Archivio della Categoria: ‘Recensioni’
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Le Isole del Tesoro che finanziano l’egemonia mondiale
Più della metà del commercio mondiale passa attraverso i paradisi fiscali. Oltre la metà di tutti gli attivi bancari e un terzo dell’investimento diretto estero effettuato dalle imprese multinazionali vengono dirottati offshore. L’85% delle emissioni bancarie ed obbligazionarie internazionali si svolgono in una zona protetta, fuori controllo. Finanza-fantasma, un volume economico mostruoso: pari a un terzo del Pil mondiale. Secondo l’Fmi, è il fatturato-ombra dei soli piccoli centri insulari. Sono le “Isole del tesoro” svelate dall’inglese Nicholas Shaxson, autore di un singolare libro-denuncia. Cifre impietose: a possedere società off shore è l’83% delle maggiori impresi statunitensi e, secondo “Tax Justice Network”, il 99% di quelle europee. Isole protette da legislazioni opache: non solo isolette caraibiche, ma grandi isole famosissime: come Manhattan o la stessa Gran Bretagna, dove nel 2007 sempre il Fondo Monetario Internazionale ha individuato una giurisdizione segreta.
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Erri De Luca: il torto del soldato non è la sconfitta
La scrittura di Erri De Luca ha un ritmo spezzato, come le onde corte che si infrangono sugli scogli della sua Ischia. E’ un ritmo che, all’inizio, mi affatica sempre un po’. Poi, dopo poche pagine, entro in risonanza, divento onda, divento scoglio, e il suo ritmo si fa mio. Così, quando il libro finisce, mi rimane sulla pelle qualcosa che ha il sapore della nostalgia: di quelle onde e di quegli scogli. Persino dei ricci di mare che si fanno parole e pungono di nero. “Il torto del soldato” è tante storie, ma soprattutto la storia di due solitudini. Anzi tre. Lui è un uomo maturo, esperto di letteratura yiddish. Un taciturno, che affida le sue sensazioni alla parola scritta o alle mani con cui scala, anzi sente le montagne. «Uno che passa il suo giorno a frugare rocce a quattro zampe ha un mucchio di tempo per contarsi storie».
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Fitzcarraldo e Mick Jagger, la conquista dell’inutile
«Mick Jagger è venuto da noi in taxi, ma siccome l’autista si è rifiutato di procedere per gli ultimi cento metri tra le buche piene di fango, nemmeno al doppio della tariffa, l’ho trovato che camminava a tentoni al buio, in smoking e scarpe da ginnastica». A parlare è il grande visionario Werner Herzog, regista di “Fitzcarraldo”, capolavoro del 1982 che evoca la spericolata odissea amazzonica di un battello fluviale, organizzata per finanziare un grande sogno: costruire un grande teatro dell’opera a Iquitos, per farvi esibire la star dell’epoca, Enrico Caruso. Herzog affida singolari memorie al diario del suo film-limite, scritto durante i due anni e mezzo di lavorazione nella giungla, tra il giugno 1979 e il novembre 1981: un’impareggiabile avventura, tra enormi difficoltà logistiche e mutamenti nel cast che, alla fine, comprenderà Klaus Kinski e Claudia Cardinale. Mick Jagger invece sciolse il contratto, essendo troppo occupato nell’ambiente musicale: Herzog scelse di eliminare il suo personaggio piuttosto che affidarlo ad un altro attore.
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Romanzo di una valle che resiste in fondo al vento
Un giovane giornalista riluttante e già disilluso sul proprio mestiere viene inviato nella valle di Susa in rivolta contro il Tav. Dietro alle barricate della più anomala protesta popolare d’Italia scoprirà un oscuro retroterra di misteri irrisolti che ancora inquinano un orizzonte di tensioni. E’ il tema di “Una valle in fondo al vento”, romanzo che Giorgio Cattaneo – esponente del network creativo torinese “Libre” – dedica alla lunga controversia, tuttora in corso, sull’alta velocità ferroviaria Torino-Lione. Sullo sfondo dell’opaco business delle grandi opere, fra strani depistaggi e attentati fantasma, emerge la voce corale di una comunità esasperata dagli abusi subiti e pienamente consapevole del respiro storico della propria terra, eterno crocevia europeo fin dall’antichità. Tra le ombre inquietanti di vicende frettolosamente archiviate, il protagonista scopre che, proprio come in guerra, la prima vittima della cronaca è sempre la verità.
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Scollochiamoci da soli, prima che a espellerci sia il sistema
Non è uno scherzo. E nemmeno l’ennesima beffa di Elsa Fornero, la temutissima Signora delle Pensioni, matrigna degli “esodati” d’Italia. Si chiama, per davvero, Ufficio di Scollocamento. E’ un libro, ma anche un sito. Un progetto di assistenza integrato, un’uscita di scurezza. Parola d’ordine: «“Scollochiamoci”, prima che sia il sistema a farlo. Del resto, non lo sta già facendo?». Eccome: siamo di fronte alla più grave crisi della storia moderna. I grandi manovratori e i loro trombettieri ostentano fiducia: ce la faremo anche stavolta, dicono, anche se a prezzo di sacrifici atroci. I più deboli in ginocchio, il ceto medio impoverito e terrorizzato dalla recessione, spolpato e tradito dalla politica e dalle banche. I critici denunciano il “golpe” della finanza: oscuri profitti stellari, ricavati proprio dalla speculazione sulla crisi. Un’altra scuola di pensiero avverte: anche se ci liberassimo degli sciacalli, dovremmo prepararci a decrescere, perché un’epoca lunga 200 anni è finita per sempre.
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Giapponesi traditi: Fukushame, vergogna criminale
Limiti di esposizione alle radiazioni alzati di 20 volte per risarcire meno famiglie, fusioni del nocciolo taciute, migliaia di animali abbandonati e costretti a morire di fame e stenti. Sono solo alcune delle “vergogne” giapponesi raccontate in “Fukushame. The lost gardens of Japan”. Un titolo inglese per un documentario tutto italiano, fra i primi al mondo a descrivere la situazione all’interno della “No Go Zone”: area fantasma che, creata dal governo nipponico ed evacuata subito dopo la tragedia dell’11 marzo 2011, separa con un muro di radioattività crescente la centrale di Fukushima Daiichi dal resto del mondo. Un problema ambientale, ma anche politico e sociale. «Le popolazioni locali sono trattate come oggetti», denuncia il regista Alessandro Tesei. Anzi, «oggetti fastidiosi».
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Atene, banchieri in pericolo: il giustiziere è un serial killer
La crisi uccide, ma non come siamo portati a pensare. C’è chi ci lascia la pelle in modo violentissimo: banchieri, finanzieri e funzionari delle agenzie di rating. I corpi sono rinvenuti orrendamente decapitati, a colpi di scimitarra. E tutto fa supporre che l’assassino, che li considera criminali, si sia assunto l’incarico di impartir loro la più plateale delle punizioni. Romanzo criminale dell’abisso nel quale sprofonda la Grecia: Petros Markaris, il più noto autore greco di romanzi gialli, è attualmente impegnato in un’impresa piuttosto ambiziosa: sta lavorando a una “trilogia della crisi”, per raccontare la catastrofe sociale provocata dai tagli imposti dalla Bce. Nel primo volume, “Lixipròsthema Dhàneia” (in italiano “Prestiti scaduti”) l’antieroe nero è un serial killer: è lui che fa pezzi, letteralmente, i “carnefici” del popolo greco.
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Piazza Fontana, cine-romanzo di un’occasione sprecata?
Una docu-fiction tipo Rai Storia, ma in versione lusso e con tesi non dimostrate? La differenza la fanno soprattutto i due protagonisti, Valerio Mastrandrea nei panni del commissario Luigi Calabresi e Pierfrancesco Favino, che incarna la vittima dell’indagine, cioè l’ex partigiano, ferroviere e attivista anarchico Giuseppe Pinelli, precipitato dal quarto piano della questura di Milano il 15 dicembre 1969. La tragedia scoppiò al termine di un fermo illegalmente prolungato per tre giorni e scattato poche ore dopo la strage di piazza Fontana, che fece 17 morti e 88 feriti alla Banca Nazionale dell’Agricoltura. Attentato che segnò l’inizio della “strategia della tensione” scatenata in Italia per fermare l’avanzata democratica della sinistra e scongiurare il rischio che potesse andare il governo il Pci, ancora formalmente collegato al grande nemico degli Usa e della Nato, l’Unione Sovietica.
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Diaz, undici anni dopo: chi ha paura di quel film-verità?
La furia dei tonfa, i manganelli dall’impugnatura a T: un rumore raggelante di braccia e gambe spezzate. Sangue e materia cerebrale che allagano il parquet della palestra scolastica, schizzano sugli intonaci, gocciolano dai termosifoni. «Un sabba infernale di grida e lamenti che hanno il suono osceno di bestie portate al macello», scrive Carlo Bonini su “Repubblica” il 24 marzo dopo aver visto in anteprima – insieme a due poliziotti e ad una delle vittime – il film sulla “macelleria messicana” alla scuola Diaz di Genova il 21 luglio 2001, girato da Daniele Vicari e prodotto da Domenico Procacci. Un film arduo: pochissime riprese a Genova per evitare disagi, e i mezzi della polizia usati per le riprese – furgoni e blindati – sequestrati per accertamenti al ritorno da Bucarest, dov’era stato allestito il set. Invitati all’anteprima, i politici – senza spiegazioni – non si sono fatti vedere né a Palermo né a Torino, dove in compenso hanno inviato i vigili urbani a verificare orari e capienza della sala.
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Strana violenza: se il potere ha paura, scatena i black bloc
Un mondo diverso è possibile? In teoria, sì. Ma appena la svolta si avvicina, ecco che arrivano loro: sfasciano tutto, devastano città, terrorizzano manifestanti e adesso scatenano anche la guerriglia con la polizia, dando al governo di turno il pretesto perfetto per seppellire sotto la repressione qualsiasi domanda di cambiamento. Loro sono i neri, gli incappucciati: da più di dieci anni, puntualissimi guastatori di qualsiasi “primavera” civile. Sono i migliori alleati del potere che dichiarano di voler combattere, dice senza esitazioni Franco Fracassi, che dopo il saggio “G8 Gate” sulla catastrofe genovese del 2001 ha dedicato ai black bloc un accurato studio monografico. Il libro prova a far luce sull’origine del più ambiguo fenomeno degli ultimi anni, regolarmente in campo ad inquinare qualsiasi pacifica contestazione sociale: molti di loro sono ragazzi ingenui, alcuni di estrema destra, manovrati però da un’abile regia.
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Venite a visitare il mare di gioia che non riuscite a vedere
E’ difficile raccontare il mare senza mai staccarsi da terra. Può succedere solo se il mare ce l’hai dentro di te, senza neppure saperlo: e allora i prati in fiore diventano fondali rigogliosi, i cieli scogliere ventose, i rami degli alberi trame intricate di corallo. E’ un mare di stagioni, quello dipinto dai ragazzi che dipingono sulla riva del grande fiume, proprio là dove il fiume si rassegna a salutare gli argini erbosi e ad entrare nella prigione di cemento della città. La città è Torino e la riva dei pittori coraggiosi, poeti del mare, si chiama Moncalieri: i ragazzi arrivano puntuali ogni mattina, si fanno compagnia, pranzano insieme. E poi, si mettono in ascolto: fanno silenzio, e lasciano scrosciare tutto il mare che hanno dentro. E’ un mare segreto, incontaminato. E loro lo dipingono, sfiorando un viaggio che i comuni mortali, semplificando, a volte chiamano con un nome misterioso: felicità.
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La guerra di Fabio, a tu per tu con Gheddafi morto
Disertori e civili, giovani e non. Tutti originari di Zawiya e tutti volontari della guerra civile contro Gheddafi, la loro “rivoluzione”. «Vuoi venire con noi? E va bene, ma sappi che rischierai la pelle». Lui lo sa perfettamente: si chiama Fabio, è di Torino, ha in tasca una laurea in ingegneria ma, a trent’anni, ha deciso di gettarsi nella passione della sua vita: la fotografia di guerra, direttamente dal fronte. Per questo è accorso a Bengasi allo scoppio della rivolta, poi ha seguito i combattimenti a Brega e Ras-Lanuf, quindi ha deciso di seguire i suoi compagni di avventura, la squadra di combattenti di Zawiya, fino alla destinazione finale: Tripoli. Dopo la presa della capitale, Fabio si è spinto nella nella “città proibita” di Sirte, santuario blindato del morente regime e teatro della battaglia definitiva. Ed è stato il primo reporter al mondo a realizzare, a Misurata, i primi scatti “fermi” al corpo ormai senza vita di Muhammar Gheddafi.