Archivio della Categoria: ‘segnalazioni’
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Bizzi: la Sfinge e il Leone, in Egitto il sigillo di Atlantide
La civiltà Ennosigea, che ci viene descritta dai testi misterici di provenienza eleusina, era di tipo matriarcale: comandavano le donne, c’erano regine guerriere che detenevano il potere. Era impensabile che ci fosse un re maschio: finché una regina non dava alla luce una femmina, non c’era l’erede. Questa società aveva una religione fondata sul culto degli antichi dèi Titani: divinità che avrebbero creato l’uomo, attraverso l’azione di quattro di esse. Atlante, Menezio, Prometeo ed Epimeteo sarebbero stati i creatori dell’umanità, o almeno di una parte dell’umanità (quella occidentale). La civiltà Ennosigea, che venerava quegli dèi Titani, era basata essenzialmente sul ricordo di un tempo mitico, come lo Zep Tepi egizio. Era il ricordo di qualcosa che c’era stato prima. I testi misterici fanno iniziare questa civiltà attorno al 19.000 avanti Cristo. Inizia sostalmente da zero: dalle caverne, dalle palafitte. Ma la cosa inquietante è che ci viene narrato che la civiltà ricominciò da zero dopo una distruzione: non la distruzione di Atlantide del 9600 avanti Cristo, ma qualcosa che sarebbe avvenuto 10.000 anni prima.E’ qualcosa che, anche in questo caso (come il cataclisma di origine cometaria che avrebbe innalzato i mari sommergendo Atlantide) sarebbe avvenuto in tutto il mondo: la tradizione greca, con Esiodo, la chiama Titanomachia. Un’epica guerra tra divinità: da una parte i Titani, che all’epoca (in una sorta di Età dell’Oro) vivevano fianco a fianco con gli esseri umani, e dall’altra nuove divinità venute dall’esterno, esseri che la tradizione misterica considera come usurpatori. Queste nuove divinità avrebbero dichiarato guerra ai Titani, e li avrebbero sconfitti. La guerra avrebbe comportato la distruzione completa di buona parte del mondo. Ed è in questo contesto che si parla dell’inabissamento del continente di Mu, che si trovava nel Pacifico. Qui si parla di armi di distruzione di massa, dal potenziale incalcolabile: dunque, quello del 19.000 avanti Cristo non sarebbe stato un cataclisma, dovuto alla caduta dei frammenti di una cometa. Si parla invece di una guerra, combattuta con armi terribili. Una guerra che poi si ritrova anche nei testi indiani: il Mahabharata e il Ramayana sono densi di notizie, riguardo a questo conflitto. Si parla di armi sconvolgenti: se si prendono i testi alla lettera, non troviamo differenze rispetto agli effetti di Hiroshima e Nagasaki.L’intera religiosità della civiltà Ennosigea (o “atlantidea”) era legata a quell’antica stirpe di dèi, i Titani, che erano i loro padri. Gli Ennosigei vivevano nel ricordo della presenza dei Titani, sulla Terra, e mantennero la religione dei Titani, la tradizione religiosa legata a queste particolari divinità, rifiutando l’imposizione del culto dei cosiddetti nuovi dèi, che poi nella tradizione mediterranea assunsero la denominazione di “olimpici” (cambiando nome, in altre parti del mondo). Quindi: sulla Terra accade qualcosa di terribile, circa ventimila anni fa, che annientò una civiltà relativamente avanzata e pose repentinamente termine a una mitica Età dell’Oro, in cui uomini e dèi vivevano fianco a fianco, in pace e in armonia. La civiltà atlantidea – chiamiamola così – nel ricordo di quella tradizione dichiarava guerra e attaccava i popoli che si erano asserviti al culto dei nuovi déi. E’ vero che questa civiltà venne unificata dalla nazione Ennosigea, basata nel Nord Atlantico, ma poi arrivò a conquistare tutto il Mediterraneo. Nei testi si menziona una conquista dell’Egitto già precedente: la civiltà della “nazione atlantidea” avrebbe colonizzato l’Egitto attorno al 13.000 avanti Cristo.Sempre in questi testi misterici si parla poi anche di una probabile interpretazione della Sfinge. La civiltà Ennosigea, che avrebbe dapprima unificato l’intera isola-continente di En e poi dominato il bacino mediterraneo, arrivò a conquistare l’Europa sotto una particolare dinastia, il cui nome era Fania, e il cui emblema era un leone. Non a caso, in origine, la Sfinge della piana di Giza aveva una testa leonina, poi erosa o addirittura crollata, e infine risagomata con le sembianze di un successivo faraone. Moltissimi indizi, quindi, attestano il fatto che buona parte dei monumenti egizi più antichi siano stati realizzati da questa civiltà, e che quindi buona parte della mitologia e della tradizione dell’antico Egitto sia di matrice atlantidea. Questo spiegherebbe anche perché Solone abbia acquisito proprio in Egitto, dai sacerdoti che le avevano conservate, determinate informazioni su Atlantide, poi riprese da Platone nel Crizia e nel Timeo.(Nicola Bizzi, “Atlantide e le antiche civiltà”: affermazioni rilasciate nella trasmissione web-radio “Forme d’Onda”, poi ripresa da “Anubi Radio” anche su YouTube).La civiltà Ennosigea, che ci viene descritta dai testi misterici di provenienza eleusina, era di tipo matriarcale: comandavano le donne, c’erano regine guerriere che detenevano il potere. Era impensabile che ci fosse un re maschio: finché una regina non dava alla luce una femmina, non c’era l’erede. Questa società aveva una religione fondata sul culto degli antichi dèi Titani: divinità che avrebbero creato l’uomo, attraverso l’azione di quattro di esse. Atlante, Menezio, Prometeo ed Epimeteo sarebbero stati i creatori dell’umanità, o almeno di una parte dell’umanità (quella occidentale). La civiltà Ennosigea, che venerava quegli dèi Titani, era basata essenzialmente sul ricordo di un tempo mitico, come lo Zep Tepi egizio. Era il ricordo di qualcosa che c’era stato prima. I testi misterici fanno iniziare questa civiltà attorno al 19.000 avanti Cristo. Inizia sostalmente da zero: dalle caverne, dalle palafitte. Ma la cosa inquietante è che ci viene narrato che la civiltà ricominciò da zero dopo una distruzione: non la distruzione di Atlantide del 9600 avanti Cristo, ma qualcosa che sarebbe avvenuto 10.000 anni prima.
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Kadosh, messaggio templare: Draghi abbatta le colonne
Qualcuno intravede nell’11 Settembre l’abbattimento di due colonne: hanno cercato di fare tabula rasa di un sistema? Appunto: possiamo dire che quello dell’11 Settembre è “l’abbattimento delle colonne” in chiave contro-iniziatica. Chi ha operato in quel modo ha lanciato un messaggio massonico che soltanto gli imbecilli, che sono tantissimi, non hannocompreso (o non hanno voluto comprendere: il sistema mediatico mainstream non è fatto di imbecilli; è popolato per lo più di servi, che rispondono a gente che non è affatto imbecille, e che vuole che il racconto sulle cose rimanga in una dialettica tra il complottismo più becero e il pastone mainstream più insignificante e conformista). Chi ha operato in quel modo sapeva di avere a che fare con il simbolismo massonico. Ma, in chiave contro-iniziatica, non ha “abbattuto le colonne” per perseguire giustizia e libertà. Ha abbattuto le colonne per compiere un’opera inversa, di costrizione: non è un caso che, da quell’evento, siano nati dei pacchetti legislativi (negli Usa, il Patriot Act) che andavano nel senso della restrizione della libertà e della somma ingiustizia, in danno dei cittadini.Il massone iniziato al 30° grado viene messo nelle condizioni di “abbattere le colonne” del Tempio. La massoneria ha questa enfasi, sulla costruzione: l’iniziato è un costruttore, come ricordato nella ritualità. Nella sua “cassetta degli attrezzi”, sapienziali e pratici, c’è l’idea del costruire, che si tratti di costruzioni materiali o spirituali, sociali, intellettuali. La sua opera frena le pulsioni distruttive. Eppure, in questo grado viene chiamato a compiere la “distruzione delle colonne”. L’abbattimento delle colonne è un librarsi verso la trascendenza, è la messa in discussione di qualunque costrutto umano. Ecco il paradosso: i liberi muratori sono costruttori, eppure il cavaliere Kadosh sa che qualunque costruzione umana, persino i costrutti più sublimi della stessa massoneria, a un certo punto vanno abbattuti: perché quella libertà, nell’immanenza (sociale, politica) può essere figlia soltanto della liberazione nella trascendenza, cioè nell’affrancamento da tutti i vincoli e i limiti della vita immanente. Significa essere proiettati verso l’assoluto, che però finisce a sua volta per essere relativo: la trascendenza non può che avere a che fare con un rapporto diverso con l’immanenza.Per agire bene nell’immanenza occorre trascenderla: ed ecco perché occorre “abbattere le colonne” del Tempio. Quindi, sì: i cavalieri templari sanno essere distruttori, e una delle loro funzioni, talvolta, consiste nel fare tabula rasa di qualsiasi cosa impedisca la fruizione di quella giustizia e quella libertà a cui si sono votati. Sul piano numerologico, nel 30° grado massonico viene svelato il “mistero del settenario”, nella connessione al serpente (il potere del serpente, la conoscenza del serpente) e al numero 14: la scala dei 7 gradini che compare in questo grado è sia ascendente che discendente. E il 14 rinvia a uno degli arcani maggiori al libro sacro al dio Toth, cioè i Tarocchi: l’Arte. E’ la capacità di trasformare. E’ quell’insieme di sapienza, potenza e amore che conferisce all’uomo la capacità di “essere dio della Terra”, ovvero di accedere a conoscenze e poteri trascendenti per plasmare di nuovo l’immanenza. E a livello globale, questo è un periodo nel quale proprio i temi del 30° grado massonico sono quasi incarnati nei pensieri, nelle aspirazioni, nelle problematiche di miliardi di persone.C’è un equilibrio che si è rotto: viviamo in una svolta epocale. Questa svolta evoca scenari da incubo, delle distopie. Ne parla un bel libro, “Il grande reset”, dell’amica Ilaria Bifarini. Il tema nasce dalle dichiarazioni di Klaus Schwab (ispiratore del World Economic Forum di Davos), da alcuni visto come un incubo: questa grande crisi sarebbe il preludio non già di una rigenerazione possibile dell’economia, della società, dei rapporti umani (usciti più saldi dalla terribile esperienza che stiamo tuttora vivendo); sarebbe invece il preludio di uno scenario da incubo, il cui il distanziamento sociale diventerebbe stabile, in cui certi mestieri morirebbero, e in cui alcuni – già oggi – stanno certamente lucrando molto: da un lato c’è la morte per asfissia di interi segmenti produttivi, ma altri stanno facendo soldi a palate (e si preparerebbero a farne altrettanti, nel nuovo corso delle cose, dove la pandemia diventerebbe permanente, periodica). Quindi dovremmo abituarci, secondo questo scenario distopico, a un’umanità che va peggiorando il suo percorso di civiltà.Questo non può non avere a che fare con il ruolo, i doveri e anche i diritti dei cavalieri Kadosh. Chi sono? Sono quegli iniziati che, nella vita reale, vogliono realizzare lo spirito di questo grado massonico. Ogni autentico cavaliere Kadosh, in questa epoca, non potrà che aver pronta la mano alla spada: per capire se quello che ci attende è un mondo di giustizia e libertà, oppure un mondo di nuove e più pesanti oppressioni. Oggi abbiamo a Palazzo Chigi un illustre rappresentante del mondo supermassonico: un uomo, un iniziato, un “fratello” che per lunghi anni ha interpretato da par suo, ma da contro-iniziato, l’ideologia neoaristocratica e neoliberista (in Europa, declinata nel senso dell’ordoliberismo), e un bel giorno ha rivelato ai confratelli progressisti di voler passare dall’altra parte, la loro. Io stesso mi sono esposto, nell’avvalorare questo cambio di casacca, di intendimenti. Cosa che confermo: i passi che il “fratello” Mario Draghi sta compiendo, nel suo difficile ruolo di governo, sono perfettamente intonati ad una strategia sottile.Altri, però, guardano con attenzione a ciò che sta accadendo in Italia, e cercheranno di impedire che le cose vadano in una certa direzione. E c’è sempre il dubbio che, a un certo punto, Draghi o altri possano cedere, sotto il peso di determinate pressioni. Ecco allora che il ruolo del cavaliere templare è importante, da ricordare: sia per Mario Draghi che per gli altri fratelli coinvolti in importanti ruoli, intorno a Palazzo Chigi, in questo tempo. E’ importante ricordare che le spade dei cavalieri templari sono lì, pronte a difendere (e a spiegare, combattendo cioè anche con la penna) i valori per cui devono battersi. Questa traiettoria del 30° grado, che è graduale e sapiente, gnostica e sottile, sarà accompagnata. Però, chi dovesse avere dei tentennamenti, fino magari a pensare di doversi arrestare, di fronte alle “colonne da abbattere”, sappia che invece le colonne vanno abbattute. Questa traiettoria (del fratello Draghi e di altri, che non si ferma a Palazzo Chigi: deve andare oltre) dev’essere quella di chi abbatte le colonne, senza alcun ripensamento. E chi vuol capire, capisca.Mario Draghi non è venuto certamente ad abbattere il capitalismo: da social-liberale, quale si è infine ricordato di voler essere, non prevede l’abbattimento delle multinazionali, cioè dell’idea di società che operano a livello sovranazionale. Ma, specie per l’Italia, è importantela difesa delle piccole e medie imprese. Soprattutto le piccole imprese, infatti, sono l’asse portante di questo paese. L’attuale presidente di Confindustria ne ha appena svilito il ruolo, affermando che “piccolo non è bello”, sbagliando clamorosamente. Oltretutto, con una cattiva scelta di tempi ha fatto l’encomio di Conte, salvo – l’indomani – genuflettersi di fronte all’arrivo di Draghi (e ha fatto bene, ma c’è ancora molta confusione). A livello mondiale, la convivenza di multinazionali e di piccole e medie imprese significa “glocalismo”, cioè coniugare l’aspetto “gobal” con l’aspetto “local”.Perché mai, una società che operasse in regime di libero mercato (senza monopoli, senza oligopoli) non dovrebbe potersi proiettare in un orizzonte globale, offrendo ottimi servizi su scala planetaria? Le multinazionali, semmai, devono essere al servizio di un’economia globale più giusta, più rispettosa di un presente e di un futuro in cui i paesi che devono svilupparsi abbiano garanzie e protezioni per quello sviluppo endogeno, che non dev’essere soffocato dalla rapacità di alcune multinazionali, cui vanno tagliate le unghie. Altre multinazionali vanno ricondotte a una condizione che non sia oligopolistica. Altre ancora, probabilmente, pagheranno per esser state il braccio armato di gruppi oligarchici che si muovono su un piano che va oltre quello economico.“Abbattere le colonne”, per questo governo, significa abbattere le colonne di una falsa Europa, di una falsa idea di economia sociale e di mercato ispirata all’ordoliberismo, e riadattare al XXI secolo alcuni caposaldi dell’ideologia social-liberale, keynesiana, rooseveltiana e rosselliana, e puntare decisamente verso un’Europa fondata politicamente. Abbattere le colonne del Tempio significa fare strage di tutti quegli interessi oligarchici che hanno impedito all’Europa di diventare un soggetto davvero integrato, capace di collocarsi nelle dialettiche geopolitiche più importanti. E significa ridare all’Italia uno slancio che ha perso da tanto tempo. Fare questo è un’opera erculea, titanica. Serviranno anni e anni. E occorre pazienza, perché di mezzo c’è anche una pandemia (che Draghi non ha potuto gestire dall’inizio, e che è stata affrontata malissimo nello scorso anno).Nel 30° grado, “abbattere le colonne” significa liberarsi di ogni costruzione, anche la più sublime (persino del simbolo del Grande Architetto, della dualità, dei più importanti archetipi massonici iniziatici) per librarsi davvero verso la trascendenza. Abbattere le colonne significa ricordarsi che il fondamento della libertà sta nella trascendenza rispetto a ogni forma. E così, il templare snuda la spada. Ed è pronto a colpire anche il “fratello” che abbia tradito gli intendimenti che, come templare, sarebbe stato tenuto a osservare. Quindi, i cavalieri templari che svolgeranno il loro ruolo con onore e abbatteranno le colonne del Tempio (che vanno abbattute) saranno supportate dai “fratelli”. Gli altri invece saranno “passati a fil di spada”, nauralmente in senso metaforico.(Gioele Magaldi, dichiarazioni rilasciate nell’ambito della trasmissione web-streaming “Massoneria On Air” condotta il 4 marzo 2021 da Fabio Frabetti di “Border Nights”, con la partecipazione di Sergio Magaldi e Gianfranco Carpeoro, che hanno chiarito la natura del 30° grado massonico del Rito Scozzese e la “missione” del cavaliere Kadosh, ispirato all’élite esoterica dei Templari, impegnata a battersi per “giustizia e libertà”, in difesa degli oppressi. «Questa puntata – ha annunciato Gioele Magaldi, in apertura – sarà guardata anche dal “fratello” Mario Draghi, che è un appassionato di scozzesismo». Autore del saggio “Massoni” e presidente del Movimento Roosevelt, Magaldi – leader del Grande Oriente Democratico ed esponente italiano del circuito massonico progressista mondiale – interpreta la missione di Draghi nel segno della discontinuità rispetto ai decenni precedenti, verso una riconversione democratica della politica, italiana e internazionale).Qualcuno intravede nell’11 Settembre l’abbattimento di due colonne: hanno cercato di fare tabula rasa di un sistema? Appunto: possiamo dire che quello dell’11 Settembre è “l’abbattimento delle colonne” in chiave contro-iniziatica. Chi ha operato in quel modo ha lanciato un messaggio massonico che soltanto gli imbecilli, che sono tantissimi, non hanno compreso (o non hanno voluto comprendere: il sistema mediatico mainstream non è fatto di imbecilli; è popolato per lo più di servi, che rispondono a gente che non è affatto imbecille, e che vuole che il racconto sulle cose rimanga in una dialettica tra il complottismo più becero e il pastone mainstream più insignificante e conformista). Chi ha operato in quel modo sapeva di avere a che fare con il simbolismo massonico. Ma, in chiave contro-iniziatica, non ha “abbattuto le colonne” per perseguire giustizia e libertà. Ha abbattuto le colonne per compiere un’opera inversa, di costrizione: non è un caso che, da quell’evento, siano nati dei pacchetti legislativi (negli Usa, il Patriot Act) che andavano nel senso della restrizione della libertà e della somma ingiustizia, in danno dei cittadini.
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Ristori-fantasma: 539 i decreti solo promessi da Conte
Finalmente indennizzi veri, dopo la farsa recitata per un anno da Giuseppe Conte: è questo il principale “miracolo” che, secondo Sergio Luciano, è lecito attendersi da Mario Draghi. Il neo-premier non ha «muscoli politici» per chissà quale riforma, da attuare «nel breve volgere degli undici mesi che lo dividono dalla scadenza delle elezioni presidenziali o, al più tardi, nei ventiquattro mesi che mancano al termine naturale della legislatura». Semmai, l’ex presidente della Bce «non è solito sparare colpi a salve». E’ un personaggio che, «se agisce, lo fa sapendo di poter vincere». Potrebbe quindi riuscire a «rasentare il potere taumaturgico manifestato con il celeberrimo “whatever it takes”, che salvò l’Italia con tutto l’euro» intervenendo soprattutto sul fronte socio-economico, cioè «sulla pratica bollente dei ristori inefficienti (o peggio, millantati) lasciati dal governo Conte-2, come una bomba a orologeria nell’ufficio, giusto sotto la poltrona da premier».
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Vaccini e mascherine, vietato parlare dei tanti flop-Covid
L’altra sera Lilli Gruber se n’è uscita dicendo che le dispiaceva del fallimento dell’Europa sui vaccini perché la cosa avrebbe alimentato le ragioni degli euroscettici e dei sovranisti. Ovviamente si tratta di una frase intrisa non solo di cieco fanatismo ma anche di una certa stupidità giornalistica, in quanto la notizia si piega all’opinione. E la propaganda prevale sulla verità. Non è la prima volta. L’Europa non soltanto ha fallito sul piano vaccinale, ma ha fallito su tutta l’emergenza Covid, dai suoi primi allarmi ad un protocollo comune. Non è una novità che Bruxelles fallisca sulle emergenze (l’immigrazione è l’esempio più noto, per quanto anche sulle vicende bancarie abbiamo visto le differenze di trattamento). Il fanatismo che avvolge in una pellicola protettiva ciò che non si può criticare a prescindere è un caposaldo della retorica dei Buoni e dei Giusti: guai a soffermarsi troppo sugli errori di quel che dev’essere preservato nella sua sacralità. L’Europa non ha fallito sui vaccini per una miopia, ma perché l’errore si è avvitato nel peccato originale del progetto stesso, ovvero favorire le lobby, le multinazionali, la finanza.La negoziazione con le multinazionali del farmaco era stata protetta dal segreto e la firma sui contratti manda ogni critica alle ortiche: il potere di Big Pharma è nero su bianco, persino nella sua asimmetria. Fatto sta che, nell’emergenza, ora bisogna arrangiarsi con l’aiuto della comunicazione mainstream: il vaccino diventa efficace dopo la sola prima dose; il vaccino preserva l’efficacia anche a fronte delle varianti; le dosi prevalgono sulle fiale e così via. Di balla in balla. Il paradosso di tutta questa vicenda è che la Gran Bretagna ha fatto meglio di tutti i paesi dell’Eurozona, superando magnificamente il primo esame del post-Brexit. All’Europa pertanto non resta che mettere le toppe e scaricare sui governi e sui cittadini ogni responsabilità, come quella del passaporto vaccinale (corbelleria giuridica, visto che in assenza di obbligatorietà vaccinale viene meno il principio della libera circolazione dentro l’Unione Europea).Di conseguenza, invece di ammettere che l’Unione non è affatto attrezzata ad essere nemmeno lontanamente alla stregua degli Stati Uniti d’Europa, si procede con la propaganda. Una tattica analoga si sta seguendo in Italia su tutta la linea. Dei vaccini abbiamo già detto: siamo indietro rispetto alle richieste, mancano le fiale, le strutture e il personale medico-infermieristico. Per fortuna le “primule” pensate da Boeri e immediatamente fatte proprie dall’aquila Arcuri sono state mandate in soffitta; ma i buchi restano. E non mancheremo di conoscere tutte le falle dell’operazione vaccini non appena la magistratura ci metterà il naso. Per il momento, quel che sta trapelando è legato alle mascherine. In questi giorni non solo assistiamo all’ennesimo passaggio sulle colorazioni delle regioni e pure di qualche provincia, ma ci toccano pure i soliti pistolotti sugli assembramenti e sui cosiddetti atteggiamenti irresponsabili dei cittadini, in pieno spirito “blame the victim” ossia “colpevolizza la vittima”.La propaganda cela che, se c’è una responsabilità in corso, non è quella dei cittadini (i quali escono perché possono farlo), bensì di un sistema che da un anno reitera gli stessi errori e le stesse falsità. La faccio breve: la gente esce perché può uscire; ed esce con le mascherine indosso. Eppure nessuno da un anno dice che quelle mascherine, per buona parte, sono il prodotto di “autocertificazioni” garantite dalle case di produzione come se fossimo ancora nella fase emergenziale, quando non si trovavano mascherine. Ecco, dopo un anno non è cambiato nulla. Non c’è un format di requisiti comune a tutte le mascherine divise per “tipologia”, non ci sono standard che consentano una omologazione a livello europeo (tipo i caschi, per esempio: i caschi non omologati non possono essere messi in commercio): pertanto ci stiamo “proteggendo” con delle mascherine la cui efficacia non è affatto certa, tant’è che prove di laboratorio evidenziano quanto sto dicendo.“Striscia la Notizia” per esempio aveva “smascherato” l’efficacia delle mascherine realizzate da Fca per conto della Presidenza del Consiglio. E lo stesso sta accadendo per le mascherine Ffp2. Per amor di patria, taccio (ma solo in questo articolo) sulle inchieste in corso che riguardano l’import di mascherine dalla Cina. Ora, mentre il dito dei media è puntato sugli assembramenti e sulle colorazioni, dopo un anno, gli italiani non sanno la verità sul mercato redditizio dei cosiddetti sistemi di protezione. Eppure la retorica è tutta concentrata sulla irresponsabilità delle persone. Giusto per chiudere, informo che il ministro Speranza da mesi ha alcune mie interrogazioni su questi argomenti e non si degna di rispondere. Forse perché teme di dover raccontare agli italiani che lui è il primo a non sapere quanto siano efficaci queste miracolose mascherine. E che le stiamo indossando soltanto perché non abbiamo voglia di rotture di scatole.(Gianluigi Paragone, “Vaccini, l’Ue fa flop ma è vietato parlare in Tv”, da “Il Tempo” del 1° marzo 2021).L’altra sera Lilli Gruber se n’è uscita dicendo che le dispiaceva del fallimento dell’Europa sui vaccini perché la cosa avrebbe alimentato le ragioni degli euroscettici e dei sovranisti. Ovviamente si tratta di una frase intrisa non solo di cieco fanatismo ma anche di una certa stupidità giornalistica, in quanto la notizia si piega all’opinione. E la propaganda prevale sulla verità. Non è la prima volta. L’Europa non soltanto ha fallito sul piano vaccinale, ma ha fallito su tutta l’emergenza Covid, dai suoi primi allarmi ad un protocollo comune. Non è una novità che Bruxelles fallisca sulle emergenze (l’immigrazione è l’esempio più noto, per quanto anche sulle vicende bancarie abbiamo visto le differenze di trattamento). Il fanatismo che avvolge in una pellicola protettiva ciò che non si può criticare a prescindere è un caposaldo della retorica dei Buoni e dei Giusti: guai a soffermarsi troppo sugli errori di quel che dev’essere preservato nella sua sacralità. L’Europa non ha fallito sui vaccini per una miopia, ma perché l’errore si è avvitato nel peccato originale del progetto stesso, ovvero favorire le lobby, le multinazionali, la finanza.
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Magaldi: è finita la pacchia, per i terroristi del lockdown
«La pacchia dell’emergenza è finita: sia per i media sensazionalisti che per i “terroristi del lockdown”, che nei giorni scorsi avevano inutilmente invocato il ritorno delle chiusure totali». Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt, segue con apprezzamento le prime mosse del governo Draghi. «E’ ingiusto imputare al nuovo premier un’eccessiva prudenza, perché bisogna tenere conto della disastrosa situazione ereditata: per un anno, i pazienti affetti da Covid sono stati curati solo all’ospedale, cioè molto spesso quand’era ormai troppo tardi». Magaldi segnala la svolta in arrivo, cioè «la scelta del primo ministro di avvalersi di un super-consulente destinato a capovolgere la filosofia sanitaria, imponendo cure precoci, domiciliari, a base di antinfiammatori». Nei giorni scorsi era circolato il nome di Giuseppe Remuzzi, presidente dell’Istituto Mario Negri di Milano, autore di un “protocollo” terapeutico basato su farmaci in grado di “spegnere” finalmente il Covid ai primi sintomi, da casa, senza ricorrere all’ospedale. «Il nome non lo indico», dice Magaldi, evitando di citare Remuzzi, «ma ribadisco: la linea espressa sarà quella, a prescindere dalla persona che poi sarà chiamata a interpretarla».Per Magaldi, quella della filosofia-Remuzzi (raccomandata per la verità da molti medici, finora ignorati dal ministero della salute) sarebbe una vera e propria rivoluzione, in grado di far letteralmente crollare il numero dei ricoveri e quindi la stessa percezione del disastro pandemico, ridimensionando sensibilmente il significato del balletto giornaliero e settimanale di «numeri giocati al lotto, spesso poco significativi e mai davvero verificati». Magaldi spiega che il metodo “soft” adottato da Mario Draghi implica alcune flessibilità di natura tattica. «Avremmo avuto una marcia più spedita con un governo squisitamente tecnico, intenzionato a imporsi. Si è scelta invece la via della mediazione parlamentare, anche per permettere ai partiti di rimediare ai loro errori: per un anno non hanno fatto assolutamente nulla di utile e di sensato, contro il Covid, lasciando che la situazione esplodesse». E dato il precario quadro politico-parlamentare, «è ovvia una certa cautela da parte del premier, che giustamente punta anche sui vaccini, nella speranza che contribuiscano a dissolvere la paura che in questi mesi è stata gonfiata oltre misura dalla disinformazione martellante».Intanto però Magaldi registra svariati indizi eloquenti: «La figura di Arcuri è già stata ridimensionata». E così quella di Speranza, che di fatto verrebbe clamorosamente scavalcato da Remuzzi, o comunque dallo stratega incaricato di “domare” una buona volta il Covid. «Del resto, il modestissimo Speranza si limita a fare da portavoce dei vari Ricciardi e Crisanti, i profeti dell’emergenza infinita: volevano il ritorno del lockdown e non l’hanno ottenuto, nonostante paesi importanti come la Germania oggi siano sostanzialmente in lockdown». Lo stesso infettivologo Massimo Galli, altro arcigno catastrofista oggi pronto a terrorizzare la popolazione evocando in modo allarmistico le “varianti” del virus, «è stato seccamente smentito dal suo stesso ospedale, il Sacco di Milano: e questo non sarebbe mai accaduto, prima. La novità è che, con Draghi, è “cambiata l’aria”». In altre parole: «E’ vero che il governo continua a subire pressioni, soprattutto internazionali, per richiudere il paese. Ma è altrettanto vero che, sia pure con inevitabile lentezza, Draghi sta operando per cambiare paradigma, rispetto all’approccio con cui affrontare il Covid».In tanti si lamentano della permanenza (molesta) della “filiera della paura”, incarnata da Roberto Speranza al ministero della sanità? Magaldi invita a guardare il bicchiere mezzo pieno: «Speranza e Ricciardi sono stati sconfitti: nessun lockdown-bis. Peccato sia rimasto il coprifuoco, ma sparirà anche quello. Spiace che Draghi ricorra ai Dpcm, come Conte? Ragionate: il Dpcm è uno strumento solo amministrativo ed emergenziale, che non ha forza di legge: pertanto è più facile da impugnare, perché sia rigettato, se contiene qualche aspetto inaccettabile». Sui vaccini, Magaldi resta laicamente prudente: «Rappresentano una scommessa, e c’è da augurarsi che siano efficaci e sicuri. Ne vedremo gli effetti nei prossimi mesi, sapendo però – ribadisce il presidente “rooseveltiano” – che la vera carta del governo Draghi, superate le ultime settimane di emergenza stagionale, consisterà proprio nelle cure territoriali non ospedaliere: guarire i pazienti a casa, in modo sistematico (senza più intasare gli ospedali di casi ormai gravi) metterà la parola fine alla stagione del “terrorismo sanitario” targato Covid». Fine del tunnel? «Stiamo ai fatti: le indicazioni finora pervenute incoraggiano un certo ottimismo. E’ lecito aspettarsi che, da maggio, potremo tutti riprendere una vita più normale, senza più lasciarci terrorizzare dal Covid».«La pacchia dell’emergenza è finita: sia per i media sensazionalisti che per i “terroristi del lockdown”, che nei giorni scorsi avevano inutilmente invocato il ritorno delle chiusure totali». Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt, segue con apprezzamento le prime mosse del governo Draghi. «E’ ingiusto imputare al nuovo premier un’eccessiva prudenza, perché bisogna tenere conto della disastrosa situazione ereditata: per un anno, i pazienti affetti da Covid sono stati curati solo all’ospedale, cioè molto spesso quand’era ormai troppo tardi». Magaldi segnala la svolta in arrivo, cioè «la scelta del primo ministro di avvalersi di un super-consulente destinato a capovolgere la filosofia sanitaria, imponendo cure precoci, domiciliari, a base di antinfiammatori». Nei giorni scorsi era circolato il nome di Giuseppe Remuzzi, presidente dell’Istituto Mario Negri di Milano, autore di un “protocollo” terapeutico basato su farmaci in grado di “spegnere” finalmente il Covid ai primi sintomi, da casa, senza ricorrere all’ospedale. «Il nome non lo indico», dice Magaldi, evitando di citare Remuzzi, «ma ribadisco: la linea espressa sarà quella, a prescindere dalla persona che poi sarà chiamata a interpretarla».
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Silurato Arcuri: Draghi vuole uscire dall’emergenza
«Il rapporto fra Domenico Arcuri e Giuseppe Conte andrà studiato dai cultori della scienza politica come esempio di ciò che può portare la scaltrezza e l’acciecamento del potere in un contesto di istituzioni deboli». Sul “Corriere della Sera”, Federico Fubini parla di equivoci, errori e scarichi di responsabilità, per inquadrare la caduta di Arcuri, nominato da “Giuseppi” super-commissario per l’emergenza Covid e silurato senza complimenti da Mario Draghi un anno dopo, il 1° marzo 2021. Al posto di Arcuri ora c’è un militare, Francesco Paolo Figliuolo, generale di brigata esperto in logistica. E’ la seconda testa a cadere, in pochi giorni, dopo quella del capo della Protezione Civile, Angelo Borrelli, sostituito con Fabrizio Curcio. Difficile, scrive “Dagospia”, che la rovinosa caduta di Arcuri (ormai lambito da troppe inchieste sulle forniture per l’emergenza) non colpisca, sul piano politico, lo stesso Conte, covinto da Beppe Grillo a impegnarsi come zattera di salvataggio per i naufraghi di un Movimento 5 Stelle ormai allo sbando.Sul “Corriere”, Fubini descrive Arcuri come «manager pubblico da sempre vicino alla tradizione del Pd». La sua missione: colmare le voragini del governo Conte, colto di sorpresa dalla prima esplosione (lombarda) della pandemia. Arcuri si è formato alla scuola militare della Nunziatella a Napoli, per poi laurearsi alla Luiss e avviare una carriera da manager: prima l’Iri, quindi Deloitte e infine Invitalia. Tra i primi compiti di Arcuri, un anno fa: procurarsi mascherine e organizzarne una produzione italiana, procacciare respiratori per le terapie intensive e, man mano, qualunque cosa gli venisse richiesta: dai banchi a rotelle alle siringhe per i vaccini, fino alla fornitura di fiale (Pfizer, Moderna e AstraZeneca), organizzando anche la somministrazione delle dosi. Conte ha dato mostra di non fidarsi di nessun altro, «quasi che l’Italia intera non avesse altro talento gestionale se non quello di Arcuri», scrive Fubini. Tra i due si era instaurato «un legame sempre sul limite del cortocircuito istituzionale», relegando in un cono d’ombra la stessa Protezione Civile.Rendendo Arcuri «il dominus dell’emergenza», scrive ancora il “Corriere”, Conte ne aveva fatto anche il parafulmine per qualunque cosa dovesse andare storta: «Lo scudo umano perfetto, per il governo e per l’inquilino di Palazzo Chigi». In molti, a un certo punto, hanno iniziato a pensare che fosse proprio Arcuri, sia pure a nome di Conte, a prendere le decisioni su come gestire la pandemia. Tanti gli errori commessi, come ricordato da Milena Gabanelli sempre sul “Corriere”: in settembre ha fatto comprare per 100 milioni di euro mascherine «a prezzi irrealistici» da un’impresa a controllo cinese incorporata in Olanda, che non aveva altri clienti «se non la struttura commissariale di Roma». Attorno all’operato dei collaboratori di Arcuri, intanto, sono in corso inchieste: l’ormai ex commissario non risulta personalmente indagato, ma certo la sua immagine si è progressivamente appannata in modo grave. Di fronte all’ultimo fallimento, l’operazione-vaccini con le costosissime “primule” nelle piazze, è arrivato l’alt di Mario Draghi: l’uscita dall’emergenza non sarà più appannaggio di un commissario che per un anno ha lavorato per un governo (e un premier) interessato a prolungarla all’infinito, l’emergenza, pur di restare in sella.«Il rapporto fra Domenico Arcuri e Giuseppe Conte andrà studiato dai cultori della scienza politica come esempio di ciò che può portare la scaltrezza e l’acciecamento del potere in un contesto di istituzioni deboli». Sul “Corriere della Sera”, Federico Fubini parla di equivoci, errori e scarichi di responsabilità, per inquadrare la caduta di Arcuri, nominato da “Giuseppi” super-commissario per l’emergenza Covid e silurato senza complimenti da Mario Draghi un anno dopo, il 1° marzo 2021. Al posto di Arcuri ora c’è un militare, Francesco Paolo Figliuolo, generale di brigata esperto in logistica. E’ la seconda testa a cadere, in pochi giorni, dopo quella del capo della Protezione Civile, Angelo Borrelli, sostituito con Fabrizio Curcio. Difficile, scrive “Dagospia”, che la rovinosa caduta di Arcuri (ormai lambito da troppe inchieste sulle forniture per l’emergenza) non colpisca, sul piano politico, lo stesso Conte, covinto da Beppe Grillo a impegnarsi come zattera di salvataggio per i naufraghi di un Movimento 5 Stelle ormai allo sbando.
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Il funerale del bar, in arancione: morte civile dell’Italia
Marisa strizza lo strofinaccio col quale laverà il pavimento per l’ultima volta. Sono le ore 19, e il bar è ancora aperto: un’ora dopo il limite stabilito, il dehors è affollato di avventori. Stanno seduti in modo ordinato, mantenendo le distanze. Sorseggiano l’ultima birra, l’ultimo Prosecco, ingollando qualche tartina. E’ una specie di cerimonia silenziosa: la solidarietà per i baristi, condannati alla chiusura imposta dalla cosiddetta zona arancione. E se passa una pattuglia, facendo notare che ai tavoli non dovrebbe più esserci nessuno? Pazienza: ci faremo verbalizzare – dicono – e spiegheremo che non riusciamo proprio a mandarla giù, questa ennesima chiusura suicida, decretata solo per via del mitico indice di contagio, in lievissima risalita in termini percentualmente infinitesimali. Mastica amaro anche Alfonso, pensionato, che fino a qualche mese fa era sostanzialmente tollerante verso le restrizioni: le comprendeva. Ora invece ha cambiato idea: non capisce perché, in zona gialla, i ristoranti aperti a pranzo debbano restare chiusi a cena. E men che meno digerisce l’idea di dover fare a meno del suo amato bar, se scatta la zona arancione.Il bar è un’isola sociale che racconta benissimo l’Italia, quella che lavora: è lo spazio-finestra dove si può parlare liberamente di tutto, con chiunque, nel breve interregno tra il lavoro e la vita familiare, tra le pareti domestiche. Lorella, studentessa, sospira: adesso basta, non se ne può più. Sono tutti d’accordo: il giovane operaio Walter, l’elettricista Beppe, l’idraulico Stefano, il taciturno Nicola che ogni mattina apre al mercato la sua bancarella di vestiario insieme alla compagna, Sonia. Il bar-tabacchi interseca la società: a pranzo la cucina serve pasti per i dipendenti della vicina zona industriale, ma verso sera si trasforma in un’oasi in cui ciascuno può dire la sua: l’insegnante e l’infermiera, il manager che si gusta un calice di Franciacorta, il meccanico dell’officina all’angolo con la sua squadra di dipendenti. La pausa-caffè, il bicchiere di rosso. Un po’ di musica, e tantissime parole: per tentare di ricordarci chi siamo e cosa è rimasto di noi, malgrado tutto, dopo un anno di insopportabili ingiunzioni, spesso assurde, frutto di decisioni affrettate e confuse, mai trasparenti, calate dall’alto. E senza alcun rispetto per gli esercenti, ancora in attesa dei mitici “ristori” che continuano a non arrivare.Un anno fa, subito dopo il lockdown primaverile, il bar esplodeva di umanità sulle barricate: da una parte i sostenitori della banda Conte, disposti a ingoiare qualunque privazione perché proveniente dai presunti avversari di Salvini, e dall’altra i seguaci dell’opposizione, furibondi per la palese cialtroneria mostrata dal governo. Il virus mordeva: era la televisione a esibire ogni sera lo spettacolo dell’orrore. Governisti e antagonisti, col passare dei mesi, s’erano scoperti d’accordo su un punto: superata la tragica sorpresa dei primi mesi, le autorità avrebbero escogitato qualcosa per risollevare tutti. E invece, niente: anziché aggiornare il protocollo di cura introducendo finalmente i farmaci giusti per le terapie precoci, a domicilio, il ministro della sanità ha perso l’estate a scrivere un libro grottesco e auto-celebrativo (che poi non ha osato distribuire) e ha speso l’autunno a gridare alla “seconda ondata”, continuando a fare quello che aveva sempre fatto, cioè nulla, se non vietare, chiudere, sprangare. Ultimissimo capolavoro, la beffa riservata alle aziende dello sci: fermate a poche ore dalla riapertura, dopo tutte le spese (e le assunzioni) effettuale in vista della ripartenza.Ora la farsa è davvero finita: il tribunale del bar ha emesso la sua sentenza. «Dobbiamo fare una rivoluzione?», si domanda Marisa, la barista, risciacquando gli ultimi bicchieri. Sono ormai passate le sette, e là fuori non s’è vista nessuna pattuglia. Gli avventori si avviano alla cassa, per saldare il conto: la mesta cerimonia della solidarietà è finita. Ricordava un funerale, per la morte civile di un paese che, sul far della sera, sembra deserto e spopolato. Il governo è cambiato, ma i risanatori virtuali non hanno ancora osato rimuovere neppure il coprifuoco. Persino il ministro-fenomeno è rimasto al suo posto, davanti alla sua patetica cartina con le Regioni colorate. Scandaloso: si chiude tutto, non appena il famigerato indice Rt accenna a risalire. Esattamente come un anno fa: senza cure domiciliari, in sicurezza, si chiude l’Italia per evitare la corsa agli ospedali, in attesa dei famosi vaccini.l timore della pressione sul pronto soccorso è fondato: l’ospedale può tornare a ingolfarsi, ma solo perché i malati – ai primi sintomi – si continua a non curarli, a casa. Così, si seguita a consegnare l’Italia alla fatalità dell’emergenza eterna, nemmeno fossimo un paese del terzo mondo. E questo, dopo un anno, è davvero inaccettabile. Emerge, in tutto il suo fulgore, la vergognosa inettitudine di un governo di straccioni: per tutto il 2020 non ha saputo limitare la strage, né soccorrere le aziende a cui ha impedito di lavorare. Ormai l’hanno capito tutti: il virus è molto contagioso ma scarsamente letale, può essere pericoloso (anche mortale) quasi solo per i soggetti più anziani e più fragili. In 12 mesi, non si è fatto nessun passo avanti: i medici hanno scoperto come affrontarlo, con farmaci efficaci e anche banalissimi come gli antinfiammatori, ma nessuno a Roma si è preoccupato di imporre alle Asl, tramite le Regioni, una procedura unica, nazionale, per agire con tempestività mediante i medici di base, spegnendo l’incendio alle prime avvisaglie.I sanitari che hanno imparato la lezione, e somministrano in via precoce i farmaci adatti, sanno che in questo modo si riduce del 70-80% il rischio di ricorrere all’ospedale. Traduzione impietosa: oggi significherebbe contare 30.000 morti anziché quasi 100.000. Se si fosse agito tempestivamente, a partire da aprile-maggio 2020, il bilancio del coronavirus non sarebbe stato peggiore, statisticamente, di quello di una brutta epidemia stagionale di influenza. E invece: le televisioni hanno solo e sempre rilanciato la paura, evitando di dare la parola ai medici che curano e guariscono. Così, il governo dei cialtroni ha potuto usare l’allarme per restare in sella, limitandosi a fare promesse a vuoto sui necessari soccorsi economici. Fatti precisi: tre decreti su quattro, di quelli solo annunciati, non sono mai stati firmati. Questa l’eredità del nuovo governo, appena entrato in funzione: nessun passo avanti sul piano sanitario, e il 70% dei “ristori” rimasti tuttora nel cassetto. Servono soluzioni immediate: vaccini e (soprattutto) cure tempestive, a casa, per chi si ammala. Si sono persi 12 mesi. Ora si chiede l’ennesimo sacrificio, in arancione: serve altro tempo, per approntare finalmente le risposte giuste, rimediando al malgoverno dei cialtroni. E così è amarissima anche l’ultima birra, servita alle ore 19, tre ore prima che scatti l’assurdità del coprifuoco (ancora più surreale nelle nuove zone arancioni, dove neppure i bar apriranno più).Marisa strizza lo strofinaccio col quale laverà il pavimento per l’ultima volta. Sono le ore 19, e il bar è ancora aperto: un’ora dopo il limite stabilito, il dehors è affollato di avventori. Stanno seduti in modo ordinato, mantenendo le distanze. Sorseggiano l’ultima birra, l’ultimo Prosecco, ingollando qualche tartina. E’ una specie di cerimonia silenziosa: la solidarietà per i baristi, condannati alla chiusura imposta dalla cosiddetta zona arancione. E se passa una pattuglia, facendo notare che ai tavoli non dovrebbe più esserci nessuno? Pazienza: ci faremo verbalizzare – dicono – e spiegheremo che non riusciamo proprio a mandarla giù, questa ennesima chiusura suicida, decretata solo per via del mitico indice di contagio, in lievissima risalita in termini percentualmente infinitesimali. Mastica amaro anche Alfonso, pensionato, che fino a qualche mese fa era sostanzialmente tollerante verso le restrizioni: le comprendeva. Ora invece ha cambiato idea: non capisce perché, in zona gialla, i ristoranti aperti a pranzo debbano restare chiusi a cena. E men che meno digerisce l’idea di dover fare a meno del suo amato bar, se scatta la zona arancione.
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Rivoluzione: guarire, da casa. Draghi punta su Remuzzi
Smontare il Covid? Possibile: basta agire per tempo, sapendo quali farmaci usare. Non c’è bisogno dell’ospedale: ci si cura a casa, con potenti dosi di antinfiammatori. In questo modo, si impedisce alla patologia di esplodere e la si “spegne” sul nascere. Lo afferma il professor Giuseppe Remuzzi, direttore dell’istituto farmacologico Mario Negri di Milano. La notizia? Mario Draghi ha intenzione di “arruolarlo” come suo consulente speciale, facendone il Fauci italiano: uno stratega, in grado di spezzare l’incantesimo del Covid, finora rivelatosi un disastro per l’Italia (niente cure precoci, e corsa all’ospedale quando ormai è tardi, in molti casi). Il primo a rivelare il piano-Draghi è stato il “Foglio”, sottolineando la scelta di utilizzare Remuzzi. Attenzione: nei mesi scorsi, il professore (insieme a Fredy Suter, a lungo primario di malattie infettive all’ospedale di Bergamo) ha diffuso una sorta di protocollo per le cure precoci, destinato a istruire i medici di famiglia, mettendoli finalmente nelle condizioni di trasformare il Covid in un problema affrontabile da casa, in pochi giorni. Istruzioni finora mai recepite dal ministero della sanità.L’attuale protocollo-Covid è ancora «grottesco», come lo definisce il professor Pietro Luigi Garavelli, infettivologo e primario a Novara: le cure efficaci esistono (idrossiclorochina e colchicina, più eventualmente eparina), ma non sono state recepite dai gestori nazionali della sanità. «Ai pazienti alle prese coi primi sintomi si prescrive ancora l’inutile Tachipirina, lasciandoli in attesa a “friggere” nella loro febbre: in questo modo, non si fa nulla per contrastare il peggioramento, che poi gonfia i numeri dei ricoveri in emergenza», dicono i sanitari che assistono gratis i pazienti, attraverso associazioni come “Ippocrate”, che vantano il 100% di successi: tutte guarigioni ottenute senza bisogno di ospedalizzare nessuno. La terapia di Remuzzi è ancora più semplice: tanta vitamina D, e soprattutto antinfiammatori come il Nimesulide. Ma persino l’Aspirina (in dosi elevate) può bloccare l’evoluzione del Covid, scongiurando il pericolo. Sta dunque per cambiare la narrazione dell’emergenza, se Mario Draghi punta sul presidente dell’istituto Mario Negri? Sarà sfatato il tabù che ha finora impedito ai media di raccontare l’esistenza di terapie efficaci?Proprio l’adozione di un protocollo nazionale per le cure precoci domiciliari (finora clamorosamente mancato) potrebbe essere l’arma vincente per uscire dall’incubo. Certo, a pesare come un macigno sono i 12 mesi di ritardo accumulati dal governo Conte, grazie alla sciagurata gestione dell’emergenza affidata al ministro Speranza e al suo consulente Walter Ricciardi. Occorre altro tempo, per mettere a punto la contromossa definitiva? Per questo, probabilmente, lo stesso Draghi convalida la colorazione di arancione di molte Regioni, per il prossimo mese. Primo obiettivo, transitorio: limitare i contagi, trovando il modo (intanto) di arginare il problema con i vaccini, cioè reperendo milioni di dosi e reclutando personale sanitario e siti per le vaccinazioni in ogni angolo d’Italia. Insomma: fine delle storielle imbarazzanti, come le costosissime “primule” di Arcuri. La risposta vaccinale è quella che va per la maggiore, nel mondo: si spera che i “vaccini” mRna («che non sono veri vaccini, ma terapie geniche», precisa Garavelli) possano funzionare, almeno per qualche mese.Molti i dubbi, ovviamente: si teme che un innesto genetico come quello oggi in distribuzione (ancora sperimentale, e con grandi incognite sugli effetti collaterali a medio e lungo termine) possa rappersentare una soluzione solo momentaea, dovendo “inseguire” un virus Rna velocemente mutante. Strategica, invece, la risposta dei sanitari che hanno imparato a guarire i pazienti: vaccino o non vaccino, l’essenziale è sapere come fermare l’infiammazione in modo tempestivo. Se il governo Draghi adotterà questo approccio, raccomandando dai migliori medici italiani, è facile immaginare che il problema Covid sarà destinato a sparire dai titoli d’apertura dei telegiornali. L’importante è che il governo metta finalmente tutti i medici nelle condizioni di intervenire in modo risolutivo. Come? «Se abbiamo qualche sintomo che potrebbe essere riconducibile al Covid, non c’è tempo da perdere», premette “Qui Finanza”, citando un’intervista che Remuzzi ha rilasciato mesi fa a “Repubblica”. «Nessun falso allarmismo, ma soltanto buonsenso. Perché con questo virus non si scherza, e il tempo è una variante assolutamente determinante».Remuzzi e Suter hanno firmato lo scorso dicembre un documento indirizzato ai medici di famiglia: fondamentale per curarsi a casa in sicurezza «anche prima di avere la conferma, tramite tampone, che si tratti proprio di coronavirus». Il protocollo si basa sulla letteratura scientifica e sull’esperienza clinica matirata sul campo, in tutto il mondo: «Strumenti essenziali e semplici, alla portata di tutti, per spiegare come vengono curati i pazienti Covid a casa loro, minimizzando il rischio di ricovero in ospedale». La parola d’ordine è tempestività. «Prima agisci, più hai successo nell’evitare il ricovero», ha spiegato Remuzzi a “Repubblica”. «Moltissimi italiani che si curano a casa ci telefonano perché hanno problemi di assistenza, che poi li inducono a rivolgersi al pronto soccorso. Però non ci vanno subito, ma solo quando si è già instaurata una fase iper-infiammatoria, e allora magari la malattia evolve negativamente».Nei primi 2-3 giorni, quando la malattia è in fase di incubazione e si è presintomatici, inizia ad esserci una carica virale che sale, riassume “Qui Finanza”, sulla base del report di Remuzzi. Nei 4-7 giorni successivi, iniziano febbre e tosse e la carica virale diventa altissima. «Quello è il momento cruciale, ma è anche il momento in cui di solito non si fa niente, perché magari ci si limita a prendere l’antipiretico aspettando il tampone». Così, si può arrivare rapidamente al periodo di infiammazione eccessiva, quella che gli inglesi chiamano “hyper inflammation”, con sindrome respiratoria acuta: «E’ questa che mette le basi perché il virus arrivi ai polmoni, e lì si crei quella che gli immunologi chiamano “tempesta di citochine”, ovvero una reazione eccessiva del sistema immunitario che danneggia l’organismo». Un dramma che si può benissimo evitare, sostiene Remuzzi, se il medico di base sa come agire, da subito. Prevenire la fase di iper-infiammazione, dice Remuzzi, «è la cosa più importante in assoluto, per scongiurare un’evoluzione negativa della malattia».Ovviamente non si tratta di una “cura fai da te”: è una strategia da seguire a casa sotto controllo medico (a patto che il medico, appunto, sia stato finalmente ragguagliato sui farmaci da somministrare). Prima ancora, il professor Remuzzi raccomanda l’assunzione di vitamina D, a scopo preventivo: alza le difese immunitarie, e quindi riduce di molto la possibilità di inconvenienti seri. Quando invece la malattia dovesse manifestarsi, secondo Remuzzi il medico di famiglia dovrebbe visitare il paziente, a casa, almeno una prima volta, per impostare la terapia (per seguire l’evoluzione, basteranno contatti solo telefonici). Prima mossa: «Appena si avvertono i primi sintomi, occorre suggerire subito l’antinfiammatorio, mentre il paziente aspetta il tampone». Remuzzi spiega anche cosa non fare. E cioè: «Non seguire la solita trafila ma chiamare subito il medico, non prendere la Tachipirina mentre si aspetta il tampone, non aspettare altri giorni per i risultati del tampone».Quello che raccomandano Remuzzi e i suoi colleghi, aggiunge “Qui Finanza”, è di prendere vantaggio sul virus non appena si può. «Appena si avvertono i primissimi sintomi – come tosse, febbre, spossatezza, mal di testa, dolori ossei e muscolari – bisogna iniziare subito il trattamento, senza aspettare i risultati del tampone». Alle prime avvisaglie, «non bisogna assumere un antipiretico (come la Tachipirina) ma un farmaco antinfiammatorio, così da limitare la risposta infiammatoria dell’organismo all’infezione virale». Quali farmaci si possono prendere a casa, dietro prescrizione medica, prima dell’esito del tampone? «Quando la febbre supera i 37,3 gradi o se ci sono mialgie, dolori articolari o altri sintomi dolorosi, si possono assumere farmaci antinfiammatori chiamati “inibitori della ciclo-ossigenasi 2” (o Cox-2 inibitori), come il Celecoxib. Il medico può prescriverne, ovviamente se per quel paziente non ci sono controindicazioni, una dose iniziale di 400 milligrammi seguita da una di 200 nel primo giorno di terapia, e poi un massimo di 400 milligrammi per giorno nei giorni successivi, se necessario».Un altro farmaco Cox-2 inibitore, utile a prevenire l’infiammazione eccessiva, è il Nimesulide, il più famoso dei quali è l’Aulin. «In questo caso la dose consigliata è di 100 milligrammi due volte al giorno, dopo i pasti, per un massimo di 12 giorni». Se invece ci sono problemi o controindicazioni per il Celecoxib e il Nimesulide, «si può anche ricorrere all’Aspirina, anch’essa in grado di inibire Cox-2». La semplice Aspirina? Sì, certo: in dosi da 500 milligrammi, due volte al giorno, dopo i pasti. Poi: «Se c’è febbre persistente, dolori muscoloscheletrici o altri segnali di infiammazione, il dottore può prescrivere anche un corticosteroide, come il Desametasone: i corticosteroidi inibiscono molti geni pro-infiammatori che producono citochine». Uno studio sul Nimesulide, pubblicato sull’”International Journal of Infective Diseases”, dimostra che riduce le componenti della famosa “tempesta di citochine”.Un altro studio, pubblicato su “Anesthesia and Analgesia” rivela che «l’uso dell’Aspirina si associa a minor bisogno di ventilazione meccanica, minore necessità di essere ammessi in terapia intensiva e minore mortalità del paziente». Attenti, soprattutto, a non usare la Tachipirina: «La Società di Farmacologia francese ha trovato che l’utilizzo di paracetamolo, in persone che hanno forme avanzate della malattia, potrebbe persino nuocere, perché sottrae glutatione, antiossidante naturale prodotto dal fegato, sostanza importante per la capacità di difenderci dalle infezioni virali». Tutte notizie “lunari”, per il pubblico italiano, a cui giornali e televisioni – per un anno – hanno raccontato che dal Covid ci si “salva” solo all’ospedale, o ricorrendo al vaccino. Introdurre finalmente terapie precoci, gestibili da casa, significa compiere una sorta di “rivoluzione copernicana”, trasformando il Sars-Cov-2 (incluse le sue ovvie e continue “varianti”, essendo un virus Rna) in una patologia normalmente affrontabile, come tantissime altre. Il che permetterebbe di uscire davvero dall’incubo, mettendo fine all’allucinazione collettiva del panico e del distanziamento: se la malattia diventa curabile (e lo è già, come confermano Remuzzi e colleghi) l’emergenza non ha più ragione di esistere.https://quifinanza.it/info-utili/video/covid-antinfiammatori-ricovero-remuzzi/444694/Smontare il Covid? Possibile: basta agire per tempo, sapendo quali farmaci usare. Non c’è bisogno dell’ospedale: ci si cura a casa, con potenti dosi di antinfiammatori. In questo modo, si impedisce alla patologia di esplodere e la si “spegne” sul nascere. Lo afferma il professor Giuseppe Remuzzi, direttore dell’istituto farmacologico Mario Negri di Milano. La notizia? Mario Draghi ha intenzione di “arruolarlo” come suo consulente speciale, facendone il Fauci italiano: uno stratega, in grado di spezzare l’incantesimo del Covid, finora rivelatosi un disastro per l’Italia (niente cure precoci, e corsa all’ospedale quando ormai è tardi, in molti casi). Il primo a rivelare il piano-Draghi è stato il “Foglio”, sottolineando la scelta di utilizzare Remuzzi. Attenzione: nei mesi scorsi, il professore (insieme a Fredy Suter, a lungo primario di malattie infettive all’ospedale di Bergamo) ha diffuso una sorta di protocollo per le cure precoci, destinato a istruire i medici di famiglia, mettendoli finalmente nelle condizioni di trasformare il Covid in un problema affrontabile da casa, in pochi giorni. Istruzioni finora mai recepite dal ministero della sanità.
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Toti: come riaprire l’Italia oggi, proteggendo gli anziani
Ci risiamo: in assenza di soluzioni, si richiude l’Italia? Almeno per il mese di esordio, mentre il nuovo governo sta ancora completando il suo pieno insediamento, Mario Draghi sembra restare ostaggio della gestione Conte, riguardo all’emergenza sanitaria. E cioè: nessuna terapia precoce, nessuna efficace assistenza domiciliare. Dopo che si è perso l’intero 2020 senza fare un passo nella giusta direzione, ora si continua così: nell’immediato, l’unica risposta resta l’ospedale, che invece dovrebbe essere l’ultima spiaggia. E si spera soltanto nei vaccini, che ancora non sono disponibili in quantità sufficienti. Nel frattempo – come nei mesi scorsi – si espone l’economia al crollo. Tra chi protesta, spicca la voce del presidente della Liguria, Giovanni Toti: «Il governo Draghi deve realizzare un piano per le riaperture: soltanto così potremo convivere con il virus. Dai dati che ho – dice Toti – noi potremmo essere in zona gialla». Il problema? Sono i 21 parametri del Cts: «Vanno radicalmente modificati: ogni venerdì c’è la cabala dei numeri, un esercizio esoterico».Come modifiare i 21 parametri finora presi in considerazione? Al posto dell’Rt che esamina i sintomi, secondo Toti «dobbiamo considerare il tasso di ospedalizzazioni e ricoveri». Motivo: «Se non c’è pressione sulle strutture sanitarie, concentrarsi semplicemente sulla velocità di contagio non ha senso, e rischia di penalizzare oltremisura l’economia nazionale». Il presidente ligure ha suggerito a Mario Draghi di inserire i ministri economici nella cabina di regia che formulerà i prossimi decreti, «perché in questa fase – dice, in un’intervista a “Libero” – è urgente realizzare un piano che indichi come riaprire ristoranti e palestre in sicurezza». Matteo Salvini e Stefano Bonaccini convengono sulla necessità di riaprire i ristoranti a cena. «Lo dico da settimane: non c’è motivo per stare aperti a pranzo e non a cena: il virus non è un vampiro che si sveglia di notte. Si pongano vincoli al numero di coperti a seconda della fascia di colore, ma ai ristoratori va consentito di riaprire. Inoltre, con la bella stagione in tante parti d’Italia si può cenare all’aperto».Toti raccomanda di accelerare sui vaccini, ma in modo mirato: «Se mettiamo in sicurezza gli over 75 e le categorie fragili, potremo davvero tornare a vivere. Non serve l’immunità di gregge, basta immunizzare gli anziani». Spiega Toti: «Stiamo sacrificando intere generazioni di giovani, ai quali questo virus provoca al massimo una banale influenza, mentre non siamo in grado di proteggere chi di Covid muore». L’età media dei decessi Covid, aggiunge Toti, in Liguria è pari a 81,7 anni. «In realtà, continuiamo a tenere in casa i giovani in assenza di qualunque base scientifica, e senza calcolare i danni psicologici che seguiranno». La Liguria ha intrapreso iniziative intelligenti, selettive: «Abbiamo speso quattro milioni di euro per fornire buoni-taxi agli anziani affinché non prendessero i mezzi pubblici. Però, quando ho proposto l’orario differenziato su base anagrafica per l’accesso ai supermercati, si è sollevato un vespaio di polemiche». La filosofia è chiara: «Dovremmo proteggere i più vulnerabili, per consentire alle persone in età lavorativa di condurre una vita il più normale possibile».Ci risiamo: in assenza di soluzioni, si richiude l’Italia? Almeno per il mese di esordio, mentre il nuovo governo sta ancora completando il suo pieno insediamento, Mario Draghi sembra restare ostaggio della gestione Conte, riguardo all’emergenza sanitaria. E cioè: nessuna terapia precoce, nessuna efficace assistenza domiciliare. Dopo che si è perso l’intero 2020 senza fare un passo nella giusta direzione, ora si continua così: nell’immediato, l’unica risposta resta l’ospedale, che invece dovrebbe essere l’ultima spiaggia. E si spera soltanto nei vaccini, che ancora non sono disponibili in quantità sufficienti. Nel frattempo – come nei mesi scorsi – si espone l’economia al crollo. Tra chi protesta, spicca la voce del presidente della Liguria, Giovanni Toti: «Il governo Draghi deve realizzare un piano per le riaperture: soltanto così potremo convivere con il virus. Dai dati che ho – dice Toti – noi potremmo essere in zona gialla». Il problema? Sono i 21 parametri del Cts: «Vanno radicalmente modificati: ogni venerdì c’è la cabala dei numeri, un esercizio esoterico».
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Garavelli: non sono vaccini. Meglio le cure precoci, a casa
Per favore, non chiamateli vaccini: sono terapie geniche sperimentali, e non è detto che bastino a neutralizzare un virus Rna, difficilissimo da “inseguire” proprio perché mutante. Ma soprattutto: perché dannarsi tanto per questi controversi non-vaccini, quando ormai è assodato che per ridurre la minaccia Covid sono più che sufficienti le cure precoci da somministrare ai primi sintomi, lasciando i pazienti a casa ed evitando quindi la corsa agli ospedali? A uscire dal coro è il professor Pietro Luigi Garavelli, che dirige il reparto malattie infettive dell’Ospedale Maggiore di Novara, centro sanitario universitario. Che si arrivasse ai vaccini «era prevedibile, ma non in questo modo», protesta Garavelli, da sempre favorevole alle vaccinazioni ma più che perplesso su quelle progettate per il coronavirus. «Purtroppo, dovendo fare di necessità virtù e ritenendo di non avere altro in mano (le cure precoci domiciliari) la politica ha puntato tutto sulla vaccinazione». Un rimprovero preciso: se un anno fa si poteva comprendere lo sbandamento generale di fronte a un virus “nuovo”, «ora è imperdonabile» il caos che continua a regnare, tra i gestori dell’emergenza.Ormai, «del Sars-Cov-2 si conosce quasi tutto», inclusa «l’inefficacia dei lockdown». E i vaccini? Se non vengono rapidamente somministrati fanno presto a risultare inutili, secondo Garavelli, «perché il virus si replica e muta». Il professore giudica inammissibile che la politica trascuri l’importanza strategica delle terapie precoci, alcune con farmaci “aspecifici” come idrossiclorochina, ivermectina e colchicina, e altre con l’impiego di medicinali mirati come gli anticorpi monoclonali. Tutte terapie salva-vita, finora incredibilmente «soppiantate dalla grottesca indicazione a dare la Tachipirina», completamente inutile in caso di Covid. La battaglia – ribadisce Garavelli – non la si può vincere negli ospedali, dove i malati arrivano in condizioni già gravi. La vera trincea resta il territorio, finora gravemente trascurato: serve «la possibilità di fare diagnosi rapide negli studi medici e nelle farmacie». La verità è che, dopo un anno, l’Italia sembra rimasta all’età della pietra. Le cure esistono e funzionano, ma la politica le ignora. In compenso punta tutto sui nuovi vaccini sperimentali, che veri vaccini non sono.Quelli ora disponibili per tentare di immunizzarsi dal Covid, dice Garavelli, sono tutti a base di mRna: «Difficile definirli vaccini: forse è più corretto denominarli “terapie geniche”». Interessanti? Sì: «Sono totalmente innovativi, nella filosofia di immunizzazione». Ma attenzione: «In altri momenti sarebbero stati immessi con prudenza», cioè secondo il “principio di precauzione”, per scoprire se funzionano davvero e se non rappresentano un pericolo per le persone vaccinate. Ora, invece, «dopo un breve periodo di sperimentazione su categorie selezionate», questi non-vaccini sono stati utilizzati su larga scala, «ed è accaduto quello che poteva essere previsto». Ovvero: «In tutto il mondo, tranne che dai “giornaloni”, sono segnalati tutta una serie di effetti collaterali precoci, che ha portato in alcune situazioni al blocco della campagna vaccinale stessa». A questo dato, prosegue l’infettivologo, si aggiunga «la mancata conoscenza» di troppi elementi, per esempio «gli effetti collaterali a breve e lungo termine». Inoltre, non si sa «quanta parte della popolazione sarà immunizzata, e quanto a lungo».Secondo il professor Garavelli, non si conosce ancora «la reale efficacia nel prevenire l’infezione e la malattia, che sono cose diverse», visto che la maggior parte dei contagiati è asintomatica. Non solo: la comparsa di vari ceppi virali, sotto la pressione anche degli stessi vaccini, potrebbe rendere «poco utili» questi farmaci, la cui produzione peraltro procede a rilento, così come la loro distribuzione in Italia. Uno spiraglio forse si avrà nei prossimi mesi: «A breve arriveranno vaccini più classici, costruiti con le metodiche tradizionali, più rassicuranti per un vecchio infettivologo come me, convinto pro-vax», dice Garavelli. Ma intanto, «dato che la vaccinazione procede lentamente, escludendo larghe fasce di popolazione (quelle socialmente attive e produttive), da cittadino e da medico mi chiedo perché si debba fare il piano vaccinale imposto dalle autorità, direi il “vaccino di Stato”, e non consentirne invece la libera scelta, sotto la guida di medici esperti, magari con un acquisto in proprio. In fin dei conti, è in gioco la salute. E in questo campo si deve poter volere ciò che si ritiene il meglio».Pochi segreti, ormai, sul Sars-Cov-2: è un virus Rna estremamente mutevole, che può eludere il nostro sistema immunitario (grazie alle sue continue “varianti”, note da subito), causando «reinfezioni, riattivazioni e forme croniche», e capace anche di «rendere inefficaci i vaccini, a meno che questi vengano rapidamente aggiornati». In ogni caso, sottolinea il professor Garavelli, il nostro sistema immunitario «si trova a combattere una battaglia estremamente difficile e complessa, dall’esito incerto». Secondo il medico, «l’immunità di gregge, naturale o post-vaccinale, non sarà in grado di contenere la pandemia». E quindi, «prima di trovarsi con un pugno di mosche in mano e la gente disillusa e inferocita, urge sempre più pensare ad un approccio combinato di tipo comportamentale e di terapie precoci a domicilio, essendoci la disponibilità di farmaci, ora arricchitasi coi monoclonali». Domanda retorica: «Dato che le nozioni sopra riportate sono ben note agli specializzandi di malattie infettive, perché questo settore è silenzioso?».«Mi è stato detto che sono pessimista», si sfoga Garavelli su Facebook. «Semplicemente, mi sono rotto: oltre che fisicamente, anche moralmente». La situazione non è allegra: «Si “colorano” le Regioni, mentre forse agli italioti farebbe bene un po’ di educazione sanitaria, affinché non sembrino pecore al pascolo quando viene concesso il quarto d’ora d’aria». Per fortuna, aggiunge l’infettivologo, si sta avvicinando la bella stagione: «Col caldo, il Sars-Cov-2 ridurrà la sua capacità di trasmissione: alla faccia di lockdown e vaccini». Con il prossimo autunno scomparirà? «E’ scarsamente probabile», visto che si tratta di una patologia «divenuta endemica, da ceppi virali mutanti e subentranti con periodiche riaccensioni epidemiche». Conclude Garavelli: «Mi auguro che per allora accada un miracolo, cioè che si diventi più pragmatici si accetti il Covid-19 una infezione con mediocre mortalità e cure sempre più efficaci. Altrimenti, leggere sempre le stesse cose senza risolvere nulla è veramente fonte di rottura morale, tale da invidiare gli eremiti che nulla hanno a che fare con la pazza folla».Per favore, non chiamateli vaccini: sono terapie geniche sperimentali, e non è detto che bastino a neutralizzare un virus Rna, difficilissimo da “inseguire” proprio perché mutante. Ma soprattutto: perché dannarsi tanto per questi controversi non-vaccini, quando ormai è assodato che per ridurre la minaccia Covid sono più che sufficienti le cure precoci da somministrare ai primi sintomi, lasciando i pazienti a casa ed evitando quindi la corsa agli ospedali? A uscire dal coro è il professor Pietro Luigi Garavelli, che dirige il reparto malattie infettive dell’Ospedale Maggiore di Novara, centro sanitario universitario. Che si arrivasse ai vaccini «era prevedibile, ma non in questo modo», protesta Garavelli, da sempre favorevole alle vaccinazioni ma più che perplesso su quelle progettate per il coronavirus. «Purtroppo, dovendo fare di necessità virtù e ritenendo di non avere altro in mano (le cure precoci domiciliari) la politica ha puntato tutto sulla vaccinazione». Un rimprovero preciso: se un anno fa si poteva comprendere lo sbandamento generale di fronte a un virus “nuovo”, «ora è imperdonabile» il caos che continua a regnare, tra i gestori dell’emergenza.
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Corsa contro il tempo: Draghi e la liberazione dell’Italia
Saranno delusi, i tanti italiani che avevano sperato – con l’arrivo di Mario Draghi a Palazzo Chigi – di veder sparire da subito almeno alcuni dei simboli più deteriori dell’emergenza, come l’increscioso coprifuoco alle ore 22 (misura “di guerra”, difficilmente compatibile con l’ordinamento democratico costituzionale). Meno sorprendente, invece, la proroga del divieto di spostamento tra Regioni: una concessione transitoria al “partito del rigore”, in cambio della rinuncia a imporre l’ennesimo, catastrofico lockdown, invocato a gran voce dai falchi come Walter Ricciardi, appena premiato da Papa Bergoglio con la nomina nella Pontificia Accademia della Vita. Succede in Italia, il paese sull’orlo del baratro dove la politica si è arresa al super-tecnocrate Draghi, e dove Marco Travaglio offre la seguente spiegazione, destinata all’infanzia: uno “sfasciacarrozze” con appena il 2% del consensi (Renzi) ha osato mandare a casa il governo più bello del mondo, guidato dal leader più carismatico della storia nazionale, stracarico di onori e successi, invidiatoci dal resto del pianeta.Su altri organi del mainstream, invece, la musica sta cambiando: in un solo giorno, il 23 febbraio, la “Repubblica” degli Agnelli-Elkann (ben equipaggiati da Conte con iniezioni di miliardi e persino lucrose commesse per produrre mascherine) riesce a presentare nell’edizione online ben tre titoli dissonanti, rispetto alla canzone intonata nel 2020, per un anno intero. Primo titolo: meglio 4 persone al ristorante che 24 a casa, dice il presidente della Lombardia, il leghista Attilio Fontana. Accanto a Fontana, le mascherine sotto accusa: la metà delle Ffp2 cinesi è irregolare e non protegge dal virus. Ristoranti protagonisti anche nel terzo titolo, stavolta con l’aggiunta di un video: i carabinieri si sono tolti il casco per solidarietà coi ristoratori, affluiti a piazza Montecitorio per protestare contro la perdurante chiusura serale dei locali. C’è anche un quarto titolo, che menziona un altro leghista, il ministro Giorgetti: ha convocato le aziende farmaceutiche nazionali per impostare la produzione italiana dei vaccini e quindi accelerare il piano vaccinale.Scontato anche questo, purtroppo: i vaccini vengono presentati come l’unica possibile via d’uscita, oggi, per mettere fine a un’emergenza anomala, largamente gonfiata da numeri controversi e sicuramente aggravata dalla devastante negligenza del precedente governo-meraviglia, quello rimpianto da Travaglio: se si lasciano i malati a casa senza cure per giorni, poi è inevitabile che sugli ospedali (già in affanno per i tagli degli ultimi anni) si riversi una massa ingente di pazienti ormai gravi. Mentre Travaglio dormiva, infatti, nel 2020 è accaduto esattamente questo: il ministero della sanità ha regolarmente ignorato i medici che segnalavano la scoperta di terapie efficaci, tranquillamente somministrabili a domicilio. E il ministro (anziché usare l’estate per attrezzare una adeguata risposta territoriale in autunno, sulla base dei farmaci disponibili) ha perso tempo a scrivere un libro grottesco e auto-celebrativo, che poi non ha neppure osato far distribuire nelle librerie. Una delle maggiori iatture, per gli italiani, è che il ministro di Conte sia rimasto al suo posto, almeno per ora, anche con Draghi.A parte Travaglio e la fascia più puerile dei lettori, a pochi è sfuggito il senso dell’operazione-Draghi: recuperare il Parlamento, con l’appoggio del maggior numero possibile dei partiti. Obiettivo: consentire una loro possibile riabilitazione, dopo i disastri che hanno commesso, facendo infatti registrare due record europei (quello delle vittime del Covid e quello delle vittime socio-economiche dello stato d’emergenza, abbandonate al loro destino da un governo incapace di tamponare le falle). Ora si favoleggia dei 209 miliardi del Recovery Plan, che Conte non era riuscito a presentare in modo credibile. Ma 200 miliardi di euro erano il “minimo sindacale” che serviva all’Italia, già prima del Covid, per rimettersi in piedi. Nel solo 2020, poi, Conte è riuscito a bruciare 160 miliardi (in gran parte forniti dalla Bce) per misure non risolutive, destinate a tradursi in quello che Draghi chiama “debito cattivo”, cioè pesante e improduttivo.Sempre i più sprovveduti possono immaginare che Draghi sia stato richiamato in servizio solo per non sprecare almeno i 209 miliardi in arrivo: ma si tratta di una minima parte del suo mandato. La prima riguarda la pandemia. Tema: come uscire, alla velocità della luce, dall’emergenza. Il sistema mondiale (che ha sovragestito il Covid fin dall’inizio) ha già pronta la risposta: se ne esce solo coi vaccini. Ovvio l’atteggiamento di Draghi: facciamo in modo, allora, che questi vaccini vengano finalmente forniti, in modo da poter dichiarare cessato l’allarme. E’ evidente che i vaccini possono essere una soluzione solo tattica e contingente (oggi pressoché inevitabile, per Draghi, dopo un anno vissuto a senso unico). Ma non è scritto da nessuna parte che si debba trattare col vaccino un virus super-influenzale. E se domani ne comparisse un altro? Il precedente è pericoloso: se irrompe un virus all’anno, la medicina rinuncia a curare i malati e ripiega sui soli vaccini, la cui efficacia e sicurezza è ancora da dimostrare? E’ evidente la manipolazione in atto, su scala planetaria, che mira a ridurre la nostra libertà. Se arrivano il Covid-20, poi il 21, il 22 e così via, che si fa? Ogni volta si chiude il paese per un anno, pregando che arrivi il salvifico vaccino?Solo un cieco può non vedere il gioco perverso, l’oculata regia che sovrintende alla malagestione della cosiddetta pandemia, declinata come una sorta di “golpe bianco”, su scala mondiale, da filiere di potere che in questi decenni hanno imposto le crisi finanziarie, gli opachi terrorismi domestici, le peggiori guerre imperiali e l’esplosione del business vaccinale di Big Pharma, accanto ad altri spettacolari fenomeni come l’illusionismo climatico, utilizzato per lanciare l’ultima versione della mondializzazione, in salsa “green”, sotto il ferreo controllo delle multinazionali finanziarie. Con il Covid, il super-potere neoliberista ha giocato particolarmente sporco, provando cioè ad approfittare del panico mediatico-sanitario per imporre restrizioni a carattere tendenzialmente permanente, dalla didattica alla distanza al telelavoro, trasformando il distanziamento (sanitario, sociale, antropologico) in condizione post-umana a cui rassegnarsi. E tutto questo, per via di un virus che – a detta degli scienziati – è altamente contagioso ma scarsamente letale, nella maggior parte dei casi asintomatico o curabile con facilità.Sfrattata dalla storia, negli ultimi decenni l’Italia è scivolata nelle ultimissime posizioni del G20: cacciata dalla Libia, maltrattata dall’Unione Europea. Siamo il paese a cui Emmanuel Macron (ricevuto coi massimi onori in Vaticano) scaricava migranti, dopo averli fatti manganellare dalla polizia, salvo poi definire “disgustosa” la politica del Salvini di ieri, quello “gialloverde”. Oggi, è come se le lancette del conto alla rovescia di fossero fermate. I fobici – che non capiscono perché Draghi sieda a Palazzo Chigi – temono che l’ex capo della Bce si trasformi nello spietato liquiditatore di quel che resta del paese (come se non vedessero che bastava Conte, semmai, a garantire all’Italia la rovina terminale). Sistemata l’emergenza – per ora solo con i vaccini, purtroppo – Draghi dovrà certo fornire una versione sensata del Recovery. Ma non sarà che un primissimo passo, verso la vera posta in gioco: cancellare il paradigma del rigore, giocando sul filo dell’equivoco, di fronte a un mostro come l’eurocrazia (da cui Draghi, non a caso, proviene).In altre parole: l’Italia sembra un avamposto della possibile resistenza, planetaria, contro il “golpe-fantasma”, condotto attraverso la sovragestione dell’emergenza sanitaria. Impossibile uscirne in pochi giorni. Ma, come paiono suggerire gli stessi carabinieri a Montecitorio, nel frattempo occorrono anche gesti forti, di rottura: come ad esempio la riapertura in sicurezza dei ristoranti, al più presto, prima che il collasso dell’economia diventi irreversibile. Si tratta di una corsa contro il tempo: non è possibile “convertire” in pochi giorni gli stessi partiti che, fino a ieri, fingevano di credere (insieme ai Travaglio di tutta penisola) che la crisi fosse inevitabile, così come la resa di fronte al Covid, tradotta in termini di lockdown, a costo di affondare il paese. La scommessa di Draghi, probabilmente, si giocherà nel giro di poche settimane: limitare i danni, azzerare il panico, indurre i media a raccontare un’altra storia. E prepararsi allo scontro, quello vero: contro le baronie feudali del Nord Europa, che temono il risveglio dell’Italia.Saranno delusi, i tanti italiani che avevano sperato – con l’arrivo di Mario Draghi a Palazzo Chigi – di veder sparire da subito almeno alcuni dei simboli più deteriori dell’emergenza, come l’increscioso coprifuoco alle ore 22 (misura “di guerra”, difficilmente compatibile con l’ordinamento democratico costituzionale). Meno sorprendente, invece, la proroga del divieto di spostamento tra Regioni: una concessione transitoria al “partito del rigore”, in cambio della rinuncia a imporre l’ennesimo, catastrofico lockdown, invocato a gran voce dai falchi come Walter Ricciardi, appena premiato da Papa Bergoglio con la nomina nella Pontificia Accademia della Vita. Succede in Italia, il paese sull’orlo del baratro dove la politica si è arresa al super-tecnocrate Draghi, e dove Marco Travaglio offre la seguente spiegazione, destinata all’infanzia: uno “sfasciacarrozze” con appena il 2% del consensi (Renzi) ha osato mandare a casa il governo più bello del mondo, guidato dal leader più carismatico della storia nazionale, stracarico di onori e successi, invidiatoci dal resto del pianeta.
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Italia riaperta in due mesi, o Draghi si scordi il Quirinale
«Se per il Primo Maggio l’Italia non sarà stata riaperta, Mario Draghi potrà scordarsi di essere eletto al Quirinale nel 2022». Parole dure, quelle che il presidente del Movimento Roosevelt rivolge al nuovo capo del governo, invitandolo a sbarazzarsi in tempi brevi dei “fanatici” delle restrizioni-Covid. «Se non altro – rivela Gioele Magaldi – in questi giorni abbiamo ottenuto una prima vittoria: al termine di un aspro confronto dietro le quinte, è stata infatti scongiurata l’adozione di un nuovo lockdown. La chiusura genaralizzata era invocata a gran voce dalla potente fazione che, per bocca di personaggi come Walter Ricciardi, preme per richiudere nuovamente in casa gli italiani». Notoriamente, Magaldi è di avviso opposto: «Occorre rimuovere le restrizioni, a cominciare dal coprifuoco, e in definitiva riaprire il paese: i ristoranti devono poter tornare a lavorare anche a cena. Viceversa l’economia collasserà, e Mario Draghi il Quirinale lo vedrà solo col binocolo».Per Magaldi, non c’è più tempo da perdere: «Ulteriori limitazioni alla libertà di movimento comporterebbero il crollo irreversibile dell’economia, inficiando in tal modo la stessa missione di Draghi, che vorrebbe risollevare l’Italia». La situazione si è ormai fatta drammatica: «Si spera molto nei 209 miliardi del Recovery Fund, come se fossero chissà quale manna. Ma in realtà, nel 2020, il governo Conte ha già speso qualcosa come 160 miliardi, sprecandone buona parte in “debito cattivo”». Sotto la lente dei magistrati ora c’è l’operato del super-commissario Domenico Arcuri. «Sarà travolto dagli scandali che stanno montando, e che sono evidenti», dice Gianfranco Carpeoro, altro dirigente del Movimento Roosevelt, lasciando intendere che Draghi non vorrà certo lasciarsene coinvolgere: sostituirà Arcuri, o comunque non gli rinnoverà il mandato, che scade a fine marzo. Sempre secondo Carpeoro, Draghi «sarà costretto a rimuovere anche il ministro Speranza».Magari il cambio della guardia al ministero della sanità non si verificherà subito, dovendo trovare il modo di non irritare Leu, ma a quanto pare si tratta di una scelta inevitabile: Speranza dovrà comunque essere “licenziato”, «specie dopo quello che ha combinato alle imprese degli impianti sciistici: le ha illuse di poter aprire, le ha incoraggiate a sostenere grandi spese per l’apertura in sicurezza e poi, all’ultimo minuto, le ha beffate». Per Carpeoro, la situazione è critica: «Non avendo investito da subito in trattamenti terapeutici, siamo arrivati a una specie di imbuto, di cul de sac, lasciando ai soli vaccini la possibilità di farci uscire dall’emergenza. Ormai – dice – dipende tutto dai vaccini, perché la scelta di questa società è stata quella di affidarsi esclusivamente alle vaccinazioni. C’erano alternative? Andavano percorse per tempo, ma non è stato fatto. Al paese, anzi, sono stati inflitti danni devastanti. Oggi – ribadisce Carpeoro – non ci restano che i vaccini: speriamo che siano efficaci, e che siano sufficienti per immunizzare la popolazione».La pensa così anche Magaldi, che esprime rammarico per la sconsiderata gestione italiana dell’emergenza sanitaria: «Evitando di curare tempestivamente i malati, innanzitutto nelle loro case, si è registrato l’assalto agli ospedali da parte di pazienti ormai gravi». Una gravissima negligenza, che ha finito con l’esasperare l’allarme pandemico, anche gonfiando i numeri, su cui si è speculato grazie alla complicità dei media che hanno alimentato il “terrorismo sanitario” dell’ultimo anno. «Si ritiene che l’unica soluzione oggi possa essere rappresentata dai vaccini? Benissimo: e allora si proceda celermente con le vaccinazioni, per raggiungere nel più breve tempo possibile l’immunità di gregge, per la quale gli esperti sostengono che basterebbe vaccinare il 60-70% della popolazione». Insiste Magaldi: «Quello che non è accettabile è che l’attesa si protragga: non è tollerabile che le restrizioni si prolunghino fino a maggio, perché a quel punto l’economia italiana collasserebbe in modo definitivo».Autore del bestseller “Massoni”, Magaldi è un esponente italiano del network massonico progressista, che ha salutato con favore il tentativo di Draghi. Al nuovo governo, il leader “rooseveltiano” formula però una richiesta precisa: mettere fine allo stato d’emergenza entro il 1° maggio. «Il giorno della Festa dei Lavoratori, e nel nome di chi ormai il lavoro l’ha perso – annuncia – il Movimento Rooselt terrà un’assemblea nazionale, a Roma, che culminerà con un raduno a piazza Campo dei Fiori, attorno alle ore 23, speriamo per festeggiare il ritorno alla libertà e la fine delle misure incostituzionali che hanno devastato il paese senza neppure riuscire ad arginare il Covid».Lo stesso Movimento Roosevelt è reduce da una prima uscita notturna, proprio a Campo dei Fiori, lo scorso 17 febbraio, per protestare contro i reiterati lockdown e chiedere innanzitutto la riapertura serale di bar e ristoranti. «Siamo stati oggetto di una gravissima disinformazione a mezzo stampa, che ha stravolto il senso della nostra iniziativa: si è addirittura accusato il Movimento Roosevelt di essere “negazionista”». Magaldi evoca i reati di diffamazione e falso ideologico. «Abbiamo scoperto – aggiunge – che i giornali sono stati indotti in errore da un comunicato dell’ufficio stampa della Questura di Roma: diamo tempo a tutti (media e istituzioni) di rettificare e offrire le loro scuse. In caso contrario, però, denunceremo in sede giudiziaria le testate coinvolte e anche la Questura». Il governo Draghi? Ben venga, ribadisce Magaldi: sulla carta, potrà davvero rianimare il sistema-paese. Ma ad una precisa condizione: che metta fine, entro due mesi, all’orrore dei lockdown, del coprifuoco e delle inutili restrizioni che stanno letteralmente uccidendo l’Italia.«Se per il Primo Maggio l’Italia non sarà stata riaperta, Mario Draghi potrà scordarsi di essere eletto al Quirinale nel 2022». Parole dure, quelle che il presidente del Movimento Roosevelt rivolge al nuovo capo del governo, invitandolo a sbarazzarsi in tempi brevi dei “fanatici” delle restrizioni-Covid. «Se non altro – rivela Gioele Magaldi – in questi giorni abbiamo ottenuto una prima vittoria: al termine di un aspro confronto dietro le quinte, è stata infatti scongiurata l’adozione di un nuovo lockdown. La chiusura genaralizzata era invocata a gran voce dalla potente fazione che, per bocca di personaggi come Walter Ricciardi, preme per richiudere nuovamente in casa gli italiani». Notoriamente, Magaldi è di avviso opposto: «Occorre rimuovere le restrizioni, a cominciare dal coprifuoco, e in definitiva riaprire il paese: i ristoranti devono poter tornare a lavorare anche a cena. Viceversa l’economia collasserà, e Mario Draghi il Quirinale lo vedrà solo col binocolo».