Archivio della Categoria: ‘idee’
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Vietato amare: così Ray Dalio metterà fine all’umanità
Che personalità deve avere un direttore dell’Fbi, cioè il reale Principe delle Tenebre della politica interna degli Stati Uniti dall’assassinio di Jfk e anche prima? Come dev’essere, nell’anima, uno che regge il potere assoluto? Risposta più che ovvia: «Non può essere un umano, deve essere una macchina senza scrupoli, un androide di spietata logica, occhi vitrei, implacabile. Oggi questo uomo si chiama James Comey». E allora, scrive Paolo Barnard, che effetto fa scoprire che «un siffatto micidiale androide», anni fa, fu assunto in un’organizzazione che lo ha fatto addirittura collassare? «Che razza di apocalittico luogo deve essere quello dove una macchina spietata come un direttore dell’Fbi non ce la fa, vacilla e fugge?». Si chiama Bridgewater. E’ il mondo di Ray Dalio. Bridgewater è un Hedge Fund, un fondo d’investimento dove i multimiliardari del pianeta mettono fortune con lo scopo di proteggerle da rischi e, al tempo stesso, di azzardare scommesse finanziarie mozzafiato per decuplicare i guadagni. Bridgewater è oggi il più potente Hedge Fund del mondo. «Perché? Il motivo è semplice ma centrale, in questo racconto dell’orrore che sarà la vita da incubo dei vostri figli». Bridgewater “indovina” sempre, non sbaglia mai. E Ray Dalio è il suo guru.Racconta Barnard, straordinario giornalista investigativo: «Lessi in un luogo oscuro una dichiarazione di Ray Dalio che parlava dell’amigdala, cioè della minuta porzione del cervello umano che si pensa gestisca le emozioni. E Dalio ne parlava, a lungo, nel corso di quella che invece doveva essere una nota sui mercati per gli investitori». Warning: «Ma che razza di viaggio lisergico è il gestore dell’Hedge Fund più miliardario del pianeta che invece di parlare agli investitori di spread, tassi, Bull Markets, trends, meccanismi di trasmissione monetaria o Credit Defaults, parla di amigdala cerebrale?». Cliccando sul sito di Bridgewater, si scopre che «lì dentro sta succedendo qualcosa d’indicibile, ma indicibilmente orrendo», perché «spazzerà via tutto ciò che dal 18esimo secolo si è aggregato attorno alla parola lavoro – tutto: leggi, filosofie, diritti, organizzazioni». Ray Dalio? «E’ l’esatto contrario dei suoi omologhi, cioè dei Blankfein, Soros, Fink, Mustier, Cuccia, Agnelli, che, com’è noto, passano o passarono la vita a “giocare a Dio”. Dalio passa la sua vita nella convinzione di essere talmente fallato, che solo un orwelliano lungo processo di aggregazione, limatura ed eliminazione dei suoi errori e dei suoi autoinganni potrà portare lui ad essere una Macchina infallibile, e Bridgewater al successo eterno».E infatti, continua Barnard, «Dalio aspira a morire nella carne solo dopo che la sua mente sarà stata trasformata in una Macchina, in una Machine, ma proprio alla lettera, perché Ray sostiene, ripeto, che solo un orwelliano lungo processo di aggregazione, limatura ed eliminazione degli errori e degli autoinganni, e quindi solo eliminando le falle umane di cui lui e noi tutti siamo zeppi per causa dell’amigdala emotiva, cioè divenendo Machines, si ottiene l’efficiente vittoria perpetua nella competizione». Ma attenti: Dalio non prepara solo la sua mutazione in Machine, ma la mutazione in Machines di chiunque respiri e lavori, e lavorerà. E non solo a Bridgewater. «Dovrà essere trasformato, e per prima cosa non deve avere l’amigdala delle emozioni». Sicché Dalio «non solo prepara, ma ha già pronto tutto il progetto di trasformazione». E qui sta il fatto agghiacciante: «Il mondo che conta, dalla Fiat Chrysler alla General Motors, dalla Sony Corp. alla Carrefour, dall’Eni a Google, da Goldman Sachs a Banca Intesa, lo stanno guardando e… hanno capito. Hanno capito che l’apocalittico disegno di Ray Dalio è un “Money Winner”, cioè vince nella gara dei soldi, e va copiato. Sarà copiato alla stessa velocità con cui si sparge un incendio dopo un anno di siccità».Il virus-Dalio «colerà a pioggia dai colossi dell’impiego ai gruppi minori fino all’azienda nostrana», e quindi «segnerà nella storia dell’umanità la fine del mondo del lavoro così come lo conosciamo, incenerendone ogni diritto o umanità rimasti. E vincerà anche perché il modello Ray Dalio-Bridgewater frantuma la storia del lavoro umano senza violare un singolo diritto sindacale, una singola legge, una singola Costituzione». A chi scrollerà il capo con scetticismo, Barnard ricorda nel 1946, «l’epoca delle radio gracchianti e dei telefoni a rotella», un uomo di nome George Orwell predisse che l’umanità fosse spiata da un Grande Fratello in ogni sua mossa. «Settant’anni dopo Edward Snowden rivelò al mondo che il Grande Fratello Nsa esisteva davvero». E come ci è arrivato, Ray Dalio, a concepire un mondo in cui si possa morire nella carne solo dopo essere diventati «Macchina che aggrega, lima ed elimina i suoi errori e i suoi autoinganni, senza Amigdale emotive di mezzo», anche a costo di perdere per strada i “deboli” come James Comey, ora capo dell’Fbi?La home page di Bridgewater, «che è un mostro di mercati, derivati, profitti, speculazioni mondiali sulle Borse e clienti colossali», è piena di foglie, alberi, magliette, jeans, ragazzi in riunioni rilassate, sorrisi. «Sembra la home di una clinica di psicoterapia, di un famoso centro di riabilitazione psicologica per giovani alcolisti, o tossicodipendenti, o problematici, o emotivamente instabili. Una clinica nel verde sereno. Cosa significa?». Questo, continua Barnard, non è affatto il solito “spin” (bluff) all’americana”. «La risposta è di una facilità sbalorditiva: Bridgewater lo è davvero una clinica, Ray Dalio più che sul denaro oggi lavora sulla psiche, e lì si è sviluppato quello che di certo è il più agghiacciante progetto di robotizzazione della personalità del dipendente nella storia dell’umanità». Oggi, Dalio «non può ancora ordinare al genere umano una modifica del codice Dna che elimini dai cervelli dei feti l’amigdala delle emozioni», ma può già «spegnerla con la sua filosofia applicata», che trasforma l’essere umano in Machine da lavoro. Lo ripete fino all’ossessione: «I cervelli umani sono macchine. Il mondo è una macchina. L’economia è una macchina. Se nutriamo queste macchine con un’immensa mole di dati, se eliminiamo l’emotività che porta a scelte irrazionali in politica ed economia, queste macchine non sbaglieranno quasi più».Questo che appare come un incubo per il futuro di qualsiasi dipendente, osserva Barnard, «sarà adottato alla velocità di un’epidemia da tutti i maggiori datori di lavoro del mondo, e a cascata anche dai medi e dai piccoli, perché è un incredibile “money winner”: credete che John Elkann non lo abbia già assorbito?». Ray Dalio, aggiunge Barnard, ripete ossessivamente i suoi tre mantra supremi: trasparenza, verità radicale, relazioni intense. «Sono tre punture di cianuro studiate con abilità che definire maligna è riduttivo». Ogni componente del pianeta va ridotto a Machine, e la Machine vince, «perché l’accumulo di dati incrociati e analizzati la rende invincibile, dice Ray». L’amigdala del cervello umano, però, mette i bastoni fra le ruote con l’emotività, che “personalizza” i dipendenti. «Essi allora, continua il Credo-Dalio, vanno totalmente spersonalizzati». In che modo? «Si usano pifferai magici che formulino parole e pratiche che incantano: Ray Dalio ne è il maestro». La decantata “trasparenza”? Suona bellissima, ma a Bridgewater «significa che esiste un sistema dove ogni singolo minuto di lavoro in ufficio è filmato e registrato, e tutto ciò è reso disponibile in una videoteca a chiunque nell’azienda, dal barista a Dalio».Il dipendente sa di essere “trasparente” «perché non può nascondere neppure un colpo di tosse di disapprovazione senza che tutta l’azienda possa vederlo». In più, Ray Dalio «ha dato ordine a tutti i suoi dipendenti di sfidare di continuo gli altri con giudizi o polemiche». E questo porta al Dalio-concetto di “verità radicale”: chi lavora sotto monitoraggio, incoraggiato a polemizzare con i colleghi, finisce maciullato «in una pubblica arena giornaliera per ogni respiro fatto e parola detta, in continue riunioni». Di qui le “relazioni intense”. nel Dalio-gergo: «Intense perché ti devastano ogni secondo, e ogni secondo devi poter attaccare o difenderti perché tutta l’azienda ha visto e udito ciò che hai ‘respirato’, detto o registrato in video e audio». Questa psicotizzante pratica, viene detto ai dipendenti, serve loro «per imparare che solo un orwelliano lungo processo di aggregazione, limatura ed eliminazione dei propri errori e dei propri autoinganni li potrà portare ad essere una Macchina infallibile, cioè li porterà al successo eterno che è prerogativa delle Machines. L’amigdala va polverizzata dalla storia, e se possibile dalla biogenetica in futuro. L’emozione è il nemico della Machine e del successo in ogni sfera del vivere. Questo viene detto ai dipendenti».Così Ray Dalio spersonalizza il dipendente, che diventa una Machine «perfetta per i suoi profitti, che fanno record mondiale». E così, domani, «faranno i datori di lavoro di tuo figlio e del figlio di tuo figlio». Il “Wall Street Journal”, tempo fa, scrisse che in realtà a Bridgewater «si udivano singhiozzi convulsi di dipendenti nascosti nei bagni, unici luoghi dove le registrazioni sono vietate». La risposta di Ray Dalio fu: «Talvolta i sentimenti di chi lavora con noi vengono toccati. Ma questo è causato dall’amigdala. La cose non sono come appaiono: i nostri dipendenti vedono le proprie debolezze e si emozionano. Ma poi prendono fiato, si calmano e diventano razionali». Ma i dipendenti, agiunge Barnard, non possono perdere il posto di lavoro, e quindi si adattano. «John Elkann o Benetton o l’imprenditore di Siena lo vedono, hanno questo potere di ricatto sui sottoposti, e capiscono il ‘genio’ di Ray». In più, Bridgewater sta sviluppando un software che riproduce i “princìpi” di Dalio: si chiama di PriOs, «cortesia di David Ferrucci, ex leader del progetto di intelligenza artificiale della Ibm». Profetizza Barnard: «PriOS, alla morte di Ray, diventerà l’amministratore delegato o presidente dell’azienda, supervisionerà ogni singola mossa o voce umana, interagirà sui tablet che i dipendenti sono costretti per contratto a tenere accesi per dirigerli o criticarli o sentire le loro voci, o registrare le loro critiche ai colleghi e trasmetterle a quei colleghi, o correggere le loro voci». Ma sempre secondo i “princìpi” di Ray Dalio: “Tu sei nato Macchina e grazie a questo sei destinato alla perfezione”.E’ un incubo, dice Barnard, che si avvererà presto: «PriOs sarà l’Ad di Fiat Chrysler, di Benetton, di Rizzoli Rcs, di Tods, di Pirelli, di Eni, di Poste Italiane, della Rai e di Mediaset, di Ipercoop. Sarà il tuo datore di lavoro anche a Perugia o Vicenza, Bergamo, Latina, Pescara». Si comincia prestissimo, a studiare per diventare Machine: «Ray Dalio aveva undici anni, 11, quando iniziò a interessarsi di mercati. Oggi è l’uomo più potente del mondo». Non solo per i 150 miliardi di dollari che gestisce ogni giorno, ma «soprattutto perché ha disegnato gli algoritmi che renderanno tuo figlio, e il figlio di tuo figlio, e il figlio del figlio di tuo figlio, degli psicotizzati servi del profitto, privi di amigdala, senza vita di emozioni: perché non si torna a casa dopo 5 o 6 giorni passati così e poi si è capaci di amare. Saranno le Ray-Machines per generazioni». Barnard rivendica di esser stato il primo, in solitudine, a lanciare l’allarme: «Vi avvisai vent’anni fa del Ttip, allora Wto, della globalizzazione, di chi ha pensato al Jobs Act». E chiosa: «Se per caso riesci a sollevare l’encefalo dalla Raggi o da Travaglio, ricordati di queste righe. Ricorda questo nome: Ray Dalio».Che personalità deve avere un direttore dell’Fbi, cioè il reale Principe delle Tenebre della politica interna degli Stati Uniti dall’assassinio di Jfk e anche prima? Come dev’essere, nell’anima, uno che regge il potere assoluto? Risposta più che ovvia: «Non può essere un umano, deve essere una macchina senza scrupoli, un androide di spietata logica, occhi vitrei, implacabile. Oggi questo uomo si chiama James Comey». E allora, scrive Paolo Barnard, che effetto fa scoprire che «un siffatto micidiale androide», anni fa, fu assunto in un’organizzazione che lo ha fatto addirittura collassare? «Che razza di apocalittico luogo deve essere quello dove una macchina spietata come un direttore dell’Fbi non ce la fa, vacilla e fugge?». Si chiama Bridgewater. E’ il mondo di Ray Dalio. Bridgewater è un Hedge Fund, un fondo d’investimento dove i multimiliardari del pianeta mettono fortune con lo scopo di proteggerle da rischi e, al tempo stesso, di azzardare scommesse finanziarie mozzafiato per decuplicare i guadagni. Bridgewater è oggi il più potente Hedge Fund del mondo. «Perché? Il motivo è semplice ma centrale, in questo racconto dell’orrore che sarà la vita da incubo dei vostri figli». Bridgewater “indovina” sempre, non sbaglia mai. E Ray Dalio è il suo guru.
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Magaldi: dal Pd solo macerie, dov’è il Piano-B per l’Italia?
Quella italiana è la situazione più magmatica ma anche più feconda di tutta Europa. E la partita fondamentale per il futuro della democrazia nel mondo si gioca in Europa, più ancora che negli Stati Uniti, perché gli Usa, grazie all’uragano Trump, troveranno nuove condizioni di riflessione, sui valori progressisti e sui valori conservatori. Quindi, grazie alla “cura Trump”, una cura da cavallo, vedo che lì il processo virtuoso si è già avviato. Naturalmente in molti fanno fatica a capirlo, ma capiranno col tempo. In altri paesi ci sono troppi incancrenimenti, con brontosauri di epoche ormai da superare, finti socialdemocratici che finiscono con l’allearsi con partiti più o meno popolari. In Italia invece la situazione è più fluida: grazie anche al Movimento 5 Stelle, che ha rotto la finta alternanza tra centrodestra e centrosinistra, si sono aperti nuovi giochi, che adesso vengono moltiplicati da questa crisi interna al Pd, animata da vecchie cariatidi che vanno a costituire gruppi sedicenti democratici e sedicenti progressisti.Come un sergente di caserma, Bersani imponeva ai parlamentari del Pd di votare come un sol uomo il Fiscal Compact e il pareggio di bilancio in Costituzione, le misure suicide e nefaste del governo Monti. Che si presenti oggi come una prospettiva progressista e pretenda di criticare Renzi sul versante dell’attenzione ai problemi sociali fa ridere i polli. Dietro Bersani, poi, ci sono giovanotti che si sono trovati a fare i capigruppo alla Camera di un grande partito come il Pd, e parlo di Roberto Speranza. Come si fa a pensare che le speranze di nuovo progressismo in Italia siano affidate a personaggi modestissimi, che hanno ancora molta gavetta da fare? Magari avrà dei talenti nascosti, di cui non ci siamo accorti, ma non ricordo, da Speranza (e nemmeno da Bersani) uno straccio di idea complessiva di sviluppo democratico del paese, in senso alternativo e progressista. L’unica alternativa mi sembra quella al potere, di Renzi. Non lo è D’Alema, vecchio arnese, brontosauro come pochi, che ha avuto la chance di governare l’Italia da Palazzo Chigi e dirigere quello che è stato il Pds-Ds. Questo personaggio, che ha fatto molti denari e che vive nel lusso, oggi diventa uno dei capifila di queste istanze socialisteggianti? Fa ridere i polli, insieme a Bersani e a Speranza.Quella del Pd è una vicenda di lotte di potere, e i cittadini la vedono come tale, nessuno si inganna. Al di là della retorica di facciata, anche all’interno del Pd tutti capiscono che è una lotta per il potere. Costoro non hanno alcuna idea diversa da quelle di Renzi, e l’hanno dimostrato nel fiancheggiamento del governo Monti, ma si sentono emarginati e marginalizzati. Vale per tutti l’esempio di Emiliano, che ha deciso di rimanere ma era tra i grandi sostenitori di Renzi. Ma Renzi non l’ha considerato troppo, nel governo della Regione Puglia, e così Emiliano l’ha fatto capire – anche pateticamente: sembrava un’amante che si sente trascurata e rimprovera il partner. Questa crisi nel Pd è un dibattito di potere – non sulle idee, non sui progetti per il paese. L’ha fatto anche Fassina, prima ancora, andando a fondare Sinistra Italiana: quando ha fatto il viceministro era del tutto accondiscendente alla linea allora di Saccomanni, salvo qualche distinguo per avere un po’ di platea, e ricordo – nell’imminenza delle elezioni 2013 – le dichiarazioni rese da Fassina e Bersani, a grandi quotidiani internazionali, per rassicurare tutti sul fatto che il governo Bersani, con Fassina candidato al dicastero dell’economia, sarebbe stato nella continuità col governo Monti.Quindi, tutti quanti – dai nuovi sgangherati gruppi parlamentari sedicenti democratico-progressisti a Sinistra Italiana – non rappresentano il futuro progressista e democratico (keynesiano, rooseveltiano) per l’Italia. L’Italia ha bisogno di una prospettiva ampia, che riguardi tanto l’economia che la vita delle istituzioni, ma anche le prospettive estere e un orizzonte di leadership nel Mediterraneo. Per far questo c’è bisogno di un nuovo soggetto politico, partitico, che si chiami “partito” e non “movimento”, come i partitini che pensano di accattivarsi gli elettori del Movimento 5 Stelle. C’è bisogno di un ritorno ai partiti solidi: non si tratta di tornare all’antico, alla Prima Repubblica, ma di recuperare il meglio dell’esperienza del passato. I partiti devono avere correnti e pluralismo: limpida dialettica interna, anziché la “notte dei lunghi coltelli” che si sta consumando nel Pd. Ho molto ottimismo, perché molte cose di muovono e, in Italia, questo magma sarà fecondissimo.(Gioele Magaldi, dichiarazioni rilasciate a David Gramiccioli durante la diretta a “Colors Radio” il 27 febbraio 2017, nella quale Magaldi, fondatore del Movimento Roosevelt, ha annunciato l’imminente lancio di un nuovo partito, “democratico e progressista”).Quella italiana è la situazione più magmatica ma anche più feconda di tutta Europa. E la partita fondamentale per il futuro della democrazia nel mondo si gioca in Europa, più ancora che negli Stati Uniti, perché gli Usa, grazie all’uragano Trump, troveranno nuove condizioni di riflessione, sui valori progressisti e sui valori conservatori. Quindi, grazie alla “cura Trump”, una cura da cavallo, vedo che lì il processo virtuoso si è già avviato. Naturalmente in molti fanno fatica a capirlo, ma capiranno col tempo. In altri paesi ci sono troppi incancrenimenti, con brontosauri di epoche ormai da superare, finti socialdemocratici che finiscono con l’allearsi con partiti più o meno popolari. In Italia invece la situazione è più fluida: grazie anche al Movimento 5 Stelle, che ha rotto la finta alternanza tra centrodestra e centrosinistra, si sono aperti nuovi giochi, che adesso vengono moltiplicati da questa crisi interna al Pd, animata da vecchie cariatidi che vanno a costituire gruppi sedicenti democratici e sedicenti progressisti.
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Crolla la grande truffa della sinistra, che ha tradito il popolo
La sinistra non è solo allo sbando – è al completo collasso perché la classe operaia si è accorta del tradimento della sinistra e del suo abbandono della classe operaia per costruire ricchezza personale e potere. La fonte dell’angoscia rabbiosa che scuote il campo progressista del Partito Democratico non è il presidente Trump – è il completo collasso della sinistra a livello globale. Per capire questo crollo, dobbiamo rivolgerci (ancora una volta) alla comprensione profonda che Marx aveva dello Stato e del capitalismo. Non stiamo parlando del marxismo culturale che gli americani conoscono a livello superficiale, ma del nocciolo della sua analisi economica che, come notava Sartre, viene insegnata al solo fine di screditarla. Il marxismo culturale attinge anch’esso da Engels e Marx. Nell’uso moderno, il marxismo culturale indica l’aperto scardinamento dei valori tradizionali – la famiglia, la comunità, la fede religiosa, i diritti di proprietà e un governo centrale limitato – in favore di un cosmopolitismo senza radici e uno Stato centrale espansivo e onnipotente che sostituisce la comunità, la fede e i diritti di proprietà con meccanismi di controllo statalista che impongono la dipendenza dallo Stato stesso, e una mentalità secondo la quale l’individuo è colpevole di pensiero anti-statalista fino a prova contraria, determinata dalle regole dello Stato stesso.La critica di Marx al capitalismo è di natura economica: il capitale e il lavoro sono in eterno conflitto. Nell’analisi di Marx il capitale ha la meglio fino a che le contraddizioni interne del capitalismo non erodono dall’interno le sue capacità di controllo. Il capitale non domina solo il lavoro; domina anche lo Stato. Perciò la versione “statale” del capitalismo che domina a livello globale non è una coincidenza o un’anomalia – è l’unico esito possibile di un sistema nel quale il capitale è la forza dominante. Per contrastare il dominio del capitale sono sorti i movimenti politici socialdemocratici, per strappare alcune misure dalle mani del capitale e volgerle in favore del lavoro. I movimenti socialdemocratici sono stati ampiamente aiutati dal “quasi crollo” della prima versione del capitalismo statale [cartel capitalism] durante la Grande Depressione, quando la cancellazione del debito deteriorato avrebbe comportato la distruzione dell’intero sistema bancario e azzoppato la funzione principale del capitalismo, quella di far crescere il capitale stesso tramite un’espansione del debito.I padroni del capitale, decimati, capirono di avere un’unica scelta: resistere fino ad essere rovesciati dall’anarchismo o dal comunismo, oppure cedere un po’ della loro ricchezza e del loro potere ai partiti socialdemocratici in cambio di stabilità sociale, politica ed economica. In termini generali si direbbe che la sinistra favorisce il lavoro (i cui diritti sono protetti dallo Stato) mentre la destra favorisce il capitale (i cui diritti sono ugualmente protetti dallo Stato). Ma nel corso degli ultimi 25 anni di neoliberalismo globalizzato, i movimenti socialdemocratici hanno abbandonato il lavoro per abbracciare la ricchezza e il potere che gli venivano offerti dal capitale. L’essenza della globalizzazione è questa: il lavoro viene mercificato mentre il capitale mobile è libero di girare in qualsiasi angolo del mondo per cercare il costo del lavoro minore possibile. Al contrario del capitale, il lavoro è molto meno mobile, non è in grado di spostarsi fluidamente e senza frizioni come fa il capitale, alla ricerca di opportunità e di scarsità da sfruttare a proprio vantaggio.Il neoliberalismo – l’apertura dei mercati e delle frontiere – permette al capitale di schiacciare il lavoro senza alcuno sforzo. I socialdemocratici, nel momento in cui abbracciano l’idea dei “confini aperti”, istituzionalizzano l’apertura all’immigrazione; questa disintegra il valore della forza lavoro dato dalla sua scarsità sul mercato interno, e permette di abbassarne il prezzo grazie al lavoro degli immigrati, a tutto vantaggio del desiderio del capitale di abbattere i costi. La globalizzazione, la finanza neoliberale e le politiche di immigrazione determinano il crollo della sinistra e la vittoria del capitale. Ora è il capitale a dominare totalmente lo Stato e le sue strutture clientelari – i partiti politici, le lobby, i contributi alle campagne elettorali, le fondazioni di beneficienza che operano a pagamento, e tutte le altre strutture del capitalismo di Stato. Per nascondere il crollo della difesa economica del lavoro da parte della sinistra, i sostenitori della sinistra e la macchina delle pubbliche relazioni hanno sostituito i movimenti per la giustizia sociale alle lotte per acquisire sicurezza economica e capitale.Questo è riuscito alla perfezione, e decine di milioni di autoproclamati “progressisti” si sono bevuti la Grande Truffa della sinistra, secondo la quale le campagne di “giustizia sociale” in nome di gruppi sociali emarginati sarebbero la vera caratteristica distintiva dei movimenti progressisti e socialdemocratici. Questo giochetto da prestigiatore, questo abbraccio delle campagne per la “giustizia sociale” economicamente neutre, ha mascherato il fatto che i partiti socialdemocratici avevano intanto gettato il lavoro nel tritacarne della globalizzazione, dell’apertura all’immigrazione e della libera circolazione del capitale, che intanto era tutto contento dell’abbandono del lavoro da parte della sinistra. Nel frattempo i furboni della sinistra si sono ingozzati delle concessioni elargite dal capitale in cambio del loro tradimento. Vengono in mente i “guadagni” di Bill e Hillary Clinton per 200 milioni di dollari, e innumerevoli altri esempi di arricchimenti personali da parte di autoproclamati “difensori” del lavoro. La sinistra non è solo allo sbando – è al crollo totale – ora che la classe lavoratrice si è svegliata e si è resa conto del tradimento e dell’abbandono da parte di chi si è occupato solo del proprio interesse personale. Chiunque lo neghi non si è ancora reso conto della Grande Truffa della Sinistra.(Charles Hugh-Smith, “Crolla la grande truffa della sinistra”, dal blog “Of Two Minds” del 23 gennaio 2017, ripreso da “Voci dall’Estero”).La sinistra non è solo allo sbando – è al completo collasso perché la classe operaia si è accorta del tradimento della sinistra e del suo abbandono della classe operaia per costruire ricchezza personale e potere. La fonte dell’angoscia rabbiosa che scuote il campo progressista del Partito Democratico non è il presidente Trump – è il completo collasso della sinistra a livello globale. Per capire questo crollo, dobbiamo rivolgerci (ancora una volta) alla comprensione profonda che Marx aveva dello Stato e del capitalismo. Non stiamo parlando del marxismo culturale che gli americani conoscono a livello superficiale, ma del nocciolo della sua analisi economica che, come notava Sartre, viene insegnata al solo fine di screditarla. Il marxismo culturale attinge anch’esso da Engels e Marx. Nell’uso moderno, il marxismo culturale indica l’aperto scardinamento dei valori tradizionali – la famiglia, la comunità, la fede religiosa, i diritti di proprietà e un governo centrale limitato – in favore di un cosmopolitismo senza radici e uno Stato centrale espansivo e onnipotente che sostituisce la comunità, la fede e i diritti di proprietà con meccanismi di controllo statalista che impongono la dipendenza dallo Stato stesso, e una mentalità secondo la quale l’individuo è colpevole di pensiero anti-statalista fino a prova contraria, determinata dalle regole dello Stato stesso.
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Craig Roberts: golpe in vista, Trump è già un uomo morto
«Non c’è nulla che l’establishment politico non farà e nessuna bugia che non dirà, per mantenere il proprio prestigio e potere a carico vostro». Parola di Donald Trump, prima delle elezioni. Il guaio è che oggi, pochi mesi dopo il voto, Trump è “un uomo morto”. «Lo sforzo del popolo americano di portare il governo nuovamente sotto il proprio controllo tramite Trump è stato sconfitto dallo Stato Profondo», sentenzia Paul Craig Roberts, viceministro di Reagan negli anni ‘80, già sostenitore critico di “The Donald” e fiero avversario della “falsa sinistra” incarnata da Obama e Hillary, servitori del disegno “imperiale” del complesso militare-industriale, la “fabbrica della guerra”. Per John Schindler, ex spia della Nsa, Trump «morirà in carcere», vittima della «guerra nucleare» che lo “Stato Profondo” gli ha dichiarato. Cia, Pentagono, Wall Street, Fbi, industria degli armamenti. Il “grande nemico”, denunciato dal presidente Eisenhower nel suo ultimo discorso, avrebbe vinto ancora, secondo Craig Roberts: «Donald Trump ha sovrastimato il suo potere presidenziale? La risposta è sì. Steve Bannon, il principale consigliere di Trump, è politicamente inesperto? La risposta è sì». Trump ha sovrastimato le sue forze, ha sfidato il “mostro” e adesso pagherà un prezzo altissimo.Il “New York Times” riporta che «le agenzie di intelligence americane hanno cercato di capire se la campagna elettorale Trump era collusa con i russi sulla pirateria informatica o con altri sforzi per influenzare le elezioni». E’ l’offensiva del “Deep State”, che si sta riprendendo il potere. Trump in carcere? «E’ possibile che accadrà proprio questo», scrive Craig Roberts, in un post su “Sputnik News” tradotto da Costantino Ceoldo per “Come Don Chisciotte”. Il prestigioso analista americano, già “editor” del “Wall Street Journal”, ricorda che, alla fine della Seconda Guerra Mondiale, il complesso militare e di sicurezza decise che «il flusso di profitti e potere derivante dalla guerra e dai pericoli di una guerra era troppo grande per essere ceduto», consegnato alla tranquillità di in un’era di pace. «Questo complesso ha manipolato un debole e inesperto presidente Truman in una gratuita guerra fredda con l’Unione Sovietica», basata sul nulla: «Fu creata la menzogna, accettata dal popolo americano credulone, che il comunismo internazionale voleva conquistare il mondo». Assurdo: Stalin aveva liquidato Trotskij e tutti gli alfieri della “rivoluzione permanente”, estesa a tutto il mondo, puntando invece sul “socialismo in un solo paese”.Ma l’establishment americano «ha abbozzato e contribuito all’inganno», gonfiando il super-potere dell’apparato militare-industriale fino a preoccupare Dwitght Eisenhower, che nel 1961 – nel suo ultimo discorso – mise in guardia il popolo contro la vocazione eversiva del business della guerra: «Tre milioni e mezzo di uomini e donne sono direttamente impegnati nell’apparato della difesa», disse. «Ogni anno spendiamo per la sicurezza militare più del reddito netto di tutte le società degli Stati Uniti. Questa congiunzione di un apparato militare immenso e di una grande industria degli armamenti è nuova, nell’esperienza americana. L’influenza totale – economica, politica, anche spirituale – si fa sentire in ogni città, ogni Parlamento, ogni ufficio del governo federale». Una necessità geopolitica con «gravi implicazioni», per Eisenhower: «Dobbiamo guardarci dall’acquisizione di una influenza ingiustificata, visibile o invisibile, da parte del complesso militar-industriale. Il potenziale per l’ascesa disastrosa di un potere fuori luogo esiste e persisterà. Non dobbiamo mai lasciare che il peso di questa combinazione metta in pericolo le nostre libertà o i nostri processi democratici».E ancora: «Non dovremmo mai dare nulla per scontato. Solo una cittadinanza vigile e competente può costringere il corretto ingranamento del grande apparato industriale e militare di difesa con i nostri metodi e gli obiettivi pacifici, in modo che la sicurezza e la libertà possano prosperare insieme». Gli avvisi di Eisenhower, osserva Craig Roberts, erano centrati. «Tuttavia, erano basati su “una cittadinanza vigile e competente”, che gli Stati Uniti non hanno. La popolazione americana è in gran parte stupida e si sta dirigendo, in tutto lo spettro ideologico da sinistra a destra, all’autodistruzione». I media, stampa e televisione, che «servono da propagandisti per il potere del complesso militar-industriale e le élite di Wall Street», ormai «si accertano che gli americani non abbiano nulla se non informazioni false ed orchestrate: ogni famiglia e persona che accende la Tv o si legge un giornale è programmata per vivere in una realtà falsa ed orchestrata che serve quei pochi che comprendono l’apparato di governo». L’altro problema? «Trump ha sfidato questo apparato, senza rendersi conto che è più potente di un semplice presidente degli Stati Uniti».Durante il secondo mandato di Obama, la Russia e il suo presidente «sono stati demonizzati dal complesso militar-industriale e dai neoconservatori utilizzando i media “presstitute”», scrice Craig Roberts. «La demonizzazione ha facilitato la capacità dei media “presstitute” controllati, come il “New York Times”, il “Washington Post”, Cnn, Msnbc ed il resto, di associare il contatto con la Russia e gli articoli che mettevano in discussione le tensioni orchestrate tra Stati Uniti e Russia, con attività sospette, forse anche tradimento». Trump e i suoi consiglieri? «Erano troppo inesperti per rendersi conto che la conseguenza del licenziamento di Flynn è stata quella di validare questa associazione orchestrata della presidenza Trump con l’intelligence russa». E ora abbiamo «le puttane dei media e le puttane della politica» impegnate a porre la stessa domanda utilizzata per infangare il presidente Nixon e forzarne le dimissioni: “Che cosa sapeva il presidente e quando lo sapeva?”. Trump sapeva che il generale Flynn aveva parlato con l’ambasciatore russo settimane prima che Trump abbia detto che lo aveva fatto? Flynn ha fatto l’indicibile, parlare con un russo: perché Trump gli ha detto di farlo?I fornitori di false notizie, cioè i grandi media «bugiardi spregevoli», secondo Craig Roberts «stanno usando insinuazioni irresponsabili per intrappolare il presidente Trump in una rete di tradimento». Ecco il titolo del “New York Times”: «Gli assistenti della campagna di Trump hanno avuto contatti ripetuti con l’intelligence russa». Quello a cui stiamo assistendo, insiste l’analista, è una campagna da parte dello Stato Profondo, «che usa le sue puttane dei media per organizzare l’impeachment di Trump». In altre parole, «quelli al lavoro per ribaltare le elezioni presidenziali del 2016 sono così sicuri del loro successo che dichiarano pubblicamente la loro preferenza per un colpo di Stato sulla democrazia». Ad esempio, «il guerrafondaio neoconservatore sionista Bill Kristol ha espresso la sua preferenza per un colpo di Stato». Craig Roberts lo definisce «liberale progressista di sinistra, allineato con l’Uno Percento contro la “razzista, misogina, omofobica” classe operaia, i “deplorevoli” che hanno eletto Trump». In campo anche gli artisti, come «il musicista disinformato Moby», il quale «si è sentito in dovere di scrivere sciocchezze ignoranti su Facebook», per dire che «il dossier russo su Trump è reale», il presidente «è ricattato dal governo russo, non solo per essersi fatto pisciare addosso da prostitute russe, ma per cose molto più nefaste». In più, «l’amministrazione Trump è in collusione con il governo russo, e lo è stata fin dal primo giorno».Aggiunge Craig Roberts: «Ora che Trump è stato contaminato dalle “associazioni con lo spionaggio russo” i repubblicani idioti, secondo “Bloomberg”, si sono “uniti alle chiamate dei democratici per uno sguardo più approfondito sui contatti tra la squadra del presidente Trump e gli agenti dello spionaggio russo», cosa che «indica un crescente senso di pericolo politico all’interno del partito qualora emergessero nuovi rapporti su ampi contatti tra i due». Naturalmente – puntualizza Craig Roberts – non vi è alcuna prova di tali contatti: sono solo insinuazioni, su cui si basa la campagna per deporre Trump. Il licenziamento di Flynn, il generale “sacrificato” nel tentativo di placare le polemiche, ha solo peggiorato la situazione: viene presentato come un’ammissione di colpevolezza, mentre la Cia «continua a passare notizie false alle “presstitute”». Conclude Craig Roberts, amaramente: «Fin dall’inizio ho avvertito che Trump mancava dell’esperienza e delle conoscenze per scegliere un governo che gli stesse accanto e servisse la sua agenda. Trump ha ora licenziato l’unica persona su cui avrebbe potuto contare. La conclusione più ovvia è che Trump è carne morta».Negli Usa, «continua a guadagnare credibilità la tesi di Chris Hedges secondo la quale la rivoluzione è l’unico modo con cui gli americani possono rivendicare il proprio paese». Trump è stato crocifisso alle parole pronunciate alla vigilia delle elezioni, quando disse: «L’establishment di Washington, e le grandi aziende finanziarie e dei media che lo finanziano, esiste per una sola ragione: per proteggersi ed arricchirsi». Questo, aggiunse, «è un crocevia della storia della nostra civiltà che determinerà se noi, il popolo, recupereremo il controllo sul nostro governo». L’establishment politico, il Deep State: «Sta tentando di tutto per fermarci», disse Trump. Ed è «lo stesso gruppo responsabile per i nostri trattati commerciali disastrosi, la massiccia immigrazione illegale e le politiche estere che hanno fatto sanguinare questo paese fino a prosciugarlo». La classe politica «ha portato alla distruzione delle nostre fabbriche e dei nostri posti di lavoro, che fuggono in Messico, Cina e altri paesi in tutto il mondo». Un nemico potentissimo: «Si tratta di una struttura di potere globale che è responsabile per le decisioni economiche che hanno derubato la nostra classe operaia, spogliato il nostro paese della sua ricchezza e messo quei soldi nelle tasche di un pugno di grandi aziende ed entità politiche». Parole a cui oggi lo Stato Profondo sta inchiodando Trump, a colpi di finti scandali mediatici, verso l’impeachment.«Non c’è nulla che l’establishment politico non farà e nessuna bugia che non dirà, per mantenere il proprio prestigio e potere a carico vostro». Parola di Donald Trump, prima delle elezioni. Il guaio è che oggi, pochi mesi dopo il voto, Trump è “un uomo morto”. «Lo sforzo del popolo americano di portare il governo nuovamente sotto il proprio controllo tramite Trump è stato sconfitto dallo Stato Profondo», sentenzia Paul Craig Roberts, viceministro di Reagan negli anni ‘80, già sostenitore critico di “The Donald” e fiero avversario della “falsa sinistra” incarnata da Obama e Hillary, servitori del disegno “imperiale” del complesso militare-industriale, la “fabbrica della guerra”. Per John Schindler, ex spia della Nsa, Trump «morirà in carcere», vittima della «guerra nucleare» che lo “Stato Profondo” gli ha dichiarato. Cia, Pentagono, Wall Street, Fbi, industria degli armamenti. Il “grande nemico”, denunciato dal presidente Eisenhower nel suo ultimo discorso, avrebbe vinto ancora, secondo Craig Roberts: «Donald Trump ha sovrastimato il suo potere presidenziale? La risposta è sì. Steve Bannon, il principale consigliere di Trump, è politicamente inesperto? La risposta è sì». Trump ha sovrastimato le sue forze, ha sfidato il “mostro” e adesso pagherà un prezzo altissimo.
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Spaghetti-Trump cercasi: Emiliano, dopo Salvini e Grillo
I più spiazzati dalla vittoria di Donald Trump sono stati quelli che più avrebbero dovuto aspettarsela. Ma si sa, gli Dei rendono ciechi coloro che vogliono perdere. Da quando il fascistone è diventato presidente degli Stati Uniti, quaggiù s’è aperto il talent per la ricerca del “Trump all’italiana”, lo Spaghetti Trump. Salvini e Grillo sono in pole position da tempo, ma adesso persino il Pd ha il suo concorrente: Michele Emiliano. Nonostante il ruolo di populista di grana grossa che interpreta, però, la manovra con la quale il corpulento governatore della Puglia ha accompagnato fuori dal Pd quasi tutti gli altri antirenziani, suoi concorrenti diretti, per poi non seguirli è stata di rara sottigliezza. Adesso Emiliano è l’unico leader dell’opposizione interna al Pd (Orlando è solo un proxy di Napolitano) e quando Renzi si sarà schiantato definitivamente, potrà ereditare il partito. Renzi è un perdente che continuerà a perdere, a maggior ragione adesso che ha esaurito le cazzate da spacciare.Perderà sia le amministrative che l’eventuale referendum sui voucher. Persino le primarie aperte del Pd sono a rischio, da quando l’astuto Emiliano le ha indicate come nuova ordalia antirenziana, invitando a votare tutti coloro, dentro e fuori dal Pd, che vogliano infliggere al Cazzaro la disfatta definitiva. Per le elezioni politiche il Pd avrà quindi comunque disperatamente bisogno d’un altro leader spendibile che riesca nel compito fallito da Renzi: catalizzare il voto anti-establishment per convogliarlo nel principale partito dell’establishment. Di fronte agli elettori del Pd, Emiliano potrà vantare d’essere un oppositore leale che ha cercato di evitare la scissione per il Bene Supremo del partito, e che ora potrebbe ricomporla. Di fronte agli altri elettori, reciterà la sua solita parte di populista verace, che alle ultime regionali gli ha fruttato un vasto consenso trasversale. A prescindere dalla sua riuscita, la strategia di Emiliano per scalare il Pd è un notevole esempio della congenita doppiezza del cosiddetto centrosinistra.Non sono migliori gli scissionisti Dp, che pur continuando a sostenere il governo, progettano di raccogliere voti a sinistra del Pd, per poi rivenderli allo stesso Pd con la Grossolana Coalizione auspicata dal nefasto Scalfari, che va da Brunetta a Vendola in funzione anti-M5S. In realtà ognuna delle loro tortuose manovre avvicina al governo sia Grillo che Salvini. Che la parola “Sinistra” sia preda di certi grotteschi parassiti è una delle ovvie cause dell’avanzata delle destre. La protesta di ambulanti e tassinari inferociti davanti alla sede del Pd dove si celebrava l’ennesimo rituale bizantino è stata la perfetta rappresentazione plastica della situazione. Le bombe-carta che hanno fatto saltare in una pioggia di cocci tutti i vetri della strada non hanno scosso i piddini dalle loro procedure ossessivo-compulsive, che accelerano la rovina che vorrebbero scongiurare. Ma si sa, gli Dei rendono sordi coloro che vogliono perdere.(Alessandra Daniele, “Trump It”, da “Carmilla Online” del 26 febbraio 2017).I più spiazzati dalla vittoria di Donald Trump sono stati quelli che più avrebbero dovuto aspettarsela. Ma si sa, gli Dei rendono ciechi coloro che vogliono perdere. Da quando il fascistone è diventato presidente degli Stati Uniti, quaggiù s’è aperto il talent per la ricerca del “Trump all’italiana”, lo Spaghetti Trump. Salvini e Grillo sono in pole position da tempo, ma adesso persino il Pd ha il suo concorrente: Michele Emiliano. Nonostante il ruolo di populista di grana grossa che interpreta, però, la manovra con la quale il corpulento governatore della Puglia ha accompagnato fuori dal Pd quasi tutti gli altri antirenziani, suoi concorrenti diretti, per poi non seguirli è stata di rara sottigliezza. Adesso Emiliano è l’unico leader dell’opposizione interna al Pd (Orlando è solo un proxy di Napolitano) e quando Renzi si sarà schiantato definitivamente, potrà ereditare il partito. Renzi è un perdente che continuerà a perdere, a maggior ragione adesso che ha esaurito le cazzate da spacciare.
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Su euro e Nato, battaglie giuste: e a farle è Marine Le Pen
La mia prima manifestazione, oltre cinquanta anni fa, fu contro la guerra degli Usa in Vietnam e uno di primi slogan che ho gridato era: fuori l’Italia dalla Nato, fuori la Nato dall’Italia. Non ho mai cambiato idea e non la cambio ora che la candidata presidenziale della destra francese, Marine Le Pen, propone la stessa scelta per il suo paese. Questo non mi fa paura, anzi. Il no alla Nato in Europa è stato sempre una discriminante nel mondo della sinistra. Quelle moderate, socialdemocratiche, di governo, son sempre state schierate con gli Stati Uniti e l’Alleanza Atlantica. Quelle radicali, comuniste, di opposizione, erano contro. Lo stesso, anche se la memoria storica ricostruita dalle élites ora ha cancellato questa realtà, avveniva contro l’Euro e la sua creatura: l’Unione Europea. Nel 1979 il Pci di Enrico Berlinguer dichiarò la crisi della politica di unità nazionale con la Dc, partendo dal no a due decisioni che avrebbero cambiato la storia del continente: l’istituzione dello Sme, il sistema europeo di cambi quasi fissi che preparava l’euro, e l’installazione di una nuova generazione di missili in Europa Occidentale, missili puntati contro l’Unione Sovietica.Le motivazioni con le quali allora i comunisti italiani rifiutarono quelle due scelte potrebbero essere usate oggi contro i guasti della moneta unica e contro la folle decisione della Nato di espandersi aggressivamente fino ai confini della Russia. A tale scopo finanziando anche la guerra al popolo del Donbass da parte del governo ucraino infarcito di ministri nazifascisti. Quegli argomenti di allora sono ancora più validi oggi, ma ora non sono più sostenuti dalla maggioranza della sinistra, ma, in Francia soprattutto, dalla nuova destra populista. Che è sempre stata euroscettica, ma spesso, e in contrapposizione alla Ue, Natofanatica. Oggi invece gran parte di ciò che ufficialmente è sinistra in Europa sostiene la Nato, l’euro e l’Unione Europea. E non perché queste istituzioni siano cambiate, né tantomeno migliorate, ma perché è la sinistra stessa che è cambiata e per questo sta scomparendo.Le socialdemocrazie di governo sono state conquistate dalle politiche liberiste, se ne sono fatte complici e le hanno amministrate assieme alla vecchia destra conservatrice e liberale, di cui alla fine sono diventate una variante. Variante sul piano dei diritti civili, non di quelli sociali. Giusto battersi per il diritto al matrimonio tra coppie dello stesso sesso, ma perché contemporaneamente distruggere il diritto al lavoro e la tutela contro i licenziamenti ingiusti? Bene l’Erasmus, per chi può permetterselo, ma perché strangolare finanziariamente la scuola pubblica? E perché privatizzare la sanità e finanziare le banche? La sinistra di governo, proprio quando questa tornava ad essere al centro di tutto, ha abbandonato la questione sociale, che è stata così occupata dalla nuova destra, che nel frattempo rompeva con la sua anima liberale e di governo. Non c’è stata sinora simmetria.Mentre la nuova destra faceva sue antiche parole d’ordine della sinistra radicale – ovviamente storpiandole dentro il suo contenitore di sempre: dio, patria, famiglia – quest’ultima si rifugiava in astratti principi di buona volontà. La resa di Tsipras e Siryza alla Troika e alla Nato ha poi tolto dal campo europeo la possibilità che la rottura a destra avesse il suo immediato corrispondente a sinistra. Podemos in Spagna e il M5S in Italia, seppur partendo da collocazioni differenti, sinora son giunti alla medesima conclusione di non misurarsi esplicitamente con la rottura con euro, Ue, Nato. Rottura che così oggi è diventata ufficialmente un obiettivo della nuova destra. Che pare aver rovesciato a suo favore l’antica parola d’ordine della politica comunista dei fronti popolari antifascisti del secolo scorso: raccogliere, dal fango in cui era stata gettata dalla borghesia, la bandiera della democrazia e della indipendenza nazionale.L’Unione Europea muove scandalo per Trump che vuol concludere il muro contro i migranti iniziato da Clinton, ma poi subappalta quello stesso muro al governo fantoccio libico e a quello autoritario di Erdogan. La delocalizzazione delle fabbriche è seguita da quella degli assassinii di massa dei migranti, restaurando la così più pura tradizione coloniale del vecchio continente. Di fronte alla crisi economica permanente del sistema euro, la Germania propone l’Unione a due velocità, una per sé una per le colonie del Sud Europa, e il governo italiano acconsente. Intanto tutti i parlamenti europei tranne uno, quello tedesco, sono sottoposti ai diktat e agli arbitri della tecnoburocrazia comunitaria. Trump chiede agli europei di pagarsi la Nato, cioè di accrescere le spese e gli interventi militari mentre si distrugge lo stato sociale, e la destra e la sinistra liberale fanno improvvisamente di quell’alleanza militare un baluardo dei diritti umani.Alla base di questi sconvolgimenti politici sta la crisi irreversibile della globalizzazione, non a caso dichiarata dai governi dei due paesi, Gran Bretagna e Stati Uniti, che quaranta anni fa avevano dato a essa il massimo impulso. Crisi che in Europa sta finora proponendo solo due alternative, quella della rottura da destra e quella della conservazione ipocrita dello statu quo da parte delle vecchie élites e della loro doppia morale. Un’alternativa progressista oggi non è in campo perché gran parte della sinistra è stata condotta in un binario morto da gruppi dirigenti o venduti, o subalterni alla globalizzazione liberista. Persino nell’antagonismo radicale è comparso improvvisamente l’amore per la Ue e speriamo che ora ci sia risparmiato quello per la Nato. La sinistra comunista e anticapitalista, se vuole ancora avere un ruolo e una funzione, deve prima di tutto riprendersi i suoi obiettivi. Fuori dalla Nato, dall’euro e dalla Ue dunque, con ancora maggiore convinzione oggi che questi stessi obiettivi vengono riproposti dalla parte opposta. Solo così la sinistra può ridare attualità al socialismo e competere con, e smascherare il, nazional liberismo della nuova destra.(Giorgio Cremaschi, “Fuori dalla Nato, euro e Ue. Non cambio idea anche se Marine la pensa così”, dall’“Huffington Post” del 6 febbraio 2017).La mia prima manifestazione, oltre cinquanta anni fa, fu contro la guerra degli Usa in Vietnam e uno di primi slogan che ho gridato era: fuori l’Italia dalla Nato, fuori la Nato dall’Italia. Non ho mai cambiato idea e non la cambio ora che la candidata presidenziale della destra francese, Marine Le Pen, propone la stessa scelta per il suo paese. Questo non mi fa paura, anzi. Il no alla Nato in Europa è stato sempre una discriminante nel mondo della sinistra. Quelle moderate, socialdemocratiche, di governo, son sempre state schierate con gli Stati Uniti e l’Alleanza Atlantica. Quelle radicali, comuniste, di opposizione, erano contro. Lo stesso, anche se la memoria storica ricostruita dalle élites ora ha cancellato questa realtà, avveniva contro l’Euro e la sua creatura: l’Unione Europea. Nel 1979 il Pci di Enrico Berlinguer dichiarò la crisi della politica di unità nazionale con la Dc, partendo dal no a due decisioni che avrebbero cambiato la storia del continente: l’istituzione dello Sme, il sistema europeo di cambi quasi fissi che preparava l’euro, e l’installazione di una nuova generazione di missili in Europa Occidentale, missili puntati contro l’Unione Sovietica.
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Barnard: io e il vero Obama, criminale bugiardo e spietato
Nel gennaio del 2009 io mi trovai in un teatro di San Marino gremito a commentare l’elezione di Obama. Gli altri relatori erano il filosofo Marramao, Jacopo Fo, e una femminista che non ricordo. Il clima era il tripudio della sinistra italiana perché il cattivo Bush era caduto e il ‘compagno Obama’ aveva vinto. Io dissi a tutti che erano una manica d’idioti, dissi che Obama era il peggio. Furono fischi per me, buuuuuu dal pubblico, il Marramao a momenti muore di sincope a urlarmi che ero un pazzo di destra, il lume Jacopo Fo mi prese a risatine di sufficienza, la femminista strillava da gallina che io rovinavo la festa dei compagni. Mi odiarono tutti, ospiti e pubblico. In quelle stesse ore il neo eletto ‘compagno’ Obama stava negoziando con Israele in segreto. Gli disse: ok, potete bruciare vivi i palestinesi in Operazione Piombo Fuso fino al giorno prima della mia inaugurazione, ma non durante la mia inaugurazione (rivelò il “Washington Post” poi).Poi vennero i 13mila miliardi di dollari regalati da Obama alle mega banche, cioè il più colossale trasferimento dal 99% all’1% della storia dell’umanità, poi le sue leggi per soffocare l’attivismo, l’operazione Nsa spionaggio mondiale (Snowden), il programma di assassinio indiscriminato di musulmani coi Drones di John Ballinger, e stiamo sempre parlando di Obama il ‘compagno’, e gli 8 anni in cui Barack riuscì a essere così bestiale col suo popolo da distruggere il Partito Democratico come mai nessuno nella storia d’America e consegnarci Trump, solo per citare l’1% delle porcate di Obama.A San Marino nel 2009 io dissi che Obama era il peggio. Mi fischiarono, sberleffi e risatine. Ora leggete questo, da Norman Filkenstein (dicono le due frasi: “Mentre Bernie Sanders partecipa alla marcia delle donne a Washington, fa a pezzi la De Vos, si scontra con Ted Cruz sulla sanità, ecco intanto cosa sta facendo il Profeta…”. Poi nel tweet: “L’ex presidente Barack Obama fa kitesurf e va a cavallo con l’amicone miliardario Richard Branson (Virgin)”. Finkelstein chiama Obama il Profeta. Io chiamo me stesso il Profeta. Due profeti, ma con un pelo di differenza, cioè io ci presi, lui distrusse. No comment sui peti della sinistra italiana di cui sopra.Nel gennaio del 2009 io mi trovai in un teatro di San Marino gremito a commentare l’elezione di Obama. Gli altri relatori erano il filosofo Marramao, Jacopo Fo, e una femminista che non ricordo. Il clima era il tripudio della sinistra italiana perché il cattivo Bush era caduto e il ‘compagno Obama’ aveva vinto. Io dissi a tutti che erano una manica d’idioti, dissi che Obama era il peggio. Furono fischi per me, buuuuuu dal pubblico, il Marramao a momenti muore di sincope a urlarmi che ero un pazzo di destra, il lume Jacopo Fo mi prese a risatine di sufficienza, la femminista strillava da gallina che io rovinavo la festa dei compagni. Mi odiarono tutti, ospiti e pubblico. In quelle stesse ore il neo eletto ‘compagno’ Obama stava negoziando con Israele in segreto. Gli disse: ok, potete bruciare vivi i palestinesi in Operazione Piombo Fuso fino al giorno prima della mia inaugurazione, ma non durante la mia inaugurazione (rivelò il “Washington Post” poi).
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Jack Ma: globalismo-canaglia, se non distribuisce ricchezza
«Quando Thomas Fridman ha pubblicato il suo bestseller “Il mondo è piatto”, nel 2005, la globalizzazione sembrava una strategia perfetta per gli Usa. Il loro discorso era questo: noi ci teniamo la proprietà intellettuale, la tecnologia e il marchio, e lasciamo il resto del lavoro ad altri paesi come Messico e Cina». La “lezione” la impartisce il professor Jack Ma, insegnante di liceo e poi fondatore del colosso dell’e-commerce Alibaba, al World Economic Forum di Davos. «Le multinazionali americane hanno incassato milioni e milioni di dollari dalla globalizzazione. Quando mi sono laureato all’università in Cina ho provato ad acquistare un cercapersone. Costava l’equivalente di 250 dollari, io ne guadagnavo 10 al mese come insegnante. Ma il prezzo per produrlo era 8 dollari. Ibm e Microsoft facevano più utili delle più 4 più grandi banche cinesi messe insieme: dove sono finiti quei soldi?». La risposta è facile, e avvilente: in paradisi fiscali. «Apple ha quasi 300 miliardi di dollari parcheggiati al riparo del fisco, in smisurati patrimoni personali, mentre Bill Gates destina tutto in beneficienza, in settori che decide lui, e in investimenti finanziari che hanno gonfiato la bolla di Wall Street», scrive “Dagospia”, in una nota che riprende servizi di “Forbes” e “Business Insider”.«Trent’anni fa – ha aggiunto Ma – le compagnie americane di cui i cinesi avevano sentito parlare erano Ford e Boeing. Oggi sono nella Silicon Valley. E a Wall Street, dove sono stati investiti tutti i profitti. La crisi finanziaria ha cancellato 19,2 trilioni di dollari», cioè quasi 20.000 miliardi, «e ha distrutto 34 milioni di posti di lavoro. Immaginate cosa sarebbe successo se quei soldi fossero stati investiti nel Midwest, per sviluppare industrie e infrastrutture, e soprattutto educazione per chi non se la può permettere?». Un’accusa chiarissima: «Non sono gli altri paesi a rubarvi il lavoro, è colpa della vostra strategia: siete voi che non avete distribuito i profitti nel modo giusto». Jack Ma è convinto che non ci sarà nessuna guerra commerciale fra Cina e Stati Uniti, come si paventa da alcune affermazioni rese da Donald Trump durante la sua campagna elettorale. A difendere la globalizzazione e il libero mercato è intervenuto perfino il presidente cinese Xi Jinping, parlando all’apertura del Forum di Davos. Molto dell’economia cinese si basa proprio sull’export verso l’Occidente e verso gli Usa. L’applicare tasse ai prodotti della Cina potrebbe dare un colpo molto forte alle industrie del paese.Jack Ma ha fatto notare che il problema non è la globalizzazione, da cui gli Usa hanno ricavato «tonnellate di soldi», ma il modo in cui tale moneta è stata spesa, senza diffondere la ricchezza nella società. «Negli ultimi trent’anni – ha detto – l’America ha avuto 13 guerre al costo di 14,20 trilioni di dollari. Cosa sarebbe successo se avessero speso parte di quei soldi per costruire infrastrutture, aiutare impiegati e operai?». Il grande imprenditore cinese non è affatto spaventato da Trump, che considera «una persona dalla mente aperta, capace di ascoltare». Jack Ma ha appena incontrato il nuovo inquilino della Casa Bianca, proponendo Alibaba come piattaforma commerciale per le piccole e medie imprese americane. «Secondo Jack Ma, questo potrebbe fruttare agli Usa circa un milione di posti di lavoro».«Quando Thomas Fridman ha pubblicato il suo bestseller “Il mondo è piatto”, nel 2005, la globalizzazione sembrava una strategia perfetta per gli Usa. Il loro discorso era questo: noi ci teniamo la proprietà intellettuale, la tecnologia e il marchio, e lasciamo il resto del lavoro ad altri paesi come Messico e Cina». La “lezione” la impartisce il professor Jack Ma, insegnante di liceo e poi fondatore del colosso dell’e-commerce Alibaba, al World Economic Forum di Davos. «Le multinazionali americane hanno incassato milioni e milioni di dollari dalla globalizzazione. Quando mi sono laureato all’università in Cina ho provato ad acquistare un cercapersone. Costava l’equivalente di 250 dollari, io ne guadagnavo 10 al mese come insegnante. Ma il prezzo per produrlo era 8 dollari. Ibm e Microsoft facevano più utili delle più 4 più grandi banche cinesi messe insieme: dove sono finiti quei soldi?». La risposta è facile, e avvilente: in paradisi fiscali. «Apple ha quasi 300 miliardi di dollari parcheggiati al riparo del fisco, in smisurati patrimoni personali, mentre Bill Gates destina tutto in beneficienza, in settori che decide lui, e in investimenti finanziari che hanno gonfiato la bolla di Wall Street», scrive “Dagospia”, in una nota che riprende servizi di “Forbes” e “Business Insider”.
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Rottamati la Merkel e Draghi, addio all’euro entro 18 mesi
L’Europa due velocità? E’ la carta della disperazione prima del crollo dell’euro, moneta alla quale Ted Malloch, portavoce Usa in Ue, non concede più di 18 mesi di vita. La Merkel e Draghi? Sono gli ultimi due baluardi del vecchio establishment. E soccomberanno, stritolati da una tenaglia: da una parte Trump, dall’altra gli euroscettici alle urne nei prossimi mesi. Lo sostiene Federico Dezzani, osservando il fatale deteriorarsi del quadro generale in Europa: «Senza la morfina iniettata dalla Bce, i mercati finanziari sarebbero in preda a convulsioni peggiori del 2012». L’amministrazione Trump si sarebbe saldata con le forze populiste europee, il “Gruppo di Coblenza”. E anche se da Washington piovono duri attacchi contro la Germania e i suoi saldi commerciali record, «persino i nazionalisti tedeschi, i falchi della Cdu-Csu, viaggiano sulla stessa lunghezza d’onda della Casa Bianca». Ormai, «solo due superstiti del vecchio establishment liberal, Angela Merkel e Mario Draghi, oppongono ancora resistenza al processo di euro-dissoluzione», ma «difficilmente riusciranno però a salvarsi».La situazione è critica: capitali congelati, denaro in fuga verso “l’area marco”, banche del Sud Europa in crisi, finanze pubbliche in evidente stress, agenzie di rating che declassano senza sosta i titoli di Stato. «Molti investitori scommettono ormai sull’implosione della moneta unica». Di qui la contromossa di Angela Merkel, «proconsole europeo dell’oligarchia finanziaria»: l’Europa a due velocità. Per la cancelliera sarebbe il colpo d’ala per uscire dal pantano in cui sta sprofondando l’euro. Due velocità, ovvero: «Un nocciolo di paesi che procede con l’integrazione fiscale e politica. Tesoro unico, bilancio comune, dissoluzione dei Parlamenti nazionali in un’entità sovranazionale: dopotutto l’euro, un banale regime a cambi fissi calato su un’area monetaria non ottimale, non è stato studiato proprio per questo obiettivo? Strappare i massonici Stati Uniti d’Europa con una lancinante crisi economica e finanziaria?». Abbiamo bisogno di più Europa, ripete la Merkel al “Financial Times”. L’unione monetaria non basta, dice la cancelliera: per uscire dalle sabbie mobili servono l’unione fiscale e politica: bisogna cedere ancora più sovranità all’Europa.«È musica per le orecchie del milieu finanziario-politico che ha scommesso tutto sulla federazione del continente: alla cancelliera federale, gongolano soddisfatti, siede una preziosa alleata che segue con cura il copione». Sono gli stessi, aggiunge Dezzani, che nel 2012 si affrettarono a firmare il “Manifesto per gli Stati Uniti d’Europa” promosso dal “Sole 24 Ore”: Romano Prodi, Antonio Tajani, George Osborne, Jacques Delors, Joschka Fischer. Era l’epoca del “whatever it takes” pronunciato da Mario Draghi per puntellare l’euro. Da allora, «i Btp hanno subito una raffica di declassamenti, le sofferenze bancarie in Italia sono esplose, la Grecia è stata a un passo dall’abbandonare l’euro, la presidenza Hollande è nata ed è morta, l’Eurozona è sprofondata nella deflazione, la Bce ha varato l’allentamento quantitativo attirandosi le ire di Berlino». E i “populismi” sono cresciuti, fino a conquistare percentuali maggioritarie dell’elettorato. «Parlare nuovamente di “Europa a due velocità”, corrobora la tesi di Karl Marx che la storia si ripeta sempre due volte: la prima in tragedia e la seconda in farsa», commenta Dezzani, secondo cui «ridicola è anche la reazione di quegli stessi personaggi che cinque anni anni fa firmarono il manifesto del “Sole 24 Ore”», che erano «terrorizzati dall’idea di essere risucchiati dal cesso della storia insieme alla moneta unica e ai palazzi di Bruxelles».Intervistato dalla “Repubblica”, Romano Prodi, per il quale «Trump e Le Pen sono i due volti dello stesso pericolo: non capisco come mai non si siano ancora sposati», ha così commentato “l’Europa a due velocità” proposta dalla Merkel: «E’ la risposta che aspettavo, anche se avrei preferito che nascesse da un più ampio dibattito politico. Finalmente la Germania sembra cominciare ad assumersi quel ruolo di leadership che non aveva mai voluto esercitare. Va bene così». Ma davvero, obietta Dezzani, qualcuno crede ancora che un manipolo di paesi volenterosi decida, nel 2017, dopo quasi sette anni di eurocrisi, di fondersi in una federazione? «Probabilmente non ci crede neppure Prodi, considerato che altri illustri tecnocrati illuminati hanno già gettato la spugna nel corso del 2016», come lo stesso: Juncker: «Basta parlare di Stati Uniti d’Europa, la gente non li vuole», L’Eurozona è oggi dilaniata dalle forze centrifughe. E se sui mercati regna un relativa calma è solo grazie alla morfina iniettata da Draghi, al ritmo di 80 miliardi al mese: «E’ un oppiaceo, che lenisce il dolore ma non risolve le cause della malattia». Considerato poi che il “quantitative easing” è stato prorogato per tutto il 2017, «è ormai evidente che la moneta unica non cadrà sotto i colpi degli assalti speculativi, ma sotto quelli della politica». Meglio ancora: «Cadrà vittima di una precisa strategia politica: una manovra a tenaglia, progettata dall’amministrazione Trump e dalle forze nazionaliste europee per liquidare i superstiti dell’establishment liberal e, con loro, l’Unione Europea e la moneta unica».Dezzani lo deduce osservando la nascita di «una tacita, ma ben visibile, alleanza delle forze “populiste” americane ed europee contro l’élite finanziaria mondialista: non sbaglia Romano Prodi quando definisce Trump e Le Pen come “due volti dello stesso pericolo”, perché rappresentano effettivamente una declinazione della stessa corrente politica, quella dei movimenti nazionali che insorgono contro l’oligarchia liberal e le sue istituzioni: le Nazioni Unite (vedi i tagli ai finanziamenti operati da Trump), le agenzie sovranazionali che predicano il cambiamento climatico, la Chiesa di Jorge Mario Bergoglio, i paladini dell’immigrazione indiscriminata, la Nato, l’Unione Europea e la sua colonna portante, la moneta unica». Il neo-presidente americano «non può certo presentare una formale dichiarazione di guerra alle istituzioni di Bruxelles», è ovvio, «ma tutte le azioni sinora intraprese vanno il quel senso: il duro attacco sferrato dall’amministrazione Trump contro la Germania, accusata di macinare esportazioni record ai danni degli altri membri dell’Eurozona e degli Usa stessi, sfruttando l’euro debole, equivale a mettere nel mirino le due figure chiave dell’impalcatura europea», Angela Merkel e il governatore della Bce, «senza le quali l’euro si sarebbe già dissolto da almeno due anni».La Merkel è stata «la garante politica dell’integrità dell’Eurozona, respingendo a suo tempo l’ipotesi di una Grexit caldeggiata dai falchi tedeschi», mentre Draghi «ha “sedato” l’eurocrisi iniettando massicce dosi di liquidità e svalutando l’euro, attraverso quell’allentamento quantitativo osteggiato sempre dai falchi tedeschi». Aggiunge Dezzani: «Si noti come i “duri” tedeschi, capeggiati da Wolfgang Schaeuble, siano in perfetta sintonia con la retorica di Trump», perché «entrambi lavorano, neppure troppo velatamente, per lo smantellamento dell’Eurozona per come è configurata oggi». Secondo Dezzani, Schaeuble «viaggia sulla stessa lunghezza d’onda dell’amministrazione Trump anche su altro dossier che sta tornando alla ribalta in questi giorni, il salvataggio della Grecia: i falchi tedeschi, sempre in opposizione ad Angela Merkel, si oppongono a qualsiasi riduzione del debito pubblico greco, invitando la Grecia ad abbondare l’euro per alleviare il fardello del debito». Così facendo, «si pongono così sulle stesse posizioni dell’amministrazione Trump». E il probabile, futuro ambasciatore americano presso la Ue, “l’euroscettico” Malloch, si è già espresso a favore dell’uscita di Atene dalla moneta unica, definendo «un inutile e doloroso spreco di tempo» il tentativo di evitare la Grexit.A un’analisi più approfondita, continua Dezzani, la politica europea dell’amministrazione Trump non è quindi un “attacco alla Germania”, ma l’ennesima prova di un’alleanza tra la Casa Bianca e le forze nazionaliste (compresi i falchi della Cdu-Csu) contro gli ultimi esponenti superstiti dell’establishment “liberal”, caduti i quali «si spianerebbe la strada alla dissoluzione della moneta unica e dell’Unione Europea». Sempre secondo Dezzani, «il fulmineo e misterioso vertice svoltosi alla cancelliera di Berlino il 9 febbraio tra Angela Merkel e Mario Draghi», nel quale i due avrebbero discusso “sul futuro dell’Europa”, altro non sarebbe che «il disperato tentativo di coordinamento tra due sopravvissuti, che studiano come coprirsi le spalle a vicenda di fronte all’attacco concentrico: nazionalisti tedeschi, populismi europei e amministrazione Trump». La “Stampa” titola, infatti: «Vertice in cerca di alleanza tra Merkel e Draghi». Al termine dell’incontro, «la cancelliera ha dovuto addirittura rimangiarsi l’ipotesi dell’Europa a due velocità lanciata appena pochi giorni prima: già, perché procedere verso la creazione di nocciolo di paesi federati presuppone almeno due o più volontari. Ma chi potrebbe seguire la cancelliera Merkel nel febbraio del 2017 in quest’impresa?».Certamente, risponde Dezzani, non lo farebbe nessuno di quei paesi che si avvicinano alle elezioni, promettendo ottimi risultati al “Gruppo di Coblenza”: «Ci riferiamo a quei movimenti nazionalisti che il 21 gennaio, all’indomani dell’insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca, si sono ritrovati nella città tedesca per lanciare la loro sfida congiunta all’Unione Europea». Agli «amanti dei retroscena», l’analista ricorda che proprio Coblenza fu la base dei monarchici francesi dopo la Rivoluzione del 1789, massonica e illuministica, che invece Dezzani definisce «coordinata da quegli Illuminati che avevano la propria base a Francoforte». Tornando a oggi: al vertice di Coblenza hanno presenziato Matteo Salvini, la tedesca Frauke Petry di “Alternative für Deutschland”, l’olandese Geert Wilders e Marine Le Pen. «Con quale paese la cancelliera Angela Merkel potrebbe quindi procedere verso la creazione di una federazione europea? Con la “germanica” Olanda? Molto difficilmente, considerato che il populista Partito della Libertà è dato in testa ai sondaggi e ha promesso di indire un referendum sulla permanenza nell’Unione Europea. Oppure con l’altra metà del “motore franco-tedesco”, quella Francia dopo il Front National è il primo partito e la “populista” Marine Le Pen avrà gioco facile a sconfiggere al ballottaggio il candidato della banca Rothschild, Emmanuel Macron?».Per Dezzani «ci sono pochi dubbi sulla dinamica dell’Eurozona all’indomani della vittoria di Marine Le Pen, tanto che il suo consulente economico, Bernard Monot, ha già svelato il piano da attuare nelle ore successive al voto del 7 maggio». Un’agenda di guerra: immediata convocazione di un vertice europeo d’emergenza. Sostituzione dell’euro con un paniere di valute, paragonabile al vecchio Ecu. Libera fluttuazione del “nuovo franco” fino ad massimo del 20% rispetto al paniere. E poi: ridenominazione del debito pubblico in franchi, abolizione della legge del 1973 per riportare la Banca di Francia sotto il controllo del Parlamento, a supporto di una politica monetaria espansiva per stimolare l’economia. Ecco le premesse per la “profezia” di Malloch, intervistato dalla “Bbc: addio all’euro, entro 18 mesi. «Previsione più che realistica», secondo Dezzani, considerata la “manovra a tenaglia” studiata dall’amministrazione Trump e dal “Gruppo di Coblenza” per liquidare gli ultimi due pilastri dell’establishment “liberal” in Europa, cioè l’Ue e il suo corrispettivo militare, la Nato. «Gli stessi centri di potere, per inciso, che avrebbero preferito la vittoria di Hillary Clinton e la conseguente escalation militare con la Russia, pur di sopravvivere». Tra i vecchi oligarchi euroatlantici resistono Draghi e la Merkel: «Chiusa la tenaglia, non ne rimarrà in piedi nessuno».L’Europa a due velocità? E’ la carta della disperazione prima del crollo dell’euro, moneta alla quale Ted Malloch, portavoce Usa in Ue, non concede più di 18 mesi di vita. La Merkel e Draghi? Sono gli ultimi due baluardi del vecchio establishment. E soccomberanno, stritolati da una tenaglia: da una parte Trump, dall’altra gli euroscettici alle urne nei prossimi mesi. Lo sostiene Federico Dezzani, osservando il fatale deteriorarsi del quadro generale in Europa: «Senza la morfina iniettata dalla Bce, i mercati finanziari sarebbero in preda a convulsioni peggiori del 2012». L’amministrazione Trump si sarebbe saldata con le forze populiste europee, il “Gruppo di Coblenza”. E anche se da Washington piovono duri attacchi contro la Germania e i suoi saldi commerciali record, «persino i nazionalisti tedeschi, i falchi della Cdu-Csu, viaggiano sulla stessa lunghezza d’onda della Casa Bianca». Ormai, «solo due superstiti del vecchio establishment liberal, Angela Merkel e Mario Draghi, oppongono ancora resistenza al processo di euro-dissoluzione», ma «difficilmente riusciranno però a salvarsi».
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Può finire il Pd, non il romanzo criminale che sabota l’Italia
In “Romanzo criminale”, la saga della Banda della Magliana ripercorsa da Giancarlo De Cataldo, nessuno riesce mai neppure a sfiorare il supremo potere del Grande Vecchio, il burattinaio che agisce nell’ombra e, dal Palazzo, manovra i fili che tengono insieme una sceneggiatura anche atroce, in cui si muovono guardie e ladri, terroristi e affaristi, servizi segreti e malavita imprenditrice. Nel saggio “Il più grande crimine”, il giornalista Paolo Barnard ricostruisce in chiave criminologica quello che chiama “economicidio” dell’Italia, in tre mosse: divorzio tra governo e Bankitalia, adesione all’Unione Europea, ingresso nell’Eurozona. Matematico: crisi, disoccupazione, super-tasse, taglio del welfare e dei salari, crollo dei consumi, sofferenze bancarie ed esplosione del debito pubblico, che diviene improvvisamente “tossico” perché non più ripagabile, non più denominato in moneta sovrana liberamente disponibile. A monte: il Memorandum Powell, la guerra storica contro la sinistra dei diritti del lavoro (dalla legge Biagi al Jobs Act), la “crisi della democrazia” evocata dai cantori della Trilaterale, fino alla spazzatura terminale dell’Ue, il Fiscal Compact, la morte clinica del bilancio pubblico degli Stati, ridotti a esattori per la più colossale operazione di money-transfer della storia moderna, dal basso verso l’alto, attraverso la privatizzazione universale neoliberista.Nella sua visione da criminologo, Barnard fa i nomi: Beniamino Andreatta e Carlo Azeglio Ciampi vietarono alla Banca d’Italia di continuare a fare da “bancomat del governo” a costo zero, imponendo allo Stato, da quel momento, di finanziarsi diversamente: ricorrendo cioè alla finanza privata attraverso l’emissione di bond, a beneficio della grande finanza, cui da allora lo Stato avrebbe riconosciuto lauti interessi, facendo esplodere il debito pubblico. Poi l’euro, cioè l’istituzionalizzazione definitiva della “trappola finanziaria”: lo Stato non può più fare retromarcia, deve “prendere in prestito” la moneta emessa da un soggetto esterno, la Bce, i cui azionisti sono le banche centrali non più pubbliche, ma controllate da cartelli bancari privati. A quel punto è l’euro a imporre la sua legge, attraverso la Commissione Europea, cioè il governo non-eletto dell’Europa. E la Commissione Europea vara la norma finale, esiziale, per qualsiasi governo democratico: il pareggio di bilancio, che equivale al decesso finanziario dello Stato. In regime di sovranità (Usa, Giappone, resto del mondo) il debito pubblico misura la salute del paese: più il deficit è alto, più l’economia è prospera. L’Unione Europea inverte i termini del paradigma: taglia la spesa pubblica, e ottiene crisi. L’Italia, addirittura, ha inserito il pareggio di bilancio in Costituzione. E, peggio ancora, da anni il bilancio italiano è in “avanzo primario”: per i cittadini, lo Stato spende meno di quanto i contribuenti versino in tasse.Come si è arrivati a questo? Smantellando la sinistra, risponde Barnard, citando l’avvocato Lewis Powell, uno stratega di Wall Street incaricato dalla Camera di Commercio Usa, all’inizio degli anni ‘70, di redigere un vademecum per guidare l’élite, spodestata dalla democrazia sociale nel dopoguerra, verso la riconquista dell’atavico potere perduto. Detto fatto, come da manuale: leader radicali stroncati, leader riformisti “comprati” per annacquare i loro partiti e sindacati, rendendoli docili e spingendoli a convincere i loro elettori ad accettare “riforme” concepite per “smontare” le tutele sociali, privatizzando progressivamente l’economia. Campioni assoluti, in Italia: personaggi come Romano Prodi, Giuliano Amato e Massimo D’Alema. Berlusconi? Irrilevante: si è limitato a proteggere i suoi interessi. Gli artefici delle “riforme strutturali” provengono tutti dalla sinistra storica: la più adatta, come insegna Lewis Powell, a convincere la società ad affrontare dolorosi “sacrifici”, magari imposti sulla base di norme senza alcun fondamentio economico, come il famigerato limite alla spesa pubblica, non oltre il 3% del Pil. Una invenzione di François Mitterrand, come ricorda l’economista Alain Parguez, allora consulente del presidente francese. Mitterrand? «Un monarchico, travestito da socialista». L’ennesima maschera della sinistra messasi al servizio del supremo potere oligarchico, neo-feudale, ansioso di sbarazzarsi dell’ingombro della democrazia per tornare all’antico splendore.La “mente” di Mitterrand? Jacques Attali, che Barnard definisce “il maestro” di D’Alema, l’ex comunista italiano che, da Palazzo Chigi, vantò il record europeo delle privatizzazioni. Nel suo libro “Massoni, società a responsabilità illimitata”, Gioele Magaldi aggiunge un ulteriore filtro alla lettura di Barnard, quello super-massonico, derivate dal potere di 36 organizzazioni segrete, denominate Ur-Lodges, in cui gli uomini del massimo vertice mondiale – finanziario, industriale, militare, politico – disegnano le loro trame, per condizionare governi e paesi. Di Jacques Attali, Magaldi e Barnard offrono un ritratto preciso: l’ennesimo uomo di sinistra, “convertitosi” alla causa dell’oligarchia. E’ uno smottamento che investe l’intero Occidente: i Clinton e poi Obama negli Usa, Tony Blair in Gran Bretagna, Mitterrand in Francia, Gerhard Schröder in Germania con la riforma Hartz che introduce la flessibilità nel lavoro dipendente e i mini-salari dei minijob. Poi arrivano le Merkel e i Trump, ma il “lavoro sporco” l’hanno già fatto gli “amici del popolo”, quelli che ancora oggi in Italia cantano Bandiera Rossa e Bella Ciao, dopo aver votato la legge Fornero e le finanziarie-suicidio di Mario Monti, che per Magaldi milita, insieme a Giorgio Napolitano, nella Ur-Lodge “Three Eyes”, la stessa di Attali, storicamente guidata da personalità come quelle di David Rockefeller ed Henry Kissinger, fondatori della Trilaterale.Anche in Italia, il cortocircuito finanziario introdotto con l’euro (lo Stato improvvisamente in bolletta) si è trasformato in crisi economica, quindi sociale. Ma, ovviamente, il “più grande crimine”, il sabotaggio della sovranità e quindi della democrazia, non è mai stato neppure lontanamente sfiorato dalla cosiddetta sinistra radicale dei Bertinotti e dei Vendola, né tantomeno dalla Cgil. Era tanto comodo il “demonio” Berlusconi, per catalizzare i mali del Balpaese, fino a insediare a Palazzo Chigi direttamente la Trojka, il commissario Monti (Trilaterale, Bilderberg, Goldman Sachs) tra gli applausi di tutti i Bersani di Montecitorio. Poi è arrivato Grillo, poi Renzi: come se il Grande Vecchio, lassù, si divertisse un mondo con il suo giocattolo preferito, l’Italia, cioè il paese in cui nessuno denuncia mai il vero problema, e dunque non può trovare soluzioni. Oggi si sbriciola il Pd, ma nulla lascia supporre che finisca il “romanzo criminale”, con i suoi personaggi-marionetta e le loro piccole partite, fatte di primarie e poltrone, correnti e sigle, bullismi, rancori, rivincite e vendette. Vacilla persino l’Unione Europea, sono in atto rivolgimenti di portata mondiale che mettono in discussione i caposaldi della globalizzazione neoliberista. E in Italia sono in campo Renzi ed Emiliano, Di Maio e la Raggi, Salvini e D’Alema, Prodi e Berlusconi, Pisapia e la Boldrini. Ancora una volta, gli amici del Grande Vecchio potranno dormire sonni tranquilli: l’Europa sta per franare, a cominciare dalla Francia, ma non sarà certo l’Italia a impensierire i grandi architetti della crisi.In “Romanzo criminale”, la saga della Banda della Magliana ripercorsa da Giancarlo De Cataldo, nessuno riesce mai neppure a sfiorare il supremo potere del Grande Vecchio, il burattinaio che agisce nell’ombra e, dal Palazzo, manovra i fili che tengono insieme una sceneggiatura anche atroce, in cui si muovono guardie e ladri, terroristi e affaristi, servizi segreti e malavita imprenditrice. Nel saggio “Il più grande crimine”, il giornalista Paolo Barnard ricostruisce in chiave criminologica quello che chiama “economicidio” dell’Italia, in tre mosse: divorzio tra governo e Bankitalia, adesione all’Unione Europea, ingresso nell’Eurozona. Matematico: crisi, disoccupazione, super-tasse, taglio del welfare e dei salari, crollo dei consumi, sofferenze bancarie ed esplosione del debito pubblico, che diviene improvvisamente “tossico” perché non più ripagabile, non più denominato in moneta sovrana liberamente disponibile. A monte: il Memorandum Powell, la guerra storica contro la sinistra dei diritti del lavoro (dalla legge Biagi al Jobs Act), la “crisi della democrazia” evocata dai cantori della Trilaterale, fino alla spazzatura terminale dell’Ue, il Fiscal Compact, la morte clinica del bilancio pubblico degli Stati, ridotti a esattori per la più colossale operazione di money-transfer della storia moderna, dal basso verso l’alto, attraverso la privatizzazione universale neoliberista.
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Schulz e Juncker, l’amico dei migranti e il finto populista
«Non dormo più da dieci giorni. Ho 52 anni, tra qualche mese 53, da ieri sono ufficialmente un esubero». Parola di Iacopo Savelli, giornalista di “Sky”. «A Savelli voglio solo dire quanto segue: la situazione che lei vive da una decina di giorni, tanti la vivono dalla nascita; tantissimi dalla nascita dell’Ue e dell’euro», replica Vincenzo Bellisario sul blog del Movimento Roosevelt, che cita il programma, sintetizzato in un Tweet, del candicato cancelliere Martin Shulz per “riformare” l’Ue: «I rifugiati rappresentano il “sogno europeo” e valgono più dell’oro», dice l’ex presidente del Parlamento Europeo, in corsa per sfidare Angela Merkel, con cui finora ha governato. In effetti, sottolinea Bellisario, «considerando il notissimo progetto Ue di abbassamento dei salari», ben espresso dalla “lettera riservata della Bce al governo italiano” del 2011, Schulz ha perfettamente ragione: i migranti contribuiscono alla svalutazione interna indotta dall’euro, con il crollo del costo del lavoro (e del reddito medio europeo). Oro che cola, i rifugiati: «Nessun contratto di ingaggio, 10-12 ore di lavoro al giorno, 300 euro al mese». Nemmeno l’affitto è un problema: «Vivono anche in 20 persone all’interno di 60-70 metri di casa».Ha dunque “ragione” Martin Schulz, «esattamente come avevano ragione i vari D’Alema», quando affermavano di volere «almeno altri 30-50 milioni di extraeuropei nei prossimi anni all’interno Ue». Ovvio che poi esploda il “populismo”, che – per inciso – secondo Dario Fo non è un’esaltazione demagogica del popolo, anzi: «Il populista è colui che intende migliorare la posizione del popolo permettendogli di sfuggire alle violenze della classe dominante, ai ricatti e allo sfruttamento». Attenzione, però, al populista che non t’aspetti: come il maggiordomo dell’élite europea, Jean-Claude Juncker, che ora parla di “reddito minimo di base”, cercando di scippare ai “populisti” (quelli veri) il loro principale cavallo di battaglia. «Chi ottiene un reddito fisso mensile dall’Ue, difficilmente sarà spinto ad abbandonarla», scrive Bellisario. «Insomma, dopo 25 anni di “macelleria sociale” targata Ue ed euro, hanno capito che l’unico modo per battere il “populismo” è quello di trasformarsi in “populisti”». Bellisario cita l’Eurispes, secondo cui il 48,3% delle famiglie italiane non arriva alla fine del mese, mentre in Grecia una famiglia su due sopravvive grazie alla pensione di un familiare.L’allarme lanciato da Savelli, il giornalista di “Sky”, è decisamente illuminante: la catastrofe della crisi sta entrando anche nelle case dei “protetti” che mai avrebbero pensato di finire nei guai. Bellisario consiglia di non fidarsi né del solidarismo di Schulz, né di quello di Juncker: sono entrambi insinceri e provengono da due alti responsabili del disastro, che oggi provano a travestirsi da “amici del popolo”. In realtà stanno cercando di cambiare “canzone”, incalzati dai sondaggi e frastornati dagli ultimi risultati. Nell’ordine: Brexit, Trump, il No al referendum italiano. Attenti a quei due: sotto sotto, Schulz e Juncker la pensano sempre come il “maestro” Mario Monti, fiero del «grande successo dell’euro», la moneta creata «per convincere la Germania che attraverso l’euro e i suoi vincoli la cultura della stabilità tedesca si sarebbe diffusa a tutti». E dunque, per il cinico tecnocrate, «quale caso di scuola si sarebbe potuto immaginare milgiore di una Grecia che è costretta a dare peso alla cultura della stabilità e sta trasformando se stessa?». Con Schulz e Juncker, l’intera Europa scivola verso la Grecia “esemplare” di Monti, alla velocità della luce.«Non dormo più da dieci giorni. Ho 52 anni, tra qualche mese 53, da ieri sono ufficialmente un esubero». Parola di Iacopo Savelli, giornalista di “Sky”. «A Savelli voglio solo dire quanto segue: la situazione che lei vive da una decina di giorni, tanti la vivono dalla nascita; tantissimi dalla nascita dell’Ue e dell’euro», replica Vincenzo Bellisario sul blog del Movimento Roosevelt, che cita il programma, sintetizzato in un Tweet, del candicato cancelliere Martin Schulz per “riformare” l’Ue: «I rifugiati rappresentano il “sogno europeo” e valgono più dell’oro», dice l’ex presidente del Parlamento Europeo, in corsa per sfidare Angela Merkel, con cui finora ha governato. In effetti, sottolinea Bellisario, «considerando il notissimo progetto Ue di abbassamento dei salari», ben espresso dalla “lettera riservata della Bce al governo italiano” del 2011, Schulz ha perfettamente ragione: i migranti contribuiscono alla svalutazione interna indotta dall’euro, con il crollo del costo del lavoro (e del reddito medio europeo). Oro che cola, i rifugiati: «Nessun contratto di ingaggio, 10-12 ore di lavoro al giorno, 300 euro al mese». Nemmeno l’affitto è un problema: «Vivono anche in 20 persone all’interno di 60-70 metri di casa».
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Bersani non andrà da nessuna parte, ma nemmeno Renzi
Non andranno da nessuna parte, gli scissionisti del Pd: sono figure logore, nonché largamente compromesse con il peggior potere, quello che ha imposto all’Italia il regime dell’austerity. Beninteso: non andranno lontano nemmeno gli altri, i renziani, così come i berlusconiani. I grillini? Domani chissà, ma oggi – di fatto – non hanno vero un Piano-B per ribaltare l’economia italiana cambiando le regole del gioco. E’ la tesi di Gioele Magaldi, autore del bestseller “Massoni, società a responsabilità illimitata” (Chiarelettere), che illumina gli imbarazzanti retroscena del “back office” del potere mondiale, con 36 superlogge internazionali che “orientano” le grandi decisioni dei governi, attraverso il controllo della finanza e delle istituzioni “paramassoniche” come Fmi e Banca Mondiale, Bilderberg e Trilaterale, think-tanks e lobby che, di fatto, “dettano” direttive, leggi, tendenze. Una su tutte: la supremazia neoliberista del mercato a danno dello Stato, neutralizzato dai tecnocrati e disabilitato nelle sue capacità di spesa pubblica e investimento economico e sociale.«Si può dire anche molto male di Matteo Renzi, ma è pur sempre meglio di Pier Carlo Padoan, il ministro dell’economia, che – attraverso la Ur-Lodge “Three Eyes”, roccaforte storica della destra internazionale – è il terminale italiano dei super-poteri che predicano la privatizzazione universale». Ai microfoni di “Colors Radio”, Magaldi osserva con scetticismo lo spettacolare smottamento in corso nello scenario politico italiano, non solo nella cosiddetta sinistra, ma anche sul fronte opposto, dove – accanto a Salvini e Giorgia Meloni – emergono pulsioni “sovraniste” dalla ex destra sociale di Alemanno e Storace. Meglio di niente, sembra concludere Magaldi, che è progressista e ha fondato in Italia il Movimento Roosevelt, associazione meta-partitica con l’obiettivo di “inoculare il virus del risveglio”, liberando i partiti dalla loro sudditanza rispetto ai poteri forti. Magaldi ora va anche oltre, annunciando l’apertura di un cantiere politico per dare vita a un nuovo soggetto. Non l’ennesimo partitino, assicura, ma – sulla carta – l’unico strumento su cui far convergere un vero e proprio rovesciamento di valori e priorità, sulla scorta dell’esperienza condotta per la candidatura dell’economista keynesiano Nino Galloni al Comune di Roma.Tradotto: prima viene il recupero della sovranità finanziaria, anche monetaria, e soltanto dopo è possibile ridisegnare leggi e governi, con alle spalle una struttura (pubblica) capace di investire denaro per l’economia reale, quella delle aziende e delle famiglie. Nulla di tutto ciò è in vista, nel campo della sinistra italiana tradizionale: che magari sbatte la porta in faccia a Renzi, ma poi non osa alzare la voce con i veri potenti, cioè i guardiani dell’ortodossia ordoliberista incarnata dall’Unione Europea a trazione tedesca. «Non capisco come facciano, Bersani e compagni, a rinfacciare a Renzi la mancanza di una politica sociale, di sinistra, che parta dalle istanze del popolo, quando loro sono stati i primi, con D’Alema e anche Veltroni, a plaudire al governo Monti, progettato dai grandi poteri con l’aiuto di Napolitano». Dove pensano di andare, Bersani e Speranza? Alla loro sinistra si è accampata Sinistra Italiana, cioè la reincarnazione di Sel, il partito di Vendola, ben lungi – al netto della retorica – dall’aver affrontato il nodo vero della questione: la sovranità democratica dei governi europei, resi “sudditi” da Bruxelles, a danno della comunità nazionale.Più interessante il campo opposto, dove si registra quantomeno la vitalità di Salvini e Meloni, con il limite però di dover fare sempre i conti con l’eterno Berlusconi, che in vent’anni – reso vulnerabile dal ricatto incombente sulle sue aziende – non è riuscito a dire un solo “no” ai nemici dell’Italia. Restano i 5 Stelle: se non l’attuale dirigenza “grillo-replicante”, almeno la sincera disponibilità democratica della base. Per Magaldi, il ogni caso, il Pd è finito: «Marcirà, si estinguerà per putrefazione. Mentre l’Italia ha un disperato bisogno di rigenerazione, attraverso la rinascita del campo progressista», adeguata allo scenario di oggi: un rinascimento politico, che parta dalla battaglia (storica) per denunciare gli abusi dell’oligarchia europea e restituire piena sovranità finanziaria all’economia nazionale, condizione imprescindibile per poi riscrivere le leggi in senso democratico, ridisegnando il paese, dopo aver rimesso al potere politici legittimi, non più maggiordomi dell’élite.Non andranno da nessuna parte, gli scissionisti del Pd: sono figure logore, nonché largamente compromesse con il peggior potere, quello che ha imposto all’Italia il regime dell’austerity. Beninteso: non andranno lontano nemmeno gli altri, i renziani, così come i berlusconiani. I grillini? Domani chissà, ma oggi – di fatto – non hanno vero un Piano-B per ribaltare l’economia italiana cambiando le regole del gioco. E’ la tesi di Gioele Magaldi, autore del bestseller “Massoni, società a responsabilità illimitata” (Chiarelettere), che illumina gli imbarazzanti retroscena del “back office” del potere mondiale, con 36 superlogge internazionali che “orientano” le grandi decisioni dei governi, attraverso il controllo della finanza e delle istituzioni “paramassoniche” come Fmi e Banca Mondiale, Bilderberg e Trilaterale, think-tanks e lobby che, di fatto, “dettano” direttive, leggi, tendenze. Una su tutte: la supremazia neoliberista del mercato a danno dello Stato, neutralizzato dai tecnocrati e disabilitato nelle sue capacità di spesa pubblica e investimento economico e sociale.