potente Germania) e sulla composizione azionaria di questi onnipotenti istituti. Banche, fondi, superfondi: di chi sono? Chi decide che cosa, al di là dei luoghi comuni ripetuti delle narrative ufficiali?La fine della Deutsche Bank come motore sano dell’economia industriale tedesca risale all’epoca del crollo dell’Urss, quando l’attenzione della finanza angloamericana si concentra sull’Europa. E avviene a seguito di misteriosi omicidi, scrive la giornalista della “Stampa”, ricordando che Alfred Herrhausen, presidente della banca e consigliere fidato del cancelliere Kohl – un uomo che aveva in mente uno sviluppo della mission tradizionale e stilò addirittura un progetto di rinascita delle industrie ex comuniste, in Germania, Polonia e Russia, andandone persino parlarne a Wall Street – venne «improvvisamente freddato fuori dalla sua villa», a fine 1989. Si disse dalla Raf, o dalla Stasi, o da altri ancora. Stessa sorte toccò al suo successore, altro economista che si era opposto alla svendita delle imprese ex comuniste elaborando piani industriali alternativi alla privatizzazione. Fu ucciso nel 1991 da un tiratore scelto.Dopo di lui, alla sede londinese di Deutsche Bank arriva uno squadrone di ex banchieri della Merrill Lynch, compreso il capo, che diventa presidente, riorganizzando tutto in senso “moderno”. Anche lui però muore, a soli 47 anni, «in uno strano incidente del suo aereo privato». Va meglio al suo giovane braccio destro, Anshu Jain, un indiano con passaporto britannico, cresciuto professionalmente a New York, tutt’oggi presidente della banca diventata prima al mondo per quantità di derivati, spodestando Jp Morgan: la Deutsche Bank infatti è considerata fuori dalle righe “la banca più fallita del mondo”, «esposta per 55.000 miliardi, cioè 20 volte il Pil tedesco», a fronte di depositi per appena 522 miliardi. «Quanto è pericoloso il potere di mercato delle maggiori banche di investimento?». Se lo chiedeva due anni fa lo “Spiegel”, riportando un durissimo scontro fra Deutsche Bank e il ministro tedesco dell’economia, il super-massone Wolfgang Schaeuble.Scriveva il settimanale: «Un pugno di società finanziarie domina il trading di valute, risorse naturali, prodotti a interesse. Migliaiaia di investitori comprano, vendono, scommettono. Ma le transazioni sono in mano a un club di istituti globali come Deutsche Bank, Jp Morgan, Goldman Sachs. Quattro banche maneggiano la metà delle transazioni di valuta: Deutsche Bank, Citigroup, Barclays e Ubs». Un’altra ragione che dovrebbe farci prestare attenzione alla “Roccia Nera”, aggiunge “Limes”, è che ha messo radici in molte realtà imprenditoriali nel nostro paese. Per “L’Espresso”, addirittura, «si sta comprando l’Italia». Se un altro colosso americano, State Street Corporations, ha acquistato la divisione “securities” di Deutsche Bank e nel 2010 ha comprato l’attività di “banca depositaria” di Intesa SanPaolo (custodia globale, controllo di regolarità delle operazioni, calcoli, amministrazione delle quote, servizi ausiliari, gestione dei cambi e prestito di titoli), è proprio BlackRock a far la parte del leone.A fine 2011, il super-fondo americano aveva il 5,7% di Mediaset, il 3,9% di Unicredit, il 3,5% di Enel e del Banco Popolare, il 2,7% di Fiat e Telecom Italia, il 2,5% di Eni e Generali, il 2,2% di Finmeccanica, il 2,1% di Atlantia (che controlla Autostrade) e Terna, il 2% della Banca Popolare di Milano, Fonsai, Intesa San Paolo, Mediobanca e Ubi. E oggi Molte di queste quote sono cresciute e BlackRock è ormai il primo azionista di Unicredit (col 5,2%) e il secondo azionista di Intesa SanPaolo (5%). Stessa quota in Atlantia, mentre avrebbe ill 9,4% di Telecom. «Presidi strategici, che permetteranno a BlackRock di posizionarsi al meglio in vista delle privatizzazioni prossime venture invocate da molti “per far scendere il debito”», scrive “Limes”. E’ la nuova ondata in arrivo, dopo quella del 1992-93 a prezzi di saldo. «La crisi dei Piigs a che altro serve, se no?».Chi è BlackRock? Il web rivela, più che altro, un labirinto. Secondo “Yahoo Finanza”, il maggiore azionista (21,7%) sarebbe Pnc, antica banca di Pittsburgh, quinta per dimensioni negli Usa ma poco nota. Azionisti numero uno e due sarebbero Norges Bank, cioè la banca centrale di Norvegia, e Wellington Management Co., altro fondo di investimenti, di Boston, con 2.100 investitori istituzionali in 50 paesi e asset per 869 miliardi di dollari. Poi ci sono State Street Corporation, Fmr-Fidelity e Vanguard Group, che a loro volta sono gli unici investitori istituzionali di Pnc. Sempre loro, i “magnifici quattro”, si ritrovano con varie quote fra gli azionisti delle principali megabanche: non solo Jp Morgan, Bank of America, Citigroup e Wells Fargo, ma anche le banche d’affari come Goldman Sachs, Morgan Stanley, Bank of Ny Mellon. A ricorrere nell’azionariato di questi istituti ci sono anche altre società e banche, ma i “magnifici quattro” non mancano mai.Oltre ai soliti BlackRock, Vanguard, in Barclays – megabanca britannica che risale al 1690 – è presente anche Qatar Holding, sussidiaria del fondo sovrano del Golfo, specializzata in investimenti strategici. La stessa holding qatariota è anche maggior azionista di Credit Suisse, seguita dall’Olayan Group dell’Arabia Saudita, che ha partecipazioni in svariate società di ogni genere, mentre nell’altra megabanca elvetica, Ubs, si ritrovano BlackRock, una sussidiaria di Jp Morgan, una banca di Singapore e la solita Banca di Norvegia. Barclays Investment Group compariva tra i grandi azionisti di BlackRock, e viceversa, ma prima della crisi del 2008: dopo, non più – almeno in apparenza. Su “Global Research”, Matthias Chang mostra come nel 2006 “octopus” Barclays fosse davvero una piovra con tentacoli ovunque: Bank of America, Wells Fargo, Wachovia, Jp Morgan, Bank of New York Mellon, Goldman Sachs, Merrill Lynch, Morgan Stanley, Lehman Brothers e Bear Sterns, senza contare un lungo elenco di multinazionali di ogni genere, americane ed europee, comprese le miniere, senza dimenticare i grandi contractor della difesa.Dopo la crisi, che ha rimescolato le carte dell’élite finanziaria, il paesaggio cambia: Barclays Global Investors viene comprata nel 2009 da BlackRock. Il maxi-fondo, che nel 2006 aveva raggiunto il trilione di dollari in asset, dal 2010 al 2014 cresce ancora (fino ai 4.600 miliardi di dollari) insieme a Vanguard, presente in Deutsche Bank. Seguite i soldi, raccomanda il detective. Chi c’è dietro? «Attraverso il crescente indebitamento degli Stati – scrive la Bruzzone – megabanche e superfondi collegati, già azionisti di multinazionali, stanno entrando nel capitale di controllo di un numero crescente di banche, imprese strategiche, porti, aeroporti, centrali e reti energetiche. Solo per bilanciare l’espansione dei cinesi?». E’ un processo che va avanti da anni, «accelerato molto dalla “crisi” del 2007-8 e dalle politiche controproducenti come l’austerità, che sempre più si rivela una scelta politica». Tutto ciò è «evidentissimo nei paesi del Sud Europa, Grecia in testa, ma presente anche altrove e negli stessi Stati Uniti». Lo dicono blogger come Matt Taibbi ed economisti come Michael Hudson. Titolo del film: più che Germania contro Grecia, è la guerra delle banche verso il lavoro. Guerra che continua, dopo Thatcher e Reagan, nel mondo definitivamente globalizzato dai signori della finanza.Faccio scoppiare l’Italia con la crisi dello spread, la costringo a svendere i gioielli di famiglia e quindi arrivo io, col portafogli in mano, pronto a rilevare a prezzi stracciati interi settori vitali dell’economia italiana, messa in ginocchio dalla manovra finanziaria. Secondo “Limes”, l’architetto supremo del complotto non è la Germania, ma il colossale fondo d’investimenti statunitense BlackRock, azionista rilevante della Deutsche Bank che nel 2011, annunciando la vendita dei titoli di Stato italiani, fece esplodere il divario tra Btp e Bund causando la “resa” di Berlusconi e l’avvento di Monti, l’emissario del grande business straniero. La rivista di Lucio Caracciolo, riassume Maria Grazia Bruzzone su “La Stampa”, ha messo a fuoco un po’ meglio le dimensioni, gli interessi e il vero potere del primo fondo d’investimenti mondiale, fattosi sotto con l’ascesa di Renzi a Palazzo Chigi, dopo che ormai il Pil italiano era stato letteralmente raso al suolo dai tecnocrati nostrani, in accordo con quelli di Bruxelles. Il “Moloch della finanza globale” vanta la gestione di 30.000 portafogli, per un totale di 4.650 miliardi di dollari: non ha rivali al mondo ed è una delle 4-5 “istituzioni” che ricorrono tra i maggiori azionisti delle banche americane.
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“Migranti parassiti, peccato ne crepino ancora troppo pochi”
Laura: «Sai a che punto mi hanno portato questo governo, l’invasione e lo schifo di gente che arriva? Che quando sento notizie come 700 morti penso: meno male, 700 delinquenti parassiti in meno. Esasperazione ai limiti». E Diego: «Stiamo a pensare a 700 migranti che affogano in mare quando ci sono 50 milioni di italiani che affogano nella merda. Coglioni!». Chiosa Salvatore: «Sempre troppo pochi, spiace dirlo, ma si stessero in Africa a coltivarsi la terra così evitano di crepare annegati, ed evitassero di sfornare a livello industriale tutti ’sti marmocchi e cui non sono in grado di dare un tozzo di pane! Questa gente invece non vuole cambiare le brutte abitudini di vita. Noi con Salvini». A esprimersi così sono italiani, per lo più giovani: quello che “Mazzetta” ha messo insieme, esplorando Twitter, è «un campionario dei commenti più disgustosi alla grande carneficina del Canale di Sicilia», scrive Claudio Martini. Una catastrofe morale e sociale che rivela il vero motivo per cui, semplicemente, lo spettacolo della carneficina non avrà fine: sui migranti si scarica la paura della crisi, senza pietà. E nessun politico oserà cercare vere soluzioni.«Non mi interessa se affondano, basta che non entrino», scrive Marco. «Sempre troppo pochi», sintetizza Giorgio. Crepino pure in fondo al mare, non sono che «700 terroristi in pastura», ovvero «pappa per gli squali», «mangime per i pesci», chiariscono Lorenzo, Giulio e Sergio. «Peccato… così pochi», scrive Silvia. «Peccato che ci sono dei superstiti», dice Moreno. In fondo, sono «700 parassiti in meno da mantenere», aggiunge Franco: «Affondasse anche il Parlamento con tutto il governo e avremmo fatto bingo». Più ne muoiono e meglio è, sostiene Luca. Che aggiunge: «Questi crepano e io bevo felicemente un costoso vino per festeggiare. Olè!». Maria si preoccupa della religione dei migranti annegati: «Speriamo siano tutti musulmani». E comunque, chiosa Claudio: «Pochi, sempre troppo pochi». Che dire, di fronte a questo? «In un mondo più giusto – scrive Martini, in un post ripreso da “Come Don Chisciotte” – queste persone andrebbero messe su un apposito barcone e lasciate alla deriva. Nel mondo in cui realmente viviamo, queste persone votano. Ed è proprio questa la ragione principale dell’impossibilità di risolvere il problema dell’immigrazione». L’apartheid, il segregazionismo Usa e i vari fascismi conobbero un sostegno di massa: «Così è anche per la mattanza dei migranti africani».Per risolvere il problema, avverte Martini, ci sono due vie, alternative tra loro. La prima è quella del blocco navale, «naturalmente sponsorizzata dai Nazisti dell’Illinois, ma anche da Renzi, il quale, ricordiamolo, è responsabile del passaggio da “Mare Nostrum” a “Triton”, ovvero del taglio dei due terzi delle risorse destinate al soccorso in mare dei migranti». Questa proposta, ovviamente, «non può aver alcun riflesso pratico finché non si è disposti a sparare sulle imbarcazioni dei migranti, per la banale ragione che quelli non si fermano». Occorrerebbe pertanto un pattugliamento costante (e costoso) delle coste libiche e tunisine, composto da unità pronte ad annientare le imbarcazioni che tentano di forzare il blocco. «Al decimo affondamento è presumibile che i migranti si scoraggino, e che smettano di tentare la fortuna sui barconi». Naturalmente, aggiunge Martini, questa via è del tutto impercorribile: «Nessun politico, militare o funzionario si assumerebbe mai la responsabilità di simili crimini contro l’umanità. Tali crimini sono però l’elemento che darebbe effettività al blocco navale. In ultima analisi, non ci sarà alcun blocco navale: chi ve ne parla spacciandolo per soluzione è un cialtrone e/o un ipocrita».L’altra soluzione è quella di approntare una linea di traghetti tra le coste libiche e un qualche porto siciliano. Questa proposta, «assai meno paradossale di quel che appare», è stata avanzata da alcuni studiosi seri del fenomeno, e implicherebbe numerosi vantaggi: impedirebbe le stragi, stroncherebbe le organizzazioni criminali (i migranti pagherebbero alla linea di traghetti il biglietto che ora pagano agli scafisti), farebbe risparmiare fior di quattrini alla marina militare, e permetterebbe un controllo preventivo, anche sotto il profilo sanitario, delle persone che intendono migrare in Italia. «In una battuta: se la Tirrenia avesse cominciato a fare questo tipo di operazioni dieci anni fa, oggi non avrebbe i conti in rosso, e si sarebbero salvate molte migliaia di vite umane». Questa soluzione, tuttavia, implica altre iniziative, di notevolissima portata. L’afflusso di immigrati andrebbe regolato, gestito, organizzato. Al netto dei richiedenti asilo, andrebbe preparato un programma di avviamento al lavoro, vincolato al buon comportamento del soggetto e dotato di un termine: ad esempio, si potrebbe prevedere di concedere all’immigrato una permanenza, e un impiego, della durata di 5 o 10 anni. Si tratterebbe pertanto di un programma di lavoro garantito. Il programma, tuttavia, non potrebbe includere solo gli immigrati, ma anche i cittadini italiani, pena un’intollerabile disparità di trattamento.Anche così facendo, comunque, occorrerebbe cercare di limitare i numeri degli arrivi. «Per farlo, sarebbe necessario prendere sul serio il leit-motiv di tutti gli xenofobi, aiutare gli stranieri a casa loro». Ma cosa può significare questa espressione? «Se vogliamo darvi un senso – scrive Martini – gli Stati europei dovrebbero investire alcune decine di miliardi di euro l’anno nell’indutrializzazione (possibilmente compatibile con l’ecosistema) dei paesi dell’Africa sub-sahariana. Gli impieghi sarebbero innumerevoli: dall’introduzione di metodi moderni e meccanizzati per l’irrigazione dei suoli, all’introduzione di reti di servizi efficienti negli agglomerati urbani, all’installazione di centrali di produzione di energia rinnovabile (si pensi al solare); il tutto realizzabile da una forza lavoro retribuibile in misura trascurabile (per gli standard occidentali, non per quelli sub-sahariani: si pensi a stipendi da 100 euro al mese in Mali)». Come è evidente, le soluzioni sarebbero molteplici, ma «il problema è che non sono praticabili». Chi mai potrebbe varare un piano così giusto e intelligente?«La Lega Nord, e tutti i partiti consimili, sarebbero favorevoli a che l’Europa investisse alcuni decimali del suo Pil nei paesi da cui provengono gli immigrati? La risposta è prevedibile: un rotondo no. “Aiutarli a casa loro” va bene come slogan per evitare di affrontare il problema, non come soluzione pratica». La verità, conclude Martini, è che possiamo inventarci tutte le soluzioni più variopinte, ma «verranno tutte invariabilmente affondate dal feroce egoismo dei commentatori di cui sopra, che sono massa elettorale per soddisfare la quale si prodigano Salvini e Renzi, Berlusconi e Grillo (e Sarkozy, Merkel, Farage, Le Pen, Cameron, Rutte)». Non è una questione che si possa «pensare di affrontare gratis, senza concedere qualcosa, senza fare alcun sacrificio (ampiamente ripagato nel lungo termine)». Impossibile risolvere nulla, senza «mettere tra le premesse del problema la necessità di rispettare la dignità dei migranti, anche a costo di togliervi il principio della conservazione del quattrino con ogni mezzo». E quindi tanti saluti e arrivederci, «al prossimo affondamento».Laura: «Sai a che punto mi hanno portato questo governo, l’invasione e lo schifo di gente che arriva? Che quando sento notizie come 700 morti penso: meno male, 700 delinquenti parassiti in meno. Esasperazione ai limiti». E Diego: «Stiamo a pensare a 700 migranti che affogano in mare quando ci sono 50 milioni di italiani che affogano nella merda. Coglioni!». Chiosa Salvatore: «Sempre troppo pochi, spiace dirlo, ma si stessero in Africa a coltivarsi la terra così evitano di crepare annegati, ed evitassero di sfornare a livello industriale tutti ’sti marmocchi a cui non sono in grado di dare un tozzo di pane! Questa gente invece non vuole cambiare le brutte abitudini di vita. Noi con Salvini». A esprimersi così sono italiani, per lo più giovani: quello che “Mazzetta” ha messo insieme, esplorando Twitter, è «un campionario dei commenti più disgustosi alla grande carneficina del Canale di Sicilia», scrive Claudio Martini. Una catastrofe morale e sociale che rivela il vero motivo per cui, semplicemente, lo spettacolo della carneficina non avrà fine: sui migranti si scarica la paura della crisi, senza pietà. E nessun politico oserà cercare vere soluzioni.
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Mentono e vi derubano ogni giorno, e voi gli credete ancora?
I dati forniti dall’Istat smentiscono l’interessato ottimismo sparso a piene mani dal premier Matteo Renzi e dal suo ministro del lavoro Giuliano Poletti. La disoccupazione, con buona pace del Jobs Act, continua ad aumentare, mentre la crescita resta un miraggio. Da quasi quattro anni, dall’arrivo cioè di Mario Monti sul trono d’Italia, i grandi media annunciano senza sosta l’imminente ripresa di un’Italia sempre più povera, stanca e sfiduciata. Chi di voi ricorda le promesse del professore di Varese, ridicolo fino al punto da ipotizzare un aumento del Pil prossimo al 10% in virtù delle famose liberalizzazioni riguardanti quattro tassisti e qualche farmacista? E chi di voi ha dimenticato il “piano giovani” varato da Enrichetto Letta, approvato in teoria per dare un futuro a generazioni intere senza speranze né prospettive? E come sarà possibile scordare in fretta le tante menzogne veicolate dell’attuale premier Matteo Renzi, degno successore dei vari Monti e Letta? Il gioco è semplice e scoperto: mentire, mentire e poi mentire ancora. Anche di fronte all’evidenza, anche a costo di sfidare la logica e di umiliare la verità e il buon senso.Mentire ad oltranza. Questo fanno i nostri governanti, etero-diretti dall’esterno dal ghigno malefico del Venerabile Maestro Mario Draghi, osannato dai servi di regime per avere varato un quantitative easing che serve solo per prolungare il più possibile l’agonia di questo mostro di Europa a trazione tecnocratica. Quando, e se, la cosiddetta pubblica opinione capirà di essere stata per anni raggirata e truffata, sarà oramai troppo tardi. Ma come può un uomo sano di mente credere che l’abolizione dei diritti possa avere un qualche effetto benefico sull’occupazione? Ma dove sono vissuti gli italiani negli ultimi venti anni, caratterizzati da un contestuale aumento di precarietà e disoccupazione? Ma come si fa a credere ancora che l’austerità serva per abbattere il debito, quando il debito di tutti i paesi dell’area euro è esploso proprio in virtù dell’applicazione cieca delle famose politiche del rigore? Come si fa a non capire che è in atto un progetto politico (definito “complotto” dai meno lucidi), gestito e supervisionato da una manipolo di burocrati illuminati, volto a regolare i conti una volta per tutte con le “masse plebee”?Non siete stanchi di sentire che la ripresa arriverà l’anno prossimo, e poi l’anno prossimo ancora? A nessuno sorge il dubbio che le famigerate “riforme strutturali” rappresentino poco più che un espediente retorico per giustificare la prosecuzione di una crisi in realtà voluta ed indotta? Non è dai tempi di Mani Pulite che il sistema di potere promuove senza sosta (destra o sinistra poco cambia) riforme destinate a colpire le pensioni, la rappresentanza democratica, i diritti dei lavoratori, il welfare e i salari? Non vi sono bastati venti anni di sbornia neoliberista, caratterizzati da una colossale svendita di Stato, per smascherare i trucchi usati da uomini senza scrupoli né morale? Resto sbigottito, incredulo e allibito. Noi del Movimento Roosevelt non ci stancheremo di dirvi che dalla crisi non usciremo mai fino a quando il popolo, per mezzo di rappresentanti democraticamente eletti, non intenderà riappropriarsi della sovranità che gli spetta.Bisogna riportare la Banca centrale sotto il controllo del potere politico per rifuggire dal continuo ricatto dei “fantomatici mercati”; bisogna varare su scala europea un piano per la piena occupazione al fine di rilanciare i consumi e ridare fiato alle imprese; bisogna rafforzare il welfare ed investire nella ricerca, e bisogna infine favorire la partecipazione dei cittadini nella formazione dei processi decisionali allargando e non comprimendo il perimetro democratico. Questo bisogna fare, avendo cura di coniugare libertà economica e interesse generale, giustizia sociale e meritocrazia. Ma bisogna farlo al più presto. Perché ogni giorno che passa i vari Draghi, Schaeuble, Hollande, Renzi e Merkel sradicano impunemente un albero dal nostro giardino. E se nessuno riuscirà a fermarli, in berve tempo il Vecchio Continente si trasformerà in un deserto di malinconia, rimpianto, cattiveria e depressione.(Francesco Maria Toscano, “Mentire sempre, comunque e a qualsiasi costo”, dal blog “Il Moralista” del 31 marzo 2015. Toscano è segretario del Movimento Roosevelt, co-fondato con Gioele Magaldi).I dati forniti dall’Istat smentiscono l’interessato ottimismo sparso a piene mani dal premier Matteo Renzi e dal suo ministro del lavoro Giuliano Poletti. La disoccupazione, con buona pace del Jobs Act, continua ad aumentare, mentre la crescita resta un miraggio. Da quasi quattro anni, dall’arrivo cioè di Mario Monti sul trono d’Italia, i grandi media annunciano senza sosta l’imminente ripresa di un’Italia sempre più povera, stanca e sfiduciata. Chi di voi ricorda le promesse del professore di Varese, ridicolo fino al punto da ipotizzare un aumento del Pil prossimo al 10% in virtù delle famose liberalizzazioni riguardanti quattro tassisti e qualche farmacista? E chi di voi ha dimenticato il “piano giovani” varato da Enrichetto Letta, approvato in teoria per dare un futuro a generazioni intere senza speranze né prospettive? E come sarà possibile scordare in fretta le tante menzogne veicolate dell’attuale premier Matteo Renzi, degno successore dei vari Monti e Letta? Il gioco è semplice e scoperto: mentire, mentire e poi mentire ancora. Anche di fronte all’evidenza, anche a costo di sfidare la logica e di umiliare la verità e il buon senso.
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Barnard: via la dittatura? Solo grazie a un nuovo Gorbaciov
La dittatura dell’élite crollerà solo dall’interno, se e quando – al momento buono – verrà fatta collassare da esponenti dello stesso potere, illuminati e preparatissimi, capaci di restare sott’acqua per anni, conquistando la fiducia degli egemoni. E’ la lezione della storia: l’impero sovietico fu fatto cadere nel solo modo possibile, e cioè dal suo interno, grazie all’ex presidente del Kgb, un certo Mikhail Gorbaciov. Lo sostiene Paolo Barnard, prendendo spunto da opposte riflessioni fornite da attenti lettori, divisi sul ruolo politico di strumenti di comunicazione di massa come Facebook. Straordinaria opportunità di veicolare messaggi rivoluzionari in modo virale o “oppio dei popoli” per concedere a tutti la possibilità di uno sfogo innocuo e comunque controllato dal sistema industriale delle comunicazioni? Sono vere entrambe le interpretazioni, scrive Barnard sul suo blog. Con tutti i suoi limiti, persino Facebook può servire la causa dell’umanità. A patto però che, un giorno, si svegli un Gorbaciov disposto a terremotare il potere. Viceversa, ogni tipo di rivolta dall’esterno sarà perfettamente inutile.Nicolas Micheletti è ottimista: Facebook, scrive, è un’arma decisamente sottovalutata. E’ vero, «può portare dipendenza patologica, ci stacca dalla realtà, ci toglie tempo libero per studiare testi che ci aprirebbero la mente». Ma il network creato da Zuckerberg può anche informare e sensibilizzare: «Con Facebook ogni persona può essere un “giornalista”, ogni persona può essere una rampa per l’informazione». Lorenzo Cortonesi invece non si fa illusioni: il social network ti concede sì di circuitare idee intelligenti, ma «a patto che non rompi troppo i coglioni». Ovvero: «Se tu arrivassi a 60 milioni di visualizzazioni», cioè «i numeri che davvero cambierebbero qualcosa», magari per parlare dell’“economicidio europeo”, «scompariresti nella nebbia in 20 secondi esatti». Motivo: «Non è concepibile usare Fb per fare “vero giornalismo”, semplicemente perchè non è stato creato per questo».Realismo: «Credi davvero che uno di noi o tanti di noi possano cambiare il mondo con Fb? Por favor». Davvero pensiamo che «una Merkel, un Draghi, non sappiano cos’è Facebook e che cosa potrebbe scatenare se davvero “funzionasse”?».«Nulla viene lasciato al caso, con multinazionali come queste», scrive Cortonesi, rispondendo a Micheletti. «Fb è solo quello che Paolo Barnard disse una volta (e con piena ragione) in una sua vecchia intervista a proposito di Grillo e il suo movimento di grillini: una valvola di sfogo. Io aggiungo, un luogo per apatici rincoglioniti, ridotti a postare mici e aforismi del cazzo. Nulla di più. E questo non preoccupa nessuno». Chi invece ha provato seriamente a fare informazione «è stato bannato, censurato, oscurato». I motivi? «Apparentemente tecnici o di comportamento», ma nella realtà «“rompi il cazzo e sei pericoloso”: ne abbiamo avuto prova proprio in questi giorni con la pagina di Paolo, rimossa più volte». Quindi, «non facciamoci abbindolare sempre da queste “visioni” salvifiche: non cambi niente da casa, seduto a scrivere un articolo». La verità è che «i “rentiers” se ne strafregano di Facebook perché sono loro che ci mettono i soldi per farlo campare». Ok. Che fare, allora? Solo lo 0,2% dell’opinione pubblica, secondo Barnard, «ha compreso che chi comanda la nostra vita in tutto ciò che conta sono oggi strutture sovranazionali immensamente potenti». Quindi, «quali strumenti e strategie dobbiamo usare per arginare The Machine?».Francamente: «Conta qualcosa fare cartelli con lo spray e sfilare per le strade? Conta Facebook? Conta informare la gente, e la… gggènte? Conta fare Onlus e associazioni? Conta uno sciopero della fame o mettere il proprio corpo contro proiettili di gomma?». Il grande giornalista, autore de “Il più grande crimine” (prima clamorosa denuncia contro il “golpe” finanziario dell’élite neo-feudale che sta rottamando la democrazia) propende per un’altra soluzione: forse, aggiunge, «l’unica cosa che conta davvero è starsene muti per 35 anni della propria vita, arrivare come colletti bianchi dentro le stanze di un ministero, dentro quelle di una megabanca, dentro quelle di una potente think tank, quelle della Bocconi, della Sapienza e, dall’interno, sferrare l’attacco». E spiega: «L’Urss non l’hanno neppure intaccata di una scheggia i sacrifici tragici ed eroici dei dissidenti spediti in manicomi o in Siberia, l’ha fatta crollare dall’interno proprio il suo presidente (e non certo Reagan o il Papa)». Per Barnard, «il colpo finale al Vero Potere, se mai accadrà, sarà sferrato da una coalizione di super-tecnocrati favorevoli all’Interesse Pubblico». Personaggi «dalla preparazione micidiale (spaccano un capello in due con uno sguardo…), già insediati in posizioni di potere». Semplificando, aggiunge Barnard, è «ciò che successe quando John Maynard Keynes, Piero Sraffa e alcuni intellettuali altolocati inglesi come William Beveridge, tutti interni al Potere britannico, teorizzarono lo Stato Sociale, la Piena Occupazione, e l’economia nell’interesse pubblico». Quegli uomini «cambiarono il mondo di allora in Europa».Accadde anche in Italia, nel 1970, grazie a Giacomo Brodolini e Gino Giugni, «autori del più avanzato Statuto dei Lavoratori (pro lavoratori) del mondo». Erano anch’essi «colletti bianchi già interni al Potere. Eccezionali». La missione, oggi, è proprio questa: indirizzare i nuovi Gino Giugni verso la Mosler Economics, la sovranità monetaria, per liberare lo Stato dal ricatto della finanza e riconvertire l’economia verso la piena occupazione. I nuovi insider dovranno crescere nell’ombra e scalare posizioni di potere per poi scardinare, un giorno, il dispositivo neo-feudale che sta cancellando la civiltà democratica europea. Come Gorbaciov, gli insider dovranno conquistare la piena fiducia della Macchina: e quindi «scalare posizioni nei partiti, nei governi, nelle amministrazioni, in Ue», come fossero «impassibili finti burattini del Vero Potere». Il rischio? E’ che, al momento buono, il loro attacco «venga soffocato anche dall’interno della stanza dei bottoni». E qui allora entrano finalmente in gioco le associazioni, le Ong, gli attivisti: senza mai svelare il loro collegamento con i «colletti bianchi infiltrati», i militanti devono fin d’ora «lavorare come pazzi per divulgare sul territorio e alla popolazione intellettualmente raggiungibile», cioè non la totalità dell’opinione pubblica, «il messaggio economico di salvezza nazionale che i colletti bianchi serbano nascosto».La missione, dunque, consiste nel «rivelare al popolo raggiungibile l’inganno fatale del Vero Potere di oggi». In altre parole, «devono fargli capire che non esiste un’altra strada, e che la distruzione della civiltà dei diritti è ormai completa». Massima urgenza, quindi. Quest’opera di “facilitazione”, spiega Barnard, serve a risolvere un punto cruciale: «Creare una relativa massa di opinione pubblica che sappia farsi sentire, o meglio rumoreggiare, quando i nostri colletti bianchi porteranno alla luce le loro proposte per l’Interesse Pubblico dentro il Vero Potere». Quando tenteranno di soffocarli, «se le opinioni pubbliche, anche in numeri esigui ma rumorosi, si faranno sentire, il Vero Potere si spaventerà». Infatti, sottolinea Barnard, «l’unica cosa al mondo che può intimidire il Potere sono le opinioni pubbliche che si ribellano, o anche solo… l’impressione che le opinioni pubbliche si siano sollevate». Non ne siete convinti? «Come credete che abbia fatto un Pannella a portare in Italia aborto e divorzio in un’epoca in cui il potere del Vaticano/Dc era stellare? Si mosse una fetta (piccola ma rumorosa) di opinione pubblica». La “gente” è meglio lasciarla perdere: la maggioranza «conta meno di una solida, determinata minoranza di cittadini che si fa sentire». Quindi va bene tutto, anche Facebook. Purché il disegno sia chiaro.La dittatura dell’élite crollerà solo dall’interno, se e quando – al momento buono – verrà fatta collassare da esponenti dello stesso potere, illuminati e preparatissimi, capaci di restare sott’acqua per anni, conquistando la fiducia degli egemoni. E’ la lezione della storia: l’impero sovietico fu fatto cadere nel solo modo possibile, e cioè dal suo interno, grazie all’ex presidente del Kgb, un certo Mikhail Gorbaciov. Lo sostiene Paolo Barnard, prendendo spunto da opposte riflessioni fornite da attenti lettori, divisi sul ruolo politico di strumenti di comunicazione di massa come Facebook. Straordinaria opportunità di veicolare messaggi rivoluzionari in modo virale o “oppio dei popoli” per concedere a tutti la possibilità di uno sfogo innocuo e comunque controllato dal sistema industriale delle comunicazioni? Sono vere entrambe le interpretazioni, scrive Barnard sul suo blog. Con tutti i suoi limiti, persino Facebook può servire la causa dell’umanità. A patto però che, un giorno, si svegli un Gorbaciov disposto a terremotare il potere. Viceversa, ogni tipo di rivolta dall’esterno sarà perfettamente inutile.
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Non c’è nessuna crisi, gli oligarchi vogliono sacrifici umani
In passato alcuni lettori mi hanno contestato l’utilizzo dell’espressione “nazisti tecnocratici” in riferimento a certi personaggi che condizionano le leve di potere in Europa. Il tempo, sempre galantuomo, si è preso la briga di validare alcune mie passate intuizioni, rendendo sempre più palesi e scoperte le pulsioni omicidiarie che attraversano il Vecchio Continente. Preliminarmente tengo a precisare i contorni della mia analisi, conoscendo perfettamente le differenze che intercorrono tra il modello operativo del Fuhrer originale rispetto a quello abbracciato dal suo tardo-epigono Mario Draghi, vero dominus del progetto di annichilimento della civiltà europea ora in atto. Le scellerate condotte poste in essere dai nazisti originali traevano ispirazione dall’assorbimento di una filosofia occulta che non riconosceva dignità a tutti gli esseri umani. Il popolo germanico, ieri come oggi, si sentiva colpito nella sua ontologica purezza, minacciato da un meticciato composto da popoli inferiori da schiavizzare e polverizzare.L’uccisione e la deportazione di neri, zingari ed ebrei, in questa ottica, risultava essere niente di più e niente di meno che un necessitato effetto collaterale da sostenere al fine di salvaguardare un interesse più alto (la salvaguardia della purezza del popolo germanico per l’appunto). I tedeschi di oggi, sempre manipolati da una èlite perversa, sentono di dover difendere con la stessa ottusa foga di allora un altro mito falso: ovvero la purezza del bilancio, messa in discussione adesso non più da neri ed ebrei, ma da imprecisate “cicale mediterranee” pronte a trascinare nella spirale del vizio i virtuosi discendenti di Ario. La pubblica opinione tedesca è palesemente manipolata da quelle stesse penne che, in Italia, tentano pateticamente di addossare al popolo greco la responsabilità della crisi in atto. L’idea del sacrificio rituale come momento “purificante” è da sempre parte della Storia. Oggi, però, in ossequio alle regole formali tipiche di una società apparentemente laica e tecnologica, anche il sacrificio rituale di massa deve giocoforza sublimarsi in maniera apparentemente neutra e incruenta.Finita la premessa passiamo insieme dalla narrazione astratta al caso concreto. Il neoeletto premier greco Tsipras ha calendarizzato l’approvazione di una legge pensata per affrontare una “emergenza umanitaria”. Il termine “emergenza umanitaria”, utilizzato in termini asettici e non enfatici, testimonia la gravità della situazione. Un numero cospicuo di cittadini ellenici, infatti, rischia di morire di freddo, fame, malattie e stenti a causa delle misure di austerità impartite dalla famigerata Troika. Non c’è nulla di retorico o populista nel sottolineare un dato oggettivo e non contestabile. Molti bambini greci sono effettivamente denutriti; molte famiglie elleniche sono state per davvero gettate in mezzo ad una strada e molti malati sono realmente morti in conseguenza di mali curabili a causa della criminale soppressione del servizio sanitario universale. Cosa fanno i nazisti tecnocratici per impedire che il governo Tsipras spenda pochi spiccioli al fine di salvare la vita di molti suoi concittadini? Minacciano ritorsioni, proprio come i nazisti autentici protagonisti dell’eccidio di Sant’Anna di Stazzema. E perché i vari Juncker, Dijsselbloem, Schaeuble, Draghi e Merkel dovrebbero osteggiare l’approvazione di lievi misure umanitarie che appaiono nient’altro che buon senso agli occhi di qualsiasi uomo per bene?Invito quelli pronti a rispondere perché “non bastano i soldi” a non dire, né pensare, fesserie, considerata anche l’immensa liquidità che il nostro banchiere centrale ha appena promesso di iniettare nel circuito finanziario europeo fino a data da destinarsi. E allora, perché? Perché gli odierni padroni credono di acquisire forza e vigore dal sacrifico del cittadino greco (italiano, portoghese o spagnolo poco importa), espressione di una umanità inferiore e molesta, da tenere sotto il calcagno di un potere crudele e imbellettato che non può rinnegare la sua ferocia senza al contempo negare in radice anche se stesso. Riuscite ora a spiegarvi la ratio di tanta malvagia pervicacia? Mettetevelo bene in tesa, non esiste nessuna crisi economica in atto. E quelli che provano a combattere una “stirpe nera” con le armi della sola macroeconomia sono degli sprovveduti (nella migliore delle ipotesi). La partita è un’altra. E la posta in gioco è decisamente più alta di quanto non sembri. Come oramai sanno i tantissimi cittadini che hanno letto e meditato sulle pagine del libro “Massoni”, recentemente pubblicato da Gioele Magaldi per Chiarelettere editore.(Francesco Maria Toscano, “Non basta una lettura economicistica della realtà per combattere il nazismo tecnocratico”, dal blog “Il Moralista” del 29 marzo 2015).In passato alcuni lettori mi hanno contestato l’utilizzo dell’espressione “nazisti tecnocratici” in riferimento a certi personaggi che condizionano le leve di potere in Europa. Il tempo, sempre galantuomo, si è preso la briga di validare alcune mie passate intuizioni, rendendo sempre più palesi e scoperte le pulsioni omicidiarie che attraversano il Vecchio Continente. Preliminarmente tengo a precisare i contorni della mia analisi, conoscendo perfettamente le differenze che intercorrono tra il modello operativo del Fuhrer originale rispetto a quello abbracciato dal suo tardo-epigono Mario Draghi, vero dominus del progetto di annichilimento della civiltà europea ora in atto. Le scellerate condotte poste in essere dai nazisti originali traevano ispirazione dall’assorbimento di una filosofia occulta che non riconosceva dignità a tutti gli esseri umani. Il popolo germanico, ieri come oggi, si sentiva colpito nella sua ontologica purezza, minacciato da un meticciato composto da popoli inferiori da schiavizzare e polverizzare.
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Barnard: la City, che macina il mondo e le sue comparse
Ci sono, in piedi come un moscerino dell’aceto nel mezzo del più potente polo finanziario del mondo, la City di Londra. Si mangia Wall Street, ve lo garantisco. Pioviggina, e mi guardo intorno. Il grattacielo della Lloyds, una meraviglia che ricorda le creazioni dell’immenso Hans Giger del film Alien. Ho vissuto qui per 11 anni. Mi schiacciano peggio che se fossi un moscerino dell’aceto, io, la Mosler Economics… Gesù. Voi non capite. Voi non capite chi sono questi, come si muovono, voi non sapete che hanno vinto. Hanno vinto da 25 anni. La periferia. Suoni tipo scricchiolii di un infisso, come Renzi, Cgil, Italia, Grecia, Tsipras, Rai, giornalismo, gente, gruppi, associazioni… Qui neppure li sente il barista della tavola calda sotto il palazzo della Hsbc. Non esistiamo, sapete? Non so, Bruno Vespa, Unicredit, Grilli, Padoan, la Mogherini… qui sono scricchiolii, forse qualcuno vagamente ci ha fatto caso, pochi sinceramente. Loro macinano il mondo.La produttività della Germania e della Finlandia è sotto le scarpe, ci dice la City. L’Eurozona… che successo. Il Cancelliere britannico George Osborne ridacchia quando sente parlare Hollande di “tagli ai deficit di bilancio”, cioè le ricette Merkel e Draghi (e della puzzetta Renzi). Ridacchia, è sul Financial Times, non me lo sto inventando. La City… Li ammiro, hanno perso le colonie e hanno vinto il mondo. Il Parlamento Europeo ha tentato la riforma dei Mercati Valutari, ne è uscito un pasticcio che finisce sempre, sempre, per penalizzare la gente. La City ride. La City. La Bce stessa, nonostante le giubilanti dichiarazioni di Draghi che tenta di tutto per mentire, ammette che la disoccupazione nell’Eurozona rimarrà oltre le due cifre % anche se ci sarà la millantata “ripresa”. E allora? Ma che cazzo ce ne frega della “ripresa” se ci terremo il 12, 14% di disoccupazione in Italia col 44% per i giovani?Draghi è riuscito nell’immensa… ehm… impresa di portare i mercati monetari in euro a guadagni NEGATIVI, cioè chiunque abbia investito nella nostra orrenda moneta unica non solo non ci guadagnerà nessun interesse, ma finirà per PAGARE alla banca che glieli custodisce un tasso d’interesse. Di sicuro cresceremo, ma certo, ma di sicuro. Il mondo non vede l’ora di investire in un posto dove deve pagare per aver messo soldi… Ma la City… Sta bene. Io no. E qui piove. Io mi bagno, loro no. La City guadagna SEMPRE, sì, sanno chi è Draghi, hanno vagamente sentito il nome Renzi. Ma loro decidono i tuoi tassi, le commodities, il Libor, l’Euribor, cioè la tua vita, stolto; informati imprenditore, informatevi famiglie, e stanno bene perché manco per il cazzo che sono entrati nell’euro. Non sono scemi alla City. Non sono scemi alla City. E io mi bagno, qui, sotto la pioggia. Voi non capite, le associazioni non capiscono. La City ha vinto il mondo. Sono immensi, infiniti, The Machine. Voi non capite chi sono. Notte.(Paolo Barnard, “La City”, dal blog di Barnard del 26 marzo 2015).Ci sono, in piedi come un moscerino dell’aceto nel mezzo del più potente polo finanziario del mondo, la City di Londra. Si mangia Wall Street, ve lo garantisco. Pioviggina, e mi guardo intorno. Il grattacielo della Lloyds, una meraviglia che ricorda le creazioni dell’immenso Hans Giger del film Alien. Ho vissuto qui per 11 anni. Mi schiacciano peggio che se fossi un moscerino dell’aceto, io, la Mosler Economics… Gesù. Voi non capite. Voi non capite chi sono questi, come si muovono, voi non sapete che hanno vinto. Hanno vinto da 25 anni. La periferia. Suoni tipo scricchiolii di un infisso, come Renzi, Cgil, Italia, Grecia, Tsipras, Rai, giornalismo, gente, gruppi, associazioni… Qui neppure li sente il barista della tavola calda sotto il palazzo della Hsbc. Non esistiamo, sapete? Non so, Bruno Vespa, Unicredit, Grilli, Padoan, la Mogherini… qui sono scricchiolii, forse qualcuno vagamente ci ha fatto caso, pochi sinceramente. Loro macinano il mondo.
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Abolire l’Ue, fabbrica di odio, prima che distrugga l’Europa
A chi cedono sovranità gli Stati nazionali? E poi: sono davvero gli Stati nazionali a cedere sovranità? «Come ha detto recentemente Prodi in un articolo pubblicato da “Il Messaggero”, l’Ue è una commissione intergovernativa la cui unica funzione è l’imposizione di un modello ordo-liberista in cui la potenza politica dello Stato viene messa al servizio di una (meticolosissima) regolazione, finalizzata alla riduzione delle risorse destinate alla società, e all’asservimento e precarizzazione integrale del lavoro», sostiene Franco “Bifo” Berardi. «Il ricatto ha costretto il governo greco a recedere parzialmente, ma il pericolo è che il nazionalismo diventi la sola via di uscita per sfuggire a una Unione che appare sempre più una prigione per il semplice fatto che essa è davvero una prigione». L’espressione “dall’euro non si esce”, che un tempo sembrava una rassicurazione nei confronti di chi aveva un debito consistente, oggi suona al contrario: «Potete anche morire di infarto, non smetteremo di affondarvi le unghie nella carne». Sicché, «parlare di cessione di sovranità a questo punto diviene una truffa».Non sono gli Stati nazionali che cedono sovranità all’Unione, scrive Berardi su “Sinistra in Rete”. «Il fatto che la gestione della guerra Euro-Russa venga assunta direttamente dal presidente francese e dalla cancelliera tedesca significa che di cessione di sovranità non se ne parla neppure». Certo, di tanto in tanto «qualche baggiano racconta che l’Europa deve parlare con una sola voce». Ma lo sappiamo, sono solo «sciocchezze», perché «gli Stati nazionali mantengono intera la loro funzione di governo della popolazione e di decisione sulla guerra». L’Unione Europea, continua Berardi, «stabilisce una cosa soltanto: in che misura gli Stati nazionali rispettano la sola regola che conta: riduzione delle risorse e asservimento del lavoro». Di conseguenza, «non ha più alcun senso attendersi una riforma o una democratizzazione dell’Ue, o anche solo un’attenuazione del rigore finanziario». Non restaurare la sovranità nazionale ma “correggere” l’Unione? Impossibile: «Dato che l’Ue altro non è che una macchina di asservimento ordo-liberista, dietro ogni cessione di sovranità vi è solo cessione di risorse sociali».Berardi teme che un ritorno alla sovranità nazionale monetaria comporti il rischio di «un’involuzione autoritaria», fino alla «guerra civile in molte zone d’Europa». Eppure, ammette, «è quello che succederà, perché è la conseguenza dello strangolamento finanziario progressivo, e ancor di più dell’odio e della sfiducia crescente che i popoli d’Europa provano l’uno per l’altro», dato «il vincolo che li strangola». A questo punto, ragiona Berardi, «o si lascia l’iniziativa di avviare la chiusura dell’esperienza europea alle destre nazionaliste, e il collasso porterà alla guerra civile europea, o un movimento europeo prende l’iniziativa di dichiarare conclusa l’esperienza dell’Unione e inizia il reset dell’unità europea partendo da alcune grandi questioni». Ovvero: una conferenza internazionale sul debito e un’altra sulla migrazione e sull’allargamento dei confini. «Per questo occorrerebbe un’intelligenza e un coraggio politico che non si trova da nessuna parte, a quanto pare. Perciò rassegnamoci alla prima alternativa: la miseria, la violenza, la guerra, il nazismo. Oppure no?».Recentemente, Tsipras ha detto: «Siamo stati lasciati soli». E’ vero, conferma Berardi: «La società europea non ha espresso alcuna solidarietà, se si eccettua l’enorme manifestazione di Madrid». Quanto all’Italia, «la società e la cultura italiana semplicemente non esistono più». La società e la cultura francese? «Sono entrate in un tunnel identitario, da cui il Fronte Nazionale può emergere come forza di governo». In Germania, poi, «nessuno pare rendersi conto dell’odio anti-tedesco che sta montando in ogni città d’Europa: nonostante alcuni flebili distinguo, la società e la cultura tedesca appaiono compatte come accadde nei momenti più tragici». Attenzione: «Il consenso dei tedeschi fa paura, e non si tratta di esprimere “internationale solidaritat”. Si tratta di attaccare l’ordine dello sfruttamento cui i lavoratori tedeschi sono sottoposti». Che fare? Se ci arrenderemo di fronte all’encefalogramma piatto della società europea, dice “Bifo”, sarebbe il collasso sistemico inevitabile a costringerci al brusco risveglio. «Come ha detto Tsipras da qualche parte, non possiamo certo pretendere che i greci, dopo aver fatto da cavia per il “risanamento finanziario”, facciano da cavia per il ritorno alla moneta nazionale. Ma il collasso sistemico arriverà. Più tardi arriva peggio è, per due ragioni facili da capire: più a lungo dura l’Unione Europea, più povera diviene la società. Più a lungo dura l’Unione Europea, più forte e rabbiosa diventa la destra sovranista e nazionalista».A chi cedono sovranità gli Stati nazionali? E poi: sono davvero gli Stati nazionali a cedere sovranità? «Come ha detto recentemente Prodi in un articolo pubblicato da “Il Messaggero”, l’Ue è una commissione intergovernativa la cui unica funzione è l’imposizione di un modello ordo-liberista in cui la potenza politica dello Stato viene messa al servizio di una (meticolosissima) regolazione, finalizzata alla riduzione delle risorse destinate alla società, e all’asservimento e precarizzazione integrale del lavoro», sostiene Franco “Bifo” Berardi. «Il ricatto ha costretto il governo greco a recedere parzialmente, ma il pericolo è che il nazionalismo diventi la sola via di uscita per sfuggire a una Unione che appare sempre più una prigione per il semplice fatto che essa è davvero una prigione». L’espressione “dall’euro non si esce”, che un tempo sembrava una rassicurazione nei confronti di chi aveva un debito consistente, oggi suona al contrario: «Potete anche morire di infarto, non smetteremo di affondarvi le unghie nella carne». Sicché, «parlare di cessione di sovranità a questo punto diviene una truffa».
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La Merkel come Bismarck, nell’Europa riletta da Giannuli
Molti parlamentari italiani non sanno neppure dove stia la Libia, quale città ne sia la capitale e con quali paesi confini? Vero, la classe politica italiana fa schifo, scrive Aldo Giannuli, ma gli altri come sono messi? «Certo, un ceto politico non si improvvisa, e da vent’anni la distruzione dei partiti e la scomparsa di ogni attività di formazione politica hanno prodotto una classe politica scalcinata di improvvisatori, cialtroni e incapaci. Ma, chiediamoci: l’impreparazione del ceto politico è un fatto italiano o più generale?». Restando in Occidente e tralasciando i recenti movimenti di protesta – tipo M5S, Front National, Indignados e “Veri Finlandesi” – il politologo dell’ateneo milanese si concentra sui capi di Stato e di governo che hanno retto i propri paesi dal crollo del Muro di Berlino, cioè dall’avvento della globalizzazione neoliberista. I Bush? Il padre, uno dei pochi non confermati per il secondo mandato. Il figlio? «Uno dei peggiori presidenti della storia americana». Di Clinton, «non si ricordano particolari successi». Soprattutto, Giannuli non ricorda né i bombardamenti su Belgrado, né la clamorosa abolizione del Glass-Steagal Act, che scatenò Wall Street verso l’orgia finanziaria culminata nella crisi mondiale del 2007, dovuta proprio alla licenza di speculare concessa da Clinton a tutte le banche.«Molte speranze aveva suscitato Barack Obama, sia dal punto di vista dell’uscita dalla crisi economica, sia da quello della pace internazionale sia, infine, per quanto riguarda il riequilibrio delle diseguaglianze interne». E invece: nessuna riforma storicamente importante, «dato il modestissimo esito tanto della riforma sanitaria quanto di quella sulla finanza». Sul piano della politica internazionale, Obama «ha chiuso gli interventi in Iraq e Afghanistan, ma lasciando una situazione di sfascio totale», poi «ha partecipato all’intervento in Libia e anche lì la situazione è uno sfascio». Infine «ha rotto con la Russia, creando una situazione che non si vedeva dalla fine della guerra fredda». Un bilancio «forse peggiore di quello di Bush figlio», dice Giannuli, che però non cita le ombre più inquietanti della presidenza Obama: l’introduzione degli omicidi di massa mediante bombardamenti missilistici coi droni, il surreale annucio – senza prove – della presunta eliminazione di Osama Bin Laden in Pakistan e il finanziamento dello jihadismo in Siria, poi riciclato anche in Iraq con la sigla “Isis”. Passerà alla storia la tensione del 2013 con la Russia sulla crisi in Siria, da cui poi le immediate ripercussioni in Ucraina.Singolare anche l’interpretazione che Giannuli fornisce della politica francese. Chirac? «Un presidente mediocre». Eppure, osò opporsi a Bush evitando di schierare la Francia nella guerra contro Saddam: una “mediocrità” di cui oggi ci sarebbe estremo bisogno. Sempre per Giannuli, trascurando l’incolore Hollande, il presidente «di gran lunga peggiore» della storia francese sarebbe stato Sarkozy e non Mitterrand, «cui si deve la riorganizzazione europea dopo la riunificazione tedesca», cioè l’attuale “inferno” dell’Eurozona. Il professor Giannuli lo definisce «un piano molto ambizioso, che sul lungo periodo non ha retto». Secondo la maggior parte degli osservatori indipendenti europei, al contrario, Mitterrand è stato il principale artefice dell’attuale regime tecnocratico europeo: un piano che ha retto benissimo, perché mirato alla confisca della democrazia in Europa. Il grande economista francese Alain Parguez, già insider all’Eliseo, rivelò la natura “monarchica” di Mitterrand e dei suoi più stretti consiglieri come Jacques Attali, quello della famosa frase sulla “plebaglia europea” («credono davvero che l’euro l’abbiamo creato per la loro felicità?»).Altrettanto inconsueta l’analisi di Giannuli sulla Germania. Helmut Kohl? «Al pari di Mitterrand, è stato l’artefice della riorganizzazione europea e dell’ingresso dell’Europa nell’era della globalizzazione». Poi, Schoeder «ha proseguito sulla linea europeista del predecessore», avvicinando la Germania alla Russia e allontanandola da Parigi. E l’abominevole Merkel? «Nel contesto europeo attuale spicca, sembra quasi Bismarck, ma vista sul piano storico si colloca in posizione medio-bassa nella graduatoria. Forse in po’ più su di Schroeder, ma comunque al di sotto di Schmidt o Khol». Non una parola, da Giannuli, sull’Italia, se non l’accenno alla «catastrofe del 1992-93», cioè il ciclone Tangentopoli che cancellò la Prima Repubblica. Chiarissimo, al contrario, un analista di rango come l’economista Nino Galloni: fu Kohl a pretendere la testa dell’Italia – anche con Mani Pulite, appunto – per accettare l’euro imposto da Mitterrand come contropartita dell’unificazione tedesca. Kohl accettò a una condizione: che venisse azzoppata la concorrenza industriale italiana. Ormai è tutto chiaro, ma forse non per Giannuli: «Dovremo tornarci su – conclude – per chiederci il perché di questa decadenza della politica».Molti parlamentari italiani non sanno neppure dove stia la Libia, quale città ne sia la capitale e con quali paesi confini? Vero, la classe politica italiana fa schifo, scrive Aldo Giannuli, ma gli altri come sono messi? «Certo, un ceto politico non si improvvisa, e da vent’anni la distruzione dei partiti e la scomparsa di ogni attività di formazione politica hanno prodotto una classe politica scalcinata di improvvisatori, cialtroni e incapaci. Ma, chiediamoci: l’impreparazione del ceto politico è un fatto italiano o più generale?». Restando in Occidente e tralasciando i recenti movimenti di protesta – tipo M5S, Front National, Indignados e “Veri Finlandesi” – il politologo dell’ateneo milanese si concentra sui capi di Stato e di governo che hanno retto i propri paesi dal crollo del Muro di Berlino, cioè dall’avvento della globalizzazione neoliberista. I Bush? Il padre, uno dei pochi non confermati per il secondo mandato. Il figlio? «Uno dei peggiori presidenti della storia americana». Di Clinton, «non si ricordano particolari successi». Soprattutto, Giannuli non ricorda né i bombardamenti su Belgrado, né la clamorosa abolizione del Glass-Steagal Act, che scatenò Wall Street verso l’orgia finanziaria culminata nella crisi mondiale del 2007, dovuta proprio alla licenza di speculare concessa da Clinton a tutte le banche.