Archivio del Tag ‘Afghanistan’
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Fabbricò l’allarme-antrace, ora Pence controllerà Trump
«Se vincerà la Clinton, il proseguimento delle guerre imperialistiche è garantito già in partenza. Se invece vincesse Trump, si troverà comunque il modo di farle proseguire, con metodi meno leciti ma comunque molto efficaci. Gli unici che non perdono mai le elezioni, in America, sono quelli del complesso militare-industriale». Parola di Massimo Mazzucco, che averte: «I media occidentali sono talmente ingolfati nel seguire l’altalenante vicenda di Donald Trump, che si sono dimenticati di dare un’occhiata da vicino al suo vicepresidente nominato, cioè Mike Pence». Chi è costui? «E’ stato presentato come un politico sempliciotto e di buone maniere, di solide tradizioni repubblicane, messo accanto a Trump per dare più credibilità al ciuffo selvaggio dell’imprenditore newyorkese». Invece, Pence «è molto di più di un semplice politico conservatore». In realtà è «un “attack dog” di primissimo livello dei neocons, mascherato da perbenista praticante». Ricordate la pagliacciata della fialetta all’antrace agitata all’Onu da Colin Powell per fabbricare prove contro Saddam? Era opera sua, di Mike Pence. L’uomo che ora è stato messo “in marcatura” su Trump, nel caso dovesse battere Hillary.Molti ricorderanno i famosi “attacchi all’antrace” che seguirono di un paio di mesi gli attentati alle Torri Gemelle del 2001, scrive Mazzucco su “Luogo Comune”. In quel periodo, diversi esponenti del partito democratico – soprattutto quelli che chiedevano una indagine parlamentare sull’11 Settembre – ricevettero nei loro uffici delle lettere contenenti una strana polverina bianca, che si rivelò poi essere antrace. Mentre a quei democratici «passava immediatamente la voglia di istituire una commissione parlamentare sull’11 Settembre», il panico si diffondeva in tutta l’America, continua Mazzucco, «poiché nel frattempo erano morte diverse persone a causa dell’antrace». E mentre tutti cercavano di capire da dove potesse essere arrivata quella “polvere maledetta”, «fu proprio Mike Pence a guidare la propaganda mediatica che cercava di far ricadere su Saddam Hussein le colpe per la diffusione dell’antrace». Inizialmente, prosegue Mazzucco, Mike Pence diffuse la falsa notizia che quell’antrace fosse stata “geneticamente modificata” (da qualche Stato estero, si supponeva) per renderla più virulenta e resistente alle cure. Poi invece si scoprì che per combattere l’antrace bastava prendere dei normalissimi antibiotici.Quando l’Fbi scoprì finalmente che l’antrace proveniva da un laboratorio interno degli Stati Uniti (e non da una “nazione straniera”), «fu proprio Mike Pence ad andare su tutte le furie, perché gli veniva a mancare un argomento fondamentale per la futura invasione dell’Iraq». In un gesto di rabbia stizzita, scrive Mazzucco, lo stesso Pence scrisse una lettera aperta all’allora ministro di giustizia, John Ashcroft, chiedendo: «Perché mai l’Fbi sembra aver concluso che l’origine di questi attacchi all’antrace sia interna, quando vi sono indizi importanti che suggeriscono una fonte internazionale per questi materiali?». Naturalmente, anche quegli “indizi importanti” si rivelarono inesistenti, e la fonte dell’antrace fu definitivamente confermata essere un laboratorio degli Stati Uniti. «Nel frattempo però Mike Pence aveva svolto egregiamente il suo compito a favore dei neocons, che avrebbero poi approfittato del terreno da lui preparato per mandare all’Onu Colin Powell ad accusare Saddam Hussein con la famosa fialetta di polvere bianca».Oggi, cioè 15 anni dopo, ecco che Pence ricompare. Dove? Accanto a Trump, all’indomani della sua inattesa vittoria alle primarie repubblicane. «Dopo aver provato in tutti i modi a fermarlo, evidentemente, gli stessi repubblicani devono aver pensato che la soluzione migliore, in caso di una sua elezione alla Casa Bianca, fosse di mettergli accanto un personaggio fidato, come appunto Mike Pence», ragiona Mazzucco. Se quindi Donald Trump dovesse vincere, si apriranno due possibili scenari, molto diversi fra loro, ma con un risultato comunque simile: «Nel primo scenario il buon Donald verrebbe docilmente guidato dal silenzioso Pence a continuare la politica espansionistica degli Stati Uniti, esattamente come il buon George Bush venne docilmente guidato dal silenzioso Dick Cheney all’invasione militare di Afghanistan e Iraq, 15 anni fa. Nel secondo scenario, invece, Trump – se non dovesse per caso “recepire” i buoni consigli di Pence – avrà prima o poi un brutto incidente, che lo toglierà di mezzo definitivamente, o che gli impedirà comunque di continuare a fare il presidente. E così, in un caso come nell’altro, saranno stati nuovamente i neocons a riprendere il controllo dell’America».«Se vincerà la Clinton, il proseguimento delle guerre imperialistiche è garantito già in partenza. Se invece vincesse Trump, si troverà comunque il modo di farle proseguire, con metodi meno leciti ma comunque molto efficaci. Gli unici che non perdono mai le elezioni, in America, sono quelli del complesso militare-industriale». Parola di Massimo Mazzucco, che avverte: «I media occidentali sono talmente ingolfati nel seguire l’altalenante vicenda di Donald Trump, che si sono dimenticati di dare un’occhiata da vicino al suo vicepresidente nominato, cioè Mike Pence». Chi è costui? «E’ stato presentato come un politico sempliciotto e di buone maniere, di solide tradizioni repubblicane, messo accanto a Trump per dare più credibilità al ciuffo selvaggio dell’imprenditore newyorkese». Invece, Pence «è molto di più di un semplice politico conservatore». In realtà è «un “attack dog” di primissimo livello dei neocons, mascherato da perbenista praticante». Ricordate la pagliacciata della fialetta all’antrace agitata all’Onu da Colin Powell per fabbricare prove contro Saddam? Era opera sua, di Mike Pence. L’uomo che ora è stato messo “in marcatura” su Trump, nel caso dovesse battere Hillary.
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Può scapparci una bomba (atomica) se giochi coi terroristi
L’America fa paura: è indebolita ma resta pericolosa, senza una vera leadership. Non sta cercando di inziare una Terza Guerra Mondiale contro la Russia, ma un “incidente” con armi nucleari non è da escludere, a forza di “giocare” coi terroristi, armati e arruolati per servire Washington sotto falsa bandiera. Lo afferma Dmitry Orlov, scrittore e ingegnere russo-americano. «I vertici militari e i politici possono anche essere deliranti, megalomani e potenzialmente suicidi, ma i personaggi di medio livello che sviluppano i piani di guerra hanno di rado tendenze suicide», premette Orlov. Inoltre, nel teatro che più di ogni altro potrebbe provocare l’irreparabile – la Siria – Mosca ha «accuratamente limitato le opzioni del Pentagono». Per abbattere il governo Assad servirebbe infatti l’imposizione di una “no-fly zone”, che però è impossibile: i russi hanno dotato i siriani del sistema missilistico S-300, «che può abbattere qualunque cosa voli sui cieli di quasi tutta la Siria e parte della Turchia». Il motivo principale per iniziare una guerra, oggi? «E’ il fatto che l’esercito siriano sta vincendo la battaglia di Aleppo». Una in fuga «gli jihadisti appoggiati dagli americani», la guerra civile siriana «sarà praticamente finita e inizierà la ricostruzione».Questo risultato appare sempre più inevitabile, scrive Orlov in un post tradotto da “Come Don Chisciotte”. E così, «il progetto americano di vedere una bandiera nera sventolare su Damasco è in frantumi». Ma, «siccome gli americani sono gente che non sa perdere», c’è il rischio che qualcuno possa «commettere azioni casuali e autodistruttive». Dietro alla cosiddetta “isteria anti-Putin”, comunque, Orlov vede soprattutto il riflesso della “isteria anti-Trump”: «La stampa corporativa è tutta a favore della Clinton». E la strategia della Clinton, «anche se patetica», consiste nell’affermare che Trump «è il fattorino di Putin», perciò «la strategia è demonizzare Putin e sperare che un po’ di questa demonizzazione ricada su Trump». Ma non funziona: «I recenti sondaggi di opinione negli Stati Uniti mostrano che Putin è più popolare sia della Clinton che di Trump». Eppure, «la preoccupazione che la guerra con la Russia possa scoppiare per un incidente rimane», visto anche il “talento” dimostrato dagli Stati Uniti, in passato, nel creare disastri.Gli americani, ricorda Orlov, contrastarono con successo l’Unione Sovietica in Afghanistan armando e addestrando estremisti islamici (i Mujaheddin), e questo «è solo un esempio di dove il “terrorismo americano per interposta persona” ha avuto successo». Terrorismo «inventato per l’occasione da Zbigniew Brzezinski e Jimmy Carter», fu in sostanza «un piano per distruggere l’Afghanistan allo scopo di salvarlo e, in pratica, funzionò, ma solo per la parte che riguardava la distruzione dell’Afghanistan». Da allora in poi, il piano «è fallito tutte le volte, a tutti i livelli, ma questo non ha impedito agli americani di perseverare nei tentativi di utilizzarlo». Vero: «Ci hanno provato in Cecenia, finanziando e armando i separatisti ceceni, ma lì la Russia ha avuto il sopravvento e ora la Cecenia è una parte pacifica della Federazione Russa. E naturalmente ci hanno provato in Siria, nel corso degli ultimi cinque anni, con gli stessi, scarsi risultati». Se la Siria seguirà l’esempio ceceno, continua Orlov, nel prossimo decennio «sarà una repubblica riunificata, secolare, con elezioni libere e democratiche, ricostruita con l’assistenza russa e cinese e con i grattacieli di Aleppo che rivaleggeranno con quelli della ricostruita Grozny, in Cecenia».Nel frattempo, gli Usa continueranno con i tentativi di usare altrove il loro “terrorismo per interposta persona”? «Si potrebbe pensare che, dopo il loro fallimento nel sostenere i “combattenti per la libertà” in Cecenia, gli strateghi americani abbiano imparato la semplice lezione: il “terrorismo per interposta persona” non funziona. Ma non imparano quasi mai dai loro errori», preferendo «raddoppiare la posta in gioco di questa tattica fallimentare». Infatti, «mentre usavano i terroristi per contrastare i sovietici in Afghanistan, hanno accidentalmente creato i Talebani, poi hanno invaso l’Afghanistan e hanno combattuto i Talebani per tutti gli ultimi 15 anni, ogni volta sempre con meno successo». Quando poi il “terrorismo per interposta persona” contro i propri nemici è fallito, «gli americani hanno poi deciso di usarlo contro se stessi: un attacco terroristico, presumibilmente commesso l’11 Settembre dalle stesse persone che essi avevano addestrato ad equipaggiato in Afganistan, rinominate al-Qaeda, li spinse ad attaccare l’Iraq». All’epoca non c’erano terroristi in Iraq, ma gli americani “risolsero” subito il problema: smantellarono l’esercito di Saddam creando la nuova milizia che chiamarono Nic, cioè “New Iraqi Corps”, «beatamente ignoranti del fatto che “nic”, nell’idioma locale, vuol dire “fottere”».Intanto, agli ufficiali iracheni imprigionati veniva data ampia opportunità di esasperarsi, di creare una rete di collegamenti e di confrontarsi a vicenda; sicché, «dopo il loro rilascio fondarono l’Isis, che a sua volta si prese una bella fetta di Iraq, poi di Siria». Il problema degli Usa, oggi, è l’assenza di leadership: «Né Obama, né la Clinton, né Trump contano», sostiene Orlov. Così, senza un vero piano in ambito geopolitico, «vengono cautamente confinati e contrastati da altre nazioni, le quali hanno capito che, anche nella loro senescenza e decrepitezza, gli Stati Uniti rimangono (comunque) pericolosi». C’è da temere che continuino a ricorrere al “terrorismo per interposta persona”, «anche se periodicamente si faranno male da soli», ma a un certo punto qualche scheggia impazzita «potrebbe accidentalmente scappare di mano e scatenare un conflitto maggiore». I media accreditano la sensazione di una rottura definitiva tra Mosca e Washington, per esempio sulla Siria, dove invece Usa e Russia hanno solo sospeso i negoziati bilaterali – quelli multilaterali, invece, continuano. Ma attenzione: i russi non resteranno accomodanti all’infinito, avverte Orlov.Di recente, Mosca ha reagito a muso duro dopo l’“accidentale” bombardamento delle truppe siriane a Deir-ez-Zor, chiaramente coordinato con l’Isis, che immediatamente dopo l’attacco è passato all’offensiva. Una palese violazione del cessate il fuoco, che ha indotto i russi a definire gli statunitensi “incapaci di onorare un accordo”. Peggio ancora: «Alcuni osservatori hanno fatto notare che il fiasco di Deir-ez-Zor fa capire come l’amministrazione Obama non abbia più il controllo del Pentagono». Ipotesi rafforzata quando «gli americani, o i loro terroristi mercenari, hanno bombardato un convoglio umanitario e hanno tentato di scaricare la colpa sui russi». In più, i russi hanno appena cancellato un accordo sulla riduzione dell’eccesso di plutonio, «l’unico trattato sulla riduzione delle armi che Obama era riuscito a negoziare in tutti i suoi otto anni di incarico». Motivo del dietrofront russo: gli Usa «non sono riusciti a smaltire la loro quota di plutonio». La Casa Bianca ha subito la “punizione” senza neanche un minimo accenno sulla stampa nazionale, «che probabilmente era troppo impegnata a fare l’isterica».L’America fa paura: è indebolita ma resta pericolosa, senza una vera leadership. Non sta cercando di inziare una Terza Guerra Mondiale contro la Russia, ma un “incidente” con armi nucleari non è da escludere, a forza di “giocare” coi terroristi, armati e arruolati per servire Washington sotto falsa bandiera. Lo afferma Dmitry Orlov, scrittore e ingegnere russo-americano. «I vertici militari e i politici possono anche essere deliranti, megalomani e potenzialmente suicidi, ma i personaggi di medio livello che sviluppano i piani di guerra hanno di rado tendenze suicide», premette Orlov. Inoltre, nel teatro che più di ogni altro potrebbe provocare l’irreparabile – la Siria – Mosca ha «accuratamente limitato le opzioni del Pentagono». Per abbattere il governo Assad servirebbe infatti l’imposizione di una “no-fly zone”, che però è impossibile: i russi hanno dotato i siriani del sistema missilistico S-300, «che può abbattere qualunque cosa voli sui cieli di quasi tutta la Siria e parte della Turchia». Il motivo principale per iniziare una guerra, oggi? «E’ il fatto che l’esercito siriano sta vincendo la battaglia di Aleppo». Una volta in fuga «gli jihadisti appoggiati dagli americani», la guerra civile siriana «sarà praticamente finita e inizierà la ricostruzione».
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Un oceano di dollari e droga, l’Afghanistan 15 anni dopo
Sono passati 15 anni dall’invasione militare dell’Afghanistan da parte degli americani, supportati dalla cosiddetta “coalizione internazionale”, di cui anche noi facciamo parte. Le truppe americane hanno invaso l’Afghanistan il 7 ottobre del 2001, meno di un mese dopo gli attacchi terroristici dell’11 Settembre a New York e Washington. Quella che era sembrata una rapida vittoria sul regime dei Talebani si è trasformata in una sanguinosa guerriglia che continua ancora oggi. L’amministrazione del presidente Bush aveva accusato l’organizzazione Al-Qaeda di Osama Bin Laden di aver dirottato gli aerei civili che hanno colpito e World Trade Center e il Pentagono. La Casa Bianca era convinta che Bin Laden si trovasse in Afghanistan, e pretese e i Talebani glielo consegnassero. I Talebani, guidati dal Mullah Omar, chiesero agli americani di mostrare le prove della sua colpevolezza. In cambio, ebbero la guerra. Con l’aiuto dei jet e delle truppe americane, i signori della guerra della Alleanza del Nord scacciarono i Talebani dalle città più importanti e presero il controllo della capitale, Kabul, a metà di novembre.Venne insediato un nuovo governo guidato dal presidente Hamid Karzai, sostenuto dagli americani, ricorda “Russia Today”, in una ricostruzione ripresa da “Luogo Comune”, il blog di Massimo Mazzucco. Gli alleati della Nato legittimarono in qualche modo l’azione americana, mandando truppe per aiutare “la ricostruzione” dell’Afghanistan. «Per quanto sia stato il presidente Bush a iniziare la guerra in Afghanistan, è stato il suo successore, Barack Obama, a dare luogo alla “surge”, l’incremento militare che avrebbe dovuto mettere fine alla guerra», ricorda “Rt”. Così, 15 anni dopo l’invasione, oggi sono poco meno di 9.000 i militari americani in Afghanistan, da un picco di 100.000 che era stato raggiunto nel 2011. Questi soldati fanno parte dell’operazione “Sentinella della Libertà”, e il Pentagono insiste nel dire che il loro unico ruolo sia di “consigliare e assistere” i militari afghani, e non di combattere i Talebani o lo Stato Islamico. Ma, di recente, il sergente Adam Thomas è stato ucciso nella provincia di Nangarhar, apparentemente a causa di una bomba artigianale. È il terzo soldato americano ucciso in Afghanistan nel 2016.Secondo la “Reuters”, a partire dal 2002 gli Stati Uniti hanno speso più di 60 miliardi di dollari per addestrare ed equipaggiare le forze di sicurezza afghane. Poi c’è la droga, continua “Russia Today”: la coltivazione di oppio, che era stata proibita sotto la stretta interpretazione islamica dei Talebani, ha avuto un ritorno “glorioso” durante la guerra. Secondo un rapporto della Unodc, l’ufficio delle Nazioni Unite su droga e crimine, si stima oggi l’estensione delle coltivazioni di oppio in Afghanistan ad oltre 200.000 ettari. Le cifre finali rischiano di superare il record del 2014, che era di 224.000 ettari. «L’eradicazione delle coltivazioni è stata praticamente zero», ha detto il direttore della Unodc, Yury Fedotov. Come siamo arrivati a questa situazione? Per quanto l’invasione del 2001 sia riuscita a rovesciare il governo dei Talebani, afferma “Rt”, gli Stati Uniti non sono riusciti a catturare o uccidere Bin Laden – il presunto organizzatore dell’11 Settembre – che 10 anni dopo, nel presunto (e tuttora oscuro) blitz di Abbottabad, in Pakistan, da cui però non è mai giunta nessuna foto del cadavere del capo di Al-Qaeda, che poi sarebbe stato “sepolto in mare”, gettato dal ponte di una portaerei.«Per un mese – ricorda “Russia Today” – le truppe americane hanno inutilmente setacciato le grotte di Tora Bora, al confine col Pakistan, dove si credeva che Bin Laden fosse nascosto. «Nonostante Bush avesse promesso, in campagna elettorale, di mettere fine all’ingerenza americana nelle altre nazioni, i soldati americani e della Nato si sono presto ritrovati a combattere una tipica guerra di contro-insorgenza, lanciando continue offensive contro gli sfuggevoli Talebani e i ribelli di Al-Qaeda». I comandi americani in Afghanistan continuavano a chiedere sempre più truppe, ma la maggior parte delle forze americane era impegnata in Iraq, dopo che l’invasione del 2003 aveva seguito un percorso analogo: da una rapida vittoria a un incubo senza fine. «Grazie ad una combinazione fra un incremento di truppe e accordi sottobanco con i leader locali, gli Stati Uniti sono riusciti a neutralizzare la maggior parte della ribellione in Iraq». E ora, dopo la sua rielezione, «Obama ha implementato un programma simile anche in Afghanistan».E dire che, nel maggio 2011, una squadra di Navy Seals aveva attaccato il presunto rifugio di Abbottabad, dove – secondo Washington – sarebbe stato ucciso Bin Laden. «Questo significava il raggiungimento dello scopo principale della guerra, per quanto sia arrivato dopo quasi un decennio». Con la presunta scomparsa di Bin Laden, Obama ha annunciato il ritiro graduale dall’Afghanistan entro la fine del 2016, mentre le operazioni di combattimento – ufficialmente – sarebbero terminate nel dicembre del 2014. «Qualcuno però si è dimenticato di dirlo al Talebani», se è vero che, nel maggio 2015, un drone americano ha ucciso in Pakistan il loro leader, Mohammad Mansour. «E’ ora che gli afghani smettano di combattere e inizino a costruire un futuro tutti insieme», disse allora il ministro degli esteri statunitense John Kerry, invitando i Talebani a prendere accordi con il governo afghano del nuovo presidente, Ashraf Ghani. I Talebani invece hanno scelto il mullah Haibatullah Akhundzada come nuovo leader, lanciando una nuova offensiva. Nel settembre 2015 hanno preso Kunduz, importante città del nord del paese, vicino al confine con il Tajikistan. Ne sono stati scacciati dopo due settimane di pesanti combattimenti, nel corso dei quali gli aerei americani hanno distrutto l’ospedale di “Medici Senza Frontiere”. Un anno dopo, però, i Talebani rientravano nuovamente a Kunduz, piantando la loro bandiera al centro della piazza principale della città.Alla “conferenza dei donatori”, in Austria, Stati Uniti ed Europa hanno appena promesso 15 miliardi di dollari per sostenere il governo afghano nei prossimi quattro anni. «Il costo della guerra in Afghanistan è stato stimato in 685 miliardi di dollari dal Servizio di Ricerca del Parlamento americano», aggiunge “Rt”. Secondo una stima della Harvard Kennedy School of Government, però, il costo a lungo termine potrebbe arrivare a 6 trilioni (migliaia di miliardi) di dollari, se si calcolano «i costi di assistenza medica a lungo termine e di disabilità per i veterani, il rinnovamento dell’arsenale militare ed i costi economici e sociali». Tutti soldi «scomparsi nel nulla». Miliardi di dollari destinati alla “ricostruzione” dell’Afghanistan sono stati spesi «in aerei da guerra che sono poi stati svenduti a prezzo di rottame», ma anche «in stazioni di rifornimento da 30 milioni di dollari ciascuna», e anche «in aerei per combattere il traffico di droga che non sono mai decollati, com’è stato documentato dall’ispettore generale degli Stati Uniti per la ricostruzione in Afghanistan».La sola lotta al narcotraffico, conclude “Russia Today”, ha ingoiato 8,4 miliardi di dollari, senza dare il minimo risultato visibile: «L’Afghanistan oggi produce il 90% dell’eroina nel mondo, in quantità ancora maggiori di quanto lo facesse prima del 2001». Forse la più grossa ironia della guerra in Afghanistan sta nel fatto che «gli americani hanno finito per combattere la stessa gente che avevano supportato durante la Guerra Fredda». Sul finire degli anni ‘70, Washington aveva finanziato di nascosto i ribelli islamici per attirare l’Unione Sovietica in un “incubo simile al Vietnam”. Missione compiuta, peraltro: grazie anche a Osama Bin Laden, appositamente reclutato e armato da emissari della Casa Bianca, del calibro del super-massone Zbigniew Brzezinski. «Dopo il ritiro dei sovietici, nel 1989, gli stessi ribelli – i mujaheddin – iniziarono a lottare fra di loro, permettendo così ai Talebani di emergere come fazione dominante». I soggetti ideali per la “guerra infinita”, l’alibi perfetto per il conflitto permanente e la militarizzazione del pianeta.Sono passati 15 anni dall’invasione militare dell’Afghanistan da parte degli americani, supportati dalla cosiddetta “coalizione internazionale”, di cui anche noi facciamo parte. Le truppe americane hanno invaso l’Afghanistan il 7 ottobre del 2001, meno di un mese dopo gli attacchi terroristici dell’11 Settembre a New York e Washington. Quella che era sembrata una rapida vittoria sul regime dei Talebani si è trasformata in una sanguinosa guerriglia che continua ancora oggi. L’amministrazione del presidente Bush aveva accusato l’organizzazione Al-Qaeda di Osama Bin Laden di aver dirottato gli aerei civili che hanno colpito e World Trade Center e il Pentagono. La Casa Bianca era convinta che Bin Laden si trovasse in Afghanistan, e pretese e i Talebani glielo consegnassero. I Talebani, guidati dal Mullah Omar, chiesero agli americani di mostrare le prove della sua colpevolezza. In cambio, ebbero la guerra. Con l’aiuto dei jet e delle truppe americane, i signori della guerra della Alleanza del Nord scacciarono i Talebani dalle città più importanti e presero il controllo della capitale, Kabul, a metà di novembre.
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Riparare l’Italia? Impossibile, se gli Usa non vogliono
Arrivano i nostri e sistemeranno tutto, con riforme dettate dal buon senso? Perfetto, in teoria. In pratica, però, non succede mai. Motivo? Semplice: le soluzoni esistono, ma non ci è permesso adottarle. Da chi? Dalla ristrettissima élite finanziaria che ha in mano il sistema economico. Le cose vanno male (per noi) perché così hanno deciso loro. Inutile illudersi che possa davvero cambiare qualcosa, dice l’avvocato Marco Della Luna, se prima non si stracciano i trattati di sudditanza verso gli Usa e, in Europa, verso la Germania, il vassallo incaricato di frenare – con la crisi indotta – lo sviluppo del vecchio continente, allo scopo di sabotarne la sovranità e quindi la vitalità. Il pericolo, per loro, è sempre lo stesso: la nostra libertà d’azione. «Un ristretto numero di grandi famiglie bancarie, cioè l’establishment angloamericano e poc’altro, detiene nel mondo il potere economico, quindi politico e militare; il suo consenso è indispensabile per ogni significativa riforma in ogni paese dell’area del dollaro. Impone spesso, nel proprio interesse, riforme contrarie all’interesse collettivo, come l’abolizione del Glass Steagal Act, e le mantiene anche dopo che si è manifestata la loro nocività».Un giorno anche questo “impero” crollerà, come tutti gli altri, aggiunge Della Luna nel suo blog. Ma a farlo collassare non saranno certo i ragazzi di “Occupy Wall Street” o del movimento di Grillo. «Siamo inclini ancora oggi a pensare che i policy-makers, i decision-makers, siano tuttora gli Stati, i governi, i parlamenti». Ma in realtà «non lo sono più da molto tempo: essi sono controllati da chi li finanzia, detiene il loro debito, gli fa il rating». Siamo portati a pensare e a promettere: prendiamo la maggioranza assoluta e aggiustiamo le cose per il paese. Ma non funziona così: «I vincoli e i poteri esterni sono ampiamente preponderanti e dettano ciò che puoi e ciò che devi fare, e se non ottemperi ti fanno cadere, mobilitando mass media e giustizia». In piccolo, la falsa partenza della giunta Raggi a Roma dimostra la stessa verità: anche per cambiare le cose in una città non basta avere i voti, «bisogna fare i conti con interessi consolidati appoggiati da ampi settori istituzionali, mediatici e “religiosi”».Sul piano tecnico, continua Della Luna, i metodi per risanare il sistema bancario italiano e per rilanciare l’economia con idonei finanziamenti di ampio respiro sono già disponibili e più volte descritti. Ma, per introdurre riforme importanti, bisogna fare i conti con l’oste: «Chi avanza proposte di riforma di qualche rilevanza, soprattutto in ambiti economico-finanziari, geostrategici, scientifico-tecnologico (soprattutto energetici), dovrebbe preliminarmente verificare se il predetto consenso vi è o non vi è – il cosiddetto “Washington consensus” (e “Berlin consensus”), esponente degli interessi di quell’establishment finanziario-militare-politico che già Dwight Eisenhower indicava come incompatibile con la democrazia e che ancora prima Charles Wright Mills denominò “power elite”». Non se parla mai, «perché discuterne è sgradevole, scabroso». Chi fa proposte di riforma sostanziale dovrebbe prima verificare «quali siano gli spazi di manovra consentiti all’Italia dai vincoli esterni, e in primo luogo dai trattati di pace e relativi protocolli anche riservati, seguiti alla fine della II Guerra Mondiale, e configuranti per l’Italia una sovranità limitata in subordinazione agli Usa».Lo stesso vale per la Germania: «Ogni cancelliere tedesco, prima di assumere il suo ufficio, deve sottoscrivere la “Kanzlerakte”, ossia un impegno di obbedienza alla Casa Bianca». E un protocollo riservato del trattato di pace con gli Usa «attribuisce a questi la “Medienhoheit”, ossia la sovranità sui mass media tedeschi». Ma se la Germania è “previsto” che sia efficiente, per l’Italia le cose cambiano: Della Luna parla di «obblighi verso gli Usa che impongono all’Italia di restare inefficiente in determinati settori e di subire, nascondendolo all’opinione pubblica, prelievi di ricchezza e di altri assets da parte degli Usa o di loro soggetti imprenditoriali. Prelievi che si traducono in tasse e tagli». L’Italia, poi, è costretta a subire «la sistematica violazione delle regole fiscali europee» da parte della Germania, nonché «lo shopping delle sue aziende migliori». Abbiamo «subito passivamente l’attacco ai Btp per imporre il “regime change” nel 2011 con la leva dello spread». E fu il cancelliere Kohl, racconta Della Luna nel saggio “Polli da spennare” (Nexus, 2008) a frenare la riforma italiana dell’efficienza.Piatto forte, comunque, i nostri soldi da versare al sistema finanziario americano: «Negli anni ’90, i governanti italiani – costretti o corrotti – hanno stipulato con primarie banche statunitensi contratti derivati Irs del tipo “banca vince se tassi calano” quando già era determinato che sarebbero calati; quindi l’Italia, il contribuente italiano, sta pagando centinaia di miliardi di perdite su questi contratti, e questi pagamenti chiaramente costituiscono la corresponsione di un tributo alla potenza vincitrice da parte del paese sconfitto e sottomesso». Una pratica turpe, rinnovata «anche grazie all’“Europa”». Per non parlare degli F-35, aerei-rottame, o delle guerre in Iraq, Afghanistan e Libia, «contrarie agli interessi italiani». La prima vittima? Enrico Mattei: «Fu ucciso mentre, come presidente dell’Eni, disturbava il cartello petrolifero angloamericano».L’indurre destabilizzazioni finanziarie, civili e politiche nei vari paesi della loro zona di influenza, a scopo di sottometterli e sfruttarne le risorse, è una prassi costante delle multinazionali americane, come ben illustrato e documentato da uno dei principali esecutori, John Perkins, nel saggio “Confessioni di un sicario dell’economia” (Minimum Fax). Gli Usa sono il peggior “Stato-canaglia” del pianeta? Già, ma «la sua forza imperiale e il suo controllo dell’informazione gli consente di non apparire tale, in superficie». Della Luna indica una direzione di ricerca, quella dei «protocolli riservati annessi ai trattati di pace e relativi al Piano Marshall». Se risulterà che ci sono e che non permettono le progettate riforme, allora è inutile insistere nel portarle avanti, conclude il saggista. Meglio, a quel punto, progettare «una vasta campagna globale di informazione su quei vincoli, sulla loro dannosità, sulla loro iniquità, al fine di contestare la loro validità e compatibilità coi diritti dell’uomo e coi principi democratici», in modo che americani (e tedeschi) scendano dal trono.Arrivano i nostri e sistemeranno tutto, con riforme dettate dal buon senso? Perfetto, in teoria. In pratica, però, non succede mai. Motivo? Semplice: le soluzioni esistono, ma non ci è permesso adottarle. Da chi? Dalla ristrettissima élite finanziaria che ha in mano il sistema economico. Le cose vanno male (per noi) perché così hanno deciso loro. Inutile illudersi che possa davvero cambiare qualcosa, dice l’avvocato Marco Della Luna, se prima non si stracciano i trattati di sudditanza verso gli Usa e, in Europa, verso la Germania, il vassallo incaricato di frenare – con la crisi indotta – lo sviluppo del vecchio continente, allo scopo di sabotarne la sovranità e quindi la vitalità. Il pericolo, per loro, è sempre lo stesso: la nostra libertà d’azione. «Un ristretto numero di grandi famiglie bancarie, cioè l’establishment angloamericano e poc’altro, detiene nel mondo il potere economico, quindi politico e militare; il suo consenso è indispensabile per ogni significativa riforma in ogni paese dell’area del dollaro. Impone spesso, nel proprio interesse, riforme contrarie all’interesse collettivo, come l’abolizione del Glass Steagal Act, e le mantiene anche dopo che si è manifestata la loro nocività».
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Mazzucco: 9/11, Mentana come l’inquisitore tonto di Galileo
«E’ ora che i complottisti si riposino», scrive Enrico Mentana sulla sua pagina Facebook, facendo intendere che per lui le teorie del complotto sull’11 Settembre sono tutte stupidaggini. «Non ritengo Mentana né un venduto né un servo del sistema, ma un libero pensatore e una persona in buona fede», premette Massimo Mazzucco, che nel 2006 si vide presentare – proprio da Mentana, a “Matrix” – il suo primo, esplosivo documentario sul maxi-attentato alle Torri. Oggi, Mazzucco definisce «ignorante», in senso tecnico (colui che ignora) il direttore del telegiornale de La7. E aggiunge: «E’ come il cardinale Bellarmino, che diceva a Galileo: “Non ho bisogno di guardare nel tuo telescopio, lo so benissimo che ho ragione io”». Anche perché, se guardi davvero nel telescopio, «poi magari ti tocca modificare i tuoi libri sacri». Il problema è che Mentana «è rimasto fermo al 2006, ha smesso di informarsi», diventando «un Bellarmino dei tempi moderni». All’epoca sappiamo tutti come finì: la storia ha stabilito che nel girone dei fessi ci andasse proprio il cardinale inquisitore, con tutta la sua ignoranza. «Ma nel frattempo le palate di merda in faccia se le è prese la verità timidamente professata da Galileo».Più sommessamente, sul blog “Luogo Comune”, Mazzucco suggerisce a Mentana di aggiornarsi, prendendo nota: dal 2006 a oggi sono emerse verità pesantissime, a cura del team “Architects & Engineers For 9/11 Truth”, che ormai conta più di 2.500 firmatari da ogni parte del mondo. Ingegneri, architetti, esperti di sicurezza e protezione antincendio: «Hanno dimostrato, calcoli alla mano, che le Torri Gemelle non potevano crollare da sole nel modo in cui sono crollate, e che sono state necessariamente distrutte con una demolizione controllata». Attenzione: «Non hanno nulla da guadagnare nel sostenere quello che sostengono, mentre hanno molto da perdere: diversi di loro infatti hanno perso il lavoro, per aver sostenuto queste tesi “astruse”». Mentana poi ignora che lo stesso Nist, cioè l’ente incaricato dal governo americano di presentare un rapporto tecnico sulla distruzione del World Trade Center, alla fine si è rifiutato di dare una spiegazione tecnica per il crollo delle Torri. In altre parole, le autorità non sanno spiegare – ufficialmente – perché le Torri siano crollate in quel modo.Nel 2006, inoltre, non era ancora nemmeno uscito il rapporto finale del Nist sul crollo dell’Edificio 7. Il report risale al 2014. E il Nist «è stato costretto ad ammettere la caduta libera dell’edificio», il che «automaticamente significa demolizione controllata». Fatto più che imbarazzante, ma anche questo «Mentana lo ignora platealmente». Il giornalista, poi, mostra di non sapere che lo stesso Paolo Attivissimo, rinomato “debunker” (smascheratore di complottisti) in un confronto radiofonico con Mazzucco «è stato costretto ad ammettere che la storia del volo 93 sia tutta un’invenzione, visto che nessuno riesce a spiegare come dei rottami dell’aereo siano finiti a 14 chilometri di distanza dal luogo di impatto, in una giornata senza vento». Ed è solo un esempio delle mille mancate risposte attorno alla strage che ha innescato le guerre in Iraq e in Afghanistan. In un documentario del 2013, sulla sostenibilità della versione ufficiale Mazzucco ha posto ai “debunker” 50 domande, «alle quali nessuno è mai riuscito a rispondere». Aggiunge il regista: «Se solo Mentana mi avesse telefonato, queste cose gliele avrei spiegate, evitandogli di fare la figura dell’ignorante». Ma evidentemente «non ha bisogno di informarsi: sa già tutto, ha capito tutto». O meglio: «Aveva già deciso dieci anni fa come fossero andate le cose a New York l’11 settembre 2001».«E’ ora che i complottisti si riposino», scrive Enrico Mentana sulla sua pagina Facebook, facendo intendere che per lui le teorie del complotto sull’11 Settembre sono tutte stupidaggini. «Non ritengo Mentana né un venduto né un servo del sistema, ma un libero pensatore e una persona in buona fede», premette Massimo Mazzucco, che nel 2006 si vide presentare – proprio da Mentana, a “Matrix” – il suo primo, esplosivo documentario sul maxi-attentato alle Torri. Oggi, Mazzucco definisce «ignorante», in senso tecnico (colui che ignora) il direttore del telegiornale de La7. E aggiunge: «E’ come il cardinale Bellarmino, che diceva a Galileo: “Non ho bisogno di guardare nel tuo telescopio, lo so benissimo che ho ragione io”». Anche perché, se guardi davvero nel telescopio, «poi magari ti tocca modificare i tuoi libri sacri». Il problema è che Mentana «è rimasto fermo al 2006, ha smesso di informarsi», diventando «un Bellarmino dei tempi moderni». All’epoca sappiamo tutti come finì: la storia ha stabilito che nel girone dei fessi ci andasse proprio il cardinale inquisitore, con tutta la sua ignoranza. «Ma nel frattempo le palate di merda in faccia se le è prese la verità timidamente professata da Galileo».
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Dal ‘45, Usa e Occidente hanno ucciso 55 milioni di persone
Gli Stati Uniti sono l’impero più sanguinario, il maggior “terrorista” del mondo: dal dopoguerra hanno ucciso 55 milioni di persone. Lo afferma Gianluca Ferrara, saggista e blogger del “Fatto Quotidiano”. Su “ByoBlu”, il video-blog di Claudio Messora, offre una spietata cronologia della strage. A cominciare dal 6 agosto 1945: Hiroshima, 200.000 civili sterminati. «Oggi gli Usa possiedono 7.000 ordigni atomici, 2.000 già dispiegati: ognuno di questi ha un potenziale esplosivo fino a tremila volte superiore a quello di Hiroshima». Come l’Impero Romano e quello napoleonico, gli Usa sono trainati da un’economia di guerra: «Per sopravvivere, hanno bisogno di trovare costantemente un nuovo nemico da combattere». Solo nel 2015 hanno investiti 1.800 miliardi di dollari in armamenti, al servizio di una politica estera «stabilita da un élite» che ci narcotizza, utilizzando i media mainstream. Di fatto, gli Usa «sono l’impero terrorista più brutale della storia: dal 1945 ad oggi, la politica estera dell’Occidente ha determinato l’uccisione di 55 milioni di esseri umani. E nel 1990 l’obiettivo degli Stati Uniti è diventato la conquista del Medio Oriente».La prima Guerra del Golfo ebbe inizio grazie ad un inganno: Saddam venne portato a credere che l’occupazione del Kuwait, che era stato un protettorato inglese ma che era rivendicato dall’Iraq fin dal 1961 come appartenente al suo territorio, sarebbe avvenuta senza l’interessamento degli Usa. «Fu una trappola tesa da April Gaspie, ambasciatrice Usa a Baghdad dell’epoca, che fece intendere che gli Usa non avrebbero interferito». Poi, l’11 settembre 2001, «l’abbattimento delle Torri Gemelle fornì il pretesto per terminare il lavoro». Dei 19 presunti attentatori nessuno era iracheno e nessuno era afghano: ben 15 di loro erano sauditi. Ma ad essere colpita non fu l’Arabia Saudita, bensì l’Afghanistan. «La sfortuna degli afghani – dice Ferrara – fu che in quel territorio doveva transitare un oleodotto, che i Talebani non volevano». Una condotta lunga 1.680 chilometri per portare il gas turkmeno di Dauletabad fino in Pakistan attraverso l’Afghanistan occidentale, cioè le province di Herat e Kandahar.Il progetto venne avviato nel 1996 dalla compagnia petrolifera statunitense Unocal, per la quale lavoravano sia Hamid Karzai che Zalmay Khalizad, in cooperazione con il regime talebano. Nel 1996, la Unocal apre una sede a Kandahar. E l’anno dopo, esponenti del governo talebano vengono ricevuti negli Usa. Ma il piano viene poi accantonato per le difficoltà politiche imputabili ai Talebani. «La seconda sfortuna era che gli anni ’70 avevano visto il boom della produzione di oppio e di eroina in Afghanistan. Era il cosiddetto triangolo d’oro», formato da Laos, Birmania e Cambogia. Triangolo «controllato dalla Cia, che in questo modo finanziava le operazioni anticomuniste nel sud-est dell’Asia». I Talebani negli anni ’90 «continuarono il business della droga con la Cia, ma nel 2000 il Mullah Omar lo mise al bando, allo scopo di guadagnarsi un consenso internazionale». L’anno dopo, la produzione di oppio crollò a valori prossimi allo zero. «Grazie alla conquista dell’Afghanistan, la produzione di eroina afghana (che gli Usa si rifiutarono di combattere, sostenendo che non era compito loro) tornò presto a soddisfare il 93% del fabbisogno mondiale».Gli Stati Uniti non combattono mai una guerra inseguendo un solo obiettivo, continua Ferrara: secondo l’Unicef, i 10 anni di embargo all’Iraq hanno causato la morte di un milione e mezzo di persone, tra cui cinquecentomila bambini. Il segretario di Stato Usa Madeleine Albright, quando le fu chiesto di commentare la morte di questi 500 mila bambini, rispose che la scelta era stata difficile, ma che ne era valsa la pena. «La balla sesquipedale delle armi di distruzione di massa, che sarebbero state in mano a Saddam, fu la scusa per impadronirsi definitivamente dell’Iraq, nel quadro della strategia economico-commerciale “Pivot to Asia”, che mirava a cinturare la Cina per impedirle un’espansione a ovest». Ma le uniche armi di distruzione di massa in mano a Saddam «erano quelle che proprio gli Stati Uniti gli avevano venduto, perché fossero usate per lo sterminio dei curdi».Un genocidio, quello del Kurdistan iracheno, al quale abbiamo contribuito anche noi italiani, con la vendita a Saddam di ben 9 milioni di mine antiuomo: «Del resto ancora adesso Matteo Renzi ritiene doveroso fare affari con chi finanzia l’Isis». Ma anche supponendo che l’Iraq avesse posseduto quelle armi, aggiunge Ferrara, i 7.000 ordigni nucleari di cui gli Stati Uniti d’America sono dotati non sono forse “armi di distruzione di massa”? Bisognerebbe chiederlo all’allora vice di Bush, Dick Cheney, che «per pura coincidenza era anche a capo della grande azienda petrolifera Halliburton, che si avvantaggiò successivamente dell’occupazione dei pozzi petroliferi iracheni». Ma, chiusa la partita con l’Iraq, il processo di colonizzazione prevedeva l’invasione della Siria. «Senza dimostrare molta fantasia, gli Stati Uniti cercarono di convincere il mondo che Assad usava armi chimiche contro i suoi cittadini». Solo la ferma opposizione di Putin riuscì a bloccare Obama, che nel 2013 era a un passo dall’attacco.Serviva allora un’altra strategia: così si inventarono la guerra per procura. «Bisognava finanziare i gruppi che si opponevano ad Assad: Al Nusra e l’Isis. Così, arrivarono piogge di dollari statunitensi sugli jihadisti, come rivelarono in tanti, tra cui ex dipendenti della Cia, ex ufficiali». Michael Flynn: «Sostenere Isis fu una nostra decisione deliberata». Tra le ammissioni persino quelle di un senatore, Rand Paul, e di una deputata, Tulsi Gabbard. Per non parlare del vicepresidente Joe Biden, che nell’ottobre del 2014 rivelò che sugli jihadisti impegnati in Siria erano arrivate piogge di dollari statunitensi. «La vera ragione per cui Assad è stato attaccato – afferma Ferrara – è che nel 2009 si era rifiutato di far transitare sul proprio territorio un gasdotto, proposto dal Qatar e dall’Arabia Saudita, che doveva passare per la Turchia e avere come destinazione l’Europa, per togliere alla Russia di Putin il monopolio». Non solo: «Assad si era accordato con l’Iraq per accogliere un gasdotto alternativo, ed era dalla parte dei palestinesi contro le aggressioni dello Stato di Israele».Poco prima, il “trattamento” era toccato alla Libia, che possiede le riserve di petrolio africane più importanti: 48.000 miliardi di barili, più 1.500 miliardi di metri cubi di gas. «Ma in realtà Gheddafi fu fatto fuori anche per un’altra ragione: proprio come Saddam, aveva deciso di non vendere più il petrolio in dollari, bensì attraverso un’altra moneta sovrana che stava creando: il dinaro libico». Dalla Libia alla Siria, fino all’attuale terrorismo internazionale: i recenti attentati in Francia, Belgio e Germania «hanno delle analogie con quello che accadde in Italia negli anni ’90, dopo la rottura del patto Stato-mafia, quando Roma e Milano furono duramente colpite dalle ritorsioni di Cosa Nostra». Dietro ai kamikaze ci sono «veri professionisti del terrore, che da sempre hanno usato mercenari, criminali, fondamentalisti e perfino squilibrati per seminare la paura e instaurare, sotto la copertura di una finta democrazia, una dittatura economico-militare». I jihadisti, poi, svolgono anche un altro ruolo importante: «Sono un eccellente concime per far germogliare il seme della paura in Occidente: più abbiamo paura, più cerchiamo protezione». Con buona pace del grande Tiziano Terzani, secondo cui «il problema del terrorismo non si risolve uccidendo i terroristi, ma eliminando le ragioni che li rendono tali».Gli Stati Uniti sono l’impero più sanguinario, il maggior “terrorista” del mondo: dal dopoguerra hanno ucciso 55 milioni di persone. Lo afferma Gianluca Ferrara, saggista e blogger del “Fatto Quotidiano”. Su “ByoBlu”, il video-blog di Claudio Messora, offre una spietata cronologia della strage. A cominciare dal 6 agosto 1945: Hiroshima, 200.000 civili sterminati. «Oggi gli Usa possiedono 7.000 ordigni atomici, 2.000 già dispiegati: ognuno di questi ha un potenziale esplosivo fino a tremila volte superiore a quello di Hiroshima». Come l’Impero Romano e quello napoleonico, gli Usa sono trainati da un’economia di guerra: «Per sopravvivere, hanno bisogno di trovare costantemente un nuovo nemico da combattere». Solo nel 2015 hanno investiti 1.800 miliardi di dollari in armamenti, al servizio di una politica estera «stabilita da un élite» che ci narcotizza, utilizzando i media mainstream. Di fatto, gli Usa «sono l’impero terrorista più brutale della storia: dal 1945 ad oggi, la politica estera dell’Occidente ha determinato l’uccisione di 55 milioni di esseri umani. E nel 1990 l’obiettivo degli Stati Uniti è diventato la conquista del Medio Oriente».
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Brzezinski: contrordine, America. Pace con Putin e la Cina
«L’architetto principale del piano di Washington per governare il mondo ha abbandonato il progetto e ha richiesto la creazione di legami con la Russia e la Cina». Anche se l’articolo di Zbigniew Brzezinski su “The American Interest”, dal titolo “Towards a Global Realignment” (verso un riallineamento globale) è stato ampiamente ignorato dai media, «dimostra che membri potenti dell’establishment decisionale non credono più che Washington prevarrà nel suo tentativo di estendere l’egemonia degli Stati Uniti in tutto il Medio Oriente e in Asia», afferma Mike Whitney. Il super-massone reazionario Brzezinski, primo reclutatore di Osama Bin Laden in Afghanistan, «è stato il principale fautore di questa idea», l’espansione “imperiale”, già esposta nel 1997 nel libro “La Grande Scacchiera: il primato americano e i suoi imperativi geostrategici”. Ora «ha fatto dietro-front e ha richiesto una incredibile revisione strategica». Infatti scrive che «gli Stati Uniti devono prendere l’iniziativa per riallineare l’architettura del potere globale», dal momento che «finisce la loro epoca di dominio globale». Meglio sfruttare la residua potenza americana per affrontare in modo diverso, cioè pacifico, «l’emergente ridistribuzione del potere globale e il violento risveglio politico in Medio Oriente».Gli Stati Uniti, sottolinea Brzezinski, «sono ancora l’entità politicamente, economicamente e militarmente più potente del mondo». Ma, aggiunge, «dati i complessi cambiamenti geopolitici negli equilibri regionali, non sono più la potenza imperiale globale». In un post su “Counterpunch” tradotto da “Come Don Chisciotte”, Mike Whitney invita a confrontare questo giudizio con quello che lo stesso Brzezinski aveva dato ne “La Grande Scacchiera”, quando affermava che gli Stati Uniti erano «il massimo potere a livello mondiale, giudice-chiave delle relazioni di potere eurasiatiche». Il crollo dell’Unione Sovietica aveva determinato «la rapida ascesa di una potenza dell’emisfero occidentale, gli Stati Uniti, come l’unica e, in effetti, la prima potenza veramente globale». Nell’ultima parte del ventesimo secolo, nessuna altra potenza gli si è nemmeno avvicinata». Ma, scrive oggi Brzezinski, «quell’epoca sta ormai per finire». L’ex consigliere strategico per la sicurezza nazionale sotto Jimmy Carter, autorevolissimo esponente della dottrina della supremazia mondiale degli Usa, ora «indica l’ascesa della Russia e della Cina, la debolezza dell’Europa e il “violento risveglio politico tra i musulmani post-coloniali”, come le cause approssimative di questa improvvisa inversione».I suoi commenti sull’Islam, continua Whitney, sono particolarmente istruttivi: Brzezinski infatti «fornisce una spiegazione razionale per il terrorismo, invece dell’aria fritta governativa sull’“odiare le nostre libertà”». Del resto, lo stesso Brzezinski seppe vedere lo scoppio del terrore come lo «sgorgare di lamentele storiche» da un «senso di ingiustizia profondamente sentito», e quindi non come «la violenza cieca di psicopatici fanatici». Nel libro “Massoni”, Gioele Magaldi presenta Brzezinski anche sotto un’altra luce: come leader del cartello super-massonico neo-aristocratico e ultra-conservatore. Un fronte che, però, si starebbe incrinando, davanti al cinismo della strategia della tensione – dall’11 Settembre all’Isis – e, soprattutto, alla crescente resistenza di Russia, Cina e loro alleati. Una parte di quell’élite, fino a ieri granitica, si starebbe “sfilando”. E questo, avvertono alcuni osservatori provienienti dalla cultura massonica democratica, forse spiega il crescente ricorso agli attentati: l’oligarchia teme di perdere la presa sulla scena geopolitica e sull’opinione pubblica occidentale. Anche così si spiega il clamoroso successo degli outsider nella campagna elettorale americana: Bernie Sanders e soprattutto Donald Trump, così morbido con Putin. Una “prudenza” che sembra ora pienamente condivisa da un ex super-falco come Brzezinski.«E’ chiaro che quello che più lo preoccupa è il rafforzamento dei legami economici, politici e militari tra la Russia, la Cina, l’Iran, la Turchia e gli altri Stati dell’Asia centrale», osserva Whitney. Un problema già segnalato nel libro del ‘97: «D’ora in poi – scriveva Brzezinski – gli Stati Uniti potrebbero dover stabilire come far fronte a coalizioni regionali che cercano di spingere l’America fuori dall’Eurasia, minacciando in tal modo lo status degli Stati Uniti come potenza mondiale». Ergo, per l’imperialista Brzezinski il problema era «prevenire la collusione e mantenere la dipendenza sulla difesa tra i vassalli, tenere i tributari docili e protetti, e impedire che i barbari si uniscano». Il che si è puntualmente verificato, prima con la “guerra infinita” promossa dal clan Blush, e poi con la «politica estera sconsiderata dell’amministrazione Obama, in particolare il rovesciamento dei governi in Libia e in Ucraina», cosa che – annota Whitney – ha «notevolmente accelerato la velocità con cui si sono formate queste coalizioni anti-americane». In altre parole, «i nemici di Washington sono apparsi, in risposta al comportamento di Washington. Obama può biasimare solo se stesso».Putin ha risposto a tono alla crescente minaccia di instabilità regionale e al posizionamento delle forze Nato ai confini della Russia: ha rafforzanto le alleanze con i paesi perimetrali della Russia e in tutto il Medio Oriente. Allo stesso tempo, insieme ai colleghi Brics (Brasile, India, Cina e Sudafrica) il presidente russo ha istituito un sistema bancario alternativo (Brics Bank e Aiib) che finirà per sfidare il sistema dominato dal dollaro, che è la fonte del potere globale degli Stati Uniti. È per questo, continua Whitney, che Brzezinski ha fatto una rapida svolta a U, abbandonando il piano egemonico degli Stati Uniti: è preoccupato «per i pericoli di un sistema non basato sul dollaro che sta nascendo tra i paesi emergenti e i non allineati, che dovrebbe sostituire l’oligopolio della Banca Centrale occidentale. Se ciò accadrà, allora gli Stati Uniti perderanno la loro morsa sull’economia globale». Quel giorno finirebbe anche «il sistema di estorsione nel quale biglietti verdi buoni per incartare il pesce vengono scambiati per beni e servizi di valore».Purtroppo, aggiunge Whitney, è improbabile che l’approccio più cauto di Brzezinski sarà seguito dao Hillary Clinton, «che è una convinta sostenitrice dell’espansione imperiale attraverso la forza delle armi». Spiegava infatti nel 2010, sulla rivista “Foreign Policy”: «Mentre la guerra in Iraq si esaurisce e l’America comincia a ritirare le sue forze dall’Afghanistan, gli Stati Uniti si trovano ad un punto di svolta. Negli ultimi 10 anni, abbiamo stanziato risorse immense in questi due teatri. Nei prossimi 10 anni, dobbiamo essere intelligenti e sistematici su dove investiremo tempo ed energia, in modo da metterci nella posizione migliore per sostenere la nostra leadership, garantire i nostri interessi e far avanzare i nostri valori. Uno dei compiti più importanti della politica americana nel prossimo decennio sarà quello di tenere al sicuro gli investimenti – diplomatici, economici, strategici, e di altro tipo – sostanzialmente aumentati nella regione Asia-Pacifico». L’apertura dei mercati in Asia «fornisce agli Usa opportunità senza precedenti per gli investimenti, il commercio, e l’accesso alla tecnologia d’avanguardia: le aziende americane devono sfruttare la vasta e crescente base di consumatori dell’Asia».L’Asia è il nuovo Eldorado: «Genera già oltre la metà della produzione mondiale e quasi la metà del commercio mondiale», affermava Hillary. «Mentre ci sforziamo di soddisfare l’obiettivo del presidente Obama di raddoppiare le esportazioni entro il 2015, siamo alla ricerca di opportunità per fare ancora più affari in Asia». Lo sapeva anche Brzezinski, 14 anni fa, quando scriveva “La Grande Scacchiera”: «Per l’America, il premio geopolitico principale è l’Eurasia», che è «il più grande continente del globo», il maggiore asse geopolitico. «Una potenza che domini l’Eurasia controllerebbe due delle tre regioni più avanzate ed economicamente produttive del mondo».Attenzione: «Circa il 75% della popolazione mondiale vive nell’Eurasia, e la maggior parte della ricchezza fisica del mondo sta lì, sia nelle sue imprese che sotto il suolo. L’Eurasia conta per il 60% del Pil mondiale e circa tre quarti delle risorse energetiche conosciute al mondo». Gli obiettivi strategici sono quelli della Clinton oggi, ma con una enorme differenza: sono passati 14 anni, e forse Hillary non se n’è accorta.«Brzezinski ha fatto una correzione di rotta sulla base di circostanze mutevoli e della crescente resistenza al bullismo, al dominio e alle sanzioni statunitensi», scrive Whitney. «Non abbiamo ancora raggiunto il punto di svolta per il primato degli Stati Uniti, ma quel giorno si sta avvicinando velocemente e Brzezinski lo sa». Al contrario, la Clinton «è ancora completamente impegnata ad ampliare l’egemonia degli Stati Uniti in tutta l’Asia. Non capisce i rischi che ciò comporta per il paese o per il mondo. E’ intenzionata a continuare con gli interventi fino a quando il titano combattente Stati Uniti si immobilizzerà di colpo, cosa che, a giudicare dalla sua retorica iperbolica, accadrà probabilmente dopo un po’ di tempo durante il suo primo mandato». Brzezinski presenta «un piano razionale ma opportunista per fare marcia indietro, ridurre al minimo i conflitti futuri, evitare una conflagrazione nucleare e mantenere l’ordine globale, cioè il “sistema del dollaro”. Ma la sanguinaria Hillary seguirà il suo consiglio? Nemmeno per sogno».«L’architetto principale del piano di Washington per governare il mondo ha abbandonato il progetto e ha richiesto la creazione di legami con la Russia e la Cina». Anche se l’articolo di Zbigniew Brzezinski su “The American Interest”, dal titolo “Towards a Global Realignment” (verso un riallineamento globale) è stato ampiamente ignorato dai media, «dimostra che membri potenti dell’establishment decisionale non credono più che Washington prevarrà nel suo tentativo di estendere l’egemonia degli Stati Uniti in tutto il Medio Oriente e in Asia», afferma Mike Whitney. Il super-massone reazionario Brzezinski, primo reclutatore di Osama Bin Laden in Afghanistan, «è stato il principale fautore di questa idea», l’espansione “imperiale”, già esposta nel 1997 nel libro “La Grande Scacchiera: il primato americano e i suoi imperativi geostrategici”. Ora «ha fatto dietro-front e ha richiesto una incredibile revisione strategica». Infatti scrive che «gli Stati Uniti devono prendere l’iniziativa per riallineare l’architettura del potere globale», dal momento che «finisce la loro epoca di dominio globale». Meglio sfruttare la residua potenza americana per affrontare in modo diverso, cioè pacifico, «l’emergente ridistribuzione del potere globale e il violento risveglio politico in Medio Oriente».
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Sovragestione: i padrini dell’Isis erano a Yalta nel 1945
Si credono Dio, anziché ricercare la propria spiritualità. Non sono più degli iniziati, ma dei contro-iniziati. Per il massone Gianfranco Carpeoro, è questa la profonda motivazione psicologica che spinge gli uomini del vertice-ombra dell’Occidente a organizzare il terrorismo più spietato, ieri affidato ad Al-Qaeda e oggi all’Isis. L’obiettivo strategico non cambia: mantenere il potere in pochissime mani, a qualsiasi costo, utilizzando l’intelligence per “fabbricare” leader islamisti adatti a reclutare kamikaze, figli di un mondo devastato dai dominus occidentali. Carpeoro la chiama “sovragestione”, ed è la chiave per capire di che morte stiamo morendo. I boss occulti della “sovragestione”? Si tratta di «un ristretto numero di persone, che fanno parte della finanza e della politica internazionale». A loro volta, «manovrano pezzi di governi, di amministrazioni, di servizi segreti, logge massoniche o paramassoniche, strutture religiose di varia estrazione, istituzioni bancarie, esponenti dell’economia o dell’imprenditoria». La struttura ricorda quella della ‘ndrangheta: «Una rete ad anelli, dove la regola aurea viene ampiamente rispettata: ogni anello conosce solo e soltanto l’anello che gli è immediatamente superiore e quello che gli è immediatamente inferiore e nulla più».Perché siamo finiti tra le spire della “sovragestione”, che ultimamente ha preso di mira l’Europa con gli attentati di Parigi, Bruxelles e Nizza, regolarmente targati Isis? Per Gioele Magaldi, autore del bestseller “Massoni” (Chiarelettere), non si può capire molto se non si legge tra le righe: l’origine del potere occidentale moderno è interamente massonico (democrazia, laicisimo). Ma nel dopoguerra la massoneria internazionale ha partorito 36 super-strutture segrete, chiamate Ur-Lodges (logge madri), che hanno intrapreso una gestione monopolistica della politica, dell’economia, della finanza. Alcune di queste hanno espresso una tendenza neo-conservatrice, aristocratica, neo-feudale. Fino all’eccesso: la strategia della tensione, i golpe in mezzo mondo. Avverte Magaldi: anche questo va interpretato; se sei consapevole di averla “inventata” tu, la modernità, mettendo fine all’assolutismo monarchico con la Rivoluzione Francese e all’oscurantismo vaticano con il Risorgimento italiano, può accadere che ti consideri il padrone del mondo, il nuovo mondo che hai contribuito in modo determinante a creare, abbattendo l’Ancien Régime.Il che è aberrante, ma aiuta a “vedere” come ragionano i capi supremi dell’élite mondiale reazionaria che dagli anni ‘80 ha preso il sopravvento, dichiarando guerra alla democrazia e imponendo la sua globalizzazione a mano armata, gestita dalle multinazionali finanziarie. E a questo disegno appartiene anche l’ultimissima stagione: quella del terrore, che ci sta investendo. Non a caso, nel mirino è finita anche l’Europa, terremotata dall’austerity. Se da qualche anno il terrore “islamista” si rivolge contro l’Europa, scrive Gianfranco Carpeoro sulla sua pagina Facebook, «non è certamente perchè il “sovragestore” vuole distruggerla». Al contrario: l’élite occidentale che organizza il terrorismo-kamikaze «ha interesse che rimanga così», questa Unione Europea interamente in mano a loro, gli oligarchi della finanza. Ergo: «Il neoterrorismo deve impedire che l’Europa si liberi dal giogo monetario delle banche e dalla soggezione al potere finanziario». Sono sempre “loro”, gli uomini al comando dietro le quinte: ieri col Trattato di Maastricht che ha rovinato l’Italia, poi con i diktat della Troika che hanno ridotto la Grecia alla fame. Gli europei cominciano a ribellarsi? Ed ecco gli attentati “islamici”. Il regno della paura serve a questo: impedire che si evada dal “lager”. La violenza terroristica è in aumento? Altro segnale, aggiunge Carpeoro: qualcuno, davanti a tanto sangue, si sta sfilando dall’élite criminale. E allora, forse, il super-vertice comincia ad avere paura, a sua volta. Per questo preme sull’acceleratore delle stragi.Secondo Carpeoro, il male viene da lontano: è figlio del sistema economico attuale. Il capitalismo finanziario mondializzato è feroce, disumano: perché qualcuno stia meglio, bisogna che qualcun altro stia peggio. Mors tua, via mea. Da lì in poi, “vale” tutto. Anche la guerra. Fino al neoterrorismo della “sovragestione”. Guai, infatti, se dovessero trionfare gli ideali proclamati all’Onu, all’indomani della Seconda Guerra Mondiale. Erano il cardine della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, fortemene voluta dalla “libera muratrice” Eleanor Roosevelt, secondo la quale «nessun sistema, nessun regime politico, nessuna dottrina sociale può essere giusta se ogni individuo, fino all’ultimo pigmeo africano, fino al più sfruttato lavoratore cinese o coreano, non può vivere con dignità o senza poter aspirare alla sua porzione di spazio spirituale e vitale, cioè di felicità». E allora ecco il “terrorismo interno” di oggi, la nuova strategia della tensione, che «salda il rapporto tra il popolo e il potere con il collante della paura, com’era già accaduto ai tempi di Al-Qaeda e delle Torri Gemelle». Perché poi la manovalanza è islamica? Opera nostra, anche quella: a partire da Yalta, dalla scelta di non dare uno Stato ai palestinesi.Una decisione fatale, dice Carpeoro, che determinò il ritiro dalla scena della componente più ispirata del mondo esoterico occidentale, la “fratellanza” dei Rosacroce, delusa dal patto di spartizione mondiale firmato da Roosvelt, Churchill e Stalin. Attorno alla “leggenda storicamente accaduta” dei Rosacroce, di cui è un grande studioso, Carpeoro ha scritto anche un romanzo, “Il volo del Pellicano”, edito da Melchisedek. Avvocato e giornalista (all’anagrafe, Gianfranco Pecoraro), Carpeoro è stato gran maestro della massoneria più “indipendente” (33esimo grado del Rito Scozzese), a capo di una comunione massonica auto-scioltasi per scongiurare pericolose infiltrazioni di potere. Ai Rosacroce si sarebbero ispirate correnti “deviate” fino al satanismo e vicinissime alla super-élite del massimo potere, quella della “sovragestione” degli “uomini che si credono Dio”. Di ben altra caratura, invece, i veri Rosacroce, il cui ultimo “Ormùs” fu il pittore Salvador Dalì, con accanto personaggi come Picasso, Erik Satie, Jean Cocteau, il regista moldavo Emil Loteanu. Era stata proprio la “paramassoneria” di potere, scrive Carpeoro, a sabotare – a Yalta – il grande progetto rosacrociano per il dopoguerra: pace in Medio Oriente. Vinsero gli altri, i protagonisti delle future Ur-Lodges: niente pace, meglio la guerra. Opportuno, quindi, coltivare i focolai dell’odio, partendo proprio dalla Palestina, in mezzo agli emirati del petrolio.«Il tutto – scrive Carpeoro – si concluse con la istituzione del solo Stato di Israele». Sicché, «non risulta niente affatto avventato definire tale esito come la premessa del sorgere di un progenitore del neoterrorismo islamico, e cioè quello palestinese, nella prima versione dell’Olp». Dal Medio Oriente all’Italia: «Altrettanto accadde in occasione dell’omicidio del povero Enrico Mattei, reo di voler sottrarre il mondo del petrolio arabo alla gestione economica, ma anche culturale, della lobby delle Sette Sorelle, in nome della sua formazione socialista, scarsamente sensibile al perpetuarsi del potere di certi sceicchi e califfi». Tessere di un mosaico, nemico della democrazia, da sud a nord: «Il progetto europeo di caratura liberalsocialista veniva definitivamente sabotato tramite l’omicidio del suo leader politico e spirituale Olof Palme, mettendo le basi di questa disgraziata Europa attuale, burocratica e disumana, unione solo di banche e burocratica distruttrice di economie produttive a favore di una finanza ormai astratta, estranea da ogni legittima aspirazione di popoli e individui». E dopo la Svezia, la “sovragestione” colpì di nuovo in terra d’Israele con l’omicidio del leader ebreo Rabin, «protagonista di una pax massonica, stavolta nel senso autentico, in Medio Oriente, che tanto aveva preoccupato i Signori della Guerra e del Terrore».Come dire: solo gli sprovveduti possono pensare che il tragico carnevale dell’Isis nasca dal nulla. Passo su passo, di attentato in attentato, l’Occidente ha fabbricato «una polveriera che si chiama Islam», ma attenzione: «Darle questo nome è un abuso nei confronti della dottrina religiosa in questione», che infatti è stata «modificata, redatta, interpretata nell’ignoranza e nell’arretratezza, sponsorizzata dai satrapi del petrolio e dai potenti protetti dall’Occidente per incrementare odio e integralismo da utilizzare per la autoconservazione di un potere assoluto e cieco». Luoghi comuni: «Quando si dice Islam, automaticamente si pensa al mondo arabo, ma la logica delle divisioni etniche in questo caso non aiuta: il popolo turco non è arabo, quello afghano tanto meno, e neanche la quasi metà del popolo indiano islamico e di quello africano». In realtà, aggiunge Carpeoro, la grande religione islamica è stata «riadattata a strumento permanente di supporto a regimi politici integralisti e assoluti, neganti ogni diritto e ogni libertà democratica, fautori di sistemi sociali dove c’è chi ha tutto funzionalmente allo sfruttamento di chi non ha nulla». Solo così, quella religione «è diventata il collante di popolazioni quasi abbrutite dall’ignoranza e dal bisogno, tramite una rete di imam e presunti padri spirituali la cui presenza e la cui legittimazione era stata la prima cosa assolutamente proibita dal Profeta».I veri leader islamici sono stati emarginati, e la parte sana delle popolazioni travolte dal terremoto è «dormiente e passiva di fronte a questo scempio». E siamo ai giorni nostri: «Ecco che dalla disperazione del popolo palestinese, dai flagelli vari, siccità, malattie, povertà del popolo africano, dalle drammatiche divisioni tra popoli asiatici nasce e si diffonde una vera e propria figura antropologica: il terrorista». Al terrorista, per decine di anni, «viene offerta la prospettiva simbolica che gli ha consentito di accettare il rischio di sacrificare la sua vita: il riscatto sociale». E i terroristi di oggi, annidati nelle nostre città che si vantano si realizzare una vera integrazione? «Quella che noi chiamiamo “integrazione” è stata solo la trasmissione di schemi consumistici e disumanizzanti», sostiene Carpeoro. Questo processo, è vero, «ha soppiantato il potenziale esplosivo del vecchio terrorismo», ma ne ha anche fatto impallidire le motivazioni sociali e politiche, che almeno ne consentivano la comprensione, mantenendo «un minimo di possibilità di recupero umano e sociale».Ora è tardi: «Aiutata dalla sapiente diffusione di nuove droghe raffinate e di ulteriori adattamenti snaturanti della religione islamica, la mutazione antropologica del terrorista si è ulteriormente evoluta: da esseri comunque umani a macchine del terrore». L’Isis, appunto: uomini «addestrati e resi dipendenti da varie droghe in campi adeguatamente finanziati e organizzati». Questo esercito di neoterroristi «è oggi pronto a spargersi nelle nostre città come metastasi di un carcinoma, e noi siamo impotenti». Ma attenzione: «E’ un esercito “sovragestito”, anche se dubito molto che chi ne fa parte ne sia consapevole». Sono temi che lo stesso Carpeoro approfondirà in un saggio che si annuncia esplosivo, “Dalla massoneria al terrorismo”, che uscirà in autunno per i tipi di Uno Editori. Si scrive Isis, ma si legge “sovragestione”. Il problema siamo noi, il nostro sistema: che va radicalmente bonificato nella sua struttura occulta di potere. «La vera scommessa dell’Occidente è la nascita di un Neoumanesimo».Si credono Dio, anziché ricercare la propria spiritualità. Non sono più degli iniziati, ma dei contro-iniziati. Per il massone Gianfranco Carpeoro, è questa la profonda motivazione psicologica che spinge gli uomini del vertice-ombra dell’Occidente a organizzare il terrorismo più spietato, ieri affidato ad Al-Qaeda e oggi all’Isis. L’obiettivo strategico non cambia: mantenere il potere in pochissime mani, a qualsiasi costo, utilizzando l’intelligence per “fabbricare” leader islamisti adatti a reclutare kamikaze, figli di un mondo devastato dai dominus occidentali. Carpeoro la chiama “sovragestione”, ed è la chiave per capire di che morte stiamo morendo. I boss occulti della “sovragestione”? Si tratta di «un ristretto numero di persone, che fanno parte della finanza e della politica internazionale». A loro volta, «manovrano pezzi di governi, di amministrazioni, di servizi segreti, logge massoniche o paramassoniche, strutture religiose di varia estrazione, istituzioni bancarie, esponenti dell’economia o dell’imprenditoria». La struttura ricorda quella della ‘ndrangheta: «Una rete ad anelli, dove la regola aurea viene ampiamente rispettata: ogni anello conosce solo e soltanto l’anello che gli è immediatamente superiore e quello che gli è immediatamente inferiore e nulla più».
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Mazzucco: l’11 Settembre spiegato ai pompieri, a casa mia
Questa mattina abbiamo dovuto chiamare i vigili del fuoco, per un piccolo incidente domestico. Si era rotta la serratura della porta d’ingresso, ed eravamo rimasti chiusi in casa. Hanno dovuto entrare dal balcone per venire a “liberarci”. Mentre i suoi colleghi lavoravano per smontare la porta, io ho fatto due chiacchiere con il caposquadra. Aveva gli occhi sottili come due fessure, la pelle bruciata dal sole, e la fronte imperlata di sudore. Mi domandavo come facessero a lavorare, d’estate, con quei pesantissimi pantaloni e quegli stivaloni di gomma. Abbiamo iniziato a parlare degli incendi estivi, e lui mi ha spiegato che sono quasi tutti dolosi, ma che non c’è una intenzione particolare di creare dei disastri. «Di solito – mi spiegava – sono gli stessi contadini che danno fuoco ai loro prati ormai seccati, perché l’erba fresca che ricresce produce nelle capre un latte migliore e meno amaro. Ogni tanto la cosa gli scappa di mano, e noi dobbiamo intervenire». A quel punto ho provato a spostare l’argomento sull’11 Settembre. «Ogni volta che vedo i vigili del fuoco in azione – ho detto – mi vengono in mente quei poveracci morti nelle Torri Gemelle».«Quelli sono stati proprio sfortunati», ha detto lui, con un sospiro: «Gli è crollato tutto addosso, mentre cercavano di spegnere le fiamme». «Veramente non è andata proprio così», ho detto io: «Quelle torri non dovevano crollare». «Come no?», ha replicato lui: «Lì il calore ha sciolto la struttura, ed è venuto giù tutto». «Ma scusi – gli ho suggerito io – la struttura era in acciaio, e l’acciaio fonde a 1500°, giusto?». Giusto. «Il cherosene [combustibile degli aerei] però sviluppa al massimo 800°, quando brucia». «Ah già, è vero. Non ci avevo mai pensato», ha detto lui: «Ma allora, scusi, perché sono venute giù?». «Sono venute giù perché le hanno tirate giù», ho detto io: «Con gli esplosivi». «Con gli esplosivi? E chi li ha messi gli esplosivi?». «Li hanno messi loro, gli americani. Quelli del Pentagono. Avevano bisogno di creare un disastro, per dare la colpa a bin Laden e andare a fare la guerra in Afghanistan». A quel punto le fessure delle palpebre si sono aperte, e ho visto due grandi occhi azzurri, completamente persi nel vuoto.E’ rimasto in silenzio per qualche secondo, poi ha chiamato i suoi colleghi: «Vincenzo, Salvatore, venite un po’ qua. Sentite cosa ha da dire questo signore». E così ho iniziato a parlare della struttura delle Torri Gemelle, dell’amianto che contenevano, delle 80.000 tonnellate di struttura sana sotto il livello di impatto, di caduta libera, di dozzine di testimonianze sulle esplosioni, del fatto miracoloso che due aerei siano riusciti a far crollare tre grattacieli nello stesso giorno, ecc. ecc. Poi è arrivato il momento più delicato, quando gli ho detto: «I vostri fratelli non sono morti fra le macerie per semplice sfortuna. Sono morti perché ce li hanno mandati, a morire. Li hanno mandati lì dentro, pur sapendo che poco dopo le torri sarebbero crollate. Avevano bisogno di martiri, per scatenare l’indignazione popolare e andare a fare la guerra in Afghanistan». Loro mi guardavano stupefatti. Uno era rimasto letteralmente con la bocca aperta e il cacciavite in mano.Non dev’essere facile, per gente che è abituata a rischiare la vita per gli altri, sentirsi dire che qualcuno li ha ammazzati apposta per farsi i propri porci comodi. Hanno finito il lavoro in silenzio, senza più parlare. Poi, prima di andarsene, il comandante mi ha chiesto: «Ma scusate, com’è che noi di queste cose non ne sappiamo niente?». Io una risposta l’avrei avuta, ma sarebbe stata troppo lunga e troppo complicata. Ho preferito regalargli una copia di “Inganno Globale”, dicendogli: «Guardate questo, passatevelo fra voi e decidete da soli quello che è successo. Poi se un giorno volete fare due chiacchiere, io sono sempre qui. Passate di qui quando volete, e ci beviamo un bel caffè». «Lo faremo sicuramente», mi ha risposto il comandante, mentre scendevano silenziosi le scale.(Massimo Mazzucco, “Vigili del fuoco e 11 Settembre”, dal blog “Luogo Comune” del 21 agosto 2016).Questa mattina abbiamo dovuto chiamare i vigili del fuoco, per un piccolo incidente domestico. Si era rotta la serratura della porta d’ingresso, ed eravamo rimasti chiusi in casa. Hanno dovuto entrare dal balcone per venire a “liberarci”. Mentre i suoi colleghi lavoravano per smontare la porta, io ho fatto due chiacchiere con il caposquadra. Aveva gli occhi sottili come due fessure, la pelle bruciata dal sole, e la fronte imperlata di sudore. Mi domandavo come facessero a lavorare, d’estate, con quei pesantissimi pantaloni e quegli stivaloni di gomma. Abbiamo iniziato a parlare degli incendi estivi, e lui mi ha spiegato che sono quasi tutti dolosi, ma che non c’è una intenzione particolare di creare dei disastri. «Di solito – mi spiegava – sono gli stessi contadini che danno fuoco ai loro prati ormai seccati, perché l’erba fresca che ricresce produce nelle capre un latte migliore e meno amaro. Ogni tanto la cosa gli scappa di mano, e noi dobbiamo intervenire». A quel punto ho provato a spostare l’argomento sull’11 Settembre. «Ogni volta che vedo i vigili del fuoco in azione – ho detto – mi vengono in mente quei poveracci morti nelle Torri Gemelle».
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Perché gli strateghi dell’orrore hanno tanta paura di Trump
Basta guardare chi “spara” su Trump per convincersi che “The Donald” sia davvero l’unica alternativa possibile alla “guerra infinita”, inaugurata dall’élite Usa all’indomani dell’11 Settembre, casus belli della spaventosa strategia della tensione diffusa senza tregua, a livello internazionale, attraverso sigle che vanno da Al-Qaeda all’Isis, passando per le carneficine in Afghanistan, Iraq, Somalia, Yemen, Libia e Siria. «Nessuno di noi voterà per Trump», hanno annunciato 50 ex funzionari repubblicani della sicurezza nazionale, schierati con la Clinton. Tra questi l’ex direttore della Cia, Michael Hayden, l’ex presidente della Banca Mondiale, Robert Zoellick, e il famigerato John Negroponte, grande stratega del terrore in Centramerica, coi finanziamenti occulti ai Contras e l’occultamento degli abusi contro i diritti umani commessi da agenti addestrati dalla Cia in Honduras negli anni ‘80. Per Hillary Clinton, una tifoseria da film dell’orrore. «Non sappiamo perché Trump apprezzi Putin», ha detto Hillary. L’annuncio della Clinton, secondo un analista americano come Stephen Lendman, «spiega molto del perché il partito della guerra degli Stati Uniti stia temendo Trump».Il tycoon col parrucchino ha definito la Nato “obsoleta”? Certo: infatti «può tentare di normalizzare i legami con la Russia». Donald Trump «non è un pacifista, ma difficilmente inizierebbe la Terza Guerra Mondiale», scrive Lendman, in un post tradotto da “Come Don Chisciotte”. «Comparato alla Clinton, è la minore di due forze oscure. Bisogna dargli merito di volere un riavvicinamento con la Russia e non lo scontro, a condizione che riesca ad andare fino in fondo se eletto presidente». Il suo potenziale spostamento geopolitico, continua Lendman, ha avversari come l’ex direttore Cia, Michael Morell, che lo definisce «un agente inconsapevole della Federazione Russa», e quindi costituisce «una minaccia per la sicurezza nazionale». Aggiunge Lendman: «I neoconservatori come Morell, la Clinton e molti altri che infestano Washington, credono che le iniziative di pace che guadagnano forza rappresentino la più grande minaccia geopolitica all’America – soprattutto se pongono fine agli annosi rapporti contraddittori con la Russia».Per Morell e soci, “The Donald” non è qualificato per gestire la politica estera: «Sarebbe un presidente pericoloso e metterebbe a rischio la sicurezza e il benessere del nostro paese». Secondo i 50 firmatari dell’ultra-destra, autori del manifesto anti-Trump, l’avversario della Clinton «indebolirebbe l’autorità morale degli Stati Uniti come leader del mondo libero», anche prché «ha poca comprensione degli interessi nazionali dell’America, le sue complesse sfide diplomatiche, le sue indispensabili alleanze e dei valori democratici su cui deve basarsi la politica estera degli Stati Uniti». Peggio ancora: «Si complimenta insistentemente con i nostri avversari e minaccia i nostri alleati ed amici». Ergo: «Se arrivasse allo Studio Ovale sarebbe il presidente più sconsiderato della storia americana». Tutto questo, perché crede che la Nato sia “obsoleta” e perchè favorisce la normalizzazione delle relazioni con la Russia. «La massima priorità dell’umanità è di evitare un’altra guerra globale», osserva Lendman. Guerra che, se scoppiasse, «probabilmente sarebbe con armi nucleari e minaccierebbe la sopravvivenza del genere umano».Non è un’ipotesi remotissima: «Le probabilità per l’impensabile sono fin troppo alte per rischiare sotto Hillary, se dovesse succedere ad Obama. Fin dagli anni ‘90 i suoi pessimi primati dimostrano quanto sia una guerrafondaia pazza scatenata, estremamente ostile alla Russia, alla Cina e a tutti gli altri Stati sovrani indipendenti». La conosciamo, Hillary Clinton: «La sua strategia geopolitica preferita è la guerra. È favorevole all’uso di armi nucleari e alle aggressioni della Nato, guidata dagli Stati Uniti, “per preservare il nostro stile di vita”». E Trump? Ha risposto ai firmatari della lettera dicendo che sono «quelli a cui il popolo americano dovrebbe chiedere le risposte sul perché il mondo sia un disastro». Li ringraziamo per essersi fatti avanti, aggiunge Trump, così almeno «chiunque, nel paese, sa a chi dare la colpa di rendere il mondo un posto così pericoloso». Non sono «nient’altro che le élite fallite di Washington che cercano di aggrapparsi al proprio potere».Ha ragione, scrive Lendman: «Molti di loro sono responsabili delle guerre di aggressione pre-e-post 11 Settembre – estremisti anti-pace che dovremmo denunciare tutti». La Clinton? «E’ la scelta dell’establishment come presidente. Probabilmente succederà ad Obama con mezzi leciti o illeciti». Se invece vincesse Trump, a sorpresa, «probabilmente non si discosterà molto dalle tradizionali politiche interne ed estere degli Stati Uniti». Inutile illudersi: «I candidati dicono qualsiasi cosa per farsi eleggere». Ma poi, «una volta in carica, continuano i loro affari sporchi come al solito». Eppure, conclude Lendman, «un’inconcepibile guerra globale è molto più probabile sotto la Clinton che sotto di lui». Ecco perché «è fondamentale contrastare la sua candidatura alla più alta carica della nazione o a qualsiasi altra carica pubblica».Basta guardare chi “spara” su Trump per convincersi che “The Donald” sia davvero l’unica alternativa possibile alla “guerra infinita”, inaugurata dall’élite Usa all’indomani dell’11 Settembre, casus belli della spaventosa strategia della tensione diffusa senza tregua, a livello internazionale, attraverso sigle che vanno da Al-Qaeda all’Isis, passando per le carneficine in Afghanistan, Iraq, Somalia, Yemen, Libia e Siria. «Nessuno di noi voterà per Trump», hanno annunciato 50 ex funzionari repubblicani della sicurezza nazionale, schierati con la Clinton. Tra questi l’ex direttore della Cia, Michael Hayden, l’ex presidente della Banca Mondiale, Robert Zoellick, e il famigerato John Negroponte, grande stratega del terrore in Centramerica, coi finanziamenti occulti ai Contras e l’occultamento degli abusi contro i diritti umani commessi da agenti addestrati dalla Cia in Honduras negli anni ‘80. Per Hillary Clinton, una tifoseria da film dell’orrore. «Non sappiamo perché Trump apprezzi Putin», ha detto Hillary. L’annuncio della Clinton, secondo un analista americano come Stephen Lendman, «spiega molto del perché il partito della guerra degli Stati Uniti stia temendo Trump».
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Colonnello: reclutano kamikaze che hanno motivo di odiarci
«Il terrorismo negli ultimi 25 anni non ha fatto che aumentare. Avevamo 400 attentati all’anno nel 1999. Oggi siamo arrivati a quasi 15.000 e non ci siamo mai domandati la ragione di quest’incremento». Lo afferma il colonnello svizzero Jacques Baud, un esperto in sicurezza, autore del saggio “Terrorismo, menzogne politiche e strategie fatali dell’Occidente”. Al di là delle manipolazioni di potere che, di volta in volta configurano nuovi aspetti del “radicalismo” di matrice islamica, debitamente pilotato, sarebbe imperdonabile non tener conto del vasto e motivatissimo risentimento che in Medio Oriente si è accumulato contro l’egemonia imperiale occidentale. Un retroterra che rende facilissimo il reclutamento di giovani “radicalizzati”. Nell’ultimo quarto di secolo, gli interventi occidentali condotti in Medio Oriente erano privi di legittimità: «Ogni volta si è imbrogliato un po’», dice il colonnello Baud, intervistato da “Tv5 Monde”, citando la montatura delle “armi di distruzione di massa” attribuite a Saddam. «Ma in realtà, tutti gli altri conflitti che si sono susseguiti sono stati anche loro viziati da imbrogli e disinformazione».In verità, sostiene il colonnello nell’intervista (ripresa e tradotta da “Come Don Chisciotte”) non si sono affatto compresi i meccanismi che oggi conducono molti giovani emarginati, in Medio Oriente ma anche in Europa, a “radicalizzarsi”. «Si è parlato molto di “radicalismo”, della maniera nella quale la radicalizzazione si esercita, attraverso Internet o i social network. Ma si è assai poco riflettuto sulle ragioni, sulle motivazioni. E, quando si legge la bibliografia islamista – Daesh e non solo – si constata che la spiegazione, che è la stessa dalla fine degli anni Novanta, va ricercata nei nostri interventi in Medio Oriente». Secondo l’alto ufficiale elvetico, il terrorismo è (anche) «una maniera per suggerire ai nostri governi di smetterla di colpire, di bombardare e d’intervenire militarmente». Un paragone storico? Quello dei “bombardamenti strategici”, altamente terroristici, «che gli americani condussero contro la popolazione civile tedesca negli anni Quaranta per costringere la popolazione a ribellarsi ai suoi dirigenti. È un po’ ciò che accade oggi con lo Stato Islamico».Lo conferma un video-appello del cosiddetto Isis: “Dite ai vostri governi di smetterla di bombardarci”. Il video, dice Baud, cita l’esempio della Spagna, che – dopo gli attentati a Madrid dell’11 marzo 2004, alla vigilia delle elezioni – ritirò le proprie truppe dall’Iraq. Il fatto è che «è difficile, in Occidente, mettere in discussione le nostre politiche», ammette il colonnello, «in primis per ragioni ovvie: ci sono scadenze elettorali e, se si comincia a rimettere in discussione le scelte politiche, evidentemente si otterranno risultati che si rifletteranno nelle urne». In Europa, poi, «c’è una sorta di etnocentrismo che, in effetti, ci impedisce di riflettere in maniera critica su quanto facciamo, di vedere in maniera critica i risultati di quanto abbiamo fatto». Come ad esempio in Libia: abbiamo eliminato Gheddafi, che in ogni caso era il capo di un paese che nel 2010, «qualunque fosse la natura del regime», era, secondo le Nazioni Unite, «il paese africano con il più alto indice di sviluppo umano». Noi invece «abbiamo ridotto la Libia a un campo di battaglia per fazioni jihadiste senza fornire alcuna alternativa. Abbiamo bombardato, abbiamo distrutto e siamo ripartiti. Abbiamo fatto più o meno la stessa cosa in Iraq e in Afghanistan».Il nostro sistema politico mainstream «ha il vizio di far passare il jihadismo, o il terrorismo, come una fatalità», continua il colonnello. Abbiamo gestito male l’immigrazione, specie in paesi come Francia e Belgio? Senz’altro, «ma è comodo legare il terrorismo ai migranti». Il Mullah Omar, l’ex leader dei Talebani, considerava Bush «un regalo prezioso», capace cioè di rendere spaventosamente evidente l’abuso violento dell’Occidente contro gli islamici. Lo riteneva «il testimonial del nostro movimento nel mondo». E’ un aspetto che Jacques Baud aveva descritto nel libro precedente, “La guerra asimmetrica”: «La jihad è fondamentalmente una risposta. E questa risposta è alimentata dalle nostre azioni offensive». In altre parole: «A causa delle nostre azioni, alimentiamo costantemente la jihad, come conferma il Mullah Omar». Altra cosa è valutare quale disegno segreto vi sia a monte, ovviamente, da pare di chi – in Occidente – punta proprio sull’opzione-guerra per consolidare il proprio dominio. Ma è certo che, senza questa diffusa percezione di asimmetria e ingiustizia, una “creatura” come Abu Bakr Al-Baghdadi non sarebbe mai neanche potuta esistere.Complotti veri i solo complottismo? Il colonnello Baud resta prudente: non crede alla tesi fondamentale del cospirazionismo, secondo cui a dominare è «un’intelligenza superiore, nascosta, clandestina, che tira i fili dei complotti al fine di ottenere dei vantaggi strategici». E’ pià propenso a vedere «una serie di furbizie, di opportunismi politici a breve termine». Per esempio, l’11 Settembre. L’Fbi, dice l’ufficiale svizzero, sapeva perfettamente che Osama Bin Laden era estraneo all’attentato delle Torri Gemelle. Se l’ha trasformato in un caprio espiatorio era «per mostrare che, nonostante si fossero lasciati passare i terroristi, malgrado questi terroristi fossero passati attraverso le maglie della rete, si aveva comunque un’idea di chi l’avesse fatto». E questo, in una certa misura, «permetteva loro di salvare la faccia». Non mancano segnali in controtendenza, per fortuna: «Il Canada è un paese occidentale che ha deciso di fare un passo indietro». A febbraio, il nuovo premier Justin Trudeau ha dichiarato: «Le popolazioni terrorizzate dallo Stato Islamico non hanno bisogno della nostra vendetta, hanno bisogno del nostro aiuto». E ha deciso di ritirare il suo paese dalla coalizione che bombarda in Iraq e Siria. «Penso sia il risultato di un’analisi e ritengo che ci siano dei servizi di informazione che l’hanno guidato verso questa decisione», conclude Jacques Baud. «È una decisione saggia che dovrebbe farci riflettere».«Il terrorismo negli ultimi 25 anni non ha fatto che aumentare. Avevamo 400 attentati all’anno nel 1999. Oggi siamo arrivati a quasi 15.000 e non ci siamo mai domandati la ragione di quest’incremento». Lo afferma il colonnello svizzero Jacques Baud, un esperto in sicurezza, autore del saggio “Terrorismo, menzogne politiche e strategie fatali dell’Occidente”. Al di là delle manipolazioni di potere che, di volta in volta configurano nuovi aspetti del “radicalismo” di matrice islamica, debitamente pilotato, sarebbe imperdonabile non tener conto del vasto e motivatissimo risentimento che in Medio Oriente si è accumulato contro l’egemonia imperiale occidentale. Un retroterra che rende facilissimo il reclutamento di giovani “radicalizzati”. Nell’ultimo quarto di secolo, gli interventi occidentali condotti in Medio Oriente erano privi di legittimità: «Ogni volta si è imbrogliato un po’», dice il colonnello Baud, intervistato da “Tv5 Monde”, citando la montatura delle “armi di distruzione di massa” attribuite a Saddam. «Ma in realtà, tutti gli altri conflitti che si sono susseguiti sono stati anche loro viziati da imbrogli e disinformazione».
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Magaldi: Nizza, minaccia cifrata. Prossimo attentato, Italia
Dopo Nizza, ormai è chiaro: nelle intenzioni dei killer, le prossime vittime saremo noi italiani. Sempre che le “menti raffinatissime” che progettano le stragi (non chiamiamole Isis, a meno che non si voglia fare dell’umorismo nero) riescano a superare il formidabile muro di sicurezza, finora invalicabile, che ha protetto il nostro paese in questo interminabile, sanguinoso frangente. Una stagione di violenza cieca, inaugurata dal primo massacro francese, quello della redazione di “Charlie Hebdo” il 7 gennaio 2015, le cui indagini sono state bloccate – con l’imposizione del segreto militare – dopo che la magistratura parigina aveva scoperto il ruolo della Dgse, il servizio di intelligence, nella triangolazione delle armi, di provenienza slovacca, fornite al commando stragista attraverso un trafficante belga. A tradurre la cronaca in analisi è un illustre massone come Gioele Magaldi, uomo di vasti studi, protagonista di clamorose rivelazioni attraverso il dirompente saggio “Massoni, società a responsabilità illimitata”, vero e proprio caso editoriale, pubblicato da Chiarelettere a fine 2014. Oggi, mentre in tutta Europa si scatenano kamikaze presentati come “lupi solitari”, Magaldi avverte: il prossimo maxi-attentato, in stile “francese”, potrebbe colpire proprio l’Italia. Ma c’è chi si sta impegnando a fondo per scongiurarlo.«Se finora nulla di grave è accaduto nel nostro paese», dice Magaldi ai microfoni di “Colors Radio” in una trasmissione su web seguita in diretta da centinaia di migliaia di ascoltatori, «è solo per merito dei servizi segreti italiani, che stanno operando un controllo assoluto del territorio in termini di sicurezza, grazie anche alla strettissima sinergia con l’intelligence Usa, che non vuole assolutamente che l’Italia venga colpita». La lettura che Magaldi fornisce degli eventi è interamente massonica: «Sono in azione elementi dei servizi di sicurezza americani che provengono dai settori più progressisti della massoneria», e sanno perfettamente di doversi impegnare contro “colleghi” ascrivibili alla massoneria “reazionaria”, al servizio dell’élite neo-aristocratica, che sarebbe il vero “cervello” di tutte le operazioni di strategia della tensione messe in atto, a livello internazionale, negli ultimi anni. Fino alle più recenti stragi: da quella del Bataclan, compiuta nell’autunno 2016 (il 13 novembre, data-simbolo per la massoneria di ispirazione “templare”) a quello di Bruxelles del 22 marzo, in cui furono colpiti aeroporto e metropolitana (“come in cielo, così in terra”, sempre in chiave simbolica). Da Nizza, poi un “avvertimento” ancora più esplicito. Rivolto palesemente all’Italia.«Nizza un tempo era italiana, e in più è la città natale di Garibaldi – massone anche lui e, per inciso, storicamente, primo “gran maestro” del Grande Oriente d’Italia». E’ dunque perfettamente plausibile, dice Magaldi, ragionare in termini simbolico-esoterici, se si vuole tentare di interpretare i fatti: il vero movente, i veri mandanti (non certo l’Islam “radicale” del jihadismo, che semmai si limita a fornire sciagurata manodopera, largamente inconsapevole del ruolo dei burattinai occulti). Nizza, cioè quasi-Italia, e per giunta il 14 luglio: data-simbolo della “Révolution”, progettata e celebrata dalla massoneria progressista europea non solo francese: furono in paricolare i massoni italiani – Garibaldi in primis, e con lui Mazzini e Cavour – a ispirarsi al 14 luglio per puntare all’unità d’Italia. «Letta in questa chiave la strage di Nizza, il responso è ultra-palese: una minaccia chiarissima al nostro paese». L’Italia “sigillata”, finora, dalla super-efficienza dei suoi servizi? Cioè gli stessi che negli anni di piombo si distinsero per il loro ruolo opaco nelle “stragi impunite”? «Nessuno nega la stagione dei depistaggi e delle infiltrazioni», precisa Magaldi. Che però aggiunge: «Oggi la situazione è completamente cambiata. E la collaborazione virtuosa tra i nostri servizi e quelli americani, per la protezione delle nostre città, ha raggiunto un livello senza precedenti nella storia».Non siamo al riparo al 100%, naturalmente. «Se però un grave attentato dovesse verificarsi, ne capiremo il motivo: vorrà dire che questa straordinaria barriera di sicurezza sarà stata violata dall’interno». Quella, suggerisce Magaldi, è la vera “battaglia” in corso, che si gioca interamente nell’ombra. Perché una cosa è certa: senza “coperture”, oggi, in Europa, è praticamente impossibile compiere stragi. «Lo dimostra, una volta di più, l’incredibile superficialità dell’apparato di sicurezza dispiegato a Nizza, che faceva acqua da tutte le parti». Corollario invariabile: i killer vengono sempre uccisi prima che possano parlare, raccontare la loro storia, motivare il loro gesto. «Sarebbe interessante poterli ascoltare, ma finora non è stato mai possibile», ricorda Magaldi, che dichiara di attingere a fonti riservate ma documentabili, come quelle che alimentano il suo poderoso libro sui “misfatti” della massoneria di potere nel ‘900, tra rivoluzioni e golpe, evoluzioni democratiche e svolte autoritarie, fino alla globalizzazione forzata e all’imposizione del dominio della finanza sull’economia, attraverso lo strapotere di 36 Ur-Lodges, superlogge segrete e internazionali davvero “a responsabilità illimitata”.La peggiore di tutte, sempre secondo Magaldi, fu fondata nel 1980 da George Herbert Bush, per rispondere alla bruciante sconfitta subita da Reagan alle primarie repubblicane. Evento che provocò due attentati “simmetrici”, a breve distanza l’uno dall’altro: l’attentato al presidente Reagan e, poco dopo, quello a Papa Wojtyla, che era stato sostenuto nella corsa al soglio pontificio dal super-massone Zbigniew Brzezinski, polacco come Giovanni Paolo II e primo “reclutatore” di Osama Bin Laden in Afghanistan (sono di pubblico dominio le foto che documentano quell’incontro). Poi, come sappiamo, Bin Laden fu trasformato in “uomo nero” e accusato – in modo assolutamente infondato – della strage dell’11 Settembre. La cui regia, sostiene sempre Magaldi, coinvolge invece la superloggia “Hathor Pentalpha”, fondata dai Bush coinvolgendo poi politici come Blair, l’uomo delle inesistenti “armi di distruzione di massa” di Saddam usate per radere al suolo l’Iraq. Ma anche Sarkozy, cioè l’artefice della liquidazione di Gheddafi che ha trasformato la Libia in un inferno terroristico, anticamera della guerra civile in Siria. E poi un tipetto come Erdogan, grande regista occulto della macelleria siriana targata Isis, prima ancora che para-golpista.La Hathor Pentalpha, scrive Magaldi, è definita “loggia del sangue e della vendetta”. Attenzione, come sempre, ai simboli: Hathor è l’altro nome di Iside, la dea egizia cara ai massoni. Pertanto, «non è un caso che l’armata dei tagliatori di teste sia stata battezzata proprio Isis». Una “firma”, appunto. Come quelle, sempre cifrate, di chi si nasconde dietro i killer jihadisti che oggi colpiscono Parigi, Bruxelles, Nizza. E domani anche Roma? Non resta che sperare nella super-intelligence evocata da Magaldi, cui spesso viene contestata la mancata esibizione delle fonti. Se si parla di servizi segreti, va da sé, le citazioni dirette sono tecnicamente impossibili. Ma in realtà, a partire dall’introduzione presente già nella prima edizione nel suo libro, Magaldi chiarisce: «Ogni fatto menzionato è documentabile, ho con me 6.000 pagine di documenti. Se qualcuno desidera chiarimenti, sarò lieto di esibire il materiale». Finora, però, nessuno si è azzardato a farne richiesta, nonostante i personaggi citati siano centinaia, di ieri e di oggi, fino a soggetti tuttora in piena attività come la Merkel e Obama, oppure Draghi, Monti, Napolitano. Silenzio su tutta la linea: strano, vero?Dopo Nizza, ormai è chiaro: nelle intenzioni dei killer, le prossime vittime saremo noi italiani. Sempre che le “menti raffinatissime” che progettano le stragi (non chiamiamole Isis, a meno che non si voglia fare dell’umorismo nero) riescano a superare il formidabile muro di sicurezza, finora invalicabile, che ha protetto il nostro paese in questo interminabile, sanguinoso frangente. Una stagione di violenza cieca, inaugurata dal primo massacro francese, quello della redazione di “Charlie Hebdo” il 7 gennaio 2015, le cui indagini sono state bloccate – con l’imposizione del segreto militare – dopo che la magistratura parigina aveva scoperto il ruolo della Dgse, il servizio di intelligence, nella triangolazione delle armi, di provenienza slovacca, fornite al commando stragista attraverso un trafficante belga. A tradurre la cronaca in analisi è un illustre massone come Gioele Magaldi, uomo di vasti studi, protagonista di clamorose rivelazioni attraverso il dirompente saggio “Massoni, società a responsabilità illimitata”, vero e proprio caso editoriale, pubblicato da Chiarelettere a fine 2014. Oggi, mentre in tutta Europa si scatenano kamikaze presentati come “lupi solitari”, Magaldi avverte: il prossimo maxi-attentato, in stile “francese”, potrebbe colpire proprio l’Italia. Ma c’è chi si sta impegnando a fondo per scongiurarlo.