Archivio della Categoria: ‘segnalazioni’
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La strage dei bambini, orrendo tabù avvolto dal silenzio
Bambini da uccidere, sacrificare, persino mangiare. Mentre spariscono ogni anno centinaia di minori, in parte forse destinati anche alla potentissima rete internazionale dei pedofili, una ricercatrice come Lara Pavanetto, a margine del suo libro “Streghe o vittime?” (Filippi editore), in una riflessione sul suo blog si sofferma sul sinistro mistero che nasconde il vero destino di tanti, troppi bambini, nella storia della nostra civiltà. «Di tutti i gruppi sociali che formavano le società del passato, i bambini sono quello più misterioso», scrive. «Raramente si vedono nei documenti, mai si sentono. Un misterioso silenzio circonda la moltitudine dei neonati, bambini e adolescenti che pure hanno vissuto. I resti fossili dei popoli antichi e medievali appartengono quasi totalmente ad adulti, i bambini sembrano non aver lasciato traccia alcuna. E’ difficile sapere qualcosa sulla vita dei bambini, ancora più difficile è conoscerne qualcosa riguardo la morte. Ma spesso morte e vita erano due facce della stessa medaglia, intimamente legate; soprattutto la morte dei bambini, fino ad oggi, è e rimane un tabù che nasconde molto».Anticamente, scrive Pavanetto, la pratica dell’abbandono era assai frequente, e spesso finiva per significare la morte del bambino: «Tuttavia questa naturale prospettiva non è mai citata né dalle fonti letterarie né da quelle storiche». E soltanto una volta, nel corpus di testi giuridici che si occupano dell’abbandono, si allude alla morte degli “esposti”. «Nelle fonti letterarie questi bambini non muoiono mai, nessuno storico cita la morte di esposti e mostra preoccupazione per la loro salvezza. Nessuna fonte menziona cadaverini da seppellire. Soltanto i moralisti e gli oratori sollevano qualche dubbio sulla loro fine». Nella Bibbia, il sacrificio dei bambini agli dèi è «proibito, condannato o menzionato con disprezzo in molti passi», eppure nel Libro dei Re si menziona Moloch (un dio pagano?) che richiede l’uccisione di bambini. Idem in Geremia e forse nel Levitico. Sempre nei Re «si parla anche di sacrifici di bambini con il fuoco». I bambini «erano un dono prezioso per gli déi», ma evidentemente «non abbastanza per i genitori». Il re Moab sacrifica il primogenito sulle mura della città come segno di lutto (Re). E in un altro testo biblico, (Giudici) Iefte «uccide la sua unica figlia per adempiere un voto fatto al Signore». Sarà poi “Dio” stesso a richiedere ad Abramo (Genesi), il sacrificio estremo del figlio: Abramo è pronto a farlo, sarà solo “Dio” a fermarlo.«Ma, nelle sacre scritture, si parla anche di genitori che mangiano i loro figli», aggiunge Lara Pavanetto, che spiega: si tratta di «un topos non isolato, che ricorre anche nella letteratura antica». C’è il Faraone, che tenta di uccidere tutti i figli maschi degli ebrei (Esodo). «Poi si aggiungono alcuni passi davvero eloquenti che parlano di forme di infanticidio più generali». Si legge nel Libro dei Re: «Sfracellerai i loro lattanti e squarcerai le loro donne incinte». E nei Salmi: «Beato chi prenderà i tuoi pargoli e li sbatterà contro la pietra». Un intellettuale come Filone, filosofo ebreo di lingua greca vissuto ad Alessandria nel primo secolo, «poneva sullo stesso piano l’infanticidio e l’abbandono, descrivendo anche i metodi abitualmente usati per sopprimere un bambino: soffocamento o annegamento». In epoca medievale, «sia gli eretici che gli stranieri sono accusati nelle fonti contemporanee di rapire, uccidere, violentare e addirittura mangiare i bambini: Anna Comnena affermava che i Normanni erano soliti arrostire i bambini sugli spiedi».In diverse parti della Grecia, in epoca micenea o minoica, e in epoche ancora posteriori, in Egina, Attica, Argolide, Melos e Creta, si usava seppellire i morti in casa, in vasi di terracotta interrati nel pavimento, specie nel caso dei fanciulli, «forse per tenere gli amati resti più vicini a sé, o forse sperando che l’anima si reincarnasse ancora». In alcune zone dell’India, continua Pavanetto, questa pratica funebre riguardava soprattutto i bambini nati morti, seppelliti sotto la soglia di casa «sperando appunto che il fanciullo rinascesse in famiglia, nuovamente». Tutte queste usanze «nascono proprio dalla credenza che i morti rinascano nei fanciulli: i Taolnla, indiani, quando nasce un bambino cercano di accertare quale dei loro antenati ha fatto ritorno; così, appena nasce un bambino, subito ci si affanna nel cercare qualche somiglianza: la mamma, il papà, lo zio, i nonni, i bisnonni». In pratica, presso quella popolazione, l’idea è che il bambino venga da un “al di là” sconosciuto e misterioso, e sia dunque portatore di qualcosa di antico e misterioso, che in lui si rivela.«Quando il bambino nasce morto – racconta Lara Pavanetto – la sua non presenza è ancora più misteriosa: gli Inuit credono che le anime dei bambini, specie di quelli nati morti, possano rendere grandi servigi ai cacciatori, sempre in pericolo di morte loro stessi». Così, proprio «per assicurarsi il loro aiuto spirituale», gli Inuit «non esitavano ad uccidere un bambino». Ma il delitto doveva rimanere segreto, facendo in modo di nascondere la vittima perché nessuno sapesse dell’infanticidio. «Così, dopo aver messo al sicuro il cadaverino, lo si faceva seccare per poi metterlo in un sacchetto che il cacciatore portava con sé quando andava in mare con la sua canoa». Lo spirito del fanciullo, avendo la vista molto acuta, la “vista dei morti”, lo avrebbe aiutato a trovare la preda e dirigere la sua lancia per non fallire un colpo. «I morti bambini aiutano: nella caccia, nella guerra». Lo confermano i Batak dell’isola di Sumatra, che avevano «bisogno proprio degli spiriti dei fanciulli, perché li precedano nei combattimenti, spianando loro la strada dagli spiriti del nemico».Il minore, aggiunge Pavanetto, in quel caso veniva appositamente “comprato” o rapito, trascinato nella foresta lontano dal villaggio e seppellito vivo, in piedi, lasciandogli fuori solo la testa. «Per quattro giorni lo nutrivano solo con riso condito con pepe e sale, per aumentarne la sete, mentre gli chiedevano continuamente se voleva benedirli e aiutarli in guerra. Il quarto giorno gli uomini più importanti del villaggio si radunavano attorno a lui e cercavano di estorcergli la promessa di benedizione e aiuto». Appena la vittima cedeva, promettendo che il suo spirito li avrebbe protetti, «l’uomo che gli stava alle spalle gli rovesciava la testa all’indietro e gli versava piombo fuso in bocca: così il fanciullo non poteva più rimangiarsi la promessa fatta». Grazie a una morte così tremenda, lo spirito del fanciullo «diventava un demone maligno». Essendo legato alla promessa di non nuocere ai suoi assassini, avrebbe riversato la sua vendetta soltanto sul nemico. «E perché la vedetta fosse ancora più efficace, estraevano dal corpo del fanciullo delle parti del cervello, di cuore e di fegato, e con questi macabri ingredienti preparavano un unguento che poi introducevano in una bacchetta magica che era portata in battaglia alla testa delle truppe: così l’anima del fanciullo morto marciava alla loro testa contro il nemico».Bambini da uccidere, sacrificare, persino mangiare. Mentre spariscono ogni anno centinaia di minori, in parte forse destinati anche alla potentissima rete internazionale dei pedofili, una ricercatrice come Lara Pavanetto, a margine del suo libro “Streghe o vittime?” (Filippi editore), in una riflessione sul suo blog si sofferma sul sinistro mistero che nasconde il vero destino di tanti, troppi bambini, nella storia della nostra civiltà. «Di tutti i gruppi sociali che formavano le società del passato, i bambini sono quello più misterioso», scrive. «Raramente si vedono nei documenti, mai si sentono. Un misterioso silenzio circonda la moltitudine dei neonati, bambini e adolescenti che pure hanno vissuto. I resti fossili dei popoli antichi e medievali appartengono quasi totalmente ad adulti, i bambini sembrano non aver lasciato traccia alcuna. E’ difficile sapere qualcosa sulla vita dei bambini, ancora più difficile è conoscerne qualcosa riguardo la morte. Ma spesso morte e vita erano due facce della stessa medaglia, intimamente legate; soprattutto la morte dei bambini, fino ad oggi, è e rimane un tabù che nasconde molto».
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Levin: gli Usa hanno interferito nelle elezioni in 45 paesi
Mentre infuriano le polemiche per le (del tutto presunte) interferenze russe nelle elezioni presidenziali americane, “Vocativ” commenta una recente ricerca in cui si contano almeno 81 casi di interventi americani in 45 paesi, dal dopoguerra ad oggi, volti a condizionare l’esito delle elezioni politiche. E questo, senza contare i colpi di Stato militari promossi e organizzati dalla Casa Bianca. Scrive “Voci dall’Estero”: «Il motivo per cui – fingiamo pure che il fatto sussista – un certo establishment americano sta gridando allo scandalo e rialzando una cortina di ferro, non è altro che quello che lo stesso establishment americano ha sempre fatto verso il resto del mondo». Lo conferma un recentissimo studio, che mostra che l’America ha una lunga storia di ingerenze nelle elezioni in paesi stranieri, sintetizza Shane Dixon Kavanaugh su “Vocative”, prendendo spunto dalla clamorosa propaganda di Obama contro la Russia: 35 diplomatici espulsi e la richiesta di nuove sanzioni, in risposta a ciò che gli Usa ritengono essere una serie di cyber-attacchi condotti da Mosca durante la campagna presidenziale. Peccato che questa specialità – il pilotaggio delle elezioni altrui – sia un talento squisitamente statunitense.Per la Cia, il Cremlino avrebbe tentato di aiutare Donald Trump a conquistare la presidenza? «Eppure, nessuno dei due paesi può dirsi estraneo a tentativi di ingerenza nelle elezioni di altri paesi». Gli Stati Uniti, per di più, vantano record ineguagliati in questo campo: «Hanno una storia lunga e impressionante di tentativi di influenzare le elezioni presidenziali in altri paesi», scrive Shane Dixon Kavanaugh, in un post ripreso da “Voci dall’Estero” in cui si documentano i risultati del recente studio condotto da Dov Levin, ricercatore in scienze politiche dell’Università Carnegie-Mellon di Pittsburgh, Pennsylvania. E’ un fatto: gli Usa hanno «cercato di influenzare le elezioni in altri paesi per ben 81 volte tra il 1946 e il 2000». Spesso lo hanno fatto «agendo sotto copertura», con tentativi che «includono di tutto: da agenti operativi della Cia che hanno portato a termine con successo campagne presidenziali nelle Filippine negli anni ’50, al rilascio di informazioni riservate per danneggiare i marxisti sandinisti e capovolgere le elezioni in Nicaragua nel 1990». Facendo la somma, calcola Levin, gli Usa avrebbero condizionato le elezioni in non meno di 45 paesi in tutto il mondo, durante il periodo considerato. E nel caso di alcuni paesi, come l’Italia e il Giappone, gli Stati Uniti hanno cercato di intervenire «in almeno quattro distinte elezioni».I dati di Levin, aggiunge Shane Dixon Kavanaugh, non includono i golpe militari o i rovesciamenti di regime che hanno seguito l’elezione di candidati contrari agli Stati Uniti, come ad esempio quando la Cia ha contribuito a rovesciare Mohammad Mosaddeq, il primo ministro democraticamente eletto in Iran nel 1953. Il ricercatore definisce l’interferenza elettorale come «un atto che comporta un certo costo ed è volto a stabilire il risultato delle elezioni a favore di una delle due parti». Secondo la sua ricerca, questo includerebbe: diffondere informazioni fuorvianti o propaganda, creare materiale utile alla campagna del partito o del candidato favorito, fornire o ritirare aiuti esteri e fare annunci pubblici per minacciare o favorire un certo candidato. «Spesso questo prevede dei finanziamenti segreti da parte degli Usa, come è avvenuto in alcune elezioni in Giappone, Libano, Italia e altri paesi».Per costruire il suo database, Levin si è basato su documenti declassificati della stessa intelligence americana, come anche su una quantità di report del Congresso sull’attività della Cia. Ha poi esaminato ciò che considera resoconti affidabili della Cia e delle attività americane sotto copertura, nonché ricerche accademiche sull’intelligence statunitense, resoconti di diplomatici della guerra fredda e di ex funzionari sempre della Cia. «Gran parte delle ingerenze americane nei processi elettorali di altri paesi sono ben documentate, come quelle in Cile negli anni ’60 o ad Haiti negli anni ’90», senza contare il caso di Malta nel 1971: secondo lo studio di Levin, gli Usa avrebbero cercato di condizionare la piccola isola mediterranea strozzandone l’economia nei mesi precedenti all’elezione di quell’anno. «I risultati della ricerca suggeriscono che molte delle interferenze elettorali americane sarebbero avvenute durante gli anni della guerra fredda, in risposta all’influenza sovietica che andava espandendosi in altri paesi», sottolinea Shane Dixon Kavanaugh.«Per essere chiari, gli Usa non sarebbero stati gli unici a cercare di determinare le elezioni all’estero. Secondo quanto riportato da Levin lo avrebbe fatto anche la Russia per 36 volte dalla fine della Seconda Guerra Mondiale alla fine del ventesimo secolo. Il numero totale degli interventi da parte di entrambi i paesi sarebbe stato dunque, in quel periodo, pari a 117». Eppure, anche dopo il crollo dell’Unione Sovietica, avvenuto nel 1991, nonostante venisse a mancare l’alibi della guerra fredda, il grande nemico a Est, gli Stati Uniti «hanno continuato i propri interventi all’estero, prendendo di mira elezioni in Israele, nella ex Cecoslovacchia e nella stessa Russia nel 1996». In altre parole: se la Russia di Putin ha archiviato le attività “imperiali” dell’Urss, l’America ha invece raddoppiato la posta: secondo Levin, dal 2000 a oggi gli Usa hanno pesantemente interferito con le elezioni in Ucraina, Kenya, Libano e Afghanistan, per citarne solo alcuni dei paesi sottoposti alle “attenzioni elettorali” di Washington.Mentre infuriano le polemiche per le (del tutto presunte) interferenze russe nelle elezioni presidenziali americane, “Vocativ” commenta una recente ricerca in cui si contano almeno 81 casi di interventi americani in 45 paesi, dal dopoguerra ad oggi, volti a condizionare l’esito delle elezioni politiche. E questo, senza contare i colpi di Stato militari promossi e organizzati dalla Casa Bianca. Scrive “Voci dall’Estero”: «Il motivo per cui – fingiamo pure che il fatto sussista – un certo establishment americano sta gridando allo scandalo e rialzando una cortina di ferro, non è altro che quello che lo stesso establishment americano ha sempre fatto verso il resto del mondo». Lo conferma un recentissimo studio, che mostra che l’America ha una lunga storia di ingerenze nelle elezioni in paesi stranieri, sintetizza Shane Dixon Kavanaugh su “Vocative”, prendendo spunto dalla clamorosa propaganda di Obama contro la Russia: 35 diplomatici espulsi e la richiesta di nuove sanzioni, in risposta a ciò che gli Usa ritengono essere una serie di cyber-attacchi condotti da Mosca durante la campagna presidenziale. Peccato che questa specialità – il pilotaggio delle elezioni altrui – sia un talento squisitamente statunitense.
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E’ l’ultimo giovane maschio del villaggio, arriverà anche lui
Il sito del “Guardian” riporta una delle grandi interviste della storia. È con Goundo Wandianga, l’ultimo giovane maschio rimasto in un tipico villaggio del Senegal, seduto su un copertone, perfetto simbolo del grande agitarsi del mondo che finisce in discarica. Indossa jeans con regolamentare buco ad altezza ginocchio e maglietta, sullo sfondo alcune capanne di argilla e paglia. Tutti gli altri sono partiti, “Barça ou Barzakh”, “Barcellona o Morte”, rischiando la vita per mari e deserti, per poter arrivare in Europa. Paradossalmente, si spende di più per pagare i viaggi dei figli in Europa, di quanto ritorni nei villaggi sotto forme di rimesse (pensiamo alle dimensioni economiche dell’industria delle migrazioni). Spiega il responsabile regionale di quello che si chiama pittorescamente lo sviluppo: «Nei villaggi, restano solo gli anziani, le donne e i bambini. Non ci sono giovani, perché non c’è nulla che li trattenga. Non c’è nulla che un giovane maschio possa fare, nemmeno per comprarsi una tazza di tè o una sigaretta. E non c’è una famiglia che voglia che i suoi figli rimangano».Non c’è nulla che si possa fare, per due motivi. Il primo è che i prezzi delle derrate alimentari sono così bassi, che l’agricoltura non può più dare un reddito; il secondo è che il degrado del suolo e la siccità legata al cambiamento climatico la renderebbero comunque impraticabile. Da una parte, la Roba che trabocca non si limita ai vestiti di plastica, ma invade tutto l’immenso campo dell’agricoltura industriale, che nel Senegal ha trovato storicamente una delle sue più grandi e criminali fabbriche (rileggere “Voyage au bout de la nuit”). Dall’altra, proprio questo meccanismo dell’apparente abbondanza mina la sopravvivenza della vita stessa. Ora, il Senegal è uno dei paesi più stabili dell’Africa. Se capiamo perché persino lì, tutti i giovani maschi se ne vanno, capiremo perché il “Terzo Mondo” rischia di fare la fine dei villaggi di montagna dell’Italia: il Molise oggi ha meno abitanti di quanti ne avesse nel 1861. Solo che i nostri villaggi di montagna si sono svuotati con un futuro immaginario davanti: tutto il continente delle Americhe da saccheggiare, o almeno una civiltà industriale da creare in pianura.Per capire quello che attende i giovani maschi di oggi, faccio un giro mentale tra i nostri senegalesi. Eccoveli… C’è il posteggiatore abusivo di una certa età (l’altro giorno aveva steso un cartone tra le auto per pregare). C’è Magoro che vende fazzolettini davanti al supermercatino e Bakari che li vende davanti al fornaio (Bakari fa anche da meteorologo predicendo alle signore se domani pioverà o no). C’è Fatouma, che lavora saltuariamente facendo le pulizie nelle case, suo marito è disoccupato più o meno da sempre e si cerca tutti di dare una mano al loro figlio. C’è Ali, che mentre scappava dai vigili con le borse Gucci contraffatte sottobraccio ha conosciuto una ragazza italiana, e adesso hanno un figlio. Ali ora fa il meccanico in una piccola officina. Ah, e c’è anche un senegalese che ha avuto un po’ di successo, prima mondano e poi mediatico, facendo il Negro Immagine in un locale notturno dove spacciava cocaina e finendo per ammazzare una ragazza americana in un integrato impeto di movida fiorentina. L’elenco è significativo.Tolto l’ultimo personaggio, si tratta decisamente di brava gente, che non ha problemi con gli autoctoni. Anzi, contribuiscono a salvaguardare il carattere popolare del rione. Ma con un’eccezione, campano di espedienti di dubbia legalità (che poi dipendono tutti esclusivamente da un sistema basato sui contanti che ovunque si cercano di far scomparire). E non brilla nemmeno la stella dei meccanici artigiani, a pensarci. Noi tendiamo a pensare a queste cose in maniera episodica. Pensiamo che ci sia una guerra localizzata nella Siria che secondo i punti di vista genera bambini in fuga oppure terribili Terroristi Islamici (che poi hanno fatto appena 17 azioni in un anno in un continente delle dimensioni dell’Europa). Oppure pensiamo che ci sia qualche altro fatto qua e là che porta alcuni a cercare di venire in Europa, e anche lì i pareri si dividono moralisticamente tra chi li vede come delinquenti invasori e chi li vede come futuri imprenditori che già da oggi ci aiutano a pagare le pensioni. Eppure il vero quadro ha poco di moralistico. C’è un pianeta che è stato unificato al prezzo della sua devastazione. La maggior parte degli abitanti di quel pianeta si appresta ad andarsene da luoghi ormai invivibili, per concentrarsi in pochi luoghi urbani: alcune megalopoli asiatiche e la megalopoli sconfinata del cosiddetto “Occidente”. Questo però avviene quando, per la prima volta nella storia, le braccia umane non servono quasi più e non è rimasto un angolo libero del pianeta da sfruttare.(Miguel Martinez, “L’ultimo giovane maschio del villaggio”, da “Kelebek Blog” dell’11 gennaio 2107, ripreso da “Megachip”).Il sito del “Guardian” riporta una delle grandi interviste della storia. È con Goundo Wandianga, l’ultimo giovane maschio rimasto in un tipico villaggio del Senegal, seduto su un copertone, perfetto simbolo del grande agitarsi del mondo che finisce in discarica. Indossa jeans con regolamentare buco ad altezza ginocchio e maglietta, sullo sfondo alcune capanne di argilla e paglia. Tutti gli altri sono partiti, “Barça ou Barzakh”, “Barcellona o Morte”, rischiando la vita per mari e deserti, per poter arrivare in Europa. Paradossalmente, si spende di più per pagare i viaggi dei figli in Europa, di quanto ritorni nei villaggi sotto forme di rimesse (pensiamo alle dimensioni economiche dell’industria delle migrazioni). Spiega il responsabile regionale di quello che si chiama pittorescamente lo sviluppo: «Nei villaggi, restano solo gli anziani, le donne e i bambini. Non ci sono giovani, perché non c’è nulla che li trattenga. Non c’è nulla che un giovane maschio possa fare, nemmeno per comprarsi una tazza di tè o una sigaretta. E non c’è una famiglia che voglia che i suoi figli rimangano».
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Magaldi: gli Occhionero bruciati per imporre 007 infedeli?
Lo scandalo della cyber-security con l’arresto dei fratelli Occhionero? Fatto scoppiare ad arte, per imporre un nuovo super-controllore gradito a Renzi (e all’ultra-destra massonica cui il leader Pd guarderebbe) ma sgradito agli ambienti della massoneria internazionale progressista. E’ la tesi, dirompente, enunciata dal massone Gioele Magaldi, gran maestro del Grande Oriente Democratico e autore del saggio “Massoni, società a responsabilità illimitata”, pubblicato da Chiarelettere a fine 2014 ma completamente oscurato dai grandi media, nonostante rivelasse – in modo del tutto inedito – i più segreti retroscena del “back office” del potere, consentendo una clamorosa rilettura dell’intera storia del ‘900, inclusa quella italiana, mettendo in luce il ruolo del “convitato di pietra”, la massoneria, nella sua versione apolide, quella delle 36 Ur-Lodges che reggerebbero i grandi giochi mondiali. «Ho più volte offerto di esibire prove concrete, un dossier di 6.000 pagine – protesta Magaldi, ai microfoni di “Colors Radio” – ma nessuno si è finora azzardato a smentirmi». Contro la “congiura del silenzio”, Magaldi ora interviene anche sull’ultimo caso di cronaca, quello dei fratelli Occhionero, indicando una regia interamente massonica dietro alla vicenda. Nomi eccellenti? Mario Draghi, Marco Carrai, Anna Maria Tarantola, Mario Monti. E l’onnipresente, ma invisibile, Michael Ledeen.«Giulio e Francesca Romana Occhionero hanno agito in piena sintonia e reciproca consapevolezza di quello che ciascuno faceva», dichiara Magaldi ad “Affari Italiani”. I due «sono stati coperti e protetti, per anni, accumulando molti dati sensibili a favore di chi li proteggeva e ispirava». Avrebbero accumulato, per conto terzi, «una mole infinitamente più grande di dati rispetto a quella sinora scoperta dagli investigatori». Per Magaldi, Giulio Occhionero «ambiva a far parte di una specifica Ur-Lodge», una superloggia sovranazionale, la “White Eagle”, «operante principalmente tra Usa, Regno Unito, Malta e il Medio Oriente». Della “White Eagle”, dice ancora Magaldi, fa parte Ledeen, il politologo statunitense la cui storia si è intrecciata più volte con quella italiana, anche sul caso Moro. Un altro studioso di formazione massonica, Gianfranco Carpeoro, nel libro “Dalla massoneria al terrorismo” (Revoluzione-UnoEditori) collega Ledeen anche a Licio Gelli e all’omicidio del leader socialista svedese Olof Palme, attribuendo a Ledeen anche la militanza nel B’nai B’rith, la super-massoneria israeliana controllata dal Mossad. Ma che c’entra, tutto questo, con il caso dei due italiani accusati di cyber-spionaggio?«Al fratello Occhionero – spiega Magaldi, sempre intervistato da “Affari Italiani” – stava stretta l’appartenenza ad una loggia, la “Paolo Ungari-Nicola Ricciotti Pensiero e Azione” all’Oriente di Roma, che fa parte di una obbedienza ordinaria e nazionale come il Grande Oriente d’Italia di Palazzo Giustiniani». Per Magaldi, il Goi sarebbe «una di quelle entità massoniche ormai in stato di declino e di relativa marginalità, rispetto a quei circuiti delle superlogge che ho iniziato a descrivere nel libro “Massoni”», di cui sta per uscire il sequel, intitolato “Globalizzazione e Massoneria”. In realtà, aggiunge Magaldi, Giulio Occhionero e la sorella Francesca Romana «coltivavano l’ambizione di essere ammessi a una specifica superloggia sovranazionale, la “White Eagle”». Per questo, «hanno agito su commissione di personaggi collegati come affiliati o come ‘compagni di strada/aspiranti affiliati’ di questa Ur-Lodge». Chiarisce Magaldi: «La massoneria sempre meno rilevante del Grande Oriente d’Italia di Palazzo Giustiniani c’entra poco, con questa intricata vicenda». Lo “spionaggio” ai danni di alcuni dignitari del Goi «era soprattutto un’esigenza personalistica di Giulio Occhionero, qualcosa di irrilevante per i suoi mandanti in ‘super-grembiulino’».Diverso invece il caso della “sorveglianza” del gran maestro del Goi, Stefano Bisi, che per Magaldi «va ricondotta allo spionaggio sul fratello Mario Draghi (mi dicono avvenuta anche su altre utenze rispetto a quelle sin qui individuate dagli investigatori), di cui Bisi è in qualche modo un servizievole esecutore per questioni massoniche di natura locale». Servizievole esecutore? Magaldi afferma che il ruolo di Bisi risale «ai tempi del ‘groviglio armonioso’ legato al Monte dei Paschi di Siena, allorché Draghi, come governatore di Bankitalia, non vigilò adeguatamente su alcune condotte del management della banca senese». E Bisi, come massone e giornalista (caporedattore e poi vicedirettore del “Corriere di Siena”, testata influente nella città toscana, «aveva le mani in pasta in diverse questioni Mps, ispirando la sua azione di concerto con il fratello Draghi e con la sorella libera muratrice Anna Maria Tarantola, capo della Vigilanza di Bankitalia, la quale, in virtù della sua clamorosa ‘mancata vigilanza’ sulle questioni più scabrose in capo a Mps, fu premiata dal massone Mario Monti con la nomina a presidente Rai nel 2012».Ma se questi sono piccoli risvolti italiani, continua Magaldi, «la massoneria che invece c’entra molto, con tutto questo affaire del cyber-spionaggio imputato ai fratelli Occhionero, è quella della Ur-Lodge sovranazionale neoaristocratica “White Eagle”». Chi potrebbe essere il committente del cyberspionaggio? «Se dal nome della superloggia sovranazionale coinvolta andiamo nel particolare dei personaggi che hanno fatto da tramite con Giulio e Francesca Romana Occhionero, la questione si fa clamorosa», sostiene Magaldi. Che aggiunge: «Uno dei personaggi che consiglio agli inquirenti di ascoltare con attenzione su questa vicenda è il massone conservatore e reazionario Micheal Ledeen, appunto affiliato di peso alla “White Eagle”». Un altro personaggio che secondo Magaldi «varrebbe la pena sentire come ‘persona informata dei fatti’ è Marco Carrai, wannabe supermassone, con specifica propensione proprio verso la “White Eagle”, come il suo caro amico Matteo Renzi». Nel lessico libero-muratorio, il “wannabe” è colui che chiede di essere accolto, in questo caso in una superloggia internazionale.Quale potrebbe essere l’obiettivo di questa attività di spionaggio? «Qualcuno, per anni, ha raccolto e utilizzato le informazioni sensibili che i fratelli Occhionero gli hanno passato, coprendone e proteggendone in vario modo le attività», sostiene Magaldi, che svela l’identità delle sue fonti riservate: si tratta di «cari e fraterni amici in capo a importanti strutture di intelligence militare e civile di area euro-atlantica». Queste fonti, continua Magaldi, gli hanno rivelato che «da qualche tempo, Giulio e Francesca Romana Occhionero erano diventati ‘sacrificabili’ per ottenere, cinicamente, attraverso uno scandalo fatto scoppiare ad arte sulla loro vicenda, una ristrutturazione della cybersecurity italiana a livello nazionale». Una ristrutturazione che, «sin qui, non si era potuta realizzare», e che «avrebbe potuto portare al suo vertice una persona gradita a Matteo Renzi, ma sgradita a diversi ambienti massonico-progressisti dell’intelligence italiana e statunitense, con cui quella italiana tradizionalmente collabora in modo privilegiato».Lo stesso Magaldi ha più volte fatto riferimento alla “speciale protezione” di cui avrebbe goduto il nostro paese, specie negli ultimi anni, in cui l’opinione pubblica europea è stata scossa dai devastanti attentati che hanno colpito la Francia. E nel suo libro, Magaldi sottolinea il ruolo decisivo di un super-massone di altissimo rango, come il sociologo Arthur Schlesinger Jr., collaboratore strategico della Casa Bianca, cui l’autore attribuisce un ruolo-chiave, negli anni ‘60 e ‘70, nel tentativo (riuscito) di sventare i tre diversi colpi di Stato che avrebbero posto fine alla democrazia italiana. Anche per questo, probabilmente, Magaldi invita a non sottovalutare i possibili retroscena del cyber-spionaggio, settore delicatissimo da cui dipende, davvero, la sicurezza nazionale, specie in tempi come questi, gremiti di sanguinosi attentati palesemente “inquinati” da settori deviati dell’intelligence. Attraverso i suoi contatti con i «circuiti liberomuratori progressisti sovranazionali», Gioele Magaldi dichiara di impegnarsi a vigilare «affinché nessuno strumentalizzi questo scandalo per far conferire ad ‘amici degli amici’ incarichi tali da mettere in pericolo proprio quella sicurezza nazionale informatica italiana che si pretenderebbe di voler tutelare».Lo scandalo della cyber-security con l’arresto dei fratelli Occhionero? Fatto scoppiare ad arte, per imporre un nuovo super-controllore gradito a Renzi (e all’ultra-destra massonica cui il leader Pd guarderebbe) ma sgradito agli ambienti della massoneria internazionale progressista. E’ la tesi, dirompente, enunciata dal massone Gioele Magaldi, gran maestro del Grande Oriente Democratico e autore del saggio “Massoni, società a responsabilità illimitata”, pubblicato da Chiarelettere a fine 2014 ma completamente oscurato dai grandi media, nonostante rivelasse – in modo del tutto inedito – i più segreti retroscena del “back office” del potere, consentendo una clamorosa rilettura dell’intera storia del ‘900, inclusa quella italiana, mettendo in luce il ruolo del “convitato di pietra”, la massoneria, nella sua versione apolide, quella delle 36 Ur-Lodges che reggerebbero i grandi giochi mondiali. «Ho più volte offerto di esibire prove concrete, un dossier di 6.000 pagine – protesta Magaldi, ai microfoni di “Colors Radio” – ma nessuno si è finora azzardato a smentirmi». Contro la “congiura del silenzio”, Magaldi ora interviene anche sull’ultimo caso di cronaca, quello dei fratelli Occhionero, indicando una regia interamente massonica dietro alla vicenda. Nomi eccellenti? Mario Draghi, Marco Carrai, Anna Maria Tarantola, Mario Monti. E l’onnipresente, ma invisibile, Michael Ledeen.
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Italiani analfabeti, 7 su 10 non capiscono quel che leggono
Il 70 per cento degli italiani è analfabeta: legge, guarda, ascolta, ma non capisce. Non è affatto un titolo sparato, per impressionare; anzi, è un titolo riduttivo rispetto alla realtà, che avvicina la cifra autentica all’80 per cento. E questo vuol dire che tra la gente che abbiamo attorno a noi, al caffè, negli uffici, nella metropolitana, nel bar, nel negozio sotto casa, più di 3 di loro su 4 sono analfabeti: sembrano “normali” anch’essi, discutono con noi, fanno il loro lavoro, parlano di politica e di sport, sbrigano le loro faccende senza apparenti difficoltà, non li distinguiamo con alcuna evidenza da quell’unico di loro che non è analfabeta, e però sono “diversi”. Qual è questa loro diversità? Che sono incapaci di ricostruire ciò che hanno appena ascoltato, o letto, o guardato in tv e sul computer. Sono incapaci! La (relativa) complessità della realtà gli sfugge, colgono soltanto barlumi, segni netti ma semplici, lampi di parole e di significati privi tuttavia di organizzazione logica, razionale, riflessiva.Non sono certamente analfabeti “strumentali”, bene o male sanno leggere anch’essi e – più o meno – sanno tuttora far di conto (comunque c’è un 5 per cento della popolazione italiana che ancora oggi è analfabeta strutturale, “incapace di decifrare qualsivoglia lettera o cifra”); ma essi sono analfabeti “funzionali”, si trovano cioè in un’area che sta al di sotto del livello minimo di comprensione nella lettura o nell’ascolto di un testo di media difficoltà. Hanno perduto la funzione del comprendere, e spesso – quasi sempre – non se ne rendono nemmeno conto. Quando si dice che quella di oggi non è più la civiltà della ragione ma la civiltà della emozione, si dice anche di questo. E quando Bauman (morto ieri, grazie a lui per ciò che ci ha dato) diceva che, indipendentemente da qualsiasi nostro comportamento, ogni cosa é intessuta in un discorso, anche l’”analfabetismo” sta nel “discorso”. Cioè disegna un profilo di società nella quale la competenza minima per individuare una capacità di articolazione del proprio ruolo di “cittadino” – di soggetto consapevole del proprio ruolo sociale, disponibile a usare questo ruolo nel pieno controllo della interrelazione con ogni atto pubblico e privato – questa competenza appartiene soltanto al 20 per cento dei nostri connazionali.E’ sconcertante, e facciamo fatica ad accettarlo. Ma gli strumenti scientifici di cui la linguistica si serve per analizzare il rapporto tra “messaggio” e “comprensione” hanno una evidenza drammatica. Non é un problema soltanto italiano. L’evoluzione delle tecnologie elettroniche e la sostituzione del messaggio letterale con quello iconico stanno modificando un po’ dovunque il livello di comprensione; ma se le percentuali attribuibili ad altre societá (anche Francia, Germania, Inghilterra, o anche gli Usa, che non sono affatto il modello metropolitano del nostro immaginario ma piuttosto un’ampia America profonda, incolta, ignorante, estremamente provinciale) se anche quelle societá denunciano incoerenze e ritardi, mai si avvicinano a queste angosciose latitudini, che appartengono soltanto all’Italia, e alla Spagna.Il “discorso” è complesso, e ha radici profonde, sociali e politiche. Se prendiamo in mano i numeri, con il loro peso che non ammette ambiguità e approssimazioni, dobbiamo ricordare che nel nostro paese circa il 25% della popolazione non ha alcun titolo di studio o ha, al massimo, la licenza della scuola elementare. Non é che la scuola renda intelligenti, e però fornisce strumenti sempre più raffinati – quanto più avanti si vada nello studio – per realizzare pienamente le proprie qualità individuali. Vi sono anche laureati e diplomati che sono autentiche bestie, e però è molto più probabile trovare “bestie” tra coloro che laurea e diploma non sanno nemmeno che cosa siano. (La percentuale dei laureati in Italia, poi, é poco più della metà dei paesi più sviluppati.)Diceva Tullio De Mauro, il più noto linguista italiano, ministro anche della Pubblica Istruzione (incarico che siamo capaci di assegnare perfino a chi non ha né laurea né diploma – e questo dato rientra sempre nel “discorso”), che più del 50 per cento degli italiani si informa (o non si informa), vota (o non vota), lavora (o non lavora), seguendo soltanto una capacità di analisi elementare: una capacità di analisi, quindi, che non solo sfugge le complessità, ma che anche davanti a un evento complesso (la crisi economica, le guerre, la politica nazionale o internazionale) é capace di una comprensione appena basilare.Un dato impressionante ce l’ha fatto conoscere ieri l’Istat: il 18,6 per cento degli italiani – cioè quasi uno su 5 – lo scorso anno non ha mai aperto un libro o un giornale, non é mai andato al cinema o al teatro o a un concerto, e neppure allo stadio, o a ballare. Ha vissuto prevalentemente per la televisione come strumento informativo fondamentale, e non é azzardato credere – visti i dati di riferimento della scolarizzazione – che la sua comprensione della realtà lo piazzi a pieno titolo in quell’80 per cento di analfabeti funzionali (che riguarda comunque un universo sociale drammaticamente molto più ampio di questa pur amara marginalità). E da qui, poi, il livello e il grado della partecipazione alla vita della società, le scelte e gli stili di vita, il voto elettorale, la reazione solo di pancia – mai riflessiva – ai messaggi dove la realtà si copre spesso con la passione, l’informazione e la sua contaminazione con la pubblicità e tant’altro che ben si comprende. E’ il “discorso”.Il “discorso” ha al centro la scuola, il sistema educativo del paese, le scelte e gli investimenti per la costruzione di un modello funzionale che superi il ritardo con cui dobbiamo misurarci in un mondo sempre più aperto e sempre più competitivo. Se noi destiniamo alla ricerca la metà di un paese come la Bulgaria, evidentemente c’é un “discorso” da riconsiderare. (Questo testo é un omaggio a Tullio De Mauro, morto nei giorni scorsi, che ha portato la linguistica fuori dalle aule dell’accademia, e l’ha resa uno degli strumenti fondamentali di analisi di una società) .(Mimmo Càndito, “Il 70 per cento degli italiani è analfabeta: legge, guarda, ascolta, ma non capisce”, da “La Stampa” del 10 gennaio 2017).Il 70 per cento degli italiani è analfabeta: legge, guarda, ascolta, ma non capisce. Non è affatto un titolo sparato, per impressionare; anzi, è un titolo riduttivo rispetto alla realtà, che avvicina la cifra autentica all’80 per cento. E questo vuol dire che tra la gente che abbiamo attorno a noi, al caffè, negli uffici, nella metropolitana, nel bar, nel negozio sotto casa, più di 3 di loro su 4 sono analfabeti: sembrano “normali” anch’essi, discutono con noi, fanno il loro lavoro, parlano di politica e di sport, sbrigano le loro faccende senza apparenti difficoltà, non li distinguiamo con alcuna evidenza da quell’unico di loro che non è analfabeta, e però sono “diversi”. Qual è questa loro diversità? Che sono incapaci di ricostruire ciò che hanno appena ascoltato, o letto, o guardato in tv e sul computer. Sono incapaci! La (relativa) complessità della realtà gli sfugge, colgono soltanto barlumi, segni netti ma semplici, lampi di parole e di significati privi tuttavia di organizzazione logica, razionale, riflessiva.
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Cancellare i fatti: Obama e il nuovo Ministero della Verità
Vi ricordate il ritornello della canzone di Battiato di vent’anni fa? Strani giorni, viviamo strani giorni… Beh, quei giorni saranno stati forse strani, ma mai come quelli che stiamo vivendo oggi, dove la sovrabbondanza di notizie e la manipolazione incessante da parte dei media fa in modo che la gente non recepisca il ‘peso specifico’ di una notizia rispetto alle altre. Manipolare le coscienze non è solo scrivere il falso o negare il vero; basta semplicemente dare ad una notizia di importanza del tutto trascurabile lo stesso ‘peso’ (corpo tipografico o tempo dedicato nei Tg) di un fatto di grande rilevanza. Questa manipolazione costante produce nel lettore/spettatore una perdita di riferimento, un disorientamento della coscienza; è come se rispetto alla nostra vita noi dessimo pari importanza ad un mal di pancia rispetto ad un ictus. O, meglio, come se interpretassimo i sintomi dell’ictus con la stessa leggerezza con cui osserviamo quelli del mal di pancia… In effetti, i sintomi di questi strange days ci sono tutti, se solo li guardassimo con attenzione, senza farci disorientare da chi ci dovrebbe orientare, vale a dire dai media. A cosa mi riferisco?Prima di tutto all’ultima trovata delle governance mondiali e dei loro “presstitutes” (geniale sintesi che definisce la stampa prostituita al potere) vale a dire la crociata contro le fake news o post-verità, che via web rappresenterebbero una minaccia per le istituzioni. Pensate che il termine originale inglese, post-truth, è stato eletto parola dell’anno 2016 dall’Oxford Dictionary! Queste fake news irritano così tanto l’establishment che da diverse parti si invoca addirittura una sorta di commissione di controllo sulle opinioni espresse in rete. Un Ministero della Verità, insomma, di orwelliana memoria. Ora, considerando la costante e instancabile manipolazione che i mezzi d’informazione esercitano da sempre sull’opinione pubblica attraverso menzogne, falsificazioni dei fatti, mezze verità e fantasie, fa davvero sorridere che si identifichi nelle bufale – indubitabilmente presenti in rete – un rischio per la democrazia. Il fatto è che fino a poco tempo fa il fenomeno del cosiddetto ‘complottismo’ era confinato ad una nicchia di persone che iniziavano a fiutare odore di marcio proveniente dai media e cercavano quindi – visti i mezzi messi a disposizione dalla rete – di capire meglio certe situazioni quando i conti proprio non tornavano.Il fact-checking ha permesso allora a milioni di utenti del web di smascherare le vere e proprie bufale messe in onda dalle televisioni di mezzo mondo. Ma ad un certo punto, questo fenomeno del complottismo, della Conspiracy Theory, ha iniziato a diffondersi sempre di più, tracimando dalla rete ed entrando anche nei salotti buoni dei media mainstream. Fenomeno naturalmente irriso, denigrato e oggi criminalizzato. Certamente grazie anche a tutte le reali bufale presenti sul web, inserite ad arte da falsi idioti o da idioti autentici. Così Obama ha iniziato a fare pressioni su Google e Facebook che dovrebbero – a suo dire – esercitare un controllo su notizie false o presunte tali diffuse in rete. Ora, se i mezzi d’informazione ufficiali diffondessero sempre e solo notizie vere la preoccupazione del presidente americano uscente avrebbe una qualche credibilità ma, dato che è vero esattamente il contrario, questa operazione ha proprio l’aria di un intervento a gamba tesa su tutte quelle comunità virtuali che, collegate tra loro, iniziano a nutrire seri dubbi sulle versioni ufficiali. Pensate che io esageri affermando che “è vero esattamente il contrario”? Bene, allora state a sentire, e parlo solo delle fake news più recenti messe in giro dai media.Negli ultimi mesi i mezzi d’informazione del cosiddetto ‘mondo libero’ hanno ripetuto incessantemente che vi erano tra 250 mila e 300 mila civili intrappolati tutto i bombardamenti russi e siriani ad Aleppo Est, nonostante che le fonti d’informazioni siriane avessero più volte ribadito che il numero delle persone intrappolate non superava un terzo di quella cifra. Ebbene, una volta liberata la parte orientale di Aleppo è emerso che il numero dei civili che erano stati bloccati era inferiore alle 90 mila unità. Pensate che i media occidentali si siano peritati di riconoscere l’errore? No, neppure una riga. L’affermazione secondo la quale hacker russi avrebbero cercato di influenzare le elezioni americane è stata smentita sia da Assange che da Craig Murray – ex ambasciatore inglese in Uzbekistan che si è giocato la carriera quando ha accusato la Cia di complicità nelle torture nell’ex-repubblica sovietica – che ha fatto risalire a due fonti americane, una delle quali ha incontrato personalmente, il leak delle email che hanno inguaiato la Clinton. Risultato? Nessuno: Assange e Murray sono stati definiti spie russe. Così il presidente Obama ha appena firmato una legge di Difesa Nazionale che prevede un investimento di 160 milioni di dollari per nuove operazioni di propaganda Usa, dichiaratamente intese a contrastare la “propaganda russa”.Altre due prove di disinformazione da parte dei media: il risultato delle elezioni presidenziali americane e la Brexit. Nel primo caso non c’è stato un solo mezzo di informazione che non abbia ripetuto ad nauseam che non c’erano dubbi sulla vittoria della Killary. Gli esiti sono sotto gli occhi di tutti. Quanto a Brexit (anch’essa data per inverosimile) le catastrofiche previsioni della vigilia sono state – a oltre sei mesi di distanza – ampiamente contraddette dai fatti. Mentre la quasi totalità degli economisti profetizzavano una flessione immediata, con relativi crolli di Borsa, l’economia britannica è cresciuta negli ultimi mesi, registrando un incremento del Pil rispettivamente dello 0,3% e dello 0,6% nei primi due trimestri del 2016, e dello 0,6% e dello 0,5% negli ultimi due, vale a dire nel semestre successivo all’esito del referendum grazie al quale il Regno Unito è uscito dalla Ue. Che ne dite, ci sono o no buoni motivi per diffidare delle fake news dei media?Ma i mezzi ufficiali d’informazione non ne vogliono sapere – loro non possono sbagliare per definizione – e così oggi ci troviamo di fronte ad una prima spinta censoria mirata direttamente a ostacolare quella libertà di pensiero e di espressione che oggi inizia a preoccupare l’establishment. Il quale non si sporca le mani con divieti palesi ma subdolamente e vigliaccamente interviene su motori di ricerca e social media. Ora, se il loro obiettivo fosse raggiunto, la ratio menzogna/verità dipenderebbe non dalla nostra personale indagine, ma da un algoritmo. In sostanza da una macchina. Questo non vi dice nulla? La seconda questione che mi riporta agli strange days è collegata ad alcuni avvenimenti la cui estrema gravità è passata – e continua a passare – quasi inosservata. Mi riferisco agli eventi che hanno contrassegnato le ultime elezioni americane. Ora, quanto è avvenuto e sta avvenendo sull’altra riva dell’Atlantico è qualcosa di assolutamente nuovo nella storia americana. Mai, neppure nei periodi peggiori della guerra fredda con l’allora Unione Sovietica si è visto un tale palese odio e disprezzo verso la Russia come quello che oggi dilaga sui media americani.Neppure nei giorni più oscuri del trentennio che va dagli anni ’50 agli ’80 presidenti come Eisenhower, Nixon, Reagan si sono rivolti ad un presidente russo con termini come quelli che oggi usano politici come Obama, la Clinton, McCain, Clapper. Quell’Obama, su cui ironizza Ron Paul affermando che il Premio Nobel per la pace è il giusto riconoscimento per un presidente che ha bombardato 7 nazioni ed è stato il primo nella storia degli Stati Uniti ad essere stato in guerra ogni singolo giorno dei suoi otto anni di mandato. Mai una elezione fu così piena di colpi bassi come questa che ha portato The Donald alla Casa Bianca. Mai – anche se è risaputo che vi sono delle aspre rivalità tra i servizi di intelligence Usa – si era verificato uno scontro aperto tra Cia e Fbi come quello che abbiamo sotto gli occhi oggi. E ancora: mai un presidente eletto aveva pubblicamente screditato le motivazioni dei rapporti di intelligence di una delle più potenti strutture di potere come la Cia, affermando che alla base della conferma del presunto hackeraggio da parte dei russi che avrebbero influenzato le elezioni americane ci sono solo “ragioni politiche”.Si tratta di macro-eventi che indicano un cambio globale nella direzione che l’establishment americano sta imboccando, evidentemente obtorto collo. Un cambio di rotta che non viene digerito dalle strutture di potere consolidato che cercano freneticamente di intralciare e sabotare la nuova direzione della Casa Bianca. In tale chiave va vista l’ultima aggressione verbale a Putin con relativa espulsione di diplomatici. E i media mainstream come si sono comportati di fronte a questi veri e propri terremoti politici globali? Minimizzando la magnitudo degli eventi e distogliendo l’attenzione della gente dalle enormi implicazioni a livello mondiale. Attraverso delle vere e proprie armi di distrazione di massa, dunque. Ma al tempo stesso si fanno megafono di una chiamata alle armi contro le fake news. Quelle degli altri, naturalmente.(Piero Cammerinesi, “Strange days”, riflessione pubblicata da “Altrogiornale” il 12 gennaio 2017).Vi ricordate il ritornello della canzone di Battiato di vent’anni fa? Strani giorni, viviamo strani giorni… Beh, quei giorni saranno stati forse strani, ma mai come quelli che stiamo vivendo oggi, dove la sovrabbondanza di notizie e la manipolazione incessante da parte dei media fa in modo che la gente non recepisca il ‘peso specifico’ di una notizia rispetto alle altre. Manipolare le coscienze non è solo scrivere il falso o negare il vero; basta semplicemente dare ad una notizia di importanza del tutto trascurabile lo stesso ‘peso’ (corpo tipografico o tempo dedicato nei Tg) di un fatto di grande rilevanza. Questa manipolazione costante produce nel lettore/spettatore una perdita di riferimento, un disorientamento della coscienza; è come se rispetto alla nostra vita noi dessimo pari importanza ad un mal di pancia rispetto ad un ictus. O, meglio, come se interpretassimo i sintomi dell’ictus con la stessa leggerezza con cui osserviamo quelli del mal di pancia… In effetti, i sintomi di questi strange days ci sono tutti, se solo li guardassimo con attenzione, senza farci disorientare da chi ci dovrebbe orientare, vale a dire dai media. A cosa mi riferisco?
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Moro ucciso da Gladio, per sabotare il socialismo in Europa
Cossiga è stato colui che ha lavorato per i registi di 40 anni di storia italiana. Ha sempre lavorato con copertura della massoneria inglese, però si è messo al servizio dell’operazione più vergognosa (non tanto nello scopo, ma ma nel modo) che sia stata fatta nell’ambito dell’intelligence sul territorio italiano: l’operazione Stay Behind, altrimenti detta Gladio. E poi è rimasto prigioniero, di questa cosa. Tenete presente che la vera responsabile della morte di Moro è la Stay Behind, cioè Gladio. Questa è una cosa che non ha detto nessuno, finora, e che è vera. E’ la cricca costituita da Cossiga, Gelli, Santovito. Non scordiamoci che Gelli partecipava alle riunioni, quand’è stato rapito Moro. La cricca – Gelli, Santovito, Michael Ledeen – che è la regia dell’operazione Stay Behind, è quella che ha deciso le cose più raccapriccianti della strategia della tensione. E’ una pagina vergognosa della storia italiana, della quale Cossiga – che ho conosciuto ed era una persona amabile, per certi aspetti – è rimasto prigioniero, tutta la vita. Ha avuto il rimorso di Moro, e lo ha manifestato in tutti i modi, ma nello stesso tempo sapeva di esser stato parte di quella regia, e di tutta una serie di regie.Purtroppo, la Stay Behind ha tanti morti sulla coscienza, tanti attentati. Ed è una cosa in cui la massoneria razionaria ha avuto parte, non solo tramite la figura di Gelli, ma anche tramite una serie di figure di raccordo, compreso Michael Ledeen, che è massone ma anche Ur-massone, perché fa parte di una Ur-Lodge; è massone del B’nai B’rith, la massoneria ebraica, e faceva anche parte di una Ur-Lodge. Perché, a un certo punto, della strategia della tensione non c’è stato più bisogno? Perché hanno praticamente smantellato la possibilità, per l’Europa, di essere socialista, progressista. Hanno ammazzato Olof Palme, hanno fatto fuori Craxi, hanno segato le gambe a Mitterrand: è stata una strategia complessa, che ha portato a determinare l’attuale quadro politico – molto stabile, peraltro. Hanno sabotato il socialismo. I socialisti di adesso sono solo fantocci, come Hollande. Il socialismo era una sorta di tutela di ogni individuo. Qual è stata la risposta del potere, al socialismo? Creare al suo interno il comunismo: perché il comunismo non tutela l’individuo, ma le masse. E le masse fanno sempre comodo, al potere: quando l’invididuo viene ridotto a massa, il potere festeggia. Che ce lo riduca il capitalismo o ce lo riduca il comunismo, è uguale.L’unica ideologia tanto laica da evitare questo esito era il socialismo, però ormai l’hanno disgregato dappertutto, riducendolo a simulacro. Il socialismo è la possibilità di ogni individuo di far valere i suoi diritti, e di avere dei diritti. Oggi il potere fa due cose: molti diritti te li toglie, e quelli che ti lascia ti invita a non esercitarli, li esercita lui per te. Il socialismo era fondato sulla tutela individuale. Quando poi muore il socialismo utopistico di Produhon, Leblanc, e nasce il socialismo materialista che si allinea con il capitalismo nel considerare gli individui “massa”, già lì si perde l’identità originaria. Il socialismo è un sistema per il quale ogni uomo ha diritto a lottare per la sua felicità, per la sua realizzazione. Non è un mettere tutti alla pari obbligatoriamente, è far partire tutti alla pari. Certo che poi non si arriva, alla pari: c’è chi arriva più avanti, chi resta più indietro; però la partenza dev’essere alla pari. E in questa società la partenza non è alla pari.(Gianfranco Carpeoro, dichirazioni rilasciate durante la diretta web-streaming “Carpeoro Racconta”, in collegamento con Fabio Frabetti di “Border Nights” il 15 gennaio 2017, su YouTube).Cossiga è stato colui che ha lavorato per i registi di 40 anni di storia italiana. Ha sempre lavorato con copertura della massoneria inglese, però si è messo al servizio dell’operazione più vergognosa (non tanto nello scopo, ma nel modo) che sia stata fatta nell’ambito dell’intelligence sul territorio italiano: l’operazione Stay Behind, altrimenti detta Gladio. E poi è rimasto prigioniero, di questa cosa. Tenete presente che la vera responsabile della morte di Moro è la Stay Behind, cioè Gladio. Questa è una cosa che non ha detto nessuno, finora, e che è vera. E’ la cricca costituita da Cossiga, Gelli, Santovito. Non scordiamoci che Gelli partecipava alle riunioni, quand’è stato rapito Moro. La cricca – Gelli, Santovito, Michael Ledeen – che è la regia dell’operazione Stay Behind, è quella che ha deciso le cose più raccapriccianti della strategia della tensione. E’ una pagina vergognosa della storia italiana, della quale Cossiga – che ho conosciuto ed era una persona amabile, per certi aspetti – è rimasto prigioniero, tutta la vita. Ha avuto il rimorso di Moro, e lo ha manifestato in tutti i modi, ma nello stesso tempo sapeva di esser stato parte di quella regia, e di tutta una serie di regie.
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La guerra segreta di Trump contro chi comanda da 30 anni
E’ sempre più interessante questo momento politico negli Usa. Non solo per le polemiche politiche quanto, soprattutto, per la capacità di Trump di spiazzare l’establishment, di rompere le regole non scritte che hanno accomunato dagli anni Ottanta a oggi il partito democratico e quello repubblicano. Ho già spiegato in altre occasioni come funziona la democrazia americana: la rivalità tra i due partiti sui temi che contano – difesa, politica estera, finanza, globalizzazione – è più apparente che reale. Il sistema presidenziale ha funzionato in modo tale da garantire che alla fine si affrontassero due candidati – uno di destra e uno di sinistra – che, a dispetto dell’apparente fortissima rivalità, in realtà condividevano le scelte di fondo e l’appartenenza al ristretto establishment che governa davvero l’America e che funziona come una sorta di “Rotary”: che vincesse il candidato progressista o quello conservatore poco importava, entrambi erano membri dello stesso club. Le elezioni del 2016, invece, hanno segnato una rottura con questo schema perché alle primarie sono emersi ben due candidati in grado di strappare la nomination: Sanders tra i democratici e Trump tra i repubblicani.Sanders sono riusciti a fermarlo con i brogli, che hanno costretto alle dimissioni il presidente del partito Debbie Wasserman Schultz; con Trump hanno fallito, sebbene abbiano tentato in ogni modo di farlo deragliare. Ed è significativo che molti leader repubblicani si fossero schierati con Hillary Clinton durante l’ultima fase della campagna, a cominciare dalla famiglia Bush. Di fronte al rischio di perdere la Casa Bianca, l’establishment ha fatto saltare le apparenze: anche la destra “mainstream” era per Hillary. Come tutte le celebrities di Hollywood. Come tutta la stampa. Demonizzare Trump, distruggere la sua immagine, attaccare la persona prima ancora delle idee, screditarlo in ogni modo. Questo era lo schema, peraltro già usato in passato e non solo negli Stati Uniti. Ma non è bastato. Trump ha vinto. E non sembra intenzionato a recedere dai propri propositi. E’ un uomo che spiazza sempre. Lo ha fatto esternando la sua ammirazione per Putin per non aver risposto all’espulsione dei 35 diplomatici; ha continuato a ritenere non credibili le accuse di ingerenza russe nella campagna elettorale, smontando e relativizzando le insinuazioni provenienti dall’amministrazione Obama e dalla Cia.Nell’ambito di questa polemica ha dimostrato un’ottima conoscenza delle tecniche di spin dentro le istituzioni, che è la forma più insidiosa di manipolazione delle notizie; perché viola un concetto fondamentale in democrazia: quello dell’autorevolezza e dell’attendibilità delle fonti che provengono dall’istituzione stessa. O meglio: abusa di questa autorevolezza per diffondere informazioni che hanno l’aura della veridicità, che appaiono comprovate, e che invece sono strumentali, parziali e talvolta totalmente inventate. Quando scrive in un tweet “Chiederò ai capi delle commissioni di Camera e Senato di indagare sulle informazioni top secret condivise con l’Nbc”, facendo riferimento al rapporto d’intelligence per il presidente Barack Obama sugli attacchi hacker russi, a cui “Nbc News” ha avuto accesso in anticipo, in plateale violazione del segreto di Stato, accende un faro su una tecnica di spin doctoring diffusa e molto insidiosa. Chi conosce come viene gestita la comunicazione alla Casa Bianca, sa che questi non sono scoop giornalistici ma fughe pilotate e concordate al massimo livello. A cui Trump dice basta, rompendo ancora una volta la tacita consuetudine bipartisan, che induceva i due partiti a non indagare mai su quelle che talvolta erano vere e proprie frodi, come le motivazioni della guerra in Iraq.Rapporto d’intelligence che, peraltro, ha non lo convince come afferma pubblicamente, parlando di “caccia alle streghe” e rompendo un altro tabù: mai nella storia recente americana un presidente si era permesso di mettere in dubbio il lavoro dei vertici dei servizi segreti, di cui non si fida e che intende ridimensionare nei primissimi mesi della propria presidenza. Salteranno tante teste e la struttura dell’intelligence verrà completamente rivista. E’ un’operazione di un’audacia senza precedenti e che spiega il grande nervosismo di Obama e della ristretta élite che ha governato fino ad oggi l’America e il mondo. Non è un caso che proprio quell’establishment abbia tentato nelle ultime settimane di imporre la censura su Internet e sui social media, lanciando una campagna coordinata in più Stati, inclusa l’Unione Europea e Italia, sempre prontissime nel recepire i desiderata di Washington o meglio della Washington che sta uscendo di scena. Il web ha permesso a Trump (e prima di lui al britannico Farage) di scardinare un sistema che sembrava perfetto e intramontabile. Per questo l’establishment globalista tenta, con un colpo di coda, di silenziare l’informazione alternativa online, usando qualunque pretesto: gli hacker russi, l’Isis, le fake news. Non può riuscirci, non deve riuscirci.(Marcello Foa, “La guerra segreta di Trump contro chi governa davvero l’America”, dal blog di Foa su “Il Giornale” del 7 gennaio 2017).E’ sempre più interessante questo momento politico negli Usa. Non solo per le polemiche politiche quanto, soprattutto, per la capacità di Trump di spiazzare l’establishment, di rompere le regole non scritte che hanno accomunato dagli anni Ottanta a oggi il partito democratico e quello repubblicano. Ho già spiegato in altre occasioni come funziona la democrazia americana: la rivalità tra i due partiti sui temi che contano – difesa, politica estera, finanza, globalizzazione – è più apparente che reale. Il sistema presidenziale ha funzionato in modo tale da garantire che alla fine si affrontassero due candidati – uno di destra e uno di sinistra – che, a dispetto dell’apparente fortissima rivalità, in realtà condividevano le scelte di fondo e l’appartenenza al ristretto establishment che governa davvero l’America e che funziona come una sorta di “Rotary”: che vincesse il candidato progressista o quello conservatore poco importava, entrambi erano membri dello stesso club. Le elezioni del 2016, invece, hanno segnato una rottura con questo schema perché alle primarie sono emersi ben due candidati in grado di strappare la nomination: Sanders tra i democratici e Trump tra i repubblicani.
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Bauman: addio umanità, schiavizzata da un’élite di parassiti
«Le opere di Bauman, che, per quanto fortunate editorialmente, sono state cibo per pochi, purtroppo, sono un tesoro cui attingere per comprendere le ingiustizie del tempo presente, denunciarle, e se possibile, combatterle». Così Angelo d’Orsi ricorda su “Micromega”, all’indomani della sua scomparsa, il grande sociologo polacco Zigmunt Bauman, massone progressista e celebrato teorico della “società liquida”: «Il messaggio che ci affida è appunto di non smettere di scavare sotto la superficie luccicante del “mondo globale”, come ce lo raccontano media e intellettuali mainstream, che non solo hanno rinunciato al ruolo di “legislatori”, trasformandosi compiutamente in meri “interpreti”, ossia tecnici, ma sono diventati laudatores dei potenti». Nato a Poznan nel 1925, Bauman aveva attraversato il “tempo di ferro e di fuoco” dell’Europa fra le due guerre, «tra nazismo, stalinismo, cattolicesimo oltranzista, antisemitismo». Di origine ebraica, «si era allontanato dalla sua terra, per sottrarsi proprio a una delle tante ondate di furore antiebraico, che da sempre la animano». Era stato comunista militante, poi allontanatosi dal marxismo canonico, fino alla “scoperta” di un grande italiano, Antonio Gramsci, «che lo aveva aiutato a leggere il mondo con occhi nuovi», rispetto alla vulgata marxista-leninista e alle scienze sociali angloamericane.Bauman aveva studiato sociologia a Varsavia, con maestri come Stanislaw Ossowski, prima di trasferirsi in Israele, all’università di Tel Aviv, e quindi a Leeds, in Inghilterra dove insegnò per decenni. «Sarebbe però riduttivo definirlo sociologo – scrive d’Orsi – sia per il tipo di sociologia da lui professata e praticata, poco accademica e nient’affatto canonica, sia per la vastità dello sguardo, la larghezza degli interessi, la molteplicità degli approcci». Filosofo, politologo, storico del tempo presente: uno studioso prolifico, autore di una cinquantina di opere, preziose per «l’osservazione critica della contemporaneità». Bauman si era occupato «in modo nient’affatto banale dell’Olocausto, messo in relazione alla modernità», in qualche modo riprendendo spunti di Max Horkheimer e Theodor Adorno, «puntando il dito contro l’ingegneria sociale e il predominio della tecnica (in questo vicino a Jürgen Habermas), che uccide la morale, contro l’elefantiasi burocratica che schiaccia gli individui senza aumentare l’efficienza del sistema sociale». In più, aggiunge d’Orsi, Bauman «aveva studiato la trasformazione degli intellettuali, passati da figure elevate, capaci di dettare l’agenda politica ai governanti, a meri tecnici amministratori del presente, al servizio del sistema». In altre parole: la degenerazione progressiva del potere.Fra i tanti meriti di questo pensatore, Angelo d’Orsi segnala «la sua capacità di descrivere gli esiti della forsennata corsa senza meta della società post-moderna, attraverso un’acutissima analisi del nostro mondo», in cui «la globalizzazione delle ricchezze ha oscurato quella ben più mastodontica, gravissima, delle povertà». Studiando “le conseguenze sulle persone”, ridotte a “scarti”, «residui superflui che vanno conservati soltanto fin tanto che possono esser consumatori», Bauman ha svelato «il volto cupo e tragico dell’ultra-capitalismo, feroce espressione di creazione e gestione della disuguaglianza tra gli individui, dove all’arricchimento smodato dei pochi ha corrisposto il rapido, crescente impoverimento dei molti». Quell’uomo, continua d’Orsi, «ci ha aiutato a guardare dietro lo specchio ammiccante del post-moderno, sotto la vernice lucente dell’asserito arricchimento generalizzato e universale, dietro lo slogan della “fine della storia”, ossia della proclamata nuova generale armonia tra Stati e gruppi sociali», oltre alla quale «era apparso l’altro volto della globalizzazione, ossia una terribile guerra dei ricchi ai poveri, ennesima manifestazione della lotta di classe dall’alto».Ha guardato, Bauman, alle “Vite di scarto” (altra sua opera), generate incessantemente «dall’infernale “megamacchina” del “finanzcapitalismo”», scrive sempre d’Orsi, citando un’espressione di un altro grande scomparso, Luciano Gallino. Il nuovo, grande problema denunciato da Bauman è il “capitalismo parassitario”: «Quella che chiamava “omogeneizzazione” forzosa delle persone (un concetto che richiama la pasoliniana “omologazione”), era l’altro volto della società anomica, che distrugge legami, elimina connessioni, scioglie il senso stesso della convivenza». Volumi, saggi, articoli, conferenze: «E’ come se quest’uomo mite e affabile avesse voluto tendere una mano a tutti coloro che dal processo di mostruosa produzione di denaro attraverso denaro, erano esclusi; quasi a voler “salvare”, con le sue parole, gli schiacciati dai potentati economici, a voler dar voce a quanti, in una “Società sotto assedio” (ancora un suo titolo), dominata dalla paura, dal rancore, dall’ostilità, vedevano e vedono le proprie vite disintegrate».I “Danni collaterali”, elencati in uno dei suoi ultimi libri, «sono in realtà l’essenza di questa società, che egli ha definito, felicemente, “liquida”, con una trovata che è poi divenuta formula, ripetuta, un po’ stucchevolmente, negli ultimi anni, applicata a tutti gli ambiti del vivere in comune», scrive ancora Angelo d’Orsi, nel suo intervento su “Micromega”. «Liquida è questa nostra società, che ha perso il senso della comunità, priva di collanti al di là del profitto e del consumo: una società il cui imperativo, posto in essere dai ricchi contro i poveri, dai potenti contro gli umili, è ridotto alla triade “Produci/Consuma/Crepa”». Di conseguenza, diventano tristemente “liquidi” anche «i rapporti umani», così come la cultura. In altre parole: «Liquido tutto il nostro mondo, che sta crollando mentre noi fingiamo di non accorgercene».«Le opere di Bauman, che, per quanto fortunate editorialmente, sono state cibo per pochi, purtroppo, sono un tesoro cui attingere per comprendere le ingiustizie del tempo presente, denunciarle, e se possibile, combatterle». Così Angelo d’Orsi ricorda su “Micromega”, all’indomani della sua scomparsa, il grande sociologo polacco Zygmunt Bauman, massone progressista e celebrato teorico della “società liquida”: «Il messaggio che ci affida è appunto di non smettere di scavare sotto la superficie luccicante del “mondo globale”, come ce lo raccontano media e intellettuali mainstream, che non solo hanno rinunciato al ruolo di “legislatori”, trasformandosi compiutamente in meri “interpreti”, ossia tecnici, ma sono diventati laudatores dei potenti». Nato a Poznan nel 1925, Bauman aveva attraversato il “tempo di ferro e di fuoco” dell’Europa fra le due guerre, «tra nazismo, stalinismo, cattolicesimo oltranzista, antisemitismo». Di origine ebraica, «si era allontanato dalla sua terra, per sottrarsi proprio a una delle tante ondate di furore antiebraico, che da sempre la animano». Era stato comunista militante, poi allontanatosi dal marxismo canonico, fino alla “scoperta” di un grande italiano, Antonio Gramsci, «che lo aveva aiutato a leggere il mondo con occhi nuovi», rispetto alla vulgata marxista-leninista e alle scienze sociali angloamericane.
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Il disastro del M5S, tra i fan dell’euro-rigore ‘a sua insaputa’
Grande è il disordine sotto il cielo dei 5 stelle, ma la situazione è tutt’altro che eccellente. Dopo un negoziato tenuto rigorosamente nascosto, è stato annunciato che i deputati del M5S sarebbero passati dal gruppo antieuropeista – con l’Ukip e Afd – al gruppo ultraeuropeista dei liberali. In quattro e quattr’otto è stata organizzata una consultazione on line (con la partecipazione non oceanica di poco meno di un terzo degli iscritti) che ha approvato con il 78% la decisione. Ma la cosa non è servita a molto, perché, neppure sei ore dopo, erano i liberali a rifiutare di ratificare l’accordo siglato il 6 gennaio dal capogruppo M5s Borrelli e dal capogruppo liberale Guy Verhofstadt e tutto è andato per aria. Leggendo il testo del “contratto prematrimoniale” (reso pubblico da un redattore di “Radio Radicale” e consultabile sill’Hp) si capisce una cosa: che i 5 stelle, il 17 gennaio, avrebbero votato per Verhofstadt quale prossimo presidente del Parlamento Europeo ed in cambio sarebbero stati ammessi nel gruppo liberale, ottenendone la vice presidenza e, qualora fosse stato possibile, anche una vice presidenza dell’Assemblea di Strasburgo, oltre alla divisione dei fondi e del personale. Una volta queste cose si chiamavano “mercato delle vacche” in perfetto stile Dc.L’operazione è saltata, ma per la decisione dei liberali, mentre i 5 stelle hanno ricavato un disastro di immagine. La cosa può sorprendere ma ha una sua logica e va inquadrata in un contesto di dichiarazioni, gesti, decisioni che dura da almeno sette mesi. A maggio Luigi Di Maio fece un viaggio in giro per l’Europa, con l’evidente intento di tranquillizzare gli ambienti politici d’oltralpe su un’eventuale ascesa al governo del M5S e non mancarono ammiccamenti in tema d’euro (del tipo “non mi sento più tanto antieuropeista”). La campagna per le amministrative, l’estate, i problemi della giunta Raggi, la campagna referendaria hanno gettato la sordina sul tema euro. Nei primi di dicembre Di Battista lanciava, un po’ estemporaneamente, la proposta di un referendum sui nostri rapporti con la Ue, ma la cosa era lasciata cadere e nessuno prendeva le difese di “Dibba” di fronte alla gragnuola di insulti dei mass media e dei partiti che lo accusavano di non conoscere la Costituzione che vieta i referendum in materia di trattati (ma “Dibba” aveva detto altro e su questo abbiamo scritto).Poi c’è stata una raffica di decisioni di Beppe Grillo apparentemente slegate fra loro: il salvataggio in extremis della Raggi dopo i casi Muraro e Marra, la dichiarazione sul rimpatrio immediato degli immigrati irregolari (come se sapessimo quale è il loro paese d’origine!), la svolta in materia di avvisi di garanzia, il discorso di fine anno. Intendiamoci, tutti atti perfettamente leciti (anche se qualcuno discutibile, come quello sugli immigrati irregolari al solito accomunati ai terroristi) e qualcuno perfettamente condivisibile (come quello sull’avviso di garanzia), ma il senso politico complessivo è quello di dimostrare che il M5S è una forza responsabile, persino moderata, quando occorre, che può andare tranquillamente al governo senza provocare sconquassi. Nel M5S c’è un processo di lenta trasformazione in forza di governo, che rimuove i suoi tratti di forza “antisistema”. E il tentato passaggio all’Alde è stato lo sbocco naturale. Accreditarsi come forza moderata (adesso capiamo il senso del “né di destra né di sinistra”: perché forza “di centro”) e rimuovere l’immagine antieuropeista.Per la verità, il regista dell’operazione, il capogruppo Borrelli (che si è guardato bene dal darne notizia ai suoi parlamentari, esattamente come ha fatto il suo interlocutore Verhofstadt) non ha mai nascosto il suo “europeismo” e il suo giudizio ostile ad ogni abbandono dell’euro, sino ad incassare l’apprezzamento di Mario Monti. Dunque si pone il problema di definire, una volta per tutte, quale sia la posizione del M5S sull’euro, se c’è una revisione della posizione che era di Roberto Casaleggio (ed anche di Beppe Grillo per quel che ricordo), lo si dica apertamente, magari dopo una adeguata discussione seguita dal voto degli iscritti. C’è poi un altro punto da chiarire: il nodo di eventuali accordi con altre forze politiche. Non sono mai stato favorevole al “noi non ci alleiamo con nessuno” ed ho sempre detto che in politica gli accordi sono necessari, però che lo si dica e si fissino i criteri con cui li si può concludere.Questa sciagurata vicenda fissa un precedente: dopo che stavi per fare addirittura un gruppo comune con una forza politica basato solo su una spartizione (con l’Ukip, almeno, c’era il comune terreno dell’opposizione alla Ue) come potrai declinare una proposta di accordo di altra forza politica in Italia, opponendo il solito “noi non facciamo accordi con nessuno”?Quanto poi alla questione dei soldi, qualcuno dovrebbe spiegarmi perché in Italia il M5S rifiuta il finanziamento pubblico, mentre poi lo cerca affannosamente in Europa, al punto di includerlo fra le motivazioni di un accordo così singolare. Il tutto poi con questo clima clandestino da loggia carbonara: altro che diretta streaming e trasparenza, qui si è firmato un accordo senza che ne sapessero nulla neanche i deputati del M5S e quelli liberali che avrebbero dovuto fare gruppo insieme: vi sembra normale?C’è poi la questione di questa fregola governativa che ha preso il M5S. Personalmente non capisco perché ci sia tanta fretta di cingere la corona governativa in un biennio (tanto durerà la prossima legislatura) durante il quale non si tratterà di una corona di alloro, quanto di una corona di spine: pensateci cari amici del M5S. Infine: il disastro di immagine di questa storia è troppo evidente perché se ne debba dire, però voglio lasciarvi con un consiglio: Borrelli è un ottimo imprenditore, indiscutibilmente bravo; dopo questo brillante esito della sua strategia credo che non si possa provare ulteriormente l’azienda del suo talentuoso capo. Non vi sembra il caso di restituirlo subito al lavoro che sa fare meglio?Grande è il disordine sotto il cielo dei 5 stelle, ma la situazione è tutt’altro che eccellente. Dopo un negoziato tenuto rigorosamente nascosto, è stato annunciato che i deputati del M5S sarebbero passati dal gruppo antieuropeista – con l’Ukip e Afd – al gruppo ultraeuropeista dei liberali. In quattro e quattr’otto è stata organizzata una consultazione on line (con la partecipazione non oceanica di poco meno di un terzo degli iscritti) che ha approvato con il 78% la decisione. Ma la cosa non è servita a molto, perché, neppure sei ore dopo, erano i liberali a rifiutare di ratificare l’accordo siglato il 6 gennaio dal capogruppo M5s Borrelli e dal capogruppo liberale Guy Verhofstadt e tutto è andato per aria. Leggendo il testo del “contratto prematrimoniale” (reso pubblico da un redattore di “Radio Radicale” e consultabile sill’Hp) si capisce una cosa: che i 5 stelle, il 17 gennaio, avrebbero votato per Verhofstadt quale prossimo presidente del Parlamento Europeo ed in cambio sarebbero stati ammessi nel gruppo liberale, ottenendone la vice presidenza e, qualora fosse stato possibile, anche una vice presidenza dell’Assemblea di Strasburgo, oltre alla divisione dei fondi e del personale. Una volta queste cose si chiamavano “mercato delle vacche” in perfetto stile Dc.
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Psicosi meningite? Follia: l’Italia è il paese con meno casi
Si definisce “a bassa incidenza” un paese che ha, in un anno, meno di 2 casi di meningite meningococcica ogni centomila abitanti. Nel 2015 nel nostro paese sono stati segnalati 196 casi di malattia invasiva da meningococco con un’incidenza pari a 0,32 casi su 100.000 persone (dati “Epicentro”). «L’Italia si conferma quindi tra i paesi a più bassa incidenza di meningite meningococcica in Europa», afferma il dottor Tancredi Ascani: «Negli altri paesi europei, con incidenze ben maggiori delle nostre, non c’è nessuna emergenza meningite». Lo conferma il sito “Epicentro”. Da noi, l’incidenza della meningite è inferiore alla media europea: ogni anno vengono segnalati circa 200 casi, pari a 3 casi ogni milione di abitanti (nel resto d’Europa, invece, ogni milione di persone abbiamo ben 14 casi. «E’ da sempre stato così», afferma il medico, «con lievi oscillazioni che però non sembrano seguire le vaccinazioni anti-meningite: da notare infatti che i casi di meningite meningococcica risultano numericamente simili tra il 1998 (epoca pre-vaccinale) e il 2013. Solo dal 2009-2010 il vaccino è offerto gratuitamente a tutti i nuovi nati e solo dal 2012 è stato inserito nel Piano Nazionale Vaccinazioni».Addirittura, «proprio dal 2012 si nota un nuovo aumento di casi da sierogruppo C che risultano superiori ai casi della fine degli anni ‘90», scrive il dottor Ascani sul blog “Luogo Comune”. Da notare che «negli anni 2003-2005 abbiamo avuto molti più casi di meningite da meningococco rispetto a quest’anno ma, non andando di moda conteggiare e mettere in prima pagina ogni caso con titoli allarmanti, nessuna psicosi di massa da meningite si è verificata». Come spiega Carlo Signorelli, presidente uscente della Società italiana di igiene, la meningite «può essere determinata da diversi agenti batterici e virali», e ha comunque «una bassa contagiosità», ovvero: «Solo una piccola parte di chi viene a contatto con l’infetto o il portatore si ammala a sua volta, e quindi l’allarmismo delle ultime settimane non è giustificato dal punto di vista sanitario». Infatti, si definisce “epidemia” (di meningite) solo un’incidenza “superiore ai 100 casi ogni 100 mila” in un anno. Noi invece siamo intorno allo 0,3%. E quindi, secondo il dottor Ascani, «chiunque vada a dire in giro che vi è una qualche epidemia di meningite in Italia sta facendo una gravissima disinformazione e procurato allarme».In Toscana, continua il medico, negli anni 2015-2016 è stato riportato un lieve aumento di casi, portando l’incidenza a 0,83 casi su 100.000 nel 2015 e ancor meno nel 2016. «Siamo sempre quindi ad un’incidenza bassa, sempre ben al di sotto dei 2 casi per 100 mila abitanti che caratterizzano i paesi a bassa incidenza di meningite». Se in Toscana si è registrato il triplo dei casi a partire dal 2015, sostiene l’immonologa Chiara Azzari, è solo per via del tipo di test molecolare introdotto. «E questo nessuno lo specifica nei nostri media, tutti presi a far solo allarmismo e a spingere al vaccino come se fossimo in piena epidemia di meningite e come se il vaccino fosse innocuo come bere un bicchier d’acqua», afferma il dottor Ascani. Le linee guida internazionali, del resto, parlano chiaro: secondo l’American Academy of Pediatrics, «la vaccinazione di routine nei bambini in buona salute dai 2 mesi ai 10 anni non è raccomandata, in assenza di un incrementato e persistente rischio di malattia meningococcica». E la stessa Oms raccomanda la vaccinazione su larga scala solo nei paesi con tassi endemici alti, cioè almeno 10 casi su 100.000 abitanti.Chi sono i pazienti più colpiti? «L’incidenza maggiore del virus si è registrata nella fascia di età tra i 20 e i 29 anni», dice Stefania Saccardi, assessore regionale alla sanità in Toscana, mentre «l’età media delle persone decedute è invece di 52 anni». Ma il vaccino è efficace? «I dati parlano da soli», scrive il dottor Ascani. «Nel 2016 in Toscana ci son stati 29 casi, 13 erano vaccinati, il 45% quindi. La vaccinazione può offrire una protezione individuale, può ridurre il rischio di contrarre la malattia, ma non funziona per tutti e l’efficacia pare essere di breve durata». In pratica, il vaccino «ha mostrato un’efficacia nei bambini del 97% entro un anno dalla vaccinazione, che diminuisce già al 68 % dopo 1 anno». Un recente studio rivela che solo il 25% dei bambini vaccinati in età compresa tra i 2 mesi e i 6 anni aveva anticorpi protettivi dopo 6 anni dall’inoculazione». Insomma: protezioni solo relativamente efficaci, e di breve durata, secondo svariate ricerche mediche internazionali citate dal dottor Ascani.Si definisce “a bassa incidenza” un paese che ha, in un anno, meno di 2 casi di meningite meningococcica ogni centomila abitanti. Nel 2015 nel nostro paese sono stati segnalati 196 casi di malattia invasiva da meningococco con un’incidenza pari a 0,32 casi su 100.000 persone (dati “Epicentro”). «L’Italia si conferma quindi tra i paesi a più bassa incidenza di meningite meningococcica in Europa», afferma il dottor Tancredi Ascani: «Negli altri paesi europei, con incidenze ben maggiori delle nostre, non c’è nessuna emergenza meningite». Lo conferma il sito “Epicentro”. Da noi, l’incidenza della meningite è inferiore alla media europea: ogni anno vengono segnalati circa 200 casi, pari a 3 casi ogni milione di abitanti (nel resto d’Europa, invece, ogni milione di persone abbiamo ben 14 casi. «E’ da sempre stato così», afferma il medico, «con lievi oscillazioni che però non sembrano seguire le vaccinazioni anti-meningite: da notare infatti che i casi di meningite meningococcica risultano numericamente simili tra il 1998 (epoca pre-vaccinale) e il 2013. Solo dal 2009-2010 il vaccino è offerto gratuitamente a tutti i nuovi nati e solo dal 2012 è stato inserito nel Piano Nazionale Vaccinazioni».
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Tre naufragi identici in 160 anni. Unico superstite: Williams
Tre navi affondate, a 160 anni di distanza, tutte e tre nello stesso punto, nello stesso giorno, ed in tutti e tre i casi sono morti tutti i membri dell’equipaggio eccetto un superstite in ogni affondamento e, indovinate, come si chiamavano questi tre superstiti? Tutti e tre Hugh Williams. Sembra una storia ai limiti della realtà e sta circolando su Internet attraverso il video “The Strangest Coincidence Ever Recorded?”, che racconta la storia di 3 navi, tutte affondate nello Stretto di Menai, tra l’isola di Anglesey ed il Galles continentale, tra il 1664 ed il 1820. La prima nave in questione affondò nello stetto il 5 dicembre del 1664. Tutti gli 81 passeggeri perirono, eccetto uno, appunto di nome Hugh Williams. La seconda nave affondò nel 1785, sempre il 5 dicembre, sempre nello stesso stretto, e dei 60 passeggeri a bordo riuscì a salvarsi solo un uomo di nome Hugh Williams. Infine, nel 1820, sempre il 5 dicembre, sempre nello stesso stretto, un vascello affondò trascinando nelle acque i 25 passeggeri, meno, ovviamente, un superstite di nome Hugh Williams.Una storia incredibile che, se vera, darà qualche brivido ai passeggeri di nome diverso da Hugh Williams che navighino attraverso lo stretto di Menai il 5 dicembre di ogni anno. Per valutarne la veridicitò però bisogna analizzare i dettagli. Una prima versione della storia viene data dal libro di Cliffe, “Il libro del Nord del Galles”, pubblicato nel 1851, in cui, in una nota a pagina 155, viene riportata la storia degli affondamenti del 1664 e del 1785, con Hugh Williams il solo superstite. La storia per l’affondamento del 1820 poi cambia, lasciando sempre Hugh Williams come solo superstite, ma l’evento accadde secondo il libro il 5 di agosto e non di dicembre. La nota continua affermando che un’altra nave, il 20 maggio del 1842, ignorando i pericoli, stava navigando proprio vicino al punto del tragico evento del 1820, quando iniziò ad imbarcare acqua e andò a fondo, uccidendo tutti i 15 passeggeri eccetto uno, questa volta di nome Richard Thomas.Un altro libro di Francis Coghlan, “Guida al Nord del Galles”, del 1860, racconta gli stessi episodi. Sulla nave affondata nel 1785 poi c’è anche una prova documentata dal libro del reverendo William Bingley intitolato “Nord del Galles, includendo paesaggi, antiquariato ed usanze”, che narra la storia di come Hugh Williams si sia tratto in salvo il 5 dicembre del 1785. Andando avanti negli anni, un’altra storia narra di un peschereccio che il 10 luglio del 1940, venne distrutto da una mina tedesca, due soli uomini si salvarono, zio e nipote, entrambi chiamati Hugh Williams. In ogni caso, coincidenza o no, la storia sembra avere diversi fondamenti di verità, forse un po’ forzati come il fatto del 5 dicembre, che magari era il 5 di agosto, ma rimane il fatto che il nome Hugh Willams porterà qualche fortuna ai malcapitati nelle disgrazie navali (anche se purtroppo c’è un caso di una vittima chiamata Hugh Williams tra i passeggeri del Titanic) almeno nelle acque dello Stretto di Menai.Tra le varie spiegazioni per una simile coincidenza, rimane che in Galles, nei secoli scorsi, nomi come John, William e Thomas erano molto comuni, e c’era la tendenza per i figli di prendere come cognome il nome di battesimo dei loro padri. Ecco allora che il cognome Williams (e cioè “figlio di William”) non era così raro. Circa il luogo degli eventi, lo Stetto di Menai è famoso per essere “il Triangolo delle Bermuda” d’Europa, pericoloso per le sue correnti fortissime (incanalate tra il Mare del Nord e l’Oceano Atlantico) e le onde improvvise causate dalla collisione delle sue correnti. Per concludere, vera o no, la storia rimane un’incredibile leggenda dei mari, da narrare ai propri nipoti, magari rimanendo sulla terraferma o almeno lontani dallo stretto, ovviamente, a meno che uno non si chiami Hugh Williams.(“La storia incredibile dell’inaffondabile Hugh Williams: sarà vero o è solo una leggenda?”, da “Il Britannico” del 23 febbraio 2014, ripreso da “La Crepa nel Muro”).Tre navi affondate, a 160 anni di distanza, tutte e tre nello stesso punto, nello stesso giorno, ed in tutti e tre i casi sono morti tutti i membri dell’equipaggio eccetto un superstite in ogni affondamento e, indovinate, come si chiamavano questi tre superstiti? Tutti e tre Hugh Williams. Sembra una storia ai limiti della realtà e sta circolando su Internet attraverso il video “The Strangest Coincidence Ever Recorded?”, che racconta la storia di 3 navi, tutte affondate nello Stretto di Menai, tra l’isola di Anglesey ed il Galles continentale, tra il 1664 ed il 1820. La prima nave in questione affondò nello stretto il 5 dicembre del 1664. Tutti gli 81 passeggeri perirono, eccetto uno, appunto di nome Hugh Williams. La seconda nave affondò nel 1785, sempre il 5 dicembre, sempre nello stesso stretto, e dei 60 passeggeri a bordo riuscì a salvarsi solo un uomo di nome Hugh Williams. Infine, nel 1820, sempre il 5 dicembre, sempre nello stesso stretto, un vascello affondò trascinando nelle acque i 25 passeggeri, meno, ovviamente, un superstite di nome Hugh Williams.