Archivio della Categoria: ‘idee’
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Se gli americani si liberano dell’élite mafiosa che li domina
Non siete sorpresi che Hillary e le sue puttane della stampa non abbiano incolpato Putin per il fatto che il direttore dell’Fbi Comey ha riaperto il caso delle e-mail della Clinton? Queste hanno hanno messo in gioco la seconda carta a favore di Hillary. Hanno reso Comey il problema. Secondo il senatore Harry Reid e le puttane, non dobbiamo preoccuparci dei crimini di Hillary. Dopotutto, è solo una donna della politica che si sta creando il nido, come gli uomini in politica hanno fatto per anni. Perché tutti questi misogini continuano a tirarla in mezzo? Le puttane lamentano che il presunto crimine commesso da Comey sia molto più importante. Questo odiatore di donne repubblicano ha violato l’Hatch Act dicendo al Congresso che l’investigazione che aveva dichiarato chiusa è stata riaperta. Un’interpretazione molto strana dell’Hatch Act. Durante un’elezione va bene annunciare che il candidato presidente è innocente, ma non è ok dire che è sotto investigazione.Nel luglio 2016 Comey ha violato l’Hatch Act quando, su ordini del corrotto Attorney General di Obama, ha detto che Hillary era pulita. Facendo così, Comey ha usato il prestigio che può dare l’annuncio federale di fine indagini per la violazione dei protocolli di sicurezza da parte della Clinton per spingerla dal punto di vista elettorale. In effetti, la situazione di Hillary nei sondaggi è basata sul fatto che i sondaggisti danno maggior peso ai suoi supporter. È facile creare un favorito se pesi di più alcuni supporter nelle domande elettorali. Se si guarda alle persone che assistono alle apparizioni pubbliche, è chiaro che la popolazione statunitense preferisce Donald Trump, il quale si oppone alla guerra con la Russia e la Cina. La guerra con le potenze nucleari è una grossa parte di queste elezioni. Il problema di Hillary ha messo in difficoltà l’oligarchia statunitense, di cui la Clinton è serva fedele. Cosa faranno se vince Trump? Farà la fine di Jfk, Bob Kennedy, Martin Luther King, George Wallace? Ai posteri l’ardua sentenza. Arriverà un’inserviente di un hotel all’ultimo istante alla stessa maniera con cui le oligarchie si sono sbarazzate di Dominique Strauss-Kahn?Tutte le femministe d’occidente, progressiste e di sinistra, si erano fatte abbindolare dall’ovvia trappola tesa a Strauss-Kahn. Dopo che a Strauss-Kahn è stato impedito di candidarsi all’elezione presidenziale francese e lo si è messo nelle condizioni di dimettersi da presidente del Fmi, le autorità di New York hanno dovuto far cadere tutte le accuse contro di lui. Washington però ha ottenuto il risultato di mettere il suo vassallo Sarkozy all’Eliseo. Ecco come l’oligarchia fa a pezzi quelli che sospetta non servirebbero i suoi interessi. La corrotta ed autoreferenziale oligarchia fa in modo di avere in pugno i governi ed i media, i centri di pensiero e le maggiori università e, ovviamente grazie alle puttane della stampa, le menti degli statunitensi. Il primo interesse degli oligarchi ora è rimettere in sesto Hillary per la corsa alla presidenza, per cui vediamo se riusciranno ancora una volta ad ingannare la popolazione.Mentre siamo in attesa, preoccupiamoci di un’altra questione importante. Il sindacato criminale della Clinton negli ultimi anni del 20° secolo ha permesso a un pugno di mega-corporations di consolidare tutti i media Usa in poche mani. Questo accentramento di potere dell’oligarchia è stato ottenuto nonostante la legge antitrust. Le fusioni nel campo dei media hanno fatto a pezzi la tradizione di media divisi ed indipendenti. Ma all’un percento cosa interessa la legge federale? Nulla. Il potere dell’un percento lo rende immune alla legge. I crimini di Hillary potrebbero costarle le elezioni, ma non andrà in prigione. Non contenta del controllo del 90% dei media, l’oligarchia vuole ancora maggior concentrazione e maggior controllo. Sembra che ce la faranno, grazie al corrotto governo Usa. La Federal Trade Commission dovrebbe rafforzare la legge antitrust. Invece, l’agenzia federale abitualmente viola l’antitrust permettendo concentrazioni a livello di monopolio di interessi economico-finanziari.A causa del fallimento del governo federale nel rafforzare le proprie stesse leggi, ora abbiamo banche “troppo grandi per fallire”, un monopolio incontrollato in Internet e la distruzione dei media indipendenti. Non molto tempo fa c’era un campo dell’economia conosciuto come antitrust. Dottorandi si sono specializzati in questo campo e hanno scritto dissertazioni sul controllo pubblico dei poteri monopolistici. Suppongo che questa branca dell’economia, come gli Stati Uniti della mia gioventù, non esiste più. Rahul Manchanda spiega che «di nuovo un enorme conglomerato mediatico sta per essere assorbito da un altro enorme conglomerato mediatico, per creare un altro gargantuesco outlet dei media, in un nuovo rafforzamento dell’enorme forza, del denaro, della ricchezza, del potere intimidatorio, delle cospirazioni e del controllo», facendo a pezzi la Costituzione ed il Primo Emendamento.(Paul Craig Roberts, “Il popolo americano può sconfiggere l’oligarchia che lo governa?”, da “Counterpunch” del 2 novembre 2016, post tradotto e ripreso da “Come Don Chisciotte”. Craig Roberts, economista, è stato viceministro del Tesoro con Reagan nonché “editor” del “Wall Street Journal”; il suo libro “How the Economy Was Lost” è disponibile su “Counterpunch” in formato digitale; il suo ultimo libro è “How America Was Lost”).Non siete sorpresi che Hillary e le sue puttane della stampa non abbiano incolpato Putin per il fatto che il direttore dell’Fbi Comey ha riaperto il caso delle e-mail della Clinton? Queste hanno hanno messo in gioco la seconda carta a favore di Hillary. Hanno reso Comey il problema. Secondo il senatore Harry Reid e le puttane, non dobbiamo preoccuparci dei crimini di Hillary. Dopotutto, è solo una donna della politica che si sta creando il nido, come gli uomini in politica hanno fatto per anni. Perché tutti questi misogini continuano a tirarla in mezzo? Le puttane lamentano che il presunto crimine commesso da Comey sia molto più importante. Questo odiatore di donne repubblicano ha violato l’Hatch Act dicendo al Congresso che l’investigazione che aveva dichiarato chiusa è stata riaperta. Un’interpretazione molto strana dell’Hatch Act. Durante un’elezione va bene annunciare che il candidato presidente è innocente, ma non è ok dire che è sotto investigazione.
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Parise: il rimedio è la povertà, un tesoro di conoscenza
Il nostro paese si è abituato a credere di essere (non ad essere) troppo ricco. A tutti i livelli sociali, perché i consumi e gli sprechi livellano e le distinzioni sociali scompaiono, e così il senso più profondo e storico di “classe”. Noi non consumiamo soltanto, in modo ossessivo: noi ci comportiamo come degli affamati nevrotici che si gettano sul cibo (i consumi) in modo nauseante. Lo spettacolo dei ristoranti di massa (specie in provincia) è insopportabile. La quantità di cibo è enorme, altro che aumenti dei prezzi. La nostra “ideologia” nazionale, specialmente nel Nord, è fatta di capannoni pieni di gente che si getta sul cibo. La crisi? Dove si vede la crisi? Le botteghe di stracci (abbigliamento) rigurgitano, se la benzina aumentasse fino a mille lire tutti la comprerebbero ugualmente. Si farebbero scioperi per poter pagare la benzina. Tutti i nostri ideali sembrano concentrati nell’acquisto insensato di oggetti e di cibo. Si parla già di accaparrare cibo e vestiti. Questo è oggi la nostra ideologia. E ora veniamo alla povertà. Povertà non è miseria, come credono i miei obiettori di sinistra. Povertà non è “comunismo”, come credono i miei rozzi obiettori di destra.Povertà è una ideologia, politica ed economica. Povertà è godere di beni minimi e necessari, quali il cibo necessario e non superfluo, il vestiario necessario, la casa necessaria e non superflua. Povertà e necessità nazionale sono i mezzi pubblici di locomozione, necessaria è la salute delle proprie gambe per andare a piedi, superflua è l’automobile, le motociclette, le famose e cretinissime “barche”. Povertà vuol dire, soprattutto, rendersi esattamente conto (anche in senso economico) di ciò che si compra, del rapporto tra la qualità e il prezzo: cioè saper scegliere bene e minuziosamente ciò che si compra perché necessario, conoscere la qualità, la materia di cui sono fatti gli oggetti necessari. Povertà vuol dire rifiutarsi di comprare robaccia, imbrogli, roba che non dura niente e non deve durare niente in omaggio alla sciocca legge della moda e del ricambio dei consumi per mantenere o aumentare la produzione.Povertà è assaporare (non semplicemente ingurgitare in modo nevroticamente obbediente) un cibo: il pane, l’olio, il pomodoro, la pasta, il vino, che sono i prodotti del nostro paese; imparando a conoscere questi prodotti si impara anche a distinguere gli imbrogli e a protestare, a rifiutare. Povertà significa, insomma, educazione elementare delle cose che ci sono utili e anche dilettevoli alla vita. Moltissime persone non sanno più distinguere la lana dal nylon, il lino dal cotone, il vitello dal manzo, un cretino da un intelligente, un simpatico da un antipatico perché la nostra sola cultura è l’uniformità piatta e fantomatica dei volti e delle voci e del linguaggio televisivi. Tutto il nostro paese, che fu agricolo e artigiano (cioè colto), non sa più distinguere nulla, non ha educazione elementare delle cose perché non ha più povertà.Il nostro paese compra e basta. Si fida in modo idiota di Carosello (vedi Carosello e poi vai a letto, è la nostra preghiera serale) e non dei propri occhi, della propria mente, del proprio palato, delle proprie mani e del proprio denaro. Il nostra paese è un solo grande mercato di nevrotici tutti uguali, poveri e ricchi, che comprano, comprano, senza conoscere nulla, e poi buttano via e poi ricomprano. Il denaro non è più uno strumento economico, necessario a comprare o a vendere cose utili alla vita, uno strumento da usare con parsimonia e avarizia. No, è qualcosa di astratto e di religioso al tempo stesso, un fine, una investitura, come dire: ho denaro, per comprare roba, come sono bravo, come è riuscita la mia vita, questo denaro deve aumentare, deve cascare dal cielo o dalle banche che fino a ieri lo prestavano in un vortice di mutui (un tempo chiamati debiti) che danno l’illusione della ricchezza e invece sono schiavitù. Il nostro paese è pieno di gente tutta contenta di contrarre debiti perché la lira si svaluta e dunque i debiti costeranno meno col passare degli anni.Il nostro paese è un’enorme bottega di stracci non necessari (perché sono stracci che vanno di moda), costosissimi e obbligatori. Si mettano bene in testa gli obiettori di sinistra e di destra, gli “etichettati” che etichettano, e che mi scrivono in termini linguistici assolutamente identici, che lo stesso vale per le ideologie. Mai si è avuto tanto spreco di questa parola, ridotta per mancanza di azione ideologica non soltanto a pura fonia, a flatus vocis ma, anche quella, a oggetto di consumo superfluo. I giovani “comprano” ideologia al mercato degli stracci ideologici così come comprano blue jeans al mercato degli stracci sociologici (cioè per obbligo, per dittatura sociale). I ragazzi non conoscono più niente, non conoscono la qualità delle cose necessarie alla vita perché i loro padri l’hanno voluta disprezzare nell’euforia del benessere. I ragazzi sanno che a una certa età (la loro) esistono obblighi sociali e ideologici a cui, naturalmente, è obbligo obbedire, non importa quale sia la loro “qualità”, la loro necessità reale, importa la loro diffusione.Ha ragione Pasolini quando parla di nuovo fascismo senza storia. Esiste, nel nauseante mercato del superfluo, anche lo snobismo ideologico e politico (c’è di tutto, vedi l’estremismo) che viene servito e pubblicizzato come l’élite, come la differenza e differenziazione dal mercato ideologico di massa rappresentato dai partiti tradizionali al governo e all’opposizione. L’obbligo mondano impone la boutique ideologica e politica, i gruppuscoli, queste cretinerie da Francia 1968, data di nascita del grand marché aux puces ideologico e politico di questi anni. Oggi, i più snob tra questi, sono dei criminali indifferenziati, poveri e disperati figli del consumo. La povertà è il contrario di tutto questo: è conoscere le cose per necessità. So di cadere in eresia per la massa ovina dei consumatori di tutto dicendo che povertà è anche salute fisica ed espressione di se stessi e libertà e, in una parola, piacere estetico. Comprare un oggetto perché la qualità della sua materia, la sua forma nello spazio, ci emoziona.Per le ideologie vale la stessa regola. Scegliere una ideologia perché è più bella (oltre che più “corretta”, come dice la linguistica del mercato degli stracci linguistici). Anzi, bella perché giusta e giusta perché conosciuta nella sua qualità reale. La divisa dell’Armata Rossa disegnata da Trotzky nel 1917, l’enorme cappotto di lana di pecora grigioverde, spesso come il feltro, con il berretto a punta e la rozza stella di panno rosso cucita a mano in fronte, non soltanto era giusta (allora) e rivoluzionaria e popolare, era anche bella come non lo è stata nessuna divisa militare sovietica. Perché era povera e necessaria. La povertà, infine, si cominci a impararlo, è un segno distintivo infinitamente più ricco, oggi, della ricchezza. Ma non mettiamola sul mercato anche quella, come i blue jeans con le pezze sul sedere che costano un sacco di soldi. Teniamola come un bene personale, una proprietà privata, appunto una ricchezza, un capitale: il solo capitale nazionale che ormai, ne sono profondamente convinto, salverà il nostro paese».(Goffredo Parise, estratto da “Il rimedio è la povertà”, articolo pubblicato sul “Corriere della Sera” il 30 giugno 1974, poi incluso nell’antologia “Dobbiamo disobbedire” curata da Silvio Perrella per Adelphi e quindi ripreso da “Globalist” il 28 agosto 2015).Il nostro paese si è abituato a credere di essere (non ad essere) troppo ricco. A tutti i livelli sociali, perché i consumi e gli sprechi livellano e le distinzioni sociali scompaiono, e così il senso più profondo e storico di “classe”. Noi non consumiamo soltanto, in modo ossessivo: noi ci comportiamo come degli affamati nevrotici che si gettano sul cibo (i consumi) in modo nauseante. Lo spettacolo dei ristoranti di massa (specie in provincia) è insopportabile. La quantità di cibo è enorme, altro che aumenti dei prezzi. La nostra “ideologia” nazionale, specialmente nel Nord, è fatta di capannoni pieni di gente che si getta sul cibo. La crisi? Dove si vede la crisi? Le botteghe di stracci (abbigliamento) rigurgitano, se la benzina aumentasse fino a mille lire tutti la comprerebbero ugualmente. Si farebbero scioperi per poter pagare la benzina. Tutti i nostri ideali sembrano concentrati nell’acquisto insensato di oggetti e di cibo. Si parla già di accaparrare cibo e vestiti. Questo è oggi la nostra ideologia. E ora veniamo alla povertà. Povertà non è miseria, come credono i miei obiettori di sinistra. Povertà non è “comunismo”, come credono i miei rozzi obiettori di destra.
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Noi, i Buoni: da Berlinguer a Renzi, tra santità e salvezza
Quando Occhetto annunciò, nella sorpresa generale, che aveva deciso di cambiar nome al partito, il politologo Aldo Giannuli, allora esponente dell’estrema sinistra, esternò le sue perplessità «a un amico militante più che ortodosso del Pci e che, con uguale ortodossia aderiva alla nuova linea». L’amico, ricorda Giannuli, proruppe in un “Ma tu allora non sei anti-Pci, tu sei anti-Noi!”. E ricordò una battuta di “Cuore”, l’allora supplemento satirico dell’“Unità”, nella quale Montanelli diceva in un telegramma: “Confermato il suffisso anti, per il seguito aspettiamo il nuovo nome del partito”. «Dunque – dice oggi Giannuli – c’era un “noi” che prescindeva dall’identità comunista e che le era sottostante», un “noi” che «poteva chiamarsi in qualsiasi altro modo ma che restava uguale a se stesso». Il Pci era in pieno mutamento ideologico, dalla connotazione “comunista” sempre meno certa; «Ma, che quell’identità fosse diventata una sorta di giacca intercambiabile con tanta indifferenza, era cosa tale da sorprendere anche chi, come me, aveva sempre dubitato dell’identità comunista del Pci». Eppure, proprio da lì si può leggere la parabola che porta fino al Pd renziano, sostenuta in modo fideistico dai discepoli del “noi”, la strana chiesa.La cosa era sconcertante, continua Giannuli ripensando allo “strappo” di Occhetto, perché il Pci era il partito con la più radicata ed esibita identità ideologica, unico con scuole di partito, diffusissime riviste ideologiche e frequentissime liturgie celebrative del comunismo sovietico: almeno sino al 1981 era regolarmente celebrata la ricorrenza rivoluzionaria del 7 novembre. Com’era possibile che tutto questo si dissolvesse come un gelato a ferragosto? «Ben presto si capì che, con la sua tradizionale disciplina, il popolo comunista avrebbe ratificato a larga maggioranza la svolta. Questo era possibile solo ad una condizione: che sotto la “pelle” comunista ci fosse un’altra identità, quella sì, davvero radicata». Anche se ci fu la scissione di Rifondazione Comunista (e quella, silenziosa, di centinaia di migliaia di iscritti che non rinnovarono la tessera senza però aderire a nessun’altra formazione politica), nel complesso la maggioranza degli iscritti seguì disciplinatamente il gruppo dirigente. In nome di cosa? «Mi posi il problema di capire a quale “noi” si stava rivolgendo Occhetto – continua Giannuli – quando esortò tutti gli iscritti a non temere la svolta perché “sarebbero rimasti gli stessi di sempre”».Certo, il Pci aveva assorbito settori delle più diverse culture politiche (socialisti riformisti e massimalisti, cattolici, liberali, azionisti, persino anarchici o sinistra fascista) amalgamando tutto in una base ideologica genericamente “socialista”, ma non si trattava di quello: a essere determinante «non era l’irrompere di culture politiche altre che, per anni, avevano covato sotto la cenere comunista», perché, se così fosse stato, «avremmo assistito ad una esplosione, una diaspora». Invece, «si trattava di un flusso ordinatissimo: le sezioni cambiavano la targa all’ingresso con la massima naturalezza, gli iscritti si adattavano rapidamente al nuovo linguaggio e ai nuovi simboli», e la routine – le feste, il tesseramento – riprendeva come se nulla fosse. Il cambio di nome era solo «un astutissimo espediente tattico per superare la conventio ad excludendum e andare finalmente al governo», pensò qualcuno. «Ma la maggioranza capì perfettamente che non si trattava solo di questo e fu ben lieta di togliersi di dosso quel nome troppo pesante da portare». Quello che reggeva tutto, sottolinea Giannuli, «era quel “noi” che cercavo di identificare».Cos’era, in realtà, quell’ostentata allusione a un’identità collettiva? «Ben presto capii che era il frutto del racconto che il partito aveva fatto della sua storia: il “popolo comunista” era l’unica vera sinistra possibile, la parte migliore del paese, quella immune da scandali e corruzione e caricata di una “missione storica”, quella di “salvare l’Italia”», scrive oggi Giannuli. «L’identità comunista era stata funzionale a questo disegno ma, almeno dal 1956 (se non dal 1944) non corrispondeva ad un particolare indirizzo ideologico». Lo dimostra il fatto che, a un certo punto, scomparve dallo statuto il riferimento al marxismo: «Insomma, non era affatto indispensabile essere comunisti per aderire al Pci». D’altra parte, prosegue il politologo, «la leggenda del “comunismo italiano” diverso da tutti gli altri (in parte vera ma in parte no) venne ripetuta all’infinito, sino a cancellare tanto la radice comunista quanto anche solo quella socialista, lasciando solo il senso di appartenenza ad un soggetto che si sentiva chiamato a “salvare l’Italia” perché diverso e migliore di tutti gli altri italiani (la “diversità comunista” di Berlinguer, ricordate?), anche se la perdita della cultura di origine faceva sì che non si sapesse più da cosa si dovesse salvare il paese e come». Voilà: «La nuova identità era nuda ideologicamente, nutrita solo da una autocelebrazione ormai priva di senso. Era la “chiesa”, che è santa anche quando ha perso memoria delle sue origini e del messaggio evangelico da cui era sorta».Quando Occhetto annunciò, nella sorpresa generale, che aveva deciso di cambiar nome al partito, il politologo Aldo Giannuli, allora esponente dell’estrema sinistra, esternò le sue perplessità «a un amico militante più che ortodosso del Pci e che, con uguale ortodossia aderiva alla nuova linea». L’amico, ricorda Giannuli, proruppe in un “Ma tu allora non sei anti-Pci, tu sei anti-Noi!”. E ricordò una battuta di “Cuore”, l’allora supplemento satirico dell’“Unità”, nella quale Montanelli diceva in un telegramma: “Confermato il suffisso anti, per il seguito aspettiamo il nuovo nome del partito”. «Dunque – dice oggi Giannuli – c’era un “noi” che prescindeva dall’identità comunista e che le era sottostante», un “noi” che «poteva chiamarsi in qualsiasi altro modo ma che restava uguale a se stesso». Il Pci era in pieno mutamento ideologico, dalla connotazione “comunista” sempre meno certa; «Ma, che quell’identità fosse diventata una sorta di giacca intercambiabile con tanta indifferenza, era cosa tale da sorprendere anche chi, come me, aveva sempre dubitato dell’identità comunista del Pci». Eppure, proprio da lì si può leggere la parabola che porta fino al Pd renziano, sostenuta in modo fideistico dai discepoli del “noi”, la strana chiesa.
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Barnard: ma i padroni di Hillary temono la guerra atomica
Può sembrare assurdo, ma il rischio-guerra è minore, oggi, se la Casa Bianca finisce nelle mani del super-falco Hillary Clinton. Motivo: la Terza Guerra Mondiale non conviene ai suoi “padroni”, i signori di Wall Street. Lo sostiene Paolo Barnard, sconcertato per «l’isteria» diffusa secondo cui la Clinton – a differenza di Trump – scatenerebbe un conflitto atomico con la Russia. Errore: «Non va visto il candidato, va visto il paese», cioè gli Stati Uniti d’America, che «sono un impero», ma anche «un impero che sta crollando». Basta dare un’occhiata allo scenario geopolitico: il presidente cinese Xi Jinping che annuncia di riesumare la Via della Seta, «cioè di ricostruire l’Impero cinese dallo Stretto di Malacca fino alle porte della Turchia», e «il girone infernale del Medio Oriente, quel manicomio criminale alla deriva in cui gli Usa letteralmente si sono persi, e che li ha già succhiati dentro a una catastrofe che dissanguerà una Washington anemica fino alla morte di tutta la sua politica estera», e forse «fino a una guerra nucleare». Morale: «Qualsiasi presidente americano, in tutto l’arco che va da Bernie Sanders a Ted Cruz, dovrà affrontare il crollo dell’impero, e questo significa letteralmente che ogni giorno nei prossimi cento anni è il giorno del possibile scoppio della Terza Guerra Mondiale, convenzionale o meno, indipendentemente dal candidato alla Casa Bianca».Il punto non è assolutamente se la Clinton sia più guerrafondaia di Trump, insiste Barnard nel suo blog: «La questione è quale candidato americano assillato dal crollo dell’impero resisterà più tempo prima di una dichiarazione di guerra mondiale». E la risposta fra Trump e Clinton «è senza dubbio la Clinton, perché Hillary almeno pensa», e in più «deve rispondere ai suoi padroni», mentre Trump «non pensa e risponde solo agli sbalzi di serotonina del suo cervello da mucca pazza». Sulla Clinton, ovviamente, nessuna illusione: «Sappiamo con certezza, fin dai tempi della giovane coppia Clinton in Arkansas, chi governa e possiede quella coppia di criminali internazionali. Ne conosciamo nomi cognomi e soprattutto gli interessi, che oggi si sono spostati da quelli delle lobby agricole e immobiliari degli anni ’90, a quelli di Wall Street». E qui, per Barnard, viene il punto cruciale, se si teme la Terza Guerra Mondiale: «L’ultima cosa al mondo che la finanza vuole è una guerra nucleare, semplicemente perché non esiste modello algoritmico, statistico, o tendenza di Borsa che racconti all’uomo con le scarpe da 5.000 dollari a Manhattan o a Francoforte cosa accadrebbe alla finanza in caso di guerra nucleare. Non esiste, non ce l’hanno. E gente che oggi ha in mano assets per oltre 30 volte il Pil mondiale, non rischia il culo su un modello che non conosce».Al contrario, continua Barnard, i super-potenti dell’élite finanziaria «sanno benissimo che bottoni premere, dove investire, che profitti si fanno in caso di guerra convenzionale», ma appunto, «non in caso di guerra atomica». Sicché, «la Clinton dovrà guardarli tutti in faccia prima di schiacciare il bottone rosso e non lo farà mai per prima». Al contrario, continua Barnard, Trump sarebbe completamente solo di fronte a quattro fattori ad altissimo rischio: l’espansionismo Nato alle soglie di Mosca, le nuove mini-atomiche americane, l’esplosivo derby Israele-Iran e il dilagare delle basi militari Usa. Il pericolo è motivato da ragioni drasticamente concrete: «Qualsiasi candidato alla Casa Bianca potrebbe scatenare una Terza Guerra da un giorno all’altro, perché dovrà preservare l’Impero per la sopravvivenza di 350 milioni di americani nel loro stile di vita, che non verrà mai messo in discussione, mai». Lo dimostra il fatto che persino Bernie Sanders appoggia le guerre “utili”, infatti «ha speso parole mielose per “i nostri migliori e valorosi americani”, cioè le truppe Usa in guerra, e mai ha pronunciato una singola parola per lo smantellamento totale della finanza speculativa».L’espansionismo Nato, ricorda Barnard, nasce ben prima di Trump e Clinton: fu Ronald Reagan che, «con la faccia come il culo», tradì le promesse fatte a Gorbaciov negli anni ’80 di non espandere la Nato di un metro a Est. «Oggi la Nato è letteralmente arrivata al confine con la Russia, e “deve” farlo, sempre per il solito motivo, cioè il controllo delle risorse materiali e finanziarie» del maggior numero possibile di nazioni, «e dei flussi di energia nell’interesse dell’Impero al crollo». Attenzione: Trump «non si oppone all’espansionismo, dice solo che lo devono pagare gli altri». In effetti, «non ha mai messo in programma il ritiro Nato a ovest della Polonia». Così, «la scintilla finale con Mosca rimarrà tale e quale, pronta a scoppiare, con Donald o con Hillary o con chiunque altro». E la donna «non è affatto peggio», sostiene Barnard. Sviluppi di crisi potrebbero avere tempi brevissimi, con l’impiego di armi micidiali come le mini-atomiche B-61 Model 12 per le quali Obama ha speso 1.000 miliardi di dollari. «Escluso che la Clinton possa prendere per prima una decisione atomica per i motivi detti sopra», cioè la necessità di consultare prima i suoi “padroni” di Wall Street, «la facilità dell’uso di una testata “mini” capace ad esempio di distruggere selettivamente un’area grande come 4 quartieri di Milano, si addice molto di più a un rantolo cerebrale di Trump se, poniamo, vi fosse un attentato Isis a Filadelfia con 100 morti».In assoluto, però, secondo Barnard il maggior pericolo di guerra atomica, il più realistico, «non risiede in una consolle di un bunker di Washington, ma a Tel Aviv». Norman Finkelstein definì Israele «uno Stato psicotico». Per Barnard, «i sionisti sono non solo dei criminali internazionali di comprovata devastante letalità, ma sono anche letteralmente dei pazzi». Finora, «l’unico fattore che ha impedito a Israele di usare l’atomica sull’Iran è stata la mano del “padrone” a Washington». Ora, Trump «vuole il disingaggio degli Stati Uniti soprattutto dal rapporto Iran-Usa-Israele, e l’ha detto: per prima cosa ripudierà l’accordo Obama-Rouhani sul nucleare». Questo, per Barnard, significa solo una cosa: che «verrà tolta la “sicura” dalla pistola dei pazzi genocidi sionisti», lasciando mano libera a Tel Aviv per «far partire le testate contro l’Iran», scatenando la guerra atomica. «Qui – insiste Barnard – dobbiamo scongiurare Dio di far vincere la Clinton, che invece la mano sugli psicopatici eredi di Theodor Herzl la terrà eccome».Quanto all’espansionsimo imperiale post-Urss inaugurato con Colin Powell, la “Lillypad expansion”, cioè l’espansione a foglia di ninfea delle basi Nato, se ieri era un’opzione oggi è un “obbligo assoluto” per puntellare l’impero declinante, «pena appunto la sua morte», cominciando con l’accerchiare la Via della Seta cinese in piena costruzione. «E stanno succedendo entrambe le cose contemporaneamente», con Pechino che «ha già piazzato 46 miliardi di dollari in Pakistan protetti da oltre 10.000 soldati con la mira al Golfo Persico», e intanto «sta costruendo piste di decollo per bombardieri in tutti i distretti del Sud-Est Asiatico che controlla», mentre gli Usa «stanno circondando i cinesi» com la “Lillypad expansion” «mirando proprio agli Stretti di Malacca da cui passa la gran parte dell’energia di cui necessita Pechino». Washington «semina basi e flotte, con l’aiuto dell’Australia, come ha recentemente rivelato il grande John Pilger». Dunque: «Avete voi sentito Trump parlare di un piano sensato per la distensione con la Cina?». Soprattutto: sarebbe capace, Trump, «di pensare a una cosa immensa come un piano di distensione fra potenze?». La Clinton, almeno, «non reagirà a una crisi dei missili nel Pacifico con lo sguardo demente sotto alla parrucca di un Trump».Può sembrare assurdo, ma il rischio-guerra è minore, oggi, se la Casa Bianca finisce nelle mani del super-falco Hillary Clinton. Motivo: la Terza Guerra Mondiale non conviene ai suoi “padroni”, i signori di Wall Street. Lo sostiene Paolo Barnard, sconcertato per «l’isteria» diffusa secondo cui la Clinton – a differenza di Trump – scatenerebbe un conflitto atomico con la Russia. Errore: «Non va visto il candidato, va visto il paese», cioè gli Stati Uniti d’America, che «sono un impero», ma anche «un impero che sta crollando». Basta dare un’occhiata allo scenario geopolitico: il presidente cinese Xi Jinping che annuncia di riesumare la Via della Seta, «cioè di ricostruire l’Impero cinese dallo Stretto di Malacca fino alle porte della Turchia», e «il girone infernale del Medio Oriente, quel manicomio criminale alla deriva in cui gli Usa letteralmente si sono persi, e che li ha già succhiati dentro a una catastrofe che dissanguerà una Washington anemica fino alla morte di tutta la sua politica estera», e forse «fino a una guerra nucleare». Morale: «Qualsiasi presidente americano, in tutto l’arco che va da Bernie Sanders a Ted Cruz, dovrà affrontare il crollo dell’impero, e questo significa letteralmente che ogni giorno nei prossimi cento anni è il giorno del possibile scoppio della Terza Guerra Mondiale, convenzionale o meno, indipendentemente dal candidato alla Casa Bianca».
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Mediocrità e ipocrisia nell’Italia di Renzi alla Casa Bianca
Mi è capitata fra le mani una foto dei cosiddetti “italiani eccellenti” portati da Matteo Renzi la scorsa settimana alla Casa Bianca. Costoro, secondo la scelta del nostro primo ministro, dovrebbero rappresentare il meglio dell’Italia. Roberto Benigni: un traditore del cinema a doppia mandata. Prima volta traditore, perché ha rubato l’idea di “La vita è bella” ad un suo collega, il regista rumeno Radu Mihaileanu. Mihaileanu aveva mandato a Benigni la sceneggiatura del suo film, “Train de vie”, chiedendogli di fare il protagonista. Benigni finse di non essere interessato, solo per correre di nascosto a scrivere il suo film, “La vita è bella”, con il quale avrebbe vinto l’Oscar. Le trame dei due film sono diverse, ma l’idea di ambientare un film comico sullo sfondo dell’Olocausto è identica. Seconda volta traditore, perchè mentre il film di Mihaileanu finisce – giustamente – con il protagonista dietro al filo spinato di Auschwitz, quello di Benigni finisce in modo antistorico, con un happy end del tutto improbabile che strizza l’occhio ai poteri forti di Hollywood: quando mai un ragazzino esce vivo da una Auschwitz liberata dagli americani, solo per incontrare la sua mamma che lo aspetta sorridente sotto un albero?Nemmeno negli spot del Mulino Bianco succedono queste cose. Ma, lo sappiamo tutti, pur di vincere un Oscar c’è anche chi è disposto a stravolgere il senso della Storia. Beatrice Vio: lo sport paraolimpico è una triste invenzione dei tempi del politically correct: da una parte il mondo delle persone normali, che si ripuliscono dai sensi di colpa verso gli handicappati inventando delle Olimpiadi fatte su misura per loro. Dall’altra questi handicappati, vittime designate di questa catarsi collettiva, nella quale si finge di esaltarsi per imprese sportive che sono tali solo nei parametri del nostro relativismo sociale. Le paraolimpiadi sono il festival dell’ipocrisia collettiva, e i loro eroi non sono che il trofeo sociale di questa ipocrisia. Giusy Nicolini: il sindaco di Lampedusa è un esempio innegabile di altruismo, generosità e profondo senso civico. Ma Giusy Nicolini è soltanto la sottile foglia di fico che nasconde, proprio grazie alla sua generosità, una tragedia infinita sia dal punto di vista umano che da quello politico. La tragedia di un sistema – la cosiddetta civiltà occidentale – che da una parte porta guerre d’invasione in tutto il mondo, e dall’altra è assolutamente incapace di gestire i risultati catastrofici che queste guerre vengono a creare.Di Paolo Sorrentino so poco (“E ci sarà un motivo”, direbbero Aldo Giovanni e Giacomo). So solo che ha fatto un film mediocre, con il quale è riuscito inspiegabilmente a vincere un Oscar. Forse gli americani hanno creduto di trovarsi di fronte ad un nuovo “La dolce vita”, ma sta di fatto che nessun critico italiano, per quanto venduto possa essere, è riuscito a gridare al capolavoro. Sorrentino è il classico emblema della mediocrità elevata ad eccellenza per semplice mancanza di talenti reali. Raffaele Cantone: il famoso magistrato incaricato da Renzi di combattere corruzione, mafia e clientelismo nel nostro paese. Finge di beccare qualcuno ogni tanto, spara sentenze feroci (ma innocue) contro i corrotti, mentre in realtà si presta volentieri a fare da emblema di un’Italia che finge di combattere i propri mali, quando questi stessi mali vengono alimentati da scelte politiche decisamente ambigue, come ad esempio i continui condoni per gli evasori fiscali.Giorgio Armani: “Re Giorgio” è sicuramente un’eccellenza di valore assoluto. Ma eccellenza di che cosa, se non dell’effimero? Che cosa rappresenta l’alta moda, in un mondo di 6 miliardi di persone nel quale cinque e mezzo di loro fanno la fame, se non il trionfo dell’élite a discapito di tutti gli altri? Celebrare un uomo che ha costruito un impero basato sull’apparenza invece che sulla sostanza significa in fondo celebrare l’effimero al posto del reale, l’inutile al posto dell’utile, la stupidità al posto dell’intelligenza. Con questa squadra di persone (e pochi altri) il nostro premier ha pensato bene di andare a rappresentare l’Italia alla Casa Bianca. Qualcuno potrebbe domandarsi, a questo punto, perché non abbia scelto di portare invece un tornitore della Breda in cassa integrazione, un agricoltore del Salento che lavora sottocosto, o un disoccupato del Lodigiano costretto a dormire in macchina con tutta la famiglia perché non riesce più a pagare il mutuo della sua casa. Ma questo sarebbe stato troppo, perché si rischiava che di colpo la dura realtà di oggi facesse irruzione nel mondo da cartolina del nostro amatissimo Matteo Renzi.(Massimo Mazzucco, “Foto di gruppo alla Casa Bianca”, dal blog “Luogo Comune” del 24 ottobre 2016).Mi è capitata fra le mani una foto dei cosiddetti “italiani eccellenti” portati da Matteo Renzi la scorsa settimana alla Casa Bianca. Costoro, secondo la scelta del nostro primo ministro, dovrebbero rappresentare il meglio dell’Italia. Roberto Benigni: un traditore del cinema a doppia mandata. Prima volta traditore, perché ha rubato l’idea di “La vita è bella” ad un suo collega, il regista rumeno Radu Mihaileanu. Mihaileanu aveva mandato a Benigni la sceneggiatura del suo film, “Train de vie”, chiedendogli di fare il protagonista. Benigni finse di non essere interessato, solo per correre di nascosto a scrivere il suo film, “La vita è bella”, con il quale avrebbe vinto l’Oscar. Le trame dei due film sono diverse, ma l’idea di ambientare un film comico sullo sfondo dell’Olocausto è identica. Seconda volta traditore, perchè mentre il film di Mihaileanu finisce – giustamente – con il protagonista dietro al filo spinato di Auschwitz, quello di Benigni finisce in modo antistorico, con un happy end del tutto improbabile che strizza l’occhio ai poteri forti di Hollywood: quando mai un ragazzino esce vivo da una Auschwitz liberata dagli americani, solo per incontrare la sua mamma che lo aspetta sorridente sotto un albero?
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Questo è un golpe di fatto, e va fermato con il nostro No
Mentre Obama sbaracca, la pacchiana cena di propaganda alla Casa Bianca conclude la sua disastrosa presidenza su una nota particolarmente squallida. Come Verdini e Alfano anche Obama sostiene la riforma renziana. L’appoggio del Supercazzaro degli Stati Uniti uscente, anzi ormai quasi uscito, potrebbe però essere controproducente per il sì almeno quanto quelli della Merkel, e della finanza internazionale. La riforma renziana, che sapeva chiaramente di sóla fin dall’inizio, adesso ha la stessa credibilità d’un farmaco consigliato da una ditta di pompe funebri. Non ci sono più dubbi su chi siano i mandanti di Renzi: abbiamo le rivendicazioni. Anche il fronte opposto ha purtroppo qualche Captain Boomerang, Monti, D’Alema, Brunetta, la Suicide Squad del no: un gruppo di bastardi costretti dalle circostanze a combattere dalla parte giusta, contro un bastardo ancora peggiore. Per quanto sia difficile immaginarsi Giorgia Meloni nei panni di Harley Quinn, la vittoria del no rimane comunque più che mai necessaria.L’endorsement di Obama al sì di Renzi è infatti direttamente condizionato all’impegno militare italiano in Libia e in Lettonia. Il no alla truffaldina riforma renziana è quindi anche un indispensabile no alla dissennata deriva neocoloniale. Un no alla guerra. Non a caso una delle modifiche, della quale il governo non parla, riguarda proprio l’articolo 78, che cambierebbe così: «Art. 78. – La Camera dei deputati delibera a maggioranza assoluta lo stato di guerra e conferisce al Governo i poteri necessari». Con l’Italicum, il partito che vince il ballottaggio ottiene automaticamente la maggioranza assoluta alla Camera, quindi sia il governo, che il potere esclusivo di dichiarare guerra indisturbato come un monarca assoluto. Questo è un golpe di fatto, e deve essere fermato.Per la prima volta da anni un nostro voto potrà davvero fare la differenza. E non certo per merito dell’attuale classe dirigente, è la Costituzione che vuole rottamare a prevedere questo obbligatorio passaggio referendario, un fail safe che Renzi non è riuscito ad aggirare, benché ci abbia provato col Patto del Nazareno. Per la prima, e probabilmente ultima volta abbiamo l’occasione di scaraventare la Boschituzione – Costituzione Boschi – nel cassonetto dell’indifferenziata al quale appartiene, e liberarci d’un governo di cazzari arroganti, incapaci, guerrafondai, completamente asserviti alla finanza internazionale e all’industria bellica, che è diventato anche fisicamente pericoloso. Perdere questa occasione per noi sarebbe il vero suicidio.(Alessandra Daniele, “Sbarack Oboomerang”, da “Megachip” del 23 ottobre 2016)Mentre Obama sbaracca, la pacchiana cena di propaganda alla Casa Bianca conclude la sua disastrosa presidenza su una nota particolarmente squallida. Come Verdini e Alfano anche Obama sostiene la riforma renziana. L’appoggio del Supercazzaro degli Stati Uniti uscente, anzi ormai quasi uscito, potrebbe però essere controproducente per il sì almeno quanto quelli della Merkel, e della finanza internazionale. La riforma renziana, che sapeva chiaramente di sóla fin dall’inizio, adesso ha la stessa credibilità d’un farmaco consigliato da una ditta di pompe funebri. Non ci sono più dubbi su chi siano i mandanti di Renzi: abbiamo le rivendicazioni. Anche il fronte opposto ha purtroppo qualche Captain Boomerang, Monti, D’Alema, Brunetta, la Suicide Squad del no: un gruppo di bastardi costretti dalle circostanze a combattere dalla parte giusta, contro un bastardo ancora peggiore. Per quanto sia difficile immaginarsi Giorgia Meloni nei panni di Harley Quinn, la vittoria del no rimane comunque più che mai necessaria.
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Trump: Hillary e i media, l’impero criminale è nel panico
Il nostro movimento vuole sostituire un establishment politico fallito e corrotto – e quando dico “corrotto”, intendo dire totalmente corrotto – con un nuovo governo controllato da voi, il popolo americano. L’establishment politico farà di tutto – racconteranno qualsiasi bugia, pur di mantenere a vostre spese il prestigio e il potere di cui godono. Ed è quello che sta succedendo. L’establishment di Washington e le società finanziarie e i media che lo finanziano esistono per una sola ragione: per proteggere e arricchire se stessi. L’establishment si gioca migliaia di miliardi di dollari in queste elezioni. A titolo di esempio, soltanto uno degli accordi commerciali che vorrebbero far passare vale migliaia di miliardi di dollari, controllati da molti paesi, società e gruppi di pressione. Perché coloro che controllano le leve del potere a Washington, e interessi particolari a livello mondiale, collaborano con queste persone, che non hanno in mente il vostro bene. La nostra campagna rappresenta per loro una vera minaccia esistenziale, come non ne hanno mai viste prima. Non si tratta semplicemente di un altro mandato di quattro anni. Questo è un punto di svolta nella storia della nostra civiltà in cui si determinerà se noi, il popolo, riusciremo a riprendere il controllo del nostro governo.L’establishment politico che sta cercando di fermarci è lo stesso che porta la responsabilità dei nostri accordi commerciali disastrosi, dell’immigrazione di massa, delle politiche economiche e della politica estera che hanno dissanguato il nostro paese. La classe politica ha portato alla distruzione delle nostre fabbriche e dei nostri posti di lavoro, dirottati in Messico, in Cina e in altri paesi in tutto il mondo. I dati sull’occupazione appena pubblicati rimangono deboli. Il nostro prodotto interno lordo, o Pil, è appena sopra l’1%. E sta calando. I lavoratori degli Stati Uniti stanno producendo meno di quanto si produceva quasi 20 anni fa, ma stanno lavorando di più. E lo stesso vale per me, e quindi posso dirvelo. Si tratta di una struttura di potere globale responsabile delle decisioni economiche che hanno deprivato la nostra classe operaia, spogliato il nostro paese della sua ricchezza e messo quei soldi nelle tasche di un pugno di grandi società e gruppi politici. Basta guardare a quello che questo establishment corrotto ha fatto delle nostre città, come Detroit; Flint, Michigan; e delle città rurali in Pennsylvania, Ohio, North Carolina e in tutto il nostro paese. Date un’occhiata a quello che sta succedendo. Hanno spogliato queste città. Le hanno saccheggiate e hanno portato i posti di lavoro lontano dal nostro paese, e non tornernno mai più, a meno che io non sia eletto presidente.La macchina Clinton è al centro di questa struttura di potere. L’abbiamo visto chiaramente nei documenti di Wikileaks, in cui Hillary Clinton ha incontri segreti con le banche internazionali per pianificare la distruzione della sovranità degli Stati Uniti, al fine di arricchire questi poteri finanziari globali di cui condivide gli interessi e che sono i suoi finanziatori. Sì, è vero. Onestamente, dovrebbe essere rinchiusa. E allo stesso modo le e-mail mostrano che la macchina Clinton è così strettamente e irrevocabilmente legata alle organizzazioni dei media che – ascoltate questa – del dibattito con Bernie Sanders le sono state date le domande e le risposte in anticipo. Ad Hillary Clinton hanno anche dato il potere di veto sulle citazioni che la riguardano sul “New York Times”. Sicuramente non lo fanno con me, questo posso dirvelo. E le e-mail mostrano che i giornalisti collaborano e cospirano direttamente con il comitato elettorale di Clinton su come aiutarla a vincere le elezioni. C’è in gioco il loro controllo sul nostro governo, ci sono in gioco migliaia di miliardi di dollari, e la macchina Clinton è determinata a distruggere la nostra campagna elettorale, ma questo non deve accadere.L’arma più potente messa in atto da Clinton è la grande stampa. Cerchiamo di essere chiari su una cosa, i grandi media nel nostro paese non hanno più niente a che fare col giornalismo. Si tratta di un particolare gruppo di interesse politico non diverso da qualsiasi lobbista o altro ente finanziario con un programma politico, e l’ordine del giorno non è nel vostro interesse, è nel loro. E il loro ordine del giorno è quello di eleggere ad ogni costo Hillary Clinton, la corrotta, a qualsiasi prezzo, non importa quante vite vengano distrutte. Per loro si tratta di una guerra, e non hanno limiti. Questa è una lotta per la sopravvivenza della nostra nazione, credetemi. E l’8 novembre sarà la nostra ultima possibilità di salvarla, ricordatelo. Con questa elezione si deciderà se siamo una nazione libera, o se abbiamo solo l’illusione della democrazia, ma siamo di fatto controllati da un piccolo gruppo di interessi particolari globali che stanno manipolando il sistema, e il nostro sistema è truccato. Questa è la realtà, voi lo sapete, loro lo sanno, io lo so, e praticamente tutto il mondo lo sa. L’establishment e i loro sostenitori dei media controlleranno questa nazione con mezzi che sono molto ben conosciuti. Chiunque sfida il loro controllo è condannato come sessista, razzista, xenofobo, e moralmente deforme.Vi attaccheranno, vi calunnieranno, cercheranno di distruggere la vostra carriera e la vostra famiglia, cercheranno di distruggere tutto di voi, anche la vostra reputazione. Mentiranno, diranno menzogne, menzogne, e ancora peggio, faranno tutto ciò che è necessario. I Clinton sono criminali, ricordatelo. Sono criminali. Questo è ben documentato, e l’establishment che li protegge è impegnato in un massiccio insabbiamento di attività criminali diffuse presso il Dipartimento di Stato e la Fondazione Clinton, al fine di mantenere i Clinton al potere. Mai nella storia abbiamo visto un insabbiamento come questo, la distruzione totale di 33.000 e-mail; 13 iPhone, alcuni anche con il martello; computer portatili; interi fascicoli di prove mancanti; e molte, molte altre cose. Le persone che sono in grado di compiere questi crimini contro la nostra nazione sono capaci di tutto. E così ora affrontiamo le calunnie e la diffamazione che appena ieri sera sono state gettate su di me dalla macchina Clinton e dal “New York Times” e altri media, come parte di un attacco concertato, coordinato e feroce.Non è un caso che questi attacchi arrivino nello stesso esatto momento, tutti insieme nello stesso momento in cui Wikileaks pubblica i documenti che espongono la massiccia corruzione internazionale della macchina Clinton, tra cui più di 2.000 e-mail solo questa mattina. Queste affermazioni feroci sul mio comportamento inappropriato con le donne sono totalmente e assolutamente false. E i Clinton lo sanno, e lo sanno molto bene. Queste accuse sono state costruite. Sono pura finzione, sono menzogne. Questi fatti non sono mai, mai accaduti e le persone che si sono prestate a dire queste cose lo sanno benissimo. Guardate queste persone, studiatele, e lo capirete. Le accuse sono assurde, ridicole, e sfidano la verità, il buon senso e la logica. Abbiamo già degli elementi di prova sostanziali per contestare queste menzogne, e saranno resi pubblici in modo adeguato e al momento opportuno, molto presto. Queste bugie provengono da delle fonti le cui storie e accuse precedenti sono già state screditate. Gli organi di stampa non hanno nemmeno tentato di confermare i fatti, perché anche una semplice indagine avrebbe mostrato che non erano altro che falsità.Sei mesi fa, il “New York Times” ha scritto un articolo lunghissimo per attaccarmi, e la testimone centrale che hanno usato ha poi detto che la storia era falsa; che lei era stata citata erroneamente. Lei ha detto che ero una brava persona. Ha avuto un grande coraggio, sarò onesto con voi. Era una persona straordinaria. Non ha mai fatto quelle osservazioni. Quando ho letto l’articolo, è stata una sorpresa – come avrebbe potuto dire quelle cose? E infatti non lo aveva dette. Abbiamo chiesto una ritrattazione, ma si sono rifiutati di pubblicarla, proprio come si sono rifiutati di pubblicare i commenti di un’altra fonte, un suo libro dove mi elogiava, o le parole di un’altra meravigliosa donna che ha detto cose molto belle su di me. Hanno messo altre dichiarazioni che lei non aveva fatto, travisandole. La storia era una frode ed è una gran vergogna per il “New York Times”, un grande articolo in prima pagina. Prima pagina, centrale, foto a colori, una vergogna. Erano molto imbarazzati, e questo farà parte della causa che stiamo preparando contro di loro.Oggi gli stessi due autori screditati, che avrebbero dovuto essere già stati licenziati dal “New York Times” per quello che hanno fatto, raccontano un’altra storia completamente inventata e falsa, che presumibilmente ha avuto luogo su un aereo più di 30 anni fa. Un altro racconto ridicolo, nessun testimone, niente di niente. Poi, c’è stata una giornalista del “People Magazine”, che aveva scritto un articolo su Melania e su di me nel nostro primo anniversario. L’articolo era bello, molto piacevole. Ma, ieri sera, abbiamo sentito, dopo 12 anni – questo articolo era stato scritto 12 anni fa – una nuova accusa su delle avances che avrei fatto alla giornalista durante l’intervista… E ho posto una domanda molto semplice: perché non ne ha parlato nell’articolo pubblicato 12 anni fa? Perché non ne ha parlato? Io ero una delle più grandi stelle in televisione con “The Apprentice” e sarebbe stata una delle più grandi storie dell’anno. Pensate, stava scrivendo questo articolo su Melania, che era incinta al momento. E Donald Trump, al nostro primo anniversario, faceva avances alla giornalista, e tra l’altro, in un’area pubblica, con gente da tutte le parti. Date un’occhiata, guardatela. Guardatela, e considerate le sue parole. Ditemi, cosa ne pensate. Io non credo – non credo.Queste sono persone orribili, orribili bugiardi. Ed è interessante notare, capita che tutto questo venga fuori 26 giorni prima delle elezioni, non è incredibile? Ora il “New York Times” sta lottando disperatamente per la sua sopravvivenza finanziaria. E probabilmente chiuderà tra non molto, vista la sua situazione finanziaria. Il che non sarebbe una brutta cosa, se l’obiettivo è conoscere la verità. Ma via via che la situazione si fa sempre più problematica, c’è sempre più corruzione, e vigliaccheria. E anche gli altri media mainstream stanno continuando a infierire, e tutto tra oggi e l’8 novembre. E bisogna vedere gli articoli che hanno scritto, uno dopo l’altro, fatti che non significano nulla, giornalismo di terz’ordine. I grandi editori del passato del “New York Times” e degli altri giornali, signore e signori, si rigirano nella tomba. Non permetterò alla macchina Clinton di trasformare la nostra campagna in una discussione sulle loro calunnie e menzogne. Rimarrà focalizzata sui problemi che il popolo americano deve affrontare. Ma lasciatemelo dire il più chiaramente che posso, questi attacchi sono orchestrati dai Clinton e dai media loro alleati. L’unica cosa che la Clinton ha dalla sua parte è la stampa: senza la stampa, lei è zero assoluto.Manca meno di un mese alle elezioni più importanti del nostro tempo. E i sondaggi ci danno testa a testa. Non credeteci. L’ultimo sondaggio e il più autorevole, il Rasmussen, venuto fuori stamattina, appena pubblicato, dà Trump avanti di due punti percentuali. Bello. La nostra grande civiltà, qui in America e in tutto il mondo civile, è giunta alla resa dei conti. Lo abbiamo visto nel Regno Unito, dove hanno votato per liberarsi dal governo globale e dagli accordi commerciali a livello globale, dalle politiche sull’immigrazione che hanno distrutto la loro sovranità e hanno distrutto molte nazioni. Ma la base centrale del potere politico mondiale è proprio qui, in America; il nostro corrotto sistema politico è il più grande potere che appoggia gli sforzi per una globalizzazione radicale e per la privazione dei diritti dei lavoratori. Le loro risorse finanziarie sono praticamente illimitate, le loro risorse politiche sono illimitate, i loro mezzi di comunicazione sono senza pari, e, soprattutto, la profondità della loro immoralità è assolutamente senza limiti.Consentiranno ai terroristi islamici di entrare nel nostro paese a migliaia. Faranno entrare il grande cavallo di Troia – e io non voglio che la gente tra cent’anni o ducento si volti indietro e gli venga raccontata una storia in cui eravamo condotti da personaggi inetti, incompetenti e corrotti come Barack Obama e Hillary Clinton. Non vogliamo esser parte di quella storia. E a proposito, il presidente Obama dovrebbe smetterla di fare campagna elettorale e cominciare a creare posti di lavoro, cominciare a lavorare per tirar su il nostro Pil, cominciare a lavorare per rafforzare i nostri confini. L’establishment politico corrotto è una macchina, non ha anima. Sapevo che questi attacchi calunniosi sarebbero arrivati. Sapevo che questo giorno sarebbe arrivato, era solo una questione di quando. E sapevo che il popolo americano sarebbe stato superiore e avrebbe votato per il futuro che merita. L’unica cosa che può fermare questa macchina corrotta siete voi. L’unica forza potente abbastanza da salvare il nostro paese siamo noi. L’unico popolo abbastanza coraggioso da votare contro questo establishment corrotto siete voi, il popolo americano.Loro controllano incredibilmente il Dipartimento di Giustizia. E si sono anche segretamente incontrati con il procuratore generale degli Stati Uniti. Si sono incontrati per 39 minuti e molto probabilmente è stato il tempo di discutere la sua riconferma, in una amministrazione Clinton, come procuratore generale, appena prima di prendere la decisione sull’opportunità o meno di perseguire Hillary Clinton. Credo proprio che abbiano parlato del fatto che lei rimarrà nella sua posizione sotto l’amministrazione corrotta di Hillary Clinton. Nello stesso modo, hanno sostanzialmente corrotto il direttore del Fbi, al punto in cui già si dice in giro che i grandi – e sono davvero grandi – uomini e donne che lavorano per l’Fbi sono nell’imbarazzo e nella più grande vergogna per quel che questa persona ha fatto alla nostra grande istituzione, la stessa Fbi. Hillary Clinton è colpevole di tutte le affermazioni che il direttore Comey ha fatto alla sua conferenza stampa e all’audizione al Congresso e molto altro. Eppure, dopo aver letto tutti quei capi d’accusa, di cui lei era indubbiamente colpevole, l’ha scagionata. Mentre tante altre vite, tra cui quella del generale Petraeus e molte altre, sono state distrutte per molto, molto meno. Questa è una cospirazione contro di voi, contro il popolo americano, e non posiamo permettere che tutto questo accada e vada avanti.Questo è il nostro momento della resa dei conti, come società e anche come civiltà. Non ho bisogno di fare questo, gente, credetemi. Ho costruito una grande azienda, e ho avuto una vita meravigliosa. Avrei potuto godere i frutti e i benefici di anni di affari e di successo per me e la mia famiglia. Invece di passare attraverso questo orrore assoluto di menzogne, inganni, attacchi ingiuriosi – chi l’avrebbe detto? Lo sto facendo perché questo paese che amo mi ha dato tanto, e sento con forza che è il momento di ricambiare. Molti dei miei amici e molti esperti di politica mi hanno avvertito che questa campagna sarebbe stata un viaggio verso l’inferno. Ma si sbagliano. Sarà un viaggio verso il paradiso, perché aiuteremo tante persone che hanno disperatamente bisogno di aiuto. Nella mia vita precedente ero un insider, come tanti altri. E sapevo cosa vuol dire e so ancora cosa vuol dire essere un insider. Non è male, non è male. Ora sono stato punito per essere uscito dallo specialissimo club e per avervi rivelato le cose terribili che stanno accadendo nel nostro paese. Poiché facevo parte del club, io sono l’unico che può risolvere il problema. Sto facendo questo per il popolo e per il movimento, e prenderemo di nuovo questo paese, per voi, e faremo di nuovo grande l’America.L’establishment corrotto sa che siamo una grande minaccia per la loro impresa criminale. Sanno che se vinciamo il loro potere è finito, e sarà restituito a voi, al popolo. Quando si guarda ai nostri accordi commerciali che sono così sconvenienti. Il nostro debito è raddoppiato in sette anni e mezzo, a quasi 20 miliardi di dollari, sotto Obama. Dobbiamo raddrizzare il nostro paese. Il nostro è un movimento come non l’abbiamo mai visto nella storia di questo paese. Anche gli esperti, anche i media – che per i loro motivi sono assolutamente avversi a Donald Trump – ammetteranno che questo è un movimento di cui non si è mai visto l’uguale. Ed è un movimento sui veterani che hanno bisogno di cure mediche. Sulle madri che hanno perso i loro amati figli per il terrorismo e il crimine. Sulle città dell’interno e sulle città di confine che hanno disperatamente bisogno del nostro aiuto. Sui milioni di disoccupati in America. Sugli americani che non trovano posti di lavoro perché l’occupazione si è spostata in Messico e in molti altri paesi. Questa elezione è sulle persone schiacciate da Obamacare. E sulla necessità di sconfiggere l’Isis e nominare una Corte Suprema e un giudice della Corte Suprema – potrebbero essere quattro o cinque – col compito di difendere e proteggere la nostra Costituzione.Questa elezione è anche sugli afro-americani e ispanici-americani, così importanti per me, le cui comunità sono state gettate nella criminalità, nella povertà e nel degrado delle scuole dalle politiche corrotte di Hillary Clinton. Credetemi, è marcia. Se si guardano i quartieri poveri delle città si vede una pessima istruzione, non c’è lavoro, nessuna sicurezza. Vai a fare la spesa con tuo figlio e ti sparano. Esci di casa per vedere cosa sta succedendo, e ti sparano. A Chicago 3.000 persone sono state assassinate dal 1° gennaio. Non abbiamo intenzione di lasciare che accada. Che vi piaccia o no Donald Trump, direte tutti che mantiene quello che dice. Siamo superiori alle bugie, alla sporcizia, alle ridicole calunnie dei giornalisti anche loro ridicoli e molto, molto disonesti. Voteremo per il paese che vogliamo, per il futuro che vogliamo, e per mandare a casa questo governo corrotto, e subito. Hanno tradito i nostri lavoratori, hanno tradito i nostri confini e, soprattutto, hanno tradito le nostre libertà. Salveremo i nostri diritti sovrani come nazione. Porremo fine alla politica del profitto; al governo degli interessi particolari; alla rapina dei nostri posti di lavoro da parte di altri paesi. Il nostro Giorno dell’Indipendenza è a portata di mano, e finalmente arriva, l’8 novembre.(Donald Trump, estratto del discorso elettorale tenuto a Palm Beach il 13 ottobre 2016, tradotto e ripreso da “Voci dall’Estero”).Il nostro movimento vuole sostituire un establishment politico fallito e corrotto – e quando dico “corrotto”, intendo dire totalmente corrotto – con un nuovo governo controllato da voi, il popolo americano. L’establishment politico farà di tutto – racconteranno qualsiasi bugia, pur di mantenere a vostre spese il prestigio e il potere di cui godono. Ed è quello che sta succedendo. L’establishment di Washington e le società finanziarie e i media che lo finanziano esistono per una sola ragione: per proteggere e arricchire se stessi. L’establishment si gioca migliaia di miliardi di dollari in queste elezioni. A titolo di esempio, soltanto uno degli accordi commerciali che vorrebbero far passare vale migliaia di miliardi di dollari, controllati da molti paesi, società e gruppi di pressione. Perché coloro che controllano le leve del potere a Washington, e interessi particolari a livello mondiale, collaborano con queste persone, che non hanno in mente il vostro bene. La nostra campagna rappresenta per loro una vera minaccia esistenziale, come non ne hanno mai viste prima. Non si tratta semplicemente di un altro mandato di quattro anni. Questo è un punto di svolta nella storia della nostra civiltà in cui si determinerà se noi, il popolo, riusciremo a riprendere il controllo del nostro governo.
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Sylos Labini: solo lo Stato può salvarci dall’inferno dell’euro
Scrisse Antonio Gramsci: «La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere». Questa citazione descrive bene ciò che sta succedendo nel periodo attuale, sostiene Stefano Sylos Labini: il capitalismo finanziario neoliberista è entrato in crisi ormai da anni e sta utilizzando l’intervento delle banche centrali per rimanere in piedi. Si è capito che i vecchi approcci sono ormai superati perché non riescono più a garantire crescita e benessere diffuso. «L’intervento pubblico è paralizzato dal peso del debito mentre il sistema bancario si è inceppato e non sta finanziando in modo adeguato le famiglie e le imprese». Per questo servono nuove logiche di intervento per sostenere l’economia reale. Sylos Labini cita il Sardex, moneta complementare lanciata in Sardegna come “sistema di compensazione di credito reciproco”, attraverso cui l’economia reale crea la sua moneta per finanziare scambi e investimenti evitando l’intermediazione del sistema bancario. Ma ovviamente non basta: «E qui in Europa abbiamo anche il problema dell’euro», aggiunge l’economista, «che si fonda su delle regole che impediscono di promuovere la crescita dell’economia e non consentono di attuare politiche per ridurre la disoccupazione».Si tratta di una situazione preoccupante, se consideriamo gli imponenti fenomeni migratori che si stanno riversando sul Vecchio Continente, osserva Sylos Labini in una riflessione prooposta al festival “Mitzas” di Cagliari e ripresa da “Megachip”. «Si parla di piani di accoglienza e di re-distribuzione dei migranti, ma quello che serve è un grande Piano del Lavoro: questa gente se si ferma in Europa deve lavorare per avere un reddito. Ma in tal caso il Piano del Lavoro deve riguardare – e con diritto di precedenza – i disoccupati europei, che sono circa 20 milioni di persone». Attenzione: «Solo lo Stato può garantire quel contributo fondamentale all’impiego in lavori di pubblica utilità, servizi sociali, manutenzione del territorio e delle infrastrutture». Il settore privato può fare la sua parte, certo, «ma da solo non sarà mai in grado di risolvere il problema della disoccupazione». Non esiste alternativa allo Stato, che «deve avere le risorse finanziarie nonché le capacità organizzative per offrire un impiego a tutti coloro che sono in grado di lavorare».E se non riusciremo a mettere in campo delle nuove politiche economiche per assicurare una vita dignitosa alla popolazione europea, continua Sylos Labini, corriamo il rischio di entrare in quella che Giorgio Ruffolo ha definito una “Nuova Età dei Torbidi”: dopo la fase socialdemocratica dell’Età dell’Oro e la fase neoliberista dell’Età del Capitalismo Finanziario, oggi si sta profilando una nuova fase storica dominata dalla destra protezionista e nazionalista. A Bretton Woods nel 1944 si era stabilito un sistema che prevedeva una forte limitazione dei trasferimenti di capitale da un paese all’altro dando piena libertà agli scambi commerciali. Questo sistema, ricorda l’economista, lasciava ai governi nazionali un largo spazio di autonomia nella gestione della politica monetaria e della politica economica. «In tal modo si consolidò un compromesso tra capitalismo e democrazia che in Europa permise ai governi socialdemocratici di assicurare benessere diffuso e piena occupazione».Alla fine degli anni ‘70, però, «si scatenò la controffensiva capitalistica: Reagan e la Thatcher avviarono un processo di deregolamentazione e di liberalizzazione dei movimenti di capitale che determinò un completo rovesciamento dei rapporti di forza sia tra capitale e lavoro, sia tra capitalismo e democrazia», creando «una condizione di fortissimo vantaggio per le grandi imprese private nei confronti degli Stati nazionali». Da quel momento, prosegue Sylos Labini, la capacità di intervento dello Stato nell’economia andò incontro ad un drastico ridimensionamento, mentre i lavoratori iniziarono a subire i ricatti delle delocalizzazioni produttive: imprese trasferite nel terzo mondo, dove il lavoro costa pochissimo, a tutto vantaggio del nuovo capitalismo finanziario. «Si è creato così un mercato finanziario integrato che ha consentito al capitale di tutto il mondo di entrare in collegamento e di dar luogo all’“internazionale dei capitalisti”, un’élite globale che concentra in sé un potere immenso». Ironia della storia: «L’appello di Karl Marx, “proletari di tutto il mondo unitevi”, si è realizzato, ma al contrario».Oggi, i mercati finanziari sono diventati un’istituzione strutturata. E si esprimono come gli Stati. «È ben noto, infatti, che a Wall Street si tengono riunioni periodiche dei capi delle grandi banche e delle società finanziarie che stabiliscono i tassi di interesse e, attraverso le decisioni di investimento, possono sfiduciare i governi che attuano politiche economiche non gradite, condizionando il destino di intere popolazioni». Di fatto, «la democrazia è stata svuotata e la sovranità popolare umiliata». Vie d’uscita? Una: «Superare la globalizzazione gestita dal capitale finanziario». Ma costruire un nuovo modello di sviluppo non sarà semplice, «perché il vasto schieramento che è contro l’austerità e il liberismo non ha una strategia unitaria». Troppe fazioni, in contrasto tra loro. «Una situazione particolarmente grave in Europa, dove esiste il problema di una moneta unica che sta allargando i divari tra il blocco dell’euro-marco e i paesi della periferia». Per Sylos Labini, «ci troviamo in una trappola infernale», perché «uscire dalla moneta unica è complicato», ma «continuare con queste politiche economiche ci porterà al disastro». E sperare in una svolta progressista dell’Europa è «un’ingenua illusione».Scrisse Antonio Gramsci: «La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere». Questa citazione descrive bene ciò che sta succedendo nel periodo attuale, sostiene Stefano Sylos Labini: il capitalismo finanziario neoliberista è entrato in crisi ormai da anni e sta utilizzando l’intervento delle banche centrali per rimanere in piedi. Si è capito che i vecchi approcci sono ormai superati perché non riescono più a garantire crescita e benessere diffuso. «L’intervento pubblico è paralizzato dal peso del debito mentre il sistema bancario si è inceppato e non sta finanziando in modo adeguato le famiglie e le imprese». Per questo servono nuove logiche di intervento per sostenere l’economia reale. Sylos Labini cita il Sardex, moneta complementare lanciata in Sardegna come “sistema di compensazione di credito reciproco”, attraverso cui l’economia reale crea la sua moneta per finanziare scambi e investimenti evitando l’intermediazione del sistema bancario. Ma ovviamente non basta: «E qui in Europa abbiamo anche il problema dell’euro», aggiunge l’economista, «che si fonda su delle regole che impediscono di promuovere la crescita dell’economia e non consentono di attuare politiche per ridurre la disoccupazione».
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Può scapparci una bomba (atomica) se giochi coi terroristi
L’America fa paura: è indebolita ma resta pericolosa, senza una vera leadership. Non sta cercando di inziare una Terza Guerra Mondiale contro la Russia, ma un “incidente” con armi nucleari non è da escludere, a forza di “giocare” coi terroristi, armati e arruolati per servire Washington sotto falsa bandiera. Lo afferma Dmitry Orlov, scrittore e ingegnere russo-americano. «I vertici militari e i politici possono anche essere deliranti, megalomani e potenzialmente suicidi, ma i personaggi di medio livello che sviluppano i piani di guerra hanno di rado tendenze suicide», premette Orlov. Inoltre, nel teatro che più di ogni altro potrebbe provocare l’irreparabile – la Siria – Mosca ha «accuratamente limitato le opzioni del Pentagono». Per abbattere il governo Assad servirebbe infatti l’imposizione di una “no-fly zone”, che però è impossibile: i russi hanno dotato i siriani del sistema missilistico S-300, «che può abbattere qualunque cosa voli sui cieli di quasi tutta la Siria e parte della Turchia». Il motivo principale per iniziare una guerra, oggi? «E’ il fatto che l’esercito siriano sta vincendo la battaglia di Aleppo». Una in fuga «gli jihadisti appoggiati dagli americani», la guerra civile siriana «sarà praticamente finita e inizierà la ricostruzione».Questo risultato appare sempre più inevitabile, scrive Orlov in un post tradotto da “Come Don Chisciotte”. E così, «il progetto americano di vedere una bandiera nera sventolare su Damasco è in frantumi». Ma, «siccome gli americani sono gente che non sa perdere», c’è il rischio che qualcuno possa «commettere azioni casuali e autodistruttive». Dietro alla cosiddetta “isteria anti-Putin”, comunque, Orlov vede soprattutto il riflesso della “isteria anti-Trump”: «La stampa corporativa è tutta a favore della Clinton». E la strategia della Clinton, «anche se patetica», consiste nell’affermare che Trump «è il fattorino di Putin», perciò «la strategia è demonizzare Putin e sperare che un po’ di questa demonizzazione ricada su Trump». Ma non funziona: «I recenti sondaggi di opinione negli Stati Uniti mostrano che Putin è più popolare sia della Clinton che di Trump». Eppure, «la preoccupazione che la guerra con la Russia possa scoppiare per un incidente rimane», visto anche il “talento” dimostrato dagli Stati Uniti, in passato, nel creare disastri.Gli americani, ricorda Orlov, contrastarono con successo l’Unione Sovietica in Afghanistan armando e addestrando estremisti islamici (i Mujaheddin), e questo «è solo un esempio di dove il “terrorismo americano per interposta persona” ha avuto successo». Terrorismo «inventato per l’occasione da Zbigniew Brzezinski e Jimmy Carter», fu in sostanza «un piano per distruggere l’Afghanistan allo scopo di salvarlo e, in pratica, funzionò, ma solo per la parte che riguardava la distruzione dell’Afghanistan». Da allora in poi, il piano «è fallito tutte le volte, a tutti i livelli, ma questo non ha impedito agli americani di perseverare nei tentativi di utilizzarlo». Vero: «Ci hanno provato in Cecenia, finanziando e armando i separatisti ceceni, ma lì la Russia ha avuto il sopravvento e ora la Cecenia è una parte pacifica della Federazione Russa. E naturalmente ci hanno provato in Siria, nel corso degli ultimi cinque anni, con gli stessi, scarsi risultati». Se la Siria seguirà l’esempio ceceno, continua Orlov, nel prossimo decennio «sarà una repubblica riunificata, secolare, con elezioni libere e democratiche, ricostruita con l’assistenza russa e cinese e con i grattacieli di Aleppo che rivaleggeranno con quelli della ricostruita Grozny, in Cecenia».Nel frattempo, gli Usa continueranno con i tentativi di usare altrove il loro “terrorismo per interposta persona”? «Si potrebbe pensare che, dopo il loro fallimento nel sostenere i “combattenti per la libertà” in Cecenia, gli strateghi americani abbiano imparato la semplice lezione: il “terrorismo per interposta persona” non funziona. Ma non imparano quasi mai dai loro errori», preferendo «raddoppiare la posta in gioco di questa tattica fallimentare». Infatti, «mentre usavano i terroristi per contrastare i sovietici in Afghanistan, hanno accidentalmente creato i Talebani, poi hanno invaso l’Afghanistan e hanno combattuto i Talebani per tutti gli ultimi 15 anni, ogni volta sempre con meno successo». Quando poi il “terrorismo per interposta persona” contro i propri nemici è fallito, «gli americani hanno poi deciso di usarlo contro se stessi: un attacco terroristico, presumibilmente commesso l’11 Settembre dalle stesse persone che essi avevano addestrato ad equipaggiato in Afganistan, rinominate al-Qaeda, li spinse ad attaccare l’Iraq». All’epoca non c’erano terroristi in Iraq, ma gli americani “risolsero” subito il problema: smantellarono l’esercito di Saddam creando la nuova milizia che chiamarono Nic, cioè “New Iraqi Corps”, «beatamente ignoranti del fatto che “nic”, nell’idioma locale, vuol dire “fottere”».Intanto, agli ufficiali iracheni imprigionati veniva data ampia opportunità di esasperarsi, di creare una rete di collegamenti e di confrontarsi a vicenda; sicché, «dopo il loro rilascio fondarono l’Isis, che a sua volta si prese una bella fetta di Iraq, poi di Siria». Il problema degli Usa, oggi, è l’assenza di leadership: «Né Obama, né la Clinton, né Trump contano», sostiene Orlov. Così, senza un vero piano in ambito geopolitico, «vengono cautamente confinati e contrastati da altre nazioni, le quali hanno capito che, anche nella loro senescenza e decrepitezza, gli Stati Uniti rimangono (comunque) pericolosi». C’è da temere che continuino a ricorrere al “terrorismo per interposta persona”, «anche se periodicamente si faranno male da soli», ma a un certo punto qualche scheggia impazzita «potrebbe accidentalmente scappare di mano e scatenare un conflitto maggiore». I media accreditano la sensazione di una rottura definitiva tra Mosca e Washington, per esempio sulla Siria, dove invece Usa e Russia hanno solo sospeso i negoziati bilaterali – quelli multilaterali, invece, continuano. Ma attenzione: i russi non resteranno accomodanti all’infinito, avverte Orlov.Di recente, Mosca ha reagito a muso duro dopo l’“accidentale” bombardamento delle truppe siriane a Deir-ez-Zor, chiaramente coordinato con l’Isis, che immediatamente dopo l’attacco è passato all’offensiva. Una palese violazione del cessate il fuoco, che ha indotto i russi a definire gli statunitensi “incapaci di onorare un accordo”. Peggio ancora: «Alcuni osservatori hanno fatto notare che il fiasco di Deir-ez-Zor fa capire come l’amministrazione Obama non abbia più il controllo del Pentagono». Ipotesi rafforzata quando «gli americani, o i loro terroristi mercenari, hanno bombardato un convoglio umanitario e hanno tentato di scaricare la colpa sui russi». In più, i russi hanno appena cancellato un accordo sulla riduzione dell’eccesso di plutonio, «l’unico trattato sulla riduzione delle armi che Obama era riuscito a negoziare in tutti i suoi otto anni di incarico». Motivo del dietrofront russo: gli Usa «non sono riusciti a smaltire la loro quota di plutonio». La Casa Bianca ha subito la “punizione” senza neanche un minimo accenno sulla stampa nazionale, «che probabilmente era troppo impegnata a fare l’isterica».L’America fa paura: è indebolita ma resta pericolosa, senza una vera leadership. Non sta cercando di inziare una Terza Guerra Mondiale contro la Russia, ma un “incidente” con armi nucleari non è da escludere, a forza di “giocare” coi terroristi, armati e arruolati per servire Washington sotto falsa bandiera. Lo afferma Dmitry Orlov, scrittore e ingegnere russo-americano. «I vertici militari e i politici possono anche essere deliranti, megalomani e potenzialmente suicidi, ma i personaggi di medio livello che sviluppano i piani di guerra hanno di rado tendenze suicide», premette Orlov. Inoltre, nel teatro che più di ogni altro potrebbe provocare l’irreparabile – la Siria – Mosca ha «accuratamente limitato le opzioni del Pentagono». Per abbattere il governo Assad servirebbe infatti l’imposizione di una “no-fly zone”, che però è impossibile: i russi hanno dotato i siriani del sistema missilistico S-300, «che può abbattere qualunque cosa voli sui cieli di quasi tutta la Siria e parte della Turchia». Il motivo principale per iniziare una guerra, oggi? «E’ il fatto che l’esercito siriano sta vincendo la battaglia di Aleppo». Una volta in fuga «gli jihadisti appoggiati dagli americani», la guerra civile siriana «sarà praticamente finita e inizierà la ricostruzione».
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Trump e le donne: la cara, vecchia macchina del fango
Se c’è qualcuno che ancora non ha capito quale sia l’importanza del cosiddetto “media news cycle”, ovvero il ciclo giornaliero delle news americane, vorrei offrirgli questa breve riflessione. Io per abitudine guardo la “Cnn” almeno un’ora al giorno. Nell’arco di quell’ora, infatti, mi rendo conto di quale sia il ciclo particolare delle news di quel giorno (dopo un’ora le notizie cominciano a ripetersi, e a meno di eventi eccezionali non cambiano più fino al giorno dopo). Partiamo quindi dal clamoroso scoop del “Washington Post”, che venerdì 7 ottobre ha reso pubblico il video del 2005 nel quale Donald Trump si vantava di poter fare alle donne tutto quello che vuole, “perché tanto lui è famoso”. Non appena compresa l’importanza della notizia Trump è corso ai ripari, e nel giro di 8 ore (venerdì sera) ha pubblicato su Facebook un video nel quale “si scusava” per quelle dichiarazioni, giustificandosi con il fatto che «però Bill Clinton ne racconta di molto peggio, quando andiamo insieme a giocare a golf».Il sabato mediatico è quindi trascorso a decidere se le scuse di Trump fossero sufficienti (e sincere), oppure no. Poi c’è stato il confronto diretto con la Clinton, domenica sera, e l’argomento ha occupato una sana mezz’ora del dibattito a reti unificate. Durante questo dibattito il moderatore, Anderson Cooper, ha avuto l’astuzia di chiedere a Trump se le sue fossero state «soltanto vanterie», oppure se avesse fatto davvero quelle brutte cose alle donne. Trump è caduto nella trappola e ha negato di averle fatte veramente, dicendo che in fondo si trattava solo di “locker room talk” (discorsi da spogliatoio, tipicamente maschili). A partire da lunedì, quindi, hanno iniziato ad uscire allo scoperto diverse donne che accusavano Trump di averle molestate sessualmente nel corso degli anni. Il focus del “news cycle” si è quindi spostato su ciascuna di queste donne, e sulla credibilità delle loro accuse. Trump sosteneva che fossero state pagate per mentire, mentre le donne sostenevano di essere state realmente molestate.Siamo andati avanti così per diversi giorni, con nuove donne che uscivano allo scoperto praticamente ogni giorno, ciascuna riempiendo il “news cycle” con la propria vicenda personale. Ad oggi siamo arrivati a 9 donne diverse che accusano Trump di averle molestate sessualmente. E ora che il filone delle accusatrici sembra estinguersi, l’argomento è passato in mano agli sportivi. Proprio mentre scriviamo queste righe, alla “Cnn” stanno intervistando diversi sportivi famosi, i quali si fingono offesi e indignati dalle parole di Trump. «Non è vero che negli spogliatoi facciamo questi discorsi», dicono gli eroi nazionali del baseball e del basket: «Noi siamo persone serie, rispettiamo le donne e negli spogliatioi parliamo soprattutto di sport». Certo, come no. E ‘l mi babbo è Michael Jackson. Grazie quindi a questo mix di ipocrisia politically correct e di mastodontico spin mediatico, siamo arrivati al decimo giorno consecutivo in cui sulle televisioni americane non si parla d’altro che delle molestie sessuali di Trump. Guardate che non è affatto poco, per una nazione che sceglierà il proprio presidente fra meno di tre settimane.(Massimo Mazzucco, “L’importanza del news cycle sui media americani”, dal blog “Luogo Comune” del 16 ottobre 2016).Se c’è qualcuno che ancora non ha capito quale sia l’importanza del cosiddetto “media news cycle”, ovvero il ciclo giornaliero delle news americane, vorrei offrirgli questa breve riflessione. Io per abitudine guardo la “Cnn” almeno un’ora al giorno. Nell’arco di quell’ora, infatti, mi rendo conto di quale sia il ciclo particolare delle news di quel giorno (dopo un’ora le notizie cominciano a ripetersi, e a meno di eventi eccezionali non cambiano più fino al giorno dopo). Partiamo quindi dal clamoroso scoop del “Washington Post”, che venerdì 7 ottobre ha reso pubblico il video del 2005 nel quale Donald Trump si vantava di poter fare alle donne tutto quello che vuole, “perché tanto lui è famoso”. Non appena compresa l’importanza della notizia Trump è corso ai ripari, e nel giro di 8 ore (venerdì sera) ha pubblicato su Facebook un video nel quale “si scusava” per quelle dichiarazioni, giustificandosi con il fatto che «però Bill Clinton ne racconta di molto peggio, quando andiamo insieme a giocare a golf».
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Foa: Hillary ci trascina in guerra con Putin. Renzi? Esegue
Fra Donald Trump e Hillary Clinton io non mi chiedo chi è il migliore dei due, ma chi è il meno peggio, il meno pericoloso. Paradossalmente, conoscendo bene Hillary e vedendo i disastri che ha fatto in Libia, nel mondo arabo e in Siria all’inizio della guerra, quando era segretario di Stato, e sapendo che Hillary Clinton in realtà è una “neocon”, ovvero una rappresentante degli orientamenti del neo-conservatorismo estremo che ha guidato la politica Usa dal 2011 a oggi coi risultati disastrosi che vediamo, ebbene io dico che tra i due è molto meno rischioso Trump, non foss’altro perché vuole una distensione con la Russia, mentre Hillary – come Obama – preme per un conflitto con la Russia. E io rabbrividisco al solo pensiero di un conflitto tra Stati Uniti e Russia, in Europa, con il rischio che vengano usate le armi atomiche. E’ veramente una follia, e per questo penso che Trump sarebbe meno pericoloso di Hillary.I soldati italiani che saranno inviati al confine con la Russia? E’ gravissimo, ma purtroppo non è sorprendente. Renzi, che fa le sue sparate pubbliche contro l’Unione Europea e qualche tempo fa, anche con un certo coraggio, si era schierato con posizioni favorevoli o simpatizzanti nei confronti della Russia, poi quando l’America ti dice (tramite la Nato) che bisogna mandare soldati in Lituania, Estonia, al confine con la Russia, non ha il coraggio di opporsi, perché alla fine chi comanda sono gli Stati Uniti – e nessun leader europeo, tranne poche eccezioni, ha il coraggio di dire no, di anteporre gli interessi nazionali. Questo è un altro aspetto che non viene dibattuto, e invece è molto significativo: per me questa decisione è scandalosa, perché ci espone al rischio di una rappresaglia diretta da parte della Russia, rischio che non possiamo permetteci di correre, e soprattutto lancia un messaggio sbagliatissimo: l’Italia è amica della Russia e deve evitare queste forme di provocazione. Purtroppo, invece, l’evidenzia dimostra che, se Washington dice “bisogna che voi mandiate i soldati”, l’Italia poi china la testa e manda i soldati. Dovremmo veramente chiederci se tutto questo è davvero nel nostro interesse.La Russia non ha fatto nulla per provocare gli Stati Uniti. Ma gli americani, nei loro disegni strategici, sono convinti che la Russia debba essere controllata. Sono convinti che, controllando lo spazio eurasiatico, possano mantenere la leadership nel mondo e mettere in un angolo la Cina. Putin non è un leader allineato. Inizialmente lo era; ma poi, quando l’America ha iniziato a occuparsi dell’Ucraina, si è reso conto che non poteva fidarsi degli americani ed è cominciata questa schermaglia, inizialmente verbale, e poi sfociata nelle sanzioni. Il vero obiettivo degli Stati Uniti è provocare l’uscita di scena di Putin: sostituirlo con un leader russo che sia in realtà molto amico degli Usa, come peraltro era Eltsin. E per far questo sono disposti a tutto: l’arma delle sanzioni, l’arma delle minacce.Ma attenzione: i russi non sono un piccolo paese come l’Iraq, o un paese che può essere facilmente messo sotto pressione come qualunque piccolo paese occidentale. La Russia resta una grande potenza, dotata di una certa intelligenza e di un servizio di intelligence raffinato. E infatti le risposte che vediamo sono veramente fuori dagli schemi. Il problema è che questo disegno degli americani rischia di portare il mondo a una nuova guerra mondiale, a una guerra nucleare. Il rischio, purtroppo, è molto concreto. E io sono davvero preoccupato: se fino a oggi non ci siamo arrivati è perché la Russia è riuscita a mantenere i nervi molto saldi. Ma, mi chiedo: c’è davvero bisogno di spingerci fino a questo punto? La risposta, ovviamente, potere immaginarla.(Marcello Foa, dichiarazioni rilasciate alla trasmissione web-radio “Border Nights” del 18 ottobre 2016, condotta da Fabio Frabetti in collaborazione con Stefania Nicoletti – un lungo colloquio radiofonico, in cui Foa si è espresso in modo approfondito e circostanziato sulla scandalosa reticenza dei media mainstream soprattutto in relazione ai gravissimi abusi commessi da Hillary Clinton).Fra Donald Trump e Hillary Clinton io non mi chiedo chi è il migliore dei due, ma chi è il meno peggio, il meno pericoloso. Paradossalmente, conoscendo bene Hillary e vedendo i disastri che ha fatto in Libia, nel mondo arabo e in Siria all’inizio della guerra, quando era segretario di Stato, e sapendo che Hillary Clinton in realtà è una “neocon”, ovvero una rappresentante degli orientamenti del neo-conservatorismo estremo che ha guidato la politica Usa dal 2011 a oggi coi risultati disastrosi che vediamo, ebbene io dico che tra i due è molto meno rischioso Trump, non foss’altro perché vuole una distensione con la Russia, mentre Hillary – come Obama – preme per un conflitto con la Russia. E io rabbrividisco al solo pensiero di un conflitto tra Stati Uniti e Russia, in Europa, con il rischio che vengano usate le armi atomiche. E’ veramente una follia, e per questo penso che Trump sarebbe meno pericoloso di Hillary, che attraverso la Fondazione Clinton si è fatta finanziare dall’Arabia Saudita e dal Qatar, i due paesi arabi accusati di sostenere l’Isis.
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Scalfari sdogana l’oligarchia e i dogmi dell’élite reazionaria
L’oligarchia «è il governo dei pochi ma è la sola forma d’un governo democratico». Continua la campagna di Scalfari – tanto caro a certa (sedicente) sinistra da salotto – che, attraverso un altro ragionamento contorto e surreale, non solo giustifica l’oligarchia, ma la accomuna di nuovo alla democrazia, compiendo un’opera di mistificazione. Ci aveva già provato, infatti, con un articolo scritto all’indomani del confronto Renzi vs Zagrebelski, di cui consiglio vivamente la lettura. Ci sarebbero tante cose da dire, ma mi soffermo su di una in particolare. Innanzitutto, la democrazia (quella rappresentativa, s’intende) è sì una delega del potere (dai “molti” ai “pochi”), ma pro-tempore: questa è la prima cosa che bisogna sottolineare, visto che si parla di un mandato a scadenza, pensato apposta per non conferire permanentemente poteri a nessuno. Dopodiché, i cittadini hanno il diritto di scegliere liberamente i propri rappresentanti, tramite elezioni: la delega, dunque, segue la logica – di derivazione illuminista – del “contratto sociale”, secondo la tradizione inaugurata dal giusnaturalismo (o scuola del diritto naturale laico).La democrazia – almeno in via di principio – afferma il diritto da parte di tutti di concorrere per una carica politica (elettorato passivo), così come il diritto di voto universale (elettorato attivo). Le oligarchie, invece, il governo “dei pochi”, non contemplano la partecipazione popolare alle decisioni collettive. Possono essere manifeste, occulte, agiscono dentro e/o fuori dalle strutture preposte all’esercizio del potere e, a seconda dei casi, si basano su un diritto divino di governare le masse (oligarchie religiose: ad es. caste sacerdotali), su uno “status d’ascrizione” (aristocrazie di sangue), sulla gestione della governance economica globale (oligarchie finanziarie: banche d’affari, multinazionali, conglomerati vari), su una gestione burocratica dei processi politico-economici e sociali (oligarchie tecnocratiche: Bce, Commissione Europea) o su una presunta superiorità spirituale (oligarchie iniziatiche: società misteriosofiche/esoteriche varie; in primis la massoneria, in riferimento alle sue declinazioni interne di stampo conservatore, neo-aristocratico e reazionario, lontane dall’ideale democratico-progressista).La questione, poi, si fa ancora più sottile e malefica, se pensiamo che negli ultimi 40 anni in Occidente c’è stato questo tentativo (riuscito, ad oggi) di piegare la democrazia, lasciandola nelle forme ma svuotandola nella sostanza – dopo quello fallito di eliminarla ovunque, anche dal punto di vista formale, con l’esperimento nazifascista – facendola diventare una “oligarchia de facto”. Come? Delegittimando la politica e il ruolo dello Stato e, contemporaneamente, legittimando il mercato; grazie alle sue leggi (domanda-offerta, “mano invisibile”, ecc), una comunità di individui sarebbe in grado di auto-regolarsi, senza il bisogno di un intervento governativo. Idea, questa, che sta alla base di una vera e propria teologia dogmatica – il neoliberismo – intrinsecamente anti-democratica, neo-oligarchica e falsamente liberale. Dunque, nel momento in cui Eugenio Scalfari accomuna i due concetti sopra esposti, non solo dice qualcosa di non vero, ma è anche in malafede.Egli, infatti, cerca – in maniera assai subdola – non tanto e non solo di screditare la democrazia, quanto soprattutto (e qui sta la chiave del discorso) di legittimare – da un punto di vista filosofico – oltre che difendere, l’oligarchia stessa. Che è, in sostanza, la modalità di governo attualmente dominante in Occidente. Almeno finché la democrazia non verrà smantellata anche nelle sue forme. Prima di chiudere, riprendo un attimino la citazione iniziale e vi sottopongo una riflessione: l’oligarchia «è il governo dei pochi ma è la sola forma d’un governo democratico». Non sentite anche voi puzza di “teorie trioculari”? Questa citazione non vi ricorda – almeno vagamente – le affermazioni contenute in “The Crisis of Democracy”, famigerato rapporto della Trilateral Commission redatto nel 1975? A me sì.(Rosario Picolla, “Scalfari, l’oligarchia e la democrazia”, dal blog del “Movimento Roosevelt” del 14 ottobre 2016).L’oligarchia «è il governo dei pochi ma è la sola forma d’un governo democratico». Continua la campagna di Scalfari – tanto caro a certa (sedicente) sinistra da salotto – che, attraverso un altro ragionamento contorto e surreale, non solo giustifica l’oligarchia, ma la accomuna di nuovo alla democrazia, compiendo un’opera di mistificazione. Ci aveva già provato, infatti, con un articolo scritto all’indomani del confronto Renzi vs Zagrebelski, di cui consiglio vivamente la lettura. Ci sarebbero tante cose da dire, ma mi soffermo su di una in particolare. Innanzitutto, la democrazia (quella rappresentativa, s’intende) è sì una delega del potere (dai “molti” ai “pochi”), ma pro-tempore: questa è la prima cosa che bisogna sottolineare, visto che si parla di un mandato a scadenza, pensato apposta per non conferire permanentemente poteri a nessuno. Dopodiché, i cittadini hanno il diritto di scegliere liberamente i propri rappresentanti, tramite elezioni: la delega, dunque, segue la logica – di derivazione illuminista – del “contratto sociale”, secondo la tradizione inaugurata dal giusnaturalismo (o scuola del diritto naturale laico).