Archivio della Categoria: ‘idee’
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Macché patrimoniale, il lavoro rinasce con moneta sovrana
Finanziare la spesa pubblica con le tasse, magari una patrimoniale? Sbagliato due volte. Primo, perché i grandi patrimoni sono finanziari, dunque volatili e sfuggenti. E soprattutto perché chiedere altre tasse significa rassegnarsi al sistema-truffa dell’emissione privatizzata del denaro: per uscire dalla crisi, infatti, basterebbero iniezioni di valuta sovrana a sostegno dell’economia reale, cioè posti di lavoro. Possibile che la sinistra sindacale non lo capisca? Purtroppo sì. Perché «il sindacato e gran parte della sinistra non hanno le basi culturali o la libertà di azione necessarie per poter imporre al dibattito pubblico, politico, sindacale, parlamentare, di trattare i veri temi nodali». Ovvero: «Come viene creato il denaro, da chi, a vantaggio di chi, con che diritto, con quali profitti, con quale tassazione su questi profitti». L’uscita dal tunnel è una sola: «Creazione di denaro direttamente da parte dello Stato, senza che lo Stato lo debba comperare dando in cambio titoli pubblici, cioè indebitandosi». Questo dovrebbero chiedere, Landini e Camusso, e con loro i quasi 5 milioni di italiani iscritti alla Cgil.Secondo Marco Della Luna, il pericolo è lo strapotere del capitale finanziario, cresciuto fino a 15 volte l’economia reale. Come? In due modi: autorizzando le banche a compiere azioni di pirateria speculativa e, prima ancora, concedendo ai mercati finanziari di ricattare gli Stati mediante l’acquisto del debito pubblico, nel momento in cui – in Italia dagli anni ‘80 – si è vietato alla banca centrale di continuare a finanziare il governo, cioè i cittadini, emettendo moneta a costo zero. Ora, con l’euro, siamo all’incubo elevato a sistema. A tutto questo siamo giunti con l’inganno: «Celare all’opinione pubblica questi semplici termini del problema, fare in modo che non capisca o fraintenda ciò che si sta facendo, così da prevenire resistenze organizzate e poter continuare in questo processo di accaparramento della ricchezza, è un bisogno primario delle classi dominanti che lo hanno costruito e ne stanno beneficiando». Il nuovo compito della politica? Assicurarsi che le pecore siano tosate all’infinito, senza protestare.Menzogne, disinformazione, minaccia, psicologia sociale della paura: «I mezzi a disposizione di una classe dominante per far accettare alle classi inferiori le crescenti diseguaglianze di ricchezza e di diritti sono molteplici». Primo: «Nascondere le diseguaglianze o le loro cause», e poi «farle sentire giustificate (dal merito, dalle leggi del mercato, dalla competitività, dalle capacità». Se non basta, si può «reprimere la protesta sociale attraverso strumenti giuridici e polizieschi». E poi «indurre paura, allarme, conflitti (shock economy, divide et impera». Si arriva così a «impiantare un paradigma divide-et-impera, in cui ognuno è imprenditore di se stesso e in competizione con gli altri», un ambiente nel quale «non può nascere consapevolezza di classe e di conflitto». Si tratta di «abituare la gente, gradualmente, a nuove condizioni peggiorative». Il nuovo standard, la diseguaglianza “fisiologica”, «ha già prodotto riforme che la sanciscono e recepiscono anche sul piano formale e giuridico in termini di sottoposizione, mediante trattati internazionali e riforme interne, dalla sfera politica, pubblica, partecipativa a quella finanziaria, privata, capitalistica».Estinto l’interesse pubblico, resta solo quello affaristico privato. Un risultato politico epocale, al quale si è arrivati grazie a una poderosa pedagogia della menzogna, attraverso cui depistare l’opinione pubblica dalle vere cause della crisi. L’economia reale soffre per mancanza di credito e liquidità? Anziché emettere l’ossigeno della valuta, le autorità monetarie hanno inculcato la fobia delle bolle finanziarie come alibi per chiudere i rubinetti. I soldi – tanti, a tassi bassissimi – li hanno dati solo alle banche, per le speculazioni finanziarie e l’acquisto di derivati. E’ lo schema del “quantitative easing” angloamericano e della Ltro, “long term refinancing operation”, della Bce. «Il risultato voluto era prevedibile, previsto, ed è puntualmente arrivato: praticamente pochi o nulli benefici per l’economia reale». Tutti colpevoli, dai ministri delle finanze al Fmi, dai banchieri centrali all’Ue: perché si rifiutano di creare moneta destinata all’economia produttiva? «Ovvio: perché quest’operazione da un lato avrebbe successo, farebbe ripartire l’economia, e si capirebbe che tutto gira intorno a chi ha il potere esclusivo di creare moneta». Il sostegno monetario all’economia reale toglierebbe ai banchieri «il loro potere monopolistico sulle società, smascherando al contempo il loro comportamento essenzialmente distorsivo, antisociale e parassitario».Questo è il disastro da cui discende la cosiddetta crisi. E invece «si è raccontato alla gente che è la spesa pubblica, la spesa per il settore pubblico, ciò che costituisce il problema, il male dell’economia, e che quindi bisogna tagliare servizi pubblici, privatizzare, vendere i beni collettivi, licenziare i pubblici dipendenti, aumentare le tasse cioè fare la cosiddetta austerità, nascondendo così la vera causa del dissesto dei conti pubblici». In realtà sono stati i banchieri che «hanno usato i conti pubblici, cioè i governi, per chiudere i buchi da loro stessi scavati a fini di profitto privato». In Italia è successo col Monte dei Paschi di Siena. Ma la tragedia a monte è la progressiva scarsità di moneta a partire dal 1981, storico divorzio fra Tesoro e Bankitalia. Da allora, «i detentori del debito pubblico italiano sono principalmente soggetti finanziari». Nuove tasse? Ci provò Monti, tagliando le gambe al settore immobiliare provocandone il crollo, determinante per la cronicizzazione della recessione. E oggi sono i sindacati che chiedono altre tasse per uscire dal tunnel?L’atteggiamento della sinistra sindacale, benché giustamente motivato dalla rabbia sociale contro le palesi diseguaglianze alimentate dal governo Renzi, non aiuta a risolvere il problema. «Tutto questo insieme di menzogne e di false rappresentazioni della realtà, somministrato in modo martellante al popolo, serve a fargli accettare una politica tributaria e finanziaria che consente di trasferire sempre più denaro dal contribuente e dalla spesa per la società alle tasche di banchieri e finanzieri attraverso sia gli interessi sul debito pubblico, che gli aiuti di Stato alle banche, che gli stanziamenti multimiliardari in favore di organismi di sostegno alle banche come il Mes», conclude Della Luna. «In sostanza, quindi, lo schema politico è il seguente: compiere operazioni che generano profitto e instabilità; alimentare l’instabilità e usarla per creare allarme sociale; dare di questa situazione una falsa spiegazione alla gente, che la disponga ad accettare non solo i peggioramenti avvenuti, ma anche ulteriori sacrifici in termini sia economici che di diritti anche politici, come necessari per evitare il disastro; usare questi sacrifici per arricchirsi ulteriormente». Ecco perché l’oligarchia si oppone all’unica possibile soluzione democratica: libera emissione di moneta pubblica per sostenere il sistema economico, aziende e posti di lavoro.Finanziare la spesa pubblica con le tasse, magari una patrimoniale? Sbagliato due volte, protesta Marco Della Luna. Primo, perché i grandi patrimoni sono finanziari, dunque volatili e sfuggenti. E soprattutto perché chiedere altre tasse significa rassegnarsi al sistema-truffa dell’emissione privatizzata del denaro: per uscire dalla crisi, infatti, basterebbero iniezioni di valuta sovrana a sostegno dell’economia reale, cioè posti di lavoro. Possibile che la sinistra sindacale non lo capisca? Purtroppo sì. Perché «il sindacato e gran parte della sinistra non hanno le basi culturali o la libertà di azione necessarie per poter imporre al dibattito pubblico, politico, sindacale, parlamentare, di trattare i veri temi nodali». Ovvero: «Come viene creato il denaro, da chi, a vantaggio di chi, con che diritto, con quali profitti, con quale tassazione su questi profitti». L’uscita dal tunnel è una sola: «Creazione di denaro direttamente da parte dello Stato, senza che lo Stato lo debba comperare dando in cambio titoli pubblici, cioè indebitandosi». Questo dovrebbero chiedere, Landini e Camusso, e con loro i quasi 5 milioni di italiani iscritti alla Cgil.
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Sovranità dal basso, contro il potere imperiale dell’Ue
Sovranità viene dal francese “souverain” e porta con sé il senso del “sopra”, dello “stare sopra”, e in tal senso del ricoprire una funzione di coordinazione e di potere superiore. Nella letteratura filosofica contemporanea, il paradigma della sovranità è quello della bio-politica, così come sviluppato da Michel Foucault prima e Giorgio Agamben dopo, cioè del controllo spasmodico dei corpi e dei comportamenti così come storicamente sviluppato nei regimi totalitari. Un contesto semantico perciò negativo: sovranità, in questi autori, è sinonimo di potere assoluto, cieco, brutale, totalitario, fuori da ogni controllo, eppur mosso dal desiderio del controllo assoluto. Di qui la riflessione di Foucault sulle modalità di uscita da simili dinamiche malate di potere, tramite la cura di sé, la rivalutazione dell’individuo, la critica alle forme di potere occulte. Altro luogo interessante di definizione della sovranità è quello di eccezione, ovvero di stato di eccezione, così come sviluppato da Carl Schmitt: il sovrano è colui che risulta “escluso”, nel senso che la regola che egli stesso emana non gli viene mai applicata.Da qui il concetto di “immunitas”, che politicamente viene considerato come il caposaldo di ogni dottrina del potere. Il sovrano è colui che sta sopra a tutto e tutti e quindi avulso da tutti i dispositivi di potere. Insomma, in entrambi i casi, filosoficamente parlando, il concetto di sovranità ne esce male, sintomo e simbolo delle peggiori dinamiche del potere. In che senso allora noi oggi ci consideriamo sovranisti? Nei sensi sopra delineati? La sovranità di cui noi parliamo è tutt’altra cosa e non si appiattisce alla lettura di parte e già sbilanciata verso una sorta di buonismo democratico di sinistra di Foucault per esempio. La sovranità di cui noi trattiamo non è affatto un principio superiore di potere e tutto quel che ne consegue, ma al contrario rappresenta la fuga e la lotta contro quell’unico principio superiore e profondamente e malatamente democratico che è per esempio la costruzione di una Europa unica e unita.I sovranisti lottano contro ogni massificazione totalitaria di cose, principi, nazioni, territori, genti, popoli. I sovranisti prediligono la differenza, la differenziazione, all’unità e all’unificazione. I sovranisti rivendicano autonomie e indipendenze, contro ogni potere superiore. La sovranità che noi vorremmo è quindi quella di ogni paese e nazione, è quella italiana nel caso specifico, sia dal punto di vista politico e monetario, che dal punto di vista energetico, alimentare e via dicendo. Una sovranità insomma che provenga dal basso, che rappresenti una liberazione dei territori da meccanismi superiori di controllo e potere, contro quindi una sovranità dall’alto, avvolgente, totalizzante, schiacciante, impositiva.Per concludere, tale sovranità proveniente dall’alto si configurerà come un impero, un tutt’uno omogeneo, composto da territori per nulla liberi e sovrani, ma assoggettati alla medesima logica imperiale e dispotica. Dall’altra parte, una sovranità proveniente dal basso può invece configurarsi come una federazione di territori liberi e sovrani, non appiattiti o schiacciati sotto un unico potere dispotico, ma confederati secondo obiettivi comuni, nel rispetto delle reciproche identità e differenze. Come sovranisti noi propendiamo perciò per il secondo significato di sovranità. Insomma, noi crediamo che ce la si possa cavare da soli, senza quel pesante fardello politico che sarebbe una Europa unita e centralizzata.(Jacopo-Niccolò Bonato, “Breve appunto sul concetto di sovranità”, da “Appello al Popolo” del 21 settembre 2014).Sovranità viene dal francese “souverain” e porta con sé il senso del “sopra”, dello “stare sopra”, e in tal senso del ricoprire una funzione di coordinazione e di potere superiore. Nella letteratura filosofica contemporanea, il paradigma della sovranità è quello della bio-politica, così come sviluppato da Michel Foucault prima e Giorgio Agamben dopo, cioè del controllo spasmodico dei corpi e dei comportamenti così come storicamente sviluppato nei regimi totalitari. Un contesto semantico perciò negativo: sovranità, in questi autori, è sinonimo di potere assoluto, cieco, brutale, totalitario, fuori da ogni controllo, eppur mosso dal desiderio del controllo assoluto. Di qui la riflessione di Foucault sulle modalità di uscita da simili dinamiche malate di potere, tramite la cura di sé, la rivalutazione dell’individuo, la critica alle forme di potere occulte. Altro luogo interessante di definizione della sovranità è quello di eccezione, ovvero di stato di eccezione, così come sviluppato da Carl Schmitt: il sovrano è colui che risulta “escluso”, nel senso che la regola che egli stesso emana non gli viene mai applicata.
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Servire il Popolo, anzi il business (e addio alla sinistra)
Ieri il motto era “Servire il Popolo”, e oggi? Tutti ai posti di comando, dall’altra parte della barricata: giornali, televisione, grandi aziende, partiti di governo. Dov’è finita la sinistra, quella che dovrebbe difendere gli italiani, per esempio dagli abusi del regime euro-Ue? Bisognerebbe chiederlo a loro, gli ex trotzkisti, che secondo i numerosi detrattori «stanno alla sinistra esattamente come i “neocon” e i “teocon” stanno alla destra», scrive Sebastiano Caputo, alludendo ai vari Oriana Fallaci, Giuliano Ferrara e Alessandro Sallusti. «Accecati da un anticomunismo in assenza di comunismo, furono Gianfranco Fini e i suoi seguaci a sposare definitivamente il liberismo economico di Silvio Berlusconi». E furono i loro “intellettuali di complemento” a «consegnare le chiavi della biblioteca» agli ultras della destra. E a sinistra? Idem, se si pensa agli ex trotzkisti, da Santoro a Lerner: «Stessi finanziatori, stessi interessi, stessi nemici». Destino speculare: «La la nazione per gli uni, la rivoluzione per gli altri», ma – si sa – la rivoluzione non c’è stata e la nazione sta sparendo, assorbita dall’Eurozona.«L’esistenza di una destra e di una sinistra – premette Caputo – aveva ancora senso qualche decennio fa». A prescindere dalla guerra fredda, quello che separava (e allo stesso tempo univa) i due schieramenti, «era un profondo spirito di appartenenza ideale e una forte identità culturale». Eppure «entrambi, come le subculture degli anni Sessanta e Settanta, sono stati inglobati dal sistema dominante per diventare progressivamente forze antinazionali e conservatrici». Il “tradimento” della sinistra, continua Caputo sul blog “Da dietro il sipario”, è tuttavia anteriore a quello della destra. E affonda le sue radici nell’eccentrica parabola dei trotzkisti italiani. Riuniti sotto diverse sigle (“Gruppo Comunista Rivoluzionario”, “Servire il Popolo”, “Avanguardia Operaia”, “Lotta Continua”, “Potere Operaio”) ed eredi del pensiero di Lev Trockij (internazionalismo e anti-sovietismo), dopo la contestazione studentesca del ‘68 adottarono la strategia dell’“entrismo”, cioè l’infiltrazione nei sindacati, nel Pci di Berlinguer e nei giornali di area.Tutto questo, probabilmente, secondo Caputo è avvenuto anche «con il sostegno economico dei servizi statunitensi, i quali finanziavano tutte le forze anti-sovietiche e di destabilizzazione dell’epoca», indipendentemente dal loro colore politico, «come del resto si è potuto verificare nei decenni successivi: non è un caso che quegli stessi trotzkisti che militavano nelle organizzazioni extra-parlamentari si siano successivamente ritrovati a occupare posizioni di potere in ambienti che spaziano da quello accademico a quello mediatico-giornalistico, passando per quello politico». La lista di quelli che Caputo chiama “i traditori dei principi della sinistra” è pressoché sterminata. Da “Servire il Popolo” provengono il sondaggista Renato Mannheimer, collaboratore del “Corriere della Sera” e docente dell’Università Bicocca di Milano, nonché Antonio Polito, membro dell’Aspen Institute ed editorialista del “Corriere”, e Barbara Pollastrini, ministro delle Pari opportunità del governo Prodi e attualmente deputata del Pd.Sempre da “Servire il Popolo” arrivano Linda Lanzillotta, senatrice di “Scelta Civica” di Mario Monti, e il popolarissimo Michele Santoro, mattatore della Tv-contro. E’ invece “Lotta Continua” la casa-madre di Adriano Sofri, editorialista di “Repubblica” come l’ex compagno Gad Lerner. Sono ex di “Lc” anche Paolo Liguori, giornalista Mediaset e conduttore televisivo, e il sociologo Luigi Manconi, docente universitario e senatore Pd. “Potere Operaio”, di Toni Negri, ha invece allevato Francesco Pardi, detto Pancho, già senatore Idv e promotore del “No Cav Day”. Con lui Ritanna Armeni, conduttrice televisiva di “Otto e Mezzo” con Giuliano Ferrara, e un peso massimo della cultura italiana come Paolo Mieli, storico, già direttore del “Corriere”, ora dirigente di Rcs. Infine, dal “Gruppo Comunista Rivoluzionario” è emerso Paolo Flores D’Arcais, direttore di “Micromega” (Gruppo Espresso), nel quale spicca il direttore di “Repubblica”, Ezio Mauro, che archivia il suo passato di sinistra con editoriali come quello intitolato “L’Occidente da difendere”, in cui «identifica il nemico russo e quello islamico, legittimando di conseguenza l’Occidente capitalista, pseudo-democratico, imperialista e a trazione statunitense». Mala tempora currunt: persino l’ex “zapatista” salottiero Bertinotti arriva a dire: «Abbiamo sbagliato tutto, sono anche un liberale». Poi uno si chiede dov’è finita la sinistra. E si domanda perché nessuno alzi mai la voce, neppure una volta, per difendere gli italiani massacrati dal rigore dell’élite tecno-finanziaria di Bruxelles, braccio armato dell’oligarchia ultraliberista.Ieri il motto era “Servire il Popolo”, e oggi? Tutti ai posti di comando, dall’altra parte della barricata: giornali, televisione, grandi aziende, partiti di governo. Dov’è finita la sinistra, quella che dovrebbe difendere gli italiani, per esempio dagli abusi del regime euro-Ue? Bisognerebbe chiederlo a loro, gli ex trotzkisti, che secondo i numerosi detrattori «stanno alla sinistra esattamente come i “neocon” e i “teocon” stanno alla destra», scrive Sebastiano Caputo, alludendo ai vari Oriana Fallaci, Giuliano Ferrara e Alessandro Sallusti. «Accecati da un anticomunismo in assenza di comunismo, furono Gianfranco Fini e i suoi seguaci a sposare definitivamente il liberismo economico di Silvio Berlusconi». E furono i loro “intellettuali di complemento” a «consegnare le chiavi della biblioteca» agli ultras della destra. E a sinistra? Idem, se si pensa agli ex trotzkisti, da Santoro a Lerner: «Stessi finanziatori, stessi interessi, stessi nemici». Destino speculare: «La la nazione per gli uni, la rivoluzione per gli altri», ma – si sa – la rivoluzione non c’è stata e la nazione sta sparendo, assorbita dall’Eurozona.
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Bifo: noi e la barbarie dell’Ue, fabbrica di miseria e guerra
Si può fermare l’offensiva liberista in Italia? La manifestazione nazionale indetta a Roma dalla Cgil il 25 ottobre può essere l’inizio di un’onda di rivolta dei lavoratori italiani contro il soffocante austeritarismo dell’Unione Europea, e contro il governo Renzi-Berlusconi, vassalli locali del potere finanziario. Speriamo che lo sia, facciamo tutto quel che possiamo perché lo sia, ma con poche illusioni. Non si può più fermare fermare l’offensiva padronale, la precarizzazione, l’impoverimento, lo smantellamento delle strutture sociali, perché tutto questo è già avvenuto, con la collaborazione dei sindacati. E’ meglio saperlo. Nel 1980, di fronte a 25.000 licenziamenti decisi da Agnelli, Berlinguer chiamò gli operai Fiat a occupare la fabbrica, ma il suo partito negli anni precedenti aveva lavorato a disgregare la forza operaia, e ne aveva isolato le avanguardie fino al punto di avallare il licenziamento di 62 lavoratori “estremisti”. Naturalmente fu una sconfitta dalla quale gli operai italiani non si sono ripresi più.Così oggi il sindacato si mobilita contro la precarizzazione che ormai dilaga, contro l’impoverimento e lo smantellamento del sistema economico italiano che ormai sono cosa fatta. Ancora una volta si chiude la stalla dopo che i buoi sono scappati. L’articolo 18 è un feticcio vuoto perché la precarietà è divenuta forma generale del rapporto di lavoro salariato, e a questo si aggiunge l’espansione continua del lavoro schiavistico, mascherato da lavoro volontario. La cancellazione dell’articolo 18 è il colpo di grazia, il sacrificio rituale che il dio della finanza chiede a Renzi per concedergli in cambio un po’ di flessibilità finanziaria. Nonostante tutto questo la mobilitazione contro la ferocia del ceto politico-finanziario può avere un effetto positivo nel lungo periodo, riaprendo una dinamica di solidarietà e organizzazione che negli ultimi anni si è progressivamente spenta. Ma qual è il contesto?L’Unione Europea è un morto che cammina. A che punto è la notte europea? Purtroppo la notte è appena cominciata, anzi quel che stiamo vivendo forse è solo il tramonto. Il tramonto della speranza di democrazia e di pace nel continente. La democrazia è parola svuotata dalla pratica austeritaria, mentre dovunque cresce il nazionalismo come hanno dimostrato le elezioni del maggio che il ceto finazista europeo non ha voluto neppure considerare. Al finazismo della Bce e al revanscismo tedesco risponde un nuovo nazionalismo nei paesi economicamente più impoveriti dall’offensiva finazista. Il disegno del finazismo globale è stato da sempre ed è oggi più che mai lo smantellamento definitivo dell’Unione Europea, e la sottomissione della popolazione europea alla condizione semi-schiavistica della precarietà. Il punto di precipitazione definitiva dell’Unione, e di inizio della nuova guerra civile europea si trova nel confronto franco-tedesco. La probabile vittoria del Front National è destinata a segnare la fine dell’Unione con conseguenze inimmaginabili, sullo sfondo della guerra russo-ucraina.Non occorre molta sapienza storica per capire che il nazionalismo francese non può tollerare che l’Europa sia unita sotto il dominio tedesco, anche se la Deutsche Bank ha preso il posto che nel 1941 aveva la Wehrmacht. La sceneggiatura è già scritta: crollo del partito di Hollande, affermazione dei nazionalisti, sgretolamento dell’Unione Europea. E dopo? Un articolo di George Soros uscito sulla “Repubblica” del 26 ottobre chiama l’Europa a prepararsi alla guerra con la Russia. Alcuni auspicano l’uscita dell’Italia dall’Unione come se questo fosse la soluzione di qualcosa. L’Italia è uno stato fallito, una società disgregata, depressa, corrotta, un’economia smantellata, un patrimonio industriale distrutto o svenduto come Alitalia. Parlare di Italia è idiota. Occorre parlare della classe operaia che da Torino a Napoli – per quanto decimata, tradita, sconfitta – può mettere in moto un processo che coinvolga il lavoro precario, e soprattutto il lavoro cognitivo disperso fuori dai confini nazionali. Non per la riscossa nazionale di un paese la cui unica azienda in attivo è la mafia, ma per aprire e guidare un processo di rivolta e di autonomia dei lavoratori europei.Siamo entrati in un’epoca oscura e non serve fingere di non vederlo: non si può restaurare la democrazia, l’occupazione non è destinata a crescere ma a diminuire, la pace civile si sta sgretolando, e la crescita non ha più senso economico né ecologico. Occorre prepararsi al pieno dispiegamento delle condizioni che stanno iscritte nella disgregazione sociale, e nella cultura della competizione e della paura: prepararsi alla miseria e alla guerra, per dirlo in chiaro. E’ in questa prospettiva che si devono creare le condizioni per l’autonomia sociale e il dispiegamento delle potenzialità contenute nell’alleanza possibile tra tecnologia e lavoro.Che caratteri avrà un nuovo movimento di emancipazione, dentro e oltre il disastro che liberismo e finazismo hanno preparato con l’aiuto servile della sinistra?Si uscirà dall’epoca buia solo quando la cultura sociale si orienterà verso la riduzione generale del tempo di lavoro. Metà dei posti di lavoro sono inutili, se si applica a pieno la potenza tecnologica. Nelle condizioni del capitalismo questo è un disastro senza rimedio. In condizioni libere dalla stretta del capitalismo questa potenza tecnica può diventare fattore di arricchimento egualitario e di rinascimento culturale. La potenza dell’intelletto generale in rete riduce il tempo di lavoro necessario. L’effetto di questa riduzione è stato finora riduzione del salario, aumento dello sfruttamento relativo e assoluto, aumento della disoccupazione e della miseria. Il sindacato ha testardamente e inutilmente difeso il posto di lavoro mentre si trattava (ormai dagli anni ’80) di scatenare la forza della società e l’immaginazione del lavoro cognitivo per la liberazione di tempo sociale dal lavoro salariato. La sconfitta politica e l’arretramento culturale di questi anni derivano direttamente dall’incapacità della sinistra e del sindacato di allearsi con la tecnologia e il lavoro cognitivo, e di battersi per la riduzione del tempo di lavoro generale.Ora siamo in un tunnel molto nero. La luce verrà soltanto dal rovesciamento della cultura lavorista. Non il produttivismo, non la difesa della composizione esistente del lavoro, non la partecipazione alla corsa del topo liberista. Ma la riduzione generale del tempo di lavoro, la redistribuzione della ricchezza, la liberazione delle energie affettive, educative, culturali dalla morsa imbecille della competizione. Occorre cominciare subito, mentre il tramonto volge verso il buio assoluto. Occorrerà continuare mentre nel buio l’uomo si farà lupo per l’uomo. I lavoratori italiani possono riprendere il ruolo di avanguardia che ebbero nel passato non per salvare il cadavere d’Europa che sta ammorbando l’atmosfera, ma per mettere in moto un processo di lotta europea e internazionalista, per la liberazione del tempo dal lavoro, per la liberazione dell’intelligenza dall’oscurantismo economicista.(Franco “Bifo” Berardi, “Al tramonto d’Europa”, da “Micromega” del 25 ottobre 2014).Si può fermare l’offensiva liberista in Italia? La manifestazione nazionale indetta a Roma dalla Cgil il 25 ottobre può essere l’inizio di un’onda di rivolta dei lavoratori italiani contro il soffocante austeritarismo dell’Unione Europea, e contro il governo Renzi-Berlusconi, vassalli locali del potere finanziario. Speriamo che lo sia, facciamo tutto quel che possiamo perché lo sia, ma con poche illusioni. Non si può più fermare fermare l’offensiva padronale, la precarizzazione, l’impoverimento, lo smantellamento delle strutture sociali, perché tutto questo è già avvenuto, con la collaborazione dei sindacati. E’ meglio saperlo. Nel 1980, di fronte a 25.000 licenziamenti decisi da Agnelli, Berlinguer chiamò gli operai Fiat a occupare la fabbrica, ma il suo partito negli anni precedenti aveva lavorato a disgregare la forza operaia, e ne aveva isolato le avanguardie fino al punto di avallare il licenziamento di 62 lavoratori “estremisti”. Naturalmente fu una sconfitta dalla quale gli operai italiani non si sono ripresi più.
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La guerra dell’Ue contro la nostra civiltà democratica
L’attuale guerra condotta con mezzi commerciali e finanziari sta trasformando l’Ue nel più grande esperimento di riduzione dei diritti umani. Il tema più dibattuto e complesso è quello sullo status dei diritti sociali nell’odierna Europa: si è passati lentamente dalla concezione che le esigenze di protezione sociale potessero costituire sviluppo e potenziamento delle libertà individuali, all’ideologia ultraliberista del “s’aiuti dunque chi può”, tipico pensiero spietato delle classi privilegiate nei riguardi delle classi povere. La polarizzazione della ricchezza e lo svuotamento della classe media ha portato con sé una guerra accanita nella quale i più forti schiacciano inesorabilmente i deboli e gl’inesperti. Gli uomini, senza unità di scopo, guidati dal solo dogma della legge di mercato, vengono manipolati verso il progetto europeo e parallelamente verso una progressiva degradazione strutturale del rango e dell’orgoglio delle nazioni aderenti ad esso.Il dissidio tra democrazia costituzionale italiana e trattati Ue è del tutto evidente, se si analizza il modello sociale ed economico che la Costituzione italiana ha indubbiamente abbracciato nel modello del 1948. Il dovere alla solidarietà, considerato come “base della convivenza democratica”, viene completamente disatteso dall’impianto europeo, in particolar modo in quella che è stata la gestione della crisi economica dal 2008 in poi: comunità nazionali deprivate delle conquiste economico-sociali di oltre un secolo di lotte, con una subdola gradualità che non deve consentirgli di accorgersene in tempo utile (attraverso meccanismi infernali di controllo totalizzante ed anti-democratico come la Troika). La competizione inevitabile e programmatica tra Stati aderenti all’Unione esclude la solidarietà tra i membri: economie di interi Stati si stanno completamente dissolvendo in nome dell’irrazionale equazione Ue = euro, rendendo schiave generazioni di popoli a cui si predicano “i diritti civili”, non consentendo loro di esercitare diritti politici e sociali.Allo sfaldamento della base economica dello Stato democratico italiano corrisponde dunque un’accelerazione della perdita di diritti in toto, che è pericolosamente derivante dall’originaria incompatibilità del disegno di Maastricht coi principi fondamentali della nostra democrazia costituzionale. Le “riforme” pretese dal “cammino di convergenza”, che si è ormai trasformato in un campo di macerie da Berlino ad Atene, non sono altro che il mezzo per accelerare irreversibilmente la caduta del modello socio-economico costituzionale per l’instaurazione dell’impianto ordoliberista, che esclude totalmente la solidarietà e la centralità della persona umana.(Martina Carletti, “L’Unione Europea e la distruzione della solidarietà sociale”, da “Appello al Popolo” del 22 settembre 2014).L’attuale guerra condotta con mezzi commerciali e finanziari sta trasformando l’Ue nel più grande esperimento di riduzione dei diritti umani. Il tema più dibattuto e complesso è quello sullo status dei diritti sociali nell’odierna Europa: si è passati lentamente dalla concezione che le esigenze di protezione sociale potessero costituire sviluppo e potenziamento delle libertà individuali, all’ideologia ultraliberista del “s’aiuti dunque chi può”, tipico pensiero spietato delle classi privilegiate nei riguardi delle classi povere. La polarizzazione della ricchezza e lo svuotamento della classe media ha portato con sé una guerra accanita nella quale i più forti schiacciano inesorabilmente i deboli e gl’inesperti. Gli uomini, senza unità di scopo, guidati dal solo dogma della legge di mercato, vengono manipolati verso il progetto europeo e parallelamente verso una progressiva degradazione strutturale del rango e dell’orgoglio delle nazioni aderenti ad esso.
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Craig Roberts: l’America mente sempre e ci distruggerà
L’atteggiamento aggressivo e insensato che i guerrafondai di Washington continuano a tenere nei confronti di Russia e Cina ha frantumato la costruzione geopolitica messa in atto da Reagan e Gorbaciov. Reagan e Gorbaciov alla fine alla guerra fredda bandirono la minaccia di un Armageddon nucleare. Ora i neocon, tutto l’apparato militare Usa – bilancio-dipendente – (che vivono sulle spalle dei contribuenti), tutto il complesso degli organi di sicurezza, e i politici americani – dipendenti da fondi elettorali versati dall’apparato militare e da quello della sicurezza – hanno resuscitato la minaccia nucleare. Il regime corrotto e doppiogiochista di Clinton, per primo, ruppe l’accordo che l’amministrazione di George Bush fece con Mosca nel 1990, quando Mosca acconsentì alla riunificazione della Germania che diventò membro della Nato e in cambio Washington convenne che non ci sarebbe stata nessuna espansione della Nato verso est. Gorbaciov, il segretario di Stato americano James Baker, l’ambasciatore degli Usa a Mosca Jack Matlock e tutti i documenti declassificati testimoniano il fatto che a Mosca fu assicurato che non ci sarebbe stata nessuna espansione della Nato in Europa Orientale.Nel 1999 il presidente Bill Clinton sbugiardò l’amministrazione del presidente George Bush e il corrotto Clinton fece entrare Polonia, Ungheria e la neonata Repubblica Ceca nella Nato. Anche il presidente George W. Bush sbugiardò di fatto suo padre George H.W. Bush e il segretario Stato di suo padre, James Baker. “Dubya”, il ben noto imbecille-ubriacone, nel 2004 fece entrare Estonia, Lettonia, Lituania, Slovenia, Slovacchia, Bulgaria e Romania nella Nato, e il regime corrotto e disperato di Obama ha aggiunto l’Albania e la Croazia nel 2009. In altre parole, nel corso degli ultimi 21 anni, tre presidenti degli Stati Uniti in carica per due mandati hanno insegnato a Mosca che la parola del governo degli Stati Uniti non ha nessun valore. Oggi la Russia è circondata da basi militari Usa e Nato, e altre arriveranno in Ucraina (che è stata parte della Russia per secoli), in Georgia (anche parte della Russia per secoli e paese natale di Stalin), in Montenegro, in Macedonia, in Bosnia-Erzegovina, e forse anche in Azerbaigian. Una grande distesa di terre che facevano parte dell’impero sovietico ora sono diventate parte dell’impero di Washington. L’“arrivo della democrazia” significava semplicemente “arrivo di nuovi padroni”.E’ sempre Washington che sceglie il burattino che sarà eletto segretario generale della Nato. L’ultimo è un ex politico e primo ministro norvegese, Jens Stoltenberg. Per ordine di Washington, il burattino ha messo subito le sue carte in tavola dicendo a Mosca che la Nato ha un esercito potente, che svolge il ruolo di polizia globale e che può essere dislocato ovunque voglia Washington. Affermazione questa in totale contraddizione con gli obiettivi e lo statuto della Nato. Igor Korochenko, membro del Consiglio del ministero della difesa russo, ha replicato al burattino-Stoltenberg: «Dichiarazioni di questo genere sono in contrasto con le norme del sistema di sicurezza internazionale, pertanto se la Nato dovesse rappresentare una minaccia per la Russia saranno prese misure sensibili». E le misure che possono essere prese, come rezione a una minaccia, non sono altro che quello che vi state aspettando: la disponibilità di tante armi nucleari da poter spazzar via Stati Uniti e Europa, parecchie volte.Quegli sciocchi arroganti di Washington, gongolandosi nella loro tracotanza da “nazione indispensabile”, hanno provocato Mosca fino al punto che ora la Russia ha uno schieramento di armi nucleari superiore a quello degli Stati Uniti. E’ questo il risultato che ha ottenuto Washington non mantenendo la parola data e mettendo basi missilistiche Abm sul confine della Russia: la Russia ha sviluppato un sistema di missili balistici intercontinentali supersonici che possono rapidamente cambiare traiettoria e non possono essere abbattuti da nessun sistema di difesa missilistica. Naturalmente, le società americane che guadagnano miliardi di dollari vendendo un inutile sistema Abm a Washington, negheranno tutto. Inoltre, paesi, come la Polonia, i cui governi sono tanto stupidi da accettare le basi Abm degli Usa, sarebbero annientati ancor prima di far funzionare quelle basi stesse. La stupidità dell’Europa orientale, o meglio dei governi-comprati-e-pagati per far sembrare credibile la politica di Washington sarà probabilmente la causa principale della “WW-III”, la Terza Guerra Mondiale. Chi sarà contento di entrare nel nuovo Armageddon è il complesso militare della sicurezza americana, una banda di avidi bastardi – composto da imprese “private” sovvenzionate solo da fondi pubblici, che pensano solo ai soldi, senza preoccuparsi del costo potenziale in vite umane.Il loro portavoce al Senato degli Stati Uniti, Jim Inhofe, membro della sottocommissione per le forze strategiche degli “Armed Services”, ha resuscitato l’argomento – che si raccontava 60 anni fa – che l’America è in ritardo nella corsa agli armamenti. Infatti, ricominciare la corsa agli armamenti è essenziale per far aumentare i profitti del complesso militare della sicurezza Usa e per i contributi delle campagne elettorali dei senatori. Ma quegli scriteriati di Washington non hanno ricominciato a “sfruculiare” solo le forze strategiche nucleari della Russia, ma anche quella della Cina. L’anno scorso la Cina ha fatto circolare una descrizione pittoresca su come il nucleare cinese potrebbe distruggere gli Stati Uniti. Lo ha fatto come risposta al folle piano di Washington di costruire nuove basi aeree e navali dalle Filippine al Vietnam, per controllare il flusso commerciale nel Mar Cinese Meridionale. Quanto può essere idiota un governo americano che pensa che la Cina possa sopportare una interferenza di questo genere nella sua sfera di influenza?La Cina ora ha aggiunto al suo arsenale nucleare una nuova variante di uno dei suoi apparati mobili Icbm, ma Washington non sa molto su questo nuovo missile, forse perché la Cia è troppo occupata a organizzare le proteste di Hong Kong. Sia la Russia che la Cina erano soddisfatte di essere entrate a far parte dell’economia mondiale e di poter rendere migliore la situazione economica dei loro cittadini con lo sviluppo economico. Ma subito dopo sono arrivati i neocon con l’“Unipower – la Superpotenza”, un branco di psicopatici arroganti che dicono che Washington non permetterà a nessun altro paese, nemmeno a Russia e Cina, di assurgere al rango di paese che può esercitare una politica estera indipendente dagli obiettivi di Washington. La guerra nucleare è tornata in scena. Prima Washington minaccia tutti quelli che vede come possibili rivali, poi quando questi rivali non accettano di sottomettersi, Washington li demonizza. Nelle storia scritta dagli storici di corte di Washington, i più grandi demoni dei tempi moderni furono i governi di Giappone e Germania durante la Seconda Guerra Mondiale insieme al governo sovietico di Stalin nel dopoguerra. Questi storici di corte americani non conoscono i fatti.Il Giappone fu costretto alla guerra da Washington, che tagliò la via di accesso alle risorse del paese, che poi fu “nuked” due volte mentre il suo governo stava cercando di arrendersi. Tutte le promesse del presidente degli Stati Uniti Woodrow Wilson fatte alla Germania, per mettere fine alla Prima Guerra Mondiale, come ad esempio nessuna concessione territoriale e nessun risarcimento, furono tradite. La Germania fu smembrata e parti di territorio tedesco consegnate a Polonia, Francia e Cecoslovacchia. Nonostante questa promessa del presidente americano Woodrow Wilson, invece, il Trattato di Versailles impose delle spese di riparazione impossibili, tanto che il preveggente John Maynard Keynes dichiarò che le riparazioni si sarebbero tradotte in una seconda guerra mondiale. Se la memoria non m’inganna, altri appezzamenti di terre tedesche furono assegnati anche a Belgio, Lituania e Danimarca. Questa umiliazione per un popolo industrioso e potente, messa in atto da eserciti che alla fine della Prima Guerra Mondiale occuparono territori stranieri, dimostrò – già da allora – la falsità delle cosiddette “potenze occidentali”.Furono i francesi, gli inglesi, gli americani che spianarono la strada ad Adolf Hitler. Nel 1935 Hitler era abbastanza forte da denunciare il Trattato di Versailles e se Hitler non avesse avuto l’arroganza di mandare le armate tedesche a marciare nelle steppe della Russia, dove si distrussero da sole, oggi lui, o chi per lui, sarebbe ancora al potere in Europa. La vera storia è tanto diversa da quella che Washington finge di conoscere e che viene insegnata nelle scuole americane. La maggior parte degli americani è cieca e inconsapevole che Washington sta portando il mondo ad un passo dalla guerra. Se Ebola e il riscaldamento globale non riusciranno a distruggere l’umanità, a farlo saranno l’ignoranza del popolo americano e la guerra di Washington per l’egemonia mondiale.(Paul Craig Roberts, “Washington sta distruggendo il mondo”, da “Information Clearing House” del 7 ottobre 2014, ripreso da “Come Don Chisciotte”).L’atteggiamento aggressivo e insensato che i guerrafondai di Washington continuano a tenere nei confronti di Russia e Cina ha frantumato la costruzione geopolitica messa in atto da Reagan e Gorbaciov. Reagan e Gorbaciov alla fine alla guerra fredda bandirono la minaccia di un Armageddon nucleare. Ora i neocon, tutto l’apparato militare Usa – bilancio-dipendente – (che vivono sulle spalle dei contribuenti), tutto il complesso degli organi di sicurezza, e i politici americani – dipendenti da fondi elettorali versati dall’apparato militare e da quello della sicurezza – hanno resuscitato la minaccia nucleare. Il regime corrotto e doppiogiochista di Clinton, per primo, ruppe l’accordo che l’amministrazione di George Bush fece con Mosca nel 1990, quando Mosca acconsentì alla riunificazione della Germania che diventò membro della Nato e in cambio Washington convenne che non ci sarebbe stata nessuna espansione della Nato verso est. Gorbaciov, il segretario di Stato americano James Baker, l’ambasciatore degli Usa a Mosca Jack Matlock e tutti i documenti declassificati testimoniano il fatto che a Mosca fu assicurato che non ci sarebbe stata nessuna espansione della Nato in Europa Orientale.
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Se solo la Camusso avesse il coraggio di boicottare il Pd
La Cgil, con i suoi quasi 5 milioni di iscritti, è un pezzo non irrilevante dell’elettorato Pd: pur depurando il dato dai gonfiamenti, tenendo conto del fatto che moltissimi iscritti non seguono le indicazioni elettorali del sindacato e votano Sel, Lega o M5S, resta pur sempre una quota maggioritaria che vota Pd e, considerando anche il “voto familiare”, una quota di 2 milioni – 2 milioni e mezzo di voti al Pd è una stima prudenziale. Il che significa un buon 6-7,5%. Anche ipotizzando il distacco di una metà di essi, significherebbe un 3-4% che se ne va. Renzi, ne sono convinto, vuole disfarsi della sua sinistra interna, ma non vede affatto di buon occhio il sorgere di un partito concorrente alla sua sinistra, con il 10-12% dei voti (mettendo insieme gli attuali elettorati di sinistra Pd, Sel, Rifondazione) e che magari giochi di sponda con il M5S. Nel suo schema di gioco il Pd deve trasformarsi stabilmente in un partito interclassista di centrodestra, che non faccia più neppure finta di essere di sinistra (medita anche di cambiare il nome in Partito della Nazione), ma la sinistra non deve proprio esistere, né come corrente interna né come partito esterno, deve semplicemente scomparire e non avere più alcuna rappresentanza.L’idea di Renzi è quella di un grande pachiderma al centro del sistema politico, con una serie di forze di opposizione minoritarie né coalizzabili fra loro, né in grado, ciascuna, di sfidare credibilmente il pachiderma. Qualcosa di simile a quello che è stato per lunghissimo tempo il Partito del Congresso in India (sempre che Renzi sappia dove sta l’India). Il tutto sostenuto da un sistema elettorale fortemente disrappresentativo e con alte soglie di accesso, e da un partito del leader, di tipo plebiscitario, con pochissimi iscritti e privo di democrazia interna. Per fare questo, Renzi non può permettersi una scissione (a meno che non si tratti di una pattuglia sotto quota di accesso, che resta fuori alle prime elezioni). Deve far fuori i suoi oppositori uno alla volta, disarticolarne le correnti, silurarli negli enti locali e nel partito, per poi arrivare al botto finale in occasione delle elezioni politiche, quando saranno epurati dalla liste tranne una manciata di 5 o 6 superstiti.La totale mancanza di coraggio di Cuperlo, Bersani & c., che si rifiutano di capire che non c’è possibilità di riscossa interna e che ogni giorno che passa li indebolisce, è la risorsa migliore di Renzi. In questo quadro, lo scontro con la Cgil diventa potenzialmente molto pericoloso, nonostante il teatrino messo in scena dalla Camusso e Landini, perché la cosa può sfuggire di mano a tutti e spingere a quella scissione che ora non deve avvenire. Ma cosa accadrebbe se la Cgil – oltre che fare lo sciopero generale che va benissimo – minacciasse di dare indicazione di non votare il Pd nelle prossime elezioni, costatata la sua politica apertamente antisindacale? Sarebbe divertente vedere la reazione di Renzi che, nel frattempo, sta vedendo calare i suoi consensi nei sondaggi. Ma la Camusso avrà mai un ardire del genere? Figuriamoci!(Aldo Giannuli, estratto da “Renzi fra Gentiloni e la Camusso”, dal blog di Giannuli del 3 novembre 2014).La Cgil, con i suoi quasi 5 milioni di iscritti, è un pezzo non irrilevante dell’elettorato Pd: pur depurando il dato dai gonfiamenti, tenendo conto del fatto che moltissimi iscritti non seguono le indicazioni elettorali del sindacato e votano Sel, Lega o M5S, resta pur sempre una quota maggioritaria che vota Pd e, considerando anche il “voto familiare”, una quota di 2 milioni – 2 milioni e mezzo di voti al Pd è una stima prudenziale. Il che significa un buon 6-7,5%. Anche ipotizzando il distacco di una metà di essi, significherebbe un 3-4% che se ne va. Renzi, ne sono convinto, vuole disfarsi della sua sinistra interna, ma non vede affatto di buon occhio il sorgere di un partito concorrente alla sua sinistra, con il 10-12% dei voti (mettendo insieme gli attuali elettorati di sinistra Pd, Sel, Rifondazione) e che magari giochi di sponda con il M5S. Nel suo schema di gioco il Pd deve trasformarsi stabilmente in un partito interclassista di centrodestra, che non faccia più neppure finta di essere di sinistra (medita anche di cambiare il nome in Partito della Nazione), ma la sinistra non deve proprio esistere, né come corrente interna né come partito esterno, deve semplicemente scomparire e non avere più alcuna rappresentanza.
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Benito Renzi, il Partito della Nazione e il bivacco di manipoli
“Il futuro è solo l’inizio” è l’inquietante slogan della Leopolda che esprime bene la pulsione di coloro che guidano il governo ad infrangere le barriere del presente per catapultare l’Italia in una nuova dimensione dove tutto è cambiato: le istituzioni, la società, lo Stato. E’ stato annunciato un “cambiamento violento”, un rovesciamento totale degli equilibri di potere, di assetti consolidati, di tradizioni politiche, che consentirà – secondo la narrazione dominante – di far ripartire l’Italia, di recuperare efficienza e funzionalità al sistema paese, schiacciando le resistenze corporative di sindacati, ceti professionali e corpi intermedi. In realtà i criteri che guidano i processi di riforme costituzionali ed elettorali corrispondono ad esigenze politiche, che si sono riaffacciate in varie occasioni nella vita delle nostre istituzioni; non sono delle novità, bensì delle costanti che riaffiorano nei momenti di gravi crisi economiche e di smarrimento morale. Quando ci viene annunziato un salto nel futuro, non possiamo guardare al futuro ignorando il passato da cui proveniamo. E non dobbiamo ignorare gli insegnamenti che abbiamo tratto dal passato.Fatte le dovute proporzioni, ci sono molte somiglianze fra la situazione attuale e le esperienze istituzionali che abbiamo vissuto in un passato non troppo lontano. Anche in quell’epoca il nostro paese era attanagliato da una grave crisi economica e da un ancor più grave smarrimento morale, dovuto alle inenarrabili sofferenze e alle mutilazioni che la guerra aveva provocato nel corpo sociale. C’era una diffusa insoddisfazione che si esprimeva con scioperi, manifestazioni e violenti conflitti fra opposte fazioni politiche. In questo contesto un leader politico ottenne la nomina a presidente del Consiglio, con una procedura extraparlamentare (che si svolse attraverso una sorta di primarie del manganello), promettendo un rinnovamento totale che avrebbe pacificato ogni conflitto e consolidato l’unità e la forza della nazione italiana. Questo giovane leader politico, che – come il nostro presidente – all’epoca non aveva ancora compiuto 40 anni, propugnava il mito della velocità e della giovinezza e si mostrava estremamente deciso a portare avanti il suo programma, incurante delle resistenze che provenivano da ogni dove, tanto che il suo motto preferito era: “me ne frego”.Tuttavia il Parlamento non era ancora un bivacco di manipoli, per ottenerne la fiducia il giovane presidente del Consiglio fu costretto a imbarcare nella maggioranza una serie di partiti e partitini, alcuni dei quali recalcitranti rispetto alla riforme che il Capo politico voleva attuare. Addirittura il principale dei suoi alleati in Parlamento, il Partito Popolare, fece un congresso a Torino, dove il suo segretario, pur non rinnegando l’alleanza, delegittimò il movimento del presidente del Consiglio, qualificando come “pagane” le sue teorie. Allora emerse un problema istituzionale: come poteva il presidente del Consiglio realizzare le profonde trasformazioni di cui l’Italia aveva bisogno se i suoi stessi alleati recalcitravano? Sorse quindi l’esigenza per il decisore politico di liberarsi dei ricatti di partiti e partitini. Quale fu la risposta? Cambiare la legge elettorale per cambiare la natura del Parlamento e renderlo docile ai comandi del Capo politico. Il dibattito che si svolse in occasione dell’approvazione della legge Acerbo è attuale ancora oggi, data la notevole somiglianza di quella riforma con le riforme elettorali attualmente in discussione.Giovanni Amendola osservò che la riforma elettorale cambiava la natura del Parlamento perché attribuiva al governo la facoltà di nominarsi la sua maggioranza. E così avvenne! Grazie al premio di maggioranza assegnato ad una sola lista, il Partito della Nazione guidato dal giovane presidente, pagando il modesto prezzo di imbarcare nel listone qualche fuoriuscito dei partiti alleati, ottenne una schiacciante maggioranza formata da uomini di fiducia “nominati” dal Capo politico. La nuova legge elettorale ottenne l’effetto voluto, consentì al Capo politico di sbarazzarsi del ricatto di partiti e partitini e determinò l’avvento di un partito unico al governo che, per vicende successive, si impose come unico partito. Tuttavia la legge Acerbo, alla prova dei fatti, presentava un grave difetto, non riuscì ad escludere dal Parlamento quelle forze dell’opposizione che più davano fastidio al Capo politico. Il povero presidente del Consiglio dell’epoca fu costretto ad affidarsi ad una banda di bravi per togliere di mezzo Matteotti, i cui discorsi in Parlamento venivano ripresi dai giornali e contraddicevano il mito dell’unità della nazione italiana, screditando il movimento.Non fu un’operazione politicamente indolore perché si misero di mezzo i giudici.La magistratura, che aveva quasi sempre chiuso un occhio di fronte alle operazioni delle camicie nere, quella volta non lo chiuse; forse perché le indagini furono affidate ad un giudice istruttore che si chiamava Occhiuto, il quale scopri immediatamente autori materiali e mandanti, inchiodandoli con prove schiaccianti, prima che il processo gli venisse tolto per avere una gestione più accomodante. In realtà la responsabilità politica di questo evento tragico non fu del presidente del Consiglio, ma del suo vice. Se Acerbo avesse adottato la soglia di sbarramento all’8%, prevista dal Patto del Nazareno, né Matteotti, né Gramsci sarebbero mai entrati in Parlamento. Attraverso gli opportuni accorgimenti la legge elettorale avrebbe potuto consentire al capo del governo dell’epoca (e può consentire ai governanti attuali) di sbarazzarsi dell’opposizione più fastidiosa senza la necessità di ricorrere ad atti di violenza. Oggi, attraverso i progetti di riforme costituzionali, istituzionali ed elettorali, si sono aperte le porte di un grande cambiamento. A questo punto sorge spontanea la domanda: questo grande cambiamento ci indica la strada del futuro, oppure apre le porte al passato che ritorna?(Domenico Gallo, “Il futuro è solo il passato che ritorna?”, da “Micromega” del 31 ottobre 2014).“Il futuro è solo l’inizio” è l’inquietante slogan della Leopolda che esprime bene la pulsione di coloro che guidano il governo ad infrangere le barriere del presente per catapultare l’Italia in una nuova dimensione dove tutto è cambiato: le istituzioni, la società, lo Stato. E’ stato annunciato un “cambiamento violento”, un rovesciamento totale degli equilibri di potere, di assetti consolidati, di tradizioni politiche, che consentirà – secondo la narrazione dominante – di far ripartire l’Italia, di recuperare efficienza e funzionalità al sistema paese, schiacciando le resistenze corporative di sindacati, ceti professionali e corpi intermedi. In realtà i criteri che guidano i processi di riforme costituzionali ed elettorali corrispondono ad esigenze politiche, che si sono riaffacciate in varie occasioni nella vita delle nostre istituzioni; non sono delle novità, bensì delle costanti che riaffiorano nei momenti di gravi crisi economiche e di smarrimento morale. Quando ci viene annunziato un salto nel futuro, non possiamo guardare al futuro ignorando il passato da cui proveniamo. E non dobbiamo ignorare gli insegnamenti che abbiamo tratto dal passato.
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Della Luna: tutti i falsi dogmi che fanno la nostra rovina
E’ tutto falso, ma c’è un problema: sembra vero. Viviamo in mezzo a verità di fede, spacciate per realtà. Basta ripeterle all’infinito, sui giornali e in televisione. I mercati infallibili, la spesa pubblica da tagliare, l’inevitabile Europa dell’euro. Dogmi che servono a occultare il conflitto tra oligarchia parassitaria e cittadini-lavoratori. Economia, legittimazione del potere, interpretazione della storia. Avverte Marco Della Luna: chi osa uscire dal recinto dei dogmi viene etichettato come «antagonista, estremista, antisociale, populista», viene delegittimato ed emarginato, «finché i fatti e le realtà censurate non rompono l’incantesimo del sistema dogmatico». E’ la legge del regime attuale, con la «classe finanziaria» che si prende quasi tutto il reddito disponibile ed erode, «attraverso l’indebitamento pubblico e le tasse», anche il risparmio. Questo, grazie al consenso e all’acquiescenza «ottenuti tanto mediante l’indottrinamento con dogmi, quanto con il sistematico nascondimento di conflitti di interessi, che non devono apparire onde evitare che la gente percepisca il male che le viene fatto».Nel suo blog, Della Luna offre un drammatico “inventario” dei dogmi su cui si fonda la falsa verità spacciata dal sistema. Prima favola, quella dei “mercati efficienti”, cioè liberi e trasparenti: moneta, credito, materie prime ed energia non sono oggetto di monopoli e di cartelli. I mercati «prevengono o correggono efficientemente le crisi e realizzano l’ottimale distribuzione delle risorse e dei redditi», in più «abbassano i prezzi e le tariffe» e inoltre «puniscono gli Stati inefficienti e spendaccioni mentre premiano quelli efficienti e virtuosi». Di conseguenza, «la regolazione della politica va ultimamente affidata ad essi, non ai Parlamenti». Così si arriva al secondo dogma, quello della spesa pubblica concepita come zavorra: «La spesa pubblica è la causa dell’indebitamento pubblico, il quale a sua volta è la causa delle tasse, della recessione e dell’inefficienza del sistema». Obiettivo? Facile: «Tagliare la spesa pubblica come tale e affidare i servizi pubblici alla gestione del mercato, cioè alla logica del profitto».Tutto questo, in Europa, sotto il grande ombrello del terzo dogma, quello dell’integrazione europea: che è al tempo stesso «benefica, possibile e inevitabile». Dunque, chi la contrasta «si oppone a una tendenza naturale e storica, va contro la realtà e gli interessi di tutti». L’Europa quindi «legittimamente detta le regole a cui tutti devono adeguarsi». A cominciare dalla moneta unica, cioè il dogma dell’euro, valuta che «produce la convergenza delle economie europee, quindi sostiene l’assimilazione e l’integrazione tra i paesi europei, favorisce la crescita economica e la loro solidarietà». Bugia per bugia, ecco il quinto dogma: la preziosità e scarsità oggettiva della moneta, che «non è un simbolo prodotto a costo zero, ma è un bene, una commodity, con un costo di produzione che giustifica il fatto che coloro che la producono (come moneta primaria o creditizia), in cambio di essa, tolgano grandi quote del reddito a chi produce beni e servizi reali». Lo fanno anche grazie alla pretesa “indipendenza” della banca centrale, sesto dogma: la banca centrale è indipendente dalla politica, dai governi e dai Parlamenti. «Non è vero che renda la politica dipendente dai banchieri, bensì assicura al paese un’adeguata disponibilità di liquidità e di credito, previene le bolle speculative e le crisi bancarie».Il settimo dogma è quello della contrazione salariale: «Se si riducono i salari e i diritti dei lavoratori, se si rende liberi i licenziamenti e impraticabili gli scioperi, allora i costi di produzione calano, l’economia diventa più competitiva, la disoccupazione viene riassorbita, gli investimenti aumentano e diventiamo tutti più ricchi, e non è vero che la domanda interna cali». Il lavoro scarseggia ma l’immigrazione aumenta? Nessun problema, perché l’immigrazione – ottavo dogma – è sempre benefica: «Va accolta anche sostenendo grosse spese», perché ormai «è indispensabile per compensare l’invecchiamento e il diradamento della popolazione attiva, quindi per sostenere il sistema previdenziale e per coprire i molti posti di lavoro che gli italiani rifiutano; non è vero che tolga posti di lavoro agli italiani, che faccia loro concorrenza al ribasso sui salari, che serva come manovalanza alle mafie, che comporti un apprezzabile aumento della criminalità e dei costi sanitari o assistenziali».Carattere comune di questo catechismo propagandistico, continua Della Luna, è la censura: l’occultamento dei conflitti di interesse e di bisogni, e ancor più della lotta di classe in atto. Il primo conflitto oppone la «classe globale finanziaria, improduttiva, parassitaria e speculatrice» alle classi produttive dell’economia reale, «legate ai loro territori e sempre più private di potere», di istituzioni democratiche nonché di quote di reddito, «in favore delle rendite finanziarie», attraverso «una serie di riforme del sistema finanziario, del diritto del lavoro e delle Costituzioni», e anche attraverso «i trattati internazionali come quelli europei e come il Wto, che modificano dall’esterno le Costituzioni». Forte, in Italia, il conflitto di interessi tra Nord e Sud, con risorse trasferite verso «alcune regioni meridionali, onde tenere unito il sistema paese». Terzo conflitto negato, quello dei bisogni oggettivi tra paesi manifatturieri come Italia e Germania, «nel quale la Germania ha interesse a tenere l’Italia entro una moneta comune per togliere all’Italia il vantaggio di una moneta più debole, quindi di una maggiore competitività rispetto alla Germania, così da prendere anche sue quote di mercato».Poi c’è il conflitto di bisogni oggettivi tra paesi creditori, come la Germania, e paesi debitori, come l’Italia: «I tedeschi, essendo detentori di crediti sia personali, previdenziali, da investimento, sia anche pubblici, sono interessati a mantenere forte il ricorso della valuta in cui quei crediti sono denominati, cioè l’euro». Da qui «l’esigenza di tenere stretti i cordoni della borsa, cioè di far scarseggiare la moneta» per tenerne alto il costo. Per contro, «l’Italia e gli italiani, essendo indebitati e avendo i loro investimenti perlopiù in immobili, hanno bisogno di una moneta meno forte». Quinto conflitto oscurato: quello tra paesi in recessione, che hanno bisogno di politiche monetarie espansive, e paesi in crescita, che hanno bisogno di politiche monetarie restrittive. Poi ci sono paesi ad economia manifatturiera-trasformatrice e paesi ad economia basata sui servizi finanziari e il commercio, come il Regno Unito. «Tutti conflitti che rendono dannosa l’unione monetaria, o meglio che fanno sì che la politica monetaria faccia gli interessi del paese più forte dentro di essa (la Germania) a danno dei paesi meno forti».Gli ultimi due conflitti d’interesse sono fortemente paralleli. Un conflitto classico oppone gli imprenditori ai lavoratori: «I primi hanno interesse a togliere ai lavoratori quanto più possibile forza negoziale e capacità di resistenza, di sciopero, oltre che di salario». L’altro grande conflitto, ormai dilagante, vede da una parte i cittadini-utenti e dall’altra i monopolisti (o al massimo oligopolisti) dei servizi pubblici: «Questi ultimi hanno interesse a imporre tariffe sempre più alte in cambio di servizi sempre più scarsi, onde massimizzare i loro profitti; da qui la privatizzazione sistematica di tali servizi». I pochi che, da sinistra, contestano il trend neoliberista in chiave socialista, spesso «dimenticano che il settore pubblico spende in modo inefficiente e molto condizionato dalla criminalità burocratica, partitica, mafiosa», senza trascurare il «cattivo sindacalismo» che ha incoraggiato «una mentalità e una prassi parassitarie e improduttive», squalificando la pur sacrosanta difesa dei diritti del lavoro, quelli che il neoliberismo oggi confisca.Grazie al mainstream politico e mediatico, «il complesso di dogmi e nascondimenti è stato costruito come senso comune socio-economico, cioè come percezione comune e condivisa della realtà». Proprio questo, scrive Della Luna, «consente a una classe globale parassitaria di perfezionare la spoliazione dei diritti e dei redditi delle altre classi, facendola apparire come espressione naturale di leggi impersonali del mercato, e non come una guerra di classe», come se la storia del genere umano non fosse nient’altro che «una competizione assoluta e totale tra individui per la conquista della ricchezza e del potere». Ideologia del “mercatismo”, individualismo di massa: «Ciascuno è solo davanti allo schermo, davanti alle tasse, davanti alle banche, davanti ai problemi di salute, vecchiaia, disoccupazione». Ognuno è solo «soprattutto davanti a un sempre più impersonale e grande datore di lavoro», e si scopre «senza diritti comuni, senza solidarietà e garanzie».Si vive in un mondo «dove tutto è merce e prestazione, dove la vita è riconosciuta solo come scambio di valori commerciali, dove tutto è quantificato in debiti e crediti, dove è proibito agli Stati persino introdurre tutele alla salute pubblica, se queste possono limitare il profitto delle corporations (norme del Wto e del Ttip)». Lavoro autonomo, piccole imprese, professionisti indipendenti? Tutti «vessati e costretti a cedere il campo o a confluire in grandi aziende», mentre i lavoratori dipendenti «sono impossibilitati a conservare i propri diritti, conquistati con dure e lunghe lotte, dalla scelta politica di mantenere il sistema economico, attraverso la pratica dell’austerità (della anemizzazione monetaria), in una condizione di diffusa disoccupazione e precarietà che, combinata col diritto al libero licenziamento e demansionamento dei lavoratori, priva questi di ogni potere di lotta e contrattazione, rendendo pressoché impraticabile lo sciopero».E’ un modello socio-economico «che viene costruito metodicamente, anche a livello legislativo e costituzionale, nazionale ed europeo, dalle nostre élites», denuncia Della Luna, indicando in Italia «la staffetta dei governi Berlusconi-Monti-Letta-Renzi (sotto la guida dei banchieri centrali e la locale regia di Giorgio I». E’ un modello “markt-konform”, «conforme e ideale per le esigenze del mercato, del capitale e del profitto», ma incompatibile con «le esigenze psicofisiologiche dell’essere umano, inteso sia come individuo che come famiglia, che come comunità sociale». Esigenze che comprendono «una prospettiva stabile per la progettazione e l’impostazione della vita, per la procreazione e l’educazione della prole», ma anche «ambiti di non-mercificazione e di non-competitività», con in più «la garanzia di una dimensione pubblica sottratta alla logica del profitto finanziario». L’Interesse Pubblico, estirpato dalle riforme neoliberiste degli ultimi decenni.Lo spettacolo attuale è desolante: generazioni di giovani senza lavoro o costretti ad accettare salari precari e irrisori, da contendere ai colleghi-coetanei in una spietata gara al ribasso. «E quando iniziano a invecchiare e non riescono più a tenere il ritmo, sono fuori». La prospettiva della pensione? Diventa un miraggio. Nessuna speranza, se a decidere saranno gli yes-men di cui si circonda Renzi. Nessuno che si possa opporre alla “voce del padrone”: «Se guardiamo alla storia, vediamo sempre, solo e dappertutto società che non si gestiscono dal loro interno per i loro interessi, ma sono gestite da padroni (oligarchie) esterni, che perseguono il duplice obiettivo di rinforzare il loro dominio sulla società e di intensificare lo sfruttamento di essa». Tecnologia e globalizzazione, accentramento planetario degli strumenti di controllo: oggi l’élite piò spingersi oltre ogni limite, sottoponendoci a tensioni altissime. Un giorno, però, la corda si spezzerà: «I vari sistemi di dominazione, nel corso dei secoli, si sono rotti tutti, prima o poi». Qualche fattore fa sempre saltare il gioco, conclude Della Luna. E paradossalmente, oggi più che mai, «la più concreta ragione di speranza del genere umano sta proprio in questo, ossia nel fatto che finora tutti i tentativi umani di soggiogare definitivamente l’umanità siano falliti, si siano rotti. Speriamo quindi nel caos, che vinca ancora e presto, nonostante la tecnologia».E’ tutto falso, ma c’è un problema: sembra vero. Viviamo in mezzo a verità di fede, spacciate per realtà. Basta ripeterle all’infinito, sui giornali e in televisione. I mercati infallibili, la spesa pubblica da tagliare, l’inevitabile Europa dell’euro. Dogmi che servono a occultare il conflitto tra oligarchia parassitaria e cittadini-lavoratori. Economia, legittimazione del potere, interpretazione della storia. Avverte Marco Della Luna: chi osa uscire dal recinto dei dogmi viene etichettato come «antagonista, estremista, antisociale, populista», viene delegittimato ed emarginato, «finché i fatti e le realtà censurate non rompono l’incantesimo del sistema dogmatico». E’ la legge del regime attuale, con la «classe finanziaria» che si prende quasi tutto il reddito disponibile ed erode, «attraverso l’indebitamento pubblico e le tasse», anche il risparmio. Questo, grazie al consenso e all’acquiescenza «ottenuti tanto mediante l’indottrinamento con dogmi, quanto con il sistematico nascondimento di conflitti di interessi, che non devono apparire onde evitare che la gente percepisca il male che le viene fatto».
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Landini e l’inutile difesa di questo lavoro novecentesco
Maurizio Landini si batte come un leone, bisogna ammetterlo. Con capacità e convinzione. E con efficacia mediatica fuori dal comune. Non come la moscissima Camusso, praticamente incapace di suscitare la benché minima scintilla in chicchessia tanto in piazza quanto, soprattutto, in televisione. Landini invece il suo mestiere lo sa fare benissimo. Il punto è che si tratta di un mestiere in rottamazione, tanto quello del lavoratore. Che quasi non c’è più. Beninteso, la Fiom riguarda i metalmeccanici, e il suo primo esponente fa il suo mestiere, sempre attento a non sgarrare di un millimetro rispetto al suo mandato (anche se sono in molti, ad augurarselo, nella classe lavoratrice, sperando in quel “Partito Landini” di cui si parla sempre più insistentemente). La difesa dei metalmeccanici da parte della Fiom è certamente più evidente rispetto a quella dei sindacati di qualsiasi altro settore lavorativo. E Landini si guarda bene, come è giusto che sia, dal far percepire con nettezza il successivo passo politico che pure molti si aspettano.Senonché ad ascoltarlo, cercando di ragionare più a fondo del particolare nel pure quale si cimenta, si è facilmente preda dello sconforto. Perché se da una parte ci sono le sacrosante rivendicazioni degli operai, e dall’altra quelle rapaci delle industrie che delocalizzano e riducono la forza lavoro per aumentare i profitti e i dividendi degli azionisti, sopra ogni altra cosa è con il mondo che ci troviamo di fronte che tanto gli uni quanto gli altri si devono confrontare. E quel mondo ci dice – da tempo – che è proprio il lavoro a essere agli sgoccioli. Soprattutto quel lavoro manuale che appare oggi la contesa della scontro. È almeno un decennio ormai che le “fabbriche” non producono utili in modo persistente, che i lavoratori vengono emarginati e resi più poveri e che la spirale discendente di quel sistema, in altri tempi si sarebbe detto del fordismo, si avvita sempre più indistricabilmente su se stessa.Oggi dove ci sono i macchinari, gli investimenti materiali e la necessità della forza lavoro ci sono i debiti. Dove nel business regna il virtuale e la finanza, dunque nulla di materiale, ci sono gli utili. Tanto che gli imprenditori che possono, quanto meno, diversificano i propri settori di intervento smantellando il più possibile il regno materiale per lanciarsi nella speculazione di quello virtuale. Così da una parte abbiamo governi (e quello di Renzi ne è un fulgido esempio) che operano per facilitare tale smantellamento, e dall’altra i lavoratori di una classe in via di estinzione che combattono per perdere meno terreno possibile, ma sopra a tutto c’è l’inesorabile cambiamento del mondo del lavoro e della produzione nel suo complesso che non lascia scampo a battaglie di sorta. Perché il risultato finale è già scritto nella pietra. Per intenderci: non è licenziando i lavoratori che si può indurre le fabbriche a produrre di più e non è lottando per tenere un posto di lavoro in più che si può arginare l’emorragia di senso e il funzionamento di una società dei consumi in decadenza irreversibile.Naturalmente è superfluo sottolineare che una società che licenzia e precarizza pone le basi per la sua assoluta impossibilità di riprendere a funzionare, altro che ripresa. Il labirinto di inutilità all’interno del quale si muove l’attuale diatriba sul lavoro ha come unico effetto, pertanto, quello di non lasciare tempo né spazio mentale per cercare di immaginare come potrebbe essere quella “nuova società”, quel “nuovo paradigma” che è invece indispensabile inventare, tentare, sperimentare e promuovere. Così il tutto si risolve in una classe lavoratrice asserragliata in trincea, la quale perde terreno passo passo inesorabilmente, e la classe imprenditoriale di vecchio stampo che avanza: sul deserto. Perché se è vero che i lavoratori diventano sempre più schiavi, è vero altresì che qualunque industriale i suoi prodotti, realizzati a costi inferiori quanto si vuole, con lavoratori-schiavi quanto si riesce, a qualcuno dovrà pur venderli, poi. E vendere nel deserto non è certo possibile.Landini, per tornare a chi più di altri appare in grado di proporre qualcosa che valga la pena di essere ascoltata, ci prova. Ma in una direzione che non porta da nessuna parte. Perché posto che il sistema della merce è agli sgoccioli, di lavoro, di occupazioni, la nostra società ha e avrà comunque bisogno. Ed è di nuovi lavori, di nuove occupazioni (cioè di una nuova società) che è indispensabile discutere, non di come trattenere i lavoratori all’interno di un sistema che ha già ampiamente dimostrato di non riuscire più a funzionare. Un solo esempio: che senso ha continuare a lottare per 200 o 500 posti di lavoro in più o in meno in una fabbrica di automobili che nessuno vuole più e neanche riesce a comperare ove ancora le volesse? Non sarebbe forse il caso di lottare affinché gli stabilimenti che una volta producevano automobili oggi si convertano nel produrre qualcosa di cui oggi c’è (e ci sarà) effettivo bisogno?Di materia e di oggetti, di meccanismi e di tecnologia, a meno di ritornare all’età della pietra, nel mondo ci sarà sempre bisogno. Anche Leonardo era ingegnere e meccanico. Il punto è capire su quale settore valga la pena puntare. Quale sia necessario portare avanti. Quale sia indispensabile inventare del tutto. E quale vada abbandonato. Non è di un nuovo modello di automobile che abbiamo bisogno. O di un nuovo telefonino o di un televisore a 4 o 5D, ma di servizi e opere che magari puntino al recupero, alla messa in sicurezza dell’esistente, alla riduzione dei consumi, degli sprechi e degli scarti. Non abbiamo bisogno di aggrapparci all’ultima catena di montaggio che produce marmitte per automobili che poi restano invendute. Bisognerebbe riconvertire i lavoratori in occupazioni delle quali c’è realmente bisogno. Solo al caso italiano abbiamo un paese che crolla pezzo a pezzo dal punto di vista idrogeologico, abbiamo un paese che cade in frantumi dal punto di vista urbanistico e che dipende energeticamente dagli altri. E che accumula scorie che nessuno ha ancora trovato il modo di eliminare e soprattutto di non produrre.È un paese, il nostro, che potrebbe sopravvivere quasi solo di vento e di sole, e di turismo quasi in ogni borgo. E allora è nell’energia che non produce scorie che le “industrie” dovrebbero investire, e nelle tecnologie che potrebbero usufruirne. È nel ripristino di strade e collegamenti per far raggiungere ai turisti i posti più incantevoli (disseminati ovunque) che si dovrebbe puntare. Non esiste quasi altro paese al mondo dove vi sia una così alta concentrazione di paesaggi, di cultura, di storia, dove vi sia clima tanto favorevole e cultura alimentare che tutto il mondo ci invidiano, dove in luogo di puntare ancora a testa bassa al mondo delle merci sia invece possibile virare decisamente verso un futuro con meno oggetti ma con più servizi funzionanti, con più bellezza, con più benessere. Non parliamo naturalmente di cementificazione, quanto di riqualificazione dell’esistente. Che è enorme e ha altissimo valore. Attraverso il quale fare dell’ospitalità e del buon vivere la occupazione non alienante, non inquinante e non distruttiva per dare un lavoro a tutti. Ma questo necessita di visione, di prospettiva e di volontà. Tutti aspetti dei quali la nostra classe di intellettuali, di imprenditori e di politici appare del tutto priva.(Valerio Lo Monaco, “Quell’inutile difesa di questo lavoro novecentesco”, da “Il Ribelle” del 28 ottobre 2014).Maurizio Landini si batte come un leone, bisogna ammetterlo. Con capacità e convinzione. E con efficacia mediatica fuori dal comune. Non come la moscissima Camusso, praticamente incapace di suscitare la benché minima scintilla in chicchessia tanto in piazza quanto, soprattutto, in televisione. Landini invece il suo mestiere lo sa fare benissimo. Il punto è che si tratta di un mestiere in rottamazione, tanto quello del lavoratore. Che quasi non c’è più. Beninteso, la Fiom riguarda i metalmeccanici, e il suo primo esponente fa il suo mestiere, sempre attento a non sgarrare di un millimetro rispetto al suo mandato (anche se sono in molti, ad augurarselo, nella classe lavoratrice, sperando in quel “Partito Landini” di cui si parla sempre più insistentemente). La difesa dei metalmeccanici da parte della Fiom è certamente più evidente rispetto a quella dei sindacati di qualsiasi altro settore lavorativo. E Landini si guarda bene, come è giusto che sia, dal far percepire con nettezza il successivo passo politico che pure molti si aspettano.
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Ovadia: il ‘900 è finito, infatti con Renzi torniamo all’800
Auspico un autunno caldo e la rinascita di una sinistra, autentica, altro che Pd. Se Renzi ammettesse di essere un uomo di destra, sarebbe un gesto di grande onestà intellettuale. Quando sento parlare di due sinistre, mi vien da sorridere: quale sarebbe la seconda? Il Pd? E allora io sono Papa. Il Pd non ha più nulla di sinistra. Massimo Cacciari, non un pericoloso bolscevico come me, recentemente ha spiegato come quel partito non sia mai veramente nato e che ora è nelle ferree mani di Matteo Renzi, i cui modelli sono la Thatcher e Blair. Li copia nella distruzione dello Stato Sociale e delle sue regole. Lo stesso utilizzo degli anglicismi è indicativo. Perché termini come Local Tax, Spending Review e Jobs Act? Tra l’altro se analizziamo al dettaglio, i termini sono esplicati: Job in inglese non è lavoro bensì impiego in senso lato, e Act sottintende un gesto unilaterale, non un accordo tra due contraenti. Renzi ha scardinato qualsiasi ipotesi di patto sociale.Alle europee prende il 40,8%? E’ un bravissimo comunicatore, si vende bene. Incarna la retorica del nuovismo contro chi è ancora ancorato al Novecento, peccato lui voglia tornare all’Ottocento dove si poteva licenziare arbitrariamente. Forse è più vecchio lui di quella folla che sabato scorso ha invaso Roma in difesa dei propri diritti. Vince perché altrove c’è il nulla. Grillo ha perso il treno. Poteva rappresentare un’interessante proposta ma ha sposato veementemente la retorica dell’urlo. Pur avendo ottimi parlamentari, questo va riconosciuto al M5S, hanno fallito, non sono riusciti a incidere e la novità dopo mesi annoia. Anche la destra è allo sfascio, Berlusconi è un uomo patetico. La sinistra, quella vera, avrebbe un vastissimo popolo e potrebbe arrivare anche al 20%. Ma è più presa a litigare e dal proprio narcisismo ombelicale che a fare politica. Ora è in attesa che l’ex sinistra del Pd le getti un osso. Così – tra paura, opportunismo e crisi – le persone optano per questo giovanotto tronfio, con uno stile dinamico e sbarazzino, il quale dice di voler cambiare e modernizzare il paese.Conosco gente, autenticamente di sinistra, che per mancanza di alternative alle europee l’ha votato. C’è un disperato bisogno di un’aggregazione del popolo di sinistra, lo dovrebbero auspicare anche le persone sinceramente democratiche. In tutta Europa esiste, tranne che in Italia. In Germania abbiamo la Linke, in Francia un fronte variegato intorno al 10, in Grecia l’esperienza trionfante di Syriza, in Spagna l’innovazione di Podemos. E da noi? Abbiamo bisogno di una vera sinistra capace di tutelare il mondo del lavoro, l’ambiente e arrestare razzismo e deriva ultraliberista. Senza, chi osteggerà il trattato europeo del Ttip? Chi si batterà per i beni comuni e contro le privatizzazioni? Non abbiamo l’ambizione di diventare il partito della nazione, ma una forza forte e dialogante con gli altri.Decine di operai di Terni vengono licenziati e con la disperazione nel cuore, con vite perse senza più un’occupazione, e magari con figli senza futuro, si riversano nella capitale per una manifestazione non violenta e che succede? Vengono caricati e manganellati. Ma siamo matti? In un’epoca di dramma sociale e aumento delle diseguaglianze, invece di parlare di solidarietà umana e primaria, si cancellano diritti e dignità dei lavoratori. Dubito che gli agenti l’abbiamo fatto di loro sponte, sarà giunto un comando dall’alto. Come succedeva in Gran Bretagna ai tempi della Thatcher, lì torniamo. I minatori inglesi sanno cosa hanno passato in termini di repressione per aver osato rivendicare salari dignitosi e tutele. Passatemi una battuta: il Papa sembra al momento l’unico leader di sinistra. Landini? Ha un potenziale enorme, un leader già pronto. Quando lo sento parlare in televisione, vedo l’autenticità di un uomo che la sua vita se l’è sudata. La schiettezza di un uomo senza doppi fini, che non vuole fregarti. E’ autenticamente indignato. Le sue sono parole pronunciate col cuore perché da anni vicino alla povera gente e ai deboli. La nostra Italia migliore. Altro che manganellate.(Moni Ovadia, dichiarazioni rilasciate a Giacomo Russo Spena per l’intervista “Se Renzi e il Pd sono di sinistra, io sono il Papa”, pubblicata da “Micromega” il 31 ottobre 2014).Auspico un autunno caldo e la rinascita di una sinistra, autentica, altro che Pd. Se Renzi ammettesse di essere un uomo di destra, sarebbe un gesto di grande onestà intellettuale. Quando sento parlare di due sinistre, mi vien da sorridere: quale sarebbe la seconda? Il Pd? E allora io sono Papa. Il Pd non ha più nulla di sinistra. Massimo Cacciari, non un pericoloso bolscevico come me, recentemente ha spiegato come quel partito non sia mai veramente nato e che ora è nelle ferree mani di Matteo Renzi, i cui modelli sono la Thatcher e Blair. Li copia nella distruzione dello Stato Sociale e delle sue regole. Lo stesso utilizzo degli anglicismi è indicativo. Perché termini come Local Tax, Spending Review e Jobs Act? Tra l’altro se analizziamo al dettaglio, i termini sono esplicati: Job in inglese non è lavoro bensì impiego in senso lato, e Act sottintende un gesto unilaterale, non un accordo tra due contraenti. Renzi ha scardinato qualsiasi ipotesi di patto sociale.
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La superstizione del Nuovo, per piegarci al loro dominio
Renzi definisce conservatori i compagni del suo partito, che resistono all’abolizione definitiva dell’articolo 18. Non è la prima volta, negli ultimi anni, che nel dibattito politico esplode il motivo del conflitto tra conservatori e innovatori. Con un rovesciamento di senso rispetto a quel che normalmente significano questi due termini. È un collaudato artificio retorico per mettere in difficoltà chi difende diritti e conquiste sociali consolidati, bollandolo come oppositore delle splendide novità portate dalla storia che avanza. Ci sarebbe da chiedersi se tutto il nuovo che si realizza nel corso del tempo corrisponda ad aspirazioni generali, porti benefici per tutti. Prendiamo ad esempio il campo della scienza, quello che al senso comune appare come il campo trionfante del progresso. Davvero tutto l’avanzamento scientifico dell’età contemporanea è andato a beneficio dell’umanità? La bomba atomica è stata una delle più grandi innovazioni scientifiche del ‘900.In campo militare si è passato dalle armi per combattere un nemico sul terreno a uno strumento di genocidio, di cancellazione di tutto il vivente. Mi pare difficile ascriverla tra i progressi dell’umanità. L’amianto è un magnifico materiale ignifugo, che ha trovato infinite applicazioni industriali. È un vero peccato che esso induca il tumore mortale alla pleura o al polmone. Ma quella magnifica innovazione ci è costata e continua a costarci migliaia di morti all’anno oltre alle somme ingenti per eliminarlo da case e aziende. Anche i gas clorofluorocarburi, quelli che servivano alla refrigerazione, rappresentavano una geniale innovazione chimica. Com’è noto, lacerano lo strato atmosferico dell’ozono ed espongono gli esseri viventi a raggi solari che alterano la struttura del Dna. Dunque, non sempre andare avanti significa migliorare le cose. Questa idea che cambiando l’esistente si approdi necessariamente al meglio, che andando più in là si diventi più felici che stando qui, è un vecchio cascame culturale sopravvissuto all’illuminismo. È una superstizione paesana, e ora dispositivo retorico di un ceto politico senza prospettive, che crede di cambiare il mondo cambiando il senso delle parole.Ma poi è sempre da condannare la conservazione? Chi si oppone a che un territorio verde venga coperto col cemento di nuove costruzioni genera un danno alla collettività o crea qualche vantaggio agli abitanti del luogo e più in generale ai viventi? Chi lotta perché la via Appia non divenga luogo di lottizzazione per villette private è certamente un conservatore: vuole preservare le pietre di duemila anni fa da edifici nuovi fiammanti. Ma chi esprime rispetto per la bellezza e la grandezza del nostro passato, chi ha una idea di società meno spiritualmente gretta, chi propone la visione di un paesaggio irriproducibile da godere collettivamente, chi si fa carico delle nuove generazioni, chi esprime un senso dell’interesse generale e del bene comune: è da mettere alla gogna? Tutto questo distillato di civiltà dobbiamo buttarlo via perché è vecchio?Ma la retorica contro i conservatori ha avuto come bersaglio prevalente le tutele dei lavoratori. Tanto il centro-sinistra quanto il centro-destra hanno aperto una vasta breccia di innovazione nel mondo del lavoro: hanno inaugurato l’era del lavoro precario: lavoro in affitto, a progetto, interinale, somministrato, ecc. Un florilegio mai visto di innovazioni legislative. In Italia la Fornero è riuscita a creare una figura unica nel suo genere: gli esodati, lavoratori senza salario e senza pensione. Nessuno può dire che non si tratti di una innovazione. Stabilire a vantaggio di chi è altra questione. Anche il presidente della Repubblica, nella discussione intorno all’articolo 18, ha portato un rilevante contributo di innovazione. Lo ha fatto sul piano del linguaggio. Ha esortato il governo e i suoi ad avere più coraggio. Coraggio a rendere più facilmente licenziabili operai e impiegati, coloro che tengono in piedi l’economia e i servizi del paese, spesso per un misero salario, coloro che talora entrano ed escono dalla cassa integrazione, che si infortunano, che sul lavoro ci muoiono, che rinunciano alla maternità, che vivono nell’angoscia di un licenziamento che può gettarli in strada da un momento all’altro. Non siamo di fronte a una innovazione?Chi è, nel senso comune universale, coraggioso? Certamente colui che affronta un avversario più forte, che alza la voce contro chi sta in alto. Ad esempio chi mette in atto una politica fiscale contro le grandi ricchezze, chi critica l’arrogante politica bellica degli Usa, chi cerca di limitare l’arricchimento privato di tante pubbliche professioni? Il presidente della Repubblica capovolge la verità storica e anche quella delle parole e si schiera contro i lavoratori del suo paese. A favore degli imprenditori, che così potranno disporre in piena e completa libertà della forza-lavoro. Come facciamo a non considerarlo un innovatore? Ma questa innovazione ci porta “avanti”? Indebolire la classe operaia, dunque il lavoro produttivo, non sembra che faccia avanzare le società del nostro tempo. La vasta ricerca di Thomas Piketty, (“Il capitale nel XXI secolo”, Bompiani) mostra al contrario come l’ineguaglianza che si va accumulando, stia facendo ritornare indietro la ruota della storia.Misurando il peso crescente che l’eredità va assumendo nelle società industriali odierne, egli ricorda che «il passato tende a divorare il futuro: le ricchezze provenienti dal passato crescono automaticamente, molto più in fretta – e senza dover lavorare – delle ricchezze prodotte dal lavoro, sul cui fondamento è possibile risparmiare. Il che, quasi inevitabilmente, porta ad assegnare un’importanza smisurata e duratura alle disuguaglianze costituitesi nel passato, e dunque all’eredità». “Le mort saisit le vif”, si diceva un tempo, “il morto trascina il vivo”, il passato ingoia il presente. I novatori che avanzano innalzando i loro vessilli corrono in realtà verso il passato. L’innovazione dei coraggiosi capovolge non solo la verità morale delle parole, ma anche il corso, preteso progressivo, della storia del mondo.(Piero Bevilacqua, “Il vecchio e il nuovo”, da “Il Manifesto” del 30 settembre 2014, ripreso da “Megachip”).Renzi definisce conservatori i compagni del suo partito, che resistono all’abolizione definitiva dell’articolo 18. Non è la prima volta, negli ultimi anni, che nel dibattito politico esplode il motivo del conflitto tra conservatori e innovatori. Con un rovesciamento di senso rispetto a quel che normalmente significano questi due termini. È un collaudato artificio retorico per mettere in difficoltà chi difende diritti e conquiste sociali consolidati, bollandolo come oppositore delle splendide novità portate dalla storia che avanza. Ci sarebbe da chiedersi se tutto il nuovo che si realizza nel corso del tempo corrisponda ad aspirazioni generali, porti benefici per tutti. Prendiamo ad esempio il campo della scienza, quello che al senso comune appare come il campo trionfante del progresso. Davvero tutto l’avanzamento scientifico dell’età contemporanea è andato a beneficio dell’umanità? La bomba atomica è stata una delle più grandi innovazioni scientifiche del ‘900.