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Ashkenaz, il super-sapiens, ci schiavizza col debito eterno
Menti raffinatissime, le chiamava Giovanni Falcone. Nel suo caso, avevano piazzato una bomba davanti alla sua villetta sul mare, tre anni prima del fatale attentato di Capaci. Sono speciali, quelle menti – e altrettanto criminali – anche per Giovanni Angelo Cianti, che non è un giudice antimafia ma a suo modo si occupa lui pure di criminologia, per così dire, se si volesse leggere come un’epocale, sterminata stagione criminogena quella aperta dalla stessa misteriosa comparsa sulla Terra dell’homo sapiens, tuttora non spiegata (men che meno dall’evoluzionismo darwininano). L’ultima fatica letteraria di Cianti – che esordì addirittura come autore del fumetto-cult “Ken Parker”, creato nel ‘74 da Giancarlo Berardi e Ivo Milazzo – si intitola “Benvenuti all’inferno”, in questo richiamando l’ombra del manicheismo, tra risonanze gnostiche e poi catare. Una “creazione dannata”, la nostra, opera di divinità infere esiliate nel mondo della materia? Premessa pragmatica: siamo quasi 8 miliardi e stiamo devastando il pianeta, come cavallette inarrestabili. Un formicaio di insetti onnivori e famelici, e al tempo stesso docili e malleabili, senza più coscienza né memoria della propria origine. Solo colpa nostra? No, risponde Cianti: la grande attenuante è incarnata da chi lo dirige più o meno segretamente, il “formicaio”.La solita, bieca massoneria mondiale? Gli uomini invisibili del famigerato “complotto giudaico-massonico” caro ai cospirazionisti? Nemmeno, scrive Cianti, mettendo a fuoco un altro gruppo, che definisce “super-sapiens”. «Si chiamano Ashkenazi, e si sono mimetizzati tra gli ebrei, a insaputa degli ebrei stessi. Ma attenzione: gli “Ahskenazim” non sono ebrei, e nemmeno semiti. Sono i veri manipolatori dell’umanità, fin dai primordi, attraverso il denaro e il credito usuraio». Sarebbero stati loro a danneggiare in primo luogo gli ebrei, provocando la catastrofe dell’antisemitismo. Da dove spuntano? Ne parla la Bibbia, probabilmente, quando – nella Genesi – racconta la “fabbricazione” degli adamiti: strani ibridi, praticamente degli Ogm ante litteram, clonati mescolando i geni del sapiens con quelli dei Figli delle Stelle, che l’Antico Testamento chiama Elohim (come Yahvè e colleghi) mentre per i Sumeri si chiamavano Anunna o Anunnaki. Stessa schiatta di dominatori – venuti dal cielo, secondo il sumerologo Zecharia Sitchin, affascinante e controverso teorico della paleo-astronautica. La missione: trasformare la Terra, fino a quel momento popolata solo da tribù nomadi, in un immenso campo di lavoro.Per produrre cibo, energia e poi anche tecnologia occorrevano “servi” intelligenti e obbedienti, i sapiens, che ancora non c’erano. E per dirigere i sapiens ci voleva una super-razza, in grado di dominarli per conto terzi. Impressionante la consonanza con le rivelazioni che l’avvocato Paolo Rumor affida al saggio “L’altra europa”, edito da Panda, con prefazione dell’eminente politologo Giorgio Galli. La tesi: un’élite immutabile, sempre la stessa, reggerebbe il mondo da quasi 12.000 anni. Origine: Golfo Persico, poi Mesopotamia, Egitto, Mediterraneo fenicio e poi minoico e greco-romano. Pietra miliare: l’antico insediamento nella città caldea di Ur, alla foce del Tigri. E’ la stessa geografia che ripercorre Cianti, inseguendo il fantasma dei progenitori di quelli che (erroneamente, sostiene) verranno poi chiamati “ebrei askhenaziti”, diffusisi nell’Est europeo. La comparsa dell’Adàm biblico, «non ancora ebraico, verosimilmente sumero», risalirebbe a un’epoca collocabile tra il 15.000 e il 20.000 avanti Cristo. Seguono 9 discendenti quasi millenari, i patriarchi pre-diluviani, fino ad arrivare a Noè, cioè intorno all’anno 5.600.Stando alla Bibbia, Noè generò Sem, Cam e Jafet. Da Sem si arriva a Giacobbe-Israele per linea retta attraverso Ever, Terach, Abramo e Isacco: in altre parole, ecco gli ebrei (quelli veri), poi suddivisi nelle famose 12 tribù, inclusa quella israelitica di Giuda e Davide. «Quindi – conclude Cianti – solo i discendenti di Abramo possono essere considerati semiti». Gli altri, cioè la super-razza di cui si occupa “Benvenuti all’inferno”, sarebbero la discendenza di Jafet: il fratello di Sem e Cam «generò tra gli altri Gomer, capostipite dei Cimmeri», il cui figlio si chiamerà Ashkenaz, «dall’assiro Askuza»: nome col quale, secondo la Tavola nelle Nazioni, «si indicavano i popoli nomadi della regione sciita del Caucaso». Insieme ai Minniti e al Regno di Ararat, continua Cianti, i nomadi caucasici Ashkenaz si opposero ai Babilonesi, almeno secondo la Bibbia (Geremia 51-27), e in seguito diedero origine ai popoli slavi. «Gli Ashkenaziti – conclude Cianti, citando sempre l’Antico Testamento – sono dunque “jafeti”, cimmeri o sciiti – ma non semiti, quindi non ebrei».Per l’autore si tratta di un “cluster genetico” autonomo, «una popolazione nomade di origini turcomanne che si reinventa continuamente». Prima sciiti (da “sak”, nomade), poi Kazari (dal turco “qaz”: nomade, ancora). Per Cianti erano di religione tengrista, un mix di sciamanesio, animismo e totemismo diffuso nell’Asia Centrale. «Si convertirono all’ebraismo per convenienza», e molto tardi: solo fra il 740 e il 920 dopo Cristo. «Alla dissoluzione del Canato di Kazaria, conquistato dal russo Sviatoslav I, si dispersero in tutta Europa, attribuendosi l’appellativo di “ebrei erranti”», evidentemente abusivo. Nell’alto medioevo, continua Cianti, li ritroviamo nella valle del Reno e nel Nord della Francia: «Ed è da questo momento che iniziano a usare l’yiddish, lingua germanica con elementi di ebraico e aramaico». Poi si spostano verso Est: Lituania e Polonia, Moldavia, Russia. Il ritorno in Germania comincerà nel 1200 e terminerà solo nell’Ottocento. In tutti quei secoli, scrive l’autore, gli Askuza-Ashkenaz sciameranno di terra in terra perché «perseguitati per l’attività usuraia». Sono loro gli “inventori” del sistema creditizio?Il prestito a interesse, dice Cianti, compare contemporaneamente in Mesopotamia, India e Cina. «L’invenzione stessa della scrittura nasce lì, da quella nuova necessità». A Uruk (oggi Warka, Iraq) a raccontare quella storia sono 5.000 tavolette d’argilla risalenti al quarto millennio avanti Cristo: «Si iniziò allora a parlare di prestiti, tassi d’interesse, garanzie, usura, derivati e pignoramenti». La banca dell’epoca era il Tempio; non prestava solo denaro ma anche cereali, vino e birra, metalli pregiati: «Si cominciò a prestare argento a tassi fino al 60%». Attraverso il mondo mesopotamico, poi fenicio e persiano, ellenico e romano, il network nomade del denaro si trasferisce dove gli conviene, tendenzialmente da Est a Ovest, col progredire dei nuovi fiorenti imperi. Proto-scienziati della finanza? Cianti li chiama “i nostri mandriani”. Il loro metodo non cambia: usura, per conquistare il potere. Obiettivo: «Mantenere nella sottomissione non solo le masse ma anche gli stessi governanti, che in pratica diventano i loro burattini. E se qualcuno di loro si oppone, viene destituito o ucciso, come i Kennedy».Per Cianti, gli Ahskenaz restano un gruppo ristretto e rigorosamente chiuso al suo interno, per via matrilineare, attraverso i secoli. Sono i “ruler”, gli attuali “padroni dell’universo”. Veri fenomeni: si tratta di «individui di eccezionale intelligenza». Oltre a mercanti e banchieri, nei millenni, «hanno espresso anche filosofi, scienziati, pensatori che hanno determinato le sorti dell’umanità». L’élite dell’élite: «Nomadi e apolidi, seguono lo sviluppo dei più importanti centri di potere, in una traiettoria sempre diretta verso ovest che oggi, dalla West Coast degli Stati Uniti, ha spiccato il balzo verso la Cina». Sono loro i teorici e i registi del globalismo finanziario, secondo Cianti: religioni e massonerie, Ur-Lodges e centri di potere paramassonici sarebbero solo cinghie di trasmissione del super-sapiens Ashkenaz, protagonista del club più inaccessibile del vero potere.Lungo le sue 400 pagine, “Benvenuti all’inferno” esamina con estrema cura le più recenti asserzioni scientifiche, dall’astrofisica alla paleontologia fino alla climatologia, demolendo Darwin: «La Terra è passata attraverso eventi catastrofici che hanno provocato ripetute estinzioni di massa. E ogni volta il pianeta è stato ripopolato con specie nuove, che non avevano niente a che fare con le precedenti». Fino al sapiens, ultimissimo prodotto di queste “introduzioni”: «Una specie bio-ingegnerizzata, nel cui corredo è stato introdotto Stamina, il gene della paura che ci rende così docili di fronte al potere». Nel saggio “Resi umani” scritto con Mauro Biglino, il prestigioso biologo molecolare Pietro Buffa (già attivo al King’s College di Londra) spiega che il “missing link” tra uomo e scimmia non è mai esistito: a quanto pare siamo stati “fabbricati” diversi, dalla nascita, ben distinti dai primati e dagli stessi ominidi – persino dal Neandearthal, a noi vicinissimo nel tempo, probabilmente sterminato dai nostri antenati.A lungo traduttore ufficiale della Bibbia per le Edizioni San Paolo, Biglino sostiene che l’Antico Testamento – alla lettera – racconti l’avvento sulla Terra dei Figli delle Stelle. Proprio loro avrebbero “costruito” il sapiens, riservandosi poi la “fabbricazione”, sempre per via genetica, di una super-specie di lavoratori particolarmente intelligenti: gli adamiti, collocati nel Gan-Eden (da cui poi furono cacciati, dopo che ebbero scoperto la possibilità di riprodursi in modo autonomo, sessualmente). Tuttora, nessun sumerologo sa spiegare esattamente l’origine della civiltà sumera, sorta improvvisamente appena a Sud del Gan-Eden (situato nel Caucaso) e immediatamente dotata di favolose competenze tecniche: scrittura e architettura, matematica, astronomia. E soprattutto: agricoltura. «Proprio la rivoluzione agricola – sostiene Cianti – ha cambiato in modo irrimediabile il pianeta, devastando i suoli e sottraendo acqua, impoverendo la nostra dieta e determinando una vera e propria mutazione antropologica: i primi sapiens erano liberi di muoversi e cacciare, noi invece siamo schiavi inurbati, costretti a lavorare e a nutrirci di cibo ormai avvelenato».La stanzialità come sciagura è il tema del saggio “Dominio”, nel quale Francesco Saba Sardi collega all’introduzione dell’agricoltura la nascita del nuovo potere, prima sconosciuto, che “inventa” la religione per trasformare gli esseri umani in servi, lavoratori della terra e soldati. Figure sociali che non esistevano, prima del neolitico: nacquero con l’agricoltura insieme alla religione e alla sua sorella gemella, la guerra, grazie alla comparsa di quell’inedito potere, configurato in forma di dominio. A questo, Giovanni Cianti aggiunge un’altra disgrazia: l’alimentazione. Giornalista e già pubblicitario, appassionato studioso di biologia, Cianti è anche e soprattutto un nutrizionista, disciplina attraverso cui ha rivoluzionato la pratica del body-building partendo proprio dalla dieta. La minaccia più grande? L’abuso di cereali. Il pane – che ha nutrito milioni di individui – viene dal grano, che è comparso sulla Terra di colpo. Discende dal farro selvatico, che però non è commestibile. Chi l’ha trasformato geneticamente in cereale dolce, da farina? I medesimi, misteriosi individui – si suppone – che allo stesso modo, all’epoca di Adamo ed Eva, “fabbricarono” la patata, insieme con la pecora.Cibo pronto uso e a basso costo, per schiere di futuri lavoratori? L’ipotesi è ora vagliata da scienziati di tutto il mondo, ormai convinti che convenga rivalutare e rileggere con occhi nuovi i testi antichi, poi trasformati arbitrariamente in “libri sacri” dalle religioni che, più tardi, se ne impossessarono, travisandoli: e se in quelle pagine ci fossero gli indizi di una storia attendibile? Se cioè il racconto – incluso quello biblico, con la comparsa degli Elohim (Figli delle Stelle) – spiegasse davvero la nostra origine genetica, altrimenti non ricostruibile solo per via evolutiva? Nel qual caso, dice Cianti, sarà meglio aggiungere una riflessione piuttosto decisiva: se qualcuno – venuto dal cielo? – impiantò sulla Terra la sua “mandria” da mungere, di sicuro non scordò di assicurarla alla custodia di servitori speciali e fidatissimi, a loro volta “bio-ingegnerizzati” alla bisogna: i nostri “mandriani”.Non manca nessuno, nella “hall of fame” dei dominatori che Cianti esibisce, dai secoli passati fino ai giorni nostri: spicca il visionario oligarca Jacques Attali, lo sconcertante mentore di Emmanuel Macron, oscuro profeta del transumanesimo post-democratico. C’è l’eterno Zbigniew Brzezinski, lo storico stratega della Casa Bianca (sodale di Kissinger) che reclutò in Afghanistan un certo Osama Bin Laden, poi protagonista della strategia della tensione globale sotto l’egida dei Bush. Riflettori su Al Gore, l’ex vice di Clinton, ormai «frontman mondiale della bufala del global warming di origine antropica», il nuovo catechismo recitato dalla piccola Greta, la ragazzina svedese spuntata (in apparenza) dal nulla. Gore ha appena vinto due Oscar con il documentario “Una scomoda verità”, «diretto dal regista “ashkenazi” Davis Guggenheim». Manipolazione? «Se è per questo, erano “ashkenazi” anche Walt Disney e Edward Bernays, l’inventore della propaganda pubblicitaria», dice Cianti, «come pure i fratelli Andy e Larry Whachowski», gli sceneggiatori di “Matrix”, film nato per metterci in guardia «sul destino della “mandria umana”, costretta a vivere come nella caverna di Platone, cioè in un mondo virtuale completamente avulso dalla realtà».Tra i protagonisti negativi, invece, dominano politici e finanzieri: si va da Madeleine Albright, che difese la necessità inevitabile del bagno di sangue nei Balcani negli anni ‘90, alla quasi-popstar George Soros, «ashkenazi di elevata esposizione mediatica, quindi verosimilmente di rango inferiore». Nulla, in confronto ai veri “dominus”, più appartati, come ad esempio i campioni delle celeberrime dinastie Rothschild, Warburg e Rockefeller, sinistramente implicati nell’ascesa di Hitler (e nel nascente sionismo), ben sapendo che il dittatore nazista avrebbe sterminato milioni di ebrei: era il mostruoso prezzo necessario per ottenere poi lo Stato di Israele? Incubi e interrogativi storici a parte, dell’immenso potere di quelle famiglie parla anche il professor Pietro Ratto nei suoi recenti saggi, che rivelano l’incredibile pervasività (purtroppo attualissima) della loro influenza, persino nell’odierna editoria scolatica validata dai ministeri attraverso commissioni, strutture e aziende di cui non parla mai nessuno. Ma quei nomi così famosi – i vituperati Rothschild, tanto per cambiare – potrebbero essere solo la vetta dell’iceberg, la parte visibile.Chi sono e cosa vogliono, quelli che Cianti chiama “i nostri mandriani”? Lo spiega lo stesso Attali, nella sua “Breve storia del futuro”, «libro che anticipa le mosse dei “mandriani” fino al 2100», fornendo «una descrizione terrificante delle loro intenzioni nonché l’evidenza di una straordinaria assenza di empatia, mista a follia e delirio di onnipotenza». L’umanità ridotta a formicaio pilotabile, prevedibile? Il genere umano eventualmente anche sterminabile, all’occorrenza, con le pratiche più insospettabili? Cianti menziona il cibo cancerogeno, i medicinali-killer e l’imposizione di vaccini pieni di alluminio e altri metalli pesanti, come quelli che scendono dal cielo, da una ventina d’anni, diffusi nella bassa atmosfera dalle strane scie bianche rilasciate dagli aerei di linea. Di fronte a questo, il mainstream grida immancabilmente al complottismo, fingendo di non sapere che le teorie più eretiche (incluse quelle bislacche e ridicole) nascono proprio dal silenzio ufficiale, dalla ostinata reticenza di chi dovrebbe fornire spiegazioni convincenti dei fenomeni che allarmano la popolazione. Peccato che sia lo stesso sistema dei media a essere strettamente detenuto da pochissime mani.Oltre a controllare Intesa SanPaolo e Unicredit, scrive Cianti, la filiera Rothschild («connessa agli Agnelli-Elkann e ai Caracciolo») è presente in Facebook, in Telecom Italia, nell’agenzia “Reuters”, nel francese “Libération”, nei britannici “Daily Telegraph” e “The Economist”. Sempre secondo Cianti, il gruppo Rcs (Rizzoli e “Corriere della Sera”) è invece appannaggio della scuderia Rockefeller, mentre il gruppo Sassoon controllerebbe “Sunday Times” e “The Observer”. Stessa musica per i grandi network televisivi internazionali. In Italia, aggiunge Cianti, «appartiene al “cluster” anche Carlo De Benedetti», fondatore del gruppo “Espresso-Repubblica”, che «ha alle spalle Lazard e Lehman Brothers». Un’unica discendenza, addirittura, collegherebbe gli attuali Master of the Universe? «La risposta definitiva – ipotizza Cianti – potrebbe venire dall’Us Trust Corporation, istituita a suo tempo da Walter Rothschild», che però è inaccessibile alla consultazione pubblica. «Secondo alcuni “insider” – aggiunge l’autore del saggio – si tratterebbe di otto-dieci linee di sangue millenarie». I nomi? Goldman Sachs, Rockefeller, Lehman e Kuhn-Loeb di New York. Poi i Rothschild di Parigi e Londra. Poi gli inglesi Windsor, già Sassonia-Coburgo-Gotha, insieme ai Warburg di Amburgo, ai Lazard di Parigi, alla dinastia Israel Moes Seif di Roma.Si tratta di «famiglie che da sole posseggono tutte le banche e le corporation del mondo, attraverso un sistema di scatole cinesi: il vertice della piramide, totalmente “ashkenazi”, resta estremamente ristretto e al di fuori di ogni forma di controllo». Gioielli della collezione, dagli Usa all’Europa fino alla Cina, le superpotenze bancarie: Hsbc Holding, Bnp Paribas, Jp Morgan, Icbc Bank of China e Agricoltural Bank of China, Wells Fargo, Bank od America, China Construction Bank. In generale, scrive Cianti, il meccanismo del big business «riguarda tutti i settori industriali strategici: cibo ed energia, farmaci, armi, informazione e intrattenimento, ma anche droga e traffico di esseri umani e di organi». Il volume mastodontico dell’attuale sistema iper-capitalista e neoliberale, interconnesso dalla globalizzazione, lo fornisce ad esempio il database Orbis 2007, che (come documenta uno studio svizzero pubblicato nel 2011 da “Plos One”) ha passato al setaccio qualcosa come 37 milioni di aziende e investitori globali. Le strutture che detengono il 97% della ricchezza del pianeta, riassume Cianti, sono soltanto 147: in cima alla classifica Barclays, Capital Group Companies, Frm Corporation, Axa Assicurazioni, State Street Corporation, Jp Morgan, Legal General Group, Vanguard Group, Ubs e Merrill Lynch.«Una rete capillare ed estesa, di soggetti che si posseggono a vicenda». Blackrock, «il più grande fondo d’investimento del pianeta, fondato da Lawrence Fink (ashkenazi) ha tra i maggiori azionisti Pnc Financial Service, Norges Bank, Vanguard, Bank of America, Wellington Management Group». A sua volta, Jp Morgan è gestita da Vanguard e Blackrock, insieme a State Street, Bank of New York e altri soci. Sempre le stesse aziende possiedono anche il colosso farmaceutico Merk. La notizia? Secondo Cianti, il vertice è costituito da consanguinei, tutti discendenti dell’ipotetica, originaria super-razza, quella che già agli albori della civiltà inventò il “debito inestinguibile”. Dalla Mesopotamia si arriverebbe tranquillamente fino ai veri campionissimi del terzo millennio, come il sudafricano Elon Musk, fondatore della Tesla, e il fenomenale Mark Zuckerberg, l’enfant prodige di Facebook. A proposito, chi c’è nell’azionariato del social network che “scheda” oltre due miliardi di esseri umani? «Sempre gli stessi: Vanguard e Blackrock, Frm-Lcc, State Street Corporation, Prince T Rowe, Capital World Investors».Globalizzazione? Termine in uso dagli anni ‘80, quando si pianificò l’abolizione dei dazi per merci e capitali. Ma, stando a Cianti, non sarebbe che l’ultimo passaggio tecnico del mondialismo ante litteram perseguito dal misterioso “cluster” del super-sapiens, fin dagli albori della nostra storia. Possibile? L’autore invita a riflettere sul vero significato dell’agenda dell’Onu, organismo – pochi lo sanno – poderosamente finanziato da donatori privati (sempre loro, i mattatori del superclan). Mondialismo mercantilista, che dichiara guerra alle identità – di genere, nazione, religione – per omologare la “mandria” che popolerà l’Iper-Impero dopo l’imminente declino della potenza Usa. Un “impero totale” esteso in ogni continente «con la sola eccezione della Russia, che per ora resiste ma finirà accerchiata da America, Europa, Cina e India». Viaggia sempre verso ovest, dunque, il super-sapiens di cui parla Cianti? Lo conferma, secondo l’autore, il matrimonio di Zuckerberg: «Sua moglie, Priscilla Chan, è nata negli Usa da genitori rifugiati Hou, un gruppo minoritario di usurai cinesi del Vietnam». Gli Hou, scrive Cianti, discendono dagli “ashkenazi d’Oriente” come la famiglia Li (o Lee), che duemila anni fa, al tempo della dinastia Zhou – introdussero la moneta cartacea.Oggi, come dire, si sono portati avanti col lavoro: «Già legati a Mao Tse-Tung, hanno espresso presidenti cinesi come Li-Peng e Li-Xinnian. Oggi, Lee Kwan Yew è il presidente di Singapore». Un altro esponente della dinastia, Li Ka-Shing, secondo “Forbes” ha un patrimonio di 4 miliardi di dollari, mentre Li Kwok-Po gestisce la Bea (Banca dell’Est Asiatico) agendo «in collegamento coi Warburg e restando in ottimi rapporti coi Rothschild, i Rockefeller e i Bush». La nuova corsa all’Ovest, assicura Cianti, vede una strana migrazione: i boss dell’impero digitale della Silicon Valley ormai puntano verso la Nuova Zelanda, che sta diventando «il santuario dei super-sapiens ashkenazi». Il passaggio dalla California all’Oceania «sarà seguito dallo spostamento degli iper-nomadi dell’Ordine Mercantile Usuraio in una sede geograficamente più vicina ai loro nuovi affari, cioè il subcontinente indocinese».La Nuova Zelanda? Un’area scarsamente abitata e pressoché intatta, dal punto di vista naturalistico. Il resto del mondo, invece – prevede Cianti, in modo apocalittico – sarà «costretto a condizioni invivibili, catastrofi climatiche, epidemie indotte, crollo dell’ordine pubblico, terrore nucleare e collasso della civiltà». Le isole dell’Oceania «saranno l’ultimo rifugio: il nuovo santuario dell’élite, sicuro e intoccabile». Scrive Cianti: «Centinaia di tecno-plutocrati e finanzieri stanno acquistando terreni in queste isole per costruire lussuose ville-bunker. Il Deep State, cioè il vero potere dell’impero americano, ha già creato il governo del “santuario”: si tratta di una oligarchia socialista, che li accoglierà garantendo loro sicurezza, anonimato e impunità». L’attuale primo ministro neozelandese, la trentanovenne Jacinda Ardern, già leader dell’Unione internazionale della gioventù socialista, «è una creatura di Hillary Clinton, che le ha fatto da mentore nella carriera politica», guidandone l’ascesa.Il recente attentato di Christchurch contro le moschee musulmane, lo scorso marzo – aggiunge Cianti – era una classica “false flag” (con morti reali) escogitata «per testare la rapidità con la quale si riesce a far sparire da Internet ogni testimonianza diretta di una strage», e ha fornito «il pretesto per disarmare immediatamente tutti i civili del paese». E’ già una specie di bunker, la Nuova Zelanda: «Per risiedervi sono necessari beni per milioni di dollari, oppure bisogna essere cooptati in quelle ristrettissime liste di personale di servizio necessario al sistema. Ogni altra forma di immigrazione è proibita e immediatamente repressa», alla faccia della politica di accoglienza (quella che oggi, per dire, viene imposta all’Italia). Allucinazioni fantapolitiche? Non proprio: nel suo ponderoso volume, ad ogni pagina, l’autore acclude note, link, riferimenti, citazioni. “Benvenuti all’inferno” si inserisce nella recente letteratura divulgativa che tenta di dare risposte ai pesanti interrogativi del presente, rileggendo la storia antica e provando a sincronizzarla con l’attualità.E’ l’ennesimo catastrofista, Angelo Cianti? In realtà si mostra ottimista rispetto alle possibilità del libero arbitrio. Non smette di credere nel sapiens, in fondo. E infatti sogna di rinaturalizzare l’Appennino con il suo Evo Village Project, presentato nel 2018 al ministro dell’agricoltura Gian Marco Centinaio. Obiettivo: ricolonizzare i versanti con una rete di ecovillaggi, verso un’economia sostenibile e slegata dalle catene del sistema-debito. La sua tesi sul ruolo dell’ipotetico super-sapiens rischia di apparire fin troppo facilmente demonizzante, col risultato di introdurre discriminazioni “etniche” e scoraggiare i lettori, posti di fronte a un avversario super-umano e quindi invincibile? Intanto, è notevolissimo lo sforzo compiuto dall’autore nel collegare realtà in apparenza lontane fra loro, nel tempo e nella geografia planetaria. Uno stimolo per farsi domande, allargare la mente e verificare connessioni, scovando strane coincidenze nel ricorrere, invariabile, delle medesime “famiglie” che – come si può vedere – in molti casi detengono da secoli (da millenni, secondo Cianti) le redini del globo. Dinastie che mostrano la straordinaria capacità di rendersi invisibili, mimetizzandosi nella società – magari anche a spese dei veri israeliti, di cui si parla spessissimo a sproposito.(Il libro: Giovanni Angelo Cianti, “Pianeta Terra, benveuti all’inferno! Passato, presente e probabile futuro della mandria umana”, Evo Editorial, 401 pagine, euro 27,78 su Amazon).Menti raffinatissime, le chiamava Giovanni Falcone. Nel suo caso, avevano piazzato una bomba davanti alla sua villetta sul mare, tre anni prima del fatale attentato di Capaci. Sono speciali, quelle menti – e altrettanto criminali – anche per Giovanni Angelo Cianti, che non è un giudice antimafia ma a suo modo si occupa lui pure di criminologia, per così dire, se si volesse leggere come un’epocale, sterminata stagione criminogena quella aperta dalla stessa misteriosa comparsa sulla Terra dell’homo sapiens, tuttora non spiegata (men che meno dall’evoluzionismo darwininano). L’ultima fatica letteraria di Cianti – che esordì addirittura come autore del fumetto-cult “Ken Parker”, creato nel ‘74 da Giancarlo Berardi e Ivo Milazzo – si intitola “Benvenuti all’inferno”, in questo richiamando l’ombra del manicheismo, tra risonanze gnostiche e poi catare. Una “creazione dannata”, la nostra, opera di divinità infere esiliate nel mondo della materia? Premessa pragmatica: siamo quasi 8 miliardi e stiamo devastando il pianeta, come cavallette inarrestabili. Un formicaio di insetti onnivori e famelici, e al tempo stesso docili e malleabili, senza più coscienza né memoria della propria origine. Solo colpa nostra? No, risponde Cianti: la grande attenuante è incarnata da chi lo dirige più o meno segretamente, il “formicaio”.
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Saba Sardi: Gesù Cristo inventato da chi ci volle sottomessi
Autore di un libro “blasfemo”, considerato scomodo da alcuni e geniale da altri, ha raccontato le origini del concetto di divinità e la sua evoluzione dalle prime manifestazioni preistoriche fino alle attuali concezioni. Chi è, e come nasce dunque un dio? Perché la Chiesa nega la sessualità del messia? E se il potere mistico fosse stato gestito dalla donna? Francesco Saba Sardi spiega la sua visione della religione intesa solo come sistema di potere sui popoli. Spregiatore di dogmi, assertore della libera fecondità della parola, Saba Sardi nasce a Trieste, vive e lavora a Milano. La sua è una vita spesa nelle terre di tutto il mondo nella conoscenza di etnie cosiddette primitive o nuove e misconosciute. Traduce in sei lingue e pubblica oltre 40 libri affrontando temi che spaziano dalla narrativa alla saggistica, dalla poesia ai viaggi. E’ considerato una delle menti più prestigiose del XX secolo. “Il natale ha 5000 anni” è una delle sue opere più note. Il libro racconta la vicenda della nascita e della diffusione del Natale cristiano e illumina sulle radici della religiosità in un momento storico di cristallizzazione e integralismo.“Il natale ha 5000 anni” è popolato di vicende e personaggi che prendendoci per mano ci fanno percorrere il cammino dell’uomo: dodicimila anni fa l’umanità dell’Eurasia ha inventato le divinità, ma è nella crisi generale di 5000 anni fa, nell’età neolitica, che Francesco Saba Sardi individua il sorgere della necessità di speranza che porta l’uomo a desiderare la comparsa del Salvatore, del redentore capace di ricondurci alla fratellanza dei primordi. La speranza nei Figli del Cielo apparsi in maniera straordinaria, uscendo da grotte, rocce o nascendo da madri vergini, si diffonde per millenni lungo tutti i territori eurasiatici. Il Cristianesimo è solo uno dei Natali dei Figli del Cielo, ma chi è questa volta il Figlio del Cielo? Sempre lo stesso di 5000 anni fa? E cosa rappresenta per noi oggi la religione, la fede, la credenza in entità sovrumane? Abbiamo incontrato l’autore di questo complesso studio per cercare nuove risposte e maggiore chiarezza su un tema dagli echi ancestrali.Il Natale ha 5000 anni viene pubblicato per la prima volta nel 1958 per essere poi ritirato dalle librerie. La pubblicazione del 2007 dell’editore Bevivino è in realtà la seconda edizione. Cosa accadde nel 1958?Nel ’58 il mio libro fu accolto molto bene dal pubblico e molto male dalla “Civiltà Cattolica”, che dedicò un intero numero, ben 25 pagine, alla confutazione della tesi esposta nel mio libro, confutazione a cura di Padre Rosa.Che cosa ha fatto e cosa può fare paura del suo libro?Varie cose. Ad esempio, ha fatto paura il fatto che io affermassi che il Cristianesimo è un mitema, ma il mito non è bugia. Il mito è un’affermazione che sorge spontaneamente. Il Natale è un mito che sorge nell’impero eurasiatico quando nell’età neolitica l’umanità passa dal nomadismo alla stanzialità. La società stanziale inventò l’agricoltura, l’allevamento di bestiame, il maschilismo e il potere. La necessità di una società organizzata richiese l’istituzione di una gerarchia che veniva ordinata soprattutto dal cielo con l’idea della divinità.Su quali elementi basò la sua confutazione Padre Rosa?La mia tesi è inconfutabile. Padre Rosa basò la sua confutazione sul fatto che Gesù è una realtà storica e non una figura mitica. Ma anche se Gesù fosse una realtà storica questo non avrebbe nessuna importanza perché fu Paolo di Tarso il fondatore del Cristianesimo e non Cristo.Il Cristianesimo nasce e si diffonde seguendo vari rami, varie tesi come, ad esempio, la gnostica, per poi arrivare alle edizioni Paoline, e gli scritti di Paolo di Tarso diventano la base su cui si fonda il cattolicesimo per come noi oggi lo conosciamo. Come interpreta questo percorso?E’ chiaro che quando è giunto il momento di scegliere tra i vari rami del Cristianesimo si è pensato di scegliere il Dio monoteista che più conveniva a chi in quel momento gestiva il potere, in questo caso l’imperatore Costantino. Insomma, Paolo di Tarso è stato un autore che ha trovato nell’imperatore Costantino un formidabile editore.Quindi l’imperatore Costantino potendo scegliere tra diversi autori decide di editare Paolo di Tarso?Sì, e da quel momento il Cristianesimo sostituisce la Trinità Capitolina formata da Giove, Marte ed Ercole. Bisogna sottolineare il fatto che le figure e le qualità degli Dei Capitolini non soddisfacevano più gli intellettuali romani dell’epoca. Costantino unificò l’Impero donando al popolo romano un Figlio del Cielo, monoteista e nato da un Dio sensibile e più raffinato degli Dei a cui i romani erano abituati fino ad allora.Qual è secondo Lei la grande forza del Cristo?La grande forza del Cristo, così come per tutti gli Apparsi, per tutti i Figli del Cielo, consiste soprattutto nell’essere maschio. La gerarchia è maschile. Il potere maschile, il Tyrannos (in lingua turca e in latino: il pene duro), il Tiranno. Nessun potere può affermarsi se non è incarnato, così il potere si materializza in una parte del corpo e, sesso e potere diventano tutt’uno. Non c’è mai stata un’Apparsa. Mai una donna venuta a rivelare il Nuovo Mondo a promettere l’Età dell’Oro. Da quando sono stati inventati gli Dei, le Dee, le Ninfe, le Valchirie sono sempre al servizio del Signore degli Dei, il Grande Maschio.Il potere è maschio in una civiltà dominata dai maschi, ma se l’Umanità avesse camminato sulla scia dell’energia femminile, questo avrebbe fatto differenza nella nostra evoluzione?Moltissima differenza. Il potere non è donna. La donna è madre. Nella nebulosità dei nostri ricordi ancestrali si è persa l’idea delle Dee che si auto-generavano senza il ricorso dell’inseminazione maschile come la Madre Terra, metafora del suolo che risorge continuamente da se stesso. Nell’età neolitica la donna venne “domesticata”, ridotta alla condizione di inferiorità e sudditanza. Il Neolitico è stata una tragedia per l’umanità; l’invenzione della stanzialità, nel tempo ha cambiato tutto: il modo di mangiare, la concezione dello spazio. Abbiamo cessato di divertirci. Andare a caccia è divertente, il selvaggio si diverte. Zappare non è divertente, come non è divertente fare l’impiegato. Abbiamo cessato di divertirci e abbiamo inventato la guerra. La parola ha cessato di essere spontanea, non è la parola che inventa il mondo ma sono gli oggetti che iniziano ad imporre le parole.Il suo libro percorre la storia dei Figli del Cielo, dei Mitema. Quali elementi uniscono queste figure al Cristo?Come abbiamo già detto, la maschilità. Il fatto che devono affrontare dei pericoli, ad esempio, il Dio egizio Amon Ra – il Sole – deve affrontare il pericolo della notte, come il Cristo deve affrontare il buio, il Diavolo. Il fatto che sono Apparsi, il Natale è Apparso. Non è sempre necessaria una madre vergine, ma una nascita straordinaria: Mitra nasce da una roccia. Poi, l’Apparso trionfa nell’aldiquà o nell’aldilà; quello che conta è il trionfo attuale o futuro, dopo aver “rinominato” il mondo non più con la parola spontanea, ma come conseguenza dell’essersi impadronito del mondo.Quindi questi Dei nel momento in cui privano della parola spontanea diventano dei tiranni ed esercitano il loro potere dandoci le parole per comprendere il mondo?Il potere consiste nel darci il pensiero, che è parola.Tutti i profeti raccontano del ritorno dell’Età dell’Oro, anche se ognuno chiama con le proprie parole questo tempo che ci attende. Secondo Lei cosa rappresenta questa visione?Nostalgia e speranza. Speranza che ritorni il tempo felice. Il tempo in cui non si consumava la propria vita lavorando, perché cacciare o raccogliere delle radici nei boschi non è un lavoro. La civiltà per come l’abbiamo costruita ora è un disastro. Abbiamo distrutto la natura, abbiamo ucciso noi stessi. Lei crede che si possa tornare indietro? E come? Tornando alla caccia?Perché lei non crede che l’uomo possa avere tale nostalgia dei tempi felici da arrivare a distruggere quello che ha costruito fino ad ora per tornare indietro?Sì, è possibile: ma come? E’ più probabile che ci penserà la Terra stessa a ripulire l’uomo. L’Apocalisse è la fine del mondo per ricominciare. L’Età dell’Oro è apocalittica. Ci sarà un’epoca di felicità futura perché la nostalgia e la speranza sono tutt’uno. Tutti gli Apparsi, tutti i Figli del Cielo parlano di questo momento, tutti.Quindi, figure simili a Cristo esistono almeno da 5000 anni. Presumo che lei si sia documentato utilizzando testi e informazioni disponibili a chiunque…Il fatto è che abbiamo troppa informazione, e avere troppa informazione non serve a nulla. Nel Neolitico avviene la rivoluzione razionale, la ratio; il cognito prende il posto del mitema e sostituisce la poesis, l’invenzione, la poesia – che è immediatezza e spontaneità: è ciò che sopravvive ancora nei bambini.Quindi le informazioni le abbiamo, ma a causa della nostra razionalità non riusciamo ad utilizzarle?No, non riusciamo. Tutte le informazioni da cui siamo invasi nella nostra società sono composte da due parti: la prima è costituita da dogmi. Dogma è la fede e l’affermazione fideistica non ha nulla a che fare con la razionalità. La seconda parte dell’informazione è composta dalla giustificazione, la riprova. Il Vaticano, ad esempio, informa utilizzando la razionalità dell’informazione religiosa. Ratzinger non dice di continuo che il Cristianesimo è razionale? I preti non fanno altro che dare dimostrazione di Dio e delle sue manifestazioni hanno bisogno della riprova. Stiamo attraversando il grande capitolo storico della riprova, ma c’è una differenza tra religione e scienza: la scienza parte da ipotesi che debbono essere provate; la stessa cosa fa la religione, ma al posto delle ipotesi la religione mette delle certezze aprioristiche. Infatti, mentre la ricerca scientifica tenta di comprovare o smentire le ipotesi, nella religione ci sono certezze, dei dogmi che non possono essere smentiti perché smentire i dogmi significa essere degli eretici.La storia dell’Uomo è comunque piena di eretici, di uomini che hanno tentato con tutte le loro forze di smentire questi dogmi. Molti di loro, come Giordano Bruno, ad esempio, sono stati disposti a pagare con la vita. Secondo Lei, in questo momento un Giordano Bruno che tipo di opposizione incontrerebbe?Incontrerebbe un Padre Rosa che gli darebbe pubblicamente del bugiardo. Ma la chiesa è in contraddizione con se stessa: ad esempio, dichiara Cristo una realtà storica, quindi non nega l’incarnazione, ma dell’incarnazione nega la sessualità.Infatti, il suo libro mostra le immagini di antichi dipinti in cui la sessualità di Cristo non veniva negata, ma mostrata.I dipinti di cui parla sono esistiti fino al Concilio di Trento. Il Concilio di Trento è da considerarsi l’antirinascimento. La copertina del libro, ad esempio, mostra la Sacra Famiglia di Hans Baldung Grien, datata 1511. L’immagine che ha suscitato, a più riprese, scandalo mostra il Bambino Gesù sottoposto a manipolazioni genitali. A toccarlo è la nonna, Sant’Anna, mentre il bambino tende una mano al mento della madre, Maria, e l’altra scopre l’orecchio dal quale è entrato il Verbo. Da cattolici e protestanti si è cercato in vari modi di spiegare, o meglio esorcizzare, l’atto erroneamente considerato un gesto di libertà senza precedenti nell’arte cristiana, ma le erezioni di Gesù sono illustrate da una folla di dipinti rinascimentali, in più di un dipinto l’erezione è talmente palese da aver indotto più volte i censori a mascherarla con pennellate o drappeggi, quando non si è arrivati a distruggere i dipinti “incriminati”. La virilità di Gesù è una componente fondamentalissima nella concezione cristiana. Negare questa evidenza, negare la sessualità del Cristo, equivale a negare l’Ensarcosi, l’incarnazione del Figlio del Cielo, e dunque a negare il dogma stesso del Dio-uomo, questo equivale dunque a pronunciare una bestemmia.Visto che l’esistenza stessa di questi dipinti testimonia il fatto che la Chiesa non ha da sempre negato la sessualità di Cristo, come siamo arrivati alla negazione?Nel Cristianesimo possiamo distinguere tre fasi: nella prima fase, la fase Agostiniana, Dio è Padre, severo e unilaterale. Dio concede la grazia ai suoi figli ma chi non è nelle sue grazie va all’inferno. La seconda è la fase del Rinascimento: in questa fase Dio Padre viene sostituito dal figlio che ha ha doti di spontaneità e umanità, ed è davvero di carne e sangue. Il Concilio di Trento apre la terza fase del Cristianesimo, fase in cui si torna alla figura del Padre severo e indiscutibile. Naturalmente un residuo del Dio che si incarna nel Figlio, della fase rinascimentale, ha continuato a sopravvivere resistendo fino a Giovanni XXIII, ma adesso si sta tornando a Pio IX, al Sillabo. Perché la concezione dell’uomo che può e deve scegliere è impossibile da conciliare per la Chiesa, quindi si torna al Sillabo: così si pensa, così si parla, così si scrive.Come viene giustificato questo ritorno al passato della chiesa cattolica?C’è una grande giustificazione a cui partecipano anche tutti i partiti politici: “In nome della democrazia io devo scegliere per tutti”. La poesis è pericolosa. Il poeta è pericoloso perché non rispetta i dettami del potere; quindi, tutti devono essere ridotti al comune denominatore: il Sillabo e i suoi derivati. I giornali sono il Sillabo, la produttività è il Sillabo. Il poeta è la negazione del Sillabo.Lei non crede che chiunque legga ad esempio la sua intervista possa essere improvvisamente colto da una scintilla che lo renda poeta?Spero-Dispero.(Sonia Fossi, “Francesco Saba Sardi, il poeta della non-fede”, intervista pubblicata fa “Hera Magazine” e ripresa sul blog di Gianfranco Carpeoro il 27 luglio 2016. Scomparso nel 2012 ormai novantenne, Saba Sardi era stato scomunicato per “Il natale ha 5000 anni”. E’ l’autore del principale volume italiano sulla storia delle religioni, pubblicato da Mondadori. Filologo e antropologo, ha firmato opere di narrativa e saggistica, libri d’arte e diari di viaggio, mettendo insieme 50 titoli. Sterminata la schiera dei volumi da lui curati, tradotti e commentati – oltre 600 – tra i cui autori si possono citare Herman Melville, Thomas Mann, Miguel de Cervantes, Calderón de la Barca, Luis de Góngora, Victor Hugo, Hermann Hesse, Tolkien e Goethe, George Bernard Shaw, Doris Lessing, Erich Fromm. Ha tradotto dal tedesco, dal francese, dall’inglese, dal danese, dallo spagnolo e dal portoghese, dal serbocroato. Era stato scelto personalmente, come traduttore, da Georges Simenon, Gabriel Garcia Marques e Fernando Pessoa. Di Pablo Picasso scrisse l’unica biografia autorizzata dall’artista. La sua ultima opera, il saggio “Dominio”, mette a fuoco la genesi della religione, che nasce insieme alla guerra e all’improvvisa necessità di possedere territori, con la scoperta dell’agricoltura: un nuovo potere, sconosciuto ai primitivi nomadi, configurato sotto forma di dominio).Autore di un libro “blasfemo”, considerato scomodo da alcuni e geniale da altri, ha raccontato le origini del concetto di divinità e la sua evoluzione dalle prime manifestazioni preistoriche fino alle attuali concezioni. Chi è, e come nasce dunque un dio? Perché la Chiesa nega la sessualità del messia? E se il potere mistico fosse stato gestito dalla donna? Francesco Saba Sardi spiega la sua visione della religione intesa solo come sistema di potere sui popoli. Spregiatore di dogmi, assertore della libera fecondità della parola, Saba Sardi nasce a Trieste, vive e lavora a Milano. La sua è una vita spesa nelle terre di tutto il mondo nella conoscenza di etnie cosiddette primitive o nuove e misconosciute. Traduce in sei lingue e pubblica oltre 40 libri affrontando temi che spaziano dalla narrativa alla saggistica, dalla poesia ai viaggi. E’ considerato una delle menti più prestigiose del XX secolo. “Il natale ha 5000 anni” è una delle sue opere più note. Il libro racconta la vicenda della nascita e della diffusione del Natale cristiano e illumina sulle radici della religiosità in un momento storico di cristallizzazione e integralismo.
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Yahvè SpA: chi domina il mondo, oltre la geopolitica visibile
Data fatidica, il 14 luglio: nel 1789 a Parigi veniva assaltata la Bastiglia, evento culminante della Rivoluzione Francese che segnò la fine dell’Ancien Régime, il sistema plurisecolare dell’assolutismo monarchico. Solo tre anni fa, invece – ma sempre in Francia, e sempre il 14 luglio – il killer franco-tunisino Mohamed Lahouaiej-Bouhle faceva strage a Nizza col suo camion, travolgendo i passanti sulla Promenade des Anglais: 86 morti e 302 feriti. Ovviamente l’attenatatore era già stato segnalato alla polizia, come poco di buono. E ovviamente nessuno aveva pensato di controllare e sgomberare quel camion bianco, fermo da giorni sul lungomare divenuto “off limits” in vista della festa nazionale francese. E ancora: l’assassino – prima di essere freddato dalle forze dell’ordine, come d’abitudine, prima che potesse parlare – aveva anche avuto cura di lasciare a disposizione dei poliziotti i suoi documenti, ben in vista nell’abitacolo del veicolo. Un caso da manuale, secondo Gioele Magaldi, autore del saggio “Massoni”: un messaggio intimidatorio rivolto alla massoneria progressista, che considera proprio il 14 luglio la prima pietra miliare verso la conquista della democrazia, almeno in Occidente.Fu l’Isis a rivendicare la strage di Nizza, ma le menti dello Stato Islamico sono altrove: Abu Bakr Al-Bahdadi, il sedicente Califfo, secondo Magaldi è affiliato alla superloggia “Hathor Pentalpha”, dominata dai Bush e responsabile del super-attentato del terzo millennio, quello dell’11 Settembre, comodamente attribuito al “barbaro jihadista” Bin Laden, in realtà massone, affiliato anch’esso alla medesima Ur-Lodge. La “Hathor Pentalpha”, sorta all’inizio degli anni ‘80 per volere di Bush padre, appena battuto da Reagan alle primarie repubblicane, raccolse il gotha dei golpisti del Pnac, il Piano per il Nuovo Secolo Americano: George W. Bush e suo fratello Jeb Bush, Dick Cheney e Donald Rumsfeld, Paul Wolfowitz e la stessa Condoleezza Rice. Oltre a Bin Laden (Al-Qaeda) e Al-Baghdadi (Isis), la “Hathor” avrebbe reclutato un ideologo come Samuel Huntington (“La crisi della democrazia”), insieme a Donald e Robert Kagan, Douglas Freith, Irving e William Kristol, Dan Quayle. Con loro Richard Perle, Karl Rove, Bill Bennett e il politologo Michael Leeden. Una rete trasversale, con affiliati in Medio Oriente: Oman, Bahrein, Qatar, Arabia Saudita e persino Iran (tra gli iraniani coinvolti, l’ex presidente Hashemi Rafsanjani).Obiettivo: destabilizzare ferocemente il pianeta, creando a tavolino il presunto “scontro di civiltà” tra Occidente e mondo arabo. Punta di lancia dell’operazione: Israele (era il premier Ariel Sharon l’uomo della “Hathor” a Tel Aviv). Ma arabi e israeliani non dovevano essere acerrimi nemici, anziché compagni di merende e di avventure anche terroristiche? Certo, ma solo in teoria, spiega Magaldi: in realtà sono tutti massoni, nella cabina di regia. E la vera geopolitica – al di là della narrazione dei media – passa per i circoli come la “Hathor”, incarnazione infernale dell’ala più reazionaria della supermassoneria occulta, apolide e sovranazionale. Convergenze insospettabili: dirigenti sauditi in riunione con Sharon e col presidente turco, il “fratello” Recep Tayyip Erdogan, insieme a un bel po’ di potenti europei: l’ex cancelliere tedesco Gehard Schröder, l’allora primo ministro spagnolo José Maria Aznar, l’intramontabile Tony Blair, il polacco Aleksander Kwasniewski e il francese Nicolas Sarkozy – più un paio di italiani: l’allora presidente del Senato, Marcello Pera, nonché Antonio Martino, all’epoca ministro berlusconiano e già segretario della Mont Pelerin Society, vero e proprio tempio ideologico dell’ultra-destra economica europea, culla dell’oligarchia neoaristocratica che ha incubato, progettatto e imposto l’austerity per infliggere la camicia di forza a paesi come l’Italia, alle prese con la nascente globalizzazione.Il primo a parlarne in termini espliciti è stato Paolo Barnard, nel saggio “Il più grande crimine”, uscito prima ancora della crisi italiana del 2011. La tesi: si trattava, semplicemente, di cancellare la memoria della Presa del Bastiglia. Il mitico 14 luglio? Un incidente della storia: aprì l’Europa a qualcosa di mai prima sperimentato – la democrazia – spalancando le porte alla modernità del futuro: Stato di diritto, suffragio universale. Traduzione euro-atlantica successiva: economia sociale, conquiste civili e diritti del lavoro. Bene, tutto questo doveva finire. E in modo drammatico: col terrorismo stragista della strategia della tensione (Al-Qaeda, Isis) o col terrorismo finanziario (rigore europeo). Per volere di chi? Dei soliti noti, gli antichi baroni. O meglio: di quella che un tempo costuitiva il nerbo dell’Ancient Régime, cioè l’aristocrazia feudale più parassitaria. Le era toccato finire sfrattata dal potere (politico) dal 14 luglio in poi? Niente paura: si è ripresa tutto, e con gli interessi, mantenendo le grandi leve della finanza. Ha finanziarizzato l’economia e ridotto gli Stati in bolletta, senza più sovranità monetaria. Il gioco perfetto dei leggendari Rothschild, padroni d’Europa (e di un pezzo d’America) da tre secoli questa parte.Nei suoi libri, un ricercatore come Pietro Ratto ricostruisce il ruolo di casati ebraici come quello dei Warburg, in realtà di origine veneta, poi soci in affari con i Rothschild – di cui sempre Ratto prova anche l’apparentamento coi Rockefeller, mediante matrimoni strategici. Dettaglio inquietante: furono i grandi finanzieri ebrei a sovvenzionare Hitler all’alba della sua tragica epopea. Non solo: è stato accertato che proprio il Terzo Reich – al suo esordio – fu un poderoso sponsor occulto del sionismo, favorendo l’espatrio degli ebrei tedeschi verso la Palestina e finanziando il primo colonialismo ebraico in Terrasanta. Scioccante? Quasi quanto il libro “L’altra Europa”, pubblicato dal vicentino Paolo Rumor, nipote del più volte primo ministro democristiano Mariano Rumor. Durante la Seconda Guerra Mondiale, il padre dell’autore – Giacomo Rumor – agiva come 007 per conto di monsignor Montini, futuro Paolo VI, allora responsabile dell’intelligence vaticana. Gli Alleati già sapevano che avrebbero vinto, e volevano progettare in anticipo l’Europa del dopoguerra. Fin qui, tutto bene: logico che gli Usa si rivolgessero al Papa, visto che l’Italia era ancora in mano a Mussolini, e che l’antifascismo era largamente comunista. Ma un giorno l’esoterista francese Maurice Schumann, gollista e interlocutore di Rumor, svelò al cattolico italiano chi c’era veramente, dietro al piano: la Struttura. Una cupola esclusiva, ininterrottamente al potere, nel mondo, da quasi 12.000 anni.Follia? Non secondo l’archeologo Loris Bagnara, che ha verificato sul campo: le indicazioni di Rumor (cioè di Schumann) corrispondono in modo impressionante con la geografia e la toponomastica dei luoghi dove si sarebbe costituito quell’antico potere, nato in Mesopotamia e poi trasferitosi nell’Egitto dei faraoni prima di approdare in Palestina e quindi nel Mediterraneo fenicio e poi greco-romano. L’eminente politoligo Giorgio Galli, autore della prefazione del libro di Rumor, conferma: i nomi citati dal dossier-Schumann sono perfettamente coerenti con la mappa del vero potere, anche di quello euro-atlantico del Novecento. Politici, industriali e finanzieri: tutti esoteristi, vincolati al reciproco segreto sull’origine della Struttura, sostanzialmente iniziatica, risalente – a loro dire – attorno al 9.500 avanti Cristo, tra le rive del Tigri e quelle dell’Eufrate, cioè dove Zecharia Sitchin attribuisce agli Anunnaki, i misteriosi Figli delle Stelle, la “fabbricazione” dell’homo sapiens nella versione poi narrata dai Sumeri. Di quella storia – avverte Mauro Biglino, già traduttore ufficiale delle Edizioni San Paolo – la Bibbia non è che la fotocopia: la Genesi descrive la nascita di Eva mediante clonazione genetica, proprio come la pecora Dolly, ad opera degli Elohim come Yahvè, cioè i Figli delle Stelle palestinesi.Autore di culto in Italia, pubblicato anche da Mondadori (trecentomila copie vendute), a Biglino nessuno contesta la riscoperta letterale della Bibbia: l’interpretazione teologico-spiritualista del testo si rivela completamente infondata (Yahvè non era “Dio”, ma solo uno dei tanti Elohim citati). Semmai, la Bibbia – ammesso sia attendibile, visto che è stata riscritta ininterrottamente fino al medioevo – propone un’altra storia: la nascita dell’umanità attuale, così improvvisamente evoluta, sarebbe opera dell’ibridazione genetica dei Figli delle Stelle, che avrebbero immesso il loro Dna in quello dei primitivi ominidi. Biglino è rispettato anche ad Harvard, dove alla facoltà di medicina si raccomandano i suoi libri. E sulla sua ipotesi stanno convergendo decine di scienziati, che lo hanno messo a capo di un progetto di ricerca senza precedenti: studi interdisciplinari, anche archeologici, per verificare quel che la Bibbia racconta, alla lettera. E le religioni monoteiste? La prima, l’ebraismo, secondo Biglino sarebbe nata attorno al VI secolo avanti Cristo, quando Yahvè sparì di colpo, in seguito all’avvento dei babilonesi che sottomisero gli ebrei. Da allora, dice lo studioso, ad assumere la leadership del popolo ebraico furono i sacerdoti, cioè la casta degli ex “maggiordomi” di Yahvè: furono loro, manipolandola, a trasformare la Bibbia nel “libro sacro” che non era mai stato.Quando poi l’Impero Romano – oltre mezzo millennio dopo, nel 70 dopo Cristo – represse duramente gli ebrei distruggendo il Tempio di Salomone a Gerusalemme, gli stessi sacerdoti contrattarono il loro futuro con i nuovi padroni: cedettero ai romani il Tesoro del Tempio, in cambio di una vita agiatissima nella capitale imperiale, da cui poi – attraverso svariati passaggi – diedero vita alla nuova religione, il Cristianesimo cattolico, ufficialmente coniato da Costantino nel 325 al Concilio di Nicea. Lo stesso Paolo Rumor, attingendo al memoriale Schumann, sostiene che la mitica Struttura si sarebbe spezzata in due tronconi, a Gerusalemme, proprio attorno all’Anno Zero. Di recente, Biglino ha accennato a libri di prossima uscita, dal contenuto sconcertante: attraverso accurate analisi di fonti d’archivio, emerge una sbalorditiva continuità nel potere europeo attraverso i secoli, con in primo piano – da Gerusalemme a Roma, fino al Nord Europa – sempre le stesse famiglie. La sua tesi è nota: attraverso la Bibbia, siamo stati finora governati da un unico schema di potere, concepito sotto forma di dominio. Lo stesso sistema finanziario attuale, che regge il pianeta, è quello enunciato da Yahvè: potrai prestare denaro ma non richiederlo, perché chi riceve denaro in prestito ne diventa schiavo. E a proposito: dov’è finito, Yahvè? Sicuri che sia sparito per sempre dalla circolazione?Se un giorno si scoprisse che gli Elohim come quello che gestiva la famiglia di Giacobbe sono qui tra noi e controllano tutto – dice Biglino – certo non me ne stupirei: secondo la Bibbia potevano vivere anche 30.000 anni. Assurdo? Mica tanto: la distanza fra i loro 30 millenni e i nostri 90 anni è infinitamente più piccola di quella che separa una tartaruga gigante (200 anni) da una farfalla che viva solo 24 ore. Di giorno in giorno, si moltiplicano scoperte che sconquassano le vecchie certezze archeologiche: la Piramide di Cheope (vera datazione, 20.000 anni) è una potente “fabbrica di energia”: è presidiata dai fisici che vi osservano gli stranissimi fenomeni che ospita, come l’abbattimento di particelle subatomiche. A Visoko, in Bosnia, sono state scoperte le più grandi piramidi della Terra, risalenti a 30.000 anni fa. E al largo dell’India spuntano città sommerse – probabilmente dal maremoto di 11.500 anni fa (il Diluvo Universale?), scatenatosi proprio nel periodo in cui a Göbekli Tepe, in Turchia, fu costruito il tempio più antico della Terra, in un’area in cui gli scavi rivelano che la nascita dell’agricoltura risale addirittura al Mesolitico. Scoperte che costringono a retrodatare la nostra storia, cancellando quello che fino a ieri credevamo di sapere.Sotto certi aspetti, è come se le incredibili scoperte dell’archeologia odierna costringessero a ripensare la stessa geopolitica attuale. Si perde tempo, ripete Magaldi, se ci si ferma ancora a valutarla come scontro tra nazioni: c’è ben altro, dietro le quinte. Se lo domandava anche Barnard: vi siete mai chiesti come mai la politica non riesce mai a mantenere le sue promesse? E perché le cose vanno di male in peggio, nonostante il pianeta non sia mai stato così ricco, vista la nostra capacità esponenziale di produrre beni, grazie alla vertiginosa rivoluzione tecnologica degli ultimi decenni? Colpa dell’élite neo-feudale, si risponde Barnard. Ed è un’élite non certo illuminata, aggiunge Magaldi: si tratta di un’oligarchia del denaro, reazionaria, neo-conservatrice, il cui massimo livello di potere – al di sopra delle entità paramassoniche come il Bilderberg – è rappresentato dalle 36 Ur-Lodges che dominano il globo. E se ci fosse dell’altro ancora, sopra le midiciali superlogge? Magari la “Yahvè SpA”, affidata a emissari collaudatissimi? E’ l’interrogativo che rilancia Biglino, convinto che gli Elohim (come gli Anunna sumeri, i Theoi greci, i Deva indiani) non siano affatto scomparsi, dimenticandosi delle loro “creature”. Anzi, aggiunge lo studioso: sarebbe perfettamente plausibile scoprire, un giorno, che dietro ai maggiori potentati terrestri vi siano proprio “quelli là”, i Figli delle Stelle, l’un contro l’altro armati: è uno schema ripetuto in tutti i libri antichi, compresa la Bibbia.Data fatidica, il 14 luglio: nel 1789 a Parigi veniva assaltata la Bastiglia, evento culminante della Rivoluzione Francese che segnò la fine dell’Ancien Régime, il sistema plurisecolare dell’assolutismo monarchico. Solo tre anni fa, invece – ma sempre in Francia, e sempre il 14 luglio – il killer franco-tunisino Mohamed Lahouaiej-Bouhle faceva strage a Nizza col suo camion, travolgendo i passanti sulla Promenade des Anglais: 86 morti e 302 feriti. Ovviamente l’attentatore era già stato segnalato alla polizia, come poco di buono. E ovviamente nessuno aveva pensato di controllare e sgomberare il suo camion bianco, fermo da giorni su quel lungomare divenuto “off limits” in vista della festa nazionale francese. E ancora: l’assassino – prima di essere freddato dalle forze dell’ordine, come d’abitudine, prima che potesse parlare – aveva anche avuto cura di lasciare a disposizione dei poliziotti i suoi documenti, ben in vista nell’abitacolo del veicolo. Un caso da manuale, secondo Gioele Magaldi, autore del saggio “Massoni”: un messaggio intimidatorio rivolto alla massoneria progressista, che considera proprio il 14 luglio la prima pietra miliare verso la conquista della democrazia, almeno in Occidente.
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L’Italia è meglio di quanto si dice: 10 prove lo dimostrano
“Dieci falsi miti sull’economia italiana” è il titolo del paragrafo iniziale di un volumetto che la Fondazione Edison ha realizzato in occasione dei suoi vent’anni di vita. Si tratta di sfatare alcuni luoghi comuni che vorrebbero il paese in ginocchio e incapace di rialzarsi. Può darsi che il testo sia viziato da un eccesso di ottimismo, ma non c’è dubbio che se l’Italia resta la seconda manifattura d’Europa e una delle prime potenze industriali al mondo qualcosa di vero ci sarà. Per prima cosa, dunque, non siamo il malato d’Europa che molti credono: non solo per il secondo posto nella manifattura dopo la Germania, ma anche per esibire il più alto valore aggiunto nel settore agricolo. Nell’ambito del G7 (2° punto) il Pil pro capite degli italiani è cresciuto più della media del gruppo e per quanto riguarda la competitività (3° punto) l’Italia se la batte con i concorrenti più virtuosi generando il quinto maggior surplus commerciale al mondo. Gli investimenti in macchinari e in mezzi di trasporto (4° punto) non sono la Cenerentola che la vulgata accredita, tutt’altro. E con riferimento alle spese per ricerca e sviluppo nei campi del tessile e dell’abbigliamento, delle calzature e dei mobili, (5° punto) siamo addirittura primi in tutta l’Unione.Abbiamo inoltre la capacità di sfidare i mercati internazionali (6° punto) nonostante la piccola dimensione delle nostre imprese (il che non vuol dire che non si debba crescere). Il Made in Italy è uno dei marchi più famosi al mondo ed esprime una serie di valori – design, innovazione, tecnologia – decisamente distanti dall’idea (7° punto) di essere appiattiti sulle produzioni a basso costo del lavoro. E bisogna anche respingere l’affermazione che il paese sia caratterizzato (8° punto) da una grande disuguaglianza economica, facendo molto meglio di Francia, Regno Unito e Spagna. È da demolire, poi, il convincimento che gli italiani non paghino le tasse (9° punto) dal momento che la pressione fiscale è in linea con quella europea (forse è vero, però, che a pagare siano sempre gli stessi). Infine, dobbiamo liberarci dalla credenza di essere troppo indebitati (10° punto). Messi insieme il debito pubblico e il debito privato, l’Italia risulta tra le più virtuose nel consesso dei paesi avanzati. È vero che il debito pubblico è molto alto se raffrontato al Pil, ma è anche vero che diventa sostenibile se si tiene conto dell’avanzo primario e della ricchezza finanziaria delle famiglie.A tutto questo si aggiungono le suggestioni dell’ultimo “Quaderno di Symbola” che rilancia le tesi della Fondazione Edison e allarga il campo dei primati nazionali all’economia sostenibile e circolare, all’attrattività turistica, alla roboetica (il lato umano dei robot), al design, alla qualità della ricerca scientifica, all’avanzare incessante delle consultazioni su Google delle espressioni del Made in Italy. Tutto questo dovrebbe indurci a modificare l’immagine che abbiamo di noi stessi. Troppo concentrati sulle nostre debolezze, trascuriamo le potenzialità di un paese che conserva un’energia tanto straordinaria quanto compressa, mentre dovrebbe essere riconosciuta e liberata. Senza cadere nell’eccesso opposto di sentirci forti e invincibili – la tentazione di esagerare è sempre viva – le lezioni della Fondazione Edison e di Symbola andrebbero apprese e divulgate.(Alfonso Ruffo, “10 prove che l’Italia è meglio di quanto si dice e si pensa”, dal “Sussidiario” del 7 luglio 2019).“Dieci falsi miti sull’economia italiana” è il titolo del paragrafo iniziale di un volumetto che la Fondazione Edison ha realizzato in occasione dei suoi vent’anni di vita. Si tratta di sfatare alcuni luoghi comuni che vorrebbero il paese in ginocchio e incapace di rialzarsi. Può darsi che il testo sia viziato da un eccesso di ottimismo, ma non c’è dubbio che se l’Italia resta la seconda manifattura d’Europa e una delle prime potenze industriali al mondo qualcosa di vero ci sarà. Per prima cosa, dunque, non siamo il malato d’Europa che molti credono: non solo per il secondo posto nella manifattura dopo la Germania, ma anche per esibire il più alto valore aggiunto nel settore agricolo. Nell’ambito del G7 (2° punto) il Pil pro capite degli italiani è cresciuto più della media del gruppo e per quanto riguarda la competitività (3° punto) l’Italia se la batte con i concorrenti più virtuosi generando il quinto maggior surplus commerciale al mondo. Gli investimenti in macchinari e in mezzi di trasporto (4° punto) non sono la Cenerentola che la vulgata accredita, tutt’altro. E con riferimento alle spese per ricerca e sviluppo nei campi del tessile e dell’abbigliamento, delle calzature e dei mobili, (5° punto) siamo addirittura primi in tutta l’Unione.
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Della Luna: la morte lenta che l’oligarchia ha programmato
Primo: a chi li governa, i popoli servono per produrre ricchezza e forza politico-militare, sicché l’unificazione globale delle classi dominanti e altri processi che ora passerò a indicare hanno reso i popoli superflui. I popoli come moltitudine di lavoratori e consumatori sono stati resi superflui dalla finanziarizzazione dell’economia, dall’intelligenza artificiale, dall’automazione. I popoli come moltitudine di combattenti sono stati resi superflui dalla unificazione globale del potere capitalista finanziario e dalla sostituzione delle guerre di conquista tradizionali con guerre finanziarie. I popoli come colonizzatori sono stati resi superflui dal completamento della occupazione delle terre di questo pianeta e dalla mancanza di tecnologie per colonizzare altri pianeti. Sono ancora utili i popoli affamati e minacciati come masse di penetrazione migratoria per frantumare i popoli storicamente consolidati e renderli più passivi e meno capaci di resistere. Secondo: l’esaurimento delle risorse planetarie e l’insostenibilità dell’attuale processo di inquinamento esigono, per la salvezza della biosfera, la radicale riduzione dei consumi e delle emissioni, cioè della popolazione. Terzo: esistono le tecnologie per realizzare tale riduzione senza che la popolazione se ne accorga.La somma di questi tre fattori punta in una direzione chiarissima. Dal fatto che la popolazione terrestre è divenuta il contempo superflua e insostenibile e che è praticamente possibile ridimensionarla, consegue che con tutta verosimiglianza già si sta lavorando a questo fine e che, invece di proporre metodi per un impossibile rilancio della produzione, possiamo guardarci intorno per individuare come – con che mezzi fisici, chimici, legislativi – si realizza quel ridimensionamento. Le analisi che non tengono conto di quanto sopra, hanno poco senso e ancor meno utilità. E’ verosimile che i metodi adoperati siano di carattere non clamoroso per l’opinione pubblica e non traumatico per la biosfera, quindi non nucleari, ma piuttosto di tipo tossico, sia nel senso della riduzione della fertilità che nel senso della riduzione della vitalità, dell’efficienza biologica, immunitaria e mentale della popolazione, nonché culturale, per conseguire l’effetto complessivo ridurre la sua capacità di opposizione e di coordinamento dal basso.La mente va agli additivi per cibi e bevande (soprattutto per l’infanzia, ricchi di sostanze neurotossiche, diabetizzanti, obesizzanti, cancerogene), ai farmaci, ai vaccini recentemente resi obbligatori in molti paesi senza garanzie di qualità industriale e di non tossicità, ad altre sostanze diffuse nell’ambiente dall’industria, dall’agricoltura, dalle attività militari. Va anche al pensiero unico, instillato dalla scuola elementare alla tomba, il quale costituisce un grande e articolato story telling, che è protetto dalle regole del politically correct e dal gatekeeping, e che copre tutto: dall’economia alla moneta alla difesa alla salute alla politica al mescolamento dei popoli – tutto quello che serve per produrre consenso e compliance popolari verso pratiche e piani elaborati a porte chiuse in isolamento tecnocratico e senza responsabilità politica o giuridica.Le oligarchie di Cina e forse India, seppur partecipi del sistema globale del capitalismo finanziario, ancora perseguono politiche sviluppiste allo scopo di aumentare la loro percentuale di potenze mondiali, e per farlo aumentano pericolosamente produzione e consumi, cioè anche emissioni inquinanti; e probabilmente sarà questo a far precipitare la situazione ecologico-climatica creando le condizioni di emergenza, attese per attuare provvedimenti drastici contro la volontà delle genti e sbarazzandosi dei diritti, della democrazia e della legalità. Si configura uno scenario globale che trascende l’analisi economica e la stessa visione marxiana, poiché si sono attivate variabili ulteriori, come la capacità della classe dominante globale non solo di modificare il rapporto economico giuridico e politico con le masse dominate, ma anche di decidere quanta massa (le) serve ancora, dato che da un lato le funzioni della massa umana possono essere svolte da ritrovati tecnologici, e dall’altro lato la massa umana ha un costo crescente e insostenibile.(Marco Della Luna, “Salus telluris suprema lex”, dal blog di Della Luna del 5 luglio 2019).Primo: a chi li governa, i popoli servono per produrre ricchezza e forza politico-militare, sicché l’unificazione globale delle classi dominanti e altri processi che ora passerò a indicare hanno reso i popoli superflui. I popoli come moltitudine di lavoratori e consumatori sono stati resi superflui dalla finanziarizzazione dell’economia, dall’intelligenza artificiale, dall’automazione. I popoli come moltitudine di combattenti sono stati resi superflui dalla unificazione globale del potere capitalista finanziario e dalla sostituzione delle guerre di conquista tradizionali con guerre finanziarie. I popoli come colonizzatori sono stati resi superflui dal completamento della occupazione delle terre di questo pianeta e dalla mancanza di tecnologie per colonizzare altri pianeti. Sono ancora utili i popoli affamati e minacciati come masse di penetrazione migratoria per frantumare i popoli storicamente consolidati e renderli più passivi e meno capaci di resistere. Secondo: l’esaurimento delle risorse planetarie e l’insostenibilità dell’attuale processo di inquinamento esigono, per la salvezza della biosfera, la radicale riduzione dei consumi e delle emissioni, cioè della popolazione. Terzo: esistono le tecnologie per realizzare tale riduzione senza che la popolazione se ne accorga.
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Christine Lagarde: la macellaia della Grecia a capo della Bce
«Usami per il tempo che ti serve». E ancora: «Se mi usi, ho bisogno di te come guida e come sostegno». La lettera era senza data, ma riconducibile agli anni fra il 2007 e il 2011 quando Christine Lagarde, dal 2 luglio governatore in pectore della Bce, siedeva sulla poltrona di ministro dell’economia della Francia. Così si rivolgeva all’allora presidente Nicolas Sarkozy, dando di sé un’immagine che sottomessa è dir poco. Non sorprenderà, allora, che nel valzer delle nomine che contano in Ue, a spuntarla sia stata proprio Parigi. Classe 1956, è – al pari di Ursula von der Leyen, destinata alla presidenza della Commissione Ue – la prima donna che guiderà la Bce. Si tratta anche della prima personalità senza studi di economia: figlia dell’altissima borghesia parigina, la Lagarde è infatti laureata in giurisprudenza. Esponente dell’Ump, ha iniziato la sua carriera “istituzionale” nel 2005. Senza soluzione di continuità, è stata prima ministro delegato al commercio estero, poi dell’agricoltura e della pesca, successivamente titolare delle finanze e dell’industria. Christine Lagarde diviene nota alle cronache per prendere possesso, nel 2011, dello scranno più alto al Fondo Monetario Internazionale. Succede al suo connazionale Dominique Strauss-Kahn, esautorato a causa di uno scandalo di natura sessuale poi rivelatosi una montatura.Non è invece una montatura il ruolo che l’Fmi ebbe nella crisi della Grecia. Pur avendo preso avvio prima del suo insediamento, l’intervento si è concretizzato sotto la presidenza Lagarde. Con i risultati che tutti conosciamo. La Troika era sì composta, oltre che dal Fondo, anche da Unione Europea e Bce. Marchiani furono però gli errori commessi in sede di analisi da parte del primo, che sottostimò clamorosamente i moltiplicatori fiscali (a livello 0,5: erano fra tre e cinque volte più alti), imponendo misure draconiane che riuscirono persino a peggiorare una già drammatica situazione. Il Pil si è così contratto di oltre il 20% in più rispetto alle previsioni e la disoccupazione, che non doveva superare il 15%, è schizzata al 25%. L’Fmi ha scontato, scrisse l’editorialista economico del “Daily Telegraph”, Ambrose Evans-Pritchars, un “pregiudizio pro-euro” che l’ha portato di fatto a «sacrificare la Grecia per salvare l’euro e le banche del Nord Europa». Un curriculum di tutto rispetto, non c’è che dire. Al quale dobbiamo aggiungere il tentativo esperito nel 2011 per tentare di costringere l’Italia ad accettare un intervento finanziario. In cambio ovviamente delle solite “riforme”. Berlusconi e Tremonti si opposero, ma il commissariamento arrivò comunque a novembre di quell’anno con la crisi speculativa sui nostri titoli di Stato e l’insediamento di Mario Monti alla presidenza del Consiglio.Con la piena benedizione di Emmanuel Macron, Christine Lagarde arriva così fino al vertice dell’Eurotower. Non un fulmine a ciel sereno, dato che il suo nome era fra quelli papabili. Ma che dice molto sui nuovi equilibri che regneranno in Europa: a questo giro l’ha spuntata la Francia, riuscendo in qualche modo a ridimensionare una Merkel (la quale ha comunque un’ottima stima della Lagarde) sempre meno leader indiscusso. Tandem Christine Lagarde – Ursula von der Leyen? Se le nomine dovessero essere confermate dal Parlamento Ue, ai vertici delle istituzioni comunitarie siederanno così due donne. Detto delle esperienze della Lagarde, non va meglio con quelle di Ursula von der Leyen. Tedesca, classe 1958, ininterrottamente dal 2005 ha rivestito per tre volte la carica di ministro nel governo federale tedesco. Torniamo di nuovo all’annus horribilis 2011. Proprio mentre Lagarde premeva per il nostro commissariamento, la von der Leyen si spingeva oltre, proponendo di legare eventuali aiuti ai membri in crisi dell’Eurozona in crisi con la richiesta di depositare beni in garanzia. Nello specifico, il nostro oro o le nostre aziende strategiche. L’unione di intenti fra le due nuove “teste” dell’Ue condurrà al disastro? Nonostante i “precedenti”, infatti, già da qualche anno l’Fmi ha iniziato, sia pur timidamente, a ripensare i propri modelli.Se prima l’austerità e le riforme strutturali erano l’unica via da percorrere, oggi la musica sembra in minima parte cambiata. E’ quindi estremamente probabile che, seguendo la nuova trama, che Christine Lagarde possa riprendere in mano il “bazooka” lanciato da Draghi con il nome di Quantitative Easing. Modificandolo, dandogli forse una diversa taratura. Ma certo non riponendolo in soffitta. Altro ossigeno, insomma, per un’Eurozona che è e rimane disastrata e preda delle contraddizioni intrinseche di una moneta unica architettata male e realizzata peggio. Un effetto placebo che, come già dimostrato fino ad oggi (nonostante l’invasione di liquidità l’inflazione, zavorrata da una crescita che resta asfittica, di salire non ne vuol proprio sapere) rischia solo di procrastinare la nostra agonia. Evitando forse manovre lacrime e sangue. Ma non per questo affrontando qui problemi talmente connaturati all’euro dal non poter essere in alcun modo risolti. A meno di non voler dare una nuova forma all’unione monetaria, magari iniziando a discutere di trasferimenti monetari dalle zone più ricche a quelle più in difficoltà. Scelta di politica economica standard in condizioni “normali”, ma che la Germania non accetterà mai. E anche qualora si dimostrasse aperta all’ipotesi, chiederebbe in cambio di scrivere – insieme a Bruxelles e alla Bce stessa – direttamente le nostre finanziarie. Sarebbe desiderabile?(Filippo Burla, “La macellaia della Grecia a capo della Bce: ecco chi è Christine Lagarde”, da “Il Primato Nazionale” del 3 luglio 2019. Laureato in scienze politiche ed economia aziendale, Burla è un analista economico del giornale, indipendente, ascrivibile all’area culturale della nuova destra sovranista italiana. Quanto alla Lagarde, nel saggio “Massoni” edito da Chiarelettere, Gioele Magaldi svela che la presidente uscente del Fmi milita stabilmente in svariate Ur-Lodges, come le superlogge “Three Eyes” e “Pan-Europa”, espressione dell’ala reazionaria e oligarchica del supremo potere massonico mondiale).«Usami per il tempo che ti serve». E ancora: «Se mi usi, ho bisogno di te come guida e come sostegno». La lettera era senza data, ma riconducibile agli anni fra il 2007 e il 2011 quando Christine Lagarde, dal 2 luglio governatore in pectore della Bce, siedeva sulla poltrona di ministro dell’economia della Francia. Così si rivolgeva all’allora presidente Nicolas Sarkozy, dando di sé un’immagine che sottomessa è dir poco. Non sorprenderà, allora, che nel valzer delle nomine che contano in Ue, a spuntarla sia stata proprio Parigi. Classe 1956, è – al pari di Ursula von der Leyen, destinata alla presidenza della Commissione Ue – la prima donna che guiderà la Bce. Si tratta anche della prima personalità senza studi di economia: figlia dell’altissima borghesia parigina, la Lagarde è infatti laureata in giurisprudenza. Esponente dell’Ump, ha iniziato la sua carriera “istituzionale” nel 2005. Senza soluzione di continuità, è stata prima ministro delegato al commercio estero, poi dell’agricoltura e della pesca, successivamente titolare delle finanze e dell’industria. Christine Lagarde diviene nota alle cronache per prendere possesso, nel 2011, dello scranno più alto al Fondo Monetario Internazionale. Succede al suo connazionale Dominique Strauss-Kahn, esautorato a causa di uno scandalo di natura sessuale poi rivelatosi una montatura.
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Finti sovranisti, innocui: il banco vince sempre, anche in Ue
Il risultato delle elezioni europee ‘migliora’ il quadro politico sia nazionale che continentale, ma solo marginalmente, perché come sempre ha vinto il Banco, cioè la Banca, essendo il gioco truccato. Cattolici, liberali, socialisti, nazionalisti e “sovranisti” si sono tenuti tutti all’interno del perimetro del modello, delle regole e dei meccanismi del capitalismo finanziario mondialista e della sua gerarchia di scopi e poteri, senza metterli in discussione, sebbene sappiano benissimo che sono essi il fomite dei mali sociali, economici ed ecologici che hanno promesso di risolvere – mali che hanno prudentemente imputato ad altre cause. Nessuno di essi è antisistema. Hanno recitato entro il teatrino delle divergenze predisposto per loro, entro il range di posizioni (fintamente) critiche autorizzato dal potere reale. Dietro la facciata di apparente alternatività tra le forze politiche in lizza elettorale, questo dato di fondo le accomuna tutte: tutte hanno cooperato nello spiegare al popolo bue i problemi che lo affliggono, dall’economia all’immigrazione, in termini irrealistici, semplicistici, emotivi – termini fuorvianti, quindi innocui per gli interessi forti. La politica, infatti, è l’arte del possibile, del pragmatismo, che, per raccogliere voti, si fa credere altro.I problemi economici (recessione, disoccupazione, indebitamento) sono stati presentati alla base come frutto di un’errata o avara posizione della cricca eurocratica, e come se si trattasse di conquistare il diritto a fare più deficit, e senza prospettare un piano B per il caso che le cose non cambieranno. Non è stata denunciata la monopolizzazione privatistica del potere monetario e finanziario nelle mani di un cartello sovranazionale, il quale ha da decenni deciso una politica globale di restrizione dello sviluppo reale, di finanziarizzazione della società e della politica, di centralizzazione del potere delle proprie mani, di sottomissione delle istituzioni, dei governi, dei parlamenti, attraverso il loro indebitamento programmato e a strozzo che li rende ricattabili e burattinabili, con enormi incrementi nella diseguaglianza, che hanno portato una minuscola élite al controllo della maggioranza del reddito e della ricchezza, e massacrato i diritti dei lavoratori. E poi li chiamano “populisti”.Neppure si è messo in discussione, prospettando un piano B per il caso di rifiuto dei dovuti correttivi, lo statuto e la gestione delle Bce, né la politica bancaria-monetaria europea che assegna all’Italia metà della liquidità pro capite che dà alla Francia e alla Germania, né il sistematicamente mancato rispetto tedesco dei limiti di surplus commerciale. Il problema dell’immigrazione è stato presentato e travisato in termini di mercanti di esseri umani, di affarismo dell’accoglienza e di abuso da parte degli stessi migranti. Non hanno spiegato, perché non si potevano mettere in urto con Cina, Francia, Belgio e altri paesi, che l’immigrazione sostitutiva di massa, o invasione, è spinta dal fatto che la Cina si sta accaparrandosi le terre africane, e gli occidentali le materie prime; e tutto questo produce le ondate di migranti economici e conflitti che degenerano in croniche guerre e guerriglie locali.Questi due problemi fondamentali, quello economico e quello migratorio, hanno cause e interessi retrostanti così potenti che non si possono nominare al grande pubblico, né li si può additare come avversari da combattere, ma si additano cause e colpevoli abbordabili. I partiti politici “sovranisti” e “populisti” italiani non hanno nemmeno messo in discussione l’impostazione di fondo dell’Unione Europea che, sin dalla sua progettazione, che, sotto la pelle d’agnello di Ventotene, pianifica e sta attuando la concentrazione del potere e delle risorse del continente nelle sue aree più efficienti, ossia in Germania e parte della Francia e dell’Olanda, a spese degli altri paesi. Nessuno ha descritto gli effetti e la funzione dell’Euro a questo disegno strategico, intenzionale. Nessuno ha promesso che porterà l’Italia fuori dall’euro, se l’euro non verrà riformato in modo tale che non abbia più quell’effetto. Nessuno ha fatto un conto oggettivo dei danni e benefici dell’Ue (politica agricola, politica fiscale, politica monetaria): sarebbe stato troppo rivelatore! Dove sono allora il sovranismo e il populismo, all’atto pratico?I partiti creduti sovranisti non sono realmente sovranisti anche perché non hanno messo in luce il problema della posizione appunto subalterna dell’Italia rispetto agli interessi di altri paesi dell’Ue, non hanno proposto una soluzione realistica a questa condizione che ci condanna alla sistematica e progressiva spoliazione e deindustrializzazione e africanizzazione. Si sono limitati a dire che avranno più forza nel Parlamento Europeo, mentre in ogni caso i vari partiti “sovranisti” europei sono e rimangono una minoranza in quel Parlamento, e sono divisi tra loro perché portatori di interessi nazionali in buona parte contrapposti. Non è che Lega e 5 Stelle stiano sprecando le opportunità per mettere in luce e in discussione un sistema di potere contrario agli interessi nazionali: stanno semplicemente evitando di scontrarsi con esso per non essere licenziate. Almeno fino ad oggi.(Marco Della Luna, “Il Banco vince sempre”, dal blog di Della Luna del 27 maggio 2019).Il risultato delle elezioni europee ‘migliora’ il quadro politico sia nazionale che continentale, ma solo marginalmente, perché come sempre ha vinto il Banco, cioè la Banca, essendo il gioco truccato. Cattolici, liberali, socialisti, nazionalisti e “sovranisti” si sono tenuti tutti all’interno del perimetro del modello, delle regole e dei meccanismi del capitalismo finanziario mondialista e della sua gerarchia di scopi e poteri, senza metterli in discussione, sebbene sappiano benissimo che sono essi il fomite dei mali sociali, economici ed ecologici che hanno promesso di risolvere – mali che hanno prudentemente imputato ad altre cause. Nessuno di essi è antisistema. Hanno recitato entro il teatrino delle divergenze predisposto per loro, entro il range di posizioni (fintamente) critiche autorizzato dal potere reale. Dietro la facciata di apparente alternatività tra le forze politiche in lizza elettorale, questo dato di fondo le accomuna tutte: tutte hanno cooperato nello spiegare al popolo bue i problemi che lo affliggono, dall’economia all’immigrazione, in termini irrealistici, semplicistici, emotivi – termini fuorvianti, quindi innocui per gli interessi forti. La politica, infatti, è l’arte del possibile, del pragmatismo, che, per raccogliere voti, si fa credere altro.
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Cosa ci manca per essere come Rosselli, Palme e Sankara
Quando parliamo di costruire il futuro, spesso facciamo uso di sogni e visioni. Oggi, qui, invece, possiamo partire dalla realtà, che non di rado è meno piacevole. La realtà ci dice che Thomas Sankara è morto giovane e non è diventato il padre nobile di un’Africa democratica, più consapevole ed economicamente evoluta, che infatti ancora non c’è. La realtà ci dice che Carlo Rosselli non è sopravvissuto al fascismo e non ha potuto contribuire direttamente a rendere l’Italia e l’Europa postbelliche più libere e felici. E la realtà dice anche che Olof Palme non è diventato segretario generale delle Nazioni Unite. Sono stati assassinati e, soprattutto, nessuno ha potuto, o saputo, prendere il loro posto. Eppure sono stati degli esempi, per noi. Prendiamo Sankara: ha realizzato un piano tutto interno al Burkina Faso, coinvolgendo per quattro anni sette milioni di africani abbandonati a sé stessi e alla propria povertà. Ha fatto costruire scuole, ospedali, pozzi, dighe, strade, campi sportivi. Ha promosso la piantumazione del Sahel, e lo sviluppo agricolo e dell’allevamento. Ha esteso le cure sanitarie a tutti, consentito un aumento della vita media e favorito la prevenzione dell’Aids. Ha reso possibile l’istruzione diffusa e ha consentito a tutti di dire il proprio pensiero alla radio nazionale, senza filtri e senza mediazioni.Ha impegnato l’esercito in opere civili, e convertito parte dei fondi militari destinandoli a progetti di sviluppo. Ha liberato la donna dal giogo culturale maschile e proibito le mutilazioni genitali femminili, valorizzando quindi gli aspetti culturali costruttivi del suo paese e intervenendo su quelli deteriori. Ha chiesto di cancellare il debito estero di origine coloniale. Un presidente non ancora quarantenne ha realizzato tutto ciò in quattro anni. L’emozione che sentiamo di fronte alle azioni di Sankara è un pugno nello stomaco per la nostra coscienza, perché ci fa vedere quanto e quanto in fretta è possibile cambiare. Palme ha proposto un mondo senza dittature, che controlla le armi nucleari, cancella l’apartheid, distribuisce la ricchezza e rende i lavoratori piccoli azionisti delle aziende per le quali prestano la propria opera. Rosselli ha insegnato a coinvolgere tutti, nelle decisioni che riguardano tutti, al fine di raggiungere il benessere per tutti: liberalismo come metodo, socialismo come fine.Potremmo forse considerare questi tre leader degli idealisti o, peggio, degli ingenui. Ingenuo sarebbe colui che guarda solo i propri ideali, incapace di comprendere il mondo per quello che è. Si dice che in politica il contrario dell’ingenuità sia invece il realismo, cioè la capacità di guardare la dura realtà e governare le masse di conseguenza, senza illusioni, per raggiungere quello che si può. Eppure, Sankara per conoscere il suo paese girava le città e le campagne anche in bicicletta, pagava il mutuo e quando morì c’erano pochissimi soldi sul suo conto corrente; aveva ben presenti i suoi nemici e sapeva quale pericolo rappresentavano per lui; Palme si oppose alla guerra in Vietnam (che gli Usa persero, e tale sconfitta dimostrò quanto fossero falsi i motivi per i quali era stata combattuta); Rosselli previde che l’esito della parabola nazifascista sarebbe stato una guerra fratricida. Che cosa accomuna questi tre leader? Tutti hanno usato in modo costruttivo le risorse materiali e mentali a disposizione, per raggiungere obiettivi di valore. Usare la cooperazione al posto della competizione, che ha nella guerra la sua fine più stupida e ingloriosa, non è certo mancanza di realismo politico.Il vero realismo politico è conoscere la miseria della nostra razza e, con i propri principi spirituali, trovare soluzioni per modificarla (la miseria, non la razza). Se siamo dunque qui a parlare di Rosselli, Palme e Sankara come dei “nostri esempi” è perché abbiamo perso quegli stessi esempi per strada considerandoli inconsciamente “idealistici”, e abbiamo dormito il sonno della ragione e della coscienza: tutti noi, sia le masse dei governati sia le élite dei cosiddetti leader, progressisti compresi. Il problema è proprio che Palme, Rosselli e Sankara sono ancora i nostri fari (fuori di noi) e non parte del nostro Dna (dentro di noi). È questo il paradosso della leadership: dichiariamo di seguirla ma non l’abbiamo interiorizzata. Guardiamo i nostri capi attuali. Non soltanto i soliti Kim, Putin, Trump, Erdogan, Orban, Bolsonaro, Maduro, Macron, Merkel, May e così via. Mi riferisco anche alle alte cariche dello Stato in Italia, nazionali e locali, rappresentanti della Costituzione che loro dovrebbero difendere. Quando siamo chiamati a un referendum si dimenticano di ricordare che, proprio secondo la Costituzione, l’esercizio del voto è dovere civico (guadagnato per noi da milioni di soldati e civili morti nell’ultimo conflitto mondiale).E noi non pensiamo che, se anche i politici “tradiscono le decisioni referendarie”, in Parlamento noi possiamo votare ancora (e ancora, e ancora) per ribaltare quei tradimenti, informandoci e dedicando mezz’ora del nostro tempo per mettere una croce sulla scheda. Gli stessi politici naturalmente non ricordano ai giornalisti il loro dovere di informare i cittadini prima del voto perché possano conoscere per deliberare. Tutti tacciono e, quando i parlamentari alterano l’esito referendario, la volta dopo noi ce ne stiamo a casa “per protestare”, come bambini incapricciati. È normale che, appena prima del referendum sulla Brexit, il “Sun” titolasse dando ancora indicazioni su come votare? Una decisione così importante avrebbe dovuto essere stata presa dai lettori di quel tabloid settimane prima del voto: un voto che non può essere cambiato dopo cinque anni, come nelle elezioni generali, ma che avrà impatto per decenni sulla vita del Regno Unito. Come è possibile che gli elettori abbiano deciso sulla base di un titolo di giornale?I nostri politici non hanno più, o non hanno mai avuto, la spiritualità di Sankara, Rosselli e Palme. E noi non abbiamo quel livello di spiritualità che, se fosse presente, ci farebbe rendere conto che avere capi politici come i nostri non è normale. Diceva Oscar Wilde che il coraggio è sparito dalla nostra razza o forse non lo abbiamo mai avuto veramente… perché, aggiungeva, ci facciamo governare dal terrore della società (che è la base della morale) e dal terrore di Dio (che è la base della religione). In un mondo governato dai principi spirituali, un presidente come Sankara sarebbe considerato un buon amministratore della cosa pubblica, e non un rivoluzionario; un politico normale, che con il cuore e la ragione dei buoni padri di famiglia favorisce la felicità di quelli che dipendono da lui. I politici diversi sarebbero visti come anomalie geneticamente modificate, involucri privi della coscienza, cioè della capacità di distinguere ciò che crea sofferenza da ciò che produce benessere. Il modello di leadership delle nostre società è invece quello del capobranco con il suo gregge, modello che produce povertà e dolore e che nessun essere spirituale accetterebbe mai come “normale”.Molti nostri predecessori sono morti sperando che noi avremmo raccolto la loro eredità di cambiamento. Finora non lo abbiamo fatto a sufficienza. Ma le crisi della coscienza sono salutari perché la risvegliano. Che cosa possiamo fare noi oggi di diverso? Quando ci troviamo di fronte a un problema, una crisi, un conflitto, qualcosa che non ci piace, possiamo guardarci dentro e interpellare la nostra scala dei valori, e se riusciamo anche la nostra scintilla divina; poi possiamo ripensare alla scintilla divina che ha animato persone come Palme, Rosselli e Sankara, collegarci ad essa e chiederci: “Ma io, lasciando perdere tutte le distorsioni che mi hanno raccontato sul realismo politico, che cosa farei in questa situazione seguendo i miei principi?”. E poi, possiamo agire di conseguenza. Se lo facessimo, a quel punto ci accorgeremmo che, come non siamo rivoluzionari noi, non lo erano nemmeno Rosselli, Palme e Sankara. Erano uomini con la U maiuscola e la schiena dritta, che hanno fatto semplicemente ciò che andava, ragionevolmente, fatto.(Zvetan Lilov, “Rosselli, Palme, Sankara e noi: il paradosso della leadership”, intervento al convegno “Nel segno di Olof Palme, Carlo Rosselli, Thomas Sankara e contro la crisi globale della democrazia” organizzato dal Movimento Roosevelt il 3 maggio 2019 a Milano).Quando parliamo di costruire il futuro, spesso facciamo uso di sogni e visioni. Oggi, qui, invece, possiamo partire dalla realtà, che non di rado è meno piacevole. La realtà ci dice che Thomas Sankara è morto giovane e non è diventato il padre nobile di un’Africa democratica, più consapevole ed economicamente evoluta, che infatti ancora non c’è. La realtà ci dice che Carlo Rosselli non è sopravvissuto al fascismo e non ha potuto contribuire direttamente a rendere l’Italia e l’Europa postbelliche più libere e felici. E la realtà dice anche che Olof Palme non è diventato segretario generale delle Nazioni Unite. Sono stati assassinati e, soprattutto, nessuno ha potuto, o saputo, prendere il loro posto. Eppure sono stati degli esempi, per noi. Prendiamo Sankara: ha realizzato un piano tutto interno al Burkina Faso, coinvolgendo per quattro anni sette milioni di africani abbandonati a sé stessi e alla propria povertà. Ha fatto costruire scuole, ospedali, pozzi, dighe, strade, campi sportivi. Ha promosso la piantumazione del Sahel, e lo sviluppo agricolo e dell’allevamento. Ha esteso le cure sanitarie a tutti, consentito un aumento della vita media e favorito la prevenzione dell’Aids. Ha reso possibile l’istruzione diffusa e ha consentito a tutti di dire il proprio pensiero alla radio nazionale, senza filtri e senza mediazioni.
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Ormai siamo superflui, la plutocrazia cospira contro di noi
Sono in corso precise e profonde trasformazioni strutturali dell’ordinamento sociale, su scala mondiale, che la comunicazione politica per le masse non menziona o menziona solo velatamente, senza mai parlare di come esse hanno ridotto il ruolo della politica. Ne cito qui alcune particolarmente chiare e rilevanti, per poi descrivere i principali fattori che ostacolano il loro pubblico riconoscimento. In compenso, recenti vicende legate alla crisi economica e alla globalizzazione hanno fatto capire all’opinione pubblica che le nazioni sono governate da una oligarchia e non dalle istituzioni ufficiali, sì che non esiste la democrazia e vi è un essenziale conflitto di classe tra governanti e governati, indipendente dalla ideologia adottata dai primi. La prima e più nota, delle trasformazioni globali in corso, è sul piano ‘orizzontale’: è la globalizzazione-centralizzazione dei mercati e del potere anche politico e giudiziario, con il conseguente svuotamento-soppiantamento degli Stati nazionali e delle rappresentanze e realtà nazionali. La seconda è sul piano ‘verticale’: è il trasferimento del potere effettivo da soggetti pubblici, visibili e in qualche modo responsabili (politicamente, giudiziariamente), a soggetti privati, non esposti, non responsabili (non eletti, non sindacabili giudiziariamente), che studiano e prendono dietro porte chiuse le grandi decisioni e dirigono i governi da sopra di essi – l’Unione Europea è un ottimo esempio di ciò.La terza è che i popoli diventano superflui e ininfluenti perché l’economia finanziarizzata non ha più bisogno, per produrre ricchezza e mantenere il potere costituito, di produrre e vendere grandi quantità di beni reali, né di eserciti di massa; quindi i cittadini, come lavoratori-consumatori-combattenti hanno perso utilità per il sistema, e con essa rilevanza politica; da qui il diffondersi della povertà e la perdita di diritti dei lavoratori. La quarta è la capacità tecnologica, che i manovratori del potere stanno sempre più acquisendo, di monitorare e influenzare anche biologicamente i singoli e la società, e persino le condizioni metereologiche, con mezzi praticamente irresistibili. Veniamo ora ai paraocchi, cioè ai principali fattori che impediscono all’opinione pubblica di capire come funzionano e come si stanno evolvendo la società e l’ordinamento giuridico, e che così li rendono psicologicamente accettabili alla massa. Infatti la gente non sopporta di sentirsi impotente entro un sistema ingiusto, illegittimo e sopraffattore, quindi accetta ogni aiuto per costruirsi l’illusione di vivere in un sistema complessivamente legittimo, visibile e ben intenzionato. In primo luogo si tende tuttora a pensare che i processi decisionali e le intenzioni dei soggetti istituzionali, politici ed economici, siano quelli dichiarati anziché altri, nascosti e dissimulati – anche se da Machiavelli in poi la politologia insegna che le cose stanno proprio così.In secondo luogo, si tende a pensare che l’uomo e la collettività e il loro bene siano il fine dell’azione dello Stato, mentre al contrario i detentori del potere ‘tengono’ la collettività come un loro strumento, similmente a come l’allevatore tiene il bestiame; e gli Stati, al loro interno e nei rapporti internazionali, agiscono non secondo i principi legali ed etici con cui si legittimano, bensì cercando sopraffazione e sfruttamento. In terzo luogo si tende a pensare che il potere reale coincida col potere ufficialmente visibile e pubblico, istituzionale, controllabile politicamente e giudiziariamente, anziché essere detenuto da soggetti autoreferenziali, non responsabili e scarsamente visibili. In quarto luogo si tende a pensare che la legalità sia complessivamente osservata soprattutto dai poteri pubblici e delle istituzioni, e difesa dalla giustizia – mentre non è affatto così, anzi prevalgono le pratiche e le decisioni illegali, e il potere giudiziario strutturalmente si occupa non di difendere la legalità ma di mascherare, legittimare, preservare i rapporti di forza, privilegio e interesse reali, indipendentemente dalla loro illegalità, mantenendo una apparenza di legittimità agli occhi della massa. Bisognerebbe sempre tenere a mente che rispettare le regole, per chi detiene il potere, è un costo.In quinto luogo, si tende a credere, in conformità al catechismo neoliberale dei mass media e delle istituzioni, che il mercato libero esista, che sia efficiente, e che tenda alla crescita economica, mentre al contrario il mercato non è libero ma controllato da cartelli; non è efficiente, perché non tende ad aumentare la produzione di beni della vita né a prevenire o curare le crisi, ma a produrne in continuazione, per speculare e condizionare i governi grazie ad esse; ed essendo un mercato dominato dalla finanza, non tende a produrre più ricchezza reale. In sesto luogo, nella recessione-stagnazione economica si tende a non vedere che esse sono tali solo per la popolazione generale, mentre per l’élite dominante, per i manovratori, esse comportano un grande incremento di ricchezza e potere rispetto alla società complessiva. I detentori apicali del potere, i pianificatori-manovratori di lungo termine, da qualche decennio si stanno servendo delle dinamiche del capitalismo finanziario (che distrugge insieme le sicurezze private e le strutture pubbliche rappresentative dei popoli), nonché della sua capacità di condizionare i comportamenti collettivi e individuali, allo scopo di preparare e attivare gli strumenti per la riduzione della popolazione, dei consumi e delle emissioni: riduzione che pare indispensabile per salvare il pianeta.In queste ottiche, lo sviluppo economico è stato fermato e avviato alla sua inversione dal cartello mondiale privato della moneta e del credito attraverso la creazione orchestrata di una carestia monetaria, giustificata con false teorie economiche, e che moltiplica le ricchezze della classe globale dominante diffondendo la povertà nella popolazione generale. Analogamente, la dinamica (“animal spirits”) del profitto capitalistico e monopolistico viene sfruttata per creare, attraverso la privatizzazione della produzione e del commercio delle risorse alimentari (terreni, sementi, chimica) nelle mani di un cartello globale, i presupposti per una carenza alimentare generale nel terzo mondo. Questa condizione orchestrata di carestia alimentare globale, combinata con la carestia monetaria, in una prima fase opera una progressiva estrazione di ricchezza e reddito dalle nazioni (cittadini, imprese, settore pubblico), e in una seconda fase prepara la soluzione del problema eco-demografico, appoggiata da farmaci contaminati e contaminanti alimentari nonché ambientali che abbassano le difese immunitarie e la fertilità, minano il sistema nervoso, e innalzano la morbilità soprattutto degenerativa nella popolazione generale. Il nemico della biosfera, dell’ambiente, ultimamente sono i sette miliardi di sovrappopolazione, coi loro consumi e le loro emissioni – e quella sopra sembra essere la cura che è stata pianificata. Vorrei ricordare quanto sopra a coloro che credono ancora che si possa rilanciare la natalità e lo sviluppo economico.(Marco Della Luna, “Evoluzione e paraocchi”, dal blog di Della Luna del 29 marzo 2019).Sono in corso precise e profonde trasformazioni strutturali dell’ordinamento sociale, su scala mondiale, che la comunicazione politica per le masse non menziona o menziona solo velatamente, senza mai parlare di come esse hanno ridotto il ruolo della politica. Ne cito qui alcune particolarmente chiare e rilevanti, per poi descrivere i principali fattori che ostacolano il loro pubblico riconoscimento. In compenso, recenti vicende legate alla crisi economica e alla globalizzazione hanno fatto capire all’opinione pubblica che le nazioni sono governate da una oligarchia e non dalle istituzioni ufficiali, sì che non esiste la democrazia e vi è un essenziale conflitto di classe tra governanti e governati, indipendente dalla ideologia adottata dai primi. La prima e più nota, delle trasformazioni globali in corso, è sul piano ‘orizzontale’: è la globalizzazione-centralizzazione dei mercati e del potere anche politico e giudiziario, con il conseguente svuotamento-soppiantamento degli Stati nazionali e delle rappresentanze e realtà nazionali. La seconda è sul piano ‘verticale’: è il trasferimento del potere effettivo da soggetti pubblici, visibili e in qualche modo responsabili (politicamente, giudiziariamente), a soggetti privati, non esposti, non responsabili (non eletti, non sindacabili giudiziariamente), che studiano e prendono dietro porte chiuse le grandi decisioni e dirigono i governi da sopra di essi – l’Unione Europea è un ottimo esempio di ciò.
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L’imbroglio delle europee: il Parlamento conta meno di zero
Votare per un Parlamento i cui legislatori non possono fare le leggi e in più devono lottare come matti se vogliono opporsi a potentissime leggi fatte da tecnocrati che nessuno ha mai eletto – cioè votare alle elezioni per il Parlamento Europeo – significa «rendersi complici intenzionali di una dittatura». Lo sostiene Paolo Barnard, nella sua “Guida alla vergogna delle elezioni europee”: un riassunto spietato dell’euro-farsa di maggio. «La gran massa di quelli che oggi vi stanno dicendo che una rimonta populista euroscettica alle prossime europee sarà esplosiva contro la bieca autocratica Ue di Bruxelles, è così ripartita: il 2% sono consapevoli falsari, il 98% sono inconsapevoli cretini», premette Barnard. «Se la mattina del 27 maggio 2019 il più potente burocrate d’Europa, Martin Selmayr, vedrà su “Sky News” il faccione raggiante di Salvini “che non lo tiene più nessuno”, scrollerà le spalle e penserà: “Vabbè, una rogna in più”. Mica altro, perché la sua Europa verrà solo di un poco infastidita». Il Parlamento Europeo, infatti, conta niente: è il più demenziale, tragicomico baraccone mai concepito nella storia politica umana. Credere che, dall’interno di un carrozzone impantanato come questo, un’eventuale fronte anti-Bruxelles possa iniziare a sparare cannonate micidiali fin dalla mattina del 27 maggio, «è da fessi», dice Barbard, «o da falsari come Salvini, Bannon, il 5 Stelle e i loro soci in Ue».Per Barnard, è come «votare per dei vigliacchi», disposti a farsi mandare a Strasburgo pur essendo pienamente consapevoli della loro impotenza. I parlamentari europei? «Delegano la stesura di leggi sovranazionali – cioè più potenti di quelle scritte dai singoli paesi e sovente anticostituzionali, per loro – ai burocrati non-eletti della Commissione Europea». Ipocriti e codardi: «Il “principio di comodità” è ciò che li guida: è comodo sedersi a Strasburgo, intascare un grasso salario e poi, al limite, dara la colpa a Bruxelles per i danni micidiali che certe sue leggi ci fa». Lo chiarisce uno studio della Cambridge University del 1999: «I legislatori hanno noti incentivi a delegare tutto il potere ai burocrati, fra cui il fatto di evitare di essere poi chiamati a rispondere ai cittadini per scelte dure e impopolari». Tradotto: le infami “riforme” di lavoro e pensioni, e i tagli di spesa alla Juncker. Poi si è passati dal non poter fare nulla al poter fare quasi nulla, aggiunge Barnard: l’impotenza degli europarlamentari «divenne talmente oscena e grottesca, che alla fine i super-burocrati di Bruxelles decisero, dal 2006 e poi l’anno dopo col Trattato di Lisbona, d’infilare dei ritocchini cosmetici che dessero l’impressione che il Parlamento potesse bloccargli le leggi».Con nomi attraenti (Regulatory Procedure With Scrutiny e articolo 290 Tfeu) fu dato al Parlamento Europeo il potere teorico di opporsi alle leggi della Commissione, così come poteva fare il Consiglio dei ministri. Ma era solo l’ennesima farsa: «I parlamentari contestano? Costa una fortuna, e i tempi gli sono nemici». Il Trattato di Lisbona, spiega Barnard, ha reso pressoché inaffrontabile il costo di una contestazione del Parlamento contro la Commissione. Le direttive della Commissione «sono di proposito scritte da oltre 300 tecnocrati con intrichi legali asfissianti». Per cui, l’europarlamentare che volesse capirci qualcosa «dovrebbe pagare uno staff di tecnici a costi altissimi», ma non solo: «Deve poi avere ulteriori mezzi per “istruire” un’intera commissione parlamentare sul tema che vuole criticare, e tutto questo solo per iniziare ad agire». Infine, deve trovare altri mezzi «per formare una coalizione che sia d’accordo con lui, e non basta: deve anche convincere la Conferenza dei presidenti delle commissioni».E tutto questo, senza contare i tempi: solo 4 mesi, per organizzare il tutto, creare una lobby trasversale fra i vari partiti reclutando colleghi a favore della contestazione e quindi rifare tutto, daccapo, in seno al Consiglio dei ministri, che per legge deve essere poi d’accordo. «Scaduti i 4 mesi, il parlamentare Ue s’attacca al tram». Conferma l’“Economist”: «Il peso, i costi e gli ostacoli di una contestazione contro una legge della Commissione sono quasi sempre maggiori dei benefici. Meglio, per il parlamentare, una forma di baratto in privato con Bruxelles». Lo scriveva nel 2017 il College of Europe, Bruges. In altre parole: meglio darla vinta alla Commissione, in partenza. Un meccanismo «demenziale e democraticamente osceno», sottolinea Barnard: «Un parlamentare eletto deve svenarsi, per contestare burocrati non-eletti». Dal 2009 al 2017, su 545 leggi proposte dalla Commissione, il Parlamento Europeo di fatto ne ha contestate l’1,1%. «Il resto, e sono tutte leggi più potenti di quelle italiane, è passato liscio come l’olio».Mettiamo pure che i populisti euroscettici prendano buoni numeri a maggio: nel qual caso, «è stra-ovvio che avranno una vita infernale, anche solo per mantenere una frazione di ciò che oggi sbraitano agli elettori». In sostanza, un europarlamentare che volesse bloccare una super-legge della Commissione dovrebbe disporre di una barca di soldi e di supr-tecnici, per provare a convincere un mare di altri parlamentari, tra partiti e commissioni, solo per iniziare ad agire. Ma per arrivare a una conclusione di successo, continua Barnard, l’ipotetico parlamentare-eroe dovrebbe poi anche superare diversi veti. Il primo, salla commissione parlamentare interessata. Poi potrebbero contestargli un conflitto di giurisdizione fra commissioni, cioè dirgli: il tema non è di tua competenza. Se poi il parlamentare non ottiene la maggioranza assoluta di tutto il Parlamento Europeo, insieme all’ok del 55% del Consiglio dei ministri (cioè di tutti gli Stati Ue) la partita non può nemmeno cominciare. «Non è teatro pirandelliano: è come funziona ’sto delirio chiamato Parlamento Ue».Terza farsa, continua Barnard: questi europarlamentari “evirati” sono costretti a fare i lobbysti, e spesso di nascosto. Michael Kaeding, economista neoliberista dell’università Duisburg-Essen, ricoprire una decina d’incarichi nelle maggiori think-tanks d’Europa. Un super-tecnocrate, l’opposto di un euroscettico. Con Barnard, ha intrattenuto uno scambio chiarificatore. Kaeding è esplicito: la Commissione Europea, che emana tutte le leggi, è consapevole di avere scarsa legittimità democratica. Per questo, cerca sempre di non arrivare allo scontro coi parlamentari, coi quali tenta specifici accordi. Nientemeno: «Esiste un potere di fatto, dove il singolo parlamentare baratta con la Commissione su certe leggi, piuttosto che tentare uno scontro. Il problema – aggiunge Kaeding – è che questi negoziati non sempre sono trasparenti, o addirittura sono difficili da scoprire». Capito? Ridotto all’impotenza, l’europarlamentare si trasforma in lobbysta-ombra. Persino Kaeding arriva a domandarsi che senso abbiano queste trattative “riservate”, e quanto siano lecite.Che altro? Questo: il Parlamento Europeo può teoricamente bocciare sia la Commissione che il suo presidente. Una prospettiva che Barnard classifica «surreale», e spiega: «Il Parlamento Ue può in effetti bocciare sia la nomina del presidente della Commissione, sia la lista dei commissari». Ma poi cosa succede? «Presidente e commissari vengono ripresentati quasi identici, o al meglio con cosmetiche correzioni per salvare la faccia ai parlamentari contestatari». Ora, se un ipotetico Europarlamento “salviniano” non accettasse il salva-faccia, si riboccerebbe il tutto. A quel punto, si entrerebbe «nel labirinto chiamato “crisi costituzionale” secondo il Trattato di Lisbona», cioè la Costituzione Ue «introdotta di nascosto nel 2007, dopo la bocciatura francese e olandese della prima Costituzione proposta, bocciata perché “socialmente frigida”». E chi la risolverebbe, una crisi costituzionale di quel tipo? Il Parlamento Europeo? «Ma non facciamo ridere», taglia corto Barnard.Certo, resterenne il Consiglio Europeo. Ma idem: il Consiglio «ha consegnato dispute di ’sto genere a oltre 2.800 pagine di codicilli indecifrabili, scritti da tecnocrati nel 2007 (Trattato di Lisbona), da cui si desume – secondo studiosi come Jens Peter Bonde – che la crisi verrebbe a quel punto messa nelle mani della Corte Europea di Giustizia, che è ancor meno eletta della Commissione Ue». Risultato: una bocciatura del Parlamento Europeo varrebbe zero. Lo conferma l’inconsistenza assoluta, fisiologica, dell’assemblea elettiva di Strasburgo. Le leggi Ue, prodotte dalla Commissione, «ficcano il naso dappertutto, dagli omogeneizzati alle regole d’accesso alle comunicazioni satellitari». Spiegano «come devono essere fatte le lampade al neon, definiscono «cos’è la cioccolata», delimitano la privacy e stabiliscono come irrigare un campo. «Ma ciò che questa Europa ha portato di più devastante sulla più bella e democratica Costituzione del mondo, la nostra, sono i trattati», scrive Barnard. Già, perché le leggi teoricamente impugnabili dai parlamentari sono soltanto quelle secondarie, mentre quelle primarie sono proprio i trattati: da Maastricht a Lisbona, fino al devastante Fiscal Compact che ha sfigurato la Costituzione italiana imponendovi il pareggio di bilancio, cioè la distruzione del potere sovrano di spesa (e quindi dell’equità sociale).Ecco perché, secondo Barnard, chiedere voti per alzare la voce all’Europarlamento «è una colossale presa per il culo». L’europarlamentare è neutralizzato persino sulle leggine, e quindi conta zero sui trattati che regolano «la spesa di Stato per le nostre vite, malattie, lavoro, pensioni o giovani». Ecco come stanno le cose: il Trattato di Lisbona, con l’articolo 48 Tfeu, sancisce che per modificare un trattato europeo ci sono quattro procedure. In tutte e quattro, sottolinea Barnard, il ruolo del Parlamento Europeo è limitatissimo. Tre sono le vie fondamentali: procedura ordinaria, procedura semplificata e “passerelle” (in francese). «Vi garantisco che non esiste un premier in tutt’Europa che sappia cosa siano», dice Barnard, «perché sono procedure più complesse della fisica teorica: vi basti sapere quanti attori, a livello Ue, devono essere tutti insieme coinvolti, pluri-consultati, coordinati, informati e infine convinti, per cambiare un Trattato». L’elenco è sconfortante: attraverso un iter ultra-bizantino, praticamente folle, vanno convinti tutti i 28 governi nazionali (e anche solo uno di loro può porre il veto, bloccando tutto). Poi occorre avere con sé la Commissione Ue, il Consiglio Europeo, il Consiglio dei ministri, la cosiddetta Convenzione Europea. Ancora: la Conferenza Intergovernativa, la Bce e, in ultimo, il Parlamento Ue.«E qualcuno crede ancora che i futuri “salvinici” o “orbanici” eroi, a Strasburgo, potranno dire be’ sui trattati?». Ma poi, è vero che a maggio i populisti euroscettici vinceranno? «Non diciamo cretinate», scrive Barnard: «Basta guardare i numeri dei 9 gruppi parlamentari europei per capire che i populisti euroscettici dovrebbero centuplicare i loro consensi per dominare il Parlamento, e gli altri perderne il 90% di botto. Una cosa sembra certa dai sondaggi: su 12 partiti cosiddetti populisti in Europa, oggi solo la Lega otterrà un certo successo, gli altri aumenteranno di 2 o 3 o forse 4 seggi». Tutto qui. Insiste Barnard: «Vi hanno mentito su tutto». Chi? Di Maio, cioè Casaleggio, e naturalmente Salvini, «coi suoi due economisti con 10 chiili di Vinavil fra culo e poltrona politica» (Borghi e Bagnai, ormai silenti di fronte alla retromarcia gialloverde dopo le minacce Ue sul deficit). «Hanno calato le braghe di fronte a Bruxelles in 5 minuti, con una spesa pubblica che è un insulto alla storia italiana», conclude Barnard. «I padani si sono rimangiati la Eurexit perché “eh, abbiamo beccato solo il 17% e quindi sticazzi le promesse elettorali, ma la poltrona ce la teniamo”, mentre Salvini mandava emissari anonimi da “Bloomberg” a dirgli “rassicurate i mercati! Staremo nei ranghi”». Barnard li chiama “cialtroni”: «Oggi vi dicono che a maggio sbaraccheranno tutta l’Europa? Una balla, da vomitare».Votare per un Parlamento i cui legislatori non possono fare le leggi e in più devono lottare come matti se vogliono opporsi a potentissime leggi fatte da tecnocrati che nessuno ha mai eletto – cioè votare alle elezioni per il Parlamento Europeo – significa «rendersi complici intenzionali di una dittatura». Lo sostiene Paolo Barnard, nella sua “Guida alla vergogna delle elezioni europee”: un riassunto spietato dell’euro-farsa di maggio. «La gran massa di quelli che oggi vi stanno dicendo che una rimonta populista euroscettica alle prossime europee sarà esplosiva contro la bieca autocratica Ue di Bruxelles, è così ripartita: il 2% sono consapevoli falsari, il 98% sono inconsapevoli cretini», premette Barnard. «Se la mattina del 27 maggio 2019 il più potente burocrate d’Europa, Martin Selmayr, vedrà su “Sky News” il faccione raggiante di Salvini “che non lo tiene più nessuno”, scrollerà le spalle e penserà: “Vabbè, una rogna in più”. Mica altro, perché la sua Europa verrà solo di un poco infastidita». Il Parlamento Europeo, infatti, conta niente: è il più demenziale, tragicomico baraccone mai concepito nella storia politica umana. Credere che, dall’interno di un carrozzone impantanato come questo, un’eventuale fronte anti-Bruxelles possa iniziare a sparare cannonate micidiali fin dalla mattina del 27 maggio, «è da fessi», dice Barnard, «o da falsari come Salvini, Bannon, il 5 Stelle e i loro soci in Ue».
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Rubbia: la bufala del clima. Emissioni zero col gas naturale
Il clima della Terra è sempre cambiato. Oggi pensiamo, probabilmente sbagliando, che se tenessimo sotto controllo la CO2, il nostro clima resterebbe costante. Questo non è assolutamente vero. Durante l’ultimo milione di anni, la Terra era dominata da periodi di glaciazione con temperature a -10 gradi, tranne brevissimi periodi con temperature paragonabili a quelle di oggi. L’ultimo è stato 10.000 anni fa, quando è cominciato il cambiamento climatico che conosciamo, con l’agricoltura e lo sviluppo alla base di tutta la nostra civilizzazione. Ora, negli ultimi 2.000 anni ad esempio, la temperatura della Terra è cambiata profondamente. Ai tempi dei romani, ad esempio, Annibale è venuto in Italia attraversando le Alpi con gli elefanti. Oggi non potrebbe più farlo, perché la temperatura della Terra è inferiore di un grado e mezzo. C’è stato un periodo, nel medioevo, con una piccola glaciazione. Sì, intorno all’anno Mille c’è stato un aumento moderato delle temperature, simile ai tempi dei romani, e poi però c’è stata una mini-glaciazione – tra il 1500 e il 1600 – con fenomeni che hanno creato problemi di sopravvivenza alle popolazioni del Nord Europa, come i vichinghi. Se restiamo al periodo degli ultimi 100 anni, ci sono stati cambiamenti climatici sostanziali che sono avvenuti nen prima dell’effetto antropogenico, l’effetto serra.Per esempio, negli anni ‘40 c’è stato un cambiamento sostanziale. Poi c’è stato un cambiamento di temperatura che in qualche modo tiene conto della presenza dell’uomo. Non dimentichiamo che quando sono nato io la popolazione della Terra era 3,7 volte più piccola di quella di oggi. E il consumo energetico primario è aumentato 11 volte, nella mia vita. Quindi una cosa impressionante, esplosiva, che però ha avuto effetti molto strani e molto contraddittori, per quanto riguarda il comportamento del pianeta. Vorrei ricordare che dal 2000 al 2014 la temperatura della terra non è affatto aumentata: è anzi diminuita di 0,2 gradi. Negli ultimi 15 anni non abbiamo osservato nessun cambiamento climatico di dimensioni apprezzabili. E questo è un fatto di cui bisogna rendersi conto, perché non siamo di fronte a una esplosione della temperatura. La temperatura è cresciuta fino al 2000, e da quel momento in poi siamo addirittura scesi di 0,2 gradi. E nonostante questo, ci troviamo di fronte a una situazione assolutamente drammatica, per il fatto che le emissioni di CO2 stanno aumentando in maniera esponenziale. Tra le varie soluzioni c’è quella del “business as usual”, che indica effettivamente che – anche grazie allo sviluppo della Cina e degli altri paesi – la CO2 sta aumentando con estrema rapidità.L’anidride carbonica sta aumentando in maniera tale che, a mio parere, la speranza di ridurre il consumo energetico facendo azioni politiche è contraddetta dal fatto che oggi l’aumento della CO2 è esponenziale: sta montando come un’esplosione, senza mostrare la minima tendenza a ridursi. Come sperare di invertire la tendenza entro il 2020-2030? Nel mondo, l’unico paese che è riuscito a contenere le emissioni di CO2 sono gli Stati Uniti – non l’Europa, non la Cina. Per quale motivo? Perché c’è stato lo sviluppo del gas naturale, che sta fondamentalmente rimpiazzando il carbone (che emette CO2). Proprio grazie al gas naturale, oggi l’America ha raddoppiato la produzione di energia elettrica. Il messaggio è chiaro: soltanto attraverso lo sviluppo tecnologico noi possiamo cercare di entrare in competizione con i vari paesi. Non attraverso misure come quelle dell’Unione Europea, che sono sempre misure di coercizione, fondate su un impegno politico formale, ma senza mai avere alle spalle un’idea di soluzione. Confrontiamoci con la situazione americana: là c’è un progresso effettivo, e il vantaggio ecologico crea business e posti di lavoro. In Europa, invece, continuiamo semplicemente a ripetere che dobbiamo ridurre le emissioni, altrimenti sarà il disastro.Con gli sviluppi tecnologici di oggi nel campo del gas naturale, anche le energie rinnovabili si trovano in una situazione estremamente difficile: perché oggi il gas naturale in America è un quinto del costo del gas naturale in Europa. E il costo delle energie rinnovabili in Europa è superiore a quello del gas naturale. Quindi dobbiamo renderci conto che la soluzione tecnologica può essere di qualunque genere, tutto dipende da quello che vogliamo fare. Aggiungo che sto portando avanti un programma che a mio parere potrebbe essere studiato con molta più attenzione anche dal nostro paese: si tratta del gas naturale senza emissione di CO2. Il gas naturale è Ch4, 4 molecole di idrogeno e una di carbonio, ed possibile trasformarlo in “black carbon” (cioè grafite) e idrogeno. E la grafite, essendo materiale solido, non presenta emissioni di CO2. Quindi oggi è possibile utilizzare il gas naturale, di cui abbiamo risorse assolutamente incredibili: non tanto lo “shale gas”, che a mio parere è una soluzione discutibile, ma soprattutto quelli che si chiamano “clatrati”. Quanti ne hanno sentito parlare? Il mio parere personale, quindi, è che – attraverso l’innovazione tecnologica e lo sviluppo di idee nuove – si può portare avanti questo programma, bloccando le emissioni di CO2. Si può fare, utilizzando il gas naturale senza emissioni. Abbiamo in corso esperimenti che ne dimostrano la reale fattibilità. Perché allora non c’è nessuno che se ne occupa? Mi piacerebbe saperlo.(Carlo Rubbia, intervento al Senato pubblicato su YouTube il 2 gennaio 2016. Senatore a vita, il professor Rubbia è stato insignito del Premio Nobel per la Fisica nel 1984).Il clima della Terra è sempre cambiato. Oggi pensiamo, probabilmente sbagliando, che se tenessimo sotto controllo la CO2, il nostro clima resterebbe costante. Questo non è assolutamente vero. Durante l’ultimo milione di anni, la Terra era dominata da periodi di glaciazione con temperature a -10 gradi, tranne brevissimi periodi con temperature paragonabili a quelle di oggi. L’ultimo è stato 10.000 anni fa, quando è cominciato il cambiamento climatico che conosciamo, con l’agricoltura e lo sviluppo alla base di tutta la nostra civilizzazione. Ora, negli ultimi 2.000 anni ad esempio, la temperatura della Terra è cambiata profondamente. Ai tempi dei romani, ad esempio, Annibale è venuto in Italia attraversando le Alpi con gli elefanti. Oggi non potrebbe più farlo, perché la temperatura della Terra è inferiore di un grado e mezzo. C’è stato un periodo, nel medioevo, con una piccola glaciazione. Sì, intorno all’anno Mille c’è stato un aumento moderato delle temperature, simile ai tempi dei romani, e poi però c’è stata una mini-glaciazione – tra il 1500 e il 1600 – con fenomeni che hanno creato problemi di sopravvivenza alle popolazioni del Nord Europa, come i vichinghi. Se restiamo al periodo degli ultimi 100 anni, ci sono stati cambiamenti climatici sostanziali che sono avvenuti ben prima dell’effetto antropogenico, l’effetto serra.
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Odiare lo straniero? Vecchi errori: Hitler lavora per l’élite
La globalizzazione ha travolto l’equilibrio del mondo. E non solo dal punto di vista economico, ma anche da quello politico e morale. Lo sviluppo della scienza e della tecnica ha portato a così profondi mutamenti che, nel giro di pochi anni, le abitudini di vita e i rapporti fra le persone sono profondamente cambiati. Mestieri che da secoli venivano tramandati di padre in figlio sono spariti. I grandi centri commerciali fagocitano i negozi, scalzano i bottegai, e le grandi industrie scalzano i piccoli imprenditori, ridotti ormai quasi alla miseria dalle nuove macchine robotiche. Anche per i contadini questo sviluppo si è rivelato un boomerang: infatti questa agricoltura fortemente specializzata, e spesso addirittura in regime di monocultura, è totalmente dipendente dal fabbisogno dei pesticidi. Sì, proprio perché è cresciuta e si è modernizzata, ha portato alla perdita di posti di lavoro, mentre i guadagni sono quasi inesistenti. Per non parlare poi, ovviamente, dei danni che questo tipo di coltivazione produce all’ambiente. La verità è che questo modello economico, questo neoliberismo selvaggio, ha trasformato ogni manifestazione vitale in una sorta di parodia dell’incubo contabile. Con lavoratori che, ridotti a merci in concorrenza fra loro, sono costretti ad accettare spesso dei lavori disumanizzanti.Se si continua su questa strada, il tramonto dell’Occidente appare imminente. E non solo a causa della degenerazione interna: basta vedere in quali difficoltà si trovano oggi i nostri giovani. E come non vederlo, ad esempio, nel crollo demografico o nella degenerazione della nostra identità, della nostra civiltà europea, generata proprio da questa globalizzazione irresponsabile e predatoria. E non ci si accusi di catastrofismo, perché basta vedere e leggere cosa dicono e scrivono filosofi, sociologi, storici, medici, letterati e artisti. Ormai questo grido di dolore sale da ogni parte. Il denaro è divenuto il segno principale che classifica e distingue gli uomini. Il desiderio di arricchirsi ad ogni costo, la passione per gli affari, la verità del guadagno, la ricerca del benessere ad ogni costo paiono oggi, purtroppo, le passioni più comuni. Davanti a tanta alienazione, molti cercano rifugio nella natura, che vive spontanea e in qualche modo è in grado di farci ritrovare la strada, di farci riscoprire i veri valori. È in grado probabilmente di strapparci a questa follia, da cui siamo stati travolti. Una follia che corrompe e annienta.Perché la realtà è che questa grande trasformazione, questa globalizzazione, ha trovato le classi dirigenti assolutamente impreparate a fronteggiare le immense ineguaglianze che il nuovo modello economico sta causando nella popolazione. Con la conseguenza che la maggior parte delle misure prese in materia economica o finanziaria si sono rivelate delle vere e proprie catastrofi. Ad esempio, alla finanza – in mano a un gruppo di avidi, cinici e irresponsabili cosiddetti uomini d’affari – è stato permesso di lasciare sul lastrico migliaia di persone o di appropriarsi dei loro beni, lasciandole nella disperazione più totale o, molto più tragicamente, con la sola libertà di potersi suicidare. E tutto questo, guardate, è avvenuto con la complicità di un diritto astratto, freddo, distante dall’uomo e dalla società, dai problemi della società – in cui le norme, senza tenere in alcuna considerazione l’uomo, paiono piegate più alla volontà di pochi, e alla volontà di profitto di quei pochi. E se il diritto interno, nazionale, presenta evidenti criticità, il diritto internazionale, se vogliamo, è anche peggio: perché non è riuscito a limitare la violenza e l’avidità delle grandi potenze (che lo, lo vediamo, armate fino ai denti e sempre più impegnate a sviluppare armi micidiali e distruttive, si lanciano in guerra illegittime e si sfidano continuamente in azione di forza, in provocazioni).Questa è la situazione. E allora non ci si meravigli se, sopraffatto da queste forze, l’individuo, sentendosi impotente, reagisce. E reagisce in vari modi: molti purtroppo si suicidano, altri si lanciano in comportamenti eccentrici e stravaganti. Altri ancora rifiutano la globalizzazione, rifugiandosi in atteggiamenti nazional-patriottici, e altri ancora scelgono la via della violenza e del terrore. Infatti, uno dei tratti caratteristici di questa epoca è la paura dei terroristi: implacabili nemici della civiltà occidentale, già pronti e in agguato sul nostro territorio. Nessuno sa in realtà quanti terroristi siano attivi e quanto diffuse siano le loro reti. L’unica certezza è che purtroppo torneranno a colpire a loro discrezione, e la polizia pare non possa fare molto, per fermarli. Una situazione disastrosa, dunque, la nostra. Perché questa globalizzazione irresponsabile e predatoria ha fatto sì che i paesi deboli diventassero sempre più deboli e quelli più forti si rafforzassero ulteriormente. E guardate, non poteva essere altrimenti: perché alcune nazioni continuano ad appropriarsi delle risorse dei paesi del terzo mondo, e lo fanno nei modi più disparati, ad esempio avvalendosi di compagnie private, che predispongono in questi paesi contratti profondamente ingiusti, e si avvalgono dei mercenari (pardon, “sicurezza privata”), per garantire l’efficienza del mercato.Davanti a questo disastro, dunque, come sorprendersi se alcune nazioni, non trovando alcuna solidarietà da parte degli altri Stati, decidono di risolvere in proprio i problemi interni? E come? Ora inserendo i dazi, o chiudendo le frontiere. E non si parli di disumanità, per questo: sono le disastrose condizioni economiche a non permettere l’accoglienza. Sono i numeri, che non consentono l’accoglienza. Come poter integrare milioni di persone pronte ad arrivare nel nostro territorio? E poi, diciamocelo chiaramente: come poter integrare persone così differenti, per cultura e religione? Davanti a tante ingiustizie, davanti a tanta incertezza, la reazione era inevitabile. E l’Europa oggi si trova divisa in due schieramenti, tra loro opposti: l’alleanza dei popoli sfida apertamente quella dell’elite – quella élite “colta e preparata” sì, così preparata che non è stata in grado di porre un freno a questo disastro. E allora, forse, meglio il popolo: genuino, onesto, che conserva ancora quell’umanità che la finanza tanto irride e sfrutta. Meglio la nazione, quella per cui i nostri nonni sono morti. La nazione tradita e venduta da politici corrotti, da organismi sovranazionali ciechi, cinici e spietati. È finito il tempo dei mezzi termini, delle restrizioni mentali, di tutto ciò che è servilismo, di tutto ciò che è equivoco. Anche l’Italia deve pensare al proprio interesse, perché questo non è solo un diritto. È molto di più, è un dovere: il dovere di difendere la patria. Difenderla dai tecnici, e da tutti coloro che l’hanno trascinata in questo disastro.Bene. Tutto quello che vi ho detto sino ad ora riguarda l’oggi? Ho parlato della situazione odierna? No. Tutto quello che ho narrato sinora è avvenuto (e soprattutto, è stato detto) tra la fine del 1800 e la prima metà del 1900. Sorprendente, vero? Eppure, la globalizzazione – che alla fine dell’800 aveva travolto tutti i paesi europei – presenta profonde analogie con la situazione odierna. Infatti il balzo in avanti compiuto dalla globalizzazione del pianeta negli anni che precedettero il 1914 è paragonabile soltanto ai nuovi scenari mondiali che si sono aperti con la fine della guerra fredda. Perché dunque ho fatto questo video-intervento? Perché la storia insegna. E se la si conosce veramente, non a livello solo nozionistico, insegna a non ripetere gli stessi errori del passato, e soprattutto ci avverte dei pericoli. Nel secolo scorso, la politica interna e internazionale attuata dagli Stati per reagire alla globalizzazione a fine Ottocento, e quella straordinaria adesione popolare alla irresponsabile propaganda portata avanti da molti Stati, ha usato le stesse identiche parole. Quel tipo di politica attuata dagli Stati, e quel tipo di feroce propaganda, ci hanno portato due guerre mondiali.E allora, davanti a tutto ciò, davanti a questa consapevolezza, una domanda sorge spontanea: ma è mai possibile che noi si debba sempre commettere gli stessi errori? È mai possibile che si cada sempre nelle stesse identiche manipolazioni di una propaganda feroce e irresponsabile? Ma ancora di più: è possibile che gli errori commessi dai nostri nonni, e soprattutto il prezzo pagato in termini di dolore, di sangue, non ci abbiano insegnato nulla No, non è servito proprio a nulla. Non è servito, ad esempio, a non farci più ingannare da chi ha bisogno di nemici, dentro e fuori il paese, per accollare loro la responsabilità della propria incompetenza. Da chi evoca invasioni inesistenti e attacca i deboli perché è troppo debole per attaccare i forti. Da chi, come in passato, deve fare leva sulla propria frustrazione, sul risentimento della popolazione, per ottenere il consenso. È possibile che tutto quello che è accaduto non sia servito a comprendere tutto questo? Possibile che non sia servito a farci capire i meccanismi che usa la propaganda? E’ una propaganda feroce, che è sempre portata avanti da persone irresponsabili. E sempre nei periodi di caos, di confusione, di grande crisi. Le crisi economiche sono terreno estremamente fertile per questo tipo di propaganda. Perché è efficace. Perché quando gli individui tendono a perdere i loro punti di riferimento, una delle risposte più frequenti consiste nel ripiegarsi su quella che credono essere una identità comune, così da far fronte a una situazione che li disorienta.Guardate, è un meccanismo psicologico comune a tutti noi (e sfruttato infinite volte, nel passato). Questa pressione identitaria può diventare tanto più potente quando coloro che la incoraggiano, coloro che la usano per ottenere il potere, dispongono effettivamente di strumenti di potere. Perché a quel punto diviene azione politica da imporre alla società, alla società civile. Ma si tratta, ripeto – e su questo voglio essere molto chiara – di azioni irresponsabili, di persone irresponsabili che si servono del potere emozionale della identità per suscitare l’adesione del popolo. E dunque, conservare il potere (prima conquistarlo, e poi conservarlo). E’ una carta per manipolare le emozioni. E la usano indipendentemente dal fatto che si chiami nazionalismo, razzismo o appartenenza etnica. Queste persone ci sono sempre state – e sempre ci saranno: in ogni Stato e in ogni tempo. Ciò che però noi possiamo fare è impedire a questi irresponsabili – ripeto, sempre presenti in ogni Stato – di trascinarci in una marcia della follia. Basta, quindi, cadere sempre negli stessi inganni. Basta, commettere sempre gli stessi errori.Vi ho mostrato chiaramente come sia facile manipolare le emozioni, come sia facile alimentare la parte peggiore di noi con argomenti credibili ma non veri. E, sempre nella prima parte del mio intervento, vi ho mostrato come chi usa questo tipo di propaganda utilizzi sempre gli stessi meccanismi. È sempre dal caos, dei grandi periodi di crisi, che i manipolatori traggono la loro legittimità diventando i protettori del “noi”. Lo vediamo: noi italiani, noi francesi, noi ungheresi. Tutti fanno leva sulle stesse corde psico-affettive, che sono paura, risentimento e frustrazione. Sempre. Quando, poco fa, vi ho parlato degli immigrati, ho usato le stesse identiche argomentazioni che venivano usate contro gli ebrei – le stesse identiche: per rendervene conto, basta leggere il libro “Le origini culturali del Terzo Reich”. Ho ripetuto gli stessi slogan e, in alcuni punti, addirittura le stesse parole usate da Mussolini. È così che funziona la propaganda: ci illude e ci manipola fino alla fine, fino alle estreme conseguenze. Ora però sta a noi, conosciuti i meccanismi di condizionamento, evitare di venire ancora una volta trascinati nel sospetto, nell’odio, nella violenza. Perché, ricordiamocelo sempre, esiste sempre una soglia: superata la quale, va preso atto che è il nostro stesso agire, e non solo quello altrui, che ci minaccia.(Solange Manfredi, “Gli stessi errori”, video-editoriale pubblicato sul blog “Petali di Loto” il 3 febbraio 2019. Bibliografia: “Discorsi di Benito Mussolini dal 1914 al 1945” edizione Kindle; Wilhelm Reich, “Psicologia di massa del fascismo”, Kkien Pub. Int.; George Mosse, “Le origini culturali del Terzo Reich”, Il Saggiatore; Margaret MacMillan, “1914: come la luce si spense sul mondo di ieri”, Rizzoli; Emile Durkheim, “Il suicidio. Studio di sociologia”, Rizzoli; Simona Colarizi, “Novecento d’Europa: l’illusione, l’odio, la speranza, l’incertezza”, Laterza; Jacques Semelin, “Purificare e distruggere. Usi politici dei massacri e dei genocidi”, Einaudi).La globalizzazione ha travolto l’equilibrio del mondo. E non solo dal punto di vista economico, ma anche da quello politico e morale. Lo sviluppo della scienza e della tecnica ha portato a così profondi mutamenti che, nel giro di pochi anni, le abitudini di vita e i rapporti fra le persone sono profondamente cambiati. Mestieri che da secoli venivano tramandati di padre in figlio sono spariti. I grandi centri commerciali fagocitano i negozi, scalzano i bottegai, e le grandi industrie scalzano i piccoli imprenditori, ridotti ormai quasi alla miseria dalle nuove macchine robotiche. Anche per i contadini questo sviluppo si è rivelato un boomerang: infatti questa agricoltura fortemente specializzata, e spesso addirittura in regime di monocultura, è totalmente dipendente dal fabbisogno dei pesticidi. Sì, proprio perché è cresciuta e si è modernizzata, ha portato alla perdita di posti di lavoro, mentre i guadagni sono quasi inesistenti. Per non parlare poi, ovviamente, dei danni che questo tipo di coltivazione produce all’ambiente. La verità è che questo modello economico, questo neoliberismo selvaggio, ha trasformato ogni manifestazione vitale in una sorta di parodia dell’incubo contabile. Con lavoratori che, ridotti a merci in concorrenza fra loro, sono costretti ad accettare spesso dei lavori disumanizzanti.