Archivio della Categoria: ‘idee’
-
Giannuli: criticano i forconi ma tacciono sull’infame Ue
Chi ha paura dei “forconi” e dell’estrema destra che tenta di cavalcarli? «Diciamocelo, il Nemico (quello con la N maiuscola) non è Forza Nuova ma l’asse Bce-Berlino. E in Italia i nomi sono quelli di Letta, Monti, Napolitano». Di fatto, scrive Aldo Giannuli, la sinistra residua, incluso «quel che resta di Rifondazione, Pdci, Sel, antagonisti vari e simili», si sta letteralmente suicidando, «perché non ha il coraggio di scegliere la barricata anti-Ue». Non prendere posizione in modo chiaro sul principale terreno di scontro «significa finire ai margini dello scontro politico». La rivolta non è quella che gli elettori di sinistra si sarebbero aspettati? Normale: «La crisi sta precipitando e iniziano a manifestarsi i primi movimenti di protesta “fuori controllo”». Ma chi accusa i manifestanti di essere “fascistoidi” come può pensare di avere le carte in regola, se non ha fatto che voltare le spalle al paese per obbedire a Bruxelles?Certo, non ci sono bandiere rosse nelle piazze dei “forconi”. Niente studenti e lavoratori precari, «niente sofisticati “lavoratori immateriali” ma contadini, camionisti, impiegati licenziati e piccoli imprenditori rovinati: tutta gente che fa lavori materialissimi e per niente post moderni». Nessuna egemonia di sinistra, stavolta, «ma solo una rivolta populista rabbiosa quanto antipolitica, esasperata e di basso profilo culturale». Questo fenomeno, continua Giannuli, non è “il popolo”, come pensa Grillo, e non ha i numeri di un movimento di massa: «Non stiamo parlando di centinaia di migliaia di persone, ma al più di qualche decina di migliaia, però attenzione a non sottovalutarlo. A mio avviso, non siamo di fronte alla vera fiammata, ma solo al suo esordio: questo è lo starnuto che annuncia l’influenza e, forse, la polmonite». Impazzano le dietrologie: è un movimento fascista? C’è dietro la mafia o un Berlusconi furibondo che gioca allo sfascio? E’ il prodotto dell’aizzamento di Grillo?«Magari può far comodo pensarlo per far quadrare un po’ i conti, ma non si capisce niente di questo movimento se non si parte da un fatto: c’è una tale esasperazione sociale per gli effetti delle sciagurate politiche di austerità di Monti e di Letta (e di cui il Pd è il massimo responsabile) che il primo che inalbera un cartello con scritto “morte ai politici” si tira dietro un corteo», scrive Giannuli nel suo blog. «Questo movimento non è stato “inventato” da nessuno, è cresciuto spontaneamente». Ciò non toglie che ci siano “sovrapposizioni” come quelle di Forza Nuova, o che il Cavaliere «ci stia generosamente inzuppando il pane». E’ saggio mettere in conto «una nuova e più intensa fiammata», magari in vista delle elezioni europee, che saranno «un referendum pro o contro l’euro e la Ue». La piazza? Chiede proprio questo: di farla finita con la Bce e con lo strapotere rovinoso di Bruxelles. «Dunque, è il momento di essere chiari», sottolinea Giannuli. «Personalmente non esito a dire che io starò dalla parte “antieuropea”, voterò e sosterrò chi chiederà la fine dell’euro».Sottinteso: «Non è dell’Europa dei diritti e della solidarietà che stiamo parlando», un’Europa che peraltro «non so se sarà mai realizzata», continua Giannuli. «Ma so per certo che non potrà esserlo sino a quando ci sarà questa Europa di banchieri e tecnocrati. Così come non sono affatto convinto che il pericolo principale in questo momento sia quello si una ripetizione in tutta Europa dei casi di Grecia e Ungheria». In Europa occidentale, la nuova destra può avere successo se si presenta «in abiti più stinti e tranquillizzanti» come quelli del Front National di Marine Le Pen, ma l’ondata dei cosiddetti “euroscettici” andrà semmai a beneficio di gruppi come Afd (Alternativa per la Germania), Veri Finlandesi, gli anti-euro inglesi dell’Ukip capitanato da Nigel Farage, fino al M5S. Gruppi che «non mi pare possano essere definiti in alcun modo partiti fascisti». Mentre c’è anche una sinistra (soprattutto in Grecia, Portogallo e forse Spagna) che «sta trovando il coraggio di dirsi antieuropea (se per antieuropea si intende questa Europa dei finanzieri e non un qualsiasi ideale europeista)». A tacere – salvo poi lamentarsi dei “forconi” – è invece la sinistra italiana.Chi ha paura dei “forconi” e dell’estrema destra che tenta di cavalcarli? «Diciamocelo, il Nemico (quello con la N maiuscola) non è Forza Nuova ma l’asse Bce-Berlino. E in Italia i nomi sono quelli di Letta, Monti, Napolitano». Di fatto, scrive Aldo Giannuli, la sinistra residua, incluso «quel che resta di Rifondazione, Pdci, Sel, antagonisti vari e simili», si sta letteralmente suicidando, «perché non ha il coraggio di scegliere la barricata anti-Ue». Non prendere posizione in modo chiaro sul principale terreno di scontro «significa finire ai margini dello scontro politico». La rivolta non è quella che gli elettori di sinistra si sarebbero aspettati? Normale: «La crisi sta precipitando e iniziano a manifestarsi i primi movimenti di protesta “fuori controllo”». Ma chi accusa i manifestanti di essere “fascistoidi” come può pensare di avere le carte in regola, se non ha fatto che voltare le spalle al paese per obbedire a Bruxelles?
-
Mdf: cari forconi, la rivoluzione parte dai consumi
Cari concittadini (lavoratori, studenti, pensionati, disoccupati…) giustamente stufi e al limite della sopportazione, condividendo la preoccupazione di chi è sceso in piazza ed evitando considerazioni personali sul colore delle manifestazioni (fermo restando il rifiuto della violenza, aspetto che vogliamo ribadire), vorremmo solo condividere alcune riflessioni con voi. Siamo pienamente in sintonia con le motivazioni alla base della protesta (corruzione e sbando della classe politica, globalizzazione, finanza e mercato selvaggi e senza limiti che strangolano il piccolo commercio locale, etc); riteniamo, tuttavia, che un’alternativa migliore debba partire da noi e che il cambiamento di questo sistema economico deve essere attuato con azioni concrete.Con il massimo rispetto e pienamente consci della diversità delle situazioni che ognuno sta vivendo e dei drammi personali, vogliamo porre – anche in maniera provocatoria – alcune domande. Perché il punto fondamentale è chiedersi quale futuro (e quale modello di società) auspichiamo. Commercianti, artigiani, piccoli imprenditori, è evidente quanto la crisi che stiamo vivendo si sia abbattuta su di voi con violenza; ma vi chiediamo, quando chiudete il vostro negozio la sera, dove andate a comprare il pasto duramente sudato? All’ipermercato o in un piccolo negozio a km0 o magari da un gruppo di acquisto solidale che si rifornisce da piccoli contadini? Sapete che buona parte delle arance e dei pomodori che trovate nei supermercati sono raccolte da persone in condizioni di schiavitù, vendute ad un prezzo ridicolo dal produttore alla grande distribuzione che poi le rivende negli ipermercati vicino a casa?Cittadini e lavoratori, anche noi, seppure sosteniamo la riduzione della giornata lavorativa (“lavorare meno, lavorare tutti”), l’autoproduzione e la riduzione dei consumi, abbiamo bisogno di andare a lavorare, ci scontriamo con la precarietà e abbiamo il timore che i soldi che ci vengono versati in contributi non li vedremo mai; ma quando chiamiamo un elettricista o andiamo dal barbiere, chiediamo la ricevuta fiscale? Abbiamo il coraggio di spendere 20 euro in più o di rinunciare a qualche consumo – magari superfluo – scegliendo di pagare “il giusto” e premiare chi paga le tasse e contribuisce a sostenere le scuole, gli ospedali e il nostro sistema previdenziale? Scegliamo di orientare i nostri consumi verso chi paga le persone rispettando i diritti? Se scopriamo che il pub dove andiamo regolarmente paga i suoi baristi in nero, siamo disposti a cambiare per andare in un posto dove magari la birra costa 0,50€ in più ma dove la legalità è di casa? E se quei 50 centesimi in più fossero un problema sareste disposti a far massa critica con altre persone e chiedere insieme un prezzo più basso e/o competitivo?!Non cadiamo nel qualunquismo del “tutti rubano, tutti se ne fregano…”. Alzi la mano chi è disposto a comprare dell’olio da un gruppo di acquisto solidale pagandolo 3-4 euro in più al litro, invece di quello della grande distribuzione che, seppure prodotto in Italia, è ottenuto da olive che vengono da fuori l’Europa, mentre i nostri contadini sono allo stremo! A tutti coloro che ritengono come noi che la finanza sta distruggendo l’economia reale e le banche siano istituzioni corrotte e spesso immorali chiediamo: dove avete posto i vostri risparmi? Avete pensato di investirli nell’economia reale, nelle banche etiche o in mille altri luoghi dove non saranno oggetto di speculazione? Certo, non avremo il 3-4% di interesse come promettono (e probabilmente mantengono) alcune banche on-line… vi siete chiesti cosa se ne fanno dei vostri soldi?Anche noi, che nella vita di tutti giorni siamo presi dalle nostre difficoltà, speranze e mille impegni, vorremmo che la politica desse risposte ai nostri problemi. Ci piacerebbe vedere nei programmi politici come punti fondamentali diritti, ambiente, lotte alle speculazioni, alle mafie e tutti coloro che impediscono alle persone di poter realizzare il diritto a vivere senza patimenti e liberi di poter perseguire la propria felicità. Dopodiché, se questo non accade, dobbiamo imparare dalla frase di Gandhi “sii il cambiamento che vuoi vedere nel mondo”. Le cose possiamo cambiarle anche noi dal basso e subito senza chiedere niente a nessuno (senza per questo rinunciare al nostro diritto di manifestare e urlare la nostra rabbia se necessario). Domani forse inizia un altro giorno di proteste. Ma possiamo anche provare a informarci di più, cambiare le nostre abitudini e costruire un nuovo futuro a partire da noi stessi e dalle nostre scelte. Ora!(“Sii il cambiamento che vuoi vedere nel mondo! Una nostra riflessione sulle recenti manifestazioni di protesta”, lettera-appello a cura del Circolo Mdf di Torino, pubblicata dal sito del Movimento per la Decrescita Felice il 12 dicembre 2013).Cari concittadini (lavoratori, studenti, pensionati, disoccupati…) giustamente stufi e al limite della sopportazione, condividendo la preoccupazione di chi è sceso in piazza ed evitando considerazioni personali sul colore delle manifestazioni (fermo restando il rifiuto della violenza, aspetto che vogliamo ribadire), vorremmo solo condividere alcune riflessioni con voi. Siamo pienamente in sintonia con le motivazioni alla base della protesta (corruzione e sbando della classe politica, globalizzazione, finanza e mercato selvaggi e senza limiti che strangolano il piccolo commercio locale, etc); riteniamo, tuttavia, che un’alternativa migliore debba partire da noi e che il cambiamento di questo sistema economico deve essere attuato con azioni concrete.
-
Bruxelles produce odio, cresce il rischio di una guerra
Ciò che sta accadendo in Italia va letto nel contesto della deflagrazione dell’Unione Europea, provocata dall’aggressione finanzista guidata dalla Banca centrale europea e dal governo tedesco. Da Maastricht in poi, il ceto finanzista globale ha deciso di cancellare in Europa le tracce della forza operaia del passato, la democrazia, la garanzia salariale, la spesa sociale. In nome del fanatismo liberista ha finito per sradicare le radici del consenso su cui si fondava l’Unione Europea. L’effetto, però, non è solo il dimezzamento del monte salari dei lavoratori europei, la distruzione della scuola e della sanità pubblica, l’abolizione del limite dell’orario di lavoro, la precarizzazione generalizzata. E’ anche la guerra. Era prevedibile, era previsto, ora comincia ad accadere.La disgregazione finale dell’Unione europea possiamo leggerla sulla carta geografica. Cominciamo da est. L’insurrezione ucraina è prova di come sia mutata la natura d’Europa. Nata come progetto di pace tra tedeschi e francesi, e quindi di pace in tutto il continente, l’Unione è oggi divenuta l’esatto contrario. Gli europeisti ucraini usano l’europeismo come arma puntata contro l’imperialismo russo, e risvegliano fantasmi del nazismo. L’ingresso in Europa è visto come una promessa di guerra, e la precipitazione del conflitto in Ucraina non potrà che avere conseguenze spaventose per l’Europa intera. Bruxelles reagirà aprendo un confronto con la Russia di Putin, oppure lascerà che la Russia di Putin soffochi una rivolta che è nata nel nome dell’Europa?Spostiamoci a ovest. Il Parlamento catalano ha indetto il referendum indipendentista per l’autunno del 2014. I franchisti del governo madrileno hanno risposto che il referendum non si farà mai. Nel frattempo, in Francia i sondaggi prevedono che il Front National diverrà partito di maggioranza alle prossime elezioni. A quel punto il patto franco-tedesco su cui si fonda l’Unione sarà cancellato nella coscienza della maggioranza dei francesi, e la balcanizzazione del continente precipiterà. Questa dinamica mi pare il contesto in cui leggere le convulsioni agoniche della penisola italiana. Il governo Letta Alfano Napolitano, filiale del partito distruttori d’Europa, è in camera di rianimazione. Può durare o crollare poco importa: non è in grado di mantenere nessuna promessa, neppure quelle fatte ai suoi padroni di Francoforte.Il movimento dei forconi è tracimare del nervosismo sociale. Nel 2011 il movimento anticapitalista tentò di fermare l’aggressione finanzista, ma non ebbe la forza per mettere in moto una sollevazione solidale. La precarizzazione ha sgretolato la solidarietà tra lavoratori, e il movimento si risolse in una protesta che il ceto politico-finanziario, per criminale interesse e per imbecillità conformista, rifiutò perfino di ascoltare. Ma la sollevazione non si ferma, perché ha i caratteri tellurici di una disgregazione della base stessa del consenso sociale. E’ una sollevazione priva di interna coerenza, priva di strategia progressiva. Ci sono dentro elementi di nazionalismo, di razzismo, di egoismo piccolo-proprietario, ma anche elementi di ribellione operaia, di democrazia diretta e rabbia libertaria. Non è importante la sua confusa coscienza, le contrastanti ideologie e i contrastanti interessi che la mobilitano. Conta il fatto che il suo collante obbiettivo è l’odio contro l’Europa. Questo odio non può che essere portatore di disgrazie.(Franco “Bifo” Berardi, “I forconi e la deflagrazione dell’Europa”, da “Micromega” del 13 dicembre 2013).Ciò che sta accadendo in Italia va letto nel contesto della deflagrazione dell’Unione Europea, provocata dall’aggressione finanzista guidata dalla Banca centrale europea e dal governo tedesco. Da Maastricht in poi, il ceto finanzista globale ha deciso di cancellare in Europa le tracce della forza operaia del passato, la democrazia, la garanzia salariale, la spesa sociale. In nome del fanatismo liberista ha finito per sradicare le radici del consenso su cui si fondava l’Unione Europea. L’effetto, però, non è solo il dimezzamento del monte salari dei lavoratori europei, la distruzione della scuola e della sanità pubblica, l’abolizione del limite dell’orario di lavoro, la precarizzazione generalizzata. E’ anche la guerra. Era prevedibile, era previsto, ora comincia ad accadere.
-
Traditi dal sistema: ma questa è rabbia, non rivoluzione
I forconi, il vuoto e la rivoluzione. La protesta sale? Buon segno: vuol dire che «molti italiani cominciano a capire che devono difendersi», dice Giulietto Chiesa, che però aggiunge: «Molti parlano di rivoluzione, senza sapere cos’è una rivoluzione: e questo non è bene, perché poi subentra la delusione». Quella dei “forconi”? «Per ora è solo protesta: senza una guida, senza obiettivi ben definiti». Verranno «inesorabilmente» momenti successivi, che richiederanno «obiettivi comuni ben meditati». Non mancano «furbi e mestatori che già stanno pensando di usare la protesta e di stravolgerla ai loro fini e nei loro interessi»? Ovvio, perché «in politica il vuoto non esiste: qualcuno cerca sempre di riempirlo. Tutto dipende da chi ci riesce». Concorda Marco Bersani, di Attac, sempre su “Megachip”: queste istanze di ribellione sono facilmente pilotabili, proprio perché «non portano con sé alcuna intuizione di futuro diverso, ma solo la drammatica rabbia per l’insopportabilità del presente».Mentre i movimenti per i beni comuni «hanno da tempo interiorizzato il conflitto di sistema, ovvero vogliono cambiare la società e lo fanno a partire da un conflitto tematico come paradigma (acqua, grandi opere etc.)», la ribellione di questi giorni «è portata avanti dai delusi dal sistema, ovvero da coloro che hanno profondamente creduto che il modello neoliberale li avrebbe tutelati e che oggi si ritrovano la rabbia dell’essere stati abbandonati, senza l’idea che sia possibile un altro modello sociale». Detto questo, per Bersani è obbligatorio cercare di parlare al “popolo” sceso in piazza, «sia perché molti di loro sono accompagnati da una condizione sociale di vera disperazione, sia perché nell’acuirsi del binomio crisi sociale/crisi della democrazia è evidente che le esplosioni di rabbia non possano presentarsi come lineari e compiute», bensì come «moti tanto drastici quanto confusi».Per Bersani, il carattere della protesta dimostra «l’assenza di un vero pensiero rivoluzionario nella società», e ancora una volta «rischiano di gongolare i poteri finanziari: nessuna banca è stata assaltata, nessun obiettivo finanziario è stato messo in campo e si paventa la “marcia su Roma”, non su Piazza Affari». Che fare, dunque? Innanzitutto, serve «una coalizione sociale ampia fra i movimenti per i beni comuni e i diritti». Alleanza oggi ancor più necessaria, «sia perché le singole lotte hanno bisogno di una forza maggiore, sia perché pezzi di società che non reggono più (è successo in questi giorni, ma aspettiamocene altre in forme e modi che non comprendiamo) devono potersi sintonizzare con un percorso di conflitto in atto, ma che abbia il respiro largo e sappia suggerire che all’insopportabilità del presente c’è una possibile risposta collettiva».I forconi, il vuoto e la rivoluzione. La protesta sale? Buon segno: vuol dire che «molti italiani cominciano a capire che devono difendersi», dice Giulietto Chiesa, che però aggiunge: «Molti parlano di rivoluzione, senza sapere cos’è una rivoluzione: e questo non è bene, perché poi subentra la delusione». Quella dei “forconi”? «Per ora è solo protesta: senza una guida, senza obiettivi ben definiti». Verranno «inesorabilmente» momenti successivi, che richiederanno «obiettivi comuni ben meditati». Non mancano «furbi e mestatori che già stanno pensando di usare la protesta e di stravolgerla ai loro fini e nei loro interessi»? Ovvio, perché «in politica il vuoto non esiste: qualcuno cerca sempre di riempirlo. Tutto dipende da chi ci riesce». Concorda Marco Bersani, di Attac, sempre su “Megachip”: queste istanze di ribellione sono facilmente pilotabili, proprio perché «non portano con sé alcuna intuizione di futuro diverso, ma solo la drammatica rabbia per l’insopportabilità del presente».
-
Perché l’Ue ti frega (spiegato al signor Marco, idraulico)
Marco, non è solo una questione di gruppi di speculatori e di ideologi che hanno creato un sistema, l’Eurozona, per succhiarti il sangue da Bruxelles. Non è solo il fatto che hanno scritto Trattati che annullano quel poco di potere del Parlamento italiano e del governo di aiutarti con la spesa pubblica. Non è solo che hanno scritto sul marmo dell’Europa delle Austerità imposte all’Italia che tu devi essere tassato a morte per venirti a succhiare ancora più sangue. Non è solo che non esiste un singolo politico italiano che ci capisca qualcosa e che possa difenderti (Grillo meno di tutti, stai in occhio!). E’ anche che in quelle stanze dove tutte le decisioni che fottono la tua vita, la tua azienda, i tuoi fornitori-creditori, i tuoi debiti e i 42 anni di lavoro che hai alle spalle sono piene di… Marco, non ti prendo in giro… sono piene di marziani in giacca e cravatta senza la più pallida idea di cosa significhi essere una persona umana. Una persona che vive in una casa e che alle 6,30 del mattino di tutti i giorni si alza per salire sul furgone con la borsa degli attrezzi. O cosa significhi lavorare. E questi decidono per te.Oggi un grande giornale finanziario americano ci informa che in quelle stanze – dove tutte le decisioni che fottono la tua vita, la tua azienda, i tuoi fornitori-creditori, i tuoi debiti e i 42 anni di lavoro che hai alle spalle vengono prese – un tizio di nome Benoit Coeuré della Banca Centrale Europea ha detto: «Il nostro compito ora è difendere i nostri successi finora ottenuti». Poi un altro alieno di nome Guntram Wolff, che dirige una super lobby chiamata Bruegel, ha detto: «I governi nazionali hanno combattuto a lungo per la loro sovranità, e giustamente la difendono». I successi finora ottenuti… La sovranità dei governi nazionali… Marco, ti sembra un successo l’euro? Quando avevi 32 anni e lavoravi per l’idraulica dei nascenti Lidi Ferraresi, e con quel lavoro hai creato 34 posti di lavoro per almeno trent’anni che hanno mantenuto 34 famiglie per trent’anni e hai sistemato le tue tre figlie, tu, Marco, stavi come oggi?Marco, il governo di allora – quando per i primi 5 anni avevi un credito bancario quasi senza interessi e poi al massimo ti caricavano un 4% con tutta tranquillità, e quando il Tesoro a Roma decideva LIBERAMENTE di darti il 12% d’interessi sui Bot per arricchirti – ti sembra libero come quello di oggi? Ma Marco, sai chi sono ‘sti due alieni di Bruxelles, i signori Benoit Coeuré e Guntram Wolff? Sono gli uomini che oggi ti comandano, comandano il tuo ‘governo’, e che ti fottono 42 anni di lavoro. Marco, PRENDIMI SUL SERIO. Marco, noi della Me-Mmt siamo qui per spiegarti tutto questo, per aiutarti, e per darti i mezzi di difenderti. La guardi “La Gabbia” su La7 il mercoledì sera?(Paolo Barnard, “Perché la Ue ti fotte, spiegato al sig. Marco dell’Idraulica Ferrini e soci”, dal blog di Barnard del 7 dicembre 2013).Marco, non è solo una questione di gruppi di speculatori e di ideologi che hanno creato un sistema, l’Eurozona, per succhiarti il sangue da Bruxelles. Non è solo il fatto che hanno scritto Trattati che annullano quel poco di potere del Parlamento italiano e del governo di aiutarti con la spesa pubblica. Non è solo che hanno scritto sul marmo dell’Europa delle Austerità imposte all’Italia che tu devi essere tassato a morte per venirti a succhiare ancora più sangue. Non è solo che non esiste un singolo politico italiano che ci capisca qualcosa e che possa difenderti (Grillo meno di tutti, stai in occhio!). E’ anche che in quelle stanze dove tutte le decisioni che fottono la tua vita, la tua azienda, i tuoi fornitori-creditori, i tuoi debiti e i 42 anni di lavoro che hai alle spalle sono piene di… Marco, non ti prendo in giro… sono piene di marziani in giacca e cravatta senza la più pallida idea di cosa significhi essere una persona umana. Una persona che vive in una casa e che alle 6,30 del mattino di tutti i giorni si alza per salire sul furgone con la borsa degli attrezzi. O cosa significhi lavorare. E questi decidono per te.
-
Se la Comunità fronteggia il Privante che mangia lo Stato
Non abbiamo la minima idea di come andrà a finire. Ma sappiamo che in questo momento – oggi, non nel futuro – sta volgendo a termine un complesso di vita che potremmo definire nel seguente modo: io studio, in buona parte per imparare a fare un lavoro per qualcun altro; questo qualcun altro ha bisogno di me perché guadagna vendendo le cose che faccio con il mio lavoro; prestando il mio lavoro, guadagno abbastanza soldi da avere un tetto, mangiare e mettere su famiglia – tutte cose che richiedono un minimo di pianificazione e hanno a che fare con un’idea di lunga durata. E anche per pagare le tasse con cui un ente in sé immaginario, una pura astrazione – lo Stato – mi assicura salute, sicurezza, scuola e pensione, e almeno in teoria esegue i miei voleri, espressi attraverso i miei rappresentanti politici. Se ragioniamo in termini di complesso di vita, sostiene Miguel Martinez, ci rendiamo conto della portata storica di questa fase: è «l’agonia dell’intero complesso di vita, strutturato sui poli del Cittadino, del Lavoro e dello Stato».Questo dato di fatto è talmente enorme e pauroso, che – almeno in Europa e soprattutto in Italia – le persone pensanti «tendono a cercare rifugio in discorsi che hanno quasi sempre tre caratteristiche: sono rivolti al passato, sono idealistici e sono paralleli», osserva Martinez in un post su “Kelebeklerblog”, ripreso da “Come Don Chisciotte”. Ci rifugiamo nel passato perché «tutti i riferimenti, sia per indicare ciò che va demonizzato, sia per indicare ciò che va esaltato, si trovano in storie di cui abbiamo perso completamente il senso. Che si tratti della cristianità, del nazismo, dello stato liberale e/o sociale o del comunismo, ogni argomentare sul passato – che pure è un tema affascinante – nasconde false piste su come agire nel presente». Sicché, dalla fine di un complesso di vita deriva un elemento molto concreto: lo svuotamento dello Stato dal basso verso l’alto. «In apparenza, lo Stato non solo ancora esiste, ma alla testa assume forme sempre più totalizzanti: andiamo sempre più verso la costruzione di un unico massiccio dispositivo, cui si è scelto di dare il nome di “Europa”. Sotto questo unico dispositivo, altri reggono più o meno bene. Pensiamo, in Italia, al dispositivo militare; oppure all’immenso sistema Tav, cioè il geniale meccanismo inventato dopo Tangentopoli per permettere alla Fiat, alle grandi cooperative dette “rosse” e alla mafia di continuare ad arricchirsi con i soldi pubblici».Dove emerge invece in modo evidente la dissoluzione dello Stato è in basso: «Ogni giorno, quando ci guardiamo attorno, vediamo un altro pezzo che scompare. Che sia il consultorio di quartiere venduto per fare velocemente quattrini, il vigile che non controlla più, il custode o le saponette che mancano nella scuola, la ludoteca che perde un operatore, l’autobus che non passa più». Di questo passo, «tra qualche mese, gli anziani che si recavano all’Asl a due passi da qui dovranno prendere due autobus per recarsi all’altro capo della città, perché il presidio chiude (il Comune dice che è colpa della Regione, tiè). Sono storie che tutti conosciamo, avvengono lentamente, ciascuna da sola sembra evitabile, attribuibile quindi a un errore o a una debolezza. Ma se un giorno riuscissimo a metterle tutte insieme, vedremmo che se lo Stato negli ultimi anni si è ridotto in alto – poniamo, tanto per sparare qualche cifra del tutto inventata – del 10%, in basso si è ormai ridotto del 50%. E a quel punto capiremo che si tratta di storia, non di questo o quell’assessore».In questo vuoto, secondo Martinez si inseriscono due attori, il Privante e la Comunità Attiva. «Il Privante (meglio noto come “il privato”, con un curioso contorcimento semantico) raramente sostituisce le funzioni dello Stato, salvo in qualche caso come gli asili nido». Di solito, il Privante «occupa gli spazi dello Stato per nuovi fini, come le caserme in dismissione che le finanziarie stanno acquistando per fare grandi alberghi». Succede come con lo Stato: «In alto ci sarà pure un po’ di “crisi”, ma i soldi continuano a girare in quantità che superano la possibilità di consumo degli stessi ricchi. E quindi non mancano i clienti per i grandi alberghi, i ristoranti o le Ferrari. Casomai, nella stessa città, sono i non ricchi la cui sopravvivenza viene minacciata direttamente». Il Privante, come dice il nome, priva: «Esclude gli altri cioè da quelli che in passato erano in qualche maniera spazi sociali». Viceversa, «ovunque in Italia emergono quelle che possiamo chiamare le Comunità Attive, innumerevoli associazioni e soprattutto comitati che nascono ogni giorno». Soggetti collettivi, che «suppliscono alla scomparsa dello Stato» e di fatto «si organizzano da sé e al di fuori delle istituzioni», spesso lavorando «in quello che viene chiamato con disprezzo il “proprio orticello”».In questi anni, le Comunità diventate un elemento sempre più importante: «Credo che ciò spieghi in buona parte lo straordinario risultato ottenuto da Beppe Grillo alle elezioni, una cosa che forse sfugge ai grandi media che trascurano le mille realtà locali di questo paese». Il successo di Grillo, che non ha precedenti nella storia italiana, «è stato costruito totalmente al di fuori e contro i media, grazie a migliaia e migliaia di singole persone, che quasi sempre riflettevano le confuse e varie esigenze dei comitati che ovunque combattevano per cause non rappresentate dalle istituzioni, dalla lotta contro gli inceneritori a quella contro il Tav». Milioni di persone, che «si sono sentite talmente libere dal rispetto dovuto alle istituzioni e ai partiti da scegliere qualcosa di totalmente innovativo nel panorama politico italiano». Secondo Martinez, «c’è una convergenza di forze travolgenti, che sta cambiando in maniera irriconoscibile il mondo. Questa convergenza sta già portando alla crisi lenta ma irreversibile del triangolo Cittadino, Lavoro, Stato, e quindi alla fine di tutto il complesso di vita in cui siamo cresciuti e che forma il nostro modo di vedere le cose».Proprio perché la crisi è convergente, aggiunge Martinez, non possiamo sperare in una “soluzione”: «Si fa benissimo a resistere dove si può – a chiedere un metro in meno di un tunnel in val di Susa e un bidello in più nella scuola elementare». Ma attenzione: «Non illudiamoci che l’argine terrà», perché questa crisi «implica in particolare lo svuotamento, a partire dal basso, dello Stato», a beneficio del Privante e della Comunità Attiva. «Chiaramente, il Privante ha immensi vantaggi. Non solo ha più soldi; soprattutto, i soldi permettono di costruire rapporti contrattuali a lungo termine, molto più solidi dei rapporti affettivi su cui si fonda la Comunità». Per questo, «è più facile che il futuro sia quindi “neofeudale” che comunitario». Per fortuna, però, si va espandendo anche la Comunità, che spesso nasce come struttura di autodifesa contro il Privante. «Le cose cambiano – conclude Martinez – se mi pongo un altro tipo di domanda: in che modo posso fare qualcosa lì dove mi trovo, oggi, con le persone e le storie che ci sono realmente? Qui c’è lo spazio della libertà, in cui le nostre scelte possono contare qualcosa».Non abbiamo la minima idea di come andrà a finire. Ma sappiamo che in questo momento – oggi, non nel futuro – sta volgendo a termine un complesso di vita che potremmo definire nel seguente modo: io studio, in buona parte per imparare a fare un lavoro per qualcun altro; questo qualcun altro ha bisogno di me perché guadagna vendendo le cose che faccio con il mio lavoro; prestando il mio lavoro, guadagno abbastanza soldi da avere un tetto, mangiare e mettere su famiglia – tutte cose che richiedono un minimo di pianificazione e hanno a che fare con un’idea di lunga durata. E anche per pagare le tasse con cui un ente in sé immaginario, una pura astrazione – lo Stato – mi assicura salute, sicurezza, scuola e pensione, e almeno in teoria esegue i miei voleri, espressi attraverso i miei rappresentanti politici. Se ragioniamo in termini di complesso di vita, sostiene Miguel Martinez, ci rendiamo conto della portata storica di questa fase: è «l’agonia dell’intero complesso di vita, strutturato sui poli del Cittadino, del Lavoro e dello Stato».
-
Della Luna: di Ue si muore, spiegatelo a Laura Boldrini
Il senso dell’Europa per Laura Boldrini? Un dogma ultraterreno, forse. Un super-potere intoccabile, sacro e inviolabile come la monarchia medievale. Ortodossia granitica, che per Marco Della Luna è sintomo di «totalitarismo ideologico». Scandalizzato, l’analista indipendente, di fronte all’intervista che la presidente della Camera – portata in Parlamento da Nichi Vendola – ha rilasciato a “Tgcom 24” a fine novembre. La Boldrini «si è espressa in termini emotivi, etici, generici, spaziando tra l’ovvio e il celebrativo, sempre però evitando di parlare in concreto delle cause tecniche accertabili dei problemi e delle soluzioni tecniche possibili». Il passaggio più sconcertante? Quello in cui Laura Boldrini affronta il tema della disaffezione verso l’infame regime europeo: gli euroscettici sono innanzitutto un male, un problema, forse addirittura un pericolo di stampo neonazista. Non una parola sulle contestazioni ormai universali riguardo alla palese insostenibilità sia dell’euro, sia di un governo non democratico (non eletto) come quello di Bruxelles.A irritare l’avvocato Della Luna, l’artificio «strumentale» in base al quale si identifica l’Unione Europea con l’Europa stessa, «per poter così dire che chi è contrario o critico verso l’apparato Ue è contrario all’Europa», cioè alla culla della storia e della civiltà occidentale. Doppia operazione illiberale: non solo si preferisce delegittimare l’avversario per evitare di discutervi, ma si insiste anche nel negare l’evidenza della catastrofe provocata dall’ordinamento Ue-euro. «Dogmatismo pericoloso», annota Della Luna, prima di inoltrarsi tra le sorprese del Boldrini-pensiero: «E’ grazie all’Europa che non abbiamo più le discariche (ma gli inceneritori), è grazie all’Europa che vi sono limiti al livello di inquinamento delle città, è grazie all’Europa che gli studenti universitari hanno l’Erasmus». Attenzione: a parlare così non è una passante distratta, disinformata e disastrosamente qualunquista, ma la presidente della Camera.«Begli argomenti a difesa dell’Unione Europea ha trovato questa protagonista della politica, tanto portata a giudicare tutto e tutti, appassionatamente e con grande sicurezza di sé, forte anche di un innegabile carisma verso moltissime persone, anche in posizioni di rilievo, che guardano a lei con speranza. Argomenti patetici, di una pochezza e di una puerilità inammissibili, adatti a persuadere chi? I bambini?». Della Luna è costernato: «Riflettiamo su quale dovrebbe essere il livello di competenza, di preparazione e di comunicazione al pubblico della terza carica dello Stato». Imbarazzante. Perché rivolgersi al pubblico in questo modo? I casi sono due: «O vive dentro un suo mondo dorato sconnesso dalle realtà, oppure pensa che l’opinione pubblica abbia un’età mentale e una capacità critica da quinta elementare».Il senso dell’Europa per Laura Boldrini? Un dogma ultraterreno, forse. Un super-potere intoccabile, sacro e inviolabile come la monarchia medievale. Ortodossia granitica, che per Marco Della Luna è sintomo di «totalitarismo ideologico». Scandalizzato, l’analista indipendente, di fronte all’intervista che la presidente della Camera – portata in Parlamento da Nichi Vendola – ha rilasciato a “Tgcom 24” a fine novembre. La Boldrini «si è espressa in termini emotivi, etici, generici, spaziando tra l’ovvio e il celebrativo, sempre però evitando di parlare in concreto delle cause tecniche accertabili dei problemi e delle soluzioni tecniche possibili». Il passaggio più sconcertante? Quello in cui Laura Boldrini affronta il tema della disaffezione verso l’infame regime europeo: gli euroscettici sono innanzitutto un male, un problema, forse addirittura un pericolo di stampo neonazista. Non una parola sulle contestazioni ormai universali riguardo alla palese insostenibilità sia dell’euro, sia di un governo non democratico (non eletto) come quello di Bruxelles.
-
Perché mai dovremmo prendere ordini da Olli Rehn
Un fisico da attore comico, il classico volto pacioccone da commedia brillante: lo sfigato che tenta inutilmente di farsi prendere sul serio. In virtù dell’indecente ordinamento feudale dell’Unione Europea, persino uno come lui – Olli Illmari Rehn, classe 1962, proveniente dal paese di Babbo Natale – è in grado di impartire moniti e severe direttive ai 60 milioni di individui che compongono il popolo italiano. Popolo che pure è autorizzato (per ora) a continuare a votare per il suo Parlamento nazionale, quello di Roma, il quale però ha ormai competenza solo sull’1% dei problemi del paese: il 99% è infatti appannaggio diretto di Francoforte e Bruxelles, per gentile concessione di Washington. Così, a spiegare agli italiani di che morte dovranno morire può provvedere impunemente un tizio come il signor Rehn, dal 2010 “commissario europeo per gli affari economici e monetari”. Un super-potente, nonostante quella faccia un po’ così. Un gauleiter, a tutti gli effetti: con piena facoltà di emanare diktat acuminati, anche se non è mai stato eletto da nessuno di noi.Economia, relazioni internazionali e giornalismo: il curriculum del “signor no” che da qualche tempo perseguita gli italiani riassume da solo la mappa strategica dei territori-chiave riconquistati dal pensiero unico, negli ultimi decenni, per imporre la ricetta economica dell’oligarchia neoliberista: il trionfo dei pochi sui molti, la geopolitica piegata all’egemonia globalizzata delle élite finanziarie e mercantili, la disinformazione come arma pervasiva e invisibile del regime. Per capire chi è il “ministro dell’economia” della Commissione Europea basta aprire la relativa paginetta di Wikipedia: vi si legge che Rehn si è laureato nel Minnesota, si è specializzato a Oxford e ha approfondito le sue competenze sul corporativismo e la competitività industriale negli Stati europei minori, quelli che oggi sono sottoposti alle amorevoli cure della Troika. Ma anche Olli Rehn, dopotutto, è un essere umano: è sposato, ha un figlio, in gioventù ha persino giocato a calcio nella serie A finlandese.Moderato, è in politica dalla fine degli anni ’80. Nella triste Europa dell’Unione si è affacciato nel 1991, guidando la delegazione finlandese, per poi approdare all’euro-Parlamento nel ’95. Anni cruciali, quelli seguenti, segnati dall’incontro con l’uomo del destino, il connazionale Erkki Liikanen, futuro governatore della banca centrale finnica e all’epoca “ministro” della Commissione Europea guidata da Romano Prodi. Col tempo, Rehn ha preso il posto di Liikanen ed è rimasto pressoché in pianta stabile nell’esecutivo sub-imperiale europeo, prima presieduto da Prodi e poi da Barroso. Uno specialista, il dottor Rehn: è stato lui a trattare l’ingresso nell’Ue di Romania e Bulgaria, nonché a tenere in caldo l’adesione della Turchia. Così efficiente, il signor nessuno venuto da freddo, da meritarsi la poltronissima di super-ministro dell’economia, dalla quale minacciare ogni giorno – con le solite armi di distruzione di massa dell’economia – chiunque non intenda piegarsi alle micidiali “direttive” di Bruxelles.Al popolo italiano – e a tutti gli altri, sventurati ostaggi dell’Eurozona traditi dalle rispettive partitocrazie nazionali – resta da spiegare per quale ragione al mondo un paese come l’Italia dovrebbe prendere ordini (perché di questo si tratta) da un anonimo funzionario come l’ex calciatore finlandese. In Italia si combatte per un seggio in Parlamento, si corre per le primarie e si accorre ai meeting di Grillo, si favoleggia ancora sulle notti di Arcore, si discute (en passant) su come smontare la Costituzione e su come eventualmente rimontare una vera legge elettorale. E intanto si chiacchiera sull’Imu, si prende nota dei soggiorni europei del turista Letta e del fido banchiere Saccomanni, si vocifera di privatizzazioni e nuovi tagli, nuove tasse, nuovi orrori. E nessuno mai che spieghi per chi e per che cosa gli italiani dovrebbero votare, se poi alla fine a decidere del loro destino saranno ancora e sempre gli invisibili Padroni dell’Universo, per i quali lavorano gli estremisti in doppiopetto come Olli Rehn.Un fisico da attore comico, il classico volto pacioccone da commedia brillante: lo sfigato che tenta inutilmente di farsi prendere sul serio. In virtù dell’indecente ordinamento feudale dell’Unione Europea, persino uno come lui – Olli Illmari Rehn, classe 1962, proveniente dal paese di Babbo Natale – è in grado di impartire moniti e severe direttive ai 60 milioni di individui che compongono il popolo italiano. Popolo che pure è autorizzato (per ora) a continuare a votare per il suo Parlamento nazionale, quello di Roma, il quale però ha ormai competenza solo sull’1% dei problemi del paese: il 99% è infatti appannaggio diretto di Francoforte e Bruxelles, per gentile concessione di Washington. Così, a spiegare agli italiani di che morte dovranno morire può provvedere impunemente un tizio come il signor Rehn, dal 2010 “commissario europeo per gli affari economici e monetari”. Un super-potente, nonostante quella faccia un po’ così. Un gauleiter, a tutti gli effetti: con piena facoltà di emanare diktat acuminati, anche se non è mai stato eletto da nessuno di noi.
-
L’accordo con l’Iran prelude alla guerra: sarà violato?
Attenti: lo storico accordo con l’Iran sul nucleare potrebbe addirittura preludere a una guerra. Ovvero: sembra fatto apposta per provocare una reazione militare, nel caso in cui Teheran dovesse disattenderlo. Lo sostiene Tony Cartalucci, rileggendo il perverso rapporto 2009 della Brooking Institutions, alla voce “Which path to Persia”. «Qualsiasi operazione militare contro l’Iran sarà probabilmente molto impopolare in tutto il mondo e richiederà un adeguato contesto internazionale, sia per garantire supporto logistico all’operazione che per ridurre al minimo il contraccolpo», sostenevano solo qualche anno fa gli strateghi americani, ben consapevoli di dover costruire a tavolino un casus belli sufficientemente solido. «Il modo migliore per ridurre al minimo lo sdegno internazionale e massimizzare il sostegno (anche riluttante o dissimulato)», secondo gli analisti statunitensi consiste nel «colpire solo quando vi sia una diffusa convinzione che agli iraniani è stati fatta un’offerta superba, ma che essi hanno respinto – un’offerta così buona che solo un regime determinato a dotarsi di armi nucleari ed a farlo per motivazioni malvagie poteva rifiutare».In tali circostanze, continua il rapporto, «gli Stati Uniti (o Israele) potrebbero presentare le loro operazioni come prese con dolore, non con rabbia, e almeno alcuni nella comunità internazionale concluderebbero che gli iraniani “se la sono cercata”, rifiutando un buon affare». Il documento, ricorda Cartalucci, è stato scritto anni fa, «quando gli Usa, l’Arabia Saudita e Israele già stavano complottando per invadere con Al-Qaeda il vicino Iran, alleato della Siria, allo scopo di indebolire la Repubblica islamica prima di una guerra inevitabile». Il documento «mostra integralmente come l’“affare nucleare iraniano” sia in effetti una farsa». Secondo Cartalucci, autore di un’analisi su “Information Clearing House”, in realtà l’Occidente non ha alcuna intenzione di fare alcun accordo duraturo con l’Iran, riguardo alla capacità nucleare, e anche l’acquisto di armi nucleari da parte di Teheran non è mai stato veramente una minaccia esistenziale per le nazioni occidentali o i loro partner regionali.«Il problema dell’Occidente con l’Iran è la sua sovranità e la sua capacità di proiettare i propri interessi in ambiti tradizionalmente monopolizzati dagli Stati Uniti e dal Regno Unito in tutto il Medio Oriente», continua Cartalucci. «A meno che l’Iran pianifichi la rinuncia alla propria sovranità ed alla propria influenza regionale, insieme con il suo diritto di sviluppare e utilizzare la tecnologia nucleare, il tradimento di un “accordo sul nucleare” è semplicemente inevitabile, come inevitabile è la guerra che deve seguire subito dopo la disdetta dell’accordo». Denunciare la doppiezza che accompagna gli “sforzi” occidentali per raggiungere un accordo significherà «minare gravemente il loro tentativo di utilizzare l’accordo come leva per giustificare le operazioni militari contro l’Iran». Sia Teheran che i suoi alleati «devono essere preparati per la guerra», tanto più quando l’Occidente «finge interesse per la pace». La Libia? E’ un esempio perfetto: chi non abbassa la testa di fronte all’Occidente firma la propria condanna a morte.Attenti: lo storico accordo con l’Iran sul nucleare potrebbe addirittura preludere a una guerra. Ovvero: sembra fatto apposta per provocare una reazione militare, nel caso in cui Teheran dovesse disattenderlo. Lo sostiene Tony Cartalucci, rileggendo il perverso rapporto 2009 della Brooking Institutions, alla voce “Which path to Persia”. «Qualsiasi operazione militare contro l’Iran sarà probabilmente molto impopolare in tutto il mondo e richiederà un adeguato contesto internazionale, sia per garantire supporto logistico all’operazione che per ridurre al minimo il contraccolpo», sostenevano solo qualche anno fa gli strateghi americani, ben consapevoli di dover costruire a tavolino un casus belli sufficientemente solido. «Il modo migliore per ridurre al minimo lo sdegno internazionale e massimizzare il sostegno (anche riluttante o dissimulato)», secondo gli analisti statunitensi consiste nel «colpire solo quando vi sia una diffusa convinzione che agli iraniani è stati fatta un’offerta superba, ma che essi hanno respinto – un’offerta così buona che solo un regime determinato a dotarsi di armi nucleari ed a farlo per motivazioni malvagie poteva rifiutare».
-
Qualcosa di sinistra: solo Civati rispetta gli elettori Pd
Il Pd un partito di destra? Certamente sì, se lo si giudica dalla linea politica: al confronto, il Pri di Ugo La Malfa (Prima Repubblica) «sarebbe stato un partito di estrema sinistra». E persino il Pli di Giovanni Malagodi, ultra-liberale, avrebbe tranquillamente “scavalcato a sinistra” l’attuale partito di Renzi e D’Alema. Ma attenzione: la base del Pd resta interamente di sinistra. E il fatto che continui a tollerare un gruppo dirigente «di destra» – o meglio ancora, di semplici «cretini» – non deve impedire all’elettorato di sinistra di riconoscere il problema: lo stesso vecchio Pci, accanto ai suoi meriti storici, ha coltivato grandi difetti, tra cui proprio l’abitudine a fidarsi dei dirigenti, anche se «allevati come polli in batteria» specie dopo l’estinzione dei padri nobili. Un difetto tipico della sinistra italiana, rimediabile forse soltanto con una forte rottura nel gruppo dirigente: cioè con un leader come Civati, l’unico in fondo a rispettare davvero l’ispirazione di sinistra dell’elettorato Pd.
-
Macché Renzi, la carta di Napolitano si chiama Draghi
Non fatevi incantare dal talent show per la scalata del Pd: nessuno dei partecipanti ha il cosiddetto x factor. Uno dei tre moschettieri, quasi certamente Renzi, riuscirà a conquistare il partito. Ma per andare al governo dovrà attendere il 2015. Non perché Letta reggerà fino a quel momento. Ma proprio perché Letta, «come il latte, è già scaduto». Mentre alle sue spalle «s’avanza un altro bidone di latta e di governo, con la convocazione del Quirinale in tasca». Secondo Gianni Petrosillo, «sta per rientrare dall’estero il miglior fusto made in Italy che c’è in circolazione», ovvero Mario Draghi. Napolitano? «Tirerà presto fuori questo coniglio dal cilindro, per saldare definitivamente i pezzi del suo piano», che dopo la decadenza di Berlusconi ha di fronte una vistosa accelerazione. Infatti, la maggioranza in Parlamento è cambiata: i numeri più risicati «richiedono l’investitura di un condottiero di maggior spessore e prestigio». Meglio: «Un portatore di grandi interessi internazionali (tanto di cerchie finanziarie che di potenze globali) ai quali deputati e senatori non possono opporsi». Letta? «Non è adatto alla nuova “impresa”».Quindi, prima ancora di vedersela con gli elettori italiani e con «il prossimo burattino di Berlusconi, si tratti di un figlio o di un altro figlioccio», il nuovo segretario del Pd «si troverà davanti uno scenario prefabbricato, puntellato da soluzioni imprescindibili ed impegni ineludibili e già sottoscritti, rispetto ai quali non avrà nessun potere decisionale», scrive Petrosillo in un post su “Conflitti e Strategie”, ripreso da “Come Don Chisciotte”. In altre parole, il futuro segretario Pd «non potrà mettere becco in niente e dovrà limitarsi ad amministrare l’esistente, cioè la devastazione e la desolazione totale». Perché «l’uomo del miracolo», al contrario, cioè «il profeta che sta per approdare sulle nostre coste, ha il nome di un mostro mitologico che sputa fuoco e prescrizioni dell’Ue». A lui, l’uomo che cena a casa di Eugenio Scalfari in compagnia di Letta e dell’uomo del Colle, «toccherà il compito di ingabbiare la nazione secondo i diktat di Bruxelles e di svendere il patrimonio pubblico secondo dettami che provengono da molto più lontano».Il super-curriculum del presidente della Bce «è garanzia di servilismo e sottomissione ai nostri tradizionali padroni, continentali e soprattutto extracontinentali», sostiene Petrosillo, alludendo evidentemente al ruolo-chiave di Draghi all’epoca delle grandi privatizzazioni degli anni ’90 pianificate con la lobby britannica degli “Invisibili” e poi il ruolo di stratega della Goldman Sachs e privatizzatore del sistema bancario italiano. «Tra qualche giorno si aprirà ufficialmente la crisi e i draghi invaderanno i nostri cieli per toglierci tutto quello che abbiamo», continua Petrosillo. «Questa non è una profezia, questa è la soluzione pro-zio-Sam trovata dal nostro sovrano Napolitano». Fantapolitica? «Può essere, ma è sempre meglio farsi trovare preparati dopo quanto successo in questi ultimi miserabili vent’anni». Questa volta «potrebbe trattarsi dell’assalto finale alla nostra sovranità nazionale», ovvero «pene nuove, che si assommano a dolori atavici».Non fatevi incantare dal talent show per la scalata del Pd: nessuno dei partecipanti ha il cosiddetto x factor. Uno dei tre moschettieri, quasi certamente Renzi, riuscirà a conquistare il partito. Ma per andare al governo dovrà attendere il 2015. Non perché Letta reggerà fino a quel momento. Ma proprio perché Letta, «come il latte, è già scaduto». Mentre alle sue spalle «s’avanza un altro bidone di latta e di governo, con la convocazione del Quirinale in tasca». Secondo Gianni Petrosillo, «sta per rientrare dall’estero il miglior fusto made in Italy che c’è in circolazione», ovvero Mario Draghi. Napolitano? «Tirerà presto fuori questo coniglio dal cilindro, per saldare definitivamente i pezzi del suo piano», che dopo la decadenza di Berlusconi ha di fronte una vistosa accelerazione. Infatti, la maggioranza in Parlamento è cambiata: i numeri più risicati «richiedono l’investitura di un condottiero di maggior spessore e prestigio». Meglio: «Un portatore di grandi interessi internazionali (tanto di cerchie finanziarie che di potenze globali) ai quali deputati e senatori non possono opporsi». Letta? «Non è adatto alla nuova “impresa”».
-
Bergoglio: no al liberismo, la tirannia che svuota lo Stato
«Questa economia uccide. Non è possibile che non faccia notizia il fatto che muoia assiderato un anziano ridotto a vivere per strada, mentre lo sia il ribasso di due punti in Borsa». I media italiani ne hanno parlato poco, ma la nuova “esortazione apostolica” di Papa Francesco, “Evangelii Gaudium” (la gioia del vangelo) contiene una potente critica al capitalismo finanziario. «Così come il comandamento “non uccidere” pone un limite chiaro per assicurare il valore della vita umana, oggi dobbiamo dire “no a un’economia dell’esclusione e della inequità”», scrive Bergoglio. «Oggi tutto entra nel gioco della competitività e della legge del più forte, dove il potente mangia il più debole». Conseguenza: «Grandi masse di popolazione si vedono escluse ed emarginate: senza lavoro, senza prospettive, senza vie di uscita». Aggiunge il pontefice: «Non si tratta più semplicemente del fenomeno dello sfruttamento e dell’oppressione, ma di qualcosa di nuovo: con l’esclusione resta colpita, nella sua stessa radice, l’appartenenza alla società in cui si vive».