Archivio della Categoria: ‘idee’
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Oltre a Hitler, chi ha sulla coscienza quei milioni di ebrei?
Perché per far rientrare gli ebrei (esiliati) nella terra promessa sarebbero dovuti morire sei milioni di loro? Perché avrebbero dovuto pagare questa pesante “tassa”? Sono loro stessi a dirlo: lo dice il giudaismo, in particolare. Ovviamente non è una profezia contenuta nella Bibbia, come alcuni vorrebbero far credere, giocando sulle parole (soprattutto sull’assenza della lettera waw all’interno del termine che indica “ritornerete”, che si si trova in Levitico), ma è qualcosa che è stato deciso successivamente. Peraltro, ricordo anche espressioni di sionisti che dicevano: «In fondo, una nazione val bene qualche milione di morti». E quindi era la “tassa” da pagare (o da far pagare) per poter avanzare con forza la richiesta di poter tornare in quella che loro ritengono essere la loro nazione. Quando dico “loro” intendo i sionisti, perché non tutti gli ebrei sono d’accordo: penso ad esempio al movimento dei Naturei Karta, che sono diverse centinaia di migliaia di ebrei, che ritengono questo Stato di Israele assolutamente illegittimo perché non fondato dal messia (questo sì, sarebbe scritto nell’Antico Testamento e farebbe parte della tradizione ebraica; invece questo Stato di Israele non è stato fondato dal messia, dunque da questi è ritenuto illegittimo).Quella dei cosiddetti sei milioni era la tassa da pagare per poter avanzare questa richiesta al mondo. E non è un caso che di sei milioni si sia iniziato a parlare ben prima della nascita di Hitler: il che vuol dire che era qualcosa di già deciso in precedenza. Quello sulla Shoah è un discorso estremamente delicato, che va trattato veramente con le pinze. Partiamo dal presupposto che questo sia avvenuto, e non mettiamo neppure in discussione l’ammontare delle vittime: in fondo, che siano sei milioni o seicentomila, fra virgolette poco conta (anche perché poi è difficile contarle esattamente). Ma supponiamo pure che siano sei milioni. Ora, ciò che è difficile pensare è che questo sia stato pianificato in modo autonomo e improvviso dal nazionalsocialismo. E’ un qualcosa di cui si parlava molto prima: la pianificazione è partita molto prima della nascita di Hitler. Ci sono addirittura delle chiavi di lettura che la danno come “inevitabile” perché già prevista nella Bibbia, attraverso particolari riletture (del Levitico, appunto) da cui risulterebbe che condizione essenziale per il ritorno degli ebrei in terra d’Israele era la scomparsa di sei milioni di loro.Ora, secondo me, il problema (più importante ancora di quello che pone il revisionismo) è questo: diamo per scontato che la Shoah ci sta stata e che abbia avuto quelle dimensioni, con la quale ci viene raccontata. Il problema è: chi l’ha veramente voluta? Chi l’ha pianificata? Da quando l’ha pianificata? Di chi sono stati vittima, questi ebrei? Questi ebrei che sono stati uccisi erano davvero tutti ebrei o, come come li chiamavano i tedeschi, erano dei giudei? Il che non significa esere necessariamente ebrei, ma essere una parte che poteva essere “sacrificata”, in quanto ritenuta non pura dal punto di vista del sangue. Ecco, questa secondo me è la direzione nella quale bisogna procedere con la ricerca, per capire quali sono le vere responsabilità: che non possono essere interamente ed esclusivamente attribuite al nazionalsocialismo, perché la pianificazione sicuramente è partita prima. Tornando alla Bibbia: perché gli Elohim più potenti che circondavano gli israeliti hanno avuto la peggio e non sono divenuti così famosi come Yahweh? Le riposte possono essere tante: possono aver lasciato campo libero a Yahweh, se ne possono essere andati, oppure Yahweh può essere risultato il più bravo, cioè quello che ha saputo imporsi al di sopra degli altri.Oppure c’è anche un’altra spiegazione: a un certo punto tutti loro, gli Elohim, si sono di fatto disinteressati del rapporto diretto con l’umanità. E poi, da un certo momento in avanti (nei secoli più vicini a noi: 1600, 1700), qualcuno è stato talmente bravo da riprendere in mano tutta questa storia e ricostruire una situazione, gestendola e programmandola a suo uso e consumo, facendola risalire (e quindi legandola) a racconto biblico. Quindi, il tutto potrebbe essere nelle mani di – diciamo così – usurpatori: cioè persone che, in origine, non avevano nulla a che vedere con la Bibbia. Non sarebbero neanche discendenti delle 12 tribù di Israele, ma sarebbero un altro popolo, di guerrieri e di usurai, che si è convertito al giudaismo e ha preso in mano le redini del tutto, e ha saputo imporre e gestire quel regime finanziario che ci sta governando. Questa cosa spiegherebbe anche come mai, durante la Seconda Guerra Mondiale, la pianificazione dell’uccisione di alcuni milioni di essi fosse diretta soprattutto alla cosiddetta “razza giudaica”, più che alla “razza ebrea”. E quindi questo richiede uno studio accurato, che dovrà portare forse ad un riesame della storia così come ci è stata raccontata.(Mauro Biglino, video-dichiarazioni rilasciate sul proprio sito il 4 ottobre 2019 rispondendo a domande dei lettori. Biblista e già traduttore ufficiale dell’Antico Testamento per le Edizioni San Paolo, l’autore ha intrapreso una pubblicazione saggistica basata sulla scoperta della rilettura letterale del testo biblico, da cui sono testualmente assenti i concetti teologici e metafisici. Yahweh sarebbe solo uno dei tanti Elohim menzionati dalla Bibbia: dominatori alieni, cioè diversi e distinti dagli umani, potenti ma non onnipotenti né immortali. Riguardo alle possibili origini pre-hitleriane del progetto della Shoah, immane strage che Biglino si guarda bene dal negare, l’autore fa riferimento alla letteratura giornalistica anglosassone, di pubblico dominio, che a partire dalla fine del 1800, con crescente insistenza, allude all’imminente sterminio di sei milioni di ebrei in Europa, ben prima dell’avvento del nazismo. Mentre il negazionismo tende a ridimensionare le spaventose responsabilità della Germania, Biglino – al contrario – ipotizza che il regime di Hitler sia stato utilizzato come spietato strumento di morte, a insaputa dei tedeschi e degli stessi ebrei, da mostruosi manipolatori occulti della geopolitica mondiale).Perché per far rientrare gli ebrei (esiliati) nella terra promessa sarebbero dovuti morire sei milioni di loro? Perché avrebbero dovuto pagare questa pesante “tassa”? Sono loro stessi a dirlo: lo dice il giudaismo, in particolare. Ovviamente non è una profezia contenuta nella Bibbia, come alcuni vorrebbero far credere, giocando sulle parole (soprattutto sull’assenza della lettera waw all’interno del termine che indica “ritornerete”, che si si trova in Levitico), ma è qualcosa che è stato deciso successivamente. Peraltro, ricordo anche espressioni di sionisti che dicevano: «In fondo, una nazione val bene qualche milione di morti». E quindi era la “tassa” da pagare (o da far pagare) per poter avanzare con forza la richiesta di poter tornare in quella che loro ritengono essere la loro nazione. Quando dico “loro” intendo i sionisti, perché non tutti gli ebrei sono d’accordo: penso ad esempio al movimento dei Naturei Karta, che sono diverse centinaia di migliaia di ebrei, che ritengono questo Stato di Israele assolutamente illegittimo perché non fondato dal messia (questo sì, sarebbe scritto nell’Antico Testamento e farebbe parte della tradizione ebraica; invece questo Stato di Israele non è stato fondato dal messia, dunque da questi è ritenuto illegittimo).
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Ilva, Italia svenduta: salute o lavoro, il ricatto dei privati
Sul caso Ilva, i media mainstream ci obbligano a ragionare sul fatto che la colpa sia di Di Maio piuttosto che di Calenda, a discutere su cosa c’era nell’accordo, chi l’ha cambiato e come. Al solito, nella piramide del problema siamo al livello più basso. La questione storica, importante, riguarda il bivio: nazionalizzazioni o privatizzazioni. A monte, l’errore è stato questo: essere arrivati a privatizzare aziende importanti come l’Ilva. Non stiamo parlando di una fabbrica di biscotti, ma di un’azienda che riguarda l’economia della nazione. Come sappiamo, è stata una decisione strategica: quella del famoso panfilo Britannia a Civitavecchia non era un’improvvisata, era la scelta di un’intera classe politica europea, meglio ancora britannica. C’era e c’è un disegno, che purtroppo va al di là della cronaca. Hanno deciso che l’Italia intera doveva essere privatizzata, e hanno cominciato a smobilitare tutta la partecipazione dello Stato nell’economia del paese. Questo è il grande elemento che sfugge al dibattito politico. Uno di quello che lo hanno raccontato meglio è stato Paolo Maddalena, che ha conosciuto dall’interno questo potere e a un certo punto ha deciso di cominciare a raccontarlo. Potere che è tutto anticostituzionale.Se vogliamo trovare un momento in cui la Costituzione democratica fondamentale del nostro paese è stata rovesciata, senza che il popolo lo sapesse (nella classe politica lo sapevano, quello che stavano facendo), è la privatizzazione dell’Italia, che sta dietro a questo dramma attuale. I governi che si sono succeduti da allora non hanno fatto altro che staccare pezzi di proprietà pubblica (italiana, del paese, del popolo: la ricchezza nazionale) e venderla a pezzettini: normalmente agli stranieri, ma in parte hanno partecipato anche i grandi tycoon, i grandi pescecani della politica italiana. Sostanzialmente, tutto questo è stato venduto ad altri partner, che poi a loro volta lo hanno spezzettato e rivenduto. Cioè, noi abbiamo perduto la ricchezza del paese, irrimediabilmente. Basta vedere quello che sta succedendo a Taranto. Da allora, siamo alla ricerca spasmodica di qualche impresa che venga qui a pigliarci qualche altro pezzo. Ovviamente chi viene qui lo fa per fare affari, anteponendo i suoi interessi economici a quelli della salute e della nazione. Non vengono certo qui a fare beneficenza: che importa, a loro, della condizione dei lavoratori di Taranto, o dello stato dell’ambiente in cui respirano centinaia di migliaia di famiglie?Loro sono venuti qui per fare profitto. E nel momento in cui - come emerge dalle cronache di questi giorni – scoprono che ci rimettono due milioni di euro al giorno, pensano: perché dovremmo stare qui? Poi, per giunta, arriva un giudice che dice: guardate che state ancora inquinando la città, e quindi non avete mantenuto i patti sulla bonifica dell’aria. Ma se dobbiamo spendere soldi per questo, dicono, allora ce ne andiamo. Noi quindi siamo degli ostaggi, in mano a un’impresa straniera. E al governo non potevano capirlo prima, che chiunque sarebbe arrivato avrebbe anteposto i suoi interessi economici? Dobbiamo tutti fingere di scoprirlo adesso, di avere dei problemi perché ci siamo messi nelle mani di privati? Al governo qualcuno è consapevole della situazione, ma altri queste cose non le sanno. Nella campagna elettorale, il Movimento 5 Stelle garantì a Taranto che avrebbe impedito che le cose continuassero in questo modo, e che si sarebbe messo dalla parte dei lavoratori: senza sapere che i lavoratori hanno un problema drammatico, che è quello di lavorare. Il conflitto è molto più complesso, perché la gente deve lavorare, e allo stesso tempo sa che, prendendo uno stipendio dall’ex Ilva, deve respirare aria che non faccia ammalare loro e i loro figli.Tremenda contraddizione: quella fabbrica è impiantata sul nostro territorio, fatta dagli italiani, ma non siamo in grado di farla funzionare in modo che non avveleni chi ci lavora. E non solo, purtroppo. Al Tg1, una madre di Taranto ha detto: «Io quest’anno ho avuto un figlio morto di tumore a causa dell’Ilva, e l’unico motivo per cui non mi sono fatta esplodere fisicamente davanti all’Ilva, per protesta, è che ho altri due figli da mantenere». Dato che urge lavorare, passa in secondo piano il fatto che non sia possibile farlo in un ambiente pulito. Ci sono fatti inevitabili, oltretutto: il giudice che si è pronunciato sull’Ilva ho fatto in base alla Costituzione italiana, dove è scritto che lo Stato deve garantire il diritto alla salute, così come il diritto al lavoro. Abbiamo una Costituzione che sancisce due cose che non dovrebbero essere equivocabili, né evitabili: il diritto al lavoro e quello alla salute. A Taranto invece abbiamo un’intera popolazione sottoposta a una inevitabile contraddizione, che in forma privatistica non è risolvibile.(Giulietto Chiesa, dichiarazioni rilasciate nella conversazione con Massimo Mazzucco il 6 novembre 2019, durante la trasmissione serale di “Contro Tv”. Un appuntamento ormai quotidiano, alle ore 21, che si avvale di uno streaming libero, senza dover dipendere da YouTube).Sul caso Ilva, i media mainstream ci obbligano a ragionare sul fatto che la colpa sia di Di Maio piuttosto che di Calenda, a discutere su cosa c’era nell’accordo, chi l’ha cambiato e come. Al solito, nella piramide del problema siamo al livello più basso. La questione storica, importante, riguarda il bivio: nazionalizzazioni o privatizzazioni. A monte, l’errore è stato questo: essere arrivati a privatizzare aziende importanti come l’Ilva. Non stiamo parlando di una fabbrica di biscotti, ma di un’azienda che riguarda l’economia della nazione. Come sappiamo, è stata una decisione strategica: quella del famoso panfilo Britannia a Civitavecchia non era un’improvvisata, era la scelta di un’intera classe politica europea, meglio ancora britannica. C’era e c’è un disegno, che purtroppo va al di là della cronaca. Hanno deciso che l’Italia intera doveva essere privatizzata, e hanno cominciato a smobilitare tutta la partecipazione dello Stato nell’economia del paese. Questo è il grande elemento che sfugge al dibattito politico. Uno di quello che lo hanno raccontato meglio è stato Paolo Maddalena, che ha conosciuto dall’interno questo potere e a un certo punto ha deciso di cominciare a raccontarlo. Potere che è tutto anticostituzionale.
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Sapelli: salvare l’Ilva, è il nostro ultimo gioiello strategico
Secondo una scuola di economisti neoliberali, non abbiamo più bisogno delle produzioni nazionali, perché l’acciaio si può acquistare, come qualsiasi altra commodity, sul mercato internazionale. Questa posizione sottovaluta però un fattore importante. L’acciaio è una materia prima lavorata, con differenti gradi di perfezione. Grazie al lascito della grande industria siderurgica nazionale di proprietà pubblica, gli acciai piani di Taranto sono di altissima qualità, tra i migliori al mondo. E in un paese caratterizzato dalla presenza di piccole e medie imprese, questi sono venduti per circa il 70% a copertura del fabbisogno nazionale. Di fatto le imprese metallurgiche, meccaniche e affini italiane possono acquistare questo acciaio di altissima qualità a un prezzo inferiore rispetto a quello dell’oligopolio internazionale. Quindi la chiusura dell’ultimo impianto a ciclo integrato rimasto in Italia sarebbe oltremodo grave: verrebbe meno uno dei pochi fattori che consentino alla nostra piccola e media impresa di resistere.Trovare una soluzione è molto difficile, anche perché il problema dell’ex Ilva risale nel tempo. Abbiamo visto avvicendarsi sentenze e provvedimenti con una lettura della responsabilità giuridica delle imprese che, se nel diritto anglosassone comporta sanzioni, nel caso di Taranto (con l’interpretazione che si è data del decreto legislativo 231 del 2001) ha comportato l’esproprio senza alcun processo degli stabilimenti che erano stati acquisiti dalla famiglia Riva e i sequestri di parte della produzione al posto delle multe. Tutto questo ha poi portato a quel provvedimento, certamente inconsueto in uno Stato di diritto, noto come “scudo penale” per Arcelor Mittal, in cambio delle bonifiche ambientali e dei necessari cambiamenti alla produzione. Il tira e molla su questo provvedimento, che ha avuto come protagonisti i 5 Stelle, ora ha indotto il gruppo franco-indiano a prendere la decisione a tutti ormai nota. Non credo che Arcelor Mittal a quel punto abbia poi voglia rimettersi in campo, perché le sono state fatte delle promesse che non sono state mantenute.Bisognerebbe trovare degli altri azionisti privati che subentrassero. Ho in mente per esempio Arvedi, che svolge le stesse produzioni utilizzando delle tecnologie che riducono altamente la possibilità di inquinamento. La nazionalizzazione? Non credo che sia una strada percorribile, per via delle regole europee. Cassa Depositi e Prestiti potrebbe anche entrare nel capitale, ma la cosa importante è trovare altri azionisti e dei manager capaci. Ma ci vorrebbe anche un governo che avesse dei ministri autorevoli, soprattutto allo sviluppo economico. A una cordata sembra stia pensando Renzi, dopo che Italia Viva ha votato insieme agli altri partiti di maggioranza per togliere lo “scudo penale” ad Arcelor Mittal. Quella di Renzi è la posizione che può esprimere una persona che è a capo di un conglomerato industriale, non che viene eletta dal popolo per fare gli interessi della nazione e occuparsi di problemi generali. È molto grave che un singolo parlamentare si faccia promotore addirittura di accordi industriali.Vuol dire che i neo-partiti personali sono agglomerati di imprenditori che di volta in volta contattano degli uomini politici, li mandano avanti per fare in modo che si preveda l’applicazione di determinate leggi e misure e attorno a questo raggiungono un consenso che abbia un peso elettorale. Intanto il Pd viene accusato di essersi appiattito sulle posizioni del Movimento 5 Stelle. Il Pd è da tempo che si allinea alle posizioni che io chiamo “esoteriche” dei 5 Stelle. Un tempo, quanti in Italia erano legati ai gruppi maoisti sostenevano che l’acciaio si potesse fare coi secchi, come secondo loro faceva Mao in Cina. Sappiamo però bene che occorre un altoforno, per questo. Adesso ci sono quanti sostengono che produrre acciaio non ha dei rischi ambientali. Li ha, ma abbiamo tutte le tecnologie idonee per evitarli. A Taranto non si è fatto molto, su questo punto, anche da parte degli enti pubblici. La Regione Puglia ha responsabilità enormi, da Vendola in poi, perché aveva tutti i mezzi legali per imporre almeno una copertura dei rifiuti metallici e impedire che il vento li portasse via.Poche settimane fa Whirlpool ha comunicato di voler chiudere lo stabilimento di Napoli, ora Arcelor Mittal fa un passo indietro da Taranto. Non è un caso, perché questo governo dà segni di grande debolezza, di grande fragilità, soprattutto di indeterminatezza nelle politiche industriali. Anche perché il Pd si è appiattito sulle posizioni dei 5 Stelle. Quindi gli investitori stranieri non si sentono più sicuri e naturalmente pensano già alle vie di fuga dall’Italia. Non escludo che ci siano gruppi esteri pronti all’assalto perché quello di Taranto, una volta risanato, è uno stabilimento di altissima professionalità e rappresenta il 70% del mercato italiano dell’acciaio (che vuol dire le industrie, soprattutto degli stampisti, meccaniche e metallurgiche, tra le migliori al mondo). Nel frattempo, in base ai contratti stipulati, anche senza produrre a Taranto Arcelor Mittal potrà rifornire i clienti dell’ex Ilva con l’acciaio realizzato all’estero. Questa è la cosa che mi preoccupa di più, perché vuole dire che si arriva a eradicare una parte della nostra industria.Penso che con questa vicenda dell’ex Ilva cominciamo ad arrivare al finale della “campagna d’Italia”, cioè alla spoliazione dell’industria italiana. Questa è una vicenda che comincia da Romano Prodi. Un modo per obbligare l’industria italiana, se vuole l’acciaio, a rifornirsi da qualcun altro. Chi se ne avvantaggia? Un po’ tutti i gruppi. Arcelor Mittal è un gruppo franco-indiano. I tedeschi, dopo la drammatica vicenda Thyssen, hanno avuto l’intelligenza di rifarsi. Quindi, come ripeto da tempo, i contendenti della campagna d’Italia sono la Francia e la Germania. Si può rimettere in piedi l’ex Ilva? Ci sarebbe il modo. Abbiamo azionisti privati, penso ad Arvedi; abbiamo anche le capacità manageriali. Ci vuole un sostegno pubblico, che però deve essere forte, autorevole e continuo nel lungo periodo. Cosa che non mi pare possibile oggi. Se c’è un ministro responsabile, mi appello a Gualtieri che mi sembra l’unico con queste caratteristiche nel governo: si dia da fare e si cerchi di separare la polemica pro o contro esecutivo dalla vicenda Ilva. La questione di fondo è salvare l’ex Ilva, qualunque governo ci sia.(Giulio Sapelli, dichiarazioni rilasciate a Lorenzo Torrisi per l’intervista “Caos Ilva, azionista privato e sostegno dello Stato, ecco come fare”, pubblicata dal “Sussidiario” il 6 novembre 2019).Secondo una scuola di economisti neoliberali, non abbiamo più bisogno delle produzioni nazionali, perché l’acciaio si può acquistare, come qualsiasi altra commodity, sul mercato internazionale. Questa posizione sottovaluta però un fattore importante. L’acciaio è una materia prima lavorata, con differenti gradi di perfezione. Grazie al lascito della grande industria siderurgica nazionale di proprietà pubblica, gli acciai piani di Taranto sono di altissima qualità, tra i migliori al mondo. E in un paese caratterizzato dalla presenza di piccole e medie imprese, questi sono venduti per circa il 70% a copertura del fabbisogno nazionale. Di fatto le imprese metallurgiche, meccaniche e affini italiane possono acquistare questo acciaio di altissima qualità a un prezzo inferiore rispetto a quello dell’oligopolio internazionale. Quindi la chiusura dell’ultimo impianto a ciclo integrato rimasto in Italia sarebbe oltremodo grave: verrebbe meno uno dei pochi fattori che consentono alla nostra piccola e media impresa di resistere.
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Veneziani: dementi, credete che Nero sia meglio di Negro?
Ieri mi ha fermato un africano per vendermi qualcosa e mi ha detto “Fratello bianco”. Io gli ho risposto: «Ma come ti permetti?». Lui è rimasto allibito, pensando che ce l’avessi col fratello, invece ho proseguito: «A me, bianco non me l’ha mai detto nessuno», alludendo alla mia carnagione scura. Lui ha sorriso e mi ha detto: «Io però sono n., tu sei solo scuro». Non posso pronunciare la parola perché è vietata dalla polizia culturale e l’algoritmo la censura e l’inquisizione poi sospende il blog. Detesto la retorica di dire nero anziché n., sapendo che l’insulto è nell’aggettivo che può accompagnarlo o nel tono, non certo nella parola n. E mi piace che sia stato lui a dirlo. Ma si rendono conto, i retori dell’integrazione, che nero è sempre stata – salvo per i fascisti, i preti e la nobiltà nera – una connotazione negativa? Nera è la morte, il lutto e la sfortuna. Nero anzi noir è l’horror, nera è la cronaca dei delitti, nero è il lavoro sfruttato e l’evasione (ma il rosso in bilancio è peggio). Nero è il buio, nero è l’uomo cattivo dell’infanzia, nera è la giornata disastrosa. Nero è il tempo brutto, il gatto che porta male, il corvo funesto e l’abito dello iettatore.Nero è il futuro negativo, nera è la maglia della vergogna, nero è il volto dell’incazzatura, nera è la minaccia: ti faccio nero. Nera è l’anima del malvagio. Possibile che con questi precedenti si celebri come un progresso la promozione del n. a nero? Peggio di nero, c’è solo la definizione di uomo di colore, come se lui fosse un pagliaccio variopinto e noi degli esseri incolori. Due offese in un colpo solo. Più rispetto per i n., i chiari e i chiaroscuri. Quanto al calcio, io ricordo da bambino i cori e le battute degli spalti. Si accanivano contro qualunque calciatore della squadra opposta avesse uno spiccato tratto distintivo: se era pelato, se era troppo alto o troppo basso, se aveva la barba o era grassottello, se parlava in campo o se si agitava, se era nero, mulatto o rosso di capelli. Di quei cori puerili e di quelle frasi cretine non se ne faceva però un titolo di telegiornale, una campagna antirazzismo, non si istituiva una commissione o un processo, non si denunciava allarmati il ritorno di Hitler…Un crimine, un furto, un’aggressione, lo spaccio di droga non destano reazioni così decise, sanzioni così drastiche e pubblico raccapriccio come una parola scema fuori posto pronunciata in tema di colore della pelle. Se fai un commento, una battuta sul tema ti giochi il lavoro, la tua reputazione, il tuo posto in squadra, molto più che se hai compiuto veri reatiBisogna saper distinguere le cose gravi dalle cose sciocche; è molto più nociva l’abitudine di criminalizzare chiunque dica una parola sconveniente adottando la teoria demente che si comincia così e poi si finisce ai campi di sterminio. Chi prende sul serio una stupidaggine è più stupido di chi la pronuncia, o peggio è in malafede perché vuole speculare sull’incidente per criminalizzare l’intera area di chi non la pensa come lui. Salvateci dal politicamente corretto, fa più danni dell’idiozia episodica di una battuta, che viene reiterata proprio perché ha una risonanza immeritata che la moltiplica e la rende importante, quando era solo una stupida battuta.(Marcello Veneziani, “Più rispetto per i n.”, da “La Verità” del 5 novembre 2019; articolo ripreso sul blog di Veneziani).Ieri mi ha fermato un africano per vendermi qualcosa e mi ha detto: «Fratello bianco». Io gli ho risposto: «Ma come ti permetti?». Lui è rimasto allibito, pensando che ce l’avessi col fratello, invece ho proseguito: «A me, bianco non me l’ha mai detto nessuno», alludendo alla mia carnagione scura. Lui ha sorriso e mi ha detto: «Io però sono n., tu sei solo scuro». Non posso pronunciare la parola perché è vietata dalla polizia culturale e l’algoritmo la censura e l’inquisizione poi sospende il blog. Detesto la retorica di dire nero anziché n., sapendo che l’insulto è nell’aggettivo che può accompagnarlo o nel tono, non certo nella parola n. E mi piace che sia stato lui a dirlo. Ma si rendono conto, i retori dell’integrazione, che nero è sempre stata – salvo per i fascisti, i preti e la nobiltà nera – una connotazione negativa? Nera è la morte, il lutto e la sfortuna. Nero anzi noir è l’horror, nera è la cronaca dei delitti, nero è il lavoro sfruttato e l’evasione (ma il rosso in bilancio è peggio). Nero è il buio, nero è l’uomo cattivo dell’infanzia, nera è la giornata disastrosa. Nero è il tempo brutto, il gatto che porta male, il corvo funesto e l’abito dello iettatore.
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5 Stelle ricattati dal potere che utilizza tutti, anche la Lega
Nelle elezioni in Umbria, la coalizione Pd-M5S la preso una legnata terribile. Lo si sapeva, era attesa. Ma probabilmente è andata al di là delle proporzioni che tutti si aspettavano. A parte quello che dicono i talkshow, sempre manipolati, ora cosa ci si può attendere, realisticamente? L’alleanza tra 5 Stelle e Pd è stata facilitata dal “babau” Salvini che “creava un sacco di problemi per l’Italia” (il che era anche vero, perché tutto il mondo del potere si era esercitato – coi mercati, con l’Europa – contro il governo precedente). Salvini, per qualche motivo (qualche ricatto, o qualcosa del genere) è stato costretto a buttare all’aria il governo gialloverde, e così si è formato quello che prima non si poteva formare: senza il “babau” Salvini, Pd e 5 Stelle non avrebbero mai fatto maggioranza insieme. Certo non è facile, la coesistenza di questi due soggetti: bisogna che ci siano delle contingenze esterne che la rendano sempre più possibile. Ora, elezioni regionali sembrano essere state una legnata, per i due alleati (e lo sono), ma d’altra parte li costringono – ancora di più – a stare insieme fino alla fine della legislatura, perché se si va alle elezioni prendono una batosta anche a livello nazionale e perdono il governo.Quindi, invece di chiarire se questo governo deve rimanere in carica o no, queste elezioni lo rafforzano – a meno che (il diavolo fa le pentole, ma non i coperchi) qualche gruppo di grillini o di renziani non immagini una strada diversa e mandi tutto all’aria. Vedremo, ma innnazitutto: perché si è verificata, questa batosta? I grillini hanno tradito la loro base. Come nel resto d’Italia, anche in Umbria il Movimento 5 Stelle si era formato combattendo contro Berlusconi e contro il Pd. Questa è stata la loro storia. In Umbria avevano lottato soprattutto contro il Pd, in tutti i modi. In Umbria, il Pd era l’arroganza del potere, il rapporto con il capitale e con i poteri forti, e nessun ascolto dei territori. Questo è stato, il gruppo incarnato dal Pd, per decine di anni. E gli uomini del Movimento 5 Stelle (consiglieri regionali, comunali) erano cresciuti in Umbria facendo questa battaglia. Ho parlato con tanti di loro. Quando il M5S si è alleato col Pd, dicevano: «E adesso noi che facciamo? Ci avevamo messo la faccia, e adesso la perdiamo». Aggiungevano: «Speriamo che il disastro elettorale sia di proporzioni limitate». Ma secondo me nemmeno loro se l’aspettavano, che finisse proprio così.C’è stato il tradimento di tutta una classe di attivisti 5 Stelle (come anche nel resto d’Italia, peraltro: quindi, se la stressa cosa viene riproposta in giro per l’Italia, immaginatevi cosa succede). Ma ormai la gente cominicia a non credere più ai burattini di Grillo. In mezzo a loro ci sono tante persone per bene, ma ormai lo si è capito: Grillo ha deciso di andare col Pd, coi poteri forti. Ha deciso di favorire la finta rivoluzione fatta dai poteri forti attraverso l’elettronica, l’industria del “green new deal”, e così il Tap, il Tav, il Muos, i vaccini. Quindi la gente ormai se n’è accorta. Ci vorrà un po’ di tempo, ma diciamo che il Movimento 5 Stelle è in via di spegnimento. A favore di chi? Dei poteri forti, ovviamente. Attualmente, in Parlamento il M5S ha una massa enorme di deputati e senatori che non avrebbe, se si fosse votato adesso, ma insieme a quelli del Pd (che anch’essi prenderebbero una discreta legnata) hanno tutto l’interesse a portare a termine la legislatura, a maggior ragione dopo la batosta in Umbria. Ma pensate al potere oscuro che li controlla entrambi: è un potere verticista, mondializzante, europeista. Pensate a come li controlla meglio, adesso. Non possono sgarrare, né protestare, perché rischiano di andare tutti a casa.E allora farà ancora più disastri, il pericolosissimo governo Conte-bis. E’ stato formato da gente del Club di Roma, dell’Unione Europea, di Goldman Sachs e da gente dei peggiori poteri, inclusi i gesuiti e certe massonerie. E’ un governo di guerra, muove guerra alle coscienze, e trasferirà ancora più fondi dalle nazioni all’Ue: è punta di lancia dell’europeismo e della maggioranza europea verticalizzante. Farà ancora più danni, perché costringerà facilmente a stare zitti i deputati e i senatori che lo sostengono: dovranno accettare tutto, altrimenti andranno a casa. Riuscirà, questa operazione? Speriamo di no. Se non riuscisse, cosa succederebbe? Magari, la destra andrebbe al governo. Ma non aspettiamoci rivoluzioni: la destra dipende dagli stessi poteri, il suo mestiere è solo di fare “bau-bau”. Quindi avremmo un governo di destra che verrebbe attaccato in tutti i modi. Verrebbe messa in crisi l’Italia, fino a ricondurci all’ovile dei funzionari del potere. Quello che è stato fatto adesso verrebbe riproposto. Cosa dobbiamo fare? Svegliarci, non credergli più. E continuare a fare quello che diciamo sempre: lavoriamo, non pensando a questi felloni, ma a quello che possiamo fare attorno a noi. Organizziamoci in piccole comunità e associazioni, gruppi d’acquisto etico-solidali. Facciamo il lavoro in orizzontale: è dal livello orizzontale che sorgerà una società nuova, non da questi felloni.(Fausto Carotenuto, “Elezioni in Umbria: la batosta Pd e M5S. Perché? Cosa cambia in Parlamento?”, video-editoriale su YouTube registrato il 29 ottobre 2019. Già analista politico dei servizi segreti Nato, Carotenuto è ora animatore del network “Coscienze in Rete”).Nelle elezioni in Umbria, la coalizione Pd-M5S la preso una legnata terribile. Lo si sapeva, era attesa. Ma probabilmente è andata al di là delle proporzioni che tutti si aspettavano. A parte quello che dicono i talkshow, sempre manipolati, ora cosa ci si può attendere, realisticamente? L’alleanza tra 5 Stelle e Pd è stata facilitata dal “babau” Salvini che “creava un sacco di problemi per l’Italia” (il che era anche vero, perché tutto il mondo del potere si era esercitato – coi mercati, con l’Europa – contro il governo precedente). Salvini, per qualche motivo (qualche ricatto, o qualcosa del genere) è stato costretto a buttare all’aria il governo gialloverde, e così si è formato quello che prima non si poteva formare: senza il “babau” Salvini, Pd e 5 Stelle non avrebbero mai fatto maggioranza insieme. Certo non è facile, la coesistenza di questi due soggetti: bisogna che ci siano delle contingenze esterne che la rendano sempre più possibile. Ora, elezioni regionali sembrano essere state una legnata, per i due alleati (e lo sono), ma d’altra parte li costringono – ancora di più – a stare insieme fino alla fine della legislatura, perché se si va alle elezioni prendono una batosta anche a livello nazionale e perdono il governo.
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Moncalvo: perché Salvini continua a tacere su Moscopoli?
«Male non fare, paura non avere. Ma soprattutto: non tacere». Gigi Moncalvo, giornalista di razza, attacca frontalmente Matteo Salvini, sottolineando l’evidente imbarazzo del leader leghista di fronte al caso “Moscopoli”. Sul tappeto, l’ipotetico affare petrolifero di cui il suo emissario a Mosca, Gianluca Savini, avrebbe parlato un anno fa all’Hotel Metropol con alcuni esponenti del potere politico-economico russo. «Fino a quando Salvini (vigliaccamente, senza coraggio) continuerà a tacere?», si domanda Moncalvo, nella rubrica “Silenzio stampa” della trasmissione web-radio “Forme d’Onda”, condotta da Stefania Nicoletti e Rudy Seery. Il capo della Lega, ricorda Moncalvo, si avvale tuttora dell’immunità parlamentare che lo protegge, virtualmente, dall’indagine aperta dalla Procura di Milano: nel caso i magistrati ravvisassero effettive irregolarità, dovrebbero chiedere al Parlamento il permesso di procedere contro di lui. Un Parlamento, peraltro – come ricordato polemicamente da Vittorio Sgarbi – dove lo stesso premier Conte (ascoltato dal Copasir per il caso Russiagate) e i leader dei maggiori partiti (le indagini sul figlio di Grillo, le sentenze sui genitori di Renzi) si sono dovuti occupare di questioni giudiziarie gravide di scomodi riflessi mediatici.Secondo Moncalvo, Salvini – con le vele gonfiate dai sondaggi e ora anche dall’esito delle regionali in Umbria – potrebbe sempre dichiararsi vittima di un’ingiusta persecuzione, da parte delle toghe, nel caso in cui “Moscopoli” dovesse esplodere, carte giudiziarie alla mano, alla vigilia delle prossime elezioni politiche. Pietra dello scandalo, a livello televisivo, il servizio realizzato da Giorgio Mottola per “Report”, in cui – fra l’altro – si evidenzia il legame tra Salvini e l’oligarca russo Konstantin Valeryevič Malofeev, ultra-tradizionalista, a capo di un vero e proprio impero editoriale. Malofeev è impegnato in una crociata contro i gay, definiti «sodomiti, pederasti», letteralmente. «La paura sbianca il volto di Salvini quando, a Pontida, Mottola gli domanda se conosce Malofeev». Risultato: scena muta. «Ma Salvini – prosegue Moncalvo – si è rifiutato di parlare con “Report” anche in seguito: Mottola infatti aveva chiesto per ben tre volte, alla sua segreteria, di organizzare un incontro per consentire al leader della Lega di replicare, dandogli l’opportunità di offrire la sua versione su ogni aspetto del servizio televisivo trasmesso da RaiTre il 21 ottobre».Le polemiche della Lega indurranno “Report” a trasmettere altro materiale sul tema, aggiunge Moncalvo, che rivela che il servizio fu realizzato già a luglio, quando Salvini era ancora ministro dell’interno e vicepremier. Moncalvo mette in relazione “Moscopoli” con la repentina scelta di Salvini di staccare la spina al governo gialloverde, sorprendendo lo stesso Giancarlo Giorgetti. «Salvini ha deciso tutto da solo, e neppure Giorgetti conosceva il motivo di quella decisione», dice Moncalvo, che nel servizio di “Report” svolge un ruolo di primo piano: ricorda di quand’era direttore de “La Padania” e tentò inutilmente di allontanare Salvini. «Pur essendo giornalista – afferma Moncalvo – Salvini non ha mai scritto un articolo in vita sua». Lo tratteggia come un opportunista sfrontato e ambizioso. All’epoca – ha raccontato lo stesso Moncalvo di fronte alle telecamere di “Report” – ebbe ripetuti scontri con Salvini, definito assenteista e pronto a che a gonfiare la sua nota spese. Un giorno, l’allora leader dei giovani leghisti affrontò il direttore della “Padania” con queste parole: «Tu passi, io resto. E diventerò molto più potente».Che ci siano vecchie ruggini, tra Moncalvo e Salvini, appare evidente. Altrettanto palese, per contro – come sottolinea il giornalista – è l’impenetrabile silenzio del leader leghista su “Moscopoli”. Reticenza? «Alle domande – insiste Moncalvo – Salvini non ha mai voluto rispondere, in nessuna sede». Spesso, Salvini è ricorso all’umorismo, o se l’è cavata con la formula: «Se ne sta occupando la magistratura». Giornalisti e avversari insistono: che ci faceva, Savoini, a Mosca? A che titolo avrebbe trattato una sorta di maxi-tangente su una fornitura di idrocarburi? A monte, è nota la difficoltosa situazione finanziaria della Lega, costretta – dalla magistratura genovese – a consegnare allo Stato 49 milioni di euro, a causa di vecchie irregolarità imputate alla gestione Bossi. Attenzione, avverte Luca Telese: non si tratta di soldi “rubati” dalla Lega. Di fronte all’originario ammanco accertato (un paio di milioni, forse meno), il partito è stato dichiarato – a posteriori – non idoneo a percepire finanziamenti. Diversi giuristi hanno trovato insolita la condanna: per colpa del mini-buco della Lega Nord di Bossi, alla nuova Lega di Salvini si è chiesto di “restituire” altri soldi, quelli ricevuti successivamente (e regolarmente spesi per l’ordinaria gestione politica, gli stipendi dei funzionari e le spese elettorali). Questo – si domanda qualcuno – potrebbe aver spinto Salvini a spedire Savoini a Mosca in cerca di finanziamenti russi in vista delle europee?Quello su cui invece “Report” evita accuratamente di indagare è la fonte del presunto scandalo: quale servizio segreto avrebbe intercettato Savoini, per poi far pervenire gli audio del Metropol alla magistratura milanese? Servizi russi? Americani? Italiani, addirittura, su ordine di Conte? La domanda è di importanza capitale, perché permette di mettere a fuoco la regia di quella che appare come una classsica “imboscata”, dunque il movente politico e i relativi mandanti. In attesa che la questione si chiarisca, Moncalvo ribadisce: il silenzio di Salvini è imbarazzante e inaccettabile, qualunque cosa sia avvenuta a Mosca. Sempre Moncalvo, nel servizio di “Report”, traccia un profilo non entusiasiamente del rapporto tra Salvini e il fido Savoini, descritto come animato da simpatie per l’iconografia nazista e a lungo frequentatore dell’estremista di destra Maurizio Murelli. Per Moncalvo, addirittura, fu proprio Savoini a “plasmare”, letteralmente, il giovane Salvini, dando una sorta di formazione politico-culturale a quello che allora era poco più che un semplice militante, con scarsa dimestichezza con i libri. In ogni caso, sostiene Moncalvo, Salvini farebbe meglio a parlare, fornendo finalmente agli italiani la sua versione sulla storia del Metropol.(Gigi Moncalvo è un giornalista di lungo corso: ha lavorato al “Corriere della Sera”, a “L’Occhio” e al “Giorno”, collaborando con Piero Ottone, Maurizio Costanzo e Guglielmo Zucconi (la sua direzione della “Padania” è relativa al periodo 2002-2004). A lungo impegnato nelle reti berlusconiane, è poi approdato in Rai (fino al 2008 è stato dirigente, capostruttura dell’informazione di RaiDue). Letteralmente esplosivi i saggi pubblicati a partire dal 2009 da Vallecchi: “I lupi e gli Agnelli: ombre e misteri della famiglia più potente d’Italia, “Agnelli segreti” e “I Caracciolo: storie, misteri e figli segreti di una grande dinastia italiana”. Libri stranamente scomparsi dalle librerie poco dopo l’uscita, specie quelli sulla “real casa” torinese: pagine in cui Moncalvo racconta come John Elkann sia stato aiutato ad acquisire l’eredità di Gianni Agnelli, in una Fiat sostanzialmente in mano alla finanza Usa, dal primissimo dopoguerra all’imposizione di Marchionne. Nel mirino di Moncalvo, ora, è finito Salvini).«Male non fare, paura non avere. Ma soprattutto: non tacere». Gigi Moncalvo, giornalista di razza, attacca frontalmente Matteo Salvini, sottolineando l’evidente imbarazzo del leader leghista di fronte al caso “Moscopoli”. Sul tappeto, l’ipotetico affare petrolifero di cui il suo emissario a Mosca, Gianluca Savini, avrebbe parlato un anno fa all’Hotel Metropol con alcuni esponenti del potere politico-economico russo. «Fino a quando Salvini (vigliaccamente, senza coraggio) continuerà a tacere?», si domanda Moncalvo, nella rubrica “Silenzio stampa” della trasmissione web-radio “Forme d’Onda”, condotta da Stefania Nicoletti e Rudy Seery. Il capo della Lega, ricorda Moncalvo, si avvale tuttora dell’immunità parlamentare che lo protegge, virtualmente, dall’indagine aperta dalla Procura di Milano: nel caso i magistrati ravvisassero effettive irregolarità, dovrebbero chiedere al Parlamento il permesso di procedere contro di lui. Un Parlamento, peraltro – come ricordato polemicamente da Vittorio Sgarbi – dove lo stesso premier Conte (ascoltato dal Copasir per il caso Russiagate) e i leader dei maggiori partiti (le indagini sul figlio di Grillo, le sentenze sui genitori di Renzi) si sono dovuti occupare di questioni giudiziarie gravide di scomodi riflessi mediatici.
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L’evasore aiuta l’economia, le tasse non finanziano i servizi
L’Italia dal 1992 è in avanzo primario (a eccezione di un disavanzo dello 0,9% nel 2009). Questo significa che le entrate fiscali (tasse) sono superiori alla spesa pubblica (in soldoni, a noi cittadini torna indietro meno di quanto paghiamo). Al contrario di quanto racconta la vulgata ideologizzata “terrorista” e autorazzista del siamo vissuti al di sopra delle nostre possibilità, perciò, il nostro è un paese assai virtuoso da quasi 30 anni (nessuno al mondo ha fatto meglio nello stesso periodo). Fatta questa premessa passiamo ad analizzare le vere funzioni delle tasse (esse non servono infatti a pagare la spesa pubblica). Lo Stato impone tasse ai propri cittadini: 1. Per imporre la moneta a corso legale (obbligando di fatto i cittadini ad utilizzarla in quanto l’unica accettata per il pagamento, appunto, degli oneri fiscali); 2. Per controllare l’inflazione (tassando più o meno si riduce/aumenta la massa monetaria e si regolano i prezzi); 3. Per redistribuire la ricchezza. La spesa pubblica è fatta a monte del prelievo fiscale e si sostiene con l’emissione monetaria (fatta d’imperio e sovranamente dallo Stato, dal nulla). Prima si spende e si mette in circolazione la moneta, e solo poi si raccoglie tassando.
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Formica: si torna a votare tra poco, lo sa anche Mattarella
L’esperimento dell’alleanza Pd-M5S è fallito ancora prima di nascere. Questo complica i piani di Zingaretti, Di Maio, Renzi. Sono tutti rottamati o rottamabili. Qualsiasi cosa dovesse nascere, da domani in poi, nascerà senza e contro di loro. L’assenza di pensiero ha reso le classi dirigenti burocrati di nomenklature in estinzione. Mattarella ha un giusto orientamento: dopo questo governo non c’è un altro incarico di governo sostitutivo. Ci sono le elezioni, che sono inevitabili in caso di crisi del Conte-2, che può ancora galleggiare qualche mese al massimo. Poi, i problemi interni e internazionali imporranno una guida politica che non sia carente di pensiero politico. Il problema è che il presidente della Repubblica, cioè la massima istituzione garante (che ha anche la forza morale per poterlo fare), deve decidersi a fare un quadro dello stato di salute del paese davanti al Parlamento. È il suo dovere costituzionale, non è una richiesta alla persona. Nel caso decidesse in tal senso, il paese sarà scosso; ma forze vitali nel paese ci sono, ciò che manca è il pensiero organizzato. Il Movimento 5 Stelle è nato morto, perché è nato senza pensiero politico, anche se apparentemente, con le elezioni del marzo 2018, aveva avuto una ventata favorevole.Quel risultato faceva leva sugli istinti anti-sistema che attraversavano il paese. Se il M5S era anti-sistema, vuol dire che non aveva il pensiero per sostituire il sistema con un altro sistema, perché nelle società moderne non si può essere anti-ordine per il disordine. Nessuna società moderna può accettare il disordine; tutt’al più un diverso ordine. La debolezza di questo governo non è che si fonda su una forza parlamentare del 33% che oggi non è più tale perché indebolita dalle urne; finalmente si è scoperto che non esisteva, come pensiero politico nel paese. È stata un’illusione. L’alleanza con una forza di sistema come il Pd? Il Pd si è trovato ad aver accettato dal 1994 in poi di nascondere il proprio pensiero, di non aggiornarlo; e non poteva non seguire la sorte delle forze che vedevano esaurirsi il proprio pensiero politico. Pensate al paradosso: dove il Pd sopravvive con una certa vivacità è legato al fatto che prende motivazioni esistenziali della destra reazionaria. Prendiamo il caso dell’immigrazione. Vi sembra che fosse pensabile, anche solo pochissimo tempo fa, che la Ocean Viking venisse tenuta 10 giorni in mare in attesa che ci fossero le elezioni in Umbria per poi farla attraccare a Pozzallo? È una cosa che non avrebbe fatto nessuna sinistra.Le forze vitali sono dovunque e in nessun luogo. Dovunque, dove c’è una persona pensante, e ce ne sono tante; in nessun luogo, perché non ci sono luoghi di coagulo. Ma il Big Bang crea il punto di aggregazione. È evidente a tutti questa necessità di un’operazione-verità, e le forze politiche non possono non cogliere questa esigenza di avere respiro sulle grandi questioni di politica economica, sociale, estera. Dov’è la politica economica di questo paese, che è un obbligo costituzionale avere, come prevede l’articolo 41 della nostra Carta? Ci si domanda: che ruolo potrebbe giocare Draghi? Noi abbiamo già una posizione istituzionale europea importante, di presidio e di osservazione, con Gentiloni nella Commissione Ue. Poi abbiamo una persona che ha guadagnato grande prestigio internazionale e ora è libero di esprimere giudizi di ordine sistemico. Il problema non è andare a ricercare una collocazione funzionale a Draghi, ma utilizzare un arbitraggio morale: può essere interrogato ed esprimere un parere su quello che si fa o non si fa per la costruzione dell’area geopolitica europea, visto che nei suoi 8 anni alla Bce ha cercato di mantenere l’essenziale della coesione europea.Il ruolo viene dopo, se si presenta la necessità. Ma il primo passo è rianimare il pensiero politico, visionario, di un paese: qual è la funzione dell’Italia nel mondo, piccola o grande non importa? Noi abbiamo avuto una funzione nel mondo fino a 20 anni fa. Oggi no, abbiamo cessato di produrre posizioni di iniziativa autonoma; lavoriamo solo sugli interstizi, sugli spazi residuali. Anziché avere una posizione autonoma attiva di costruzione di una linea europea, ci si è immiseriti nel tentativo di utilizzare gli spazi che i litigi altrui creano. Dombrovskis ha manifestato serie preoccupazioni sulla manovra del governo Conte-2. Dobbiamo aspettarci da qui a dicembre un pesante condizionamento della Ue? No. L’Italia ha scelto con questo governo una linea disciplinata alle decisioni dell’Europa. Il vero prodotto della mancanza di pensiero politico è che si sceglie di non avere margini di autonomia nel contrastare situazioni non favorevoli. È la nostra debolezza. Quando non si hanno una politica industriale, una politica economica, una politica estera e di difesa, giocando solo di rimessa su tutto, se la palla arriva, va bene, altrimenti si sta in mezzo al campo come un broccolo. Ma non è un problema solo di questo governo o di quello passato. È una situazione che dura da almeno vent’anni.Siamo al punto terminale di una lunga fase che ha visto l’istinto prevalere sul pensiero, la reazione sulla riflessione. È agli sgoccioli tutto quello che poteva produrre un sistema senza pensiero politico e di carattere generale, che da 25 anni si è riversato sulle istituzioni e sull’intero equilibrio del sistema politico italiano. Con quali effetti? Il disperdersi sugli aspetti più minuti di ciò che sta avvenendo, sia nell’attività di governo che nell’attività dei partiti, è fuorviante. C’è un distacco impressionante tra la valutazione delle questioni quotidiane minori nelle quali siamo immersi e le questioni di carattere generale, interne e internazionali. È successo qualcosa di politica estera molto più importante che stabilire se in Umbria si è spostato un gruppo sociale a favore di un altro gruppo sociale. In Gran Bretagna, dopo tre anni di guerriglia parlamentare in un paese investito dallo stesso male del populismo che ha colpito l’Europa, il Parlamento si è riappropriato della sua funzione e ha detto: andiamo alle urne e chiediamo al popolo se noi abbiamo forza politica nazionale tale da poter essere presenti nella nuova prospettiva che rende necessaria la ricomposizione di un ordine mondiale.Ciò che avverrà in Gran Bretagna, da oggi al 12 dicembre, interessa o non interessa l’Italia e l’Europa? In Gran Bretagna si voterà anche per il futuro non solo del nostro paese, ma dell’Europa. Le nostre forze politiche e le nostre istituzioni, invece di occuparsi del dettaglio se si dovranno tassare le sigarette o lo zucchero, seguiranno da vicino il dibattito politico e le elezioni inglesi? In Italia siamo al dettaglio di ciò che residua della nostra possibilità di influire sugli equilibri economico-sociali e ci dimentichiamo che il 90% delle nostre decisioni dipenderanno da ciò che succede fuori dal nostro paese. Siamo in presenza di una decadenza e di un immiserimento della nostra classe dirigente da paura. Il problema non è se noi giochiamo un ruolo di secondo o di terzo piano sulla scena mondiale, il problema è: abbiamo un nostro pensiero sul futuro dell’Europa? Le nostre istituzioni, sfornite del pensiero politico, sono diventate sterili. Non pulsa il cuore, non funziona il cervello; come possono funzionare le gambe e le braccia?(Rino Formica, dichiarazioni rilasciate a Marco Biscella per l’intervista “Qualche mese e poi si vota, lo sa anche Mattarella”, pubblicata da “Il Sussidiario” il 31 ottobre 2019. Spirito indipendente, socialista e più volte ministro nella cosiddetta Prima Repubblica, Formica è noto per l’acutezza delle sue analisi e per le previsioni regolarmente confermate dai fatti).L’esperimento dell’alleanza Pd-M5S è fallito ancora prima di nascere. Questo complica i piani di Zingaretti, Di Maio, Renzi. Sono tutti rottamati o rottamabili. Qualsiasi cosa dovesse nascere, da domani in poi, nascerà senza e contro di loro. L’assenza di pensiero ha reso le classi dirigenti burocrati di nomenklature in estinzione. Mattarella ha un giusto orientamento: dopo questo governo non c’è un altro incarico di governo sostitutivo. Ci sono le elezioni, che sono inevitabili in caso di crisi del Conte-2, che può ancora galleggiare qualche mese al massimo. Poi, i problemi interni e internazionali imporranno una guida politica che non sia carente di pensiero politico. Il problema è che il presidente della Repubblica, cioè la massima istituzione garante (che ha anche la forza morale per poterlo fare), deve decidersi a fare un quadro dello stato di salute del paese davanti al Parlamento. È il suo dovere costituzionale, non è una richiesta alla persona. Nel caso decidesse in tal senso, il paese sarà scosso; ma forze vitali nel paese ci sono, ciò che manca è il pensiero organizzato. Il Movimento 5 Stelle è nato morto, perché è nato senza pensiero politico, anche se apparentemente, con le elezioni del marzo 2018, aveva avuto una ventata favorevole.
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Magaldi: sta cambiando tutto, e adesso ve ne accorgerete
Forse adesso anche i più sprovveduti, i teorici della “follia estiva” del Papeete, capiranno perché Salvini ha staccato la spina al governo gialloverde, una volta capito che Conte e Tria gli avrebbero impedito di alleggerire la pressione fiscale e inaugurare una politica finalmente espansiva. Ultimo tradimento, il voto dei grillini per Ursula von der Leyen alla Commissione Europea. Ragionamento del leghista: guai se resto al governo, costretto a firmare una manovra che rappresenta l’esatto contrario di quanto promesso. Risultato: Salvini ora fa il pieno alle regionali in Umbria (57,5%), umiliando Zingaretti e in particolare Di Maio, con i 5 Stelle al di sotto dell’8%. «Logico che gli italiani, a partire dall’Umbria, puniscano le forze del Conte-bis e la loro manovra finanziaria deprimente, persino preoccupante», con la crociata contro i mini-evasori e la demonizzazione del contante. Gioele Magaldi canta vittoria: il suo Movimento Roosevelt si è schierato con la Tesei sostenendo “Umbria Civica” del battitore libero Nilo Arcudi: «Non per rieditare l’obsoleto e deludente centrodestra, ma per promuovere un dialogo trasversale coi progressisti del centrosinistra, contro i conservatori di entrambe le coalizioni».Un esito scontato: «Nel 2018, i gialloverdi avevano promesso un vero cambiamento: assaporato il quale, ora gli elettori non possono digerire l’imbarazzante Conte-bis», sottomesso ai consueti vincoli-capestro imposti da Bruxelles. Per Magaldi, tutto sta insieme: gli elettori umbri premiano il Salvini che si è circordato di economisti post-keynesiani come Bagnai e Rinaldi, contrari alla “teologia” del rigore Ue. Nel frattempo, Giuseppe Conte è sulla graticola: oltre alla débacle umbra, che taglia le gambe alla grottesca alleanza tra il Pd e i grillini che proprio in Umbria li avevano denunciari, facendo cadere la giunta “rossa” di Catiuscia Marini, il premier teme sviluppi dal caso Russiagate, dopo le strane omissioni (segnalate dal “Corriere della Sera”) che rendono incompleta, se non reticente, la sua prima audizione al Coapasir. Il sospetto: Conte avrebbe usato in modo improprio i servizi segreti italiani, mettendoli a disposizione del ministro statunitense William Barr, impegnato a cercare prove contro Joe Biden, rivale di Trump. Non è tutto: proprio mentre Perugia si trasformava nella Caporetto di “Giuseppi”, il “Financial Times” ipotizzava che Conte potrebbe essere accusato di conflitto d’interessi per aver fatto da consulente a un fondo d’investimento di area vaticana, ora accusato di corruzione.«Me ne compiaccio», dichiara Magaldi, irridente, pensando alla “macchina del fango” scatenata contro Salvini per “Moscopoli”, anche attraverso il servizio di “Report” trasmesso in prossimità dell’audizione di Conte al Copasir e alla vigilia delle elezioni in Umbria. «Segno che tra i cosiddetti “poteri forti” non ci sono soltanto quelli di segno reazionario, che sostengono il Conte-bis, dopo aver sorretto i governi Monti, Letta, Renzi e Gentiloni». Esponente italiano del network massonico progressista internazionale (Grande Oriente Democratico, Rito Europeo Universale), Magaldi annuncia: i massoni progressisti sono impegnati in una controffensiva, in tutto il mondo, dopo i decenni devastanti della globalizzazione neoliberista. Il presidente del Movimento Roosevelt cita la Cina, che ha rimosso la governatrice di Hong Kong contestata dalla popolazione, e segnala anche l’esultanza di Trump per l’annuncio della morte del capo dell’Isis, «il massone reazionario e terrorista Abu Bakr Al-Baghdadi, esponente della superloggia “Hathor Pentalpha” fondata dal clan Bush per terremotare il pianeta anche col terrorismo, grazie ad affiliati come lo stesso Osama Bin Laden».Se le creazioni supermassoniche chiamate Isis e Al-Qaeda avevano marcato l’ultima svolta (terroristica) del piano di dominio del pianeta, fondato sulla strategia della tensione internazionale per imporre a mano armata questa globalizzazione a senso unico e senza diritti, secondo Magaldi – autore del bestseller “Massoni” (Chiarelettere, 2014) – tutto era cominciato l’11 settembre 1973 in Cile, con il golpe di Pinochet che aveva introdotto con la massima violenza la dottrina neoliberista della “scuola di Chicago” di Milton Friedman. A maggior ragione, dice oggi Magaldi, riempie il cuore – oggi – assistere a una protesta spettacolare come quella in corso a Santiago del Cile, sfidando il coprifuoco imposto da un governo che, come allora, ha schierato i carri armati nelle strade. «Tutto sta cambiando, a livello planetario, grazie alla regia della massoneria progresista», avverte Magaldi, lasciando capire che lo stesso Salvini – in apparenza esaltato dai mojito del Papeete, ad agosto – è stato «sapientemente consigliato» sul da farsi. «Salvini sta studiando», disse Magaldi, dopo il divorzio del leader leghista dal governo coi grillini. «E’ vero, sto studiando», ha confermato Salvini, nel “duello” televisivo con Renzi, da Bruno Vespa.«Fortemente trasformata da Salvini, la Lega è comunque ancora caratterizzata da un’impostazione tradizionalista, ad esempio in merito ai diritti civili (unico merito di Renzi, l’aver varato almeno le “unioni civili”)». Tuttavia, aggiunge Magaldi, «il Carroccio di Bossi e Maroni era apertamente liberista, mentre la Lega di Salvini si è affidata a economisti progressisti, dotati di una visione che prevede il ritorno dell’intervento dello Stato nell’economia: meno tasse e investimenti strategici da non inserire nel computo del deficit». Se son rose fioriranno, sembra dire Magaldi: anche perché, in ogni caso, tutti gli altri (Conte e Di Maio, Zingaretti e Renzi, lo stesso Berlusconi) non hanno mai osato neppure ipotizzare un cambio delle regole, da intavolare a Bruxelles. Potrebbe farlo ora l’ipotetico “nuovo” Mario Draghi, che – di colpo – evoca la sovranità monetaria, con l’emissione di denaro illimitata prescritta dalla Modern Money Theory? Meglio non correre con la fantasia, raccomanda Magaldi: Draghi potrebbe sostituire Conte «solo se si facesse garante con Bruxelles di una vera espansione della spesa strategica per l’Italia», e dopo aver fatto ammenda delle sue “malefatte”. «Come per la mafia contano i pentiti, che ne scardinano l’organizzazione, così Draghi dovrebbe dimostrare di essere davvero pentito della sua pessima governance reazionaria e neoaristocratica, prima di Bankitalia e poi della Bce».Forse adesso anche i più sprovveduti, i teorici della “follia estiva” del Papeete, capiranno perché Salvini ha staccato la spina al governo gialloverde, una volta capito che Conte e Tria gli avrebbero impedito di alleggerire la pressione fiscale e inaugurare una politica finalmente espansiva. Ultimo tradimento, il voto dei grillini per Ursula von der Leyen alla Commissione Europea. Ragionamento del leghista: guai se resto al governo, costretto a firmare una manovra che rappresenta l’esatto contrario di quanto promesso. Risultato: Salvini ora fa il pieno alle regionali in Umbria (57,5%), umiliando Zingaretti e in particolare Di Maio, con i 5 Stelle al di sotto dell’8%. «Logico che gli italiani, a partire dall’Umbria, puniscano le forze del Conte-bis e la loro manovra finanziaria deprimente, persino preoccupante», con la crociata contro i mini-evasori e la demonizzazione del contante. Gioele Magaldi canta vittoria: il suo Movimento Roosevelt si è schierato con la Tesei sostenendo “Umbria Civica” del battitore libero Nilo Arcudi: «Non per rieditare l’obsoleto e deludente centrodestra, ma per promuovere un dialogo trasversale coi progressisti del centrosinistra, contro i conservatori di entrambe le coalizioni».
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Giannini: il governo del ricatto se ne vada, o il M5S è morto
Il cittadino italiano non ha molto tempo da dedicare ai trastulli dei politici, quindi non ama le faccende troppo complesse e quando si tratta di esprimere una croce su un simbolo entra nella cabina elettorale ed agisce in modo istintivo: “Chi voto? Basta con i soliti”. Negli ultimi mesi, caso mai non ve ne foste accorti, siamo passati dal “governo del cambiamento” al “governo del ricatto”: o governiamo noi progressisti o i mercati, sicari di Bruxelles, alzano lo spread e falliamo (a questo punto aboliamo la democrazia visto che essa si esercita votando…). Di fronte a questa evidente violazione della Costituzione, come popolo italiano, i nostri partiti tutti dovrebbero marciare (metaforicamente) compatti su Bruxelles, chiedendo una uscita concordata dalla Moneta Unica per dimostrata incompatibilità con la democrazia. E se all’elettore girassero le scatole proprio per questo (ferme restando le peculiarità umbre)? E se l’intuito più bestiale dell’elettore gli facesse comprendere che c’è uno stretto nesso tra la corruzione locale e la democrazia assassinata? Oettinger affermò candidamente che «i mercati insegneranno agli italiani a votare». Meno impulsivamente e più analiticamente si comprende che questo nesso è il muro di gomma (di retorica) tipico dei progressisti.Stiamo andando incontro a un’altra crisi economica ferocissima? Non preoccupatevi, vi parleranno delle magnifiche sorti progressive dell’“Europa”, dell’Amazzonia che brucia (lo fa da 50 anni), del riscaldamento globale (idem), del fascismo, dei migranti, della tassa sul diesel per migliorare (secondo loro) l’ambiente, della tassa sulla sigaretta elettronica e sullo zucchero per migliorare (secondo loro) la nostra salute (sic!), degli immancabili diritti civili, del muro in Messico, ecc ecc. Chi a marzo 2018 votò 5S e Lega si opponeva a questa vomitevole melassa, eppure se l’è ritrovata di nuovo nel piatto! Vero che Salvini ad agosto ci è andato giù di Mojito, ma da lì a rimettere al governo “i soliti” ce ne passava. Chi sono quindi i soliti? Sono quelli che umiliano la sostanza con la forma! Sono coloro che trasformano i fatti in chiacchiere! Quelli che cambiano nome (etichetta) ad una cosa e ti dicono che ora è un’altra cosa! I soliti possono anche essere neoeletti in forze politiche nate recentemente; ma non puoi confonderli a lungo, perché prima o poi compiono operazioni così rapide e così sfacciate (trattandoci da cretini) che definirle di “trasformismo” è un eufemismo: No alleanze Sì alleanze, No vaccini Sì vaccini, No euro Sì euro, No Bibbiano Sì Bibbiano (un quarto d’ora dopo), No Fiscal Compact Sì Fiscal Compact, No pareggio di bilancio Sì pareggio di bilancio, uno vale uno decide tutto uno, Bella Ciao mescolata al migrante e perfino condita con Greta, ecc ecc ecc.I soliti sono anche quelli che perdono le elezioni (il Pd e LeU) ma ogni volta governano e non li scolli di lì nemmeno con le cannonate; i soliti sono quelli che si prestano (i 5S) a far rientrare dalla finestra chi è stato cacciato a pedate dalla porta (del seggio) cioè il Pd e LeU; i soliti sono quelli che promettono il cambiamento (ad esempio in Ue-M) e poi finiscono per fare ciò che ordinano “le lobbies”; i soliti sono quelli che fanno altissimi ed inconsistenti discorsi sulla pace, sull’ecologia, sulla cultura, possibilmente preceduti da autorevoli pause e preferibilmente dotati di toni gutturali e quindi (secondo certe menti) credibili! Orge di retorica, mentre il processo di “glebalizzazione” (cit. Fusaro) procede spedito. In conclusione? In conclusione tre conclusioni. 1) Per quanto legittimo, costituzionalmente parlando, questo governo gli italiani non lo volevano; dopo mesi di risse tra i fichiani del “politically correct” del 5S e la Lega, la gente voleva dire la sua e non certo ritrovarsi Renzi, Zingaretti, Speranza, il bollitissimo Di Maio e Dottor Jekyll (Conte 1) / Mister Hyde (Conte 2) a dare lezioni di lana caprina (caro M5S, cestinatelo prima che lo faccia lui con voi).2) Ancora meno i cittadini hanno digerito un Movimento che si professava equidistante tra destra e sinistra ma che mentre con la Lega parlava al massimo di contratto, col Pd ha calato le braghe per una fusione ideologica! Si è proprio avvertito che il 5S non vedeva l’ora di rivelarsi progressista, e infatti ne ha immediatamente incamerato il lessico radical chic come gli fosse sempre calzato (basta ascoltare le dirette parlamentari…). A meno di miracoli (Di Battista) difficilmente i pentastellati potranno riconvincere gli italiani di essere “Oltre” gli schemi tradizionali e di non fingere solamente. Un outing progressista incancellabile dalla mente di chiunque (salami a parte) ancor più grave, visto che tutti abbiamo ben chiaro di come i fucsia, in pochi anni, abbiano macellato non solo il tessuto produttivo ma ancor peggio le nostre tradizioni, le nostre radici (vero, Beppi Grillo?) sostituendole col fucsia importato da Killer-y Clinton…3) Il governo quindi deve andare immediatamente a casa e chi deve staccare la spina è proprio il MoVimento 5 Stelle. In caso contrario i grillini non la faranno franca, non ci sarà scusa, non ci sarà stucchevole tatticismo ad evitargli l’estinzione (assorbiti dal Pd). Il M5S è pienamente consapevole che si condannerà alla fine se sceglierà di obbedire al solito Mattarella, e se lo farà potrà essere solo perché il vertice è stato ricattato o perché il M5S non opera per sé ma per qualcun altro. Le lobbies finanziarie, infatti, mirano a mantenere artificialmente in vita questa legislatura decotta, eleggere un presidente della Repubblica a loro congeniale (uno dei soliti)…(Marco Giannini, “Il ‘Governo del ricatto’ se ne vada”, da Libreidee del 29 ottù 2019).Il cittadino italiano non ha molto tempo da dedicare ai trastulli dei politici, quindi non ama le faccende troppo complesse e quando si tratta di esprimere una croce su un simbolo entra nella cabina elettorale ed agisce in modo istintivo: “Chi voto? Basta con i soliti”. Negli ultimi mesi, caso mai non ve ne foste accorti, siamo passati dal “governo del cambiamento” al “governo del ricatto”: o governiamo noi progressisti o i mercati, sicari di Bruxelles, alzano lo spread e falliamo (a questo punto aboliamo la democrazia visto che essa si esercita votando…). Di fronte a questa evidente violazione della Costituzione, come popolo italiano, i nostri partiti tutti dovrebbero marciare (metaforicamente) compatti su Bruxelles, chiedendo una uscita concordata dalla Moneta Unica per dimostrata incompatibilità con la democrazia. E se all’elettore girassero le scatole proprio per questo (ferme restando le peculiarità umbre)? E se l’intuito più bestiale dell’elettore gli facesse comprendere che c’è uno stretto nesso tra la corruzione locale e la democrazia assassinata? Oettinger affermò candidamente che «i mercati insegneranno agli italiani a votare». Meno impulsivamente e più analiticamente si comprende che questo nesso è il muro di gomma (di retorica) tipico dei progressisti.
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Il folle riconosce il mondo, il genio ci mostra com’è davvero
Il genio e il folle sono fratelli, forse gemelli. In entrambi il possibile eccede sul reale, ma nel pazzo il possibile sconfina nell’impossibile. Il genio non si accontenta del rapporto tra la realtà e la sua mente; stabilisce nuovi, più arditi contatti. Il pazzo invece ha perso quella relazione e va a ruota libera. Chesterton notava che il pazzo non è colui che ha perso la ragione ma chi ha perso tutto tranne la ragione: ha perso il rapporto col mondo reale. Genio e sregolatezza, si dice. Ma debordare dalle regole è un effetto della genialità, non è la prova del genio. La pazzia è l’emisfero in ombra dell’umanità, il lato b che percorre come una trama a rovescio la storia della civiltà, dell’arte, del pensiero e dei rapporti umani. Il sogno, il gioco, la fiction sono le dosi giornaliere di pazzia dei “savi”; quando la mente va in libera uscita e danza a corpo libero. Osate esser pazzi, esortava Papini. Come in una pulp fiction filosofica, artistica e letteraria scorre la divina pazzia di cui scriveva Platone e le tragedie greche da Eschilo a Euripide; la pazzia vissuta, studiata o narrata di Torquato Tasso ed Erasmo da Rotterdam, Cervantes con don Chisciotte e Shakespeare con Enrico IV, Hölderlin e Nietzsche, van Gogh e Ligabue, Dino Campana ed Ezra Pound, Pirandello e Strindeberg, Bukovski e Pessoa, Jaspers e Foucault, Mario Tobino e Alda Merini.Per Thomas Beckett nasciamo tutti pazzi, alcuni poi lo restano. Il genio mette a frutto la pazzia, cavalca la follia senza esserne dominato. A volte finisce irretito nella sua follia, perché ne è congenitamente predisposto, è ipersensibile o ha preteso l’infinito, l’assoluto. Ma chi è il genio, cosa lo distingue dal resto degli uomini? Dal ’68 in poi serpeggia l’illusione di una genialità di massa, attraverso l’uso estroso della trasgressione: si ritiene che la sregolatezza decreti il genio. Creatività diffusa, fantasia, la vita come capriccio e stravaganza di massa sono i suoi indizi fino al paradosso di sentirsi tutti speciali, fuori dal comune. Si abusa dell’aggettivo geniale. In giro troppi geni estemporanei per autoacclamazione o per esagerazione di chi li ama (ogni scarrafone è genio a mamma sua). Per Arthur Schopenhauer, che visse con la frustrazione del genio incompreso, genio è colui che sa vedere l’assoluto nel particolare, sa andare oltre i fenomeni e trascende la soggettività in una visione più ampia.Il genio ha una conoscenza intuitiva; vede le cose collegate da una postazione più alta, vede il mondo alla luce del sole, non al lume della sua candela. La fantasia è un suo strumento indispensabile per trascendere il reale nel possibile. Vede il generale nel particolare, a differenza dell’uomo comune e delle donne, nota Schopenhauer. Coglie l’essenza delle cose e supera la natura che invece congiunge intelletto e volontà. Ciò porta il genio a somigliare alla follia: entrambi, notava Pessoa, sono disadattati. Il genio non è mai un moderato o un flemmatico, spiega Schopenhauer, ma è sempre un eccessivo, frutto di un’esaltazione anormale della sua vita neuro-cerebrale. Il genio si dedica all’inutile e i suoi frutti saranno colti nel futuro. Un’opera geniale non è mai utile; è il suo rango, la sua nobiltà, come la fioritura. Il genio non serve al suo tempo, ed eccedendo dalla norma è destinato ad essere incompreso. Le persone comuni possono apprezzare il talento o il tipo brillante, difficilmente il genio che vive in perenne discordanza col mondo esterno e col proprio tempo. Avvertenza d’obbligo: per un genio incompreso ci sono mille presunti incompresi che geni non sono.Il genio è per natura solitario. È troppo raro per poter incontrare suoi simili e troppo diverso dagli altri per poter stare in compagnia e pensare in comune. Perciò si apparta, è a disagio. Se il genio è misantropo anche qui non vale l’inverso, che la misantropia non è il segno certo di una superiorità. Il genio è malinconico, anche se si delizia quando dà sfogo alla sua vena. Lo diceva già Aristotele, lo ripeteva Cicerone, poi anche Goethe. Schopenhauer spiega che la sua mente è più capace di percepire la miseria della condizione umana. Dunque il genio non può che essere pessimista, come lo era lui. Ripeto la controtesi: se il genio è malinconico, non tutti i tristi e i depressi sono geniali. Infine il genio è come un bambino, ha uno sguardo puro e disinteressato sul mondo. Anzi, ogni bambino è in un certo senso un genio potenziale e ogni genio è in un certo senso un bambino (S. cita Mozart e Goethe, noi potremmo citare Dalì e Fellini).Nel fanciullo, nota S., l’intelletto prevale sulla volontà (ma i suoi capricci non prefigurano la volontà?). Al bambino come al genio manca l’arida serietà tipica degli uomini comuni; c’è una vena giocosa e grottesca. Qui si affaccia la sindrome di Peter Pan: ma l’infantilismo in sé non è sintomo di genialità. Per Schopenhauer la genialità originaria del bambino viene poi rubata dalla genitalità: la pulsione sessuale è il focolaio della volontà e dunque nemica della conoscenza. Come dire che il genio tende a restare sessualmente bambino. Il genio, insomma, è un bambino malinconico che trascura sé e si cura del mondo. Il suo soffitto è il cielo, la sua vista è la visione del mondo, che è la sua penetrazione. Schopenhauer fa notare che l’orangutan è intelligente da piccolo e diventa poi brutale da adulto, in un rapporto inverso tra età e intelligenza. Ma non mancano capolavori del genio in età senile. Se il genio è sregolatezza, anche l’età precoce non può essere una regola. Il genio è puer eternus, bambino perenne. Ma la sua ombra è il pazzo, che a volte lo accoppa.(Marcello Veneziani, “Rari geni, pochi pazzi, tanti imitatori”, da “La Verità” del 23 ottobre 2019; articolo ripreso sul blog di Veneziani).Il genio e il folle sono fratelli, forse gemelli. In entrambi il possibile eccede sul reale, ma nel pazzo il possibile sconfina nell’impossibile. Il genio non si accontenta del rapporto tra la realtà e la sua mente; stabilisce nuovi, più arditi contatti. Il pazzo invece ha perso quella relazione e va a ruota libera. Chesterton notava che il pazzo non è colui che ha perso la ragione ma chi ha perso tutto tranne la ragione: ha perso il rapporto col mondo reale. Genio e sregolatezza, si dice. Ma debordare dalle regole è un effetto della genialità, non è la prova del genio. La pazzia è l’emisfero in ombra dell’umanità, il lato b che percorre come una trama a rovescio la storia della civiltà, dell’arte, del pensiero e dei rapporti umani. Il sogno, il gioco, la fiction sono le dosi giornaliere di pazzia dei “savi”; quando la mente va in libera uscita e danza a corpo libero. Osate esser pazzi, esortava Papini. Come in una pulp fiction filosofica, artistica e letteraria scorre la divina pazzia di cui scriveva Platone e le tragedie greche da Eschilo a Euripide; la pazzia vissuta, studiata o narrata di Torquato Tasso ed Erasmo da Rotterdam, Cervantes con don Chisciotte e Shakespeare con Enrico IV, Hölderlin e Nietzsche, van Gogh e Ligabue, Dino Campana ed Ezra Pound, Pirandello e Strindeberg, Bukovski e Pessoa, Jaspers e Foucault, Mario Tobino e Alda Merini.
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Barnard: l’evasione fiscale ci parla, e purtroppo ha ragione
In Italia circa 270 miliardi di euro sfuggono al fisco ogni anno. Lì dentro c’è di tutto, dal “nero” di cittadini e aziende, alle fughe di capitali nei cosiddetti paradisi fiscali; dall’artigiano che non paga l’Iva per sfamarsi, all’immobiliarista che scoppia di soldi ma non ne ha mai abbastanza. Abbiamo compassione per il primo e ci fa incazzare il secondo. Ok. Ma se guardiamo alla realtà contabile dell’evasione fiscale con occhi fermi e non isterici, e se invece di gridare contro l’evasione proviamo ad ascoltarla, allora tutto cambia. Cosa fa chi evade? Si tiene dei soldi. Così non li incassa lo Stato. E cosa fa con quei soldi? Li spende, o li investe in risparmi. Ok, fermi qui per un attimo. Ora due minuti di riepilogo di cose già dette e ridette. Cosa accade allo Stato se incassa meno tasse? Accadono solo quattro cose: A) ha meno mezzi per controllare l’inflazione (si tassa per diminuire la massa monetaria in circolazione se è eccessiva e quindi causa inflazione); B) ha meno mezzi per controllare i patrimoni privati (si tassa per impedire al Paperone di diventare più ricco dello Stato); C) ha meno mezzi per incoraggiare o scoraggiare certi comportamenti e consumi (si tassa il consumo di alcool e si detassano i comportamenti “green”); D) ha meno mezzi per controllare la domanda in economia (si tassa per frenare i consumi se eccessivi, si detassa per incoraggiare l’economia se langue).Ora, cosa non accade allo Stato se incassa meno tasse. Non accade che esso abbia meno soldi da spendere per la funzione pubblica, cioè ospedali, asili, strade, infrastrutture, servizi ecc. Infatti lo Stato è colui che emette la moneta dal nulla, e può certamente emetterne quanta ne vuole per ospedali, asili, strade, infrastrutture, servizi, senza alcun bisogno di andarla a chiedere ai cittadini tassandoli. Anzi: è impossibile che lo Stato possa spendere per ospedali, asili, strade, infrastrutture, servizi solo se prima ci tassa, perché i soldi per pagare le tasse sono i soldi che lo Stato ci ha per forza dovuto dare prima di ritirarli in tasse. Prima ce li deve dare (cioè spesa pubblica in ospedali, asili, strade, infrastrutture, servizi) e solo poi ce li ritira in tasse. Quindi la spesa pubblica non dipende mai dalle tasse (se poi lo Stato è così folle da adottare l’euro, che non può più emettere e che deve andare a cercare da banche private, e se quindi a quel punto lo Stato non può più fare quanto sopra, be’, questa è un’altra storia, che non cambia la vera natura dell’evasione fiscale).Allora, torniamo all’evasione. Con essa i cittadini dicono allo Stato: «Noi abbiamo bisogno di tenerci più soldi». E’ come se dicessero allo Stato: «Tu ci dovresti dare più soldi, quindi dovresti spendere di più». L’evasione è quindi una richiesta dei cittadini allo Stato. Quando i cittadini evadono, essi semplicemente espandono informalmente la spesa dello Stato. Ora, la domanda è: questa richiesta, questa espansione di spesa imposta, è legittima? La risposta è chiara: A) in larga parte sì, perché proveniente da cittadini/aziende che davvero senza evadere non sopravviverebbero; B) in piccola parte no, perché frutto dell’ingordigia di alcuni milionari o miliardari. Bene, ora vediamole tutte e due. Come detto sopra, chi evade per disperazione, per arrivare a fine mese, per non chiudere la baracca, cioè la grande maggioranza degli evasori, sta semplicemente dicendo al suo Stato: «Espandi il deficit, espandi la spesa, non ce la facciamo!». Questa chiamata va assolutamente ascoltata, infatti la macroeconomia della Me-Mmt ci insegna senza ombra di dubbio che oggi nella maggioranza dei governi i deficit sono troppo bassi, non troppo alti, e le tasse sono inaffrontabili.I controlli fiscali ci devono essere, ma solo dopo che lo Stato ha assicurato a milioni di cittadini/aziende di avere abbastanza denaro per pagare tutte le tasse, ma anche per vivere e risparmiare. Se lo Stato fa il pareggio di bilancio, dove spende 100 e tassa gli stessi 100 lasciando a cittadini/aziende zero denaro, esso non può poi pretendere che nessuno evada. Come fanno cittadini/aziende a vivere e a risparmiare? Dove lo vanno a pendere, il denaro, se è vero che solo lo Stato lo emette? Per forza devono evadere. Chi evade perché non ne ha mai abbastanza si copre di una colpa che va dimezzata, perché il denaro che essi sottraggono allo Stato viene poi o speso, oppure investito in risparmi. Il denaro che spendono (che include quello temporaneamente ammassato in paradisi fiscali) ritorna in circolo nelle economie, crea domanda, cioè vendite, lavoro, occupazione, investimenti. Questo non è male, anzi, ed è il 50% della colpa che decade.Rimane quel 50% che colpisce lo Stato nei 4 punti di cui sopra, ma ricordiamoci sempre che anche questa evasione non sottrae allo Stato la sua capacità di spesa pubblica, per cui il ricco evasore non sottrae a noi alcuno ospedale, strada, asilo, servizio. Chi ce li sottrae è lo Stato se segue le ideologie economiche delle austerità che oggi sono di moda, e che sono criminose. Altro che paradisi fiscali. Conclusione: l’evasore “odioso” (miliardario) è colpevole a metà, e certamente per quella metà va perseguito. In tutti i casi, l’evasione fiscale non è un crimine che sottrae beni e servizi ai cittadini, perché come detto è solo l’ideologia sbagliata degli Stati a fare questo. Nella maggioranza dei casi essa è una richiesta al governo di espandere la spesa, perché siamo con l’acqua alla gola, e quella richiesta va ascoltata, non sepolta da stupida retorica anti-evasori. Chiaro?(Paolo Barnard, “L’evasione fiscale ci parla, e ha ragione”, dal blog di Barnard del 3 agosto 2013).In Italia circa 270 miliardi di euro sfuggono al fisco ogni anno. Lì dentro c’è di tutto, dal “nero” di cittadini e aziende, alle fughe di capitali nei cosiddetti paradisi fiscali; dall’artigiano che non paga l’Iva per sfamarsi, all’immobiliarista che scoppia di soldi ma non ne ha mai abbastanza. Abbiamo compassione per il primo e ci fa incazzare il secondo. Ok. Ma se guardiamo alla realtà contabile dell’evasione fiscale con occhi fermi e non isterici, e se invece di gridare contro l’evasione proviamo ad ascoltarla, allora tutto cambia. Cosa fa chi evade? Si tiene dei soldi. Così non li incassa lo Stato. E cosa fa con quei soldi? Li spende, o li investe in risparmi. Ok, fermi qui per un attimo. Ora due minuti di riepilogo di cose già dette e ridette. Cosa accade allo Stato se incassa meno tasse? Accadono solo quattro cose: A) ha meno mezzi per controllare l’inflazione (si tassa per diminuire la massa monetaria in circolazione se è eccessiva e quindi causa inflazione); B) ha meno mezzi per controllare i patrimoni privati (si tassa per impedire al Paperone di diventare più ricco dello Stato); C) ha meno mezzi per incoraggiare o scoraggiare certi comportamenti e consumi (si tassa il consumo di alcool e si detassano i comportamenti “green”); D) ha meno mezzi per controllare la domanda in economia (si tassa per frenare i consumi se eccessivi, si detassa per incoraggiare l’economia se langue).