Archivio del Tag ‘Affari’
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Bonnal: è un lager digitale. Vale tutto, tranne pensare
«Siamo tutti contenti di perdere il nostro tempo nella rete, di pescare qua e là dei pesci d’oro e delle informazioni, di perdere il tempo che avremmo potuto impiegare coltivando il nostro vero giardino. Ma come nel paese dei balocchi di Pinocchio, c’è un prezzo da pagare. Infatti si vive avvolti nella tela del ragno». Secondo Nicolas Bonnal, la Terra è ormai diventata una sorta di “campo di concentramento elettronico” monitorato su web. Lo scrittore francese cita la Bibbia, il libro di Giobbe: «L’empio si è costruito una casa simile alla tela di un ragno». Accusa: non ci sono più contadini, sono stati intrappolati dai trattati internazionali come il Gatt. «È Carl Schmitt a constatare come il guerrigliero o il resistente perdano tutto il potere dal momento che non è più terrestre ma tecnodipendente». Una resistenza è ancora possibile? «I progressi del totalitarismo elettronico attuale si basano sul web, che rafforza il potere mefitico dei veri cospiratori», accusa Bonnal, in un post su “Defensa” tradotto da “Come Don Chisciotte”. I cospiratori? «Sono le amministrazioni delle democrazie impopolari, le banche, i servizi segreti, la polizia parallela (non quella destinata a proteggervi), oggi diventati onnipresenti».Un analista indipendente come Michael Snyder ricorda che la polizia statunitense ha fermato dei cittadini di ritorno da un breve viaggio in Canada per controllare il contenuto, dopo averlo confiscato, del loro cellulare. «Questa polizia detiene tutti i doveri, tranne quello di poteggervi», scrive Bonnal. «È la polizia messa in piazza all’indomani degli attentati. Domandatevi innanzitutto a chi giova il terrorismo. Aboliscono il cash per ostacolare il terrorismo, e accusano i russi di hackerare le elezioni, avendo così una buona scusa per annullarle davvero». Il progresso tecnologico, continua Bonnal citando Guy Debord, ha permesso la creazione di un “presente informativo permanente” che annega tutta la verità «nell’idiota liquidità visiva». E’ un presente nel quale «la moda stessa, l’abbigliamento o la musica, si è fermata», perché «vuole dimenticare il passato e non sembra credere più in un avvenire». Questo “eterno presente” lo si ottiene «dall’incessante passaggio circolare dell’informazione, il ripetersi in un qualsiasi momento delle stesse inezie, annunciate appassionatamente come si trattasse di notizie importanti; mentre raramente passano, e per brevi momenti, le notizie veramente importanti, che riguardano ciò che cambia realmente».Autodistruzione programma del mondo? «Il problema è che, prima di autodistruggersi, questa macchina mondiale distruggerà noi: come lo scorpione di Orson Welles». Secondo Bonnal, «l’attuale Stato mondiale è ebbro della propria potenza e trasforma la Terra in un campo di concentramento elettronico: ovunque l’abolizione del cash, in Giappone per i suoi Giochi olimpici, a Taiwan, in India e in Europa. Controllo dell’oro e del denaro, controllo del vostro pensiero, censura dell’informazione grazie ai servili canali della disinformazione; tutto diventa possibile, per questo Stato Profondo che è anche uno Stato di superficie, uno Stato dello spettacolo (il presidente turco ha visitato i massoni, i rifugiati di Calais, i resistenti siriani, gli amici del Bilderberg) e una società di facciata. E il pubblico, come nella favola di Platone, se la gode». Anche le fondazioni di Bill Gates festeggiano, come scrive Lucien Cerise: «L’iniziativa comune di un Bill Gates e di un Rockefeller di creare sull’isola norvegese Svalbard una sorta di bunker “arca di Noè” contenente tutti i grani e le sementi del mondo è piuttosto inquietante. Perché lo fanno, cosa stanno combinando? Domande retoriche, il progetto è molto chiaro: si tratta di cominciare a privatizzare tutta la biosfera, cosa che permetterà di controllarla integralmente dopo averla distrutta. Siamo al cuore di Gestell e dell’ingegneria cibernetica, che condivide lo stesso orizzonte: l’automatizzazione completa del globo terrestre»Siamo arrivati ai televisori coreani Samsung «che rivelano i vostri pensieri e i vostri sussurri». Non li comprerete? «Ma “loro” potranno sempre inviare questa neopolizia, questa polizia parallela per controllare il vostro oro, il vostro giardino, il vostro consumo di acqua». Per Debord, la mondializzazione è stata facilitata dalla «pericolosa espansione tecnologica», che è sempre stata al servizio del potere. Lo conferma Paul Virilio. Oggi, “governo” è essenzialmente “controllo”: «La parola viene da rotula, che indica il rotolo, il cilindro in latino», scrive Bonnal. «È stato introdotto in Inghilterra dai terribili normanni conquistatori di Guglielmo. E serve, questo controllo a redigere il “Domesday book”, che calcola la ricchezza di questi poveri anglosassoni gallina per gallina, uovo per uovo». Il problema, per Bonnal è che «ci connettiamo, per lamentarci, invece di organizzarci nelle piazze: e il web, come vi suggerisce il suo nome, ci intrappola più facilmente nella rete. L’informatica ci blocca in casa invece di farci uscire». Poi, ovviamente, «ci sono cretini che scorrazzano per strada sopportando i quaranta gradi (li ho visti a Madrid) per correre dietro a un Pokémon».Non dimentichiamoci, aggiunge Bonnal, che i campioni della mondializzazione si considerano i pensatori globali. Neo-aristocratici, oligarchi. «Esagero? Pensate a come vi tratta il fisco. Pensate a come la polizia elettorale tratta il 96% dei francesi che non vogliono più il socialismo e cerca il proprio candidato con l’aiuto di un motore di ricerca. Guardate come vi tratta la polizia stradale. Pensate come la banca o l’aeroporto vi trattano. Guardate come vi trattano in Germania (in prigione) se siete contrari all’educazione della teoria gender per il vostro bambino. Pensate a come il tribunale vi tratterà se siete europei qui, americani laggiù». Questa civilizzazione, continua Bonnal, «è come il volo terrificante della GermanWings: è guidata da folli suicidi, non si può scendere in corsa e allora si schianterà in volo». Il giovane ribelle Étienne La Boétie, filosofo del ‘500, aveva le idee chiare: «Povera gente insensata, vi lasciate portar via sotto gli occhi tutti i vostri migliori guadagni, permettete che saccheggino i vostri campi, rubino nelle vostre case spogliandole dei vecchi mobili paterni! Vivete in condizione da non poter più vantare di possedere una cosa che sia vostra; e vi sembrerebbe addirittura di ricevere un gran favore se vi si lasciasse la metà dei vostri beni, delle vostre famiglie, delle vostre vite».Mentre noi «lavoriamo per pagare le imposte ai nostri super-Stati, profondi e superficiali», continua Bonnal, «abbiamo dimezzato il numero dei nostri bambini». E attenzione: «E’ la democrazia ad aver realizzato questo miracolo: il numero delle nascite si è dimezzata nella Germania dell’est postcomunisma e nella Spagna postfranchista. Fu Orson Welles a dichiarare in un’intervista che la Spagna tradizionale era stata distrutta dalla democrazia». Alexis de Tocqueville l’aveva chiamato «un potere immenso e tutelare», un potere «assoluto, particolareggiato, regolare, previdente e mite». Somiglierebbe all’autorità paterna, se solo avesse lo scopo di «preparare gli uomini alla virilità», e invece «cerca di fissarli irrevocabilmente all’infanzia: ama che i cittadini si divertano, purché non pensino che a divertirsi». Un potere che «lavora volentieri al loro benessere, ma vuole esserne l’unico agente e regolatore». Provvede alla loro sicurezza e ai loro bisogni, facilita i loro piaceri, «tratta i loro principali affari, dirige le loro industrie, regola le loro successioni, divide le loro eredità». A quel punto, «non potrebbe allora togliergli interamente la fatica di pensare e la pena di vivere? Così ogni giorno esso rende meno necessario e più raro l’uso del libero arbitrio, restringe l’azione della volontà e toglie a poco a poco a ogni cittadino perfino l’uso di se stesso».«Siamo tutti contenti di perdere il nostro tempo nella rete, di pescare qua e là dei pesci d’oro e delle informazioni, di perdere il tempo che avremmo potuto impiegare coltivando il nostro vero giardino. Ma come nel paese dei balocchi di Pinocchio, c’è un prezzo da pagare. Infatti si vive avvolti nella tela del ragno». Secondo Nicolas Bonnal, la Terra è ormai diventata una sorta di “campo di concentramento elettronico” monitorato su web. Lo scrittore francese cita la Bibbia, il libro di Giobbe: «L’empio si è costruito una casa simile alla tela di un ragno». Accusa: non ci sono più contadini, sono stati intrappolati dai trattati internazionali come il Gatt. «È Carl Schmitt a constatare come il guerrigliero o il resistente perdano tutto il potere dal momento che non è più terrestre ma tecnodipendente». Una resistenza è ancora possibile? «I progressi del totalitarismo elettronico attuale si basano sul web, che rafforza il potere mefitico dei veri cospiratori», accusa Bonnal, in un post su “Defensa” tradotto da “Come Don Chisciotte”. I cospiratori? «Sono le amministrazioni delle democrazie impopolari, le banche, i servizi segreti, la polizia parallela (non quella destinata a proteggervi), oggi diventati onnipresenti».
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Paghiamo anche per la Francia l’inutile Tav Torino-Lione
Tav Torino-Lione, vero affare. Per chi? Non certo per l’Italia, che pagherebbe in gran parte anche la tratta in territorio francese dell’ipotetico euro-tunnel alpino, già noto come “la grande opera più inutile della storia”. Come da più parti ricordato – non ultimo, l’appello di 360 specialisti universitari italiani, rivolto a Palazzo Chigi e al Quirinale ma rimasto senza riposta – la linea Tav Torino-Lione non servirebbe assolutamente a nulla. Tralasciando il devastante impatto (ambientale, idrogeologico, sulla salute e sulla vivibilità del territorio), la nuova ipotetica ferrovia sarebbe un perfetto “doppione” della attuale linea internazionale Torino-Modane, che già attraversa la valle di Susa. L’autorità svizzera che monitora per conto dell’Ue il trasporto alpino conferma: la ferrovia valsusina è utilizzata al 10% delle sue possibilità per mancanza oggettiva di traffico merci. Potrebbe incrementare del 900% i volumi di traffico, sull’attuale infrastruttura. Tanto più che l’Italia ha appena speso 400 milioni di euro per adeguare il Traforo del Fréjus, oggi adatto a ospitare convogli carichi di container “navali”, della massima pezzatura. Nonostante ciò, si insiste nel voler procedere, a tutti i costi, con la nuova linea, super-costosa e super-inutile.
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Goldman Sachs: salvare i lavoratori, il futuro sarà dei robot
Di certo le immense innovazioni tecnologiche beneficeranno l’umanità nel futuro distante, ma nel breve-medio termine esse pongono problemi di occupazione molto gravi. E’ ovvio che per i disoccupati da New Technology non v’è nessuna consolazione se pensano a un futuro spaziale. Il problema è che non sarà colpa dei politici se l’innovazione, l’automazione e l’outsourcing colpiranno schiere d’impiegati e operai. E’ un fatto immutabile che i ruoli d’impiego rimasti (pochi) saranno tutti concentrati nel coordinamento, organizzazione e supervisione dei software, dei robots e dei Cobots che faranno il lavoro reale. Non v’è dubbio che gli investimenti odierni nelle nuove tecnologia distruggeranno milioni di posti di lavoro. Possiamo marginalmente consolarci immaginando di ridirigere masse di lavoratori in quelle mansioni dove ancora fra 50 o 100 anni i software non saranno arrivati. Tuttavia questo è assai insufficiente. Il problema, per milioni di umani, sarà – chiaro e tondo – che i lavori di consolazione che gli saranno offerti non saranno graditi, né appetibili, né possibili.Allora, l’unica scappatoia in questo futuro totalmente inevitabile sarà un nuovo approccio alla “condivisione del rischio”, là dove dovrà essere chiesto al Capitale di condividere, di assorbire parte delle perdite necessarie a mantenere gli umani al lavoro. Intendiamo sacrifici del Capitale per la ri-formazione del personale affinché imparino capacità sociali mai conosciute, ma non per questo indigeribili; ci vorranno incentivi statali per la formazione nei lavori dedicati ai servizi umani delle corporations; dovranno essere richieste strutture finanziarie innovative che sappiano vedere una remunerazione nell’investimento sulle risorse umane piuttosto che robotiche; dovranno essere abbassate le barriere per accedere a certe professioni non sostituibili dall’automazione; ma soprattutto finanze e crediti ampiamente disponibili nella creazione di piccole aziende, che per forza necessitano di impiegati umani e non di incredibilmente dispendiose automazioni di Ai (intelligenza artificiale) o robots; infine incentivi alla nascita dell’azienda individuale nel settore dei servizi umani.(Goldman Sachs, recente report della più famigerata banca d’affari del mondo, ripreso in estratto da Paolo Barnard nel suo blog il 10 aprile 2017, sotto il titolo, sarcastico, “Finalmente un sindacato che sa vedere nel futuro e proteggere tuo figlio”. Il “sindacato” sarebbe la Goldman, chiamata anche “Vampire Squid”, il calamaro-vampiro, avendo ideato titoli tossici e gestito manipolazioni dei governi di mezzo mondo. Eppure oggi sembrano «gente seria, dalla parte dei lavoratori», se paragonati a Cgil, Cisl e Uil, sempre più inutili. A differenza dei sindacati, secondo Barnard, proprio Goldman Sachs «sa come affrontare il terzo millennio della fine della metalmeccanica, della fine delle braccia lavoranti in fabbriche, nei campi, e persino dei cervelli ai piani più alti delle aziende: tutti rimpiazzati fra poco da Artificial Intelligence, Drones, Robots e Cobots». La Camusso e soci? Lasciamo perdere: «Il dialogo occupazionale del futuro», sostiene Barnard, «è coi cervelli pensanti del Vero Potere, nel comune interesse che oggi anche loro stanno gradualmente capendo»).Di certo le immense innovazioni tecnologiche beneficeranno l’umanità nel futuro distante, ma nel breve-medio termine esse pongono problemi di occupazione molto gravi. E’ ovvio che per i disoccupati da New Technology non v’è nessuna consolazione se pensano a un futuro spaziale. Il problema è che non sarà colpa dei politici se l’innovazione, l’automazione e l’outsourcing colpiranno schiere d’impiegati e operai. E’ un fatto immutabile che i ruoli d’impiego rimasti (pochi) saranno tutti concentrati nel coordinamento, organizzazione e supervisione dei software, dei robots e dei Cobots che faranno il lavoro reale. Non v’è dubbio che gli investimenti odierni nelle nuove tecnologia distruggeranno milioni di posti di lavoro. Possiamo marginalmente consolarci immaginando di ridirigere masse di lavoratori in quelle mansioni dove ancora fra 50 o 100 anni i software non saranno arrivati. Tuttavia questo è assai insufficiente. Il problema, per milioni di umani, sarà – chiaro e tondo – che i lavori di consolazione che gli saranno offerti non saranno graditi, né appetibili, né possibili.
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Carpeoro: oligarchi in guerra, e idioti che tifavano Trump
«Stupiti che Trump abbia sparato missili sulla Siria? Friggeva dalla voglia di farlo, e finalmente l’ha fatto. Con buona pace dei tanti idioti che avevano creduto in lui, come fosse qualcosa di diverso dai suoi predecessori». In collegamento con Fabio Frabetti di “Border Nights”, l’autore del saggio “Dalla massoneria al terrorismo” spiega così l’ultimo sussulto di guerra in Medio Oriente: «E’ la guerra degli oligarchi, sgomitano per non restare indietro: sanno che le risorse del pianeta stanno per finire, e ciascuno tenta di conquistare la prima fila per mettere in atto il suo Piano-B». Soldi, interessi. Nient’altro. Da conquistare con ogni mezzo, dai missili al terrorismo “false flag”, targato Isis, che nel frattempo colpisce anche la Svezia, a Stoccolma, con il “solito” veicolo lanciato sulla folla, come già a Nizza, a Berlino, a Londra. Carpeoro legge gli indizi dell’escalation: «Tanti attentati, in serie, temo preparino un attentato più devastante». Il metodo del camion-kamikaze? Micidiale: «Costi minimi, rischio zero, potenzialità di fare enormi danni: gli stessi di un grosso investimento in termini di intelligence, che però comporterebbe alti costi e grandi rischi». Strada ormai obbligata, per l’Isis: «Senza più una base territoriale, è più semplice mandare in giro dei “cani sciolti”, destinati a colpevolizzare l’Islam, che ovviamente non c’entra niente».
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Liberamente schiavi: spiati e felici di tenerci lo smartphone
Tutti ricorderanno il clamore mediatico che costrinse, due anni fa, il governo americano a varare delle misure di controllo sulla cosiddetta “bulk data collection”. Era tuttavia chiaro, come paventavo in un precedente articolo, che le agenzie avrebbero trovato facilmente il modo di aggirare l’ostacolo e di continuare indisturbati a spiare tutto lo spiabile. È di ieri, infatti, la notizia di oltre 8.700 documenti della Cia messi in circolazione da parte di Wikileaks. Nonostante Snowden sia in esilio in Russia e Assange confinato in una stanza dell’ambasciata dell’Ecuador a Londra, Wikileaks – pur con tutti i distinguo e i dubbi che lecitamente si possono avere su questa organizzazione – prosegue la sua opera di disvelamento della hybris dei poteri forti. Tali documenti aprono uno scenario terrificante sull’evoluzione dei sistemi di spionaggio informatico che le élite portano avanti da decenni – e questa è la cosa che più colpisce – nella sostanziale indifferenza dei popoli. Ci infuriamo se qualcuno ascolta una nostra telefonata o se un familiare legge un nostro messaggio su WhatsApp – magari a fin di bene – ma tolleriamo distrattamente se poteri disumani controllano – e questi certamente non a fin di bene – ogni nostro sussurro mentre sediamo davanti alla televisione o usiamo il nostro smartphone.Come le rane non ci accorgiamo che l’acqua diventa sempre più calda, ma quando vorremo saltar fuori dalla pentola sarà troppo tardi… I quasi 9.000 files – 8.761 per la precisione – di Vault-7, così si chiama questo leak, sono, a detta di Wikileaks, solo la prima parte di un più ampio programma di rivelazioni che si riferiscono al periodo 2013-2016, e aprono uno scenario terrificante sul controllo globale da parte delle super-agenzie militari. Non solo controllo totale dei nostri smartphone ma monitoraggio delle nostre parole e attività tramite i nostri apparecchi televisivi, senza parlare del progetto di controllare persino le autovetture che utilizziamo per spostarci. Quello che emerge da questi leaks è non solo lo stato di avanzamento tecnologico che consente un controllo pressoché totale sulla vita della gente, ma anche la più assoluta indifferenza, da parte delle agenzie, nei confronti delle leggi che dovrebbero tutelare la privacy di ogni cittadino. Ma forse il concetto di privacy vale solo per i membri dell’élite, per gli altri vale invece il totem della “sicurezza nazionale”…Vault-7 ci rivela altresì che la sede centrale del Grande Fratello di Langley, in Virginia, ha una succursale – totalmente illegale secondo il diritto internazionale – presso il consolato Usa di Francoforte, che ficca il naso negli affari di Europa, Medio Oriente e Africa. Ma non è tutto. Dai documenti risulta anche che software di hackeraggio come SwampMonkey o Shamoon – che consente di rubare i dati e anche di distruggere completamente l’hardware – permettono di controllare totalmente i nostri apparati elettronici, Pc, iPhone o Android. Last but not least, dai leaks emerge, infine, che alcuni di questi sistemi di controllo sarebbero stati sottratti alla Cia e potrebbero essere nelle mani di altre organizzazioni o altre nazioni. La Cia, interpellata, ha risposto – indovinate – con il solito No comment.Pensate dunque a questo scenario – per ostacolare il quale Wikileaks ha deciso di rivelare i files – di ordinaria follia: sono seduto sul divano a guardare il telegiornale – ma l’apparecchio Tv potrebbe essere anche apparentemente spento – e pronuncio parole di critica verso il governo, magari parole che, attraverso i programmi di ricerca automatica di keywords, mi identificano come un “terrorista”. Continuo poi a dire o scrivere qualcosa di negativo sul governo o la polizia tramite il mio smartphone – che a mia insaputa è del tutto nelle mani degli spioni – e poi salgo in macchina per andare al lavoro o ad un appuntamento. Tramite la geolocalizzazione, che tutti attiviamo allegramente sul nostro iPhone per trovare la pizzeria più vicina, o attraverso un controllo remoto attivato a mia insaputa sulla mia automobile, quest’ultima non risponde più ai comandi e io finisco fuori strada schiantandomi da qualche parte.Fantascienza? No, realtà già pienamente possibile.Il tutto giustificato dall’esigenza di combattere quel terrorismo che è stato creato ad arte per giustificare a sua volta il controllo globale. “A me non interessa essere spiato, tanto non ho niente da nascondere”. “Meglio essere spiato e tranquillo che rischiare un attentato”. “La sicurezza prima di tutto”. Chi la pensa così – e non sono pochi – sta collaborando al progetto di una umanità totalmente asservita ai poteri oscuri delle élite dominanti che, tramite la tecnologia e la realtà virtuale, da anni perseguono instancabilmente questo obiettivo. Far sì che l’uomo scelga liberamente la sua schiavitù. Il che deve portare, a mio avviso, a due conclusioni: prima di tutto che siamo corresponsabili di quanto ci accade e, in secondo luogo, che forse dobbiamo iniziare a ridimensionare la nostra dipendenza dal mondo della realtà virtuale per dedicare più tempo ed energie al mondo reale, quello che ci collega ai nostri simili in vincoli di sentimento e di libera azione.(Piero Cammerinesi, “Liberamente schiavi”, da “Coscienze in Rete” del 9 marzo 2017).Tutti ricorderanno il clamore mediatico che costrinse, due anni fa, il governo americano a varare delle misure di controllo sulla cosiddetta “bulk data collection”. Era tuttavia chiaro, come paventavo in un precedente articolo, che le agenzie avrebbero trovato facilmente il modo di aggirare l’ostacolo e di continuare indisturbati a spiare tutto lo spiabile. È di ieri, infatti, la notizia di oltre 8.700 documenti della Cia messi in circolazione da parte di Wikileaks. Nonostante Snowden sia in esilio in Russia e Assange confinato in una stanza dell’ambasciata dell’Ecuador a Londra, Wikileaks – pur con tutti i distinguo e i dubbi che lecitamente si possono avere su questa organizzazione – prosegue la sua opera di disvelamento della hybris dei poteri forti. Tali documenti aprono uno scenario terrificante sull’evoluzione dei sistemi di spionaggio informatico che le élite portano avanti da decenni – e questa è la cosa che più colpisce – nella sostanziale indifferenza dei popoli. Ci infuriamo se qualcuno ascolta una nostra telefonata o se un familiare legge un nostro messaggio su WhatsApp – magari a fin di bene – ma tolleriamo distrattamente se poteri disumani controllano – e questi certamente non a fin di bene – ogni nostro sussurro mentre sediamo davanti alla televisione o usiamo il nostro smartphone.
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Contro Trump il killer dei presidenti Usa, budget 100 milioni
E’ in corso la campagna contro il nuovo presidente degli Stati Uniti, condotta dagli stessi sponsor di Barack Obama, Hillary Clinton e della distruzione del Medio Oriente. Dopo la marcia delle donne del 22 gennaio, è previsto che si tenga una marcia per la scienza non solo negli Stati Uniti, ma anche in tutto il mondo occidentale, il 22 aprile. L’obiettivo è dimostrare che Donald Trump non è solo un misogino, ma anche un oscurantista. Il fatto che sia l’ex-organizzatore del concorso di Miss Universo, e che sia sposato con una modella al suo terzo matrimonio è sufficiente, a quanto pare, a dimostrare che disprezza le donne. Che il presidente contesti il ruolo svolto da Barack Obama nella creazione della Borsa Climatica di Chicago (ben prima della sua presidenza) e che respinga l’idea che le perturbazioni climatiche siano causate dal rilascio di carbonio nell’atmosfera, attesta il fatto che non capisce nulla di scienza. Per convincere l’opinione pubblica statunitense della follia del presidente – un uomo che dice di desiderare la pace con i suoi nemici, e di voler collaborare con loro per la prosperità economica universale – uno dei più grandi specialisti di agit-prop (agitazione e propaganda), David Brock, ha messo in campo un dispositivo impressionante già prima dell’investitura di Trump.Al tempo in cui lavorava per i repubblicani, Brock lanciò contro il presidente Bill Clinton una campagna, che sarebbe poi diventata il Troopergate, la vicenda Whitewater, e il caso Lewinsky. Dopo aver voltato gabbana, è oggi al servizio di Hillary Clinton, per la quale ha già organizzato non solo la demolizione della candidatura di Mitt Romney, ma anche la sua replica nella vicenda dell’assassinio dell’ambasciatore Usa a Bengasi. Durante il primo turno delle primarie, è stato Brock a dirigere gli attacchi contro Bernie Sanders. “The National Review” ha qualificato Brock come «un assassino di destra che è diventato un assassino di sinistra». E ‘importante ricordare che le due procedure di destituzione di un presidente in carica, avviate dopo la Seconda Guerra Mondiale, sono state messe in moto a vantaggio dello Stato Profondo, e non certo per il bene della democrazia. Così il Watergate è stato interamente gestito da una certa “gola profonda” che, 33 anni più tardi, si è rivelato essere Mark Felt, l’assistente di J. Edgar Hoover, direttore dell’Fbi. Per quanto riguarda la vicenda Lewinsky, era semplicemente un modo di forzare Bill Clinton ad accettare la guerra contro la Jugoslavia.La campagna in corso è organizzata sottobanco da quattro associazioni. “Media Matters” (“i media contano”) ha il compito di dare la caccia agli errori di Donald Trump. Leggete ogni giorno il suo bollettino sui vostri giornali: il presidente non può essere attendibile, si è sbagliato su questo o su quel punto. “American Bridge 21st Century” (“Il ponte americano del XXI secolo”) ha raccolto più di 2.000 ore di video che mostrano Donald Trump nel corso degli anni, e più di 18.000 ore di altri video dei membri del suo gabinetto. Ha a sua disposizione sofisticate attrezzature tecnologiche progettate per il dipartimento della difesa, e presumibilmente fuori mercato, che le consentono di cercare le contraddizioni tra le loro dichiarazioni più datate e le loro posizioni attuali. Dovrebbe arrivare a estendere il suo lavoro a 1.200 collaboratori del nuovo presidente. “Citizens for Responsibility and Ethics in Washington – Crew” (“I cittadini per la responsabilità e l’etica a Washington”) è uno studio di giuristi di alto livello con il compito di monitorare tutto ciò che potrebbe fare scandalo nell’amministrazione Trump. La maggior parte degli avvocati di questa associazione lavorano gratis, per la causa. Sono loro ad aver preparato il caso di Bob Ferguson, il procuratore generale dello Stato di Washington, contro il decreto sull’immigrazione (“Executive Order 13.769”).“Shareblue” (“la condivisione blu”) è un esercito elettronico già collegato con 162 milioni di internauti negli Stati Uniti. Ha il compito di diffondere dei temi preordinati, ad esempio: Trump è autoritario e ladro; Trump è sotto l’influenza di Vladimir Putin; Trump è una personalità debole e irascibile, è un maniaco-depressivo; Trump non è stato eletto dalla maggioranza dei cittadini degli Stati Uniti, ed è quindi illegittimo; il suo vicepresidente, Mike Pence, è un fascista; Trump è un miliardario che sarà costantemente di fronte a conflitti di interesse tra i suoi affari personali e quelli dello Stato; Trump è un burattino dei fratelli Koch, i famosi elemosinieri dell’estrema destra; Trump è un suprematista bianco e una minaccia per le minoranze; l’opposizione anti-Trump continua a crescere fuori Washington; per salvare la democrazia, cerchiamo di sostenere i parlamentari democratici che stanno attaccando Trump, e cerchiamo di demolire quelli che stanno collaborando con lui; stessa cosa con i giornalisti; per rovesciare Trump ci vorrà del tempo, quindi cerchiamo di non indebolire la nostra lotta.Questa associazione produrrà newsletter e video di 30 secondi. Si appoggerà ad altri due gruppi: una società che realizza video documentari, “The American Independent”, e una unità statistica, Benchmark Politics (ossia “politica comparativa”). L’insieme di questo dispositivo – che è stato messo in campo durante il periodo transitorio, cioè prima dell’arrivo di Donald Trump alla Casa Bianca – dà già lavoro a oltre 300 specialisti a cui conviene aggiungere numerosi volontari. Il suo budget annuale, inizialmente previsto nella misura di 35 milioni di dollari, è stato aumentato fino a un livello di circa 100 milioni di dollari. Distruggere l’immagine – e quindi l’autorità – del presidente degli Stati Uniti, prima che abbia avuto il tempo di fare alcunché, può avere gravi conseguenze. Eliminando Saddam Hussein e Muammar Gheddafi, la Cia ha fatto precipitare questi due paesi in un lungo periodo di caos, e la “terra della libertà” potrebbe gravemente soffrire da una tale operazione. Questo tipo di tecnica di manipolazione di massa non era mai stata utilizzata contro il capofila del mondo occidentale. Per il momento, questo piano sta funzionando: nessun leader politico al mondo ha avuto il coraggio di felicitarsi dell’elezione di Donald Trump, con l’eccezione di Vladimir Putin e di Mahmud Ahmadinejad.(Thierry Meyssan, “Il dispositivo Clinton per screditare Donald Trump”, da “Megachip” del 5 marzo 2017).E’ in corso la campagna contro il nuovo presidente degli Stati Uniti, condotta dagli stessi sponsor di Barack Obama, Hillary Clinton e della distruzione del Medio Oriente. Dopo la marcia delle donne del 22 gennaio, è previsto che si tenga una marcia per la scienza non solo negli Stati Uniti, ma anche in tutto il mondo occidentale, il 22 aprile. L’obiettivo è dimostrare che Donald Trump non è solo un misogino, ma anche un oscurantista. Il fatto che sia l’ex-organizzatore del concorso di Miss Universo, e che sia sposato con una modella al suo terzo matrimonio è sufficiente, a quanto pare, a dimostrare che disprezza le donne. Che il presidente contesti il ruolo svolto da Barack Obama nella creazione della Borsa Climatica di Chicago (ben prima della sua presidenza) e che respinga l’idea che le perturbazioni climatiche siano causate dal rilascio di carbonio nell’atmosfera, attesta il fatto che non capisce nulla di scienza. Per convincere l’opinione pubblica statunitense della follia del presidente – un uomo che dice di desiderare la pace con i suoi nemici, e di voler collaborare con loro per la prosperità economica universale – uno dei più grandi specialisti di agit-prop (agitazione e propaganda), David Brock, ha messo in campo un dispositivo impressionante già prima dell’investitura di Trump.
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Wall Street promuove Le Pen. Sondaggi: vincerà al 1° turno
Marine Le Pen sembra ormai a un passo dall’Eliseo: secondo l’ultimo sondaggio Elabe, realizzato per la televisione francese “Bfm”, la leader del Front National potrebbe battere già al primo turno i suoi avversari, François Fillon ed Emmanuel Macron. «Ma, più che i sondaggi, a essere determinante nella partita delle presidenziali francesi è l’appoggio della finanza internazionale», scrive “Diario del Web”: «Ora a scommettere sulla vittoria di Marine Le Pen sono nientepopodimenoché le grandi banche d’affari», le prime a “fiutare il vento” del cambiamento che potrebbe scuotere l’Unione Europea dalle fondamenta. Non molto tempo fa, aggiunge il newsmagazine, tutte le banche francesi, marciando unite e compatte «si erano rifiutate energicamente di concedere prestiti al Front National, snobbando con la puzza sotto il naso l’invisa europarlamentare». E i media mainstream, a ruota, se la ridevano: «In mancanza di meglio – scrivevano – Marine ha dovuto farsi prestare 6 milioni di euro dalla “banca” di suo papà», Jean-Marie Le Pen, fondatore del Fn, che trent’anni fa, nel 1988, mise in piedi la Cotolec (che sta per “Cotisation Electorale”), una struttura finanziaria che raccoglie donazioni e presta il suo denaro al 5% di interesse.La Cotolec, spiega “Diario del Web”, funziona come una piccola banca. Ed è il presidente in persona, papà Jean-Marie, a tenere i cordoni della borsa, scegliendo come impiegare il denaro della sua cassaforte. «Nulla di strano, dunque, che con i denari a disposizione abbia scelto di contribuire alla causa del suo partito e di sua figlia», anche se proprio da quest’ultima era stato espulso mesi or sono dal Front National per le sue intemperanze xenofobe e antisemite. Ora però tutto sta cambiando: i sondaggi iniziano a credere in Marine Le Pen come prossima inquilina dell’Eliseo. E così, la grande finanza già corre in soccorso della (possibile) vincitrice: «La grande novità che probabilmente muterà le sorti delle presidenziali francesi, infatti, riguarda l’incontro tra gli emissari di BlackRock, Ubs e Barclays e il team degli esperti economici del Front National che avrebbe avuto luogo proprio nei giorni scorsi», scrive il blog. Le grandi banche d’affari hanno allungato le loro antenne verso Marine per capire «le strategie d’investimento» del Fn in caso di vittoria. I nomi dei protagonisti non sono trapelati, ma “Bloomberg” riferisce che i banchieri sono rimasti «sorpresi dalla competenza del personale economico del Front National».Si tratterebbe di persone che «capiscono i mercati, anche se da essi sono ideologicamente molto lontani». Non solo. Il giudizio di BlackRock, Ubs e Barclays alla fine sembra essere stato più che positivo nei confronti del team della Le Pen: «La macchina politica del partito è molto più sofisticata di quanto pensassimo. Le vedute del Fn sull’euro, anche se radicali, possono essere il riflesso della realtà, la direzione in cui l’euro deve sviluppare», riporta “Bloomberg”. A questo punto, forse, la “Frexit” è davvero più vicina, «soprattutto se la finanza internazionale e i mercati iniziano a credere seriamente che Marine Le Pen possa imporsi alle presidenziali su candidati filo-europeisti come Macron e Fillon». Dentro e fuori la Francia, aggiunge “Diario del Web”, la leader del Front National sta incrementando la sua credibilità raccogliendo voti e consenso, in particolar modo dal bacino della classe lavoratrice, rimasta orfana in tutto il continente europeo di benessere economico e sociale. Il programma elettorale di Marine, sulla carta, è rivoluzionario: fuori dall’euro, da Schengen e pure dalla Nato. In nome dell’amor di patria, e brandendo una frase di Victor Hugo: “Non abbiamo ancora finito di essere francesi”.Marine Le Pen sembra ormai a un passo dall’Eliseo: secondo l’ultimo sondaggio Elabe, realizzato per la televisione francese “Bfm”, la leader del Front National potrebbe battere già al primo turno i suoi avversari, François Fillon ed Emmanuel Macron. «Ma, più che i sondaggi, a essere determinante nella partita delle presidenziali francesi è l’appoggio della finanza internazionale», scrive “Diario del Web”: «Ora a scommettere sulla vittoria di Marine Le Pen sono nientepopodimenoché le grandi banche d’affari», le prime a “fiutare il vento” del cambiamento che potrebbe scuotere l’Unione Europea dalle fondamenta. Non molto tempo fa, aggiunge il newsmagazine, tutte le banche francesi, marciando unite e compatte «si erano rifiutate energicamente di concedere prestiti al Front National, snobbando con la puzza sotto il naso l’invisa europarlamentare». E i media mainstream, a ruota, se la ridevano: «In mancanza di meglio – scrivevano – Marine ha dovuto farsi prestare 6 milioni di euro dalla “banca” di suo papà», Jean-Marie Le Pen, fondatore del Fn, che trent’anni fa, nel 1988, mise in piedi la Cotolec (che sta per “Cotisation Electorale”), una struttura finanziaria che raccoglie donazioni e presta il suo denaro al 5% di interesse.
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Bonnal: caos e paura, perché il sistema tifa Marine Le Pen
La rapidità della sottomissione di Trump al sistema è stata ammirevole, come la sottomissione di Syriza in Grecia o la rapidità dell’annullamento della Brexit. Come direbbe Céline, la resistenza populista non chiede altro che far sloggiare qualcuno – o cliccare furiosamente sul proprio mouse». Per lo scrittore francese Nicolas Bonnal, autore fra l’altro di un saggio sul “lato oscuro” di Mitterrand, definito “esoterista e grande iniziato”, siamo alla vigilia di una possibile, spettacolare operazione: l’elezione di Marine Le Pen all’Eliseo. Non “contro” il sistema, ma con la regia – dietro le quinte – dell’establishment, ben lieto di assistere, finalmente, al grande caos di un paese europeo nel panico: «La Francia avrebbe una sua rivoluzione arancione per strada», inoltre «si ribellerebbe alla funzione pubblica» e naturalmente «avrebbe una fuga di capitali», con «i borghesi disperati per il crollo dei prezzi degli appartamenti parigini e dei castelli antichi». Secondo Bonnal, il paese «si farebbe bloccare dalla Nato anche più velocemente della Serbia». E, quanto alla strategia della tensione, «la Francia subirebbe gli attentati più rapidi della sua storia». Attenzione: «Per tutte queste ragioni, il sistema vuole Marine».In un post su “Defensa”, tradotto da “Come Don Chisciotte”, Bonnal spiega che quello in vista alle elezioni francesi è uno schema classico, ben delinato addirittura da Aristotele, nella “Politica”, quando il grande filosofo scriveva: «Nella democrazia, le rivoluzioni nascono prima di tutto dalla turbolenza dei demagoghi. Per quel che riguarda gli individui, costringono con le loro continue denunce gli stessi ricchi a riunirsi per cospirare; poiché la comunanza di paure avvicina le persone più ostili». E il più grande filosofo dell’antichità puntualizza freddamente, come se avesse previsto la fine del nefasto film: «Per le loro ingiustizie, i demagoghi e i loro complici hanno costretto i cittadini potenti a lasciare la città; ma gli esuli si sono riuniti, e, rivoltandosi contro il popolo, lo spoglieranno del loro potere». Tra i candidati, quello del Front National è «il peggiore, per l’oligarchia mondiale». Ma, proprio per questo, potrebbe diventare “il migliore”, il più utile – a piegare il popolo con le cattive, dopo aver fatto deragliare il lepenismo. «Il carattere pseudo-rivoluzionario della Francia (vedi la presa della Bastiglia) qui sarà usato in pieno: sottomettiamo la Francia e il resto seguirà presto».Per questo, Nicolas Bonnal insiste: «Il sistema ha interesse a far eleggere Marine Le Pen. Il “Bataclan”, se verrà eletta, sarà tale che lei si sottometterà ancora più velocemente del suo modello Trump. Il sistema – continua Bonnal – potrà allora imporre più velocemente la propria agenda terrorista e totalitaria: guerra contro la Russia ribelle, invasione del Sud, abolizione del denaro contante, controllo biometrico, divieto dell’oro, censura della rete». Secondo lo scrittore, «il caos dell’elezione del Fn sarà tale che lo tsunami (che, come si sa, è un metodo di controllo a freddo, come gli attentati, l’effetto serra, i rifugiati) sarà imparabile». Quindi, ragiona Bonnal, «il sistema farà eleggere Marine, la quale ha già dato delle garanzie licenziando suo padre». Questo sarebbe l’obiettivo dell’establishment: «Far scoppiare l’ascesso populista una volta per tutte». Nel suo libro su Trump, pubblicato prima della sua elezione (“Donald Trump, le candidat du chaos”), Bonnal annunciava già la piega che avrebbe preso: «Tutto ci sembra esagerato, falso, quasi squallido. I suoi affari, la sua stessa fortuna sembra gonfiata. Le sue proposte sono nulle, scadenti o neppure degne di nota. Qualche frase interessante e coraggiosa è subito contraddetta. La sua politica è inapplicabile ed è meglio così. Suscita inoltre una tale ostilità all’estero e nei luoghi importanti (televisioni, economia) che rischia di essere rovinato anche prima dell’elezione».Scriveva Bonnal: «Sembra che l’affaire Trump serva come operazione psicologica a livello mondiale». Motivo: «Il sistema ha paura delle folle, e ha bisogno di fare un esempio – mostrando il male». E quindi: «L’accusa di razzismo, di nazismo, di fascismo, di machismo da parte dei media, l’eccesso o il cosiddetto eccesso di Trump, porteranno i loro frutti». Al che, «tutto il piccolo mondo del piccolo bianco frustrato rientrerà nella sua nicchia, come in Francia: sarà “agitato” un’ultima volta prima di “asservirsi” per niente». Bonnal, nel libro, cita il film “Network”, del 1976, sugli anni difficili Nixon-Ford, «più difficili del 2017, poiché c’era un residuo di marxismo e i militanti erano ancora disposti a sacrificarsi per imporlo – oggi invece cliccano!». Scriveva: «Il presentatore televisivo Howard Beale invita i telespettatori a ribellarsi e urlare dalla finestra – cosa che anche lui si affretta a fare. Poi, per far piacere al suo capo, che parla di marchi, di dollari, di rubli, di sicli, di mercato, di capitale, di cifre, di sistema olistico, di natura (il capitale la adora), d’investimenti, della fine dei popoli, di denaro, di “movimenti autonomi dei non-viventi”, predica un vangelo della rassegnazione – e alla fine si fa ammazzare per l’abbassamento dell’indice di ascolto». Quel film «segna il passaggio dalla ribellione alla sottomissione».«Può anche essere che Trump serva anche come esorcismo finale per calmare il risentimento generale americano e organizzare con più calma la bancarotta del paese che è già cominciata, anche se viene descritta raramente», scriveva Bonnal nel suo libro su Trump. «Il fascismo e la militarizzazione degli Stati Uniti descritte da Paul Craig Roberts serviranno a prevenire o schiacciare completamente tutte le ribellioni, da qualunque parte provengano. Sembra proprio che anche in Francia si stia prendendo la stessa strada». Oggi, lo scrittore conferma: «Sì, far montare il pericolo Fronte Nazionale e anche far eleggere Marine è la cosa migliore che possa succedere al sistema. La finanza e il mercato immobiliare crollati in tempi brevi serviranno ai malvagi. Sappiamo dove conduce l’ottimismo dell’antisistema (Cuba? Caracas?)». Bonnal, citando Aristotele, la definisce una tattica, «una semplice operazione di compattazione», che non mai è cambiata in migliaia di anni. Il popolo ne ha abbastanza dell’élite? Giusto. Solo che le élite «lasciano che un populista arrivi al potere, poi lo liquidano – a meno che non lo assecondino, come nel caso ben noto del caporale boemo». E conclude: «Ridiamo, siamo in buona compagnia».La rapidità della sottomissione di Trump al sistema è stata ammirevole, come la sottomissione di Syriza in Grecia o la rapidità dell’annullamento della Brexit. Come direbbe Céline, la resistenza populista non chiede altro che far sloggiare qualcuno – o cliccare furiosamente sul proprio mouse». Per lo scrittore francese Nicolas Bonnal, autore fra l’altro di un saggio sul “lato oscuro” di Mitterrand, definito “esoterista e grande iniziato”, siamo alla vigilia di una possibile, spettacolare operazione: l’elezione di Marine Le Pen all’Eliseo. Non “contro” il sistema, ma con la regia – dietro le quinte – dell’establishment, ben lieto di assistere, finalmente, al grande caos di un paese europeo nel panico: «La Francia avrebbe una sua rivoluzione arancione per strada», inoltre «si ribellerebbe alla funzione pubblica» e naturalmente «avrebbe una fuga di capitali», con «i borghesi disperati per il crollo dei prezzi degli appartamenti parigini e dei castelli antichi». Secondo Bonnal, il paese «si farebbe bloccare dalla Nato anche più velocemente della Serbia». E, quanto alla strategia della tensione, «la Francia subirebbe gli attentati più rapidi della sua storia». Attenzione: «Per tutte queste ragioni, il sistema vuole Marine».
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Può finire il Pd, non il romanzo criminale che sabota l’Italia
In “Romanzo criminale”, la saga della Banda della Magliana ripercorsa da Giancarlo De Cataldo, nessuno riesce mai neppure a sfiorare il supremo potere del Grande Vecchio, il burattinaio che agisce nell’ombra e, dal Palazzo, manovra i fili che tengono insieme una sceneggiatura anche atroce, in cui si muovono guardie e ladri, terroristi e affaristi, servizi segreti e malavita imprenditrice. Nel saggio “Il più grande crimine”, il giornalista Paolo Barnard ricostruisce in chiave criminologica quello che chiama “economicidio” dell’Italia, in tre mosse: divorzio tra governo e Bankitalia, adesione all’Unione Europea, ingresso nell’Eurozona. Matematico: crisi, disoccupazione, super-tasse, taglio del welfare e dei salari, crollo dei consumi, sofferenze bancarie ed esplosione del debito pubblico, che diviene improvvisamente “tossico” perché non più ripagabile, non più denominato in moneta sovrana liberamente disponibile. A monte: il Memorandum Powell, la guerra storica contro la sinistra dei diritti del lavoro (dalla legge Biagi al Jobs Act), la “crisi della democrazia” evocata dai cantori della Trilaterale, fino alla spazzatura terminale dell’Ue, il Fiscal Compact, la morte clinica del bilancio pubblico degli Stati, ridotti a esattori per la più colossale operazione di money-transfer della storia moderna, dal basso verso l’alto, attraverso la privatizzazione universale neoliberista.Nella sua visione da criminologo, Barnard fa i nomi: Beniamino Andreatta e Carlo Azeglio Ciampi vietarono alla Banca d’Italia di continuare a fare da “bancomat del governo” a costo zero, imponendo allo Stato, da quel momento, di finanziarsi diversamente: ricorrendo cioè alla finanza privata attraverso l’emissione di bond, a beneficio della grande finanza, cui da allora lo Stato avrebbe riconosciuto lauti interessi, facendo esplodere il debito pubblico. Poi l’euro, cioè l’istituzionalizzazione definitiva della “trappola finanziaria”: lo Stato non può più fare retromarcia, deve “prendere in prestito” la moneta emessa da un soggetto esterno, la Bce, i cui azionisti sono le banche centrali non più pubbliche, ma controllate da cartelli bancari privati. A quel punto è l’euro a imporre la sua legge, attraverso la Commissione Europea, cioè il governo non-eletto dell’Europa. E la Commissione Europea vara la norma finale, esiziale, per qualsiasi governo democratico: il pareggio di bilancio, che equivale al decesso finanziario dello Stato. In regime di sovranità (Usa, Giappone, resto del mondo) il debito pubblico misura la salute del paese: più il deficit è alto, più l’economia è prospera. L’Unione Europea inverte i termini del paradigma: taglia la spesa pubblica, e ottiene crisi. L’Italia, addirittura, ha inserito il pareggio di bilancio in Costituzione. E, peggio ancora, da anni il bilancio italiano è in “avanzo primario”: per i cittadini, lo Stato spende meno di quanto i contribuenti versino in tasse.Come si è arrivati a questo? Smantellando la sinistra, risponde Barnard, citando l’avvocato Lewis Powell, uno stratega di Wall Street incaricato dalla Camera di Commercio Usa, all’inizio degli anni ‘70, di redigere un vademecum per guidare l’élite, spodestata dalla democrazia sociale nel dopoguerra, verso la riconquista dell’atavico potere perduto. Detto fatto, come da manuale: leader radicali stroncati, leader riformisti “comprati” per annacquare i loro partiti e sindacati, rendendoli docili e spingendoli a convincere i loro elettori ad accettare “riforme” concepite per “smontare” le tutele sociali, privatizzando progressivamente l’economia. Campioni assoluti, in Italia: personaggi come Romano Prodi, Giuliano Amato e Massimo D’Alema. Berlusconi? Irrilevante: si è limitato a proteggere i suoi interessi. Gli artefici delle “riforme strutturali” provengono tutti dalla sinistra storica: la più adatta, come insegna Lewis Powell, a convincere la società ad affrontare dolorosi “sacrifici”, magari imposti sulla base di norme senza alcun fondamentio economico, come il famigerato limite alla spesa pubblica, non oltre il 3% del Pil. Una invenzione di François Mitterrand, come ricorda l’economista Alain Parguez, allora consulente del presidente francese. Mitterrand? «Un monarchico, travestito da socialista». L’ennesima maschera della sinistra messasi al servizio del supremo potere oligarchico, neo-feudale, ansioso di sbarazzarsi dell’ingombro della democrazia per tornare all’antico splendore.La “mente” di Mitterrand? Jacques Attali, che Barnard definisce “il maestro” di D’Alema, l’ex comunista italiano che, da Palazzo Chigi, vantò il record europeo delle privatizzazioni. Nel suo libro “Massoni, società a responsabilità illimitata”, Gioele Magaldi aggiunge un ulteriore filtro alla lettura di Barnard, quello super-massonico, derivate dal potere di 36 organizzazioni segrete, denominate Ur-Lodges, in cui gli uomini del massimo vertice mondiale – finanziario, industriale, militare, politico – disegnano le loro trame, per condizionare governi e paesi. Di Jacques Attali, Magaldi e Barnard offrono un ritratto preciso: l’ennesimo uomo di sinistra, “convertitosi” alla causa dell’oligarchia. E’ uno smottamento che investe l’intero Occidente: i Clinton e poi Obama negli Usa, Tony Blair in Gran Bretagna, Mitterrand in Francia, Gerhard Schröder in Germania con la riforma Hartz che introduce la flessibilità nel lavoro dipendente e i mini-salari dei minijob. Poi arrivano le Merkel e i Trump, ma il “lavoro sporco” l’hanno già fatto gli “amici del popolo”, quelli che ancora oggi in Italia cantano Bandiera Rossa e Bella Ciao, dopo aver votato la legge Fornero e le finanziarie-suicidio di Mario Monti, che per Magaldi milita, insieme a Giorgio Napolitano, nella Ur-Lodge “Three Eyes”, la stessa di Attali, storicamente guidata da personalità come quelle di David Rockefeller ed Henry Kissinger, fondatori della Trilaterale.Anche in Italia, il cortocircuito finanziario introdotto con l’euro (lo Stato improvvisamente in bolletta) si è trasformato in crisi economica, quindi sociale. Ma, ovviamente, il “più grande crimine”, il sabotaggio della sovranità e quindi della democrazia, non è mai stato neppure lontanamente sfiorato dalla cosiddetta sinistra radicale dei Bertinotti e dei Vendola, né tantomeno dalla Cgil. Era tanto comodo il “demonio” Berlusconi, per catalizzare i mali del Balpaese, fino a insediare a Palazzo Chigi direttamente la Trojka, il commissario Monti (Trilaterale, Bilderberg, Goldman Sachs) tra gli applausi di tutti i Bersani di Montecitorio. Poi è arrivato Grillo, poi Renzi: come se il Grande Vecchio, lassù, si divertisse un mondo con il suo giocattolo preferito, l’Italia, cioè il paese in cui nessuno denuncia mai il vero problema, e dunque non può trovare soluzioni. Oggi si sbriciola il Pd, ma nulla lascia supporre che finisca il “romanzo criminale”, con i suoi personaggi-marionetta e le loro piccole partite, fatte di primarie e poltrone, correnti e sigle, bullismi, rancori, rivincite e vendette. Vacilla persino l’Unione Europea, sono in atto rivolgimenti di portata mondiale che mettono in discussione i caposaldi della globalizzazione neoliberista. E in Italia sono in campo Renzi ed Emiliano, Di Maio e la Raggi, Salvini e D’Alema, Prodi e Berlusconi, Pisapia e la Boldrini. Ancora una volta, gli amici del Grande Vecchio potranno dormire sonni tranquilli: l’Europa sta per franare, a cominciare dalla Francia, ma non sarà certo l’Italia a impensierire i grandi architetti della crisi.In “Romanzo criminale”, la saga della Banda della Magliana ripercorsa da Giancarlo De Cataldo, nessuno riesce mai neppure a sfiorare il supremo potere del Grande Vecchio, il burattinaio che agisce nell’ombra e, dal Palazzo, manovra i fili che tengono insieme una sceneggiatura anche atroce, in cui si muovono guardie e ladri, terroristi e affaristi, servizi segreti e malavita imprenditrice. Nel saggio “Il più grande crimine”, il giornalista Paolo Barnard ricostruisce in chiave criminologica quello che chiama “economicidio” dell’Italia, in tre mosse: divorzio tra governo e Bankitalia, adesione all’Unione Europea, ingresso nell’Eurozona. Matematico: crisi, disoccupazione, super-tasse, taglio del welfare e dei salari, crollo dei consumi, sofferenze bancarie ed esplosione del debito pubblico, che diviene improvvisamente “tossico” perché non più ripagabile, non più denominato in moneta sovrana liberamente disponibile. A monte: il Memorandum Powell, la guerra storica contro la sinistra dei diritti del lavoro (dalla legge Biagi al Jobs Act), la “crisi della democrazia” evocata dai cantori della Trilaterale, fino alla spazzatura terminale dell’Ue, il Fiscal Compact, la morte clinica del bilancio pubblico degli Stati, ridotti a esattori per la più colossale operazione di money-transfer della storia moderna, dal basso verso l’alto, attraverso la privatizzazione universale neoliberista.
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Chi vuol tenere Lapo Elkann fuori dagli affari di famiglia?
Lapo Elkann nella bufera a causa dei suoi eccessi? Un rampollo di casa Agnelli non finisce sui giornali senza un preciso piano per distruggerlo. Lo sostiene Andrea Camaiora sull’“Huffington Post”, domandandosi: «Chi vuole tenere Lapo Elkann fuori degli affari di famiglia?». Una lettura precisa, sui retroscena di una vicenda che illuminerebbe aspetti del vero potere italiano, legato al capitalismo familiare dei signori della Fiat. «La storia recente della dinastia Agnelli dice che Lapo, genio e sregolatezza, è mal sopportato come componente del cda Ferrari ed è stato per un certo periodo in ballo anche come presidente della Juventus». Ma la galassia di famiglia non si ferma a questo, aggiunge Camaiora: c’è ovviamente il fondo Exor, la “cassa” degli Agnelli, che porta dritta dritta a Fca, la “creatura” di Sergio Marchionne il cui leader è il fratello di Lapo, John Elkann. «Di questo potrebbero scrivere più precisamente giornalisti esperti in economia e finanza. A noi interessa osservare qualcos’altro, ovvero che Lapo Elkann – l’unico nipote di Gianni Agnelli che ha creato qualcosa di proprio fuori del core business familiare, Italia independent e Garage Italia Customs – diventa periodicamente protagonista delle cronache nazionali con un’altalena infinita di belle e brutte figure».L’11 ottobre 2005, ricorda il giornalista, Lapo viene ricoverato in gravissime condizioni presso il reparto di rianimazione dell’ospedale Mauriziano di Torino, a causa di un’overdose per un mix di oppiacei dopo una notte in compagnia di più transessuali, tra cui la celebre trans Patrizia. Più recentemente il “sequestro” «dai profili poco credibili» che lo ha visto nuovamente in compagnia di un transgender, questa volta a New York, «per una cifra ridicola per la famiglia Agnelli: 10 mila euro». E qui, ricorda Camaiora, tutti si sono domandati: c’era proprio bisogno che la famiglia portasse questa vicenda al disonore della ribalta? «Un interrogativo che si rafforza visto che più che sequestrato, Lapo era stato in qualche modo trattenuto e che poi – superato lo strepitus mediatico – anche il profilo penale della vicenda si è subito smontato, con la procura che ha riconosciuto che Lapo non ha affatto organizzato un finto rapimento». Cadute le accuse, dunque, «ma screditamento pienamente realizzato». L’analista del “Post” dice di tenersi alla larga dal complottismo, ma sostiene che «a indurre una riflessione sulla regia mediatica degli scandali di cui è in qualche modo vittima Lapo c’è un’ultima curiosa coincidenza», ovvero: le dichiarazioni di Lapo, a bufera finita, sul futuro delle sue attività extra-Fiat.Prosciolto dalla giustizia americana in tempi record per il nostro sistema giudiziario, il giovane Elkann ha usato parole misurate ma in qualche modo anche combattive: «Ho attraversato un momento difficile che però mi ha dato il tempo e il silenzio necessari per riflettere e soprattutto per rinforzare ciò che voglio fare in futuro». E anche: «So che voglio proseguire il lavoro che ho fatto su di me in queste settimane, per raccogliere nuove energie e mettere una consapevolezza diversa nella mia vita e nel mio lavoro». Ha quindi precisato che intende «sostenere le aziende cui ho dato vita e portare avanti i tanti progetti di collaborazione avviati con il massimo impegno». Così si è espresso alla fine di gennaio. Ma non era ancora finita, la tempesta contro di lui: «Il 7 febbraio – scrive Camaiora – il “Corriere.it” ha rilanciato, con il titolo “Vi racconto quelle notti a Torino”, l’intervista al trans Patrizia che la trasmissione condotta da Luca Telese, “Bianco e Nero”, aveva nei giorni precedenti mandato in onda e che si riferiva al caso di undici anni prima». Conclude Camaiora: «Per Elkann speriamo di sbagliarci, ma non è solo e non tanto in tribunale che deve difendersi, se non vuole essere tenuto sempre a debita distanza dagli affari di famiglia. Sempre che, naturalmente, la cosa gli interessi».Lapo Elkann nella bufera a causa dei suoi eccessi? Un rampollo di casa Agnelli non finisce sui giornali senza un preciso piano per distruggerlo. Lo sostiene Andrea Camaiora sull’“Huffington Post”, domandandosi: «Chi vuole tenere Lapo Elkann fuori degli affari di famiglia?». Una lettura precisa, sui retroscena di una vicenda che illuminerebbe aspetti del vero potere italiano, legato al capitalismo familiare dei signori della Fiat. «La storia recente della dinastia Agnelli dice che Lapo, genio e sregolatezza, è mal sopportato come componente del cda Ferrari ed è stato per un certo periodo in ballo anche come presidente della Juventus». Ma la galassia di famiglia non si ferma a questo, aggiunge Camaiora: c’è ovviamente il fondo Exor, la “cassa” degli Agnelli, che porta dritta dritta a Fca, la “creatura” di Sergio Marchionne il cui leader è il fratello di Lapo, John Elkann. «Di questo potrebbero scrivere più precisamente giornalisti esperti in economia e finanza. A noi interessa osservare qualcos’altro, ovvero che Lapo Elkann – l’unico nipote di Gianni Agnelli che ha creato qualcosa di proprio fuori del core business familiare, Italia independent e Garage Italia Customs – diventa periodicamente protagonista delle cronache nazionali con un’altalena infinita di belle e brutte figure».
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Ricchi mai così ricchi, e ora gli Obama passano alla cassa
Barack Obama ha certamente fatto la sua parte. Durante i suoi otto anni di mandato i profitti delle imprese sono aumentati. La ricchezza dei 400 americani più ricchi è cresciuta tra i 1.570 e i 2.400 miliardi di dollari. La disuguaglianza sociale è aumentata ad un ritmo sempre più veloce. Con Obama alla Casa Bianca, il mercato azionario ha vissuto una delle sue corse di maggior successo in tutta la storia (il Dow Jones Industrial Average è aumentato del 148 %, ancora più di quanto aumentò con Ronald Reagan). In soldoni, secondo “Cnn-Money”, «le partecipazioni al Dow di Jp Morgan Chase e Goldman Sachs sono schizzate alle stelle dopo il bailout [2008-2009] e non sono lontano dai loro massimi storici. Le azioni di Apple sono aumentate più del 415% da quando [Obama] è diventato presidente. Amazon di un sorprendente 900%. E Facebook, che si è messa sul mercato negli ultimi mesi del primo mandato di Obama nel 2012, è arrivata al 230% dal suo prezzo base». Il “New York Times” gongolava, l’anno scorso: «I fatti sono indiscutibili: gli anni di Obama sono stati tra i migliori di sempre per gli investitori azionari, fin dagli albori del 20° secolo».«Pensate solo che se io fossi stato abbastanza lungimirante da acquistare quote di un fondo azionario a basso costo il primo giorno di insediamento di Obama, il 20 gennaio 2009, avrei triplicato i miei soldi. Performance del mercato azionario a questo livello, sono state superate raramente». Anche “Time Magazine” aggiunge che, durante il periodo di Obama, «le azioni Usa hanno più che triplicato i soldi degli investitori, generando rendimenti totali (includoso il valore dei dividendi reinvestiti) del 235% … mentre azioni di società con sede in Europa, Giappone, e in altri paesi con economie sviluppate hanno guadagnato solo il 96% in totale». Così sembra giusto che, dopo aver fatto diventare ancora più ricchi i già immensamente ricchi, a spese della classe operaia, Obama dovrà ricevere una adeguata ricompensa. Sia lui che sua moglie sembrano essere, certamente, di questo parere. Di recente abbiamo letto un titolo sorprendente: “Obama potrebbe incassare fino a 242 milioni di dollari dopo aver lasciato Washington”. Il titolo si basa su uno studio condotto da un ricercatore della Business School della American University di Washington.Lo studio titolava – un po ‘meno clamorosamente: “Come i presidenti fanno i milioni”, e ritiene che «gli Obama potrebbero guadagnare fino a 242.500 milioni con discorsi, presentazioni di libri e pensioni (presumendo un’età di pensionamento di 70 anni). Non male, per una coppia che era entrata alla Casa Bianca con un patrimonio netto di 1,3 milioni di dollari». La grande domanda che si pone questo studio è se gli Obama supereranno i Clinton nell’accumulare ricchezza dopo aver lasciato la Casa Bianca. «Gli Obama potrebbero uguagliare o addirittura superare i 75 milioni che i Clinton hanno fatto nei primi 15 anni fuori dalla Casa Bianca? Sembra possibile. Il presidente Obama lascia il suo incarico con due bestseller da aggiungere ai circa 40 milioni di dollari in diritti d’autore che incasserà insieme a Michelle. Aggiungiamo 3 milioni in redditi da pensione e almeno 50 discorsi l’anno, per un minimo di 200.000 dollari l’uno, e si è già vicino ai 200 milioni al lordo delle imposte. Dovrebbe bastare per piazzare gli Obamas nella parte alta della lista delle più ricche ex prime famiglie».Il “Washington Post” suggerisce altre possibilità: «Qualsiasi multinazionale sarebbe felice di avere un ex presidente al tavolo della sua direzione. Questi incarichi sociali pagano bene, con stipendi a sei cifre più benefit e viaggi con jet privato da e per gli incontri. Obama ha detto che in futuro non vuole viaggiare su aerei commerciali». Gli Obama sono già ricchi. L’editorialista Andrew Lisa osserva: «Barack Obama ha guadagnato 400.000 dollari all’anno per otto anni. Il presidente riceve anche un rimborso spese di 50.000 dollari l’anno, un rimborso per spese di viaggio non tassabili per 100.000 dollari e un budget di spese di rappresentanza di 19.000 dollari». Il 15 aprile 2016, il presidente Obama ha presentato le dichiarazioni dei redditi 2015, che mostrano che lui e la first lady Michelle Obama hanno congiuntamente un reddito lordo di 436.065 dollari. Hanno pagato 81.472 dollari di tasse in base al loro tasso di imposta del 18,7 per cento.Secondo “CelebrityNetWorth.com”, Obama ha un patrimonio netto di 12.2 milioni di dollari e Michelle Obama non è da meno, con un patrimonio netto di 11,8 milioni. Le trattenute per la pensione di Obama per il 2017 saranno di 207.800 dollari.Dopo aver lasciato la Casa Bianca il 20 gennaio e dopo una vacanza a Palm Springs, in California, Obama e la sua famiglia hanno programmato di trasferirsi in un quasi-palazzo nella zona di Kalorama a nord-ovest di Washington, Dc. La casa, con nove camere da letto e otto bagni, è su tre piani, più un livello inferiore, per “Forbes”; è una «residenza lussuosa in un quartiere desiderabile, costruita nel 1928, su 760 metri quadrati», per “Business Insider”, che aggiunge: «Possono essere considerati nuovi vicini di casa degli Obama, a Kalorama, sia il fondatore di Amazon Jeff Bezos, che la famiglia di Ivanka Trump e Jared Kushner, in quanto tutti hanno recentemente comprato casa in quel quartiere. Gli Obamas affitteranno la casa da Joe Lockhart, che è stato addetto stampa alla Casa Bianca del presidente Bill Clinton e resteranno fino a quando la figlia minore, Sasha, finirà la high-school. La casa era stata messa in vendita a 5,3 milioni di dollari prima di essere ritirata dal mercato a maggio scorso». “Forbes” stima che la proprietà abbia un valore di 7 milioni, una cifra che dovrebbe aumentare di altri 300.000 dollari nel corso del prossimo anno.Gli Obama pagheranno un fitto mensile di 22.000 dollari per la loro residenza. Inoltre, possiedono una casa da 1,5 milioni a Chicago e, se dobbiamo credere al “Washington Post”, «Obama, che è un appassionato di golf, è stato visto alla ricerca di una casa a Rancho Mirage [nella zona di Palm Springs], dove il golf è considerato una religione». Il “Palm Desert Patch” dice che, secondo voci di corridoio, la famiglia Obama sta cercando di acquistare una casa a Rancho Mirage, possibilmente nell’esclusivo quartiere di Thunderbird Heights, «zona conosciuta come “il parco giochi dei presidenti”». Karl Marx e Friedrich Engels, più di un secolo e mezzo fa, dicevano che «il capo di uno Stato moderno» non era altro che «un funzionario che deve gestire gli affari di tutta la classe dirigente». Cosa che è più che mai oscenamente trasparente e vera: i funzionari di questo “esecutivo” sono quelli che vengono meglio pagati da sempre.(David Walsh, “Gli Obama passano alla cassa”, da “Wsws.org” del 3 febbraio 2017, post tradotto da Bosque Primario per “Come Don Chisciotte”).Barack Obama ha certamente fatto la sua parte. Durante i suoi otto anni di mandato i profitti delle imprese sono aumentati. La ricchezza dei 400 americani più ricchi è cresciuta tra i 1.570 e i 2.400 miliardi di dollari. La disuguaglianza sociale è aumentata ad un ritmo sempre più veloce. Con Obama alla Casa Bianca, il mercato azionario ha vissuto una delle sue corse di maggior successo in tutta la storia (il Dow Jones Industrial Average è aumentato del 148 %, ancora più di quanto aumentò con Ronald Reagan). In soldoni, secondo “Cnn-Money”, «le partecipazioni al Dow di Jp Morgan Chase e Goldman Sachs sono schizzate alle stelle dopo il bailout [2008-2009] e non sono lontano dai loro massimi storici. Le azioni di Apple sono aumentate più del 415% da quando [Obama] è diventato presidente. Amazon di un sorprendente 900%. E Facebook, che si è messa sul mercato negli ultimi mesi del primo mandato di Obama nel 2012, è arrivata al 230% dal suo prezzo base». Il “New York Times” gongolava, l’anno scorso: «I fatti sono indiscutibili: gli anni di Obama sono stati tra i migliori di sempre per gli investitori azionari, fin dagli albori del 20° secolo».
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Gli 8 super-miliardari? Dei poveretti, confronto ai Rothschild
Gli 8 super-ricchi della Terra? Poveracci, in confronto ai Rotschild. I media, è vero, hanno strombazzato la ricerca di Oxfam International, da cui risulta che la ricchezza degli 8 principali miliardari supera quella della metà povera della popolazione mondiale, 3,6 miliardi di individui. Al vertice dei “magnifici otto” c’è Bill Gates, il patron della Microsoft, con 75 miliardi di dollari. Poi lo spagnolo Amancio Ortega, della catena di abbigliamento Zara, con 67 miliardi. Quindi il finanziere Warren Buffett (60,8 miliardi) e il messicano Carlos Slim Helu, che ha messo insieme 50 miliardi con telefonia e finanza, tabacco e petrolio. Al quinto posto figura Jeff Bezos di Amazon (45,2 miliardi), seguito da Mark Zuckerberg, a cui Facebook ha fruttato 44,6 miliardi. Chiudono la lista un altro Re Mida del digitale come Larry Ellison di Oracle, con 43,6 miliardi, e un campione di Wall Street come Michael Bloomberg, coi suoi 40 miliardi. Sommate insieme, le loro ricchezze valgono 426,2 miliardi di dollari. Ma la vera notizia riguarda appunto i famosissimi, leggendari e vituperati Rotschild, da sempre in cima a tutte le classifiche della letteratura complottista. Loro sarebbero ben più ricchi: con un patrimonio cinque volte più grande di quelli dei “magnifici otto” messi assieme, cioè pari a 2 trilioni, duemila miliardi di dollari.Naturalmente, scrive Maurizio Blondet nel suo blog, è ovvio che nel novero dei primi otto non compaia il nome Rotschild. Per varie ragioni: «Qui non abbiamo a che fare con persone fisiche, ma con una dinastia, i cui membri presiedono a fiduciarie private a capitale fisso – niente società per azioni (scalabili), ma solo aziende familiari, accuratamente sottratte ai mercati finanziari “goyim”», cioè non-ebrei, «e partecipazioni incrociate». Insomma, quella dei Rotschild sarebbe ancora «la struttura instaurata dal capostipite del 18mo secolo, Mayer Amschel Rotschild». Basato in Germania, l’augusto antenato sparse i suoi cinque figli nelle diverse capitali europee, ciascuno munito di capitale e conoscenze per aprirvi una banca d’affari: Parigi e Francoforte, Londra, Vienna e Napoli (che allora era la capitale di uno degli Stati dalle finanze più prospere). «E’ stata dunque la prima multinazionale del credito, che profittò delle guerre europee scatenate dalla Rivoluzione giacobina e da Napoleone. Prestando agli Stati che la guerra indebitava (tipicamente, all’impero austro-ungarico e a quello britannico), da cui accettava titoli e buoni del Tesoro, e cogliendo tutte le buone occasioni per prendere il controllo finanziario delle più diverse industrie, a corto di liquidità».Il figlio che ebbe maggior successo, continua Blondet, fu quello che si stabilì a Londra, Nathan Meyer Rotschild: sposò Hanna Barent Cohen, da cui ebbe 7 figli e una cospicua dote finanziaria. «Nel 1811, durante le guerre napoleoniche, finanziò di fatto lo sforzo bellico britannico quasi da solo – senza trascurare di finanziare in segreto anche il Bonaparte». Il 18 luglio 1815, aggiunge Blondet, fu un corriere della Rothschild & Sons a informare il governo britannico che a Waterloo le cose si mettevano male per Napoleone: «Il governo non ci credette, e allora Nathan stette al gioco: si mise a svendere titoli del debito inglese, come se sapesse che presto sarebbero stati carta straccia. Gli altri ricchi inglesi, nel panico, lo imitarono, e la Borsa collassò». Mani anonime (agenti dei Rotschild) avevano già fatto incetta di titoli a prezzi da liquidazione: così, quando arrivò la notizia che a Waterloo Napoleone aveva davvero perso, «Nathan era il padrone della London Stock Exchange». La notizia pazzesca, dice sempre Blondet, è che, ancora nel 2015, il Regno Unito stava restituendo a rate i capitali ottenuti in prestito dai Rotschild nell’800.«Oggi, le ricchezze della dinastia restano inimmaginabili», sostiene Blondet. «Riesce in gran parte a dissimularle con il metodo delle ditte non quotate, dove non si pubblicano bilanci, dove lavorano e sono impiegati direttamente i membri della famiglia», con «matrimoni fra consanguinei ed eredi che continuano a collaborare strettamente». Va da sé che, «da due secoli, non è mai apparso alla luce un litigio fra i parenti, che abbia prodotto un frazionamento di ricchezze, capitali e imprese: non a caso il motto della famiglia, sotto lo scudo rosso, è (in latino) “Concordia, Integritas, Industria”». Oltre alla finanziaria N.M. Rotschild & Son di Londra e all’Edmond de Rotschild Group in Svizzera, la dinastia «ha incalcolabili partecipazioni in istituti di credito, nel settore immobiliare, minerario ed energetico». Quanto ai vigneti che l’uno o l’altro membro della famiglia ha in Francia, in Sudafrica, in California e in Australia, be’, «sono attività da tempo libero».Parlare dei Rotschild, però, non è mai semplice. Le loro partecipazioni che contano, in termini di investimenti globali, non sono affatto visibili. «Non è chiaro se i Rotschild siano oggi quello che fu la ditta di Nathan, che divenne praticamente il banchiere centrale d’Europa, coprendo debiti pubblici e salvando banche nazionali, ma anche finanziando infrastrutture pubbliche durante la rivoluzione industriale». Sicché, ammette Blondet, non si può valutare se dice il vero il sito “Investopedia”, che ha provato a fare una valutazione approssimativa, decretando (senza specificare i cespiti e le attività) che la ricchezza controllata dalla dinastia ammonterebbe a 2 trilioni di dollari. Una fortuna immensa, maturata però attraverso secoli, benché connessa alla famigerata creazione bancaria di denaro e debito. Quello dei baby-miliardari di oggi, in fondo, è un boom assai più strabiliante: Facebook è nato solo nel 2004.Gli 8 super-ricchi della Terra? Poveracci, in confronto ai Rothschild. I media, è vero, hanno strombazzato la ricerca di Oxfam International, da cui risulta che la ricchezza degli 8 principali miliardari supera quella della metà povera della popolazione mondiale, 3,6 miliardi di individui. Al vertice dei “magnifici otto” c’è Bill Gates, il patron della Microsoft, con 75 miliardi di dollari. Poi lo spagnolo Amancio Ortega, della catena di abbigliamento Zara, con 67 miliardi. Quindi il finanziere Warren Buffett (60,8 miliardi) e il messicano Carlos Slim Helu, che ha messo insieme 50 miliardi con telefonia e finanza, tabacco e petrolio. Al quinto posto figura Jeff Bezos di Amazon (45,2 miliardi), seguito da Mark Zuckerberg, a cui Facebook ha fruttato 44,6 miliardi. Chiudono la lista un altro Re Mida del digitale come Larry Ellison di Oracle, con 43,6 miliardi, e un campione di Wall Street come Michael Bloomberg, coi suoi 40 miliardi. Sommate insieme, le loro ricchezze valgono 426,2 miliardi di dollari. Ma la vera notizia riguarda appunto i famosissimi, leggendari e vituperati Rothschild, da sempre in cima a tutte le classifiche della letteratura complottista. Loro sarebbero ben più ricchi: con un patrimonio cinque volte più grande di quelli dei “magnifici otto” messi assieme, cioè pari a 2 trilioni, duemila miliardi di dollari.