Archivio del Tag ‘Angela Merkel’
-
Bizzi: fine dell’Operazione Corona, a partire dal 12 aprile
Contrordine, cari concittadini: niente più lockdown a Pasqua. Il clamoroso dietrofront di Angela Merkel, che si è scusata coi tedeschi («è stato un mio errore»), secondo Nicola Bizzi conferma quanto annunciato da lui stesso nelle scorse settimane. Ovvero: «Entro una data precisa – il 12 aprile – dovrà essere avviata, in modo vistoso, la de-escalation dell’emergenza Covid». Lo afferma lo storico fiorentino, editore di Aurora Boreale e co-autore del saggio “Operazione Corona, colpo di Stato globale”, nella trasmissione web-streaming “L’orizzonte degli eventi”, il 25 marzo. Una conferma l’ha offerta Gioele Magaldi, poche ore prima, nella diretta su YouTube “Massoneria On Air” condotta da Fabio Frabetti di “Border Nights” sul tema del Grande Reset enunciato a Davos. «Non è certo casuale – ha sottolineato Magaldi – la data del 1° Maggio, serata in cui il Movimento Roosevelt compirà una “passeggiata” a Roma, in piazza Campo dei Fiori sotto la statua di Giordano Bruno, per festeggiare – ci auguriamo – anche la fine del coprifuoco». Magaldi lo definisce «una misura di guerra, vergognosamente adottata in tempo di pace per alimentare in modo subdolo il clima di “terrore sanitario” che si è impossessato del paese a partire dal primo folle lockdown varato nella primavera 2020 da Giuseppe Conte».Colpo di Stato globale? Esattamente, risponde Bizzi. Che cita uno degli autori di “Operazione Corona”, l’esperto finanziario Andrea Cecchi. «Nell’autunno 2019 – riassume Cecchi – il sistema stava letteralmente per esplodere, a causa della crisi dei Repo, le compensazioni interbancarie: la bolla finanziaria (derivati e titoli di Stato) era tale, che tutte le banche rischiavano di saltare per aria, da un giorno all’altro, non essendovi più liquidità per sostenere il debito speculativo a catena». Unica possibile soluzione: l’emissione “oceanica” di miliardi, da parte delle banche centrali: un evento senza precedenti, nella storia. Seriva però un alibi altrettanto “storico”: per esempio una crisi mondiale pilotata, innescabile solo attraverso una pandemia. Cecchi mette in fila due momenti fondamentali: a giugno 2019, la Banca dei Regolamenti Internazionali (Bri) lanciò l’allarme sistemico. Tradotto: sta per crollare l’intero sistema finanziario del pianeta. A ottobre, ecco l’Event 201: viene effettuata la spettacolare simulazione di un evento pandemico capace di paralizzare il mondo, causato da un virus altamente contagioso ma a bassa letalità.Poco dopo, ecco il coronavirus di Wuhan e il lockdown della Cina: per la prima volta nella storia, i cittadini vengono tutti rinchiusi in casa. «Obiettivo immediato dell’operazione: abbattere la domanda e in particolare la richiesta di prestiti. A questo serviva il blocco dell’economia – sostiene Cecchi – in attesa che poi si passasse alla fase due, cioè l’emissione di fiumi di denaro (da parte delle banche centrali) con l’alibi della crisi pandemica». Come dire: non possiamo più lesinare la moneta, dobbiamo “produrla” – a costo zero – senza limiti, e subito. Fece scalpore, in questo senso, l’intervento di Mario Draghi sul “Financial Times” a marzo 2020: agire «come in guerra», inondando di soldi gli Stati, le aziende e le famiglie. Un compito interpretato con tempestività, in Europa, da Christine Lagarde: la Bce ha smentito la sua stessa storia, tenendo in piedi paesi come l’Italia con l’acquisto di Btp per decine di miliardi di euro, senza più badare ai guardiani (tedeschi) dell’austerity. Tutto bene? Sì, se questo serviva a evitare il peggio. Il risvolto è meno nobile, secondo questa lettura: l’intera operazione di monetazione straordinaria sarebbe servita in primis a salvare la finanza, usando come alibi una “pandemia” gonfiata ad arte.E adesso chi si sta adoperando per “sgonfiarla”, a partire dal 12 aprile 2021? Dice Nicola Bizzi: sono esattamente quei soggetti finanziari che ormai si sentono al sicuro: la grande paura del virus, infatti, non “serve” più. Bizzi fa un nome di enorme peso (i Rothschild) e ricorda – sul piano visibile, geopolitico -il ruolo decisivo giocato dalla Russia di Putin: col suo vaccino Sputnik («che è un antinfluenzale») ha di fatto “smontato” il teatro politico-mediatico del terrore, portandosi dietro oltre metà del mondo, dall’India al Sudamerica. «La stessa Cina, che è stata utilizzata per far partire “l’Operazione Corona”, cioè l’epidemia di Wuhan, il grande terrore e la pratica sistematica del lockdown, adesso non vede l’ora di chiudere la partita». Bizzi ricorda il ruolo dell’Italia di Conte: «E’ stato il primo paese occidentale ad applicare la ricetta della dittatura cinese, facendo da apripista per gli altri Stati democratici».Nicola Bizzi vede la mano di Putin anche nella resistenza della Bielorussia, il cui presidente (Alexandr Lukashenko) denunciò di aver subito pressioni dall’Oms e dal Fmi, con offerte miliardarie, per fare il lockdown «come in Italia». In Russia, l’emergenza è finita da tempo: abolito ogni obbligo di distanziamento. «E attenti, la campagna vaccinale sta per essere smobilitata: è clamoroso che i grandi media si siano permessi apertamente di parlare delle reazioni avverse causate dal “vaccino” AstraZeneca, e paesi come la Polonia stanno già sbaraccando i loro centri vaccinali». Per Bizzi, si tratta di un copione preciso: «A fine 2020, nel grande potere, la cordata vincente (finanziaria) ha imposto ai “falchi” di Big Pharma la seguente soluzione: entro il 12 aprile 2021 si sarebbero impegnati a rendere visibile la retromarcia. Per “premio”, non sarebbero stati processati per i loro crimini». Ed è quanto sta avvenendo, assicura Bizzi: «Se davvero il “partito del lockdown” farà dietrofront da metà aprile, non ci sarà nessun Processo di Norimberga per l’abominio che è stato appena commesso, su scala planetaria».Inquietante, sotto questo aspetto, il voltafaccia dell’ex regina d’Europa: la Merkel ha prima annunciato il più severo dei lockdown in occasione delle festività pasquali, e poi – poche ore dopo – si è rimangiata tutto, chiedendo scusa ai tedeschi. E’ l’indizio più evidente del clamoroso terremoto di cui parla Bizzi? «Diciamo che si tratta di ipotesi ben circostanziate, fondate su informazioni precise che provengono dal mondo dell’intelligence, e non solo». Aggiunge Bizzi: da settimane, le agenzie di rating – megafono di Wall Street – annunciano la fine dell’emergenza pandemica entro aprile, con la forte ripresa di settori come il turismo e l’immobiliare. In questa gigantesca farsa – dice Bizzi – i “non-vaccini” in distribuzione (preparati genici sperimentali) verranno usati dal mainstream per giustificare l’allentamento delle restrizioni e la loro veloce scomparsa. In questa partita, più finanziaria che sanitaria – chiosa Bizzi – si era inserito anche un progetto allucinante, quello di chi mirava al “depopolamento” del pianeta attraverso l’inoculo di sostanze pericolose: ma quel progetto è tecnicamente fallito, per nostra fortuna. «Un consiglio? Intanto, evitare quei “vaccini”, che veri vaccini non sono». Se il quadro sarà confermato, del Covid non sentiremo parlare più: doveva servire essenzialmente a stampare miliardi? Bene: missione compiuta.Contrordine, cari concittadini: niente più lockdown a Pasqua. Il clamoroso dietrofront di Angela Merkel, che si è scusata coi tedeschi («è stato un mio errore»), secondo Nicola Bizzi conferma quanto annunciato da lui stesso nelle scorse settimane. Ovvero: «Entro una data precisa – il 12 aprile – dovrà essere avviata, in modo vistoso, la de-escalation dell’emergenza Covid». Lo afferma lo storico fiorentino, editore di Aurora Boreale e co-autore del saggio “Operazione Corona, colpo di Stato globale”, nella trasmissione web-streaming “L’orizzonte degli eventi“, il 25 marzo. Una conferma l’ha offerta Gioele Magaldi, poche ore prima, nella diretta su YouTube “Massoneria On Air” condotta da Fabio Frabetti di “Border Nights” sul tema del Grande Reset enunciato a Davos. «Non è certo casuale – ha sottolineato Magaldi – la data del 1° Maggio, serata in cui il Movimento Roosevelt compirà una “passeggiata” a Roma, in piazza Campo dei Fiori sotto la statua di Giordano Bruno, per festeggiare – ci auguriamo – anche la fine del coprifuoco». Magaldi lo definisce «una misura di guerra, vergognosamente adottata in tempo di pace per alimentare in modo subdolo il clima di “terrore sanitario” che si è impossessato del paese a partire dal primo folle lockdown varato nella primavera 2020 da Giuseppe Conte».
-
Lockdown, medioevo nel 2021: i terrapiattisti del Covid
Uscire dal medioevo: lo chiedeva (in modo “gridato”) un giornalista come Paolo Barnard, co-fondatore di “Report”, almeno dieci anni fa. Nel saggio “Il più grande crimine”, denunciava il carattere neo-feudale dell’élite eurocratica ordoliberista, capace di coniugare neoliberismo economico e autoritarismo politico-sociale nell’adesione fanatica al dogma mercantilista dell’economia “neoclassica”, tra i fantasmi settecenteschi di David Ricardo (prima produco, poi risparmio: senza possibilità di investire a monte, scommettendo sull’economia), come se il denaro fosse ancora un bene materiale e limitato, paragonabile alle materie prime e ai prodotti agricoli come il grano. Al centro della polemica innescata da Barnard campeggiava la grande menzogna sulla “scarsità di moneta”, utilizzata (ormai in tempi di valuta “fiat”, virtualmente illimitata e a costo zero) da un oligopolio privatistico, pronto a imporre l’austerity per ottenere la più grande retrocessione sociale di massa della storia moderna: il debito pubblico come colpa e come handicap, non più interpretato in modo keynesiano come leva strategica destinata a produrre benessere diffuso attraverso investimenti lungimiranti.
-
Sapelli: Draghi contro Merkel, verso un’Ue democratica
Mario Draghi contro Angela Merkel: la contesa di oggi è sui vaccini, ma lo sfondo investe la governance europea a guida tedesca, che ha quasi schiantato l’Italia e fatto scappare la Gran Bretagna. Lo sostiene Giulio Sapelli, storico dell’economia, intervistato da Fabio Carioti per “Libero”. «Peggio di come siamo adesso non si può stare», dice Sapelli. «Dobbiamo batterci non per uscire dalla Ue o dall’euro, ma per introdurre una Costituzione Europea al posto dei trattati attuali. Serve uno Stato di diritto nel quale non comandi più un’unica nazione e dove, anche se una nazione è più forte delle altre, la sua forza sia temperata dalla legge». In fondo, lascia intendere Sapelli, la missione di Draghi – oggi fortemente avversato da Berlino – è proprio questa: impedire il collasso dell’Italia, impostando una “ripartenza” che neutralizzi l’ordoliberismo tedesco, che ha trasformato l’Ue in un grande feudo depresso, senza democrazia, dove si vive malissimo. Lo si è visto anche con il disastro-vaccini: «La guerra fatta al vaccino inglese AstraZeneca la spiego con la grave cecità della Merkel: mi ricorda la guerra della Prussia contro l’Inghilterra, con la differenza che la Merkel non è Bismarck».L’Europa, dice Sapelli, dovrebbe avere tutto l’interesse a mantenere ottime relazioni con l’Inghilterra, «madre di ogni democrazia e Stato più civile e giuridicamente più evoluto di tutti». Per il professore, alla Ue gli inglesi «hanno dato solo cose positive, come certe ottime regole per la governance delle imprese che noi abbiamo applicato male». Angela Merkel? «Non ha saputo sfruttare i vaccini e va verso una sconfitta storica, che in parte già abbiamo visto». Scandisce Sapelli: «La cancelliera si disvela per ciò che è: una politica che ha fatto solo tattica e non ha mai avuto una strategia». E spiega: «Quando vedi il modo in cui si comporta la Merkel con l’Inghilterra, capisci la differenza che c’è tra una potenza marittima come quella inglese, che come tale ha un futuro, e una potenza di terra come la Germania, che senza la guerra non ha futuro. Alla cecità della Merkel, poi, si è unito il tradizionale astio dei francesi verso gli inglesi». E noi? «L’Italia è una potenza di nulla, il problema è proprio questo. Per collocazione dovremmo essere una potenza talassocratica, però non ci siamo mai riconosciuti come tale. Abbiamo preteso di essere una potenza di terra stando in mezzo al mare: una storia tragica».Però la storia la fanno anche gli individui, sottolinea Sapelli. Ed ecco Mario Draghi: «E’ un politico, non un tecnico. Un fine politico non eletto, figura di cui è ricca la storia mondiale. È un uomo che quando si è laureato è andato negli Stati Uniti, e lì è diventato il pontiere tra Washington e Roma: ottima cosa, per noi». Sapelli definisce Draghi un uomo di mediazione: «Sa che i partiti non ci sono più, ma il Parlamento c’è ancora, e quindi lui deve trovare il modo di far passare le proprie leggi: anche attraverso un’attenta applicazione del manuale Cencelli, se serve». È normale che un “fine politico non eletto” arrivi alla guida del governo? «L’Italia non ha più uno Stato di diritto», sostiene Sapelli. «Dopo la legge Bassanini del 1997 e la riforma del titolo V della Costituzione nel 2001, tra Stato e Regioni non si sa più a chi appartengano le competenze. Si aggiunga che un ordinamento come la magistratura è diventato un vero e proprio potere, e si capisce perché la Costituzione italiana non funziona più. Questa situazione permette che emergano persone competenti, che conoscono lo Stato, o meglio ciò che ne rimane».Se anche Fratelli d’Italia fosse entrata nella maggioranza, secondo il professore, sarebbe stato il segno decisivo che ciò che rimane dell’Italia è unito. «Perché qui corriamo il pericolo di tornare ai livelli di prodotto interno lordo che avevamo prima del 2000. Stiamo sprofondando nell’ultimo decennio del Novecento: nel Mezzogiorno già è così». Sprofonda anche l’Unione Europea di Ursula von der Leyen, bocciata alla prima prova decisiva. «Ho conosciuto suo padre, Ernst Albrecht: grande intellettuale protestante», racconta Sapelli. «Fu direttore generale della Commissione Europea, e questo dice molto anche sulla famosa tecnocrazia, fatta di famiglie dove il potere si trasmette per via ereditaria. Però lei non è assolutamente all’altezza del compito, come non lo è questo Armin Laschet, diventato nuovo presidente della Cdu. È l’ennesima prova che la Merkel è di una povertà intellettuale e politica sconcertante: è il filisteismo tedesco fatto persona». Sapelli critica i contratti firmati dalla Commissione Europea con AstraZeneca: «Nemmeno uno studente che deve dare l’esame di diritto privato avrebbe fatto una cosa del genere: il confronto con i contratti preparati dagli inglesi è imbarazzante».Nel Regno Unito, sintetizza il professore, c’è la “common law”, che si basa su un’antropologia positiva: fai, intraprendi, e i controlli dello Stato verranno dopo. «Dietro al diritto romano e germanico (e al codice napoleonico) c’è invece un’antropologia negativa: prima lo Stato, poi il cittadino. Così, i contratti della Ue non si preoccupano di fare arrivare prima i vaccini, ma di spendere meno ed evitare la corruzione: una follia. Siamo in mano a persone irresponsabili». Il grande colpevole? Berlino. «Peggio della leadership tedesca non può esserci nulla. Non facciamoci paralizzare da questa questione: è come se gli antifascisti si fossero rifiutati di combattere il fascismo perché la caduta del fascismo avrebbe aperto le porte al disordine». Per Sapelli, «è tempo di un nuovo Quarantotto europeo». Una rivoluzione come quella del Risorgimento, per dare all’Ue uno statuto finalmente democratico. «O si fa così, o ci sarà una lunghissima crisi di cui pagheranno il prezzo i poveri, i piccoli imprenditori, gli artigiani, i precari, le classi medie. Un’agonia senza fine, ecco qual è l’alternativa».Mario Draghi contro Angela Merkel: la contesa di oggi è sui vaccini, ma lo sfondo investe la governance europea a guida tedesca, che ha quasi schiantato l’Italia e fatto scappare la Gran Bretagna. Lo sostiene Giulio Sapelli, storico dell’economia, intervistato da Fabio Carioti per “Libero“. «Peggio di come siamo adesso non si può stare», dice Sapelli. «Dobbiamo batterci non per uscire dalla Ue o dall’euro, ma per introdurre una Costituzione Europea al posto dei trattati attuali. Serve uno Stato di diritto nel quale non comandi più un’unica nazione e dove, anche se una nazione è più forte delle altre, la sua forza sia temperata dalla legge». In fondo, lascia intendere Sapelli, la missione di Draghi – oggi fortemente avversato da Berlino – è proprio questa: impedire il collasso dell’Italia, impostando una “ripartenza” che neutralizzi l’ordoliberismo tedesco, che ha trasformato l’Ue in un grande feudo depresso, senza democrazia, dove si vive malissimo. Lo si è visto anche con il disastro-vaccini: «La guerra fatta al vaccino inglese AstraZeneca la spiego con la grave cecità della Merkel: mi ricorda la guerra della Prussia contro l’Inghilterra, con la differenza che la Merkel non è Bismarck».
-
Sapelli: ora Draghi salverà l’Italia, cambiando l’Europa
Come giudico l’arrivo di Draghi a Palazzo Chigi? Una notizia molto positiva. Un po’ come Martin Guzman, che da ministro dell’economia argentino sta trattando la ristrutturazione del debito con il Fondo Monetario. Anche lui, come Draghi, non c’entra niente con la maggioranza che esprime il governo. Entrambi hanno messo le loro competenze al servizio del paese. L’Argentina è stato uno dei paesi più ricchi del mondo. I populisti l’hanno portata al fallimento. Il compito di Draghi è quello di evitare all’Italia lo stesso destino. Draghi come Monti? Chi lo dice non ha capito proprio niente. Monti doveva tagliare, mentre Draghi dovrà spendere. La differenza viene dalla diversa formazione. Draghi ha studiato con Federico Caffè, economista keynesiano, e Monti alla Bocconi? La diversità nasce da più lontano. Entrambi hanno frequentato i gesuiti: Draghi al Massimo di Roma e Monti al Leone XIII di Milano. I primi insegnavano il cosmopolitismo, e nel loro album c’è l’evangelizzazione del Sudamerica. Bergoglio incarna perfettamente quella tradizione.L’omaggio che gli ha riservato Draghi in Parlamento è il riconoscimento della missione sociale di questo Papa. I gesuiti di Monti erano giansenisti, che coprivano con una preghiera gli errori del capitalismo. E’ la cultura a fare gli uomini. Draghi è un servitore dello Stato. Trent’anni fa le privatizzazioni servirono a evitare il fallimento. Oggi bisogna ripristinare la crescita. Governo tecnico o politico? Politico: Draghi è un uomo della Prima Repubblica. Cerca il consenso, non lo scontro. Conte era divisivo, Draghi unisce: coltiva l’arte del compromesso. Mattarella, altro esponente della Prima Repubblica, non ha avuto esitazioni a cancellare “l’avvocato del popolo”. Moriremo tutti democristiani? Definirei Draghi un socialdemocratico, con molti riferimenti nel mondo cattolico: un riformista. In Banca d’Italia e poi al Tesoro ha lavorato con Ciampi (che da capo del governo, l’ultimo della Prima Repubblica, ha consacrato il metodo della concertazione come stile di comando); difficile dire che Ciampi fosse democristiano.Nel mio ultimo libro (”Nella storia mondiale. Stati, mercati, guerre”) accuso i partiti italiani d’ignoranza, “perché per spiegare la nostra vita nazionale bisogna capire prima come si muove il mondo”. Volevo dire che quelli di prima non avevano capito nulla, a cominciare da Conte: spuntato dal nulla, frutto della mucillagine che avvolge i palazzi romani. Coltivava l’amicizia con i cinesi di Xi. Flirtava con Putin. I soldati russi a Bergamo come “sanificatori” non credo siano piaciuti. I nostri servizi segreti incaricati di coprire i traffici fra Mosca e Trump. Ad abbattere il governo Conte è stato Renzi. Ma l’onda è partita da molto più lontano. Draghi è un uomo potente. Apprezzato negli Usa, temuto in Germania. L’ex segretario al Tesoro, Timothy Geithner, nell’autobiografia racconta di essere stato incaricato da Obama di negoziare con Berlino la nomina di Draghi alla Bce. Perché? Era l’argine all’egemonia tedesca. Ancora una volta il capitalismo nordamericano ha vinto sull’ordo-liberismo teutonico.Alla fine, però, la Merkel non solo ha accettato, ma ha anche fatto da sponda contro la Bundesbank e la Corte Costituzionale tedesca, che non vedevano l’ora di sbarazzarsi di Draghi. La politica doveva salvare la catena del valore che unisce l’industria tedesca a quella italiana. Hanno provato a sostiturci con la Cina, ma hanno rinunciato: troppo alto il divario di qualità. E poi non tira bella aria da quando il regime di Xi Jinping si è messo a giustiziare i capitalisti, i tycoon e persino le mogli, accusate di adulterio. Finito l’impegno a Palazzo Chigi, Draghi andrà al Quirinale? Tornerà a casa. Potrebbe tentarlo solo un altro incarico in Europa. Che cosa potrebbe esserci in Europa di più importante dopo la Bce? Dopo il Recovery Fund non si torna più indietro: l’Europa avrà una Costituzione. Bisogna solo decidere se confederale o, come piace a me, federale sul modello Usa. A un impegno del genere, Draghi non potrà sottrarsi. Soprattutto se, dopo aver salvato l’euro, avrà tirato l’Italia fuori dai guai.(Giulio Sapelli, dichiarazioni rilasciate a Nino Sunseri per l’intervista sul ruolo di Mario Draghi alla guida dell’Italia pubblicata da “Libero” il 22 febbraio 2021 e ripresa da “Dagospia”. Storico ed economista, Sapelli è una delle voci più autorevoli del mondo progressista e post-keynesiano italiano).Come giudico l’arrivo di Draghi a Palazzo Chigi? Una notizia molto positiva. Un po’ come Martin Guzman, che da ministro dell’economia argentino sta trattando la ristrutturazione del debito con il Fondo Monetario. Anche lui, come Draghi, non c’entra niente con la maggioranza che esprime il governo. Entrambi hanno messo le loro competenze al servizio del paese. L’Argentina è stato uno dei paesi più ricchi del mondo. I populisti l’hanno portata al fallimento. Il compito di Draghi è quello di evitare all’Italia lo stesso destino. Draghi come Monti? Chi lo dice non ha capito proprio niente. Monti doveva tagliare, mentre Draghi dovrà spendere. La differenza viene dalla diversa formazione. Draghi ha studiato con Federico Caffè, economista keynesiano, e Monti alla Bocconi? La diversità nasce da più lontano. Entrambi hanno frequentato i gesuiti: Draghi al Massimo di Roma e Monti al Leone XIII di Milano. I primi insegnavano il cosmopolitismo, e nel loro album c’è l’evangelizzazione del Sudamerica. Bergoglio incarna perfettamente quella tradizione.
-
Non è stato un incidente: avanza un’agenda inesorabile
Un temporale fa dei gesti grigi, racconta Paolo Conte in una bella canzone di qualche anno fa, quando ancora le persone circolavano libere e a viso scoperto, sapendo di non dover temere niente più di quanto gli ordinari programmi dell’universo avessero in cantiere, quanto a imprevisti e inconvenienti. Le agende dell’epoca non avevano raggiunto il grado totalitario, elettromagnetico e satellitare della cyber-zootecnia di oggi: esistevano ancora menti pensanti e dissonanti, zone-rifugio, individui non armati di smartphone e non schedati sui social. Poi crollarono imperi e torri, terrorismi e guerre sbriciolarono le ultime sicurezze insieme alle cosiddette crisi finanziarie. E infine – come da copione – arrivò la grande peste, lungamente annunciata. Irruppe al momento giusto, su uno scenario sbilanciato: la narrazione totalmente ipnotica della leggenda climatica, la santificazione dell’esodo umano sui barconi come destino inevitabile e persino desiderabile, e poi il feudo atlantico momentaneamente fuori controllo, e il marchesato cinese ansioso di servire da clava, nella guerra santa del globalismo mercantile fatto solo di numeri e obbiedenza cieca.Il grande strappo era necessario, per l’agenda dei sommi pianificatori, che a loro volta hanno l’aria di essere meri esecutori, sia pure dotati di formidabile talento per la zootecnia antropologica. Non è stato un incidente, il vortice che ha spalancato il baratro del 2020. Non è stato un incidente, si suppone, nemmeno la disavventura in cui è incorso Boris Johnson, l’uomo che si era schierato contro la follia dei lockdown. Ad avanzare sospetti è Gioele Magaldi: ne parlerà nel suo prossimo libro, in uscita a ottobre, con risvolti allucinanti sulla genesi del grande strappo. Il premier inglese sarebbe stato prima spaventato a morte e quasi ucciso, e poi blandito con sapienza, perché non si sognasse di fare del Regno Unito un cattivo esempio, cioè un paese che esce dalla peste col minimo di vittime, senza devastare l’economia e l’esistenza stessa di milioni di persone. Qualcosa del genere, in piccolo, dice sempre Magaldi, era avvenuto nella Francia sconvolta dagli attentati terroristici: si trattava di piegare François Hollande, investito come leader anti-rigore (in opposizione alla nefasta leadership della Merkel) e poi ricondotto alla ragione, tra minacce e promesse.Piccolezze, forse, di fronte alla magnitudo planetaria del grande strappo in corso, il cui copione prevede l’attesa messianica di un vaccino anomalo, un preparato genico che agisce direttamente sul Dna, senza che si conoscano gli effetti dell’innesto, per poi passare – progettandola da subito – a una sorta di riconversione universale del vivere, pensata dall’alto, sulla base di calcoli riservati e proiezioni inconfessabili, fidando come sempre nella docilità della politica, ormai ridotta a intrattenimento imbarazzante, e nella lingua biforcuta della narrazione, parole e voci a cui la maggioranza dormiente non sa ancora staccare la spina. Le acuminate analisi dei non pochi eretici si spingono tra le nubi a bassa quota, nei cieli intermedi dove i globocrati esercitano il loro imperio incontrastato, affidato a volti rassicuranti che declinano parole d’ordine soavemente decantate a reti unificate. Rasoterra c’è chi ancora guarda alle scimmiette dei partiti; qualcuno riconosce addirittura gli ordini degli invisibili manovratori, ma poi non indovina da dove vengano, a loro volta, gli ordini che anche costoro ricevono. E intanto il temporale avanza, come ricorda Paolo Conte, e fa i suoi gesti grigi.Un temporale fa dei gesti grigi, racconta Paolo Conte in una bella canzone di qualche anno fa, quando ancora le persone circolavano libere e a viso scoperto, sapendo di non dover temere niente più di quanto gli ordinari programmi dell’universo avessero in cantiere, quanto a imprevisti e inconvenienti. Le agende dell’epoca non avevano raggiunto il grado totalitario, elettromagnetico e satellitare della cyber-zootecnia di oggi: esistevano ancora menti pensanti e dissonanti, zone-rifugio, individui non armati di smartphone e non schedati sui social. Poi crollarono imperi e torri, mentre terrorismi e guerre sbriciolarono le ultime sicurezze, con l’aiuto delle cosiddette crisi finanziarie. E infine – come da copione – arrivò la grande peste, lungamente annunciata. Irruppe al momento giusto, su uno scenario sbilanciato: la narrazione totalmente ipnotica della leggenda climatica, la santificazione dell’esodo umano sui barconi come destino inevitabile e persino desiderabile. E poi il feudo atlantico momentaneamente fuori controllo, e il marchesato cinese ansioso di servire da clava, nella guerra santa del globalismo mercantile fatto solo di numeri e obbedienza cieca.
-
La sfida: resettare i partiti-farsa e rifondare la politica
«Disinnescato Conte, una volta insediato il governo di Dragon Ball, Renzi passerà alla fase 2 affinché non fallisca la congiura fiorentina», architettata «per tirare fuori il paese dalle secche, a un passo dall’insolvenza», e soprattutto rilanciare – dopo anni di panchina – «l’ex Bullo di Rignano, perfetto genio guastatore, che ha rinunciato a un Conte-Ter oggi per una gallina domani», ovvero «quella dalle uova d’oro del suo vero pigmalione: il cavaliere Silvio Berlusconi». Con il consueto stile scanzonato, “Dagospia” ricostruisce così un importante retroscena della crisi di palazzo che ha portato alla defenestrazione di Conte a opera del sabotatore Renzi, di cui a qualcuno poteva sfuggire la logica: solo in Italia potrebbero accadere cose simili, fingeva di meravigliarsi l’influencer Andrea Scanzi, insieme ai colleghi del “Fatto”, giornale trasformato in house organ dell’ex “avvocato del popolo”. Ma come, si cola a picco un governo-meraviglia proprio in piena crisi pandemica, e davanti all’urgenza del Recovery Plan? E a sfasciare tutto, inorridiva Scanzi, è un partitino che mette insieme appena il 2% dei voti?Velo pietoso, sul “Fatto”: viaggiando ormai a fari spenti, Marco Travaglio (sfidando il ridicolo, come fan numero uno di “Giuseppi”) si era spinto a consigliare al primo ministro di procedere con la pesca miracolosa dei senatori voltagabbana, pur di salvare la poltrona. E’ lo stesso Travaglio che giurava di credere alla religione moralistica di Grillo & Casaleggio, quella del “Vaffa” e del celebre “uno vale uno”. E pazienza se poi la realtà ha raccontato esattamente il contrario della fiction elettorale: un movimento-farsa zeppo di incapaci disastrosi, pronti a tradire gli elettori e a sostenere per oltre un anno il governo più catastrofico della storica repubblicana, nato solo per stoppare Salvini ma poi capace di una specie di miracolo, regalando all’Italia il record della peggior prestazione europea sul Covid: elevatissimo numero di vittime e spaventoso collasso economico. Ma niente paura: mentre “Giuseppi” finalmente crollava, i mezzibusti televisivi del “Fatto” stavano ancora a domandarsi come fosse possibile che un simile esecutivo da Premio Nobel venisse affossato da un minuscolo insetto molesto e insignificante, tale Matteo Renzi.Perfettamente inutile sperare che i giornali – non solo il “Fatto” – spieghino il retroterra profondo della crisi italiana, che ha infine spinto il Quirinale a commissariare la politica nazionale imponendo Draghi, di fronte alla bancarotta del sistema. La recita andata in scena per decenni (centrosinistra contro centrodestra, con varianti colorite ma sempre irrilevanti) è servita solo a far marciare l’agenda neoliberista: azzerare lo Stato, trasformandolo in arcigno esattore, e lasciando piena licenza di razzia ai grandi gruppi privati. Ultimo grande diversivo, le spettacolari ciance di Grillo: prima di rimangiarsi la parola su ogni proposito enunuciato, il baby-movimento neo-monarchico agli ordini dell’Elevato era riuscito a dire no a tutto, tranne all’unico nemico (quello vero), dominante da decenni, cioè il potere apolide del “pilota automatico”, imposto dai burattini di Bruxelles. Meglio l’innocuo populismo: alzare i toni contro il nulla, la “casta”, il “partito di Bibbiano” (con cui poi sedere al governo). Ragli sonori, come quelli contro i costi (trascurabili) della politica, senza preoccuparsi di una politica che sia innanzitutto efficiente, capace e coraggiosa.Un filone fortunatissimo, in Italia: a inaugurare il populismo elettoralistico fu Berlusconi, poi imitato da Renzi (in salsa politically correct) e infine da Grillo, in versione gridata, fino all’ultimo grande urlatore, Salvini. Fa eccezione il Pd, limitatosi al ruolo notarile di freddo esecutore dei peggiori diktat europei, sepolta per sempre l’antica ispirazione socialista dei fondatori. A tutto questo, ora – complice la sciagura-Covid – qualcuno ha staccato la spina, inducendo Mattarella a lanciare in pista Mario Draghi: non solo per tamponare le voragini (sanitarie, economiche e sociali) create da “Giuseppi”, ma anche e soprattutto per resettare un sistema politico da tempo in coma farmacologico. Primo passo: costringere i finti avversari a cooperare tra loro, sostenendo il medesimo esecutivo, e lasciando agli ultimissimi urlatori (Meloni, Di Battista, Paragone) il premio di consolazione degli applausi gratuiti, destinati a chi non intende candidarsi davvero a governare niente.A valle della strategia, resta la tattica: di questa si occupa, in modo brillante, “Dagospia”, che legge – nell’ultima giravolta renziana – la «fusione a freddo» in arrivo, tra Forza Italia e Italia Viva, «con un pizzico di Bonino e una spruzzata di Calenda». Renzusconi, certo: servirebbe anche «per racimolare un dignitoso 12-15%, sempre comodo per salvaguardare gli interessi mediatici del Banana, Media For Europe, con sede legale in Olanda, preda dell’ex amico d’oltralpe Bollorè e momentaneamente “al riparo” nei box dell’Agcom». A Draghi, infatti – scrive “Dago” – non risulterà difficile «convincere il portacipria di Brigitte, cioè Macron, che alla Francia è già andata in dote la Fiat e va bene così: non è il caso di tirare troppo la corda delle Telco, perché anche la fibra a volte si spezza e si finisce nella Rete (unica, magari)». Ma il passaggio di testimone da Berlusconi – privo com’è di eredi dotati di leadership – a Renzi, «ben felice di occupare l’area del centro», è stato improvvisamente «messo a soqquadro dall’improvvisa conversione a Ue dell’ex sovranista Salvini», il quale punta allo stesso obiettivo di Renzi: prendersi Forza Italia, anche grazie a Denis Verdini, Mara Carfagna e Giovanni Toti.Archiviato il Papeete, il capo leghista «ha capito al volo che l’appello di Mattarella “a tutte le forze politiche presenti in Parlamento, perché conferiscano la fiducia a un governo di alto profilo”, poteva essere il momento giusto per abiurare l’antieuropeismo legaiolo senza perdere la faccia». Secondo il newsmagazine di Roberto D’Agostino, la visione dell’ex Truce, supportato dal “partito del Pil” (il quartetto Giorgetti-Fedriga-Zaia-Fontana, da sempre a favore della svolta) è di portare la Lega nel Partito Popolare Europeo. «E una volta che la Cdu di Angela Merkel potrà accettarlo, lascerà al loro destino i due rospi del sovranismo, Marine Le Pen e la tedesca Afd». Sarà «un percorso di riverginazione, che prenderà almeno un anno», scrive “Dago”, immaginando – in modo molto avventuroso – che la Merkel (in realtà in uscita) sarà ancora l’imperatrice europea, e che la stessa Ue sia destinata a restare uguale a se stessa, a prescindere dagli scossoni in arrivo proprio dall’Italia, dove l’ex profeta del “pilota automatico”, Draghi, ha già chiarito – da almeno due anni – che il futuro passa per il ritorno a Keynes, smentendo decenni di eurocrazia post-democratica.Cambiare l’Europa: è questo il tema di fondo, che “Dagospia” sembra non cogliere, limitandosi a monitorare il piccolo cabotaggio dei mini-leader italiani, Renzi e Salvini, intenti a prenotare per sé le spoglie politiche del Cavaliere. Movimenti che evidenziano l’imminenza di rivolgimenti significativi: l’estinzione di Conte e dei grotteschi 5 Stelle (con la loro piattaforma tecno-demiurgica) potrebbe essere sintomatica di una rigenerazione profonda dello stesso impianto eurocentrico, con le correzioni che si attendono da Mario Draghi (non ripristinare il rigore, neppure dopo la fine della stagione Covid). Questo porrebbe in una luce completamente diversa ogni singolo attore politico: il Pd che del rigore è stato il massimo cantore italiano, il Renzi che (come Grillo e Berlusconi) ha solo finto una rottamazione di facciata, e il Salvini – capo dell’attuale primo partito italiano – che potrebbe approfittare dell’evento-Draghi (una stagione virtualmente lunga, se si prolungasse al Quirinale) per contribuire a riscrivere lessico e grammatica delle istanze che oggi impongono l’abbandono delle finte guerre per passare finalmente alla sfida – vera – contro il neoliberismo che in questi decenni ha ridotto la politica a una farsa.«Disinnescato Conte, una volta insediato il governo di Dragon Ball, Renzi passerà alla fase 2 affinché non fallisca la congiura fiorentina», architettata «per tirare fuori il paese dalle secche, a un passo dall’insolvenza», e soprattutto rilanciare – dopo anni di panchina – «l’ex Bullo di Rignano, perfetto genio guastatore, che ha rinunciato a un Conte-Ter oggi per una gallina domani», ovvero «quella dalle uova d’oro del suo vero pigmalione: il cavaliere Silvio Berlusconi». Con il consueto stile scanzonato, “Dagospia” ricostruisce così un importante retroscena della crisi di palazzo che ha portato alla defenestrazione di Conte a opera del sabotatore Renzi, la cui logica poteva sfuggire ai più distratti: solo in Italia potrebbero accadere cose simili, fingeva di meravigliarsi l’influencer Andrea Scanzi, insieme ai colleghi del “Fatto”, giornale trasformato in house organ grillino dell’ex “avvocato del popolo”. Ma come, si cola a picco un governo-meraviglia proprio in piena crisi pandemica, e davanti all’urgenza del Recovery Plan? E a sfasciare tutto, inorridiva Scanzi, è un partitino che mette insieme appena il 2% dei voti?
-
Magaldi: con Draghi, l’Italia cambia la storia europea
«L’Italia, l’Europa e persino il mondo attendono parole nuove: chi saprà interpretarle senza deludere sarà protagonista nella storia, a partire da questo momento». Una frase che sembra scolpita, quella che Gioele Magaldi utilizza per chiarire, in modo inequivocabile, il senso autenticamente post-keynesiano della rivoluzionaria missione di Mario Draghi a Palazzo Chigi. Lui, l’ex principe del massimo rigore (Grecia docet) ora si appresta a capovolgere tutto: non solo il disastro nazionale firmato Conte-Casalino, con la collaborazione dei vari Arcuri, Ricciardi, Speranza e virologi televisivi di complemento. Non si tratta esclusivamente di sventare il collasso del sistema-paese e fare uscire l’Italia dall’incubo-Covid alla velocità della luce, archiviando la psicosi da coprifuoco. La partita è epocale: in gioco è la sopravvivenza degli italiani, con la loro libertà e la loro dignità. Una questione che coinvolge l’intero Occidente, finito sul precipizio dei lockdown forsennati. Se ne esce in un solo modo: trovando il coraggio di azzerare il debito, cioè lo strapotere abusivo e i diktat dell’élite che ha usato ogni mezzo, dalla finanza privatizzatrice alla crisi pandemica, per svuotare la democrazia.
-
Bizzi: Draghi ostile al Great Reset dei padrini di Conte
Attenti agli equivoci: certo che Mario Draghi viene da una super-élite, ma non quella del Grande Reset (da cui, semmai, dipendeva il piccolo maggiordomo Giuseppe Conte). Un avvertimento firmato dallo storico Nicola Bizzi, editore di Aurora Boreale nonché co-autore dell’esplosivo saggio “Operazione Corona: Colpo di stato globale”. Occhio a non confondersi, sottolinea Bizzi: Draghi non è certo una pedina qualsiasi, ma non appartiene al gruppo che, a Davos, ha progettato la distopia orwelliana che, attraverso l’epidemia di Wuhan, ha paralizzato il mondo proprio mentre la somma dei debiti straripava, e oggi infatti avrebbe raggiunto il 365% del Pil mondiale. Lo ricorda sul “Fatto Quotidiano” Luigi Manfra, responsabile dei progetti economico-ambientali Unimed e già docente di politica economica alla Sapienza. Memorabile il “testamento” di Draghi pubblicato un anno fa sul “Financial Times”: dalla crisi pandemica si esce solo ricorrendo ad aiuti finanziari epocali ma a fondo perduto, tagliando drasticamente i debiti. Dunque: attenzione a non parlare a vanvera, raccomanda Bizzi, pensando a chi cita (spesso a sproposito) entità come il Bilderberg.
-
Il piano: noi, Mario Draghi e il grande cimitero dei sogni
E’ notte fonda, e qualcuno passeggia: muove i suoi passi solitari nel cimitero dei sogni, tra i nomi di illustri caduti. Aldo Moro e la lira italiana, il Craxi di Sigonella, l’ultimo Andreotti che tentò di difendere l’Italia dal sacrificio rituale imposto dalla Germania come contropartita, in cambio della rinuncia al marco, onde ottenere dalla Francia il via libera all’agognata riunificazione di Berlino e Bonn. La Francia è ancora quella che lucra sottobanco la rendita imbarazzante del franco Cfa, sulla pelle di 14 paesi africani. Idem la Germania, col suo debito pubblico truccato e l’imbroglio della Kfw, banca pubblica travestita da banca privata, abilitata quindi a finanziare il governo all’infinito, alla faccia dell’Ue e della Bce, specie se anche al Reich mercantile di Angela Merkel toccano le spese extra dell’emergenza Covid. Là in fondo c’è l’Italia, con i suoi eroi come il presidente di Confindustria, che il martedì elegge l’oscuro Gualtieri a stratega del secolo e il mercoledì si genuflette all’altro genio, quello vero, chiedendogli da subito di tagliare le pensioni. L’establishment, lo chiamano. Il back office, il Deep State. L’élite, l’oligarchia. La crema di Davos, gli infidi scienziati del Grande Reset bio-politico, bipartisan e green, politically correct, psico-sanitario e orwellianamente zootecnico.Non sono facili da ricordare, i nomi degli abitanti del piccolo acquario zoo-politico nazionale: si tratta di esemplari comuni di ittiofauna minore e destinata a estinguersi senza lasciare traccia, pur avendo ingombrato le televisioni con la loro non-politica regolarmente emergenziale, vuota e cieca, orientata solo dagli umori volatili dai sondaggetti settimanali. Un copione sempre più increscioso ma in voga da decenni, cioè sin da quando i sogni sparirono dalla politica e finirono, uno dopo l’altro, nel loro speciale cimitero. Il primo grande ospite del mausoleo, secondo Bob Dylan, si chiamava John Kennedy: se viene ucciso come un cane l’Imperatore del Mondo, significa che il piano è partito da molto in alto, e con l’intento di fare moltissima strada. Del resto, un killer lo si trova sempre. E il piano dispone di un intero armadio di passaporti: da quello del Cile, dove assassinare Salvador Allende, a quello della Svezia, il paese in cui freddare il primo ministro Olof Palme sorpreso sottobraccio alla moglie, all’uscita di un cinema, come un cavaliere senza scorta. Un leader a cui non piaceva, la piega che stavano prendendo gli eventi: troppe ingiustizie, troppe bugie.Il piano eliminò il grande sindacalista panafricano Thomas Sankara, profeta della sovranità economica grazie a cui il continente nero avrebbe smesso di essere preda di razziatori e terra di emigranti. Nel cimitero lo seguì l’eroe di guerra Yitzhak Rabin, trasformatosi in campione della pace per spegnere un incendio durato mezzo secolo, usato come alibi da tutti gli incendiari, sotto qualsiasi bandiera. Il piano si era messo a correre, quando Bill Clinton aveva liberato da ogni vincolo la finanza speculativa, cancellando il Glass-Steagall Act con il quale Roosevelt aveva separato le banche d’affari dal credito ordinario. L’appetito degli arconti si fece smisurato: sfrattarono Gorbaciov e fecero un sol boccone della Russia, ma ancora non bastava. C’erano due torri, gemelle, da buttare giù: soffiò così forte, il Re dei Venti, da abbatterne anche una terza, neppure sfiorata da alcun aereo. Bastò a lordare di guerra mezzo mondo, inventando terrorismi tragicamente sanguinosi e pronti a fare strage persino nel cuore dell’Europa, il continente nel frattempo sottomesso con il più antico degli stratagemmi, il monopolio privato del denaro un tempo pubblico.In realtà, il germe primitivo del piano potrebbe essere antichissimo, stando alle memorie del plenipotenziario vaticano Giacomo Rumor, raccolte dal figlio Paolo nel saggio “L’altra Europa”: un’unica filiera scelta per esercitare un potere pressoché dinastico, ereditato addirittura 12.000 anni fa nella terra dei Sumeri, dai misteriosi rifondatori del pianeta. E architettato per dominare – attraverso regni, imperi e religioni, fino alla politica moderna – l’intera umanità post-diluviana, quella che ieri ascoltava il verbo di Greta Thunberg e oggi ha appena finito di assistere allo spettacolo madornale dell’elezione notturna di Joe Biden, dopo aver sentito raccontare che la peste del millennio sarebbe stata trasmessa all’uomo da un maledetto pipistrello. Non si scherza, coi signori del piano: una delle tombe più famose, nel cimitero dei sogni, è quella di Ernesto Che Guevara. E’ a due passi da quella di un altro comunista, Patrice Lumumba, fatto assassinare dal mercenario Moise Ciombé. Si può morire da idealisti, ma la mano del killer non risparmia nemmeno chi ha creduto di proteggersi ricorrendo anche al più spietato cinismo: ne sa qualcosa Muhammar Gheddafi.Poco importa che gli ordini vengano da Ur o da Washington, da Tel Aviv o da Betlemme, da Teheran o da Pechino: dovrebbe essere chiaro a tutti, ormai, che il piano non ha patria. Vuole il mondo, e non da oggi. Lo vuole a qualsiasi costo: ieri facendo morire anche i bambini, in Grecia, rimasti senza medicine, e ora costringendo miliardi di individui a vivere nel terrore, faccia a terra, rinunciando per sempre alla loro relativa libertà. Quando accade qualcosa di mostruoso, il monitor va regolarmente fuori fuoco: lo racconta in modo impareggiabile Dino Buzzati, evocando un nemico incombente – i tartari – che in realtà non si vedono mai. Dove siamo finiti, se siamo arrivati al punto in cui è vietato pensare? Dove siamo, se – per decreto – è vietato anche respirare? Non avrai altro orizzonte che il mio vaccino, dice l’intruso che si è impadronito del pianeta con l’aiuto dei consueti avventurieri, a loro agio tra Wuhan e Parigi, New York e Riad. Dove siamo, se i cosiddetti social media tolgono la parola al presidente degli Stati Uniti, nell’agghiacciante indifferenza di giornali, televisioni e magistrati?Qui, siamo: nel cimitero dei sogni. Che però non è deserto, come potrebbe sembrare. C’è chi passeggia, in piena notte, tra quelle sepolture. Cammina e medita: sa che il piano non è una fantasia, purtroppo, ma non è neppure l’unico. Non c’è mai un solo piano, ce ne sono svariati. E non è detto neppure che i grandi decisori siano così unanimi, nell’attuare quello che appare il disegno dominante, coi suoi risvolti francamente tenebrosi. La storia – scrisse Montale – non è poi la devastante ruspa che si dice: lascia sottopassaggi, cripte, nascondigli. E’ bene non dimenticarlo mai, specie quando il cielo è così minaccioso da far temere il peggio, in mezzo alla desolazione di una dismisura che sembra irreparabile, letteralmente inaffrontabile come una misteriosa malattia, una peste terminale da fine della storia. Qualcuno può farlo deragliare, il piano, senza però che lo si sappia in giro: provvederanno i soliti storyteller, a piccole dosi, a somministrare caramelle ai bambini, il bacio della buonanotte. Si tratta anche di non turbarla troppo, la pace mortale dell’acquario: tutti quei pesci devono continuare a poter fingere di esistere.Smisero, i loro nonni – come ricorda Paolo Barnard – quando i grandi azionisti del piano scomodarono l’avvocato d’affari Lewis Powell, perché approntasse un vademecum. Istruzioni precise, su come intrappolare i sognatori in entrambi i modi, cioè stroncando brutalmente gli irriducibili e comprando tutti gli altri, uno alla volta. Nel mappamondo, la piccola Italia restava un osso duro: c’era da demolire l’Iri, il maggiore aggregato industriale dell’intera Europa, motore (pubblico) del ruggente boom privato. C’era da lavorare molto, per fabbricare una prigione scintillante, senza democrazia, i cui ospiti – italiani e francesi, tedeschi e inglesi – ricominciassero a guardarsi in cagnesco, facendosi le scarpe. C’erano narrazioni favolose, da inventare: sommi tecnocrati, filibustieri e capitani coraggiosi, tutta una classe politica da mandare al macero, o in esilio in Tunisia. C’erano eroi di latta, da lanciare in pista, a dire a tutti: rassegnatevi, d’ora in avanti avrete sempre di meno. E giù applausi scroscianti, anche se poi – incidentalmente – il tritolo disintegrava i giudici antimafia.Quando il fiato si è fatto pesante, sono arrivati infine i saltimbanchi a recitare le loro parodie, le piccole rivoluzioni da operetta. Gli hanno lasciato la scena, per qualche tempo, gli uomini del piano. Ma, al segnale convenuto, hanno ripreso il controllo e accelerato, spingendosi ben oltre l’immaginabile: segregazione obbligatoria e coprifuoco, come in guerra, grazie allo zelo di opportune marionette. Nessuna terapia: il copione prescrive la paura, come medicina unica. E il risultato – l’obbedienza – deve aver sbalordito gli stessi strateghi dell’azzardo: al punto da incoraggiarli a non avere più freni, osando l’inosabile, nel progettare il nuovo inferno per le pecore. Deve saperlo, chi cammina fra le tombe: non sarà facile trovare le parole per cambiare il piano. Serviranno trucchi, l’artificio creativo dell’affabulazione. Non c’è altro linguaggio, alla portata dell’acquario: bisognerà giocare con le stesse antiche frottole, riconvertendole in qualcosa di spendibile, titoli e slogan per l’eventuale nuova era, dando tempo ai frastornati e ai creduloni. Armarsi di pazienza è l’unico sistema, per chi davvero vuol provare a fare uscire i sogni dal loro cimitero.(Giorgio Cattaneo, 5 febbraio 2021)E’ notte fonda, e qualcuno passeggia: muove i suoi passi solitari nel cimitero dei sogni, tra i nomi di illustri caduti. Aldo Moro e la lira italiana, il Craxi di Sigonella, l’ultimo Andreotti che tentò di difendere l’Italia dal sacrificio rituale imposto dalla Germania come contropartita, in cambio della rinuncia al marco, onde ottenere dalla Francia il via libera all’agognata riunificazione di Berlino e Bonn. La Francia è ancora quella che lucra sottobanco la rendita imbarazzante del franco Cfa, sulla pelle di 14 paesi africani. Idem la Germania, col suo debito pubblico truccato e l’imbroglio della Kfw, banca pubblica travestita da banca privata, abilitata quindi a finanziare il governo all’infinito, alla faccia dell’Ue e della Bce, specie se anche al Reich mercantile di Angela Merkel toccano le spese extra dell’emergenza Covid. Là in fondo c’è l’Italia, con i suoi eroi come il presidente di Confindustria, che il martedì elegge l’oscuro Gualtieri a stratega del secolo e il mercoledì si genuflette all’altro genio, quello vero, chiedendogli da subito di tagliare le pensioni. L’establishment, lo chiamano. Il back office, il Deep State. L’élite, l’oligarchia. La crema di Davos, gli infidi scienziati del Grande Reset bio-politico, bipartisan e green, politically correct, psico-sanitario e orwellianamente zootecnico.
-
La fanfara di Auschwitz e il nostro ultimo anno di orrori
Ma davvero siamo ancora qui, dopo un anno di litania funebre pandemica, a parlare di politicanti del calibro di Conte e Renzi, Di Maio e Zingaretti? Lassù giganteggia Angela Merkel, di cui Ambrose Evans-Pritchard sul “Telegraph” ha appena tracciato il mirabile bilancio: ha provocato la Brexit e distrutto l’idea stessa di unità europea come luogo desiderabile. Lo spettacolo, intorno? Monsieur Rothschild impone il coprifuoco alla Francia, l’anonimo Psoe spagnolo si finge socialista, la Grecia alla fame si arma fino ai denti contro la Turchia. E la residuale realpolitik italiana incassa con la mano sinistra una decina di miliardi di euro vendendo elicotteri e fregate all’Egitto, mentre con la destra auspica che l’Egitto faccia giustizia sul caso Regeni, massacrato a due passi dalla Libia, già italiana e poi francese, ora russo-turca in attesa di segnali di fumo dagli ologrammi insediati alla Casa Bianca, dopo la splendida e trasparente sconfitta elettorale inflitta al bieco Donald Trump. Poi, laggiù, resta l’Italia. Il paese di Pasolini e Primo Levi, Giorgio Bocca, Indro Montanelli. Tutti morti: rimane Saviano, prendere o lasciare. Saviano e l’altro Papa, Bergoglio, quello che raccomanda il vaccino etico universale, per la gioia di Big Pharma, Bill Gates e gli apolidi demiurghi di Davos.E appunto, là in basso resta l’Italia: il mitico Recovery Plan solo scarabocchiato da Giuseppi, assistito dal leader del New Pandemic Consenus chiamato Marco Travaglio. Ecco Emma Bonino che invoca l’Alleanza Ursula, i 5 Stelle smarriti nel loro nulla, l’ectoplasma politico che si usa ancora chiamare Pd. Fantasmi: quello di Berlusconi e quello di Draghi vanno a spasso insieme all’ombra di Salvini, il babau di ieri, tra le strida di Giorgia Meloni. Della bomba all’uranio che ha sventrato la politica, tanti anni fa, non c’è più traccia. Girano mezze figure, sempre le stesse, sopravvissute a tutto: D’Alema e Bettini, Gianni Letta e suo nipote Enrico (che raccomanda la resa definitiva al Grande Reset antropologico, al Nulla Sarà Più Come Prima). Incidentalmente, il paese crolla: un milione di senza-lavoro, mezzo milione di mini-aziende chiuse. E gli italiani ancora tutti in casa, quieti, ad aspettare con fiducia la fine del mondo, davanti al televisore che forse quest’anno non trasmetterà l’imprescindibile Festival di Sanremo, giusto per adeguarsi ai teatri chiusi, ai cinema chiusi, ai concerti annullati insieme alle mostre, alle migliaia di negozi e locali sprangati, alle zone rosse, al distanziamento morale e religioso, al coprifuoco eterno, al Ricordati che Devi Morire.Chi l’avrebbe detto, che sarebbe finita così? Finita l’era Bush, sulle macerie dell’11 Settembre si erano aperti interrogativi finalmente luminosi. Persino il fuoco fatuo di Occupy Wall Street aveva aperto occhi dormienti: la Grande Ipocrisia aveva cominciato a dipingersi anche sulla maschera rassicurante di Barack Obama, rendendo evidenti le sozzure del backstage, tra le denunce di Julian Assange e quelle di Ed Snowden. Big Data, Big Tech, Big Tutto: ora siamo alla censura spudorata, alla carcerazione di massa, all’ora d’aria concessa (”consentita”) per portar fuori il cane, mentre a Berlino si allestiscono graziosi lager per eventuali renitenti al Trattamento Sanitario Obbligatorio prescritto dall’Autorità. Letteralmente assordante, il silenzio della cosiddetta società civile: industria, terziario, artisti, pensatori universitari, scrittori e cantanti. Ancora più epico il mutismo dei sindacalisti: zitti su tutto, mentre il casato Elkann si sbarazza della Fiat cedendola ai francesi, e trattando con la Cina per liberarsi anche di Iveco e New Holland, dopo aver intascato miliardi nel 2020 causa crisi pandemica (e milioni, per fabbricare mascherine), tenendo in pugno il suo impero editoriale, “Stampa” e “Repubblica”. Per un anno, su tutto questo ha vigilato l’oscuro Giuseppi, coi suoi Dpcm da Stato Libero di Bananas.Ora si rifà sul serio, che diamine: c’è in ballo l’Alleanza Ursula, caldeggiata da statisti del calibro di Gentiloni e Sassoli, con l’aggiunta del Franceschini Dario. Ursula über alles, la Madonna Pellegrina di Sassonia, nuovo faro della civiltà europea, quella che intanto continua, come niente fosse, a essere retta da una Commissione non elettiva e da una banca centrale privatizzata, cinghie di trasmissione dei poteri fortissimi che parlano attraverso organismi come la Ert, European Roundtable of Industrialists, centomila miglia al di sopra del popolo bue che poi si scanna, nelle ormai inutili elezioni nazionali, appassionandosi alle piccole risse di cortile tra orazi e curiazi. L’ultima, quella italiana, finì ingloriosamente nel 2019, dopo le timide speranze accese l’anno prima dall’ambiguo governo gialloverde, azzoppato sul nascere dall’amputazione di Paolo Savona imposta per tramite di Mattarella. Il paese era già malatissimo, ma ancora non era scoppiata l’ultima guerra: quella affidata a personalità di livello mondiale come Domenico Arcuri, Roberto Speranza, Massimo Galli e gli altri Premi Nobel al servizio della patria.Andrà tutto bene, ragliavano gli italioti dai balconi, festeggiando in tricolore l’unica Liberazione disponibile, quella (alla memoria) di 75 anni fa. Poi vennero l’estate, le sacre elezioni regionali e l’altrettanto sacro Taglio dei Parlamentari. A seguire: la corsa ai tamponi, per gonfiare i numeri della Seconda Ondata, trattata esattamente come la Prima (cioè senza un protocollo per curare, a casa, i malati di Covid). Sempre la pochette di Giuseppi ha fatto in tempo a inaugurare anche la farsa della campagna vaccinale italiana, in un paese che – ormai da 365 giorni, ininterrottamente – non parla altro che di contagi, come se il mondo si fosse fermato per sempre a Wuhan. Banchi a rotelle e monopattini, Dad e smart working, distanziamento e mascherine. Non una soluzione – non una, mai – per uscire dalla catastrofe. Paura, minacce, moniti e intimidazioni, scodellate giorno per giorno dall’oscurantismo della nuova religione scientista, spacciata per scientifica. Un’ipnosi potentissima, micidiale, da cui pare che nessuno riesca a riscuotersi.La recitazione pandemica ha spazzato via tutto: libertà, diritti, democrazia, ragione, senso critico e voglia di vivere, quest’ultima rimpiazzata con l’ingloriosa rassegnazione a una sopravvivenza coatta e precaria nei sottoscala dell’umanità. Un posto umido e buio, dove non è lecito pensare. Decenni di orrori – le guerre neoliberiste, il terrorismo fatto in casa – cancellati con un colpo di spugna sanitario, quasi metafisico, perfetto per sospendere il diritto e dividere le plebi in modo feroce, da una parte la maggioranza cieca e autoritaria degli impauriti, dall’altra la minoranza demonizzata dei cosiddetti negazionisti. Viviamo in un paese dove il governo ha istituito un Ministero della Verità, per far sparire le notizie scomode alla velocità della luce, così come fanno anche Facebook, Twitter e YouTube. Così, la celebrazione della sacrosanta Giornata della Memoria, nel 2021, rischia di avere lo stesso suono sinistro della fanfara che, ad Auschwitz, intonava le note di “Rosamunda” sulla Piazza dell’Appello, nel silenzio ghiacciato dei prigionieri.(Giorgio Cattaneo, “La fanfara di Auschwitz e il nostro ultimo anno di orrori”, dal blog del Movimento Roosevelt del 29 gennaio 2021).Ma davvero siamo ancora qui, dopo un anno di litania funebre pandemica, a parlare di politicanti del calibro di Conte e Renzi, Di Maio e Zingaretti? Lassù giganteggia Angela Merkel, di cui Ambrose Evans-Pritchard sul “Telegraph” ha appena tracciato il mirabile bilancio: ha provocato la Brexit e distrutto l’idea stessa di unità europea come luogo desiderabile. Lo spettacolo, intorno? Monsieur Rothschild impone il coprifuoco alla Francia, l’anonimo Psoe spagnolo si finge socialista, la Grecia alla fame si arma fino ai denti contro la Turchia. E la residuale realpolitik italiana incassa con la mano sinistra una decina di miliardi di euro vendendo elicotteri e fregate all’Egitto, mentre con la destra auspica che l’Egitto faccia giustizia sul caso Regeni, massacrato a due passi dalla Libia, già italiana e poi francese, ora russo-turca in attesa di segnali di fumo dagli ologrammi insediati alla Casa Bianca, dopo la splendida e trasparente sconfitta elettorale inflitta al bieco Donald Trump. Poi, laggiù, resta l’Italia. Il paese di Pasolini e Primo Levi, Giorgio Bocca, Indro Montanelli. Tutti morti: rimane Saviano, prendere o lasciare. Saviano e l’altro Papa, Bergoglio, quello che raccomanda il vaccino etico universale, per la gioia di Big Pharma, Bill Gates e gli apolidi demiurghi di Davos.
-
Censura universale: così cancellano la nostra libertà
Smettiamola pure di preoccuparci di un futuro senza più libertà. Quel futuro è presente, e non come realtà distopica alla George Orwell ma come grossolana quotidianità drammaticamente abituata senza battere ciglio a cedere porzioni di privacy e di indipendenza. Ce le stanno portando via, senza neanche troppi sforzi, concedendoci servizi gratuiti o garantendoci sempre più comodità. Così, appena abbiamo iniziato a chiederci qual è il prezzo di questo nuovo mondo iperconnesso, ecco che ci siamo accorti che forse è già troppo tardi per fare qualcosa. Ci aspettavamo un incubo dai contorni avveniristici come in “Blade Runner” o “Matrix”. Invece è qualcosa di più simile a un episodio di “Black Mirror”. E così un giorno ci siamo svegliati e ci siamo resi conto che è già tutto segnato. Troppo tardi per tornare indietro. Nessuna pillola blu per risvegliarsi dall’incubo, nessuna pillola rossa per sganciarci dalle catene. La realtà è molto più banale. È tale e quale a quella di cinquant’anni fa (niente macchine che volano, per intenderci), ma con una grande differenza: un mondo etereo, Internet, che conta molto pù di quello tangibile. Ed è lì dentro che ci stiamo affossando. Per colpa nostra. Perché il mezzo non è mai il male, dipende tutto dall’uso che se ne fa.Tanto per intenderci: se prendiamo una scopa, è più importante la chioma o il bastone? Alla maggior parte delle persone verrebbe probabilmente da rispondere la prima perché anche senza manico si riesce a pulire ugualmente. A fatica, ma si riesce. Scopare, invece, solo con il manico è impossibile. Ma David Foster Wallace butta la palla oltre e in “La scopa del sistema” (Einaudi) fa notare che dipende tutto dall’uso che se ne vuole fare: «Se la scopa ci serve per spaccare una finestra, allora la parte fondamentale è chiaramente il manico». Internet permette a tutti di essere connessi. Accorcia le distanze. Un bene, no? I social servono proprio a questo. Ma attenzione: cosa succede se regaliamo le nostre vite (i desideri, i gusti, i segreti, i sentimenti, le fotografie, la localizzazione nel mondo) a società private il cui unico scopo è generare profitti? Cosa succede se i servizi che ci offrono sono gratuiti e quindi devono trovare un altro modo per arricchirsi? Mark Zuckerberg e compagnia bella, per quanto ci tengano talvolta a passare per filantropi, non sono certo enti caritatevoli. Ma soprattutto non sono neutrali.Negli ultimi giorni abbiamo assistito, in un pericoloso silenzio anestetizzato, alla cacciata di Donald Trump da Facebook, Twitter e Instagram. Era nell’aria da mesi. Probabilmente in molti lo agognavano dal giorno in cui il tycoon ha iniziato a marciare verso la Casa Bianca. Zuckerberg ha colto l’occasione dopo gli scontri dello scorso 6 gennaio (l’assalto a Capitol Hill tra pagliacci vestiti da sciamani, assurde teorie cospirazioniste e morti vere) per spianare gli account dell’ormai prossimo ex presidente degli Stati Uniti. Il giro di vite non si è fermato lì. Molti sostenitori dell’alt right hanno fatto la stessa fine. “Hate speech”, l’accusa. Incitamento all’odio e alla violenza. Ma non solo: in 70mila sono saltati perché paladini della teoria cospirazionista Qanon. E, quando questi “profughi” sono sbarcati su Parler, Google e Apple hanno estromesso l’app dai propri negozi digitali mentre Amazon l’ha cacciata dai propri server rendendo in questo modo la piattaforma, che si stava imponendo come il Twitter di estrema destra, irraggiungibile.Nelle ultime ore le purghe dei big della Silicon Valley si sono abbattute anche su Ron Paul, figura di riferimento del movimento libertario statunitense che nell’ultimo mese aveva già ricevuto uno “strike” da YouTube per aver video pubblicato un comizio di Trump. Dovrebbe essere chiaro a tutti il fatto che il problema sia molto più imponente di quello che potrebbe anche non apparire in primissima battuta. Chi si trincera dietro al fatto che le big tech sono aziende private, e che quindi possono fare quello che vogliono, rischia di prendere una grandissima cantonata. Anche colossi come Facebook o Twitter sono, infatti, chiamati a rispettare i principi costituzionali. E la libertà di espressione è un diritto costituzionale da difendere sempre e comunque. Per questo nelle ultime ore sta facendo rumore anche la temporanea limitazione dell’account di “Libero” su Twitter. Al di là di chi è coinvolto nella stretta, il giro di vite dovrebbe spingere tutti a un’attenta riflessione.«La possibilità di interferire nella libertà di espressione – ha dichiarato Angela Merkel – è data solo nei limiti stabiliti dalle leggi e non può venire dalla decisione autonoma di un’impresa privata». Che cosa significa togliere il diritto di parola? Quali sono i rischi e le conseguenze di questa limitazione? Le big tech si limiterà all’oscuramento dei profili o troveranno il modo di stringere ulteriormente i cordoni? Da sempre, per esempio, i motori di ricerca hanno il potere di “premiare” o nascondere una notizia. Quali sono i principi che sottendono l’algoritmo che regola cosa possiamo leggere e cosa no? E ancora: chi controlla i censori delle nostre libertà? Quest’ultimo punto non è certo meno importante degli altri. Dobbiamo tenere presente, infatti, che mentre questi colossi decidono cosa farci leggere o comprare, mentre plasmano i nostri gusti, mentre indirizzano le nostre scelte, ingrassano anche grazie ai dati che noi stessi diamo loro.Se da una parte ci mostrano quello che vogliamo vedere (azzeccando sempre quello che ci piace), dall’altra compiono un “soft power” che con il passare del tempo permette loro di intervenire attivamente sui nostri interessi pilotando in questo modo le nostre scelte e, quindi, i nostri acquisti. È soprattutto dalla predizione dei nostri comportamenti futuri che traggono il loro vero potere. Il punto è che siamo noi stessi a permetterglielo. Lo facciamo non appena mettiamo piede in un social network e continuiamo a farlo ogni volta che flagghiamo una casella in più nelle sfilza di criteri che regolano l’utilizzo dei dati personali. Spuntiamo la casella “accetto” senza farci troppi problemi (e probabilmente senza nemmeno leggere quello che ci viene proposto) e gli consegniamo la nostra anima. Lo faremo anche con WhatsApp (anche questa di proprietà dell’onnipresente Zuckerberg) quando nei prossimi giorni ci chiederà di vidimare l’ultimo aggioramento dei diritti sulla privacy.D’altra parte è già così con tutti i social network che, oltre a immagazzinare miliardi di fotografie e video, stipano nei loro server un’infinità di terabyte di chat private. I big data sono la materia prima su cui si fonda quel “nuovo ordine economico” che, come spiega Shoshana Zuboff in “Il capitalismo della sorveglianza” (Luiss Edizioni), concentra «ricchezza, sapere e potere» in pochissime società. «Alcuni di questi dati – scrive la docente di Harvard – vengono usati per migliorare prodotti o servizi, ma il resto diviene un surplus comportamentale privato, sottoposto a un processo di lavorazione avanzato noto come ‘intelligenza artificiale’ per essere trasformato in prodotti predittivi in grado di vaticinare cosa faremo immediatamente tra poco e tra molto tempo». Da sempre la tecnica punta a dominare la persona per concentrare nelle mani di pochi quante più ricchezze. Mai come oggi, però, c’è in gioco la nostra libertà. Non tanto quella che ci permettere di fare quello che vogliamo o di andare dove vogliamo. Quanto quella che ci permette di pensare e pertanto di agire come vogliamo. Per questo la cacciata di Trump dai social network ha in qualche modo a che fare anche con la nostra libertà.(Andrea Indini, “Ci tolgono la libertà”, dal “Giornale” del 12 gennaio 2021).Smettiamola pure di preoccuparci di un futuro senza più libertà. Quel futuro è presente, e non come realtà distopica alla George Orwell ma come grossolana quotidianità drammaticamente abituata senza battere ciglio a cedere porzioni di privacy e di indipendenza. Ce le stanno portando via, senza neanche troppi sforzi, concedendoci servizi gratuiti o garantendoci sempre più comodità. Così, appena abbiamo iniziato a chiederci qual è il prezzo di questo nuovo mondo iperconnesso, ecco che ci siamo accorti che forse è già troppo tardi per fare qualcosa. Ci aspettavamo un incubo dai contorni avveniristici come in “Blade Runner” o “Matrix”. Invece è qualcosa di più simile a un episodio di “Black Mirror”. E così un giorno ci siamo svegliati e ci siamo resi conto che è già tutto segnato. Troppo tardi per tornare indietro. Nessuna pillola blu per risvegliarsi dall’incubo, nessuna pillola rossa per sganciarci dalle catene. La realtà è molto più banale. È tale e quale a quella di cinquant’anni fa (niente macchine che volano, per intenderci), ma con una grande differenza: un mondo etereo, Internet, che conta molto pù di quello tangibile. Ed è lì dentro che ci stiamo affossando. Per colpa nostra. Perché il mezzo non è mai il male, dipende tutto dall’uso che se ne fa.
-
Renzi, l’azzardo: negare a Conte i pieni poteri sul Recovery
Stavolta Matteo Renzi vestirà i panni del Rottamatore, mandando il mal sopportato Conte, o invece indosserà quelli del Bomba, che la spara grossa ma poi non esplode mai il colpo mortale? Se lo domanda il direttore di “Libero”, Pietro Senaldi, di fronte all’escalation polemica di Renzi nei confronti di Conte, anche all’indomani del voto sul Mes al quale si sono piegati i grillini, tradendo anche l’ultima delle loro promesse (ostacolo superato in aula anche grazie alle provvidenziali assenze dei parlamentari di Forza Italia). Ricapitolando: sarà Renzi a licenziare Conte? «La politica gira intorno a tale amletico interrogativo, e ormai lo farà almeno fino a gennaio inoltrato». Prima di allora, ricorda Senaldi, c’è da approvare la legge di bilancio, evitare figuracce in Europa e tenere gli italiani in casa a Natale, scopo per il quale è necessario che la maggioranza conservi un minimo di contegno. «Se si fa vedere infatti ai cittadini che i governanti pensano prima alle beghe loro che al paese, poi chiedere e ottenere rigore e disciplina dalla gente diventa complicato». Conte è volato a Bruxelles forte del successo incassato alle Camere, «dove quasi tutto il gregge è rientrato all’ovile: i voti dei grillini dissidenti sono stati ampiamente compensati dalle assenze tattiche dei berlusconiani, più numerose dei parlamentari pentastellati anti-governo».Dopo che i 5 Stelle hanno approvato persino il Mes, «il trattato Ue contro il quale hanno combattuto da sempre, è ancora più evidente che i problemi al premier non verranno dalla banda di Di Maio, bensì dai renziani». Anche Italia Viva ha votato il sì al trattato, consentendo a Conte di «portare in dono alla Merkel e l’ennesimo atto di sottomissione dell’Italia». Ma non è sul Mes che Renzi gioca la sua partita, charisce Senaldi: quello che interessa all’ex premier (e anche al Pd) è sapere chi gestirà i soldi del Recovery Fund per la ripartenza post-Covid. «Si parla di 209 miliardi, anche se 87 in realtà sono già spariti», perché il governo ha deciso di destinarli a progetti già in cantiere, che inizialmente si pensava di finanziare coi titoli di Stato. «Saranno pagati dal Recovery, in un’operazione che sostituisce il debito con il mercato con quello con la Ue». La torta resta comunque ghiotta, osserva Senaldi: ed è normale, come predisse il vicepresidente del Pd, Orlando, che in tanti ci vogliano mettere le mani. «Quelle più lunghe e rapaci appartengono al premier», sostiene sempre il direttore di “Libero”. «Giacché non si fida, né umanamente né tecnicamente, della maggioranza che lo sostiene, Conte vuol gestire il malloppo come una sorta di monarca».Conte infatti vorrebbe agire in solitaria, «coadiuvato da sei viceré di sua nomina e un codazzo di trecento esperti, tutti rigorosamente fuori dai partiti, i quali sarebbero rappresentati solo dai ministri economici Gualtieri (Pd) e Patuanelli (M5S) nel ruolo di attendenti del grande capo». Ovvio che Renzi si ribelli: le sue ministre minacciano le dimissioni. «Ma lui stesso si è speso, riservando al premier l’insulto per lui peggiore, quello di voler fare come Salvini, mirando ai pieni poteri». La questione, ora – aggiunge Senaldi – è se il Rottamatore terrà il punto o, come fatto altre volte, lascerà che lo scontro finisca a tarallucci e vino. «L’intenzione del premier di risolvere il problema con un accordo di massima per presentarsi dalla Merkel con una situazione di pace è franata». Il braccio di ferro si annuncia ancora lungo: «L’avvocato pugliese vuole escludere i partiti perché teme l’immobilismo. La maggioranza sta in piedi con lo scotch, unita solo dal timore del voto anticipato. Sconta il peccato originale di essere nata non da un progetto politico comune, ma solo come un’alleanza di fortuna per fermare il centrodestra. Conte ne ha beneficiato, ma ora ne paga il prezzo: l’immobilismo che lo ha retto, adesso lo affonda».Circola con insistenza «la voce che sia stata l’Europa, a indirizzarlo verso la scelta dei super-commissari che di fatto esautorano Parlamento e governo». Ed è proprio per questo – ragiona Senaldi – gli è difficile tornare indietro: «Anche perché, se lo fa, si mostra ai partiti debole come non mai». Dall’altra parte c’è Renzi, «che dopo essersi inventato il Conte-bis non può accettare di fare solo lo spettatore». L’ex premier conosce le piaghe dove rigirare il coltello: «Denuncia le forzature della Costituzione operate dal presidente del Consiglio in senso autoritario ed è tornato aggressivo nell’inchiodare Palazzo Chigi alle sue responsabilità nella disorganizzazione con la quale è stata gestita la pandemia. È arrivato anche ad accusare il capo dell’esecutivo di spargere terrore tra la gente, attraverso i suoi scienziati di fiducia, al Comitato Tecnico Scientifico e fuori». Tutte argomentazioni sensate, osserva Senaldi, che non a caso arrivano ora: evidentemente, il leader di Italia Viva non crede alle ventilate minacce di un voto anticipato, in caso di crisi di governo. E’ convinto che, piuttosto che portare l’Italia alle urne, alla fine il capo dello Stato sarebbe disposto ad accettare soluzioni abborracciate.Stavolta Matteo Renzi vestirà i panni del Rottamatore, mandando il mal sopportato Conte, o invece indosserà quelli del Bomba, che la spara grossa ma poi non esplode mai il colpo mortale? Se lo domanda il direttore di “Libero“, Pietro Senaldi, di fronte all’escalation polemica di Renzi nei confronti di Conte, anche all’indomani del voto sul Mes al quale si sono piegati i grillini, tradendo anche l’ultima delle loro promesse (ostacolo superato in aula anche grazie alle provvidenziali assenze dei parlamentari di Forza Italia). Ricapitolando: sarà Renzi a licenziare Conte? «La politica gira intorno a tale amletico interrogativo, e ormai lo farà almeno fino a gennaio inoltrato». Prima di allora, ricorda Senaldi, c’è da approvare la legge di bilancio, evitare figuracce in Europa e tenere gli italiani in casa a Natale, scopo per il quale è necessario che la maggioranza conservi un minimo di contegno. «Se si fa vedere infatti ai cittadini che i governanti pensano prima alle beghe loro che al paese, poi chiedere e ottenere rigore e disciplina dalla gente diventa complicato». Conte è volato a Bruxelles forte del successo incassato alle Camere, «dove quasi tutto il gregge è rientrato all’ovile: i voti dei grillini dissidenti sono stati ampiamente compensati dalle assenze tattiche dei berlusconiani, più numerose dei parlamentari pentastellati anti-governo».