Archivio della Categoria: ‘idee’
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Sardine, pesci-follower: anonimi servi ottusi, senza cervello
Checché ne dicano o ironizzino quelli del centrodestra, le Sardine a Bologna li hanno gabbati, prendendoli in contropiede, “Bestia” compresa. Oltretutto con un’idea eccellente in termini di comunicazione politica: fare l’opposizione all’opposizione, fingendo di essere terzi. Strategia geniale che richiedeva però un sofisticato petting comunicazionale che mantenesse il rapporto sotterraneo in un’area di ambiguità para-sessuale. Invece, i giovani quadrumviri hanno avuto fretta di massimizzare i quindici minuti di celebrità, trasformando il petting subito in execution. Comunque un impatto interessante lo hanno consuntivato, grazie anche al termine “Sardina”, che nell’immaginario collettivo popolare ha più significati. Si pensi che per i greci antichi era addirittura il piano B del cibarsi: «Se non hai carne, mangia sardine». Perché i creatori del brand “Sardina” abbiano proprio scelto la sardina non lo sapremo mai. È un pesce-follower per definizione, si muove ottusamente in branco, con lo sguardo fisso dei servi, senza un briciolo di identità.Nel rapporto alimentare con l’uomo poi, deve mischiarsi con pesci più nobili per rappresentare un valore aggiunto: nel fritto misto è follower, così come con il «saor» che gli trasferisce una sferzata di energia caramellata. Non parliamo delle sardine sfigate che finiscono in una buia scatoletta. Poi ci sono i vecchi come me che le amano solo nella configurazione antica: nel barilotto di legno. Le tolgo il sale, la lisca, la testa e l’adagio su una fetta di pane lussuosamente imburrata. Una goduria. Questo potrebbe essere un profilo “vendibile” in termini di comunicazione politica: la “sardina” nasce povera, grazie alla sua salinità, al vivere a lungo nella socialità del barilotto (luogo di integrazione per eccellenza), cambia natura, quindi compete alla pari con il mitico burro, cibo dei Re. A quale di questi profili intende riferirsi il Quadrunvirato di Sardina? Lo capiremo presto.La mia prima percezione, visto e ascoltato il loro giovanile leader, è che si siano ispirati alle sardine del Mar Cantabrico. Sinuose, preziose, ma salottiere come le Madamin torinesi. Ma un’altra lettura del caso Sardine ci porta ad affermare che la Natura è stata matrigna, assegnando loro il compito ingrato di sacrificarsi più di altri pesci sull’altare della catena alimentare. In questo senso ci sarebbe un parallelo a valenza politica: le “sardine” sarebbero i cinquestelle. Per un anno sono state la catena alimentare della destra, ora lo stanno diventando per la sinistra, sacrificandosi per un ritorno al bipolarismo, prima di scomparire per sempre, però nell’elegante Mar Cantabrico. Nell’attesa io mi mangio le sardine salate del barilotto con il burro della Cascina Roseleto di Villastellone, e lascio ai lettori le declinazioni politiche che preferiscono.(Riccardo Ruggeri, “La sardina è un follower, si muove ottusamente in branco, con lo sguardo fisso dei servi, senza un briciolo di identità”, da “Italia Oggi” del 26 novembre 2019).Checché ne dicano o ironizzino quelli del centrodestra, le Sardine a Bologna li hanno gabbati, prendendoli in contropiede, “Bestia” compresa. Oltretutto con un’idea eccellente in termini di comunicazione politica: fare l’opposizione all’opposizione, fingendo di essere terzi. Strategia geniale che richiedeva però un sofisticato petting comunicazionale che mantenesse il rapporto sotterraneo in un’area di ambiguità para-sessuale. Invece, i giovani quadrumviri hanno avuto fretta di massimizzare i quindici minuti di celebrità, trasformando il petting subito in execution. Comunque un impatto interessante lo hanno consuntivato, grazie anche al termine “Sardina”, che nell’immaginario collettivo popolare ha più significati. Si pensi che per i greci antichi era addirittura il piano B del cibarsi: «Se non hai carne, mangia sardine». Perché i creatori del brand “Sardina” abbiano proprio scelto la sardina non lo sapremo mai. È un pesce-follower per definizione, si muove ottusamente in branco, con lo sguardo fisso dei servi, senza un briciolo di identità.
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Magaldi: la mafia dei media tace sulla massoneria che conta
Comodo, sparare a man salva sulle piccole massonerie regionali: funziona a meraviglia, come escamotage per non parlare mai dell’unica massoneria che conti davvero, quella sovranazionale, a cui Gioele Magaldi ha dedicato il bestseller “Massoni”, uscito nel 2014 per Chiarelettere. Nomi e cognomi, indicazioni mai smentite: «E’ anche grazie a quel libro, citato in Parlamento dai 5 Stelle, se poi Napolitano s’è dovuto dimettere, dopo aver insediato Monti alla guida del governo su mandato delle aristocrazie massoniche più reazionarie». Magaldi presenta Napolitano come un esponente di spicco della superloggia “Three Eyes”, «di cui la P2 di Gelli era stata la succursale italiana». Precisa l’autore: «Posso documentare ogni mia affermazione: dispongo di 6.000 pagine di dossier». Nessuno, però, ha mai preteso di visionare quei documenti. E’ più facile, semmai, riesumare il fantasma di Gelli per parlare della massoneria in termini generici e persino criminologici, sulla scorta di inchieste molto mediatiche come quella sull’ipotetica connessione tra logge e ‘ndrangheta, in Calabria, attorno alla figura di Giancarlo Pittelli. In attesa che le indagini proseguano, Magaldi resta prudente: «Troppe volte, dopo l’iniziale polverone suscitato dai media, non è emerso nulla di sostanziale, per il paese: neppure l’indagine “Minotauro” condotta da Agostino Cordova pervenne ad alcunché di clamoroso».«Intendiamoci: la mafia è profondamente radicata nelle regioni del Sud», premette Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt, in video-chat su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights”. Ma attenzione: «Del contrasto a Cosa Nostra negli anni ‘90 beneficiò la ‘ndragheta calabrese, e tuttora vive indisturbata la potentissima mafia cinese, di cui nessuno parla mai». Singoli massoni implicati in trame malavitose in Calabria? Magaldi denuncia la ricorrente inclinazione dei media ad associare la massoneria alla mafia, nel Meridione, ogni volta che qualche massone risulta coinvolto in indagini. Un discriminazione che gli pare inaccettabile: «Se a essere indagato fosse un esponente cattolico, chi sarebbe così stupido da criminalizzare, solo per questo, tutti i cattolici?». Aggiunge Magaldi: «Se diciamo che ogni siciliano puzza di mafia e ogni calabrese puzza di ‘ndrangheta, allora demonizziamo tutti». Inutile aggiungere che «ci sono fior di siciliani e di calabresi che, oltre a essere ottimi cittadini, sono anche massoni». Non solo: «Erano massoni anche fior di giudici morti ammazzati, eroici combattenti antimafia». Insiste Magaldi: il connubio mafia-massoneria, presentato come qualcosa di fisiologico, «esiste solo nei sogni di qualche giornalista ignorante e di qualche magistrato che spesso prende lucciole per lanterne».Un ruolo decisivo, in questa deformazione ottica, sarebbe rivestito proprio da certa stampa: «Troppi articoli di giornale – afferma Magaldi – sono scritti da gente che di massoneria non sa e non capisce nulla. E forse (e questo è ancora più grave) di massoneria capisce poco o nulla anche la magistratura. O fa finta di non capire? Non lo so». Già “venerabile” della loggia Monte Sion del Grande Oriente d’Italia e ora “gran maestro” del Grande Oriente Democratico, snodo italiano del network supermassonico sovranazionale di segno progressista, Magaldi si rivolge direttamente ai giudici: «Sono a disposizione per spiegare alla magistratura che, se vuole indagare su gravi danni arrecati alla collettività, allora bisogna che scavi tra le privatizzazioni fatte negli anni ‘90, in Italia: perché lì ci sono danni molto più grandi di quelli che possa procurare qualunque intreccio tra massonerie di “peones” e malavite scalcinate». Messa tra parentesi l’indagine in corso nel Vibonese, Magaldi attacca: «Provate a chiedere ai giornali che si parli dei livelli massonici che hanno consentito a Romano Prodi e a Mario Draghi di privatizzare in modo osceno importanti asset italiani, e di stabilire un rapporto svantaggiosissimo per l’Italia rispetto all’Eurozona e all’Unione Europea».Curioso: oggi, Prodi e Draghi stanno per contendersi la poltronissima del Quirinale, puntando a prendere il posto di Mattarella. Due opzioni decisamente opposte: con ostantato candore, il veterano Prodi (sabotatore dell’Iri e già presidente della Commissione Europea) fa allegramente il tifo per le Sardine, riducendo il problema-Italia alla “fenomenologia di Salvini”, mentre Draghi – al contrario – ammette di aver fatto, per trent’anni, il contrario dell’interesse nazionale. L’ex presidente della Bce si mostra “pentito” delle maxi-privatizzazioni imposte al paese quando era direttore generale del Tesoro. Da governatore di Bankitalia – aggiunge Magaldi – Draghi non vigilò sul Montepaschi quando la banca senese si stava avventurando in operazioni spericolate. Non solo: Anna Maria Tarantola, la titolare della vigilanza in Banca d’Italia, fu promossa alla guida della Rai «dal massone Monti, insediato a Palazzo Chigi con l’aiuto dei “fratelli” Napolitano e Draghi». Questa, ribadisce Magaldi, è la massoneria che conta: «Provate a dire una cosa del genere, e vedrete se i media oseranno parlare di certe reti massoniche neoaristocratiche, sovranazionali e potentissime (altro che i quattro boss di Vibo Valentia)».Vero: il sistema-media continua a ignorare gli avvertimenti di Magaldi. E persino quelli di Draghi: apprestandosi a lasciare la Bce, il super-banchiere europeo ha infatti rilasciato dichiarazioni clamorose, prefigurando la necessità di un cambio di rotta rivoluzionario. Fine del rigore, e della scarsità artificiosa di moneta. Draghi ha parlato di eurobond per azzerare lo spread e addirittura dell’eventualità di ricorrere alla Modern Money Theory, che – mediante emissione monetaria virtualmente illimitata – autorizzerebbe gli Stati a ricorrere a robusti deficit per rilanciare l’economia. «Inoltre, in privato – aggiunge Magaldi – lo stesso Draghi ha bussato ai circuiti massonici progressisti: chiede di essere appoggiato, per poter usare la sua autorevolezza (nazionale e internazionale) per rimediare al disastro che ha contribuito a creare, obbedendo ai diktat neoliberisti degli ultimi decenni che hanno provocato la grande crisi europea e il declino economico dell’Italia». E i giornali? Buio pesto: «Silenzio: omertà mafiosa, da parte dei media, su questi temi». Altro che titoloni sul binomio “mafia e massoneria” in Calabria. «Questa è la vera mafia», accusa Magaldi: «E’ l’omertà mafiosa dei media sui temi che riguardano davvero le dinamiche più importanti del potere».Comodo, sparare a man salva sulle piccole massonerie regionali: funziona a meraviglia, come escamotage per non parlare mai dell’unica massoneria che conti davvero, quella sovranazionale, a cui Gioele Magaldi ha dedicato il bestseller “Massoni”, uscito nel 2014 per Chiarelettere. Nomi e cognomi, indicazioni mai smentite: «E’ anche grazie a quel libro, citato in Parlamento dai 5 Stelle, se poi Napolitano s’è dovuto dimettere, dopo aver insediato Monti alla guida del governo su mandato delle aristocrazie massoniche più reazionarie». Magaldi presenta Napolitano come un esponente di spicco della superloggia “Three Eyes”, «di cui la P2 di Gelli era stata la succursale italiana». Precisa l’autore: «Posso documentare ogni mia affermazione: dispongo di 6.000 pagine di dossier». Nessuno, però, ha mai preteso di visionare quei documenti. E’ più facile, semmai, riesumare il fantasma di Gelli per parlare della massoneria in termini generici e persino criminologici, sulla scorta di inchieste molto mediatiche come quella sull’ipotetica connessione tra logge e ‘ndrangheta, in Calabria, attorno alla figura di Giancarlo Pittelli. In attesa che le indagini proseguano, Magaldi resta prudente: «Troppe volte, dopo l’iniziale polverone suscitato dai media, non è emerso nulla di sostanziale, per il paese: neppure l’indagine “Minotauro” condotta da Agostino Cordova pervenne ad alcunché di clamoroso».
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Bertani: Natale, pacco vuoto. Chi crede ancora alla fiaba?
Natale è la vera festa dei cattolici: dovrebbe essere, in realtà, la Pasqua la quale contiene e condensa in pochi giorni (o, addirittura, ore) tutta la vicenda di un certo Joshua bar Joseph (Gesù figlio di Giuseppe), che sarebbe diventata la colonna sonora di due millenni di storia, oggi conclusa, terminata, smarcata dalle cronache religiose del pianeta. Vedremo poi. Già, Natale…però il Natale, celebrando la nascita del Redentore delle Anime, sconfessa apertamente chi non aveva riconosciuto in lui il Davide, il Grande Re Davide che avrebbe riportato alla gloria il grande popolo d’Israele. Non l’hanno riconosciuto? Ben gli sta! Giù la testa! Se il grande regno di Davide mai non giunse, anche il surrogato – ossia il povero Joshua bar Joseph – non fu una gran trovata. Ossia, lo fu sotto l’aspetto secolare, di potere – indubbiamente servì a tanto per superare la crisi dell’Impero Romano e trasformarlo nel Sacro Romano Impero, con annessi e connessi – ma fallì totalmente sotto l’aspetto della religione e, soprattutto, della contigua filosofia religiosa. Prima di partire, ricordiamo una curiosità: il primo a godere dell’appellativo di Pontifex Maximus (pressappoco “guida suprema”) fu…Giulio Cesare! Dopo di lui, tutti gli imperatori romani.Bisogna partire da lontano per capire tutto l’arzigogolo, e quando si dice da lontano quel “lontano” è, niente popò di meno che…Nero Claudius Caesar Augustus Germanicus, in arte Nerone, quinto imperatore romano. Perché? Perché Nerone aveva ben compreso che il futuro dell’Impero non era nella lontana Britannia o nella riottosa Germania, bensì nel Mediterraneo: ossia, voleva spostare il baricentro dell’Impero verso Oriente, non verso l’inospitale Nord. Nel 67 d. C. si recò in Grecia e concesse a tutti i Greci l’immunità, qualcosa che si avvicinava alla cittadinanza romana, ed iniziò a meditare che Alessandria d’Egitto (seconda città dell’Impero) aveva tutti i crismi per diventarne la prima: la Biblioteca – che, oggi, definiremmo “un grande polo universitario” – il grandioso porto e la posizione geo-centrica di quello che lui immaginava il futuro dell’Impero. E la religione? Le tradizioni? Beh…ci penseremo…in Oriente si trova di tutto… A Roma non furono molto d’accordo, e lo fecero fuori. Ma il dado era tratto: nemmeno 60 anni dopo, Adriano ammetteva “Christus” fra gli dei onorabili a Roma, sempre che i seguaci lo onorassero nel Pantheon romano e non come unico Dio. Ma la strada era tracciata. S’era intorno al 120 d.C.Ci furono ancora lotte, discriminazioni, uccisioni… ma, due secoli dopo, Costantino sanciva il passaggio definitivo, quello della religione cristiana come unico credo del regno. E, annessa, vi fu la prima truffa dei cristiani, ossia la cosiddetta “donazione” di Costantino (mai avvenuta) poi codificata nel Constitutum Constantini, un testo apocrifo del IX secolo d.C. la quale concedeva al papato non la guida della Chiesa, bensì una specie di titolo di imperator, ossia la supremazia su qualsiasi regno o (futuro) feudatario del grande impero. La frittata (un colossale falso storico) era sfornata, ed era nato lo Stato della Chiesa. Per i secoli a seguire, dunque, i Papi non furono le guide religiose che tutti pensiamo e immaginiamo nella nostra tradizione, bensì i Re d’alcuni possedimenti italici e gli imperatori dell’ex Impero Romano, perché avevano nelle mani uno strumento potente per mantenere quel primato (che usarono più volte), ossia la scomunica. Furono Pontifex Maximus dei re e imperatori d’Europa. Non ci dobbiamo perciò meravigliare dei fasti della corte papale, delle molte concubine, delle mille corruzioni, delle sanguinose lotte di potere… non dimentichiamo che molti Papi non furono nemmeno preti, oppure furono nominati cardinali da bambini… erano dei regnanti, stop.Machiavelli scrisse che gli italiani crebbero “senza religione e cattivi”, poiché allevati in quei torbidi consessi, nei quali la gestione del potere era “santificata” da qualcosa che, di veramente santo, non aveva niente. Ma venne la prima punizione. Un oscuro monaco agostiniano germanico, Martin Lutero – dopo una visita a Roma nella quale vide quel che vide, non ultimo il commercio, venale, delle indulgenze, che lo terrificò – tornato in Germania (e sotto la protezione di Federico di Sassonia) pubblicò le famose 95 tesi affiggendole sulla porta della Chiesa di Wittemberg. Era il 1517, era la Rivoluzione. Lutero voleva tornare ad un Cristianesimo più puro, mondato da ogni coinvolgimento secolare che la Chiesa Romana, ovviamente, non poteva concedere, senza correre il rischio d’enormi perdite, territoriali e di ricchezza. La prima avvisaglia di come i Protestanti desideravano “accomiatarsi” dal potere romano avvenne nel 1527, con il Sacco di Roma ad opera dei Lanzichenecchi: 20.000 morti ed il resto della popolazione in fuga. Per “scalzarli” da Roma il Papa dovette pagare 400.000 ducati d’argento. Cash.La risposta, da Roma, venne nel 1545 con il Concilio di Trento e fu una risposta totalmente di chiusura, con la proibizione del possesso degli antichi testi biblici (in greco ed aramaico): solo la Vulgata – pessimo titolo! – ossia la Bibbia in Latino visionata e distribuita solo da Roma. E la creazione del Sant’Uffizio (la futura Inquisizione) e dell’indice dei testi “scomunicati”. Gli ultimi a ricevere questo “trattamento” furono Simone de Beauvoir, Gide, Moravia e Sartre (!). Li precedettero, praticamente, tutti i “pilastri” della civiltà moderna occidentale, da Cartesio in poi, e l’ultimo Papa passato sullo scranno del Sant’Uffizio, poi divenuto “Congregazione per la dottrina della Fede” fu Papa Ratzinger, tuttora vivente, Benedetto XVI. Insomma, in barba a tutti i “consigli” che giungevano dall’esterno, la Chiesa Cattolica non ha deviato di un’unghia, non ha discusso con nessuno, non ha accettato nessun “bonario” consiglio. Ha continuato a non concedere rogatorie nemmeno quando le vicende dello Ior (la Banca Vaticana) sprofondavano, più che nella tragedia, nella farsa.Pedofilia, niente; preservativi, nulla; divorzio, ignorato. Salvo concederlo, già a Trento (1545), per le coppie di neri che erano state battezzate dai missionari e poi vendute, schiave, a differenti proprietari. Una vera e propria chicca: un’attenzione perfetta per le esigenze del commercio! La giustificazione? Qualcuno aveva potuto leggere le pubblicazioni dell’atto? Magari affisse su un albero della foresta equatoriale? Penosi. Ma la nemesi giunge da dove meno te lo aspetti. Stavolta non c’è più un monaco che affigge delle tesi su una chiesa per chiederne la discussione, per avviare una ricostruzione di quel credo suggerito (pare) molto tempo prima da un oscuro pescatore/predicatore della Galilea. Rivisto e purgato – in primis Paolo di Tarso, poi Agostino d’Ippona, Tommaso d’Aquino eccetera, eccetera… – per l’udito e la forma mentis dei greci e dei latini dapprima, poi per i loro eredi. Quando un edificio si mostra troppo vecchio per resistere ancora allo scorrere del tempo, quando non sono stati eseguiti per tempo i necessari lavori di ristrutturazione, entrano in funzione le ruspe demolitrici: non c’è altra soluzione.La “ruspa” – addirittura comico! – sgattaiola fuori dal garage delle Edizioni San Paolo di Roma, ma non affigge tesi per discutere, non chiede udienza, non dà alla vetusta istituzione cattolica nemmeno l’appiglio di un confronto: «Non voglio intromettermi fra ciò che pensano e credono i cattolici rispetto alla loro fede». E’ ciò che Mauro Biglino ripete, anche se sa benissimo che non ci potrebbero essere più roghi per bruciarlo. Magari, però, una pallottola vagante potrebbe sempre manifestarsi: i tempi cambiano e gli inquisitori accettano anche qualche “suggerimento” della modernità. La morte del comandante delle Guardie Pontificie, Alois Estermann (mai chiarita), della moglie e di un caporale, è stata una sparatoria degna di un film di Sergio Leone. Proprio accanto all’appartamento del Papa. Così, dalle Bibbie più antiche – guarda a caso quelle proibite nel ‘500 con l’Inquisizione – salta fuori, traducendo letteralmente, che il potente e “glorioso” Dio Javhé viaggiava nei cieli su un “carro di fuoco”, mentre i suoi “cherubini” assomigliavano più a delle guardie del corpo che agli angioletti del presepe.Ma anche il Nuovo Testamento è stato “rivisitato” – soprattutto grazie all’acume “greco” di Paolo di Tarso – e, dunque, una vicenda interna alla comunità ebraica, uno scontro fra fazioni discordi ed un fallito assalto al tempio di Salomone, ha creato i prodromi per la creazione di una nuova religio, visto che quella vigente nella Roma imperiale era in forte crisi, pervasa e stravolta da nuovi credi. Mentre era stata proibita dal Senato la pratica dei Baccanali, i culti di Cibele, Iside e, soprattutto, Mitra erano entrati a far parte del Pantheon Romano, scombussolandone le radici, che risalivano addirittura al primo re, Numa Pompilio. C’era bisogno di “aria nuova”: che durò per due millenni. Oggi, osservando con occhio disincantato e senza nessun tipo d’acredine, possiamo affermare che la religione cattolica sia ancora uno dei “perni” del vivere italico? Vivo di fronte ad una chiesa, che si dice sia stata un “luogo” dei Templari, e nella quale è stato anche girato un pessimo film (”The broken key”) sull’infinita saga dei cavalieri antichi e delle moderne società segrete. Le campane, a parte le ore, suonano musichette che sembrano il “liscio” dei Casadei: mai più ascoltato una musica sacra.Rari matrimoni e battesimi, più frequenti i funerali, con un solo denominatore: niente che abbia a che vedere con una pratica sacra, ma solo cerimonie mondane, allegre o tristi, ma solo mondane. Abiti eleganti le donne, camicie e cravatte gli uomini: per quel che ne so, una liturgia spenta senza più nessuna tensione religiosa verso il sacro, il supremo, l’assoluto inconoscibile. Le statistiche ci dicono che circa la metà della popolazione italiana si dice cattolica, ma coloro che si dicono credenti e praticanti sono soltanto il 22%. Ci sono, poi, un 10% circa che appartiene ad altre religioni, ed un 14% che, genericamente, “crede in Dio”. Questa è, sostanzialmente, la situazione. Al di là della sfera religiosa, gli italiani che credono molto o abbastanza alle coincidenze rappresentano ben il 53%, mentre il 41% crede nella fortuna, il 25% nella reincarnazione, il 24% nella predestinazione dell’anima, il 21% nei miracoli dei guaritori, il 18% nel karma, il 17% nell’astrologia, il 16% nella presenza di alieni sulla Terra, un altro 16% nella jella e nel malocchio, sempre il 16% nelle sedute spiritiche, il 14% nella possessione diabolica, il 9% nei tarocchi e un altro 9% nella magia (sondaggio Adnkronos). Sembra quasi l’identica situazione del tardo Impero Romano anzi: forse peggio. Eppure, continuiamo a definirci un “paese cattolico”. In ogni modo, felice Natale a tutti!Natale è la vera festa dei cattolici: dovrebbe essere, in realtà, la Pasqua la quale contiene e condensa in pochi giorni (o, addirittura, ore) tutta la vicenda di un certo Joshua bar Joseph (Gesù figlio di Giuseppe), che sarebbe diventata la colonna sonora di due millenni di storia, oggi conclusa, terminata, smarcata dalle cronache religiose del pianeta. Vedremo poi. Già, Natale…però il Natale, celebrando la nascita del Redentore delle Anime, sconfessa apertamente chi non aveva riconosciuto in lui il Davide, il Grande Re Davide che avrebbe riportato alla gloria il grande popolo d’Israele. Non l’hanno riconosciuto? Ben gli sta! Giù la testa! Se il grande regno di Davide mai non giunse, anche il surrogato – ossia il povero Joshua bar Joseph – non fu una gran trovata. Ossia, lo fu sotto l’aspetto secolare, di potere – indubbiamente servì a tanto per superare la crisi dell’Impero Romano e trasformarlo nel Sacro Romano Impero, con annessi e connessi – ma fallì totalmente sotto l’aspetto della religione e, soprattutto, della contigua filosofia religiosa. Prima di partire, ricordiamo una curiosità: il primo a godere dell’appellativo di Pontifex Maximus (pressappoco “guida suprema”) fu…Giulio Cesare! Dopo di lui, tutti gli imperatori romani.
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Sardine e Gretini distraggono l’Italia dallo sfacelo del paese
Tutta l’attenzione mediatica è concentrata su Sardine e gretini. Lo scopo è fin troppo evidente. Portare l’antifascismo e l’antirazzismo nelle piazze, in assenza di fascismo e di razzismo, per criticare chi al momento è all’opposizione. L’esperimento è politicamente interessante per la sua originalità. Poiché la maggioranza è politicamente insistente, non resta altro per difenderla che scendere in piazza… contro l’opposizione. Il fatto che Alitalia, ex-Ilva e Popolare di Bari siano in bancarotta, che la manovra economica di bilancio sia nel caos e così la ratifica del Trattato del “Fondo SalvaStati” tutto questo è di secondaria importanza. Il Pil italiano è sempre a crescita zero (+0,1% secondo le stime) e così l’inflazione, per cui il Pil in euro aumenta di solo 4 miliardi da un anno all’altro e anche solo un piccolo deficit del 2,1% (35 miliardi), fa aumentare il debito di 30 miliardi circa. Ma il problema dei “nuovi partigiani” è fermare la feroce bestia fascista. Un linguaggio di vero amore e di pace. Del resto possono contare sul fatto che nonostante questo governo sia non il vuoto, ma il sottovuoto spinto non accade nulla di tragico, a parte gli operai in cassa integrazione per Natale, ma di questo non frega un cazzo a nessuno.Lo “spread”, nonostante il pagliaccio di turno ogni tanto provi a fare allarmismo, si comporta bene perché i Btp la settimana scorsa sono saliti di 4 punti, più di ogni altro bond al mondo e la borsa italiana è salita del 18% da agosto, migliore Borsa al mondo. Nel mondo di oggi se il mercato finanziario tira i politici si sentono al sicuro e viceversa, basta vedere Trump che saluta ogni rialzo del Dow Jones. Nonostante quindi la produzione industriale stia di nuovo calando, l’andamento del Pil italiano sia il peggiore dell’Ocse, Alitalia, Ilva e Popolare di Bari siano da salvare e la manovra sia nel caos più totale, il governo galleggia. Bisogna ricordare che il governo Berlusconi nel 2011 aveva di fronte una situazione economica migliore di quella di oggi e lo stesso fu costretto a dimettersi solo perché le quotazioni dei Btp erano scese sui mercati di 20 o 30 punti (lo spread consiste appunto in questo calo dei prezzi dei Btp). Il mercato finanziario per ora è benigno per cui il governo può tirare a campare. L’incognita è il M5S perché più di metà dei suoi parlamentari sa che non verrà rieletto stando ai sondaggi e sta cominciando quindi un esodo verso Salvini, che può invece farli rieleggere.Se il M5S lascia tutta la politica economica nelle mani di Gualtieri e del Pd si suicida del tutto, lentamente magari perché appunto lo “spread” al momento è sotto controllo, ma il caos su Ilva, Popolare di Bari, Alitalia, sul Mes e su una manovra di bilancio fatta di piccole tasse lo logoreranno anche se è al governo. In effetti ci sono segni di irrequietudine tra i parlamentari, tra i quali ad esempio la maggioranza di loro ha firmato un disegno di legge promosso da Pino Cabras per introdurre una “moneta fiscale” sotto forma di “certificati di compensazione fiscale” (cioè detrazioni fiscale che si possono scambiare, come abbiamo illlustrato in precedenti articoli). L’importo non è indicato nel disegno di legge, lasciandolo decidere al ministro dell’economia, ma in tutte le elaborazioni, si parla da un minimo di 20 miliardi ad un massimo di 60 miliardi l’anno, quindi qualcosa di rilevante. Assieme a Cabras a sostenere la proposta c’erano, del M5S, Mario Turco (sottosegretario della Presidenza del Consiglio con delega alla programmazione economica) e Steni Di Piazza (sottosegretario del ministero del lavoro). Inutile dire che la proposta è interessante e potrebbe essere fatta oggetto di discussione anche dalla Lega, ora che Salvini pare vestire i panni del responsabile pronto al dialogo nell’interesse del paese. Ma c’è da fidarsi?In questi giorni sulla piattaforma “Rousseau” c’è stata una votazione per decidere un team di “facilitatori” che affiancheranno Di Maio sui vari temi. Il Movimento doveva completare la sua trasformazione in partito ed ecco quindi la sua segreteria. Il vice di Di Maio è una donna di Casaleggio, Enrica Sabatini. Sappiamo che il tutto ha poco senso, perché basta un “belin” di Grillo per far cadere tutto. Ma sappiamo anche che a Grillo interessa solo portare al Quirinale Romano Prodi, per fare un dispetto a Renzi. Del resto non gliene frega più un cazzo. Ma soffermiamoci su un punto. Per l’economia c’erano 3 team e ha vinto quello del senatore Presutto che propone di ridurre il debito pubblico come priorità, mentre il team che proponeva la “moneta fiscale”, del tutto in linea con il disegno di legge presentato dal M5s, è stato bocciato. Il punto è sempre lo stesso. Il M5S sostiene tutto e il contrario di tutto. Come si fa a proporre un “comitato di salvezza nazionale” in queste condizioni? Mille sono i rischi e con quale guadagno?(Paolo Becchi e Giovanni Zibordi, “Sardine, gretini e 5 Stelle allo sbando, e intanto il paese va a picco”, da “Libero” del 17 dicembre 2019; articolo ripreso dal blog di Becchi).Tutta l’attenzione mediatica è concentrata su Sardine e gretini. Lo scopo è fin troppo evidente. Portare l’antifascismo e l’antirazzismo nelle piazze, in assenza di fascismo e di razzismo, per criticare chi al momento è all’opposizione. L’esperimento è politicamente interessante per la sua originalità. Poiché la maggioranza è politicamente insistente, non resta altro per difenderla che scendere in piazza… contro l’opposizione. Il fatto che Alitalia, ex-Ilva e Popolare di Bari siano in bancarotta, che la manovra economica di bilancio sia nel caos e così la ratifica del Trattato del “Fondo SalvaStati” tutto questo è di secondaria importanza. Il Pil italiano è sempre a crescita zero (+0,1% secondo le stime) e così l’inflazione, per cui il Pil in euro aumenta di solo 4 miliardi da un anno all’altro e anche solo un piccolo deficit del 2,1% (35 miliardi), fa aumentare il debito di 30 miliardi circa. Ma il problema dei “nuovi partigiani” è fermare la feroce bestia fascista. Un linguaggio di vero amore e di pace. Del resto possono contare sul fatto che nonostante questo governo sia non il vuoto, ma il sottovuoto spinto non accade nulla di tragico, a parte gli operai in cassa integrazione per Natale, ma di questo non frega un cazzo a nessuno.
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Cile, miracolo economico privatizzato (e violenza di Stato)
Lo stipendio medio di un cileno non arriva ai 350 euro mensili, mentre in poco tempo il biglietto della metro è quadruplicato, arrivando a costare 1 euro (come da noi). La crisi che sta attraversando il Cile in questi giorni non si può racchiudere tutta nei due numeri appena citati, però rendono bene l’idea del “miracolo” economico liberista in Sudamerica. Non so voi, ma a me ogni volta che discuto di economia latinoamericana, viene rifilata la solita manfrina del virtuoso Cile, nazione che al contrario degli altri paesi sudamericani avrebbe abbracciato la libera economia di mercato con continuità. “E’ il paese più stabile del Sudamerica”; “almeno in Cile non ci sono sacche di socialismo reale”; “in Cile sembra di stare in Europa”. Queste, più o meno, le considerazioni che sentiamo ripetere da anni. Di solito, vengono pronunciate come considerazioni di tipo politico, magari riferite al dittatore Pinochet, ai diritti umani, alla tortura e all’amicizia del caudillo cileno con l’utraliberista inglese Margaret Thatcher. In altre parole, se tutti riconoscono in Pinochet un dittatore, molti sono pronti ad attenuarne le responsabilità giocandosi la carta del “miracolo” economico del Cile, della crescita del Pil a ritmo del 6 per cento annuo.Nelle immagini di questi giorni, con le autoblido dei carabineros che si accaniscono sulla folla spappolando i femori dei manifestanti, abbiamo finalmente modo di accorgerci di questo “miracolo” con i nostri occhi. Occhi che almeno in Europa continuiamo a preservare, mentre secondo le testimonianze di Santiago i manifestanti perdono l’uso della vista a causa dei lacrimogeni. Le donne che vanno in pensione, nella stragrande maggioranza, non arrivano ai 250 euro mensili, mentre gli uomini pochi centesimi di più. Ma non è tanto questo: in molti paesi del Sudamerica gli stipendi sono questi o anche più bassi, ma è la sproporzionalità col costo dei servizi e l’abuso del credito a fare la differenza, e ciò accade perchè i servizi essenziali in Cile – contrariamente ad altre parti del Sudamerica – sono privati, non pubblici. Ecco allora che la situazione (tremenda!) di Cuba, dove gli statali hanno uno stipendio mensile che non arriva ai 30 euro al mese, può apparire persino migliore di quella cilena. All’Avana un biglietto di sola andata costa 8 centesimi e l’abbonamento mensile dei trasporti 2 euro; quindi la situazione non è migliore del Cile, ma almeno a Cuba l’accesso a scuola e sanità sono gratuiti, mentre sotto il regime di Piñera, no.In Cile, in questi anni, la gente comune è andata avanti facendo debiti con le banche, anche solo per fare la spesa al supermercato: altro che crescita del Pil al 6 per cento! In Cile, comunque, la protesta sul costo dei servizi era iniziato tranquillamente, ma la polizia, in solito stile Sudamericano, si è comportata in modo terrificante, come se un banale flash-mob fosse sinonimo di colpo di Stato. Ma come già detto non è solo una questione di trasporti. La situazione antidemocratica del Cile si trascina ormai da decenni. In buona sostanza, dopo l’omicidio di Salvador Allende, cos’è successo in Cile da un punto di vista pratico (cioè senza scomodare grafici e tabelle)? Che Pinochet ha creato due paesi diversi: uno per i ricchi, ed uno per i poveri. In quello per i poveri, se ti ammali, puoi tanquillamente crepare prima di essere curato. Se, invece, appartieni alla classe ricca, allora puoi permetterti un servizio privato e salvarti. Non è difficile da capire. Non occorre scomodare la curva di Laffer, le supercazzole di Michele Boldrin, la scuola austriaca, Polanyi, Cottarelli, Esa Fornero e Carlo Marx. Il liberismo è questa roba qua. E solo un cretino o una persona in malafede non lo vuole capire. Spesso, tuttavia, cretinismo e disonestà intellettuale coincidono.(Massimo Bordin, “Il ‘miracolo’ economico del Cile”, dal blog “Micidial” del 22 dicembre 2019).Lo stipendio medio di un cileno non arriva ai 350 euro mensili, mentre in poco tempo il biglietto della metro è quadruplicato, arrivando a costare 1 euro (come da noi). La crisi che sta attraversando il Cile in questi giorni non si può racchiudere tutta nei due numeri appena citati, però rendono bene l’idea del “miracolo” economico liberista in Sudamerica. Non so voi, ma a me ogni volta che discuto di economia latinoamericana, viene rifilata la solita manfrina del virtuoso Cile, nazione che al contrario degli altri paesi sudamericani avrebbe abbracciato la libera economia di mercato con continuità. “E’ il paese più stabile del Sudamerica”; “almeno in Cile non ci sono sacche di socialismo reale”; “in Cile sembra di stare in Europa”. Queste, più o meno, le considerazioni che sentiamo ripetere da anni. Di solito, vengono pronunciate come considerazioni di tipo politico, magari riferite al dittatore Pinochet, ai diritti umani, alla tortura e all’amicizia del caudillo cileno con l’utraliberista inglese Margaret Thatcher. In altre parole, se tutti riconoscono in Pinochet un dittatore, molti sono pronti ad attenuarne le responsabilità giocandosi la carta del “miracolo” economico del Cile, della crescita del Pil a ritmo del 6 per cento annuo.
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Carpeoro: impossibile fidarsi di Salvini, resterà neoliberista
Mentre matura la Brexit, in Italia la situazione è quella che conosciamo: il Mes, Conte, le Sardine, Salvini che sembra tendere la mano per un governo provvisorio di salute pubblica. Le Sardine? Sono il festival della banalità e del luogo comune: finiranno nel nulla, come i Girotondi, nonostante la speranza del Pd di usarle come copertura della sua totale insipienza. Salvini? Certo che può accordarsi con la maggioranza: ma questi glielo garantiscono, di tornare alle urne in primavera? Se si vota in primavera, a Salvini conviene (non so fino a che punto convenga all’Italia, ma a lui conviene). I 5 Stelle sono in cancrena: necrosi anticipata. Quindi è plausibile che, appena si vada a votare, diventino importanti come una piuma sulla bilancia. Io continuo a prevedere la caduta del governo: sono scoppiate due grane grosse, e francamente non vedo come possano riuscire a risolverle. La prima grana sono le inchieste su Renzi: se procedono in modo virulento, Renzi potrebbe essere portato a far saltare il banco. La seconda è il formidabile dissidio che è scoppiato non tanto sul Mes, quanto sulle banche. Va bene che sono in cancrena, ma i 5 Stelle – se votano il salvataggio della Banca Popolare di Bari – vanno incontro a un suicidio assistito.La Popolare di Bari è fondamentale, per il Pd, perché il presidente pugliese Michele Emiliano è uno dei maggiori referenti dell’assetto politico del partito. I 5 Stelle si erano scagliati contro il decreto salva-banche del governo Renzi, e ora hanno disertato l’ultimo Consiglio dei ministri. Quello della Popolare di Bari è un casino grosso, molto più grosso di quelli che ebbe Renzi, che aveva coinvolto banchette come l’Etruria. E dietro al problema della Popolare di Bari c’è un personaggio di grande peso, nel Pd: Emiliano è uno dei sostegni principali della segreteria Zingaretti. Quindi, cosa succederà? Ci sarà un accordo tra Renzi e Salvini? Renzi ha una caratteristica: ha messo nel sacco tutti quelli che erano alleati con lui. E non credo che Salvini sia così scemo da aggiungersi alla lista. Renzi ha beffato Enrico Letta, che era pure suo amico. Poi ha fatto fuori il vecchio establishment (Rosy Bindi, D’Alema). Poi ha fregato Bersani, poi anche Berlusconi. E come li ha fottuti? Non mantenendo, clamorosamente, parole date e patti politici. Renzi non muore per le cazzate che fa, perché le cazzate le hanno fatte tutti. Renzi muore, politicamente, perché nessuno farà mai più un patto con lui.I 5 Stelle hanno detto: se Renzi non si siede al banco, non ci allieamo col Pd (e in tempi non sospetti, non adesso). Questo perché nessuno si fida più, di Renzi: ha imbrogliato tutti quelli che poteva, e gli interlocutori attuali non hanno intenzione di aggiungersi all’elenco. Salvini ha detto che “sta studiando”, ma poi ora esulta per la vittoria di Boris Johnson? A Salvini delle elezioni inglesi non importa niente: la sua è solo propaganda. Salvini ha la necessità inderogabile di essere continuamente presente sui media. Lui è, al 90%, pura presenza sui media. Dato che questo è un popolo bue, al popolo bue devi dare il pastone che è abituato a mangiare. E Salvini glielo dà, giustamente. Lui ha un unico obiettivo: andare a votare, e riscuotere il suo credito attuale. Ora usa toni più moderati? La sua è tattica: cerca di essere accettato come futuro leader del paese. Per quanto riguarda la fiducia al Salvini politico, la mia valutazione è prossima allo zero. Non appena abbandonerà questa sua linea dei tagli netti, un tanto al chilo, a colpi di mannaia, mezzo partito gli si rivolterà contro.Salvini può fare allusioni, promesse e ondeggiamenti; ma poi, al momento delle scelte, si dovrà alleare con Berlusconi e dovrà comunque sposare politiche che la gente gli contesterà. Anche ammettendo che sia in buona fede, come fa ad abbandonare una politica neoliberista, avendo come alleati Berlusconi e la Meloni? Un secondo dopo riperderebbe tutti i voti che si è guadagnato, con questa linea di destra ottusa ma premiante, in Italia. Salvini è obbligato, a fare politiche di destra. E quindi, alla fine, è obbligato comunque – sia pure in chiave sovranista – ad aderire a uno schema neoliberista. Perché il sovranismo non è in lite col neoliberismo: il sovranismo propone solo slogan, di falsa indipendenza e autonomia, ma alla fine può mantenere il regime neoliberista esattamente negli stessi termini in cui lo mantengono i finti progressisti. Il solito schema: se non si cambiano le premesse, le conseguenze non possono cambiare. Le premesse da cambiare sono queste: bisogna fare una rivoluzione culturale, per la quale il neoliberismo torni a essere liberismo, e il falso progressismo diventi un progressismo vero.Liberismo e progressismo a quel punto si potrebbero confrontare, in politica, non più su slogan, ma su progetti di paese. Io sono socialista, quindi spero che vinca il progretto progressista. Però, se ci fosse un progetto liberista, non sarei così preoccupato. Il problema è che l’alternativa è un progetto neoliberista, che è tutt’altra cosa. La gente si studi le grandi figure liberali dell’Ottocento. Il problema è che poi arriva un signor Reagan, e trasforma le politiche liberali in politiche egoistiche e ottuse. E’ da lì che viene il problema: quando Reagan teorizza che a decidere è il mercato, e non il politico illuminato, dice una cosa che è contraria sia al progressismo sia al liberismo. E si chiama neoliberismo, non ha un altro nome. Il neoliberismo vive sull’ingiustizia sociale. Crisi economiche, tasse inique, guerre, paura: il potere vuole che le persone stiano male? No: il potere vuole semplicemente che le persone non contino, non che stiano male; ci sono stati momenti storici in cui al potere conveniva che le persone stessero bene.Mentre matura la Brexit, in Italia la situazione è quella che conosciamo: il Mes, Conte, le Sardine, Salvini che sembra tendere la mano per un governo provvisorio di salute pubblica. Le Sardine? Sono il festival della banalità e del luogo comune: finiranno nel nulla, come i Girotondi, nonostante la speranza del Pd di usarle come copertura della sua totale insipienza. Salvini? Certo che può accordarsi con la maggioranza: ma questi glielo garantiscono, di tornare alle urne in primavera? Se si vota in primavera, a Salvini conviene (non so fino a che punto convenga all’Italia, ma a lui conviene). I 5 Stelle sono in cancrena: necrosi anticipata. Quindi è plausibile che, appena si vada a votare, diventino importanti come una piuma sulla bilancia. Io continuo a prevedere la caduta del governo: sono scoppiate due grane grosse, e francamente non vedo come possano riuscire a risolverle. La prima grana sono le inchieste su Renzi: se procedono in modo virulento, Renzi potrebbe essere portato a far saltare il banco. La seconda è il formidabile dissidio che è scoppiato non tanto sul Mes, quanto sulle banche. Va bene che sono in cancrena, ma i 5 Stelle – se votano il salvataggio della Banca Popolare di Bari – vanno incontro a un suicidio assistito.
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Basta fango: se tutti i partiti si unissero per salvare il paese
Fango su fango, per produrre altro fango, lungo un desolato orizzonte di fango. Tutto è uguale a niente, ormai? Buio sul povero Giulio Regeni, massacrato in Egitto: anni di parole contro il truce regime del Cairo, e silenzio assordante sugli elusivi committenti di Giulio, le ambigue e reticenti agenzie di Cambridge che probabilmente lo mandarono al macello, a sua insaputa. Fango su fango, anche se si vuole inquadrare il martirio dei migranti: tutto sembra risolversi nell’insulso derby violento all’italiana, pro o contro Salvini, senza uno sputo di analisi sull’immane tragedia dell’Africa. Solo maschere, per questo piccolo avanspettacolo nutrito di personaggi come Carola Rackete e Greta Thunberg (perfetta, la svedese, per eludere – con il suo dogma climatico – il vero dramma dell’avvelenamento terrestre). A vincere è il fango, declinato ovunque. Fango sulla Russia, anche in salsa olimpionica: tutto si esaurisce negli ipotetici Russiagate, senza che nessuno si interroghi sul ruolo di Mosca, di Bruxelles, di Berlino e di Washington. I media fotografano una società che, anziché pensare, insulta. Fango su Trump, per le presunte intrusioni in Ucraina, dopo che il paese fu travolto da una rivoluzione colorata, progettata a tavolino e finita con la consegna del gas ucraino al figlio di Joe Biden, allora vice di Obama. Fango su tutti, a turno: sui siriani e gli iracheni, sui palestinesi, sui curdi.Fango e morte per i libici, gli yemeniti, gli stessi europei fatti a pezzi nelle piazze dal sedicente Isis, sotto il naso di polizie distratte. Fango e botte, per buon peso: sprangate in faccia ai manifestanti di Hong Kong e a quelli di Parigi. C’è chi la chiama terza guerra mondiale a rate, a puntate, a geometria variabile. Con tanto sangue, e soprattutto fango, a ogni latitudine. La piccola Italia (non così piccola, ma rimpicciolita dagli stregoni dell’Ue) diventa addirittura microscopica, nella fanghiglia della sua non-politica di ieri e di oggi. Non un partito vero, che pensi al domani: tutto è fermo alle elezioni del giorno dopo. Sondaggi, telegiornali, talkshow. Il non-governo attanagliato dal terrore del voto, l’opposizione che non va oltre l’ovvio disgusto per le non-decisioni dei prestanome che occupano i palazzi. La cosiddetta crisi morde sempre di più: acciaierie in panne e banche sull’orlo del tracollo, viadotti che si schiantano, fabbriche che chiudono, industrie che scappano all’estero per pagare meno (sia il lavoro che le tasse). Politica assente: massima irrisione, la non-protesta delle Sardine. Una beffa grottesca: festicciole e canzoni, al funerale dell’Italia.Uno spettacolo surreale, offerto al mondo che ci guarda, e che osserva la nostra incapacità strutturale di leggere la crisi, di riconoscerne i mandanti e gli esecutori. Attaccano Salvini, i dimostranti ipnotizzati dalla disinformazione: se la prendono con un micro-leader che domani forse non esisterà nemmeno più, e che comunque (questa la sua colpa) non ha ancora fatto assolutamente niente per restituire al paese una visione precisa, nonché una strategia su come uscire dall’oceano di fango nel quale sta affondando. Quel che non si perdona, alla Lega, è di essere l’unico partito a suo modo vitale, legittimato dal consenso? In effetti sembra fuori posto, questa Lega – prontamente assediata dalle inchieste – nell’Italia dell’anonimo e cardinalizio Conte, dell’esanime Zingaretti, della caricatura Renzi, degli zombie un po’ cialtroni che fino a ieri promettevano un mondo a 5 stelle. Altro? Macché. Fango per tutti, a reti unificate, senza sforzarsi di capire perché siamo finiti così in basso. Cos’è il debito pubblico? Cosa sono l’Eurozona, il Mes, la Brexit, il Fiscal Compact, il pareggio di bilancio? Cos’è davvero l’avanzo primario, che da quasi trent’anni fa sì che lo Stato prelevi dai cittadini, sotto forma di tasse, più di quanto il governo non spenda, per gli italiani, in termini di servizi?Economia, questa sconosciuta: deve provvedere Mario Draghi, nientemeno, a suggerire che la via d’uscita può essere dalla parte opposta, rispetto al plumbeo rigorismo della Bce. Proprio lui, Draghi, è come se dicesse: ci si salva facendo l’esatto contrario di quel che ho fatto io, in tutti questi anni, prima al Tesoro e poi a Bankitalia, quindi a Francoforte. Modern Money Theory: emissione illimitata di liquidità, a costo zero. Altro che super-tasse, altro che austerity imposta per volere divino. Deficit positivo: vuol dire soldi da investire, lavoro, consumi, economia (e alla fine, risanamento del bilancio). Il “nuovo” Draghi, keynesiano e sovranitario, potrebbe essere l’eroe perfetto, per le Sardine – per loro, e per chiunque aspiri a recuperare il senso delle cose, il contatto con la realtà (cos’è lo Stato e a cosa serve, come deve funzionare). “Prestatore di ultima istanza”: parole divenute antiche solo qui, in questa Europa nanizzata dall’Ue, dai trattati intangibili che la recintano, deprimendola. Atroce, storicamente, per un continente dove – tra Parigi e Londra – nacque la democrazia moderna, già incubata in modo larvale nel medioevo italiano dei Comuni, e poi evocata tra le barricate della Repubblica Romana. Mazzini e Garibaldi: non volevano forse una democrazia europea, di popoli fratelli? Sappiamo com’è andata: due guerre mondiali. Poi la pace tra le rovine, la ricostruzione, la prodigiosa rinascita nel Belpaese. Fino a quando, lassù, non s’è deciso che potesse bastare, e che dovessimo tornare a soffrire.Modern Money Theory: massima eresia. La sventola Draghi, e nessuno fiata. Nessuno lo intervista, lo interroga, lo incalza. Sarebbe la notizia del secolo, in teoria, in materia finanziaria. Certo, non è merce maneggevole per l’insultificio. Meglio il fango, certo: è tanto più comodo. Nel fango si sguazza un po’ tutti, perché non è difficile trovare il bersaglio adatto, visto il livello dello zoo politico. Sarebbe bello vedere un altro film. Gente che accetta di sedersi allo stesso tavolo, a discutere. Fine del tifo, della gara di rutti. Tema: rimettere insieme i frantumi. Unirsi, con un obbligo: cancellare la lavagna delle prossime elezioni, e mettersi a pensare. Trovare, insieme, il gusto del bicchiere mezzo pieno. Ce ne sarebbe, da studiare. Prima, però, converrebbe archiviare le bandiere. Si fa così, da sempre, quando si vuole la pace. Si mettono da parte i vecchi rancori, le liturgie rituali, le identità solo formali. Destra e sinistra: che senso hanno, oggi? Cos’ha fatto, di buono, il centrodestra di governo? E in cosa si è distinto, il centrosinistra, rispetto ai tagli sociali dell’era berlusconiana? Entrambe le fazioni hanno obbedito a diktat. L’hanno votata insieme, la legge Fornero. Hanno mostrato il medesimo rispetto reverenziale per lo sciagurato Patto di Stabilità, che in capo a dieci anni ha ridotto le strade dei paesi italiani a campi minati, dove si fa lo slalom tra le buche perché il Comune non ha i soldi per l’asfalto.Hanno ragione, le Sardine, a reclamare una diversa estetica, gentile e dialogante. Mancano il bersaglio, certo: sparano all’orso di cartone, senza avvedersi che il luna park è recintato come un lager, dove tutto è proibito. Siamo prigionieri, ecco il punto. Beninteso, prigionieri europei del terzo millennio: privilegiati, senza nessuna guerra in casa da settant’anni. Siamo persino liberi di parlare, di insultarci allegramente, di vomitare fango contro gli orsetti di cartone. Ma è tutto qui, quel che sappiamo fare? Non ci viene il sospetto che le nostre animose divisioni siano l’habitat perfetto, per chi vuole continuare a portarci via tutto? Nei decenni della sovranità relativa, monetaria, l’Italia divenne la quarta potenza industriale del pianeta. E questo, nonostante le sue piaghe: mafia, evasione fiscale di massa, corruzione dilagante della politica. Eppure il paese cresceva, tutti stavano meglio e sapevano che i figli avrebbero avuto ancora più opportunità. Il deficit aveva fatto da motore, e il mastodonte Iri era il volano di un’economia che trascinava migliaia di aziende. Poi hanno fatto a pezzi tutto, dando la colpa a noi: al debito delle cicale, alla mafia, agli evasori, ai politici corrotti.Con queste miserabili menzogne hanno eretto il recinto spinato dell’attuale luna park, su cui sventola la bandierina blu-stellata della cosiddetta Europa. Mafia, evasione, corruzione? Esattamente come prima. La differenza? Non possiamo più spendere. Il risultato è una specie di catastrofe: meno servizi, meno welfare, meno sanità, meno pensioni. Meno soldi, meno consumi, meno futuro, meno tutto. Rigore, tasse, delimitazioni assurde come la suprema frode del famigerato tetto del 3% alla spesa pubblica: pura invenzione di un’ideologia maligna, spacciata per norma scientifica, per legge economica. Balordo imbroglio, grazie al caos organizzato a tradimento. Dopo decenni di cospicue regalie statali, la grande industria se la svigna in Serbia, in Romania e in Polonia, dove le maestranze costano di meno. La Fiat scappa in Olanda, lasciando a secco il fisco del paese che l’ha coperta di miliardi per decenni. E che dire dell’inflessibile Germania? Trucca i suoi conti pubblici, facendo dimagrire il debito di Stato depennando quello delle Regioni e la spesa pensionistica. E noi in piazza, valorosamente, a intonare gli inni dell’antifascismo di un secolo fa, mentre i predoni del 2019 ridono degli italiani, ingenui incorreggibili.Che bello, se qualcuno mettesse in produzione l’altro film: quello che manca. Tutti seduti allo stesso tavolo. Di Maio e Renzi, Salvini e Zingaretti, la Meloni. Conferenza a reti unificate, per dire: signori, c’è un problema. Le regole vanno cambiate. Siamo tutti d’accordo, finalmente. Vogliamo salvare gli italiani, tornare alla democrazia reale dello Stato. Lanciare una democrazia continentale. Far nascere qualcosa che ancora non esiste: una Unione Europea, di gente che si aiuta. Bello e impossibile? Soltanto un sogno, un’utopia? Pure, proprio da lì si parte: sono i sogni a dissipare il fango. Il resto, poi, viene da sé. Di fronte a un orizzonte nuovo, chi mai perderebbe ancora tempo a vomitare insulti? Molto sta nel crederci, all’orizzonte amico. Serve qualcuno che innanzitutto lo disegni, faccia vedere quanto sarebbe attraente, e spieghi anche quali passi, esattamente, sarebbe necessario compiere, verso la meta. Prima, però, deve tornare il sole almeno nei pensieri: per metter fine al fango, alla paura, alla stupidità dell’odio. Sta a noi, la prima mossa: se scoppia la pace, si mette male per gli sfruttatori. Lo sanno bene, i padroni del luna park. Gli unici a non saperlo ancora, a quanto pare, siamo noi?(Giorgio Cattaneo, “Basta fango: se tutti i partiti italiani si unissero, per salvare il paese”, dal blog del Movimento Roosevelt del 18 dicembre 2019).Fango su fango, per produrre altro fango, lungo un desolato orizzonte di fango. Tutto è uguale a niente, ormai? Buio sul povero Giulio Regeni, massacrato in Egitto: anni di parole contro il truce regime del Cairo, e silenzio assordante sugli elusivi committenti di Giulio, le ambigue e reticenti agenzie di Cambridge che probabilmente lo mandarono al macello, a sua insaputa. Fango su fango, anche se si vuole inquadrare il martirio dei migranti: tutto sembra risolversi nell’insulso derby violento all’italiana, pro o contro Salvini, senza uno sputo di analisi sull’immane tragedia dell’Africa. Solo maschere, per questo piccolo avanspettacolo nutrito di personaggi come Carola Rackete e Greta Thunberg (perfetta, la svedese, per eludere – con il suo dogma climatico – il vero dramma dell’avvelenamento terrestre). A vincere è il fango, declinato ovunque. Fango sulla Russia, anche in salsa olimpionica: tutto si esaurisce negli ipotetici Russiagate, senza che nessuno si interroghi sul ruolo di Mosca, di Bruxelles, di Berlino e di Washington. I media fotografano una società che, anziché pensare, insulta. Fango su Trump, per le presunte intrusioni in Ucraina, dopo che il paese fu travolto da una rivoluzione colorata, progettata a tavolino e finita con la consegna del gas ucraino al figlio di Joe Biden, allora vice di Obama. Fango su tutti, a turno: sui siriani e gli iracheni, sui palestinesi, sui curdi.
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Spinelli: le Sardine contro la libertà, un incubo orwelliano
Attenti: dietro agli slogan superficiali delle Sardine c’è l’incubo di un regime orwelliano. Se la sinistra e i media coccolano Mattia Santori e soci, a lanciare l’allarme è Barbara Spinelli, già europarlamentare della Sinistra Europea e figlia di Altiero Spinelli, storico militante del Pci e pioniere antifascista del federalismo europeo col suo “Manifesto di Ventotene”. «Le Sardine hanno annunciato il loro programma, non economico né sociale, ma incentrato quasi interamente sulla comunicazione e sull’uso nonché controllo dei social network», attacca la Spinelli sul “Fatto Quotidiano“. Vaghi e generici, i propositi delle Sardine – secondo la Spinelli – esprimono un pensiero autoritario: se tradotto in leggi, sarebbe inaccettabile per qualsiasi legislazione democratica europea. «Pretendiamo che chi è stato eletto vada nelle sedi istituzionali a fare politica invece che fare campagna elettorale permanente», scrivono le Sardine, “intimando” ai politici di scegliere solo alcuni modi per comunicare. «Pretendiamo che chiunque ricopra la carica di ministro comunichi solamente su canali istituzionali», aggiungono, per colpire la verve mediatica di Matteo Salvini. «Pretendiamo trasparenza nell’uso che la politica fa dei social network». Aggiungono: «Pretendiamo che il mondo dell’informazione protegga, difenda e si avvicini il più possibile alla verità». Ancora: «Pretendiamo che la violenza, in ogni sua forma, venga esclusa dai toni e dai contenuti della politica».
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Brexit, Sapelli: asse coi tedeschi, o la Francia ci stritolerà
Il terremoto Boris Johnson è arrivato e la sterlina è schizzata alle stelle. Questo conferma che gli oligopoli finanziari, quelli che fanno girare la giostra dei mercati, premiano soprattutto la stabilità politica. Se c’è, i mercati sono neutrali e molto più democratici della politica economica europea, che in qualche modo dipende dal peso politico degli Stati nazionali. E la sterlina alle stelle vuole anche dire che non si prevedono le massicce fughe di capitali che tutti hanno finora minacciato. L’Europa che deve ritrovare un equilibrio di potenza, come successe dopo il Congresso di Vienna quando gli inglesi, che avevano dovuto occuparsi dell’Europa perché Napoleone era stato sconfitto, decisero poi di disinteressarsene. E non mi pare siano successi grandi sconquassi, se non che il peso della Prussia divenne predominante. Il conflitto tra due nazioni che non possono non andare d’accordo, ossia Francia e Germania, si dispiegherà pienamente. E a farne per prima le spese, a meno che non si faccia una mossa audace (cioè un’alleanza economica e politica con la Germania) sarà l’Italia, perché l’Italia è tradizionalmente esposta sul Mediterraneo.Se nell’Ottocento era un mare franco-inglese e dopo la Seconda Guerra Mondiale è diventato un lago atlantico dominato dagli americani, oggi abbiamo una Russia prepotentemente in campo con l’appoggio della Turchia, che ha siglato un accordo con la Libia ispirato dai francesi, proprio con l’obiettivo di indebolire la presenza italiana. Quindi o l’Italia si allea in qualche modo con la Germania, che pure non abbandonerà certo i nemici francesi (con cui i tedeschi restano alleati, a partire dall’industria militare), o i francesi ci estrometteranno dal Mediterraneo. Anche perché i francesi sono molto spregiudicati: studiano ancora la “guerre economique”, hanno una diplomazia di rango e una classe dirigente di altissimo profilo. L’Europa è un impero senza Costituzione, dipende dalle Corti di giustizia, dai colpi di mano; però ha una formidabile tecnocrazia, un potere non eletto che può fare tutto quello che vuole. Conterà molto chi influenza questa tecnocrazia, dove i francesi sono molto presenti, così come gli spagnoli e altri paesi piccoli.Il Parlamento Europeo non fa le leggi: a cosa serve? Lo si vede anche nella questione, molto brutta, del Mes. E’ un trattato internazionale e non un accordo Ue: è stato concepito così, su influenza tedesco-francese, proprio perché non si fidano del Parlamento Europeo. Mentre l’Italia non ha peso nella burocrazia europea, e infatti negli ultimi 30 anni i nostri rappresentanti a Bruxelles sono stati veicolo degli interessi dominanti: Prodi dei francesi e Monti soprattutto dei tedeschi e contro gli Stati Uniti. L’Eurosummit ha accolto la richiesta dell’Italia di modificare, e non finalizzare, le conclusioni del negoziato. Se anche Conte, Gualtieri, Amendola e Sassoli, i quadrumviri della subordinazione, dicono che bisogna modificare il Mes, vuol dire che quelli che criticavano il Mes, come il governatore Visco e il presidente dell’Abi Patuelli, non erano poi così sprovveduti. Dalla Lagarde alla Bce non dobbiamo aspettarci niente: non sa neanche di cosa parla. È una donna raffinata, elegante, ma non credo che sia molto più preparata su questi temi di Di Maio: legge quello che le dicono i suoi suggeritori. L’importante è che siano suggerimenti buoni.E Francia e Germania sembra che stiano cambiando su un punto: bisogna abbandonare le politiche di austerità. Ecco perché spero che la Lagarde sia condizionata bene, anche dagli americani. Se non vogliamo, come nessuno di noi vuole, che l’Europa cada a pezzi e che l’euro fallisca (perché sarebbe una catastrofe immane), bisogna fare della Bce una vera banca centrale e mettere il Parlamento Europeo sopra tutto e non sotto a tutti. Superare le politiche di austerità sarebbe una virata molto auspicabile, per l’Italia, ma mi sorprende la trasformazione di Gualtieri: prima di diventare ministro ha condotto battaglie quasi solitarie, come contro il bail-in, senza fanatismi e con professionalità, mentre ora è diventato pro-austerity. A cosa può servire una politica italiana ancora molto litigiosa e rissosa? Questo non è il momento di dilaniarsi, è il momento in cui c’è bisogno di un’unione nazionale, perché l’Italia è sull’orlo del baratro, vedi i casi Ilva e Popolare di Bari.Le Pmi non ce la fanno a tenere in piedi tutto il corpaccione dell’Italia. Allora la classe politica deve capire che su alcuni punti – problemi europei, euro, politica industriale, occupazione, patto dei produttori – bisogna lavorare tutti assieme. Come in un conclave: finché non arriva la fumata bianca, si sta lì. Altrimenti, è la fine. La partita della Brexit? Ho sempre sostenuto che l’Inghilterra torna nel suo alveo naturale, che è quello di un potere transatlantico. È innaturale che sia entrata nell’Unione Europea. Infatti è successo solo nel 1976, spinta dal fatto che gli americani non potevano avere solo la Nato e la bomba atomica francese per contrastare l’Unione Sovietica, che allora aveva una superiorità nei missili a medio-raggio. Londra, che era nell’Efta, entra nella Comunità Europea per apportare il suo apparato atomico, come deterrente all’avanzata dell’Urss in Europa. La Brexit segna una sconfitta per gli inglesi? L’Inghilterra non perde niente. È più l’Europa che perde la Gran Bretagna.Va anche detto che l’Europa non ha mai capito gli inglesi. Basta vedere che cosa hanno fatto della “common law” o come hanno imbastardito le regole, creando dei mostri giuridici, della superiore civiltà giuridica anglosassone, fondata sulla libertà e non sull’autoritarismo di Stato come nell’Europa continentale. L’Europa è il pantano, Inghilterra e Stati Uniti sono il luogo del vento e degli uragani. Non a caso Trump ha già chiesto un “grande accordo commerciale”. La cosiddetta Anglosfera sarà l’avamposto dell’Occidente nella sfida con la Cina? È importante che Londra non si metta nelle mani di cinesi e sauditi. E la diplomazia americana, molto più evoluta e raffinata di Trump, si è subito messa in moto per un solido accordo commerciale. Primo, perché ha imparato a sue spese la follia degli inglesi quando nel 1997, rispettando un trattato che era stato firmato in condizioni del tutto diverse, hanno abbandonato Hong Kong. Secondo, perché con questo accordo si tirano dietro il Canada, l’Australia e alcuni paesi africani, Nigeria e Kenya in testa.(Giulio Sapelli, dichiarazioni rilasciate a Marco Biscella per l’intervista “Subito un patto con Berlino, o siamo spacciati”, pubblicata sul “Sussidiario” il 14 dicembre 2019).Il terremoto Boris Johnson è arrivato e la sterlina è schizzata alle stelle. Questo conferma che gli oligopoli finanziari, quelli che fanno girare la giostra dei mercati, premiano soprattutto la stabilità politica. Se c’è, i mercati sono neutrali e molto più democratici della politica economica europea, che in qualche modo dipende dal peso politico degli Stati nazionali. E la sterlina alle stelle vuole anche dire che non si prevedono le massicce fughe di capitali che tutti hanno finora minacciato. L’Europa che deve ritrovare un equilibrio di potenza, come successe dopo il Congresso di Vienna quando gli inglesi, che avevano dovuto occuparsi dell’Europa perché Napoleone era stato sconfitto, decisero poi di disinteressarsene. E non mi pare siano successi grandi sconquassi, se non che il peso della Prussia divenne predominante. Il conflitto tra due nazioni che non possono non andare d’accordo, ossia Francia e Germania, si dispiegherà pienamente. E a farne per prima le spese, a meno che non si faccia una mossa audace (cioè un’alleanza economica e politica con la Germania) sarà l’Italia, perché l’Italia è tradizionalmente esposta sul Mediterraneo.
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Un manuale di democrazia, contro l’odio politico quotidiano
Il Mes? Una tenzone tra «servi di Berlino» e «agenti di Putin». I migranti? Tutti da accogliere o tutti da rispedire in Libia. L’Ilva? Futuro parco giochi o eterna distilleria di veleni… Ma quanto sappiamo davvero del meccanismo europeo di stabilità? Chi conosce il tasso di criminalità e l’apporto alla previdenza sociale determinati dalla presenza degli stranieri in Italia? Qual è il livello di produzione e di occupazione entro il quale la grande acciaieria di Taranto è sostenibile? Bisognerebbe parlarne, magari senza strillare, in modo da ascoltare (anche) le ragioni degli altri: perché non è detto siano peggiori delle nostre. Lo scrive Goffredo Buccini sul “Corriere della Sera”, secondo cui – in questi tempi di reciproche scomuniche – sul comodino di ogni politico dovrebbe stare un libro, “Good economics for hard times” (buona economia per tempi duri, in uscita da Laterza). Una specie di “manuale di democrazia”, scritto dai coniugi Esther Duflo e Abhijit Banerjee, lei francese e lui indiano, entrambi docenti al Mit di Boston (e incidentalmente anche Premi Nobel per l’Economia). Il libro, avverte Buccini, affronta la decadenza della nostra vita pubblica. Meglio: l’eclissi di quell’elemento che di ogni democrazia è il sale, e cioè il dialogo.Il discorso pubblico, scrivono i due professori, è «sempre più polarizzato», tra sinistra e destra è sempre più «un match di insulti» con «pochissimo spazio per una marcia indietro». Non vi sembra di vedere scene da talk show nostrano? Non ritrovate la trincea dei famosi valori non negoziabili? «Se in Italia ci si picchia a Montecitorio sotto gli occhi delle scolaresche in visita – continua Buccini – in America il 61% dei democratici vede i repubblicani come razzisti, sessisti o bigotti e il 54% dei repubblicani chiama i democratici “maligni”. Un terzo degli americani sarebbe deluso se un membro stretto della famiglia sposasse un sostenitore dell’altro partito». Ciò che ci interessa, delle grandi questioni, è riaffermare «specifici valori personali» («Io sono a favore dell’immigrazione perché sono generoso», «Io sono contro l’immigrazione perché i migranti minacciano la nostra identità»). E per supporto, continua Buccini, ricorriamo a numeri fasulli e letture semplicistiche dei fatti. «La sinistra “illuminata” parla in termini “millenaristici” dell’ascesa mondiale della nuova destra, la quale ricambia i pregiudizi».I punti di vista sono «tribalizzati», non solo sulla politica ma anche sui problemi sociali: tutte questioni, annota Buccini, che richiederebbero qualcosa più di un tweet. Scrivono Duflo e Banerjee: «La democrazia può vivere con il dissenso finché c’è rispetto da entrambe le parti». Infatti, scrive il giornalista del “Corriere”, il virus discende aggressivo dai politici ai loro supporter. «Lo scrittore Gery Palazzotto ha di recente tracciato per “Il Foglio” una fenomenologia dell’hater nostrano, l’odiatore da social, riportando i verbali di interrogatorio di una nonna (nonna!) di 68 anni, appartenente alla pattuglia che vomitò oscenità web contro Sergio Mattarella quando il capo dello Stato, nel maggio 2018, fermò la nomina del professor Savona a ministro dell’economia». Se non ci fosse questa «forsennata tammurriata collettiva», scrive Buccini, «sarebbe assai improbabile che un dentista bergamasco (Roberto Calderoli) desse dell’orango a una dottoressa di origine congolese (Cécile Kyenge)». L’eccesso di intemperanza dei politici «ha un effetto esponenziale, produce legioni di odiatori che, specie in un paese segnato dall’analfabetismo funzionale quale è il nostro, odiano senza sapere bene perché».La risposta, dicono Duflo e Abhijit Banerjee nel loro libro, sta nello spacchettare il fenomeno, «scoprendo così che dentro, quasi sempre, non c’è nulla». Da scienziati sociali, i due Nobel avvertono: meglio che ciascuna parte capisca, prima di tutto, ciò che l’altra parte sta dicendo, e quindi «arrivi a qualche ragionato disaccordo, se non al consenso». Un’ottica, per tornare ai nostri casi, in cui – secondo Buccini – potrebbe stonare, una chiusura irridente alla pur inattesa proposta di dialogo di Matteo Salvini su un tavolo di “salvezza nazionale” per regole condivise. Quella del leghista «sarà anche tattica, per sfuggire a un certo isolamento». Per giunta «suonerà persino bizzarra, venendo da chi ieri si appellava alla Madonna di Medjugorje contro il premier Conte, e ancora oggi tiene due profeti dell’Italexit a capo delle commissioni economiche del Parlamento». Eppure, conclude Buccini, «sedersi a quel tavolo non sarebbe inutile», per esempio «se servisse solo a svelenire il clima, mostrando innanzitutto agli odiatori di ciascuna fazione che esiste una strada diversa».Il Mes? Una tenzone tra «servi di Berlino» e «agenti di Putin». I migranti? Tutti da accogliere o tutti da rispedire in Libia. L’Ilva? Futuro parco giochi o eterna distilleria di veleni… Ma quanto sappiamo davvero del meccanismo europeo di stabilità? Chi conosce il tasso di criminalità e l’apporto alla previdenza sociale determinati dalla presenza degli stranieri in Italia? Qual è il livello di produzione e di occupazione entro il quale la grande acciaieria di Taranto è sostenibile? Bisognerebbe parlarne, magari senza strillare, in modo da ascoltare (anche) le ragioni degli altri: perché non è detto siano peggiori delle nostre. Lo scrive Goffredo Buccini sul “Corriere della Sera“, secondo cui – in questi tempi di reciproche scomuniche – sul comodino di ogni politico dovrebbe stare un libro, “Good economics for hard times” (buona economia per tempi duri, in uscita da Laterza). Una specie di “manuale di democrazia”, scritto dai coniugi Esther Duflo e Abhijit Banerjee, lei francese e lui indiano, entrambi docenti al Mit di Boston (e incidentalmente anche Premi Nobel per l’Economia). Il libro, avverte Buccini, affronta la decadenza della nostra vita pubblica. Meglio: l’eclissi di quell’elemento che di ogni democrazia è il sale, e cioè il dialogo.
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Sardine, il galateo del nulla. Feltri: il loro show è già finito
Le Sardine non meritano antipatia e mi dispiace per la brutta fine che faranno. La loro morte è segnata. La frequentazione decennale degli antri della politica mi autorizza a fare la Cassandra della loro caduta in padella. Le friggeranno, povere Sardine. Se le spartiranno, magari con una fetta di limone e le patate lesse. Le si vede in queste ultime ore, corteggiate e adulate, in visita ad esempio da Lucia Annunziata e Lilli Gruber. Credendo di visitare le loro rispettabili nonne partigiane e post-comuniste, ci pare di sentirle dire: «Ma che bocca grande che hai». Gnam. Nei loro esordi le Sardine hanno avuto la leggerezza delle favole. Dotati di squame e di pinne come la celebre Sirenetta di Andersen e di Walt Disney, ma anche di belle facce e bei capelli, i loro capi si sono esibiti guizzanti, e hanno incantato le anime belle, cui sono apparsi come pesciolini un po’ volanti sulle nuvole del sogno. Sardine Peter Pan. Avannotti nati nelle vasche del nulla, senza padri né madri, tutti le volevano adottare. Così parevano avere un destino di maturità durevole: diversa dai girotondini, dai movimenti dei viola e degli arancioni. Nessuna grevità di tratto, all’inizio facce pulite e ignote.Ragazzi antisalviniani sì, ma moderatamente, e solo perché Matteo fa troppi tweet: si calmasse, e magari ci si sarebbe potuti accompagnare anche con lui (figuriamoci). Sì, sardine un po’ di sinistra, ma si sa come sono i ragazzi, e però senza la zavorra della falce e del martello a tirarli giù nel fondo limaccioso della vecchia politica. Con queste loro costumanze vezzose, i cartelli pitturati da bambini delle elementari, a colori pastello, hanno sedotto persino qualcuno a destra, speranzoso che la nascente popolarità di un movimento strappasse le penne e tagliasse le unghie alla Lega, mettendola fuori moda. C’è voluto meno di un mese perché questo fascino presso l’opinione pubblica poco o niente militante finisse a ramengo, proprio mentre è cresciuto a vista d’occhio l’appetito dei pescecani rossi e gialli affamati di consensi perduti, bisognosi di ingurgitare il pesce azzurro. Gnam.In origine, almeno il primo giorno, le Sardine non parevano destinate a questa sorte. Non si sa se per malizia o per convinzione avevano evitato anche di cantare “Bella ciao”. Vedendo in effigie e ascoltando in tivù i quattro inventori bolognesi di questi raduni, ho apprezzato in loro l’attitudine a usare lo shampoo e i congiuntivi. Non erano antipatici. Il problema – sin dalle loro prime trionfali apparizioni – era che non si capiva se ci fosse qualcosa nella profondità dei loro ricami verbali sulla gentilezza, la sincerità, eccetera. Non dico idee, non esageriamo, ma uno spunto di originalità, un attaccamento alle questioni pratiche, e una proposta di soluzione. Ilva, Alitalia, tasse, migrazioni. Possibile che gli stesse bene tutto, ma proprio tutto del governo, e la sola protesta fosse diretta a chi non governava né Bologna, né l’Emilia-Romagna e tanto meno l’Italia? Ma sì: aria fritta di sinistra, tale quale il loro destino. In tanti anziani militanti, bisognosi di rigenerare le loro illusioni perdute di sessantottini, l’ultimo è stato ieri Gad Lerner, si ostinano a vedere in costoro la palingenesi della sinistra, la rigenerazione dalle ceneri della fenice morta.Non andrà così. La faccenda è diventata chiara dopo che le 160 sardine gallonate si sono chiuse nel palazzo occupato e hanno cavato dalle loro zucche cinque punticini innocui di galateo del nulla, e un solo punto politico: no ai decreti sulla sicurezza. Proprio quel no che è stato la dannazione della sinistra, e la causa del suo sprofondamento. Una ricetta di sicure sconfitte condivisa da ciascuna delle varie correnti del Pd e dei Cinque Stelle, nonché da Italia Viva, +Europa, Calenda, Verdi. Tutti. Dall’ala antisalviniana di Forza Italia fino ai filo palestinesi arabi sono pronti a contendersi i singoli capi acciughe per metterli alla testa di qualche sciagurata lista civica per le regionali e con l’intento di fagocitarli facendoli parlare a qualche congresso, infilandoli nel loro acquario. Finiranno nel loro menù. Sardine fritte. E pure pesanti da digerire.(Vittorio Feltri, “Il futuro di Mattia Santori e Sardine: non meritano antipatia, ma la loro morte”, da “Libero” del 17 dicembre 2019).Le Sardine non meritano antipatia e mi dispiace per la brutta fine che faranno. La loro morte è segnata. La frequentazione decennale degli antri della politica mi autorizza a fare la Cassandra della loro caduta in padella. Le friggeranno, povere Sardine. Se le spartiranno, magari con una fetta di limone e le patate lesse. Le si vede in queste ultime ore, corteggiate e adulate, in visita ad esempio da Lucia Annunziata e Lilli Gruber. Credendo di visitare le loro rispettabili nonne partigiane e post-comuniste, ci pare di sentirle dire: «Ma che bocca grande che hai». Gnam. Nei loro esordi le Sardine hanno avuto la leggerezza delle favole. Dotati di squame e di pinne come la celebre Sirenetta di Andersen e di Walt Disney, ma anche di belle facce e bei capelli, i loro capi si sono esibiti guizzanti, e hanno incantato le anime belle, cui sono apparsi come pesciolini un po’ volanti sulle nuvole del sogno. Sardine Peter Pan. Avannotti nati nelle vasche del nulla, senza padri né madri, tutti le volevano adottare. Così parevano avere un destino di maturità durevole: diversa dai girotondini, dai movimenti dei viola e degli arancioni. Nessuna grevità di tratto, all’inizio facce pulite e ignote.
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Da Rold: solo rigore e diktat, è stata l’Ue a creare la Brexit
«Nebbia sulla Manica? Il continente è isolato». Gianlugi Da Rold cita la regina Vittoria per tratteggiare l’atteggiamento verso l’Europa mostrato storicamente dal Regno Unito, «la più radicata monarchia costituzionale e la più antica democrazia liberale del mondo, dove si vota con lo stesso metodo da quasi 300 anni». Sempre stata diffidente, Londra, prima «verso i francesi usciti dal giacobinismo e dal periodo di Napoleone», e poi «verso i tedeschi, anche per via di due guerre mondiali combattute spesso in modo isolato e in prima linea». Per Da Rold, già invitato del “Corriere della Sera” e poi direttore de “L’Indipendente”, l’euroscetticismo britannico è un retroterra culturale antico: l’idea dell’unità europea non ha mai veramente affascinato gli inglesi. «Non a caso le immagini più significative, prima della Comunità del carbone e dell’acciaio (la Ceca), fino ai Patti di Roma del 1957, e ancora fino a Maastricht e alla nascita dell’Unione Europea, con l’euro mai adottato nel Regno Unito, non hanno alcun inglese come autentico protagonista». Sfilarono tedeschi come Adenauer, italiani come De Gasperi, francesi come Robert Schuman. Più tardi, «uomini come Mitterrand e Kohl attraversano gli antichi campi di battaglia e i cimiteri di guerra stringendosi la mano». Gli inglesi? Sempre in seconda fila, o all’opposizione.Nel 1985, a Milano, insieme a Mitterrand e Kohl fu Craxi a mette in minoranza «una proposta, sul futuro piuttosto vago dell’Unione Europea, di Margaret Thatcher». Tutto questo, osserva Da Rold, spiega i retroscena delle difficoltà nei rapporti tra Unione Europea e Regno Unito. E spiega in parte il clamoroso successo di un personaggio come Boris Johnson, che ha appena umiliato il Labour di Jeremy Corbyn e messo in un angolo nazionalisti scozzesi e liberal-democratici, sanzionando il via libero definitivo alla Brexit, all’uscita della Gran Bretagna dall’Ue. Estrema mobilità politica: alla “pelosa morale” della regina Vittoria, scrive Da Rold, si opponeva il famoso Circolo di Bloomsbury, con personaggi formidabili come le sorelle Woolf, John Maynard Keynes, lo scrittore Litton Strachey. Senza contare «grandi ribelli solitari come Oscar Wilde». Nell’ultimo dopoguerra, quando il debito inglese ammontava al 200%, «il laburista gallese Aneurin Bevan non ci pensò un attimo a varare il servizio sanitario nazionale (cure dentarie incluse)», secondo la lezione di William Beveridge, che nel 1942 gettò le basi per il super-progressista welfare inglese sotto il governo del conservatore Winston Churchill. Non lo sapevano, i “giornaloni”, che la Gran Bretagna è capace di tutto? Per loro, «la Brexit è colpa solo di un popolo che non capisce».I media, aggiunge Da Rold, avrebbero dovuto ricordare che, quando la costituzione dell’Unione Europea entrò nella fase cruciale degli anni Novanta, ancora un grande storico anglo-americano, Robert Conquest, metteva sull’avviso gli inglesi dal cadere «nelle braccia» della burocrazia e tecnocrazia poco politica di Bruxelles, «dominata soprattutto da un asse franco-tedesco fastidioso e irritante per la tradizione politico-democratica inglese». Conquest, scrive Da Rold, contrapponeva a questa idea di Europa addirittura un’alleanza transatlantica che si allargava anche agli Stati del Pacifico di origine anglosassone. Storia: «Alla fine prevalse, dopo il fallimento del comunismo e la caduta del Muro di Berlino, l’idea di un’Europa unita e protagonista nel mondo». Buona idea, ma «mal gestita». È in quel momento che, sia da parte britannica ma anche da parte franco-tedesca – dice Da Rold – si sarebbero dovute superare le antiche diffidenze per trovare un terreno di comune collaborazione. Invece, ci sono stati quasi solo incidenti: prima la crisi finanziaria del 2008 (con l’Europa ingessata dall’euro) e poi il collasso della Grecia nel 2013 «hanno ricreato profonde diffidenze nel Regno Unito».È per questa ragione, continua l’analista, che nel 2015 venne rieletto a larga maggioranza David Cameron, leader conservatore che voleva ridiscutere il ruolo della Commissione Ue, contestando Jean-Claude Juncker. Fu Cameron a volere un mandato forte, e quindi il referendum, pur schierandosi per la permanenza del Regno Unito in Europa. Il resto è cronaca: i britannici rispsero con una bocciatura e la scelta di uscire dall’Ue. «Imprudente, Cameron? Probabilmente, ma anche comprensibile». E in ogni caso: assai più democratico dei vari “soloni” europeisti di Bruxelles, «noti da anni per l’austerità, la deflazione, la crescita asfittica e le contestazioni a cui sono sottoposti dai nuovi nazionalisti, oltre che da assetti geopolitici che altre grandi potenze cercano di definire, tagliando fuori proprio l’Europa». Prima sgomenti dopo il referendum perso da Cameron, i burocrati di Bruxelles hanno alzano la posta «con una serie di dichiarazioni anti-britanniche, spalleggiate da una stampa para-comica, soprattutto in Italia». Per il Regno Unito si sarebbe avvicinata una crisi devastante, una specie di Armageddon: una canzoncina intonata per tre anni.Mentre ci sono paesi europei in grande difficoltà – osserva invece Da Rold – la Gran Bretagna ha una sterlina che prima perde valore, favorendo però le esportazioni, poi cresce meno ma cresce e soprattutto mantiene una disoccupazione al 3%. «Per ora l’Armageddon non è arrivato, le profezie oscure dell’asse franco-tedesco non si sono avverate, mentre “frau Merkel” continua a perdere consensi a ogni elezione. E Emmanuel Macron, l’uomo nuovo della supposta “nuova grandeur”, non riesce in questi giorni neppure a uscire di casa per il blocco dei trasporti in Francia, in seguito alla riforma delle pensioni». Perché stupirsi, a questo punto, della valanga anti-europeista a favore di Boris Johnson? Il leader conervatore, latinista e storico, ha scritto “Il sogno di Roma”: come altri storici inglesi, sull’esempio dell’imperatore Augusto, considera che «i veri confini della civiltà» arrivano al Reno, mentre «all’Elba è meglio non arrivare». Opinioni ovviamente azzardate, chiosa Da Rold, per il tempo che viviamo: «Ma qualche autocritica, dalle rive dell’Elba e da Bruxelles, dovrebbe essere finalmente fatta. Sul serio, senza prese in giro di vario tipo, altrimenti la povera Europa affonda veramente».«Nebbia sulla Manica? Il continente è isolato». Gianlugi Da Rold cita la regina Vittoria per tratteggiare l’atteggiamento verso l’Europa mostrato storicamente dal Regno Unito, «la più radicata monarchia costituzionale e la più antica democrazia liberale del mondo, dove si vota con lo stesso metodo da quasi 300 anni». Sempre stata diffidente, Londra, prima «verso i francesi usciti dal giacobinismo e dal periodo di Napoleone», e poi «verso i tedeschi, anche per via di due guerre mondiali combattute spesso in modo isolato e in prima linea». Per Da Rold, già invitato del “Corriere della Sera” e poi direttore de “L’Indipendente”, l’euroscetticismo britannico è un retroterra culturale antico: l’idea dell’unità europea non ha mai veramente affascinato gli inglesi. «Non a caso le immagini più significative, prima della Comunità del carbone e dell’acciaio (la Ceca), fino ai Patti di Roma del 1957, e ancora fino a Maastricht e alla nascita dell’Unione Europea, con l’euro mai adottato nel Regno Unito, non hanno alcun inglese come autentico protagonista». Sfilarono tedeschi come Adenauer, italiani come De Gasperi, francesi come Robert Schuman. Più tardi, «uomini come Mitterrand e Kohl attraversano gli antichi campi di battaglia e i cimiteri di guerra stringendosi la mano». Gli inglesi? Sempre in seconda fila, o all’opposizione.