Archivio del Tag ‘Africa’
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La festa patronale del Pci, Politically Correct International
Anche quest’anno si snoda in tutta Italia, sotto forma di festival del libro o affini, la festa itinerante della Sinistra da passeggio. Durerà per tutta l’estate e porterà in processione la Santissima Trinità, che quest’anno ha la doppia faccia di Carola e di Greta, e al centro la faccetta nera del Migrante. Mi riferisco a quel circuito di feste patronali sub-politiche che sono i festival del libro, del cinema, del teatro, della musica, del pensiero che in realtà sono la versione estiva e live del talk show televisivo delle altre tre stagioni. Uno crede che finalmente con l’estate s’interrompe quella noiosa tiritera, quel copione fisso di luoghi comuni, anime belle e malvagi razzisti che sente ogni sera in tv per nove mesi, e finalmente va all’aperto, coi calzoncini corti e l’infradito, e tra il mare e il sole cambia vita. Macché. Una compagnia di giro fatta di scrittori, opinionisti, giornalisti, pensatori, preti da sbarco, artisti da sballo, attori e musicanti, guidata da un collettivo d’impresari culturali a senso unico, occupa le piazze e i cartelloni, egemonizza l’estate italiana in una specie di Festival dell’Unità del nuovo Pci, Politically Correct International.Il tema è sempre quello: Viva l’accoglienza e le Ong, a morte il razzismo e Salvini, forza stranieri e loro impresari, aprite i porti e le frontiere, come ci piacciono i bambini venuti dal mare o dalla provetta mentre quelli rari, nati dalle mamme italiane, non li reggiamo più. Viva gli uteri in affitto per coppie gay, abbasso la famiglia; viva le religioni altrui, abbasso la nostra, Papa escluso; viva i popoli altrui abbasso il nostro, viva i rom abbasso i poveracci di casa nostra, viva l’ideologia No Border abbasso patrie, confini, leggi e tradizioni. Ma non vi siete seccati, dopo il monotono carosello di menate quotidiane sul video, di sorbirvi le stesse voci dal vivo anche in piazza, per strada, sotto casa? Non c’è concerto estivo senza lo stesso messaggio al popolo tatuato degli estivi e dei bagnanti. Anzi, vergognatevi di fare il bagno mentre c’è gente che cerca di sbarcare in Italia ma l’Orco li respinge, avendo però tutti contro, in Europa, in Africa, nei Palazzi, in tribunale, in mare, in stampa, nell’etere e in ogni luogo. Facciamo un patto? Per ogni migrante che prendiamo se ne va in Africa uno di loro.Se cercate la sinistra non andate nei covi deserti del Pd, non cercate le ceneri disperse al vento di Renzi, né la voce d’oltretomba dell’ultimo Zombetto che ne ha preso il posto. Cercatela invece in questa specie di Circo Togni dell’Estate militante, solitamente sponsorizzata dalle amministrazioni locali o subappaltata ad associazioni, coop e gestioni collettive comunque affiliate alla Sacra Sinistra Unita. Questo circuito di eventi ha subito negli anni una deriva razziale che prima non c’era: se un tempo era schiacciante la prevalenza di Compagni di Lotta e Ideologia, ora l’epurazione dell’etnia dissidente è capillare ed è senza appello la condanna alla Morte Civile di chi non fa parte dell’Onorata Società di Autori e Impresari della sinistra col bollino rosso. I più furbi invitano un paio di marziani reputati “di destra”, ma studiano l’ora, il luogo, il contesto, la controprogrammazione, il silenzio-stampa per neutralizzarli, in modo da poter dire alle amministrazioni di centro-destra: ma noi siamo pluralisti, abbiamo invitato il 2 per mille di autori destrorsi, addirittura salviniani. Siamo a posto.Ma si può andare in piazza per vedere esattamente lo stesso spettacolino che vedete in tv, gli stessi coglioni animati che dicono le stesse cose ma dal vivo? Questi festival sono la versione ideologicamente progressista delle feste patronali, il rapporto con gli autori è lo stesso con le statue dei santi, il firmacopie come gli ex voto, la processione tra le piazze, i santini, la focaccia e il gelato. Ecco in versione canicola l’Intellettuale Collettivo da passeggio, il Partito No Border in versione polpo fritto, magari con certificato di beatificazione conseguito in tv nei santuari più rinomati, da Fazio, dalla Gruber, da Formigli, e via dicendo. Quando a organizzare i festival sono sindaci e organizzatori di centro-destra finiscono in sordina, ignorati dalla Bella Stampa, anche quando hanno successo di pubblico e di qualità. Ignorati o velenosamente sbrigati in quattro righe, nel tentativo di affossarli, discreditarli, gettare ombre o comunque sottostimarli; mentre vedi paginate commosse e osannanti sui festival del versante giusto, con la consueta antica Marchetteria del Corso all’opera sui quotidiani: leggi anticipazioni, posticipazioni, annunciazioni ogni dì. Dibbbattiti, con tante b.Naturalmente sono pochi a cimentarsi nell’impresa, il più delle giunte destrorse per furbizia o per rozzezza si guarda bene dal promuovere la cultura, si tiene alla larga come se portasse sfiga e malattie. Per carità, nonostante l’uso ideologico-mafioso di alcuni festival, nonostante il rischio di ridurli a corsi estivi di indottrinamento fazioso, ben vengano comunque gli appuntamenti dedicati alla cultura o a quel che si spaccia per tale. Però quando vedi che al posto del libro c’è la Solita Predica del Pci e a parlar di libri ci sono cantanti, attori, comici e istrioni vari, allora ti vien voglia di dire: ma che festival del libro, ci vorrebbe il mare per portarli a fondo.(Marcello Veneziani, “La festa patronale della sinistra”, da “La Verità” del 9 luglio 2019; articolo ripreso sul blog di Veneziani).Anche quest’anno si snoda in tutta Italia, sotto forma di festival del libro o affini, la festa itinerante della Sinistra da passeggio. Durerà per tutta l’estate e porterà in processione la Santissima Trinità, che quest’anno ha la doppia faccia di Carola e di Greta, e al centro la faccetta nera del Migrante. Mi riferisco a quel circuito di feste patronali sub-politiche che sono i festival del libro, del cinema, del teatro, della musica, del pensiero che in realtà sono la versione estiva e live del talk show televisivo delle altre tre stagioni. Uno crede che finalmente con l’estate s’interrompe quella noiosa tiritera, quel copione fisso di luoghi comuni, anime belle e malvagi razzisti che sente ogni sera in tv per nove mesi, e finalmente va all’aperto, coi calzoncini corti e l’infradito, e tra il mare e il sole cambia vita. Macché. Una compagnia di giro fatta di scrittori, opinionisti, giornalisti, pensatori, preti da sbarco, artisti da sballo, attori e musicanti, guidata da un collettivo d’impresari culturali a senso unico, occupa le piazze e i cartelloni, egemonizza l’estate italiana in una specie di Festival dell’Unità del nuovo Pci, Politically Correct International.
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Coltan, stupri di guerra: donne abusate per i nostri telefoni
Leggere “Figlie ferite dell’Africa” di Denis Mukwege e “Denis Mukwege, L’uomo che ripara le donne” di Colette Braeckman sono esperienze devastanti per ogni essere capace di provare amore, dignità, umanità. Ascoltare le parole del dottore congolese Denis Mukwege (Premio Nobel per la Pace 2018) è una esperienza sconvolgente: oltre ogni immaginata scena di violenza… lui racconta il perché, il come, le conseguenze degli stupri sulle donne come tecnica di guerra. Spiega come lo stupro è diventato, in alcuni territori dell’Africa, un modo di fare guerra. Non si tratta di guerriglia fatta da organizzazioni improvvisate con saccheggi, uccisioni, soprusi di ogni tipo. Stuprare, deturpare le donne in modo collettivo e in pubblico, davanti ai famigliari e a tutto il villaggio significa distruggere la comunità intera, un modo efficace e senza ritorno per annientare il nemico. Le donne stuprate resteranno per sempre piagate e con gravi problemi psichiatrici; gli uomini che impotenti sono stati costretti a guardare senza poter intervenire non sopravvivono al dolore e alla vergogna e spesso se ne vanno, distruggendo tutto un tessuto sociale.Le donne, per ignoranza e paura, sono fortemente emarginate, i figli conseguenti allo stupro sono destinati ad una vita da emarginati. Ma quante donne ha visto, ha curato Mukwege? Una, poi dieci, cento… e in vent’anni cinquantamila donne stuprate davanti al marito, ai figli e al villaggio, perché tutti vedano; poi, orrendamente ferite e mutilate e spesso rese sterili. Restare senza fiato ascoltando dal vivo la testimonianza di Mukwege è solo per i più forti, perché ascoltare tutto ciò che non avresti mai voluto sentire è straziante, la coscienza si frantuma, nessun pensiero minimamente positivo sopravvive. Lo stesso medico ha confessato: mi sono ritrovato incapace di reggere i racconti delle pazienti. L’orrore mi sconvolgeva… e un chirurgo deve avere la mano ferma. Da allora affido ai collaboratori il compito di ascoltare, e io opero soltanto. Ricostruisco ciò che si può fisicamente ricucire… e cerco di non pensare. Per non essere distrutto che mi impedirebbe di fare ciò che ho scelto di fare.Leggere il libro “Figlie ferite dell’Africa” ma anche la biografia di Mukwege, “L’uomo che ripara le donne”, significa non nascondersi, non chiudere gli occhi, capire che la realtà è ben oltre ciò che possiamo immaginare… anche perché Denis Mukwege racconta ciò che sa, ciò che ha visto, non tralasciando particolari che al primo impatto possono sembrare sconvolgenti ma evitabili, perché non è così: proprio i particolari raccapriccianti faranno capire la devastazione definitiva per la società intera di un metodo bellico probabilmente mai applicato prima in modo così sistematico e coordinato. Ma perché tanta violenza, perché questa guerra politico-sociale, perché tanta spietatezza? Quasi nessuno lo sa, nessuno lo racconta, tutti pensano a guerre tribali per chissà quale motivazione etnica-religiosa… No! Il motivo è uno solo e si chiama: coltan…L’80% di coltan del pianeta si trova nelle miniere congolesi. Coltan è il nuovo oro! perché con lui si fanno microchip di cellulari e computer e in Congo ben 5 eserciti si combattono per il terra più ricca del mondo, lasciando sul terreno solo desertificazione sociale. Quando i soliti ignoranti mettono in azione i microchip dei loro cellulari per insultare e offendere una donna congolese che ha chiesto protezione internazionale in Italia… la violentano, abusano ancora una volta del suo corpo, della sua famiglia, dell’intera struttura sociale e affettiva in cui credeva di poter vivere dignitosamente la propria vita… esattamente come la devastarono gli uomini di qualche esercito congolese per appropriarsi della materia prima utile ai microchip dei cellulari.(Gianfranco Maccaferri, “Lo stupro pubblicamente esibito è l’arma da guerra per avere il coltan”, dal blog di Maccaferri del 5 luglio 2019).Leggere “Figlie ferite dell’Africa” di Denis Mukwege e “Denis Mukwege, L’uomo che ripara le donne” di Colette Braeckman sono esperienze devastanti per ogni essere capace di provare amore, dignità, umanità. Ascoltare le parole del dottore congolese Denis Mukwege (Premio Nobel per la Pace 2018) è una esperienza sconvolgente: oltre ogni immaginata scena di violenza… lui racconta il perché, il come, le conseguenze degli stupri sulle donne come tecnica di guerra. Spiega come lo stupro è diventato, in alcuni territori dell’Africa, un modo di fare guerra. Non si tratta di guerriglia fatta da organizzazioni improvvisate con saccheggi, uccisioni, soprusi di ogni tipo. Stuprare, deturpare le donne in modo collettivo e in pubblico, davanti ai famigliari e a tutto il villaggio significa distruggere la comunità intera, un modo efficace e senza ritorno per annientare il nemico. Le donne stuprate resteranno per sempre piagate e con gravi problemi psichiatrici; gli uomini che impotenti sono stati costretti a guardare senza poter intervenire non sopravvivono al dolore e alla vergogna e spesso se ne vanno, distruggendo tutto un tessuto sociale.
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Roma fra Putin, la Cina e Trump: nuovo ordine sovranista?
Il colpo d’occhio non è male: in tre mesi due grandi leader globali (Xi Jinping e lo Zar del Duemila) sono atterrati a Roma per visite ufficiali in cui hanno dispensato onori e amicizia. In mezzo, il ministro dell’interno in modo totalmente irrituale vola a Washington e viene omaggiato dal vicepresidente Pence e dal segretario di Stato Mike Pompeo. Tre su tre, in pratica. Contiamo davvero qualcosa? No, siamo il solito “ventre molle” d’Europa (come scrive oggi Lucio Caracciolo su “Rep”) su cui di volta in volta i potenti del mondo appoggiano la loro testolina per fare dispetto al rivale di turno. La differenza di oggi è che pure il resto del continente è molle, anzi frollato, e conta sempre meno. I giochi sono tra Trump e Xi, con Putin terzo incomodo grazie alla sua influenza in Siria, Turchia, Venezuela, Egitto. È un incastro di dazi, sanzioni e ripicche in cui il resto del pianeta fa da spettatore o vittima. Putin nelle scorse settimane ha annunciato una grande alleanza con la Cina per sfuggire alla morsa delle sanzioni euro-americane, e ha rinsaldato i rapporti con Turchia e Iran per costituire un blocco che possa dar fastidio all’America. Nel mentre, Xi “regalava” a Trump l’incontro con Kim Jong-Un in Corea del Nord in cambio di un apertura su dazi e Huawei.La guerra commerciale con la Cina e le sanzioni alla Russia troveranno soluzione, ma solo nel momento più congeniale alla campagna elettorale di Trump. Poche ore fa è uscito l’ultimo dato sul mercato del lavoro americano: +224.000 posti di lavoro a giugno, disoccupazione al 3,7%. Poteva andare meglio, di sicuro non va male. Sul piano economico, insomma, può stare abbastanza tranquillo. Quello di cui ha bisogno, per vincere le elezioni e guidare la “narrazione” pre-voto, è un “win” geopolitico. La mezza vittoria del disgelo con la Corea del Nord non basta. Serve qualcosa che abbia un impatto mediatico più profondo. Ad esempio, un nuovo accordo con l’Iran, ovviamente più “huge” di quello che firmò Obama, che sarà facilitato dalla Russia in cambio di un allentamento delle sanzioni. Tutto s’incastra, e tutto va distillato in base alla convenienza politica. La prossima data sull’agenda della Casa Bianca è il 17 settembre, quando Israele tornerà al voto per la seconda volta quest’anno, essendo falliti i tentativi di Netanyahu di formare un governo. Per Donald è fondamentale che il suo migliore amico Bibi resti al potere, anche se non è più scontato: oltre al principale rivale Benny Gantz, è riemerso dalle nebbie pure l’ex primo ministro Ehud Barak, che ha annunciato la formazione di un partito, l’ennesimo, che correrà alle legislative. L’alleanza tra Barak e Gantz vuol dire sconfita oer Netanyahu.C’è una cosa che hanno in comune i tre leader di Cina, Stati Uniti e Russia, ed è piuttosto clamorosa. Tutti sono d’accordo sul declino della democrazia liberal-liberista. Il requiem pronunciato da Putin al “Financial Times” è sottoscritto da Trump – non in modo esplicito – e ovviamente da Xi. Per loro, la globalizzazione è un fenomeno che è scappato di mano e da correggere, a botte di dazi e sanzioni, perché le disuguaglianze interne che ha creato sono destabilizzanti per i sistemi politici. Per l’America è una questione economica; per la Cina, che dalla globalizzazione ha tratto più benefici, è politica e identitaria: circolano le merci, ma non deve circolare il pensiero. L’Europa invece non ha (ancora?) aderito a questo cambiamento epocale. Però Trump e Putin hanno già promesso accordi bilaterali al Regno Unito quando uscirà dall’Unione Europea, e tutto fa pensare che al timone ci sarà Boris Johnson, uno che è tanto colto e brillante quanto sciroccato e populista. “BoJo” avrà come unico scopo di non far affondare il suo glorioso paese, e metterà l’interesse nazionale davanti a tutto e tutti, non essendo più vincolato dall’odiato consensus di Bruxelles.Sia Trump che Putin, in modi diversi ma paralleli, hanno provato a indebolire l’euro (ovvero il marco tedesco), che è l’unica vera arma che l’Europa ha dispiegato negli ultimi vent’anni, l’unico strumento che abbia impensierito le altre potenze. Per ora, vedi le ultime elezioni e le nomine dell’altro giorno, il tentativo di abbattere la costruzione europea è fallito, ma la struttura ne esce comunque indebolita. Come un frigorifero, bisogna farlo oscillare a destra e sinistra più volte prima di poterlo buttare giù. Non è un caso che la rigorista Ursula abbia dato retta alla Merkel e abbia concesso agli Stati membri altri due anni di flessibilità per mettere a posto i conti; la procedura d’infrazione contro l’Italia si è sciolta come un ghiacciolo, mentre fino a due settimane fa era una clava pronta a calare sulle nostre teste. La verità è che l’Europa non può permettersi altri strappi. Già la Brexit rischia di essere una bella botta, che potrebbe creare danni più ai continentali che ai sudditi dell’immortale Elisabetta. Non è un caso, neppure, che uno degli obiettivi principali della nuova presidente della Commissione, già ministro della difesa tedesco, sia quello di costruire una forza militare comune.Se si mettono d’accordo, i singoli paesi potrebbero mettere in piedi un esercito europeo tanto forte da poter intervenire in quei luoghi dove gli Stati Uniti non intendono più mettere il naso (Africa, Medio Oriente, persino Sudamerica), e prenderne il posto di sceriffo del mondo. Con l’influenza geopolitica che ne discende. Per la Germania i dazi americani sono un grosso guaio, l’unica strada è allargare lo sguardo all’Africa prima che la Cina si prenda tutto anche lì. Un petit tour italiano di Putin non cambierà nulla per le sanzioni alla Russia. È un modo per dar fastidio agli Usa, punzecchiare la Germania. E ricordare al resto d’Europa che ora si trova in mezzo a un nuovo ordine non mondiale ma sovranista, e che dovrà farci i conti. Da qui alle elezioni americane del novembre 2020 preparatevi a una nuova, forse finale, battaglia mediatica contro il Puzzone della Casa Bianca. Perché se dovesse vincere di nuovo, nulla sarà come prima in Occidente.(“La visita di Putin in Italia non cambia niente ma dice tantissimo”, da “Dagospia” del 5 luglio 2019. “Stiamo assistendo a un nuovo ordine mondiale in cui Cina, Stati Uniti e Russia hanno sottoscritto lo stesso modello politico sovranista che condanna la globalizzazione liberal-liberista, e l’Europa è un vaso di coccio tra i tre colossi”).Il colpo d’occhio non è male: in tre mesi due grandi leader globali (Xi Jinping e lo Zar del Duemila) sono atterrati a Roma per visite ufficiali in cui hanno dispensato onori e amicizia. In mezzo, il ministro dell’interno in modo totalmente irrituale vola a Washington e viene omaggiato dal vicepresidente Pence e dal segretario di Stato Mike Pompeo. Tre su tre, in pratica. Contiamo davvero qualcosa? No, siamo il solito “ventre molle” d’Europa (come scrive oggi Lucio Caracciolo su “Rep”) su cui di volta in volta i potenti del mondo appoggiano la loro testolina per fare dispetto al rivale di turno. La differenza di oggi è che pure il resto del continente è molle, anzi frollato, e conta sempre meno. I giochi sono tra Trump e Xi, con Putin terzo incomodo grazie alla sua influenza in Siria, Turchia, Venezuela, Egitto. È un incastro di dazi, sanzioni e ripicche in cui il resto del pianeta fa da spettatore o vittima. Putin nelle scorse settimane ha annunciato una grande alleanza con la Cina per sfuggire alla morsa delle sanzioni euro-americane, e ha rinsaldato i rapporti con Turchia e Iran per costituire un blocco che possa dar fastidio all’America. Nel mentre, Xi “regalava” a Trump l’incontro con Kim Jong-Un in Corea del Nord in cambio di un apertura su dazi e Huawei.
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Porti aperti: il cinismo anti-italiano degli schiavisti umanitari
Vorrei dire sei cose oltre la vicenda Sea Watch, la retorica, gli odi e gli slogan. La prima: se si stabilisce il principio che ogni uomo ha diritto di decidere unilateralmente quando, come e dove vivere senza considerare norme, confini, Stati e popolazioni, salta ogni ordinamento giuridico, si polverizza ogni sovranità nazionale e statale, si cancella ogni limite e frontiera, ogni tutela e ogni garanzia per i cittadini regolari di quei paesi che hanno diritti e doveri, lavorano e pagano le tasse. Il sottinteso di quella pretesa è che non va applicata una procedura eccezionale per dare asilo a profughi che fuggono da guerre e da acclarate situazioni d’emergenza ma va accolto chiunque decida di mettersi in viaggio, in navigazione. E nemmeno “una tantum” ma ogni volta che accade. La seconda. È assurdo riconoscere a un’organizzazione privata, a una Ong, come la Sea Watch, il privilegio extraterritoriale e sovrastatale di decidere verso quale paese dirigersi per far sbarcare i migranti raccolti e di assegnarli così ai paesi con decisione autonoma, unilaterale, in virtù di un imperativo umanitario, assumendo di propria iniziativa e senza alcun titolo per farlo, il ruolo di tutori e mediatori dei migranti.Anche in questo caso non si tratta di una situazione eccezionale, di un’emergenza fortuita da fronteggiare, ma di una prassi ormai consolidata, programmata e reiterata. Non è un imprevisto capitato sulla rotta ma è il “mestiere” che alcune imbarcazioni hanno deciso di ingaggiare, a prescindere dagli Stati, dai popoli e dai territori. La terza: non c’è nessun potere legittimato democraticamente, consolidato dall’esperienza storica e dalla vita dei popoli, che risponde direttamente alla cittadinanza, la rappresenta e la tutela, oltre lo Stato nazionale libero e sovrano. Ed è giusto che sia lo Stato nazionale sovrano a decidere in ultima istanza, sulla base dei suoi ordinamenti, come ha coerentemente fatto il governo italiano, a partire dal ministro dell’interno fino al presidente del Consiglio; e a negare nella fattispecie che una nave battente bandiera olandese, diretta da una comandante di nazionalità tedesca, possa attraccare non nel primo porto incontrato sulla rotta, che era poi in Tunisia, ma decida di far rotta sull’Italia e imponga di fatto al nostro paese l’obbligo di accoglierli, trasformando un già discutibile diritto d’accoglienza in un inderogabile dovere d’accoglienza, ovunque e comunque. Chi mina gli Stati e li scavalca, nel nome dell’ideologia “no border”, lavora per il caos e la fine del diritto internazionale.La quarta. Siamo stati abituati da una propaganda ideologica, moralistica ed emozionale a non sottrarci ad accogliere il singolo caso pietoso, il bambino denutrito e senza adulti, il malato da curare, la donna incinta in balia delle onde o della miseria. Ma dietro il singolo caso, su cui inevitabilmente ci si appella alla nostra umanità, si vuol far passare un flusso ben più massiccio e duraturo. Ovvero si vuol usare il singolo caso come cavallo di Troia per legittimare in realtà la trasmigrazione di popoli e di chiunque voglia lasciare il proprio paese e venire a vivere da noi. In un mondo in cui i benestanti si contano in milioni e i poveri in miliardi, non si può pensare che gli uni possano caricarsi degli altri, che la piccola Italia si debba caricare sulle sue fragili spalle la grande Africa, che la piccola Europa si carichi i flussi di popolazioni venute dal sud o dall’est del pianeta. Certo, il fenomeno per ora ha numeri non impressionanti; però col passare del tempo e col lasciapassare che si vorrebbe imporre, il fenomeno rischia di ingrossarsi fino a raggiungere dimensioni insostenibili.La quinta. Dietro il principio d’accoglienza umanitaria, si nasconde un gigantesco business a due facce: da un verso riguarda gli impresari politici dei flussi migratori per gestirne poi l’assistenza e gli effetti politici; e dall’altro verso interessa quanti usano manovalanza sottopagata da sfruttare, senza tutele (salvo dare agli speculatori di cui sopra ulteriore motivo di rappresentanza degli interessi sindacali e lavorativi dei migranti). Sinistra e padronato soci in affare, sotto copertura umanitaria. È un business immenso e vergognoso che si nasconde dietro la carità e sfrutta, strumentalizza e schiavizza i migranti. A tale proposito è stato penoso lo spirito demagogico e illegale, anti-italiano e anti-europeo della sinistra e del suo circo di “anime belle”.Infine, la sesta. Non ci sono nel mondo d’oggi situazioni aggravate rispetto a qualche anno fa – guerre, genocidi, carestie – da costringere ad aprire le frontiere e i porti. Se vogliamo, era molto peggio dieci anni fa. E in ogni caso chi se la passa peggio non è chi riesce a partire, chi riesce a procurarsi i soldi per pagare la fuga o gli scafisti, chi ha la forza, i contatti, i mezzi per poter andar via; ma la vera miseria, la vera priorità è di quelli che non hanno la forza e le risorse per poter partire e restano a casa. E vedono i loro paesi impoverirsi di energie giovanili che migrano altrove, abbandonando donne, vecchi e bambini. Se davvero dovessimo dare la precedenza agli ultimi, come dice il Papa, gli ultimi non sono quelli che vengono da noi ma quelli condannati a restare a casa loro in condizioni di vera miseria. Ma la vera finalità di chi sostiene le migrazioni è lo sradicamento dei popoli dalle loro terre e noi dalle nostre.(Marcello Veneziani, “Sei tesi sui porti aperti”, da “La Verità” del 30 giugno 2019; articolo ripreso sul blog di Veneziani).Vorrei dire sei cose oltre la vicenda Sea Watch, la retorica, gli odi e gli slogan. La prima: se si stabilisce il principio che ogni uomo ha diritto di decidere unilateralmente quando, come e dove vivere senza considerare norme, confini, Stati e popolazioni, salta ogni ordinamento giuridico, si polverizza ogni sovranità nazionale e statale, si cancella ogni limite e frontiera, ogni tutela e ogni garanzia per i cittadini regolari di quei paesi che hanno diritti e doveri, lavorano e pagano le tasse. Il sottinteso di quella pretesa è che non va applicata una procedura eccezionale per dare asilo a profughi che fuggono da guerre e da acclarate situazioni d’emergenza ma va accolto chiunque decida di mettersi in viaggio, in navigazione. E nemmeno “una tantum” ma ogni volta che accade. La seconda. È assurdo riconoscere a un’organizzazione privata, a una Ong, come la Sea Watch, il privilegio extraterritoriale e sovrastatale di decidere verso quale paese dirigersi per far sbarcare i migranti raccolti e di assegnarli così ai paesi con decisione autonoma, unilaterale, in virtù di un imperativo umanitario, assumendo di propria iniziativa e senza alcun titolo per farlo, il ruolo di tutori e mediatori dei migranti.
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Carpeoro: Salvini e Rackete giocano nella stessa squadra
«Tra un po’ gli africani saranno un miliardo, milioni di loro alle prese col dramma della fame: secondo voi l’esodo lo si arresta chiudendo qualche porto? E secondo voi è una soluzione salvare 40 naufraghi imponendo all’Italia di accoglierli?». Domande che Gianfranco Carpeoro propone al pubblico del meeting annuale di “Border Nights”, ospitato il 30 giugno dall’associazione culturale veneta Salux Bellatrix, guidata da Francesca Salvador. Argomento bollente, su tutte le prime pagine, il derby tra il Capitano e la Capitana: da una parte Matteo Savini, dall’altra Carola Rackete, tedesca, figlia di un mercante d’armi e comandante della nave “Sea Watch” che ha forzato il blocco navale disposto a Lampedusa, scatenando il caso a livello europeo proprio mentre l’Ue ricatta l’Italia con la minaccia della procedura d’infrazione per eccesso di debito. Attenzione ai dettagli, raccomanda Carpeoro: «La Sea Watch è olandese, e l’Olanda è il paese che più preme per le sanzioni Ue contro l’Italia. L’Olanda – aggiunge Carpeoro – è la anche la fogna d’Europa, insieme a Lussemburgo e Liechtenstein: la legislazione fiscale olandese ha sottratto all’Italia fiumi di denaro, attirando grandi aziende italiane. E se l’Olanda è la fogna, Francia e Germania sono il pulsante dello sciacquone. Capite, adesso, che non c’è niente di casuale nella tempistica del caso?».Può sembrare paradossale, aggiunge Carpeoro, ma Salvini e la Capitana sono due facce della stessa medaglia: forse non se ne rendono conto, ma è come se giocassero nella stessa squadra. «Nessuno dei due propone una soluzione seria per il problema dei migranti, che è di portata enorme». Chiudere i porti e accogliere naufraghi «sono due non-soluzioni», assolutamente identiche nel risultato che ottengono, pari a zero. Di più: «Polarizzare lo scontro attorno a questi due personaggi mediatici serve a continuare così, cioè a non pensare». Conta chi la spunta, a prescindere dal risultato che servirebbe (una vera soluzione per l’Africa, depredata dal colonialismo neoliberista). Salvini e la Rackete, sostiene quindi Carpeoro, sono maschere utilissime al potere che sfrutta il continente nero. Il ministro arcigno, che vede solo la necessità di ridurre gli sbarchi (senza curarsi dell’origine del problema) è contrapposto solo in apparenza alla rivale di oggi, la comandante della “Sea Watch”, che pensa che per ripulire la cattiva coscienza dell’Europa basti salvare qualche decina di naufraghi (a spese dell’Italia, però: e in questo fa benissimo, Salvini, a far valere la sovranità della Penisola, specie se i maggiori azionisti dell’Ue continuano a scaricare solo su Roma il costo dell’assistenza dei disperati che sbarcano a Lampedusa).Salvini e la Capitana, aggiunge Carpeoro, ricordano “i capponi di Renzo”, di manzoniana memoria: si beccano come se fossero nemici mortali, ignorando che li aspetta la stessa pentola. Pedine di un gioco più grande, quello della politica “usa e getta”, destinata a durare lo spazio di un mattino. E’ legittimo contingentare gli ingressi degli stranieri e porre un freno all’immigrazione irregolare, «a patto però che la politica – nel frattempo – pensi anche a come progettare la società». Secondo Carpeoro, «un bravo governante dovrebbe avere un’idea precisa di come sarà l’Italia tra vent’anni, quindi anche mettendo in campo strategie per intervenire in modo costruttivo in Africa». Obiettivo: fare in modo che nessuno debba più imbarcarsi per i precari viaggi della speranza, gestiti da una filiera composta da opache finanziarie europee, scafisti e mafiosi africani, trafficanti di uomini e Ong tutt’altro che trasparenti, generosamente sovvenzionate dai campioni della stessa élite finanziaria che, razziando l’Africa, ha creato le premesse per l’esodo. Litigiare sui porti «serve essenzialmente a continuare a non pensare», premiando la politica-spot fatta solo di slogan contrapposti, «perfettamente funzionale al potere che ha inventato il consumismo e cancellato dall’Occidente la politica vera, capace di pensare e quindi di progettare soluzioni di ampio respiro, che ovviamente richiedono anni di impegno».«Tra un po’ gli africani saranno un miliardo, milioni di loro alle prese col dramma della fame: secondo voi l’esodo lo si arresta chiudendo qualche porto? E secondo voi è una soluzione salvare 40 naufraghi imponendo all’Italia di accoglierli?». Domande che il saggista Gianfranco Carpeoro propone al pubblico del meeting annuale di “Border Nights”, ospitato il 30 giugno dall’associazione culturale veneta Salux Bellatrix, guidata da Francesca Salvador. Argomento bollente, su tutte le prime pagine, il derby tra il Capitano e la Capitana: da una parte Matteo Savini, dall’altra Carola Rackete, tedesca, figlia di un mercante d’armi e comandante della nave “Sea Watch” che ha forzato il blocco navale disposto a Lampedusa, scatenando il caso a livello europeo proprio mentre l’Ue ricatta l’Italia con la minaccia della procedura d’infrazione per eccesso di debito. Attenzione ai dettagli, raccomanda Carpeoro: «La Sea Watch è olandese, e l’Olanda è il paese che più preme per le sanzioni Ue contro l’Italia. L’Olanda – aggiunge Carpeoro – è anche la fogna d’Europa, insieme a Lussemburgo e Liechtenstein: la legislazione fiscale olandese ha sottratto all’Italia fiumi di denaro, attirando grandi aziende italiane. E se l’Olanda è la fogna, Francia e Germania sono il pulsante dello sciacquone. Capite, adesso, che non c’è niente di casuale nella tempistica del caso?».
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Fassina: solo la destra sa che la politica deve proteggerci
Penso che il Ddl firmato da 5 Stelle e Lega sulla Banca d’Italia sia parte della ricostruzione del primato della politica sull’economia. La politica monetaria è uno degli strumenti politici più importanti. E ritenere che la politica debba rimanere fuori dalla politica monetaria è stato un errore, frutto di un pensiero unico che si è affermato in modo assolutamente trasversale. Il disegno di legge che hanno presentato i capigruppo di Lega e 5 Stelle al Senato è sostanzialmente un passo avanti; non è che finisca l’indipendenza di Bankitalia, c’è un richiamo esplicito ai trattati europei. Si introduce il meccanismo previsto per la Bundesbank, quindi non una misura nord-coreana. E cioè: il governo nomina presidente e direttore generale, un membro del direttorio (vicepresidente), e altri due membri del direttorio (anch’essi vicepresidenti) vengono nominati uno dalla Camera e l’altro dal Senato. E’ esattamente il modello vigente in Germania. E solo una sinistra che ha completamente smarrito un minimo di autonomia culturale può considerare eversivo e inaccettabile questa proposizione, che a mio avviso invece fa fare un passettino avanti, alla politica, nel governo di uno strumento fondamentale come quello della politica monetaria.
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Se l’Ue ci vuole morti, meglio trattare con Parigi e Berlino
Oggi Draghi ha annunciato che l’abbassamento dei tassi di interesse (alcuni sono già negativi!) ed il quantitative easing continueranno. Senza di essi, vale a dire con tassi di interesse e acquisti di titoli pubblici in linea con quanto fa la Fed (a discapito di Trump), sarebbe prevedibile un accumulo di liquidità disponibile solo sulle obbligazioni, e quindi in grado di mettere in grande crisi le Borse, fino ad un loro crollo. Ma la missione di Matteo Salvini a Washington – se coronata da pieno successo, vale a dire un riavvicinamento Russia-Usa in chiave anticinese e antieuropea – apre ad uno scenario di rafforzamento della posizione internazionale dell’Italia. Posizione debole, per ragioni che risalgono agli omicidi di Mattei e Moro, alla soppressione di Craxi, alle politiche economiche scelte in Italia dopo il 1981. Di contro, l’Ue non è così intelligente da giocarsela bene con la Cina stessa: ben altro c’è da attendersi da Francia e Germania, in grande difficoltà e sempre con la carta da giocare di uno svincolamento dall’Eurozona per avvicinarsi a superpotenze alternative alla stessa imbelle Ue (vedi Africa, per esempio). D’altra parte, la Russia di oggi è una superpotenza solo militare; non fa paura agli Usa come una superpotenza economica.A casa nostra si delineano scenari chiari purchè non si finisca a dare con una mano e prendere con l’altra: è importantissimo che al promesso e ineludibile calo (della pressione) delle tasse non faccia da controbilanciamento un pari taglio della spesa pubblica (quella fu la causa prima del crollo della classe media negli Usa dei Bush); così – ma questo pare più che altro, almeno si spera, un mero problema di comunicazione – il salario minimo garantito deve significare un livello minimo della paga oraria (non la definizione di un “reddito minimo” che, nelle esperienze passate, ha creato più problemi che altro). Quindi, il taglio delle tasse (necessario, prioritario, sacrosanto e promesso) o si accompagna ad una rottura totale con la Commissione per via del deficit – finchè non si dimostrasse, ma ci vuole almeno un annetto contabile – che alla minore pressione corrisponde un maggiore gettito, o si accompagna alla introduzione di qualche moneta non a debito (ad esempio i minibot, a determinate condizioni).La linea moderata – verso la Commissione – non considera che l’obiettivo della Ue consiste nella sottomissione dell’Italia (resa totale e incondizionata, quindi le “trattative” sono inutili: o si china la testa completamente o tanto vale alzare il tiro e prepararsi allo scontro). Paradossalmente, sarebbe meglio trattare con Francia e Germania direttamente, dopo aver portato la comunità sull’orlo di una crisi monetaria e di nervi. Infatti, il comparto metalmeccanico (delizia e croce della Germania) sta entrando in crisi, e le tensioni sociali – soprattutto in Francia – stanno aumentando.(Nino Galloni, “Se Draghi non stacca la spina, se Salvini…”, da “Scenari Economici” del 19 giugno 2019).Oggi Draghi ha annunciato che l’abbassamento dei tassi di interesse (alcuni sono già negativi!) ed il quantitative easing continueranno. Senza di essi, vale a dire con tassi di interesse e acquisti di titoli pubblici in linea con quanto fa la Fed (a discapito di Trump), sarebbe prevedibile un accumulo di liquidità disponibile solo sulle obbligazioni, e quindi in grado di mettere in grande crisi le Borse, fino ad un loro crollo. Ma la missione di Matteo Salvini a Washington – se coronata da pieno successo, vale a dire un riavvicinamento Russia-Usa in chiave anticinese e antieuropea – apre ad uno scenario di rafforzamento della posizione internazionale dell’Italia. Posizione debole, per ragioni che risalgono agli omicidi di Mattei e Moro, alla soppressione di Craxi, alle politiche economiche scelte in Italia dopo il 1981. Di contro, l’Ue non è così intelligente da giocarsela bene con la Cina stessa: ben altro c’è da attendersi da Francia e Germania, in grande difficoltà e sempre con la carta da giocare di uno svincolamento dall’Eurozona per avvicinarsi a superpotenze alternative alla stessa imbelle Ue (vedi Africa, per esempio). D’altra parte, la Russia di oggi è una superpotenza solo militare; non fa paura agli Usa come una superpotenza economica.
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Microchip e asilo transgender: la Svezia si sta suicidando
Fermamente convinto di essere il rappresentante della “superpotenza morale” del mondo, il popolo svedese continua i suoi pericolosi flirt con tutti i possibili nuovi esperimenti culturali. Questa politica è veramente ‘progressista’, o è la strada per la rovina nazionale? In Svezia, tutto sembra possibile, tranne il dissenso; dissenso dall’onnipresente messaggio sociale che dice ai suoi cittadini che devono essere tolleranti verso ogni nuova moda culturale, dal farsi impiantare un microchip sotto la pelle al permettere che i bambini di quattro anni vengano indottrinati alla scuola materna con le ultime teorie sul transgenderismo. Migliaia di svedesi si sono già fatti inserire un minuscolo microchip sotto la pelle, di solito nella mano sinistra, che offre il “vantaggio” di non dover più armeggiare [nelle tasche o nella borsetta] per carte di credito, documenti di identità e chiavi. Molte delle informazioni personali sono memorizzate sul chip, che ha le dimensioni di un chicco di riso. Sorprendentemente, nonostante la possibilità per il governo, per le multinazionali o per altri pericolosi soggetti di hackerare questi dispositivi, questa eventualità non sembra essere presente nella mentalità svedese.
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Carpeoro: Olanda criminale come l’Ue, deruba gli italiani
Con le manovre per la procedura d’infrazione procede il piano contro l’Italia, concepito per abbattere il governo gialloverde e insediare Mario Draghi al posto di Giuseppe Conte, con l’incarico di schiacciare il nostro paese sotto il peso di un’austerity mostruosa. Lo sostiene Gianfranco Carpeoro, il primo – giorni fa – a ventilare l’avvento di Draghi a Palazzo Chigi, dopo che a fine ottobre avrà dovuto lasciare la presidenza della Bce. Ma a determinare l’eventuale caduta del governo Conte – aggiunge Carpeoro, in diretta web-streaming du YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nighs” – non sarà tanto la procedura d’infrazione, quanto la crescita esplosiva (e opportunamente pilotata) dello spread. «E questa sarebbe l’Europa?», si domanda Carpeoro, spazientito. «Non c’è un’ombra di solidarietà tra i paesi Ue: e i primi a pretendere che all’Italia sia inflitta la massima dose di rigore sono proprio i paesi come l’Olanda, che in questi anni si sono distinti per scorrettezza». Peggio: «L’Olanda ha introdotto un legislazione fiscale che non esito a definire criminale, attirando le nostre maggiori aziende e sottraendo in tal mondo risorse preziose all’Italia. A livello europeo è possibile dover essere governati, di fatto, da dei veri e propri criminali?».Avvocato e saggista, Carpeoro si è distinto per la sua denuncia contro la massoneria di potere, di stampo reazionario e neo-feudale: un’élite che usa la finanza come clava, e all’occorrenza anche il terrorismo (strategia della tensione) per giustificare la continua, progressiva erosione della democrazia con l’alibi della sicurezza. Europeista convinto, Carpeoro accusa di anti-europeismo sostanziale i protagonisti della Disunione Europea, che da Bruxelles e Francoforte impongono al continente il diktat neoliberale. L’ultimo grande argine a questa deriva, secondo Carpeoro, è stato il premier socialista svedese Olof Palme, assassinato a Stoccolma nel 1986 alla vigilia dei grandi eventi che, dopo il crollo del Muro di Berlino, avrebbero spianato la strada all’attuale tecnocrazia Ue. Risultato: «Siamo nelle mani di gente come Jean-Claude Juncker, che si vanta impunemente della ricchezza del suo paese, il Lussemburgo», dimenticando di dire che il Granducato è stato per decenni uno Stato-canaglia, «un paradiso fiscale che si è arricchito a spese di altri paesi europei, a cominciare dall’Italia».Inglorioso primato, ora passato all’Olanda: dopo la Fiat, anche Mediaset ha annunciato il trasferimento della domiciliazione fiscale, migrando verso i lidi olandesi. Si segnala anche l’attivismo del Biscione, impegnato in acquisizioni a tutto campo, in Europa, nel settore televisivo. Per Carpeoro, è la prova del fatto che l’anziano Berlusconi voglia «mettere al riparo il suo patrimonio, per difenderlo dall’assalto che – dopo la sua morte – dovranno subire i suoi figli». Copione classico, da anni: lo sport più in voga, in Europa (inaugurato dal club del Britannia, incluso Draghi) è il saccheggio del Belpaese. Carpeoro è disgustato: «Ma che razza di Europa è mai questa? Qui si lasciano emigrare le industrie nella parte orientale dell’Ue, dove si permette che gli operai vengano pagati pochissimo, e poi non si fa niente per evitare che i migranti africani finiscano per fare concorrenza, al ribasso, agli operai italiani. Se però qualcuno – come Salvini – si permettere di dire che l’immigrazione incontrollata è folle, e che quantomeno i migranti dovrebbero essere distribuiti anche negli altri paesi europei, gli si dà subito del fascista. E mai nessuno, in Italia, che denunci i criminali olandesi», a cui l’Unione Europea consente di attuale questa loro “pirateria fiscale” a spese dell’Italia, in barba a qualsiasi idea di collaborazione europea, o almeno di rispetto delle regole più elementari.Con le manovre per la procedura d’infrazione procede il piano contro l’Italia, concepito per abbattere il governo gialloverde e insediare Mario Draghi al posto di Giuseppe Conte, con l’incarico di schiacciare il nostro paese sotto il peso di un’austerity mostruosa. Lo sostiene Gianfranco Carpeoro, il primo – giorni fa – a ventilare l’avvento di Draghi a Palazzo Chigi, dopo che a fine ottobre avrà dovuto lasciare la presidenza della Bce. Ma a determinare l’eventuale caduta del governo Conte – aggiunge Carpeoro, in diretta web-streaming su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nighs” – non sarà tanto la procedura d’infrazione, quanto la crescita esplosiva (e opportunamente pilotata) dello spread. «E questa sarebbe l’Europa?», si domanda Carpeoro, spazientito. «Non c’è un’ombra di solidarietà tra i paesi Ue: e i primi a pretendere che all’Italia sia inflitta la massima dose di rigore sono proprio i paesi come l’Olanda, che in questi anni si sono distinti per scorrettezza». Peggio: «L’Olanda ha introdotto un legislazione fiscale che non esito a definire criminale, attirando le nostre maggiori aziende e sottraendo in tal mondo risorse preziose all’Italia. A livello europeo è possibile dover essere governati, di fatto, da dei veri e propri criminali?».
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Cucù, i minibot-vudù: così la Germania disinforma i tedeschi
Ai suoi lettori tedeschi, il giornalista Daniel Eckert non racconta la verità. Il suo articolo appena pubblicato su “Die Wielt” non è che l’ultimo esempio di come l’opinione pubblica europea venga regolarmente disinformata, da cronisti che sono a loro volta disinformati oppure in malafede. «Il governo italiano gioca con il fuoco», avverte Eckert: «I politici della Lega di Matteo Salvini continuano a mettere sul tavolo l’idea di una moneta parallela». E spiega: «I minibot, ora resi possibili dal Parlamento, sono un primo passo in questa direzione». Aggiunge: «Portano un nome che suona in qualche modo carino: i minibot. Ma una volta diffusi, i loro effetti potrebbero non essere carini. Perché i minibot sono uno strumento finanziario con il quale il governo populista d’Italia potrebbe scardinare l’Eurozona». Secondo l’economista keynesiano Nino Galloni, è esattamente il contrario: qualsiasi forma di moneta parallela, compresi gli eventuali minibot, serve all’Italia proprio per tentare di restarci, nell’euro. Quella che Eckert evita di porsi è la domanda fondamentale: perché. Ovvero: perché l’Italia propone i minibot? La risposta, implicita, arriva alla fine dell’articolo (tradotto da “Voci dall’Estero”). E cioè: l’Italia non ha guadagnato nulla dall’Eurozona, anzi. Ma di nuovo: perché?Qui però si ferma il giornalismo, quello di Eckert e di tanti colleghi, anche italiani. Con un’aggravante: neppure stavolta “Die Welt” spiega ai connazionali che la Germania se la gode, in Eurozona, solo grazie a privilegi esclusivi: non rispetta le condizioni-capestro che invece impone agli altri. E’ lo stesso Galloni a riassumere il senso della “vacanza europea” della Germania. Primo: le piccole banche tedesche – solo loro – si permettono il lusso di non rispettare i vincoli del Trattato di Basilea. E quindi continuano di fatto a emettere credito (quindi moneta-debito) verso l’economia reale. Secondo: il governo di Berlino non include nel bilancio la colossale spesa previdenziale: il costo delle pensioni non pesa sul debito nominale dello Stato. Terzo: nel calcolo del debito pubblico non entra neppure l’ingentissima spesa pubblica dei Lander, le Regioni. Se aggiungessimo queste voci – ha ricordato sul “Giornale” un imprenditore italiano come Fabio Zoffi, da anni attivo a Monaco di Baviera – il debito pubblico reale della Germania risulterebbe il 280% del Pil, cioè più del doppio del tanto vituperato debito italiano, per il quale il Belpaese viene sistematicamente messo in croce dai signori di Bruxelles.Se Daniel Eckert chiarisse tutto questo, probabilmente i lettori di “Die Welt” capirebbero perché l’Italia – in affanno, per disperata carenza di liquidità – tenta di giocare anche la carta dei minibot. «Sbaglia, chi pensa che siano l’anticamera dell’uscita dall’euro», sostiene su “ByoBlu” un parlamentare come Pino Cabras, in quota ai 5 Stelle: le forme di moneta parallela servono proprio a rimanere aggrappati alla moneta unica. Acrobazie italiane? Certo, perché l’Italia non gode dei privilegi della Germania e neppure di quelli della Francia, ricorda ancora Galloni, citando il franco Cfa che Parigi impone a 14 ex colonie africane. «Quella è valuta a pieno titolo, perché circola in più paesi, mentre i minibot non avrebbero valore fuori dall’Italia». Mario Draghi teme che possano aggravare il debito pubblico? Galloni lo smentisce anche su questo: «Tecnicamente, sarebbero solo “titoli di pagamento”, a valere su debiti già maturati e contabilizzati dalla pubblica amministrazione». Se poi lo Stato li accettasse come pagamento delle tasse, potrebbero anche essere scambiati come moneta: «Ma sarebbero moneta parallela solo nazionale, senza corso legale fuori dall’Italia, e in più accettabile – come mezzo di pagamento – solo su base fiduciaria, cioè con la possibilità di non accettarla».In altre parole, riassume Galloni: «I minibot sono perfettamente legali, in quanto non violano nessuna delle condizioni richiamate da Draghi: sarebbero illegali se corrispondessero all’emissione di euro o se costituissero uno stock aggiuntivo di debito pubblico, e invece non sono né una cosa né l’altra». La rabbia di Draghi, aggiunge Galloni, deriva semmai dalla piena consapevolezza di non poter intervenire sul vero problema, cioè la distribuzione della liquidità. Infatti, la Bce si occupa solo dell’erogazione complessiva della massa monetaria: «Gli euro emessi da Francoforte finiscono largamente alla finanza anziché all’economia reale, settore di cui ormai fanno parte anche gli Stati, ridotti a elemosinare credito alle banche». Con due eccezioni, appunto: la Germania (cui è permesso di non rispettare le regole Ue) e la Francia, che a sua volta “respira” grazie al franco Cfa: «Si dirà che il Cfa non viola il Trattato di Lisbona perché quello delle ex colonie francesi è un circuito chiuso. Ma se è legale il franco Cfa – chiosa Galloni – allora sono “legalissimi” i minibot italiani, concepiti per tamponare la disperata “fame” di liquidità a cui la Bce non riesce a rimediare. E questo, Draghi lo sa benissimo».Non lo sanno, di sicuro, i lettori tedeschi “informati” da Eckert, allarmatissimo all’idea che Roma vari minibot di piccolo taglio (100 euro) come pagamento di aziende che attendono di essere saldate dallo Stato, e addirittura impiegabili anche per pagare le tasse (e quindi scambiabili, da un contribuente all’altro, come pagamento alternativo agli euro). «Da quel momento in poi, è solo un piccolo passo verso una valuta parallela», scrive Eckert, che evidentemente ignora la differenza fondamentale tra “valuta” (convertibile in oro, in euro o in divise estere) e “moneta parallela” (non convertibile, né spendibile fuori dal paese). Mai e poi mai, i minibot potrebbero essere “valuta parallela”. Eppure, scrive sempre Eckert, è esattamente «quello che potrebbe mirare a fare» quel mascalzone di Matteo Salvini, «leader della Lega di destra». La prova? «Il portavoce economico della Lega, Claudio Borghi, è un acceso sostenitore dei piccoli mostri fiscali». Fantastico: la Germania bara su tutto, dopo aver raso al suolo la Grecia e sabotato l’Italia, ma a produrre i “mostri” è il terribile Claudio Borghi, universalmente noto per essere di gran lunga il più mite e prudente tra gli economisti al lavoro per tentare di tamponare la voragine-Italia creata da questa Europa a trazione franco-tedesca, sfrontatamente autocelebratasi nell’inaudito Trattato di Aquisgrana (che fa a pezzi l’idea stessa di Unione Europea).«Come per gli altri paesi dell’unione monetaria, vale anche per l’Italia: la moneta a corso legale è solamente l’euro», strilla Daniel Eckert, sfoderando accenti criminologici contro gli incorreggibili italiani. Ma sbaglia, anche qui: in base all’articolo 128 del Trattato di Lisbona, l’euro è l’unica moneta a corso legale a livello di valuta (valida anche per l’estero), mentre lo stesso trattato non esclude affatto la creazione di monete parallele, anch’esse “a corso legale”, sebbene solo entro il territorio nazionale. «Se i minibot si diffondessero in tutta l’economia italiana e venissero passati di società in società e di cittadino in cittadino, lo Stato italiano potrebbe farsi il proprio denaro», aggiunge l’ineffabile Eckert, senza domandarsi – di nuovo – perché mai gli italiani dovrebbero ricorrere a questa mossa, che crea loro un sacco di guai diplomatici. «Nel corso del tempo – aggiunge – i nuovi coupon sarebbero negoziati sul mercato e quotati ad un prezzo (presumibilmente inferiore) rispetto all’euro». Per “Die Welt”, «sarebbe l’inizio della strisciante uscita dell’Italia dall’euro». Si possono scrivere stupidaggini di questo tipo, nel 2019, su un grande giornale europeo? Eccome. E succede in quasi tutti i giornali europei, grandi e piccini.Sempre in chiave criminologica, il “detective” Eckert consulta un super-tecnocrate come Thomas Mayer, capo-economista del “Flossbach von Storch Research Institute”. Con i minibot, sostiene Mayer, si può almeno «minacciare di lasciare gradualmente l’euro, se si è costretti dall’Ue a ridurre il deficit». Un altro “guru” interpellato da Eckert, il banchiere Erik Nielsen (capo-economista di Unicredit a Londra), chiarisce che i minibot «non sono l’inizio di una nuova valuta». Ma Eckert non si dà per vinto: «La confusa politica di comunicazione di Roma – scrive – ha contribuito a confondere l’idea potenzialmente significativa di cartolarizzare il debito pubblico, con la dottrina “voodoo” di una valuta parallela». Dopo il thriller, ecco l’horror: i lettori di “Die Welt” apprendono da Eckert che l’abominevole governo italiano pratica pure la stregoneria del voodoo. Aggiunge il giornalista tedesco, come monito: in Grecia, Yanis Varoufakis aveva seguito una strategia simile durante il suo breve mandato come ministro delle finanze. «Alla fine, tuttavia, non è riuscito a prevalere contro la Troika». E certo: Ue, Bce e Fmi hanno disintegrato Atene, riducendo la Grecia a paese del terzo mondo, coi bambini uccisi dall’assenza di medicine negli ospedali. Gran bel risultato.«La Commissione e altri paesi preferirebbero non minacciare una uscita dell’Italia», dice Thomas Mayer, secondo cui «Salvini ha carte migliori oggi, rispetto a Varoufakis nel 2015», riferendosi all’importanza dell’economia italiana rispetto a quella ellenica. L’Italia, riconosce infine lo stesso Eckert, è la terza economia più grande nell’Eurozona dopo Germania e Francia, ma «a differenza di altre economie», il Belpaese, pure membro fondatore della Comunità Europea del 1957, «non ha apparentemente beneficiato dell’appartenenza all’unione monetaria». Evviva. «Soprattutto dopo la crisi finanziaria – aggiunge Eckert – la debolezza degli europei del Sud è divenuta sempre più evidente: l’indice della Borsa di Milano oggi è allo stesso livello di dieci anni fa, e il Dax è più che raddoppiato nello stesso periodo. Mentre altre importanti economie europee possono indebitarsi a tassi d’interesse pari a zero o appena marginali – continua Eckert, sempre senza mai chiedersi il perché – i partecipanti al mercato dei capitali italiani richiedono il 2,6% per i titoli di Stato decennali». E la Grecia ridotta alla fame, che il giornalista definisce «agitata», ora «paga solo leggermente di più, il 2,8%».“Die Welt” ricorda che il debito italiano «è uno dei più alti del mondo», pari a oltre il 130% del Pil. «Secondo le normative dell’Ue, è consentito un massimo del 60%». Bravo Eckert: evita di ricordare che il debito nominale della Germania è attorno all’80% (quindi oltre la soglia Ue). Ma soprattutto: non sa, o finge di non sapere, che il debito pubblico tedesco – quello vero – è oltre il triplo della cifra dichiarata. Su queste basi omertose e omissive, reticenti e quindi disastrosamente fuorvianti, il “professor” Eckert – senza curarsi di informare davvero i lettori tedeschi – si permette di aggiungere che, visto il boom elettorale delle europee, in cui «i populisti di destra hanno raddoppiato la loro percentuale di voti», arrivando a superare il 34%, ora «l’uomo politico della Lega potrebbe impostare le eventuali elezioni anticipate come un voto sull’indipendenza del paese da Bruxelles». Anche qui: per quale motivo, tutto questo dovrebbe accadere? Ma niente da fare: alle domande, Eckert preferisce le risposte: «Da sola, la minaccia di una valuta parallela potrebbe destabilizzare l’Eurozona». Ah, questi italiani: pazzi criminali. «Con un debito totale di 2,3 trilioni di euro, Roma ha un enorme potenziale di minaccia». Brrr, che paura…Ai suoi lettori tedeschi, il giornalista Daniel Eckert non racconta la verità. Il suo articolo appena pubblicato su “Die Wielt” non è che l’ultimo esempio di come l’opinione pubblica europea venga regolarmente disinformata, da cronisti che sono a loro volta disinformati oppure in malafede. «Il governo italiano gioca con il fuoco», avverte Eckert: «I politici della Lega di Matteo Salvini continuano a mettere sul tavolo l’idea di una moneta parallela». E spiega: «I minibot, ora resi possibili dal Parlamento, sono un primo passo in questa direzione». Aggiunge: «Portano un nome che suona in qualche modo carino: i minibot. Ma una volta diffusi, i loro effetti potrebbero non essere carini. Perché i minibot sono uno strumento finanziario con il quale il governo populista d’Italia potrebbe scardinare l’Eurozona». Secondo l’economista keynesiano Nino Galloni, è esattamente il contrario: qualsiasi forma di moneta parallela, compresi gli eventuali minibot, serve all’Italia proprio per tentare di restarci, nell’euro. Quella che Eckert evita di porsi è la domanda fondamentale: perché. Ovvero: perché l’Italia propone i minibot? La risposta, implicita, arriva alla fine dell’articolo (tradotto da “Voci dall’Estero”). E cioè: l’Italia non ha guadagnato nulla dall’Eurozona, anzi. Ma di nuovo: perché?
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Galloni a Draghi: i minibot non sono né valuta né debito
Dobbiamo allinearci alle posizioni della Germania per quanto riguarda il funzionamento del sistema bancario. Cioè: le piccole banche devono poter prestare denaro (e quindi creare credito, moneta, liquidità) senza bloccarsi davanti al rating dei parametri di Basilea, che impediscono alle banche stesse di fare quest’operazione. In Germania le piccole banche sono sollevate da quest’obbligo, e quindi la Germania ha anche questa via d’uscita. Non solo: la Germania mantiene la gestione previdenziale fuori dal bilancio dello Stato, così come la spesa pubblica dei Lander. Queste tre circostanze – piccole banche, pensioni e spese delle Regioni – fanno sì che la Germania possa respirare. Anche la Francia respira, ma a scapito degli africani, perché stampa (emette, immette) il franco Cfa: una moneta che è anche una valuta, visto che circola fuori dalla Francia e non è quindi un circuito solo nazionale. Uno potrebbe dire: non viola l’articolo 128 del Trattato di Lisbona, perché la Francia costituisce con le sue ex colonie un circuito chiuso, nell’ambito del quale viene accettato questo mezzo di pagamento (che non va in Germania, né in Italia o in Olanda), e quindi è rispettoso. Ma se è rispettoso il franco Cfa, allora a maggior ragione dovrebbero esserlo i minibot: perché se fossero illegali i minibot, allora il franco Cfa sarebbe “illegalissimo”.
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Finti sovranisti, innocui: il banco vince sempre, anche in Ue
Il risultato delle elezioni europee ‘migliora’ il quadro politico sia nazionale che continentale, ma solo marginalmente, perché come sempre ha vinto il Banco, cioè la Banca, essendo il gioco truccato. Cattolici, liberali, socialisti, nazionalisti e “sovranisti” si sono tenuti tutti all’interno del perimetro del modello, delle regole e dei meccanismi del capitalismo finanziario mondialista e della sua gerarchia di scopi e poteri, senza metterli in discussione, sebbene sappiano benissimo che sono essi il fomite dei mali sociali, economici ed ecologici che hanno promesso di risolvere – mali che hanno prudentemente imputato ad altre cause. Nessuno di essi è antisistema. Hanno recitato entro il teatrino delle divergenze predisposto per loro, entro il range di posizioni (fintamente) critiche autorizzato dal potere reale. Dietro la facciata di apparente alternatività tra le forze politiche in lizza elettorale, questo dato di fondo le accomuna tutte: tutte hanno cooperato nello spiegare al popolo bue i problemi che lo affliggono, dall’economia all’immigrazione, in termini irrealistici, semplicistici, emotivi – termini fuorvianti, quindi innocui per gli interessi forti. La politica, infatti, è l’arte del possibile, del pragmatismo, che, per raccogliere voti, si fa credere altro.I problemi economici (recessione, disoccupazione, indebitamento) sono stati presentati alla base come frutto di un’errata o avara posizione della cricca eurocratica, e come se si trattasse di conquistare il diritto a fare più deficit, e senza prospettare un piano B per il caso che le cose non cambieranno. Non è stata denunciata la monopolizzazione privatistica del potere monetario e finanziario nelle mani di un cartello sovranazionale, il quale ha da decenni deciso una politica globale di restrizione dello sviluppo reale, di finanziarizzazione della società e della politica, di centralizzazione del potere delle proprie mani, di sottomissione delle istituzioni, dei governi, dei parlamenti, attraverso il loro indebitamento programmato e a strozzo che li rende ricattabili e burattinabili, con enormi incrementi nella diseguaglianza, che hanno portato una minuscola élite al controllo della maggioranza del reddito e della ricchezza, e massacrato i diritti dei lavoratori. E poi li chiamano “populisti”.Neppure si è messo in discussione, prospettando un piano B per il caso di rifiuto dei dovuti correttivi, lo statuto e la gestione delle Bce, né la politica bancaria-monetaria europea che assegna all’Italia metà della liquidità pro capite che dà alla Francia e alla Germania, né il sistematicamente mancato rispetto tedesco dei limiti di surplus commerciale. Il problema dell’immigrazione è stato presentato e travisato in termini di mercanti di esseri umani, di affarismo dell’accoglienza e di abuso da parte degli stessi migranti. Non hanno spiegato, perché non si potevano mettere in urto con Cina, Francia, Belgio e altri paesi, che l’immigrazione sostitutiva di massa, o invasione, è spinta dal fatto che la Cina si sta accaparrandosi le terre africane, e gli occidentali le materie prime; e tutto questo produce le ondate di migranti economici e conflitti che degenerano in croniche guerre e guerriglie locali.Questi due problemi fondamentali, quello economico e quello migratorio, hanno cause e interessi retrostanti così potenti che non si possono nominare al grande pubblico, né li si può additare come avversari da combattere, ma si additano cause e colpevoli abbordabili. I partiti politici “sovranisti” e “populisti” italiani non hanno nemmeno messo in discussione l’impostazione di fondo dell’Unione Europea che, sin dalla sua progettazione, che, sotto la pelle d’agnello di Ventotene, pianifica e sta attuando la concentrazione del potere e delle risorse del continente nelle sue aree più efficienti, ossia in Germania e parte della Francia e dell’Olanda, a spese degli altri paesi. Nessuno ha descritto gli effetti e la funzione dell’Euro a questo disegno strategico, intenzionale. Nessuno ha promesso che porterà l’Italia fuori dall’euro, se l’euro non verrà riformato in modo tale che non abbia più quell’effetto. Nessuno ha fatto un conto oggettivo dei danni e benefici dell’Ue (politica agricola, politica fiscale, politica monetaria): sarebbe stato troppo rivelatore! Dove sono allora il sovranismo e il populismo, all’atto pratico?I partiti creduti sovranisti non sono realmente sovranisti anche perché non hanno messo in luce il problema della posizione appunto subalterna dell’Italia rispetto agli interessi di altri paesi dell’Ue, non hanno proposto una soluzione realistica a questa condizione che ci condanna alla sistematica e progressiva spoliazione e deindustrializzazione e africanizzazione. Si sono limitati a dire che avranno più forza nel Parlamento Europeo, mentre in ogni caso i vari partiti “sovranisti” europei sono e rimangono una minoranza in quel Parlamento, e sono divisi tra loro perché portatori di interessi nazionali in buona parte contrapposti. Non è che Lega e 5 Stelle stiano sprecando le opportunità per mettere in luce e in discussione un sistema di potere contrario agli interessi nazionali: stanno semplicemente evitando di scontrarsi con esso per non essere licenziate. Almeno fino ad oggi.(Marco Della Luna, “Il Banco vince sempre”, dal blog di Della Luna del 27 maggio 2019).Il risultato delle elezioni europee ‘migliora’ il quadro politico sia nazionale che continentale, ma solo marginalmente, perché come sempre ha vinto il Banco, cioè la Banca, essendo il gioco truccato. Cattolici, liberali, socialisti, nazionalisti e “sovranisti” si sono tenuti tutti all’interno del perimetro del modello, delle regole e dei meccanismi del capitalismo finanziario mondialista e della sua gerarchia di scopi e poteri, senza metterli in discussione, sebbene sappiano benissimo che sono essi il fomite dei mali sociali, economici ed ecologici che hanno promesso di risolvere – mali che hanno prudentemente imputato ad altre cause. Nessuno di essi è antisistema. Hanno recitato entro il teatrino delle divergenze predisposto per loro, entro il range di posizioni (fintamente) critiche autorizzato dal potere reale. Dietro la facciata di apparente alternatività tra le forze politiche in lizza elettorale, questo dato di fondo le accomuna tutte: tutte hanno cooperato nello spiegare al popolo bue i problemi che lo affliggono, dall’economia all’immigrazione, in termini irrealistici, semplicistici, emotivi – termini fuorvianti, quindi innocui per gli interessi forti. La politica, infatti, è l’arte del possibile, del pragmatismo, che, per raccogliere voti, si fa credere altro.