Archivi degli autori
-
Omicidi e stragi, la guerra segreta degli inglesi contro l’Italia
“Colonia Italia”. Giornali, radio e tv: così gli inglesi ci controllano. Le prove nei documenti top secret di Londra. Sono cose che dobbiamo sapere. Quando si pensa alle ingerenze dall’estero nei confronti del nostro paese si pensa sempre agli Stati Uniti d’America. Ma basta aprire una cartina geografica e vedere dov’è l’Inghilterra, un’isola del Nord Europa, e dove sono stati per molti decenni – a ancora oggi – i suoi interessi economici, strategici, militari. In Nord Africa, nel Medio Oriente e in Estremo Oriente. E cosa c’è tra la Gran Bretagna e i suoi interessi? C’è il Mediterraneo e, al centro del Mediterraneo, l’Italia. Quindi già dai tempi del Risorgimento, l’Italia per la Gran Bretagna era una postazione di fondamentale importanza, attraverso la quale poteva controllare i suoi domini e le sue rotte marittime. Poi l’Italia perde la Seconda Guerra Mondiale e, tra Gran Bretagna e Stati Uniti, c’è una visione molto conflittuale sul problema Italia: per gli Stati Uniti noi eravamo un paese cobelligerante, cioè che si era autoliberato dal nazifascismo combattendo al fianco degli alleati. Per la Gran Bretagna invece noi eravamo un paese sconfitto tout-court. Punto e basta. Quindi un paese soggetto ai vincoli, imposti attraverso trattati internazionali, dalle potenze vincitrici alle nazioni sconfitte.Questo ha determinato il corso degli eventi della storia successiva, praticamente fino ai giorni nostri. Al tavolo della pace, quando le grandi potenze vincitrici cominciarono a spartirsi il mondo in aree di influenza, all’interno del campo atlantico la Gran Bretagna pretese e ottenne, dagli Stati Uniti e dall’Unione Sovietica, una sorta di diritto di supervisione sull’Italia. Quindi l’Italia, dalla Seconda Guerra Mondiale in poi, è paese che appartiene all’area di influenza britannica. C’è una differenza importante tra gli Stati Uniti e la Gran Bretagna. Gli Usa hanno combattuto anche in Italia una guerra contro il comunismo. La Gran Bretagna non ha combattuto solo quella, ma anche una guerra contro l’Italia, in modo particolare contro quella parte della classe dirigente italiana del secondo dopoguerra – penso ai De Gasperi, ai Mattei, ai Fanfani, ai Vanoni fino ad Aldo Moro, sovranista – cioè, che pur nel contesto di un’alleanza internazionale, l’alleanza atlantica, si muoveva con una propria visione sulla base di un proprio interesse nazionale. Era l’Italia del dopoguerra, uscita a pezzi, che però voleva crescere, riprendersi, ricostruire le proprie istituzioni, il proprio sistema economico. E per poterlo fare aveva bisogno di quella materia prima che è il sangue, l’ossigeno per ogni sistema, e cioè il petrolio, l’energia. Questo è stato all’origine di un conflitto con la Gran Bretagna che dura ancora oggi.La Gran Bretagna, che ha esercitato un controllo pressoché assoluto sul nostro sistema di informazione, ha usato la stampa, i giornali, gli opinion leader, gli intellettuali per orientare l’opinione pubblica e tentare di condizionare le scelte politiche dei partiti e dei governi. Una di queste grandi scelte su cui la Gran Bretagna ha tentato di condizionarci è stata la politica mediterranea, la politica energetica e petrolifera dell’Italia. De Gasperi, presidente del Consiglio nel 1953, aveva il mandato britannico di sciogliere l’Agip. Mattei, nel 1953, era stato messo alla presidenza dell’Agip per scioglierla. E invece di sciogliere l’Agip lui fondò l’Eni, grazie anche a un decreto di De Gasperi. E dopo aver fondato l’Eni, Mattei cominciò ad attuare una propria politica. Non era accettata l’Italia di Mattei, dell’Eni, al tavolo delle grandi compagnie internazionali, in modo particolare di quelle britanniche, con pari dignità. Era ammessa a sedersi, tutt’al più, su uno strapuntino, ma Mattei e l’Italia di quegli anni non volevano assolutamente dipendere dal punto di vista energetico dalla Gran Bretagna. Per cui cercarono autonomamente le fonti di approvvigionamento, offrendo ai paesi produttori di petrolio, che erano quasi tutti controllati dalle compagnie britanniche, condizioni più favorevoli.C’era la famosa regola del fifty-fifty: 50% ai produttori, 50% alle compagnie petrolifere straniere. Questa era una regola imposta dalle “sette sorelle”. Mattei cambiò le regole dello scambio, proponendo il 25% alle compagnie e il 75% ai produttori: i paesi produttori trovarono più conveniente fare affari con l’Italia che non con la Gran Bretagna. Questo disturbò parecchio gli inglesi. La rivelazione di questo libro è l’esistenza di una vera e propria macchina della propaganda occulta britannica. E questa macchina venne scagliata contro De Gasperi e contro il suo erede politico Attilio Piccioni, attraverso la macchina del fango. De Gasperi venne coinvolto in uno scandalo, il famoso scandalo Guareschi – De Gasperi delle lettere che poi risultarono false, fabbricate dalla propaganda occulta inglese, e Piccioni venne coinvolto in un altro scandalo, quello famosissimo di Wilma Montesi, la ragazza trovata morta su una spiaggia di Tor Vaianica. Il figlio, Piero Piccioni, venne coinvolto in quello scandalo; e il padre, ministro degli esteri, sodale di De Gasperi e protettore di Enrico Mattei, venne travolto da quell’ondata di fango. Poi lo scandalo si rivelò infondato, perché le responsabilità del figlio di Piccioni non erano quelle che la campagna ispirata dalla macchina occulta britannica gli aveva attribuito, tant’è che Piero Piccioni qualche anno dopo fu prosciolto, risultò innocente.Questo è solo un esempio di come la Gran Bretagna è intervenuta pesantemente nelle nostre vicende interne, e adesso ho citato due episodi che sono collegati alla guerra specifica energetico-petrolifera. L’Iran di Mohammad Mosaddeq, primo ministro, aveva nazionalizzato il petrolio britannico. La Gran Bretagna reagì imponendo l’embargo, e l’Italia dell’Eni e di De Gasperi violò quell’embargo. Winston Churchill, allora premier britannico – nel libro ci sono dei documenti desecretati inglesi – ordinò ai suoi apparati di “dare una lezione” agli italiani, perché avevano osato violare l’embargo imposto dagli inglesi contro l’Iran. Sono emersi nuovi documenti sulla guerra scatenata dalla macchina della propaganda occulta contro Enrico Mattei. Attraverso la sua politica, Mattei emarginò progressivamente le compagnie che curavano gli interessi britannici, in aree che gli inglesi consideravano, per importanza – sto citando testualmente un documento – seconde soltanto alla Gran Bretagna stessa. Aree come la Libia, come l’Egitto, come l’Iran, come l’Iraq che per gli inglesi erano di vitale importanza. Mattei andò a ficcare il naso, con la sua politica, in queste zone, disturbando, anzi addirittura emarginando, nel corso degli anni, la presenza britannica.In questi documenti Mattei venne definito dagli inglesi – cito testualmente – «un pericolo mortale per gli interessi britannici nel mondo». E c’è un altro documento che fa venire la pelle d’oca. E’ del 1962. Gli inglesi dicono che Mattei «è una verruca, è un’escrescenza da rimuovere in ogni modo». Scrivono: «Abbiamo tentato di fermarlo in tutti i modi e non ci siamo riusciti: forse è giunto il momento di passare la pratica alla nostra intelligence». Sei mesi dopo, Enrico Mattei morì in un incidente aereo che oggi sappiamo con certezza, anche sul piano giudiziario, essere stato causato da un atto di sabotaggio. Aldo Moro? La vicenda Moro si colloca esattamente nello stesso contesto della vicenda di Enrico Mattei. Aldo Moro è stato l’erede della politica mediterranea di Mattei. Tra il 1969 e il 1975, Moro è stato l’ispiratore della politica estera italiana. Era ministro degli esteri in diversi governi, e riuscì a mettere a segno ulteriori colpi contro gli interessi inglesi. Certo, non è che gli italiani scherzassero, a loro volta. In Libia, nel 1969, con Moro ministro degli esteri, ci fu un colpo di Stato che rovesciò la monarchia filo-britannica e portò al potere il colonnello Muhammar Gheddafi, addestrato nelle accademie militari italiane. E’ vero che Gheddafi cacciò via gli italiani, ma subito dopo nazionalizzò il petrolio, che era controllato dalle compagnie britanniche, espulse dalla Libia le basi militari britanniche e iniziò un rapporto privilegiato con gli italiani, grazie al quale l’Italia conobbe un periodo di grande benessere economico.E poi, negli anni successivi, ci furono altri colpi messi a segno, come in Iraq, dove il regime nazionalista aveva espropriato, nazionalizzato il petrolio controllato dalle compagnie britanniche. E l’Eni era riuscita a penetrare anche lì, grazie ovviamente ai successori della politica energetica di Mattei, ma soprattutto grazie alla politica estera di Aldo Moro. Tra i documenti di “Colonia Italia“, ce n’è uno che veramente fa venire i brividi, riportato con tutti i suoi riferimenti archivistici, per cui chiunque voglia andare a controllare può farlo. Nel gennaio del 1969, il responsabile della macchina della propaganda occulta a Roma dice: «Attraverso la macchina della propaganda occulta non abbiamo ottenuto grandi risultati contro questa classe dirigente italiana». Quindi invita il suo governo: «Dobbiamo adottare altri metodi». Quali metodi? Questa parte del documento è oscurata ancora oggi. E’ ancora oggi coperta dal segreto. Io chiedo continuamente agli opinionisti, ai direttori dei giornali, alla stampa: ma perché non chiedete al governo britannico la desecretazione di quella parte del documento, in cui sono spiegati gli “altri metodi” da utilizzare contro l’Italia a partire dal 1969?Nel 1969 ci fu la strage di piazza Fontana e iniziò una stagione di sangue, lo stragismo, il terrorismo, che toccò il suo punto più alto con il sequestro e l’assassinio di Aldo Moro. E anche qui c’è da dire qualcosa a proposito dell’intervento britannico. Nel 1976 – questo è provato, perché lo dicono gli stessi documenti inglesi desecretati e conservati nell’archivio di Stato di Kew Gardens, a disposizione di tutti – ci fu un tentativo di colpo di Stato organizzato o progettato dagli inglesi nei primi sei mesi del 1976 per bloccare la politica di Aldo Moro. Quel progetto venne sottoposto all’attenzione degli alleati francesi, tedeschi e americani. I francesi aderirono immediatamente, perché l’Italia era un concorrente temibile anche per i francesi, non solo per gli inglesi, mentre americani e tedeschi si mostrarono molto più scettici, e dissero agli inglesi: «Ma voi siete pazzi! Un colpo di Stato in Italia, a parte i contraccolpi negativi nell’opinione pubblica per l’alleanza atlantica, in Italia c’è una sinistra forte, c’è una organizzazione sindacale molto radicata, cioè ci sarebbe una reazione e quindi un bagno di sangue!»Gli inglesi allora misero da parte il progetto di un colpo di Stato vero e proprio, classico. Però c’è un altro documento, pubblicato nel libro. Scrivono: «Visto che non è possibile attuare un colpo di Stato militare classico, per l’opposizione di Germania e Stati Uniti, passiamo al piano-B». Qual era questo piano-B? Purtroppo, anche in questo caso, come nel documento che ho citato prima, c’è soltanto il titolo. E il titolo è agghiacciante. Testualmente: “Appoggio a una diversa azione sovversiva per bloccare Aldo Moro”. Quale poteva essere questa “azione sovversiva” naturalmente io non lo so, perché anche questa parte del documento è ancora oggi secretata, protetta dal segreto. A suo tempo venne oscurata persino agli americani e ai tedeschi. E anche in questo caso non mi trattengo dal chiedere agli opinionisti italiani, alla stampa italiana: siamo in un paese in cui rivendichiamo tutti i giorni verità e giustizia; beh, quando ci troviamo di fronte a documenti di questo tipo, ma che ci vuole a chiedere agli inglesi di desecretare anche questo documento per capire quale poteva essere la “diversa azione sovversiva” contro Moro?Magari non c’entra nulla con il sequestro e l’assassinio di Aldo Moro, le cui responsabilità ovviamente ricadono sulle Brigate Rosse italiane. Magari, attraverso la desecretazione di quel documento, scopriamo che la diversa azione sovversiva con cui gli inglesi volevano bloccare Aldo Moro era soltanto una scampagnata della regina Elisabetta in Italia… Ci sono due documenti drammatici, che segnano due fasi drammatiche della nostra storia: piazza Fontana e l’assassinio di Aldo Moro. Entrambi questi documenti sono incompleti. Sono ancora oggi secretati. E visto che la Gran Bretagna è un paese nostro amico, addirittura nostro alleato, sarebbe utile per noi sapere se questo paese amico ha avuto un qualche ruolo, oppure no, nella strage di piazza Fontana e nell’assassinio di Aldo Moro. Allo stato delle nostre ricerche, ho ragione di ritenere che oggi il controllo britannico sul nostro paese sia ancora più forte di prima.(Giovanni Fasanella, dichiarazioni rilasciate a Claudio Messora il 12 novembre 2015 per la video-intervista “I documenti Uk che fanno gelare il sangue, da Enrico Mattei ad Aldo Moro”, pubblicata su “ByoBlu” per presentare il libro “Colonia Italia”, Chiarelettere – 483 pagine, euro 18,90 – che Fasanella ha scritto insieme a Mario José Cereghino. Il possibile ruolo occulto della Gran Bretagna nella “sovragestione” dell’Italia è tornato drammaticamente in primo piano nel febbraio 2016 con l’uccisione al Cairo del giovane Giulio Regeni, ingaggiato in Egitto da una Ong collegata all’università di Cambridge; secondo molte fonti indipendenti, tra cui l’ex inviato di “Panorama” Marco Gregoretti, il lavoro di Regeni sarebbe stato utilizzato dall’Mi6, il controspionaggio inglese. La stessa intelligence britannica, sempre secondo Gregoretti, avrebbe “sacrificato” Regeni, utilizzando killer egiziani, per creare un incidente diplomatico tra Italia ed Egitto in vista di un possibile intervento militare italiano in Libia. E Fulvio Grimaldi, ex giornalista Rai, segnala che l’Italia, tramite l’Eni, ha raggiunto un accordo strategico con l’Egitto per lo sfruttamento di un immenso giacimento di gas, nel Mediterraneo, in acque egiziane, fatto che ha sicuramente irritato e preoccupato gli inglesi).“Colonia Italia”. Giornali, radio e tv: così gli inglesi ci controllano. Le prove nei documenti top secret di Londra. Sono cose che dobbiamo sapere. Quando si pensa alle ingerenze dall’estero nei confronti del nostro paese si pensa sempre agli Stati Uniti d’America. Ma basta aprire una cartina geografica e vedere dov’è l’Inghilterra, un’isola del Nord Europa, e dove sono stati per molti decenni – a ancora oggi – i suoi interessi economici, strategici, militari. In Nord Africa, nel Medio Oriente e in Estremo Oriente. E cosa c’è tra la Gran Bretagna e i suoi interessi? C’è il Mediterraneo e, al centro del Mediterraneo, l’Italia. Quindi già dai tempi del Risorgimento, l’Italia per la Gran Bretagna era una postazione di fondamentale importanza, attraverso la quale poteva controllare i suoi domini e le sue rotte marittime. Poi l’Italia perde la Seconda Guerra Mondiale e, tra Gran Bretagna e Stati Uniti, c’è una visione molto conflittuale sul problema Italia: per gli Stati Uniti noi eravamo un paese cobelligerante, cioè che si era autoliberato dal nazifascismo combattendo al fianco degli alleati. Per la Gran Bretagna invece noi eravamo un paese sconfitto tout-court. Punto e basta. Quindi un paese soggetto ai vincoli, imposti attraverso trattati internazionali, dalle potenze vincitrici alle nazioni sconfitte.
-
Forte: e ora Berlino farà pagare a noi il conto della sua crisi
Saremo noi in Italia a pagare per i risultati del voto in Germania che ha terremotato la coalizione fra popolari della Cdu e i socialdemocratici. È la fine della “ricreazione” di cui abbiamo usufruito con le deroghe sulle regole di bilancio e con la politica monetaria della Bce di Draghi. Il governo che la Merkel farà con i liberali (che con il 10% hanno più che raddoppiato i voti) comporta che essi avranno il ministero delle finanze e applicheranno all’Europa la politica fiscale di rigore di bilancio di cui sono fautori. Lo faranno tramite il “falco” Schäuble della Cdu, che diventerà vicepresidente della Commissione Europea, presidente dell’Eurogruppo e commissario alle finanze. Mario Draghi ha sostenuto ieri che c’è ancora bisogno del Qe, ma la politica di facilitazione quantitativa dovrà fare i conti con Jens Weidmann, il presidente della Bundesbank candidato a succedergli, che ha detto che non si può porre un veto a un tedesco come a un italiano, alla guida della Bce, e che ritiene pericolosa la sua linea. Va in fumo il progetto di Macron, che vorrebbe una politica di bilancio non rigorista per la Francia e una politica di investimento europeo, mediante i fondi dell’Esm, il meccanismo europeo di stabilità sinora utilizzati solo per il soccorso agli Stati in crisi, in cambio del loro commissariamento.Va in fumo il sogno di Renzi di rivedere le regole di bilancio europee con una deroga permanente al principio del pareggio per il bilancio statale, che peraltro su iniziativa di Forza Italia è stato adottato anche nella Costituzione italiana. Va in soffitta fra le cianfrusaglie l’idea dei 5 Stelle di fare gli europeisti e, insieme, di dare un reddito di cittadinanza generalizzato a chi non lavora. Cade a picco anche l’erronea interpretazione del dovere di prima accoglienza, che per il vigente diritto comunitario compete allo Stato in cui essi cercano di sbarcare. Questa prima accoglienza, secondo la tesi che ora la Germania sosterrà, modificando la politica immigratoria della Merkel, consisterà nel soccorrerli, rimandandoli nei luoghi di provenienza, intervenendo là. Si accetteranno solo immigrati regolari che domandano un lavoro di cui c’è disponibilità. Chi vuole lo ius soli, si rassegni: Berlino lo bloccherà perché comporta il passaporto europeo.Il governo Gentiloni ha varato una legge di bilancio 2018-20 che implica un “margine di flessibilità”. Contava sull’appoggio dei socialdemocratici tedeschi (che non saranno più al governo) e dei francesi che dovranno faticare a contrattare per sé margini di flessibilità con l’Europa in versione “liberale rigorista tedesca”. È vero che la creazione del ministro delle finanze europeo, secondo il progetto lanciato da Schäuble che vi aspira, comporta la revisione di regole europee, perciò tempi lunghi. Ma Juncker, presidente della Commissione Europea, nel discorso sullo stato dell’Unione lo ha modificato, così da escludere tale revisione. Questa carica sarebbe tecnica: toccherebbe al vicepresidente dell’Unione Europea, presidente dell’Eurogruppo e commissario alle finanze, dotato di maggiori competenze nell’attuazione delle regole vigenti del Fiscal Compact su bilanci e debiti degli Stati membri.Ci vorrà tempo prima che vengano formate la nuova coalizione politica e la nuova compagine governativa a Berlino, sicché la richiesta di rettifica del bilancio italiano 2018 può slittare e ricadere sul governo che verrà dopo le elezioni politiche. Draghi frattanto continuerà il Qe per tutto il 2017, anche a favore dell’Italia, contrariamente alla richiesta avanzata dalla Germania. Ma poi Draghi sarà sostituito. Senza una politica fiscale europea di investimenti, rivolta a compensare gli effetti deflattivi dello smantellamento del Qe e del rientro dai deficit dei paesi membri, rischiamo di trovarci con una riduzione della crescita del Pil. Dovremo aiutarci da soli, pagando con gli interessi il costo degli errori dei governi marcati Pd dal 2012 a ora.(Francesco Forte, “Immigrati ed economia: la nuova Germania sarà nemica dell’Italia”, da “Il Giornale” del 26 settembre 2017).Saremo noi in Italia a pagare per i risultati del voto in Germania che ha terremotato la coalizione fra popolari della Cdu e i socialdemocratici. È la fine della “ricreazione” di cui abbiamo usufruito con le deroghe sulle regole di bilancio e con la politica monetaria della Bce di Draghi. Il governo che la Merkel farà con i liberali (che con il 10% hanno più che raddoppiato i voti) comporta che essi avranno il ministero delle finanze e applicheranno all’Europa la politica fiscale di rigore di bilancio di cui sono fautori. Lo faranno tramite il “falco” Schäuble della Cdu, che diventerà vicepresidente della Commissione Europea, presidente dell’Eurogruppo e commissario alle finanze. Mario Draghi ha sostenuto ieri che c’è ancora bisogno del Qe, ma la politica di facilitazione quantitativa dovrà fare i conti con Jens Weidmann, il presidente della Bundesbank candidato a succedergli, che ha detto che non si può porre un veto a un tedesco come a un italiano, alla guida della Bce, e che ritiene pericolosa la sua linea. Va in fumo il progetto di Macron, che vorrebbe una politica di bilancio non rigorista per la Francia e una politica di investimento europeo, mediante i fondi dell’Esm, il meccanismo europeo di stabilità sinora utilizzati solo per il soccorso agli Stati in crisi, in cambio del loro commissariamento.
-
Foa: visto? Anche i tedeschi, nel loro piccolo, s’incazzano
Con ogni probabilità la Merkel rimarrà cancelliere, con una longevità straordinaria. Ma il risultato delle elezioni in Germania non rappresenta un trionfo per Angela. Al contrario. Quando la Cdu perde oltre l’8% dei voti, passando dal 41,5% al 32,7% e quando l’altro partito al governo, l’Spd, ne perde meno (“solo” il 5%) ma scendendo al 20%, il peggior risultato della sua storia, è difficile parlare di successo. Ed è difficile credere che la Germania sia un paese davvero in salute e soprattutto felice, come sembra da lontano. Queste elezioni sono dense di significati. Anche a Berlino, come nella maggior parte dei paesi europei, gli elettori credono sempre meno nei partiti moderati sia di destra sia di sinistra, che si differenziano per il colore delle bandiere ma non per l’azione politica. L’Spd e la Cdu alla fine dei conti sono troppo simili e rappresentano l’establishment. Assieme hanno perso il 13%, un’enormità. Quello di domenica va letto come un voto di protesta contro un sistema politico omologante e alla fine falso. Che senso ha distinguere fra destra e sinistra se poi sono quasi uguali? In Germania addirittura hanno governato assieme.I tedeschi chiedono una vera alternativa moderata e pretendono che si affrontino i veri problemi della società. Quali? L’immigrazione, innanzitutto. In Germania si conferma una verità che i progressisti e la maggior parte dei media si ostinano ad ignorare. L’immigrazione è fonte di ricchezza e non genera problemi quando i flussi sono regolati, quando l’integrazione è reale e quando non si formano comunità chiuse. Se invece diventa impetuosa, sregolata, massiccia, viene rifiutata perché vissuta come destabilizzante e, per l’ordine pubblico, pericolosa. E la propaganda “buonista”, alimentata anche dalla Cdu, responsabile di aver spalancato le frontiere sull’onda emotiva della foto del piccolo Aylan, non basta a convincere gli elettori. Risultato: milioni votano per Alternative für Deutschland, che vola al 13%. Ma non è solo l’immigrazione ad aver favorito la destra nazionalista. La Germania ha una bilancia commerciale record ma l’export non trascina l’economia interna, dove la disoccupazione è bassa ma a fronte di troppi posti di lavoro a stipendi ridicoli, i cosiddetti minijobs da 450 euro, con cui vengono pagati oltre 7 milioni di persone; un paese dove le tasse restano alte, dove i länder dell’Est continuano a languire.In teoria, alla luce dei risultati economici, il paese dovrebbe vivere un boom memorabile ma non è così, anche per l’effetto paralizzante dell’euro – che, come spiega da tempo Alberto Bagnai, impedisce la rivalutazione e la svalutazione delle monete nazionali e di conseguenza il più naturale fenomeno di compensazione fra economie forti e deboli. La Germania è sempre più ricca ma la sua ricchezza non si trasferisce alla società nel suo insieme. L’Afd ha saputo intercettare un malumore che fino ad oggi premiava i partiti di sinistra. Non è un caso che l’Spd sia crollata e che la Linke e i Verdi siano rimasti stabili. Così come non è un caso che il Partito liberale sia tornato in Parlamento, superando lo sbarramento del 5% e di gran carriera: raggiunge il 10,5%. Molti elettori della destra moderata, che credono nell’imprenditoria privata, che vogliono pagare meno tasse, hanno convogliato sull’Fpd i consensi riservati 4 anni fa alla Cdu di Angela Merkel, a conferma del forte desiderio di una vera alternativa. Sì, anche i tedeschi nel loro piccolo si arrabbiano. Con l’odioso Schulz e con la smunta Merkel, che rimarrà cancelliere, ma che dovrà faticare non poco per varare una nuova coalizione. Non fatevi ingannare dai titoli di queste ore sulla vittoria della Merkel. E’ arrivata prima questo sì, ma perdendo quasi un quarto del proprio elettorato. Che scoppola!(Marcello Foa, “Anche i tedeschi nel loro piccolo si arrabbiano. Vero Schulz? Vero Merkel, che in realtà crolla?”, dal blog di Foa sul “Giornale” del 14 settembre 2017).Con ogni probabilità la Merkel rimarrà cancelliere, con una longevità straordinaria. Ma il risultato delle elezioni in Germania non rappresenta un trionfo per Angela. Al contrario. Quando la Cdu perde oltre l’8% dei voti, passando dal 41,5% al 32,7% e quando l’altro partito al governo, l’Spd, ne perde meno (“solo” il 5%) ma scendendo al 20%, il peggior risultato della sua storia, è difficile parlare di successo. Ed è difficile credere che la Germania sia un paese davvero in salute e soprattutto felice, come sembra da lontano. Queste elezioni sono dense di significati. Anche a Berlino, come nella maggior parte dei paesi europei, gli elettori credono sempre meno nei partiti moderati sia di destra sia di sinistra, che si differenziano per il colore delle bandiere ma non per l’azione politica. L’Spd e la Cdu alla fine dei conti sono troppo simili e rappresentano l’establishment. Assieme hanno perso il 13%, un’enormità. Quello di domenica va letto come un voto di protesta contro un sistema politico omologante e alla fine falso. Che senso ha distinguere fra destra e sinistra se poi sono quasi uguali? In Germania addirittura hanno governato assieme.
-
Magaldi: Germania fuorilegge, il rimedio verrà dall’Italia
Le elezioni in Germania? Tutto molto prevedibile. Continua la discesa rovinosa dei sedicenti socialdemocratici, capeggiati dal sedicente progressista Schulz, mentre la Merkel – appannata – tiene, ma perde punti. La verità è che tutta la politica è in crisi, perché la Germania non è altro che una locomotiva eterodiretta da poteri che trascendono la Germania stessa e persino le istituzioni europee. Sono poteri di cui ho parlato lungamente nel libro “Massoni” (Ur-Lodges reazionarie, superlogge internazionali e loro emanazioni finanziarie paramassoniche). Sono poteri privati, sovranazionali, che hanno fatto della Germania – e in parte anche della Francia, ultimamente subalterna a Berlino – le locomotive di una gestione neo-feudale, tecnocratica e oligarchica dell’Europa. Questo in Germania ha portato a un eccessivo surplus nelle esportazioni, scandaloso ed eversivo, rispetto alle stesse (brutte) norme europee. Quindi una politica mercantilista della Germania: fuorilegge, rispetto alle leggi Ue che vengono così spesso invocate. Ciò ha causato una compressione persino della domanda interna: in Germania proliferano i cosiddetti “mini-job”, la gran parte della popolazione ha redditi modesti, non ci sono grandi consumi. Tutto ciò per far crescere il sistema-Germania in termini di esportazioni, togliendo quote di mercato ad altre industrie, specie quella italiana.La si voleva distruggere, la nostra industria: il grande economista Nino Galloni, vicepresidente del Movimento Roosevelt, denuncia da anni il progetto di deindustrializzazione dell’Italia (parzialmente fallito: l’Italia è in crisi, ma regge). Però in Germania si pensa che tutto vada bene, che sia un paese dove tutti godono a scapito degli altri – perché si vuole alimentare un clima di scontro tra nazioni. E questo perché, dietro, c’è tutto un progetto, per il quale questa falsa Unione Europea ha fomentato nuove rivalità e nuovi nazionalismi. E quello che si vuole realmente è il caos: perché nel caos politico, cioè nell’incapacità di formare maggioranze nette contro opposizioni nette che alimentino una sana dialettica democratica, a guadagnarci sono proprio quei poteri extra-politici che gestiscono bene il caos, favorendo grandi ammucchiate. Non si sa bene chi sta al governo e chi all’opposizione, e quindi si va avanti col “pilota automatico” di cui parlava a suo tempo Mario Draghi. E cioè: per l’Europa c’è un’unica e sola ricetta, quella della mortificazione della classe media in tutti i paesi, della mortificazione del diritto al lavoro, dell’abbassamento dei salari.In più, a questo si aggiunge un’assenza nella politica dell’immigazione, quindi con una concorrenza al ribasso tra i lavoratori europei e questi poveracci che arrivano in grandi masse, grazie anche ad altre operazioni estremamente dubbie, opache, come le false primavere arabe e tutti quegli sconvolgimenti che hanno trasformato il Nordafrica, il Maghreb e il Medio Oriente in punti di partenza di un esodo che poi non viene gestito. Proprio la Germania è il luogo in cui vanno ripristinate alcune regole, se si vuole un’Europa diversa, poco importa se unita sotto un unico governo o formata da nazioni sovrane. La Germania non sta svolgendo il ruolo di leader di un’Europa coesa e convergente sul benessere dei popoli europei. E secondo me, visti i risultati elettorali, non è dalla Germania che partirà la cura. La cura della Germania può partire dall’Italia, perché la Francia è imbalsamata da quell’altro burattino di Macron. Bisogna evitare che in Italia ci sia una fotocopia di quanto accaduto in Germania.Diciamo che la Francia ha proposto, con Macron, un Renzi un po’ più strutturato e più solido – durerà anni, sarà come Hollande o peggio di Hollande, ma con le caratteristiche giovanilistiche di Renzi, quindi da lì non verrà nulla. L’Italia invece è il vero luogo dove si combatte la battaglia per la democrazia. Questo scenario europeo è collegato agli scenari mondiali e a quello mediterraneo: davvero, l’Italia è l’epicentro delle vere battaglie del nostro tempo. La democrazia è questo: piena legittimazione e alternanza tra partiti e coalizioni che hanno idee nettamente diverse, nel rispetto di regole condivise. La presunta ultra-destra tedesca? Lo scenario sembra nuovo, ma è tutto vecchio. Come ogni altra destra “estrema”, anche Afd finirà per puntellare governi di larghe intese. In ogni caso il suo exploit non fa parte della vera agenda politica europea dei prossimi mesi, che invece riguarda quello che sta accadendo nel Regno Unito – non a caso, obiettivo di diversi attentati terroristici a ripetizione – e, ripeto, quello che accade in Italia. Rischio di neo-nazismo in Germania? Non scherziamo. L’egemonia tedesca che si perseguiva allora tramite il nazismo oggi si persegue per altre vie. Esemplare la figura di Hjalmar Schacht, stratega economico-finanziario che passò indenne dalla Repubblica di Weimar al nazismo e poi alla Repubblica Federale Tedesca. Se c’è un ruolo pernicioso della Germania non sarà interpretato da ultra-destre che mai arriveranno al potere, ma da questo consociativismo imperniato sulla Merkel, che si fa grimaldello di “poteri altri”, privati e sovranazionali.(Gioele Magaldi, dichiarazioni rilasciate a David Gramiccioli di “Colors Radio” nella trasmissione “Massoneria On Air” del 25 settembre 2017).Le elezioni in Germania? Tutto molto prevedibile. Continua la discesa rovinosa dei sedicenti socialdemocratici, capeggiati dal sedicente progressista Schulz, mentre la Merkel – appannata – tiene, ma perde punti. La verità è che tutta la politica è in crisi, perché la Germania non è altro che una locomotiva eterodiretta da poteri che trascendono la Germania stessa e persino le istituzioni europee. Sono poteri di cui ho parlato lungamente nel libro “Massoni” (Ur-Lodges reazionarie, superlogge internazionali e loro emanazioni finanziarie paramassoniche). Sono poteri privati, sovranazionali, che hanno fatto della Germania – e in parte anche della Francia, ultimamente subalterna a Berlino – le locomotive di una gestione neo-feudale, tecnocratica e oligarchica dell’Europa. Questo in Germania ha portato a un eccessivo surplus nelle esportazioni, scandaloso ed eversivo, rispetto alle stesse (brutte) norme europee. Quindi una politica mercantilista della Germania: fuorilegge, rispetto alle leggi Ue che vengono così spesso invocate. Ciò ha causato una compressione persino della domanda interna: in Germania proliferano i cosiddetti “mini-job”, la gran parte della popolazione ha redditi modesti, non ci sono grandi consumi. Tutto ciò per far crescere il sistema-Germania in termini di esportazioni, togliendo quote di mercato ad altre industrie, specie quella italiana.
-
Inuit e Nasa: i ghiacci disciolti inclinano l’asse terrestre
Il sole allo zenit, in un cielo completamente diverso. Risultato: clima impazzito, temperature in aumento, cataclismi naturali dovuti all’inaudito sciogliemento dei ghiacci e alla “migrazione” di immense quantità d’acqua. Sta accadendo qualcosa di mai prima osservato: lo affermano gli anziani Inuit, intervistati nell’Artico dal regista e produttore canadese Zacharias Kunuk, in contatto con la Nasa. «Gli anziani parlano di come il loro mondo è cambiato, da come era decenni prima di oggi», riassume il blog “La Crepa nel Muro”. E’ un quadro preoccupante, di cui gli Inuit sono testimoni: lo scioglimento dei ghiacciai artici, la scomparsa del ghiaccio marino. «Le foche hanno bruciature sulla loro pelliccia e sono coperte di piaghe e di una pelle più sottile, la pelle è deteriorata». E mentre gli scienziati sostengono che è l’inquinamento umano a contribuire in modo decisivo al cambiamento climatico, i vecchi Inuit sono convinti qualcosa di molto molto più grande sta succedendo. L’agenzia aerospaziale americana conferma: «I ghiacci che si sciolgono ai poli e le falde idriche depauperate sulla terraferma modificano la distribuzione della risorsa idrica sul pianeta, alterando la rotazione della Terra: lo spostamento è tale da inficiare l’accuratezza di un Gps».Come noto, ricorda Filomena Fotia su “Meteoweb”, la Terra ruota sul suo asse in modo irregolare, oscillando e sobbalzando: queste variazioni naturali sono accompagnate da quelle generate dai cambiamenti climatici, spiega oggi la Nasa, confermando le inquietanti anomalie osservate dagli anziani Inuit. «L’oscillazione fa variare leggermente l’inclinazione dell’asse terrestre, provocando uno spostamento, che per tutto il XX secolo si è diretto verso la Baia di Hudson, in Canada, ma ha invertito la rotta a partire dal 2003, spostandosi di circa 17 centimetri all’anno in direzione delle Isole Britanniche». Il risultato della ricerca, pubblicato su “Science Advances”, si deve a Surendra Adhikari e la suo collega Erik Ivins, entrambi ricercatori della Nasa. Gli esperti, aggiunge Fotia, hanno analizzato i dati dal 2003 a oggi dei satelliti Grace (Center Gravity Recovery and Climate Experiment) che misurano la distribuzione delle masse d’acqua sul pianeta, e hanno fatto una scoperta clamorosa: «La natura degli spostamenti spiegava la migrazione dell’asse verso l’Europa, rilevata a partire dal duemila. Si consideri che ogni anno in Groenlandia si sciolgono 278 trilioni di chili all’anno di ghiaccio e in Antartide occidentale 172 trilioni di chili».Oltre che allo scioglimento dei ghiacci, secono i ricercatori della Nasa la “migrazione” verso l’Europa è dovuta anche «al depauperamento delle risorse idriche sulla terraferma, in particolar modo in Eurasia: 530 trilioni di chili di acqua all’anno vanno persi a causa della siccità e dell’eccessivo sfruttamento delle falde, provocando un innalzamento del livello del mare». Effetti di cui soffriamo tutti, e il cui impatto è particolarmente forte tra gli abitanti delle più estreme regioni artiche, convinti – per primi – che il “climate change” non sia solo dovuto alla Terra, cioè all’uomo, ma anche al cielo: gli anziani intervistati da Zacharias Kunuk «dicono che il Sole non sorge più come nella normalità del tempo andato: hanno la luce del giorno più a lungo, per cacciare, e il Sole è più alto di quanto non lo sia mai stato prima e riscalda più velocemente l’ambiente». Su questo sono tutti d’accordo: il sole e la luna, che sono “cambiati”, «influenzano la temperatura, il modo in cui soffia il vento». E così, a memoria d’uomo, non è mai stato così difficile prevedere il tempo. «Conosciamo i problemi correlati alla geoingegneria», cioè le “scie chimiche”, e «tutti gli effetti negativi di ricaduta sulla Terra e la salute pubblica». Ma a questi problemi ora «si aggiungono quelli scoperti dagli anziani Inuit», determinati «dallo spostamento dell’asse terrestre» confermato dalla Nasa.Il sole allo zenit, in un cielo completamente diverso. Risultato: clima impazzito, temperature in aumento, cataclismi naturali dovuti all’inaudito sciogliemento dei ghiacci e alla “migrazione” di immense quantità d’acqua. Sta accadendo qualcosa di mai prima osservato: lo affermano gli anziani Inuit, intervistati nell’Artico dal regista e produttore canadese Zacharias Kunuk, in contatto con la Nasa. «Gli anziani parlano di come il loro mondo è cambiato, da come era decenni prima di oggi», riassume il blog “La Crepa nel Muro”. E’ un quadro preoccupante, di cui gli Inuit sono testimoni: lo scioglimento dei ghiacciai artici, la scomparsa del ghiaccio marino. «Le foche hanno bruciature sulla loro pelliccia e sono coperte di piaghe e di una pelle più sottile, la pelle è deteriorata». E mentre gli scienziati sostengono che è l’inquinamento umano a contribuire in modo decisivo al cambiamento climatico, i vecchi Inuit sono convinti qualcosa di molto molto più grande sta succedendo. L’agenzia aerospaziale americana conferma: «I ghiacci che si sciolgono ai poli e le falde idriche depauperate sulla terraferma modificano la distribuzione della risorsa idrica sul pianeta, alterando la rotazione della Terra: lo spostamento è tale da inficiare l’accuratezza di un Gps».
-
Migranti, ora basta. Il super-potere: ci costano troppo
Aprire, sempre e comunque, la porta ai migranti? Non è più così certo che sia giusto, ai piani alti del massimo potere, che forse si prepara ad archiviare la propaganda mondialista del politically correct. Lo rileva “Voci dall’Estero”, che segnala una riflessione di Steven Camarota, direttore del Cis, il centro ricerche di Washington sull’immigrazione. Attenzione: l’analisi è pubblicata su “Foreign Affairs”, storica rivista del Cfr, il Council on Foreign Relations, potentissimo organismo del supremo potere mondiale – think-tank di origine paramassonica, in cui maturano le grandi linee di indirizzo economiche e geopolitiche che da decenni “orientano” l’Occidente. «Tra il fallimento del multiculturalismo e i problemi di integrazione, il drenaggio fiscale causato dalle condizioni di indigenza degli immigrati (le loro scarse possibilità di miglioramento economico) e il risibile impulso demografico a una popolazione che invecchia», riassume “Voci dall’Estero”, da Camarota «viene smontato tutto l’armamentario argomentativo di quella strana ma formidabile coalizione tra imprese, gruppi etnici di pressione, progressisti e libertari che ha dominato il dibattito pubblico americano (e non solo) sull’immigrazione. I tempi sono pronti per un cambiamento?».Al netto della retorica, fa notare Camarota in premessa, il motto elettorale “America First” di Donald Trump coincide perfettamente con la storica posizione della democratica Barbara Jordan, icona dei diritti civili statunitensi e già stratega di Bill Clinton: «Nel dibattito sull’immigrazione c’è un solo tema fondamentale, ed è il benessere del popolo americano». Ovvero: «Gestire l’immigrazione in modo che serva l’interesse nazionale». Cosa che, secondo l’analista di “Foreign Affairs”, negli ultimi 50 anni non è avvenuta. Solo che «il dibattito sull’argomento è stato smorzato». Manipolazione politico-mediatica: «I decisori politici e gli opinionisti di entrambi i partiti hanno teso a sovrastimare i benefici e a sottovalutare o ignorare i costi dell’immigrazione», scrive Camarota. Trump ha sfruttato elettoralmente il disagio per l’immigrazione irregolare? Vero, ma il disastro non l’ha creato lui, ammette l’analista: negli Usa ci sono troppi immigrati irregolari e non. «Gli Stati Uniti attualmente garantiscono ogni anno un milione di permessi legali di residenza permanente agli immigrati (o “carta verde”), il che significa che possono rimanere fino a quando desiderano e diventano cittadini dopo cinque anni, o tre se sono sposati con un cittadino statunitense. Annualmente arrivano anche circa 700.000 visitatori a lungo termine, soprattutto lavoratori ospiti e studenti stranieri».Un così grande afflusso annuale, agiunge Camarota, si somma nel tempo: nel 2015 i dati del Census Bureau indicano che nel paese vivevano 43,3 milioni di immigrati – il doppio del numero del 1990. «I dati del censimento comprendono circa 10 milioni di immigranti clandestini, mentre circa un altro milione di persone non viene conteggiato». In più, ci sono gli effetti dello “ius soli”: «Contrariamente alla maggior parte dei paesi, gli Stati Uniti concedono la cittadinanza a chiunque nasca su suolo americano, inclusi i figli dei turisti o degli immigrati clandestini, per cui i dati sopra riportati non comprendono nessuno dei bambini di immigrati nati negli Stati Uniti». I sostenitori dell’immigrazione sostengono che l’America è una “nazione di immigrati”, e certamente «l’immigrazione ha svolto un ruolo importante nella storia americana». Tuttavia, osserva Camarota, «gli immigrati attualmente rappresentano il 13,5% della popolazione totale statunitense, la percentuale più alta in oltre 100 anni». Il Census Bureau prevede che entro il 2025 la percentuale di immigrati nella popolazione raggiungerà il 15%, superando il record del 14,8%, raggiunto nel 1890. «Senza una modifica della politica, questa percentuale continuerà ad aumentare per tutto il ventunesimo secolo».Conteggiando gli immigrati e i loro discendenti, il Pew Research Center stima che dal 1965, anno in cui gli Stati Uniti liberalizzarono le proprie leggi, l’immigrazione ha aggiunto 72 milioni di persone nel paese, «un numero maggiore della popolazione attuale della Francia». Tenuto conto di questi numeri, scrive Camarota, è sorprendente che i funzionari pubblici «si siano concentrati quasi esclusivamente sugli 11-12 milioni di immigrati clandestini del paese, che rappresentano solo un quarto della popolazione totale degli immigrati». L’immigrazione legale, infatti, «ha un impatto molto più grande sugli Stati Uniti». Ma i leader del paese «raramente si sono posti le grandi domande». Per esempio: qual è la capacità di assorbimento delle scuole e delle infrastrutture nazionali? Come se la caveranno gli americani meno qualificati nel mercato del lavoro, in concorrenza con gli immigrati? Oppure, forse la più importante: quanti immigrati gli Stati Uniti sono in grado di assimilare nella propria cultura? «Trump non sempre ha approcciato queste domande con attenzione, o con molta sensibilità, ma va a suo merito averle almeno sollevate».Secondo gli integrazionisti, visto che l’America riuscì ad assorbire l’ultima grande ondata del passato, quella dal 1880 al 1920, tutti gli immigrati si assimileranno, oggi e domani. Ma le condizioni di ieri non sono quelle attuali, obietta Camarota: negli ultimi decenni «la crescita marcata delle enclave di immigrati ha probabilmente rallentato il ritmo di assimilazione», e oggi «la moderna economia americana ha meno buoni posti di lavoro per i lavoratori non qualificati». Ecco perché «gli immigrati non migliorano nel tempo la loro situazione economica», come invece facevano in passato. Ma è cambiato anche l’atteggiamento degli americani verso gli immigrati, che ieri erano competamente soli, mentre oggi – grazie al web e alla telefonia mobile – sono in contatto permanente con la terra d’origine. «In passato c’era un consenso più vasto sulla desiderabilità dell’assimilazione», sostiene Camarota. Il giudice della Corte Suprema di Giustizia Louis Brandeis, figlio di immigrati ebrei, in un discorso sul “vero americanismo” nel 1915 dichiarò che gli immigrati, oltre a imparare l’inglese, dovevano «essere portati in completa armonia con i nostri ideali e le nostre aspirazioni». Oggi non è più così: il forte accento sull’assimilazione «è stato sostituito con il multiculturalismo, che sostiene che non esiste una singola cultura americana, che gli immigrati e i loro discendenti dovrebbero mantenere la loro identità, e che il paese dovrebbe adattarsi alla cultura dei nuovi arrivati anziché il contrario».Per Camarota, l’istruzione bilingue, i distretti legislativi disegnati lungo linee etniche e le schede elettorali in lingua straniera «incoraggiano gli immigrati a considerarsi separati dalla società e bisognosi di un trattamento speciale a causa dell’ostilità degli americani comuni». Per John Fonte, studioso dell’Hudson Institute, queste politiche – che spingono gli immigrati a mantenere la loro lingua e cultura – rendono meno probabile la loro assimilazione sociale. Un recente sondaggio “Associated Press”, aggiunge Camarota, ha scoperto che la maggior parte degli americani pensa ancora che il proprio paese dovrebbe avere una cultura fondamentale che gli immigrati adottino. Ma il tipo di assimilazione finora tentato «non ha più il sostegno dell’elite», osserva l’analista. Come sottolinea lo psicologo politico Stanley Renshon, molte organizzazioni incentrate sugli immigrati oggi aiutano gli immigrati a imparare l’inglese, ma lavorano duramente anche per rafforzare i legami con il vecchio paese. E questo evidenzia anche l’altra area di contesa nel dibattito sull’immigrazione, cioè il suo impatto economico e fiscale: «Molte famiglie immigrate prosperano negli Stati Uniti, ma una grande parte non ci riesce, aggiungendosi in modo significativo ai problemi sociali già esistenti».Numeri preoccupanti: «Quasi un terzo di tutti i bambini americani che vivono in povertà oggi hanno un padre immigrato, e gli immigrati e i loro figli rappresentano quasi un terzo dei residenti Usa senza un’assicurazione sanitaria», rileva “Foreign Affaris”. Nonostante alcune restrizioni alla capacità dei nuovi immigrati di utilizzare programmi di assistenza basati sul reddito, circa il 51% delle famiglie immigrate usa il sistema previdenziale, rispetto al 30% delle famiglie native. Delle famiglie con figli, i due terzi rientrano in programmi di assistenza alimentare. «Tagliare fuori gli immigrati da questi programmi sarebbe sciocco e politicamente impossibile – ragiona Camarota – ma è giusto mettere in discussione un sistema che accoglie immigrati così poveri da non poter nutrire i propri figli». La maggior parte degli immigrati arriva negli Stati Uniti per lavorare. «Ma poiché il sistema legale dell’immigrazione statunitense privilegia le relazioni familiari sulle competenze professionali – e poiché il governo ha generalmente tollerato l’immigrazione clandestina – gran parte degli immigrati non è qualificata. Infatti, metà degli immigrati adulti negli Stati Uniti non hanno alcuna istruzione oltre la scuola superiore. Questi lavoratori hanno generalmente guadagni bassi, il che significa che si appoggiano alla previdenza sociale anche se stanno lavorando».Recenti studi statistici dimostrano che gli immigrati e le loro famiglie «utilizzano servizi pubblici per un valore notevolmente più alto di quante tasse pagano», con un “drenaggio fiscale” di quasi 300 miliardi di dollari l’anno. Attualmente, il bilancio fiscale è pesantemente negativo. Enorme, poi, l’impatto sul mercato del lavoro. Uno dei principali economisti statunitensi dell’immigrazione, George Borjas di Harvard, ha recentemente scritto sul “New York Times” che, aumentando l’offerta di lavoratori, l’immigrazione riduce i salari per alcuni americani: sono immigrati «un terzo dei lavoratori edili». Sicché, «i perdenti dell’immigrazione sono gli americani meno istruiti, molti dei quali neri e ispanici, che lavorano in queste occupazioni». E se il multiculturalismo assicura che i migranti risolveranno il problema demografico dei paesi occidentali, la cui popolazione invecchia, l’economista Carl Schmertmann ha mostrato più di due decenni fa che «l’afflusso costante di immigrati, anche in età relativamente giovane, non necessariamente ringiovanisce una popolazione a bassa fertilità».Nel 2015, scrive Camarota, l’età media di un immigrato era di 40 anni, contro i 36 per i nativi. E il tasso di fertilità globale degli Stati Uniti, inclusi gli immigrati, è di 1,82 bambini per donna, che scende solo a 1,75 quando gli immigrati vengono esclusi dal conteggio. «In altre parole, gli immigrati aumentano il tasso di fertilità di appena il 4%». L’ultimo argomento a favore degli immigrati si concentra sui benefici per i profughi più poveri, diretti nel Primo Mondo. «Ma, data la portata della povertà del Terzo Mondo, l’immigrazione di massa non è la forma migliore di soccorso umanitario: più di tre miliardi di persone nel mondo vivono in povertà, guadagnando meno di 2,50 dollari al giorno», riferisce “Foreign Affaris”. «Anche se l’immigrazione legale triplicasse a tre milioni di persone all’anno, gli Stati Uniti farebbero comunque entrare solo l’un per cento dei poveri del mondo ogni decennio. Al contrario – avverte Camarota – l’assistenza allo sviluppo potrebbe aiutare molte altre persone nei paesi a basso reddito».L’ultima volta che gli Usa limitarono l’immigrazione fu a metà degli anni ’90, con Barbara Jordan. «Clinton inizialmente sembrava approvare le raccomandazioni, ma poi cambiò inclinazione dopo la morte della Jordan e il vento politico mutò direzione. Il tentativo di abbassare il livello di immigrazione è stato sconfitto nel Congresso dalla stessa strana ma formidabile coalizione tra imprese, gruppi etnici di pressione, progressisti e libertari che hanno dominato il dibattito pubblico sull’immigrazione da allora fino all’era Trump». Con l’elezione di “The Donald”, potrebbe essere possibile un compromesso politico negli Stati Uniti? L’analista di “Foreign Affaris”, voce ufficiale del Council on Foreign Relations, avanza possibili soluzioni alternative. Per esempio, legalizzare «alcuni immigrati clandestini», in cambio però «di una politica più restrittiva su chi entra». Inoltre, «dare precedenza all’immigrazione qualificata», istruita, più facile da assimilare. Realisticamente, in ogni caso, l’immigrazione rimarrà controversa: «Per il futuro prevedibile, il numero di persone che vorranno venire nei paesi sviluppati, come gli Stati Uniti, sarà molto più grande di quello che questi paesi sono disposti ad accettare o in grado di permettersi».Aprire, sempre e comunque, la porta ai migranti? Non è più così certo che sia giusto, ai piani alti del massimo potere, che forse si prepara ad archiviare la propaganda mondialista del politically correct. Lo rileva “Voci dall’Estero”, che segnala una riflessione di Steven Camarota, direttore del Cis, il centro ricerche di Washington sull’immigrazione. Attenzione: l’analisi è pubblicata su “Foreign Affairs”, storica rivista del Cfr, il Council on Foreign Relations, potentissimo organismo del supremo potere mondiale – think-tank di origine paramassonica, in cui maturano le grandi linee di indirizzo economiche e geopolitiche che da decenni “orientano” l’Occidente. «Tra il fallimento del multiculturalismo e i problemi di integrazione, il drenaggio fiscale causato dalle condizioni di indigenza degli immigrati (le loro scarse possibilità di miglioramento economico) e il risibile impulso demografico a una popolazione che invecchia», riassume “Voci dall’Estero”, da Camarota «viene smontato tutto l’armamentario argomentativo di quella strana ma formidabile coalizione tra imprese, gruppi etnici di pressione, progressisti e libertari che ha dominato il dibattito pubblico americano (e non solo) sull’immigrazione. I tempi sono pronti per un cambiamento?».
-
Cahill: abusi sui minori, 7 preti cattolici su 100 sono pedofili
Bergoglio continua a blaterare a vuoto, senza mai supportare le proprie parole con azioni che siano degne di queste parole. Ieri si è scagliato nuovamente – a parole – contro il «terribile peccato» della pedofilia. «Lo scandalo dell’abuso sessuale – ha dichiarato Bergoglio – è una rovina terribile per tutta l’umanità, che colpisce tanti bambini, giovani e adulti vulnerabili in tutti i paesi e in tutte le società. Per la Chiesa è stata un’esperienza molto dolorosa. Sentiamo vergogna per gli abusi commessi da ministri consacrati, che dovrebbero essere i più degni di fiducia». E poi ha aggiunto: «La Chiesa ha affrontato questi crimini in ritardo e anche un solo abuso basta a condanna senza appello». E no, caro Bergoglio, è qui che ti sbagli. La Chiesa non ha affrontato proprio nulla, durante il tuo pontificato. Ha solo “preso atto” – a parole, nuovamente – che il problema esiste, ma non ha fatto assolutamente nulla per cercare di risolverlo. Bergoglio infatti, per affrontare il problema, non avrebbe trovato di meglio che «cercare di prendere più gente che lavori nella classificazione dei processi, persone che studiano i dossier». Come se i dossier già esistenti non fossero sufficienti a capire le dimensioni e la portata del problema.Se davvero il Papa fosse interessato a fare qualcosa per combattere la pedofilia del clero, invece di “assumere più gente che lavori alla classificazione dei processi” potrebbe leggersi, ad esempio, questo rapporto pubblicato la scorsa settimana dal Centre for Global Research dell’Università di Melbourne, intitolato “Child sexual abuse in the Catholic Church: an interpretive review of the literature and public inquiry reports”. Scritto da un ex-prete cattolico, Des Cahill, e dal teologo Peter Wilkinson, il rapporto giunge all’agghiacciante conclusione che ben il 7% dell’intero clero cattolico ha abusato di bambini, in una forma o nell’altra, fra il 1950 e il 2000. Provate a scaricare il rapporto completo, e soltanto a leggere l’indice degli argomenti vi si rizzeranno i capelli in testa. La ragione principale di questa sistematica «devianza collettiva» – secondo il rapporto – è la cultura repressiva del celibato, imposta al clero dall’attuale dottrina cattolica, mescolata allo spirito di omertà e di segretezza che regna da sempre all’interno delle istituzioni cattoliche, dove i preti si trovano a stretto contatto con una popolazione di alunni esclusivamente maschile.Una formula esplosiva – in altre parole – fin dalla sua concezione, dove la negazione delle normali pulsioni eterosessuali si accoppia con la vasta «disponibilità» di ragazzini di sesso esclusivamente maschile. Altro che “prendere più persone che lavorino nella classificazione dei processi”. Se Bergoglio vuole davvero affrontare il problema alla radice, deve cominciare a guardare alla stessa dottrina cattolica, che impone appunto il celibato in maniera mortificante e non motivata. Ricordiamo che ai tempi dei Vangeli i vescovi (preti) potevano sposarsi regolarmente. Il celibato venne introdotto solo dopo l’anno mille, per motivi tutt’altro che spirituali: si trattava di “proteggere” i beni della chiesa, che sarebbero altrimenti finiti “in mani laiche” – a causa delle pratiche di successione – se i preti avessero potuto sposarsi). Chissà perchè nella Chiesa protestante, dove i preti possono sposarsi regolarmente, non si sente mai parlare di casi di pedofilia?(Massimo Mazzucco, “Chiesa e pedofilia, una soluzione ci sarebbe”, dal blog “Luogo Comune” del 21 settembre 2017).Bergoglio continua a blaterare a vuoto, senza mai supportare le proprie parole con azioni che siano degne di queste parole. Ieri si è scagliato nuovamente – a parole – contro il «terribile peccato» della pedofilia. «Lo scandalo dell’abuso sessuale – ha dichiarato Bergoglio – è una rovina terribile per tutta l’umanità, che colpisce tanti bambini, giovani e adulti vulnerabili in tutti i paesi e in tutte le società. Per la Chiesa è stata un’esperienza molto dolorosa. Sentiamo vergogna per gli abusi commessi da ministri consacrati, che dovrebbero essere i più degni di fiducia». E poi ha aggiunto: «La Chiesa ha affrontato questi crimini in ritardo e anche un solo abuso basta a condanna senza appello». E no, caro Bergoglio, è qui che ti sbagli. La Chiesa non ha affrontato proprio nulla, durante il tuo pontificato. Ha solo “preso atto” – a parole, nuovamente – che il problema esiste, ma non ha fatto assolutamente nulla per cercare di risolverlo. Bergoglio infatti, per affrontare il problema, non avrebbe trovato di meglio che «cercare di prendere più gente che lavori nella classificazione dei processi, persone che studiano i dossier». Come se i dossier già esistenti non fossero sufficienti a capire le dimensioni e la portata del problema.
-
Antenati misteriosi: chi è Homo Naledi, l’Uomo delle Stelle?
Sono passati meno di due anni dall’annuncio della scoperta di una nuova specie umana, l’Homo Naledi, in una grotta sudafricana contenente più di 1.500 reperti fossili. La morfologia di questa specie, scrive Andrea Parravicini su “Micromega”, è un sorprendente mix di caratteri “trattenuti”: un cervello piccolo, una corporatura somigliante a un’australopitecina (come la famosa Lucy) o ai primi rappresentanti del genere Homo, mescolata a caratteri “derivati”, più “moderni”, come le mani adatte a manipolare oggetti o i piedi da camminatore bipede. Recenti studi collocano questa specie in un’epoca sorprendentemente recente, contemporanea all’emergere dei primi umani moderni, e che confermano la possibilità di comportamenti complessi, o addirittura simbolici, da parte di questa strana ed enigmatica creatura. Nel ssettembre 2015, la rivista scientifica “eLife” annunciava la scoperta, avvenuta circa un anno e mezzo prima. In lingua Sotho, “Naledi” significa “stella”: «Una stella nel firmamento dell’evoluzione umana che oggi, a distanza di quasi due anni, continua a brillare intensamente, soprattutto per via dei nuovi dettagli e di ulteriori scoperte che alimentano interesse e curiosità riguardo a questo nostro misterioso “cugino”».La pubblicazione, aggiunge Parravicini, ha avuto risonanza in tutto il mondo, anche per via di un’abile operazione di marketing. Situato nell’area dove si trova la cosiddetta “Culla dell’umanità”, un sito dichiarato patrimonio dell’Unesco dal 1999 e che ha restituito parecchi resti di forme ominine, “Rising Star” è un intricato complesso di grotte a circa 50 chilometri da Johannesburg, in Sudafrica. Tra queste grotte, una camera posta a una trentina di metri di profondità e raggiungibile solo attraverso uno stretto pertugio si è rivelata una miniera d’oro per gli studiosi di evoluzione umana. In essa, chiamata “Dinaledi chamber”, il team di Lee Berger dell’Università Witwatersrand ha rinvenuto più di 1.550 ossa umane, appartenenti ad almeno 15 individui (se si contano solo le ossa associate tra loro, e non le innumerevoli altre appartenenti a parecchi altri individui). Scoperta che «coincide con il più grosso ritrovamento di ossa di ominini mai avvenuto, un vero e proprio giacimento, che permetterà agli scienziati di condurre uno studio esteso e approfondito, con un confronto tra le parti anatomiche di molti individui diversi, maschi e femmine, vecchi e giovani».Dai primi studi è emerso subito chiaramente che le ossa appartenevano tutte a una nuova specie umana, l’Homo Naledi per l’appunto. Mostra una conformazione di tratti “a mosaico”, antichi e più recenti, spiega Parravicini: siamo di fronte a una specie dalla morfologia «sconcertante, con una statura di circa un metro e mezzo per un peso di 40-55 kg, con una conformazione del cranio simile agli altri Homo ma con un cervello molto piccolo, grande un terzo del nostro (560cc nei maschi), con spalle e mani adatte all’arrampicata e ad afferrare rami, con dita ricurve ma pollici lunghi e solidi, e polsi e palmi dotati, come i nostri, di adattamenti per la manipolazione fine e la presa di precisione». Anche i piedi e gli arti inferiori sono simili a quelli dell’uomo moderno. «E non c’è dubbio che, da quanto si è inferito dalle conformazioni del tarso, dell’alluce e dall’articolazione della caviglia, Homo Naledi fosse in grado di camminare e di mantenere la stazione eretta», anche se «la presenza di falangi prossimali ricurve fa pensare a una forma particolarmente idonea all’arrampicamento sugli alberi». Infine, «la meccanica dell’anca e la conformazione del bacino ricordano quelle degli australopitechi, ma la mandibola debole e i denti piccoli sono caratteristiche derivate». L’impressione, osserva Parravicini, è quella di trovarsi di fronte a una forma di transizione tra l’australopiteco e forme più recenti come Homo Habilis», vissute circa 2 milioni di anni fa, insieme a Homo Rudolfensis e Homo Ergaster.Ma in che modo quelle migliaia di ossa trovate a Rising Star sono finite in quell’anfratto recondito e buio, a molti metri di profondità e difficilmente raggiungibile da chiunque? Su “eLife”, Paul Dirks e colleghi escludono che siano state cause accidentali ad accumulare una massa di resti ossei così ingente: improbabile un cataclisma. Forse, ipotizzano gli studiosi, «siamo di fronte a una deposizione intenzionale e ripetuta di corpi, o a un qualche tipo di sepoltura», anche se non per forza un comportamento “ritualizzato” o con significati simbolici. «Io penso che dev’esserci un’altra spiegazione, solo che non l’abbiamo ancora trovata», afferma Bernard Wood, paleoantropologo della George Washington University. Qualcuno ha anche proposto che quell’accumulo impressionante di corpi possa essere la conseguenza di omicidi per via di guerre o sacrifici: sarebbe il primo, antecedente al Neolitico; finora, i reperti rinvenuti nel Paleolitico – secondo gli studiosi – non suggeriscono la presenza della guerra, mancando ritrovamenti di più corpi nello stesso luogo, con segni evidenti di violenza (cranio sfondato).La precisa datazione dei reperti è stata recentemente stabilita dall’équipe di Paul Dirks della James Cook University, in Australia, combinando differenti metodologie di analisi. «Lo studio ha ottenuto risultati davvero sorprendenti, che assegnano Homo Naledi allo scenario meno prevedibile: esso risalirebbe a un periodo collocabile tra 236.000 e 335.000 anni fa, quando i primi umani moderni stavano emergendo in Africa e i Neanderthal stavano evolvendo in Europa». Questo significa che «un omino con un cervello grande un terzo rispetto al nostro e una corporatura tipica di forme di più di 2 milioni di anni fa, pur esibendo qui e là caratteri sorprendentemente moderni, si aggirava nelle stesse zone in cui stavano emergendo umani già pienamente moderni». Una datazione, osserva Parravicini, che pone agli studiosi di evoluzione non pochi problemi. Dirks colloca Homo Naledi «in un momento in cui troviamo molti strumenti in Africa. E ciò significa che non è più possibile dare per scontato che questi strumenti siano stati costruiti dai primi Homo Sapiens».Un’ulteriore scoperta, aggiunge Parravicini, è stata fatta in un’altra grotta del complesso di Rising Star. Nella Lesedi Chamber, posta a un centinaio di metri dalla Dinaledi Chamber e a trenta metri di profondità, sono stati trovati altri 131 reperti fossili associati a Homo Naledi, appartenenti almeno a tre individui, due adulti e un individuo molto giovane, presumibilmente di età inferiore a 5 anni. Da questi ultimi ritrovamenti è emerso «uno dei più completi scheletri mai scoperti, tecnicamente più completo del famoso fossile di Lucy grazie alla conservazione del cranio e della mandibola». Accedere alla Lesedi Chamber è ancora più difficile rispetto alla Dinaledi. E questo, rileva John Hawks, antropologo all’Università di Wisconsin-Madison, «dà peso all’ipotesi che Homo Naledi sfruttasse luoghi scuri e remoti per conservare i suoi morti». Un comportamento analogo a quello ipotizzato per i 6.500 resti umani trovati a Sima de los Huesos, nella Sierra de Atapuerca in Spagna, in cui pare che anche Neanderhtal occultasse i propri compagni morti già 400.000 anni fa. «Ma l’aspetto sconcertante – osserva Parravicini – è che questo comportamento, profondamente tipico di noi esseri umani, di prenderci cura dei nostri simili anche dopo la loro morte, possa essere condiviso da una forma umana da un cervello grande come quello di un gorilla».Ma, in definitiva, cos’è questa bizzarra specie umana vissuta alle soglie della storia? E come va collocata all’interno dell’intricato cespuglio dell’evoluzione umana? Secondo Chris Stringer del National History Museum di Londra, Homo Naledi potrebbe essersi originato in un’epoca vicina all’emergere del genere Homo, più di 2 milioni e mezzo di anni fa, suggerendo che si tratti di una “specie fossile”, un relitto evolutivo isolato che ha mantenuto molti tratti primitivi sviluppati parecchio tempo prima. Qualcosa di analogo potrebbe essere accaduto anche a Homo Floresiensis, un’altra misteriosa specie rinvenuta sull’isola di Flores, in Indonesia, denominata “hobbit” per il corpo piccolo ed esile, i cui più recenti rappresentanti sono vissuti fino a 60.000 anni fa, forse «diretti discendenti di una popolazione di antenati di Homo Habilis». Tuttavia, fa notare Stringer, le condizioni di isolamento dello “hobbit” di Flores (Isole della Sonda) hanno senz’altro contribuito alla sua grande longevità, mentre nel caso del Naledi lo scenario è quello sudafricano, aperto, in cui si aggiravano altre forme ben più “avanzate” di esseri umani, dal cervello molto più grande. Lee Berger e colleghi accarezzano l’idea che Homo Naledi possa addirittura essere «il frutto di un’ibridazione tra una specie tarda di australopitecina e una popolazione più simile a una specie umana». Quel che è certo, conclude Parravicini, è che la storia evolutiva del nostro genere diventa sempre più intricata e complessa: in altre parole, quel che credevamo di sapere non era esatto.Sono passati meno di due anni dall’annuncio della scoperta di una nuova specie umana, l’Homo Naledi, in una grotta sudafricana contenente più di 1.500 reperti fossili. La morfologia di questa specie, scrive Andrea Parravicini su “Micromega”, è un sorprendente mix di caratteri “trattenuti”: un cervello piccolo, una corporatura somigliante a un’australopitecina (come la famosa Lucy) o ai primi rappresentanti del genere Homo, mescolata a caratteri “derivati”, più “moderni”, come le mani adatte a manipolare oggetti o i piedi da camminatore bipede. Recenti studi collocano questa specie in un’epoca sorprendentemente recente, contemporanea all’emergere dei primi umani moderni, e che confermano la possibilità di comportamenti complessi, o addirittura simbolici, da parte di questa strana ed enigmatica creatura. Nel ssettembre 2015, la rivista scientifica “eLife” annunciava la scoperta, avvenuta circa un anno e mezzo prima. In lingua Sotho, “Naledi” significa “stella”: «Una stella nel firmamento dell’evoluzione umana che oggi, a distanza di quasi due anni, continua a brillare intensamente, soprattutto per via dei nuovi dettagli e di ulteriori scoperte che alimentano interesse e curiosità riguardo a questo nostro misterioso “cugino”».
-
Dietro la maschera, la piccola Italia (padronale) di Di Maio
La doppia investitura di Luigi Di Maio quale leader e candidato premier dei Cinquestelle dovrebbe favorire la compiuta definizione del profilo ideologico del Movimento. Naturalmente, sempre che il farsi da parte del guru fondatore Grillo non sia, come già altre volte, una gag; quanto la presa d’atto che la politica è materia troppo aggrovigliata per un banalizzatore che affronta a battute ogni questione. Eccoci dunque alla consacrazione di vertice del giovanotto plastificato, una sorta di Barbie al maschile della politica nostrana, che già più volte ha rivelato la propria dipendenza da una cultura pre-moderna, bagno di coltura per modelli di rappresentazione retrogradi tendenti al reazionario nostalgico. Se, nella fase magmatica dopo il primo Vaffa bolognese 2007, nel grillismo confluivano molte anime unificate dall’indignazione (Sinistra rosso antico, Destra anti-sistema, ambientalismo, sanculottismo ribellista e sanfedismo rurale), sicché era opportuno coltivare vaghezze identitarie per ragioni di marketing politico, ora sembra giunto il momento di gettare la maschera. Grazie al giovane emergente/emerso dal milieu profondo Sud. Perfettamente sintonico con la cultura ForzaLega incistata nel milieu della Milano berlusconizzata, da cui proviene l’uomo realmente “forte” nella cabina di regia pentastellata: il consulente aziendale soft Davide Casaleggio.Ma che Di Maio sia un destrorso in proprio lo dimostra già la scelta dei consulenti: un po’ di politologi NeoLib della Luiss, suggeritori del posizionamento ottimale nel bacino del revival destrorso più oscurantista (da qui la scelta avversa allo jus soli e contro le nozze omosessuali; toni insolitamente trucidi in bocca a un perbenino, tipo la definizione di “taxi del mare” per le Ong), soprattutto l’incarico per un paper sul tema del lavoro affidato al sociologo de La Sapienza Mimmo De Masi (pare per la modica cifra di 50mila euro). E De Masi, magari cazzeggiando in un caffè vista mare di Ravello, celebra da una vita l’ozio inteso come il massimo della civiltà post-industriale; alla faccia di torme crescenti di inoccupati e precarizzati, che non sanno come quadrare i conti già dalla seconda settimana del mese. Ma questo approccio tanto piace al giovane Cinquestelle, proprio per le fisime subliminali evocate: il modello latifondistico-fancazzista da baroni meridionali; quelli che si facevano crescere l’unghia del mignolo, come i mandarini confuciani, per esplicitare la loro assoluta estraneità a qualsivoglia attività manuale.Quella manualità su cui si è costruita la cultura operaia, che pone al centro della propria visione del mondo il lavoro come riscatto. Ma che terrorizza i ceti premoderni della rendita e del parassitismo; propugnatori di istanze che hanno alimentato tutte le insorgenze reazionarie del passato, prossimo e remoto. Sempre combattendo il lavoro organizzato. E – quindi – la cultura della modernità. Affidandosi a leader incolti, come il nostro fuori corso arrembante. Che non solo confonde Venezuela con Cile o ignora chi sia un maestro quale Luciano Gallino. Peggio, identifica il reddito di cittadinanza in qualcosa di analogo al New Deal. Per cui un paracadute contro la miseria diventerebbe un improbabile investimento riproduttivo di sviluppo che si auto-alimenta. E quando parla di finanziare le attività economiche non sa distinguere l’impresa innovativa dall’azienducola interstiziale.Quello che conta sono le dimensioni micro, nella permanente avversione verso il lavoro organizzato. Lo spauracchio di padroni e padroncini che accomuna un altro golden boy della nostra politica: il ministro Calenda, il cui curriculum professionale si riduce al ruolo d’assistente alla corte di quell’uomo del fare, quel risanatore d’aziende del Cordero Di Montezemolo. Perché stupirsi se con la fanfaluca ministeriale dell’impresa 4.0, quella che espelle lavoratori investendo in robotizzazione, ci troviamo in presenza di una (modesta) ripresa senza nuova occupazione. Con questi giovanotti da aperitivo spritz h24, presunti rifondatori, il mondo operoso se ne va a ramengo. Per un vecchio liberale gobettiano, che in giovinezza propugnava il progetto “alleanza dei produttori”, il messaggio è oltremodo deprimente.(Pierfranco Pellizzetti, “Di Maio leader, il M5S getta la maschera”, da “Micromega” del 19 settembre 2017).La doppia investitura di Luigi Di Maio quale leader e candidato premier dei Cinquestelle dovrebbe favorire la compiuta definizione del profilo ideologico del Movimento. Naturalmente, sempre che il farsi da parte del guru fondatore Grillo non sia, come già altre volte, una gag; quanto la presa d’atto che la politica è materia troppo aggrovigliata per un banalizzatore che affronta a battute ogni questione. Eccoci dunque alla consacrazione di vertice del giovanotto plastificato, una sorta di Barbie al maschile della politica nostrana, che già più volte ha rivelato la propria dipendenza da una cultura pre-moderna, bagno di coltura per modelli di rappresentazione retrogradi tendenti al reazionario nostalgico. Se, nella fase magmatica dopo il primo Vaffa bolognese 2007, nel grillismo confluivano molte anime unificate dall’indignazione (Sinistra rosso antico, Destra anti-sistema, ambientalismo, sanculottismo ribellista e sanfedismo rurale), sicché era opportuno coltivare vaghezze identitarie per ragioni di marketing politico, ora sembra giunto il momento di gettare la maschera. Grazie al giovane emergente/emerso dal milieu profondo Sud. Perfettamente sintonico con la cultura ForzaLega incistata nel milieu della Milano berlusconizzata, da cui proviene l’uomo realmente “forte” nella cabina di regia pentastellata: il consulente aziendale soft Davide Casaleggio.
-
Geologo: quei solchi di pneumatici hanno 12 milioni di anni
Fa un certo effetto ascoltare la dichiarazione del dottor Alexander Koltypin, se non altro per il fatto che si tratta di un geologo e direttore del Natural Science Research Center presso l’Università Internazionale Indipendente di Ecologia e Politologia di Mosca. Secondo il ricercatore russo, in diverse località del pianeta è possibile osservare solchi di pneumatici lasciati nel terreno da veicoli pesanti che si possono far risalire a circa 12 milioni di anni fa.Come è possibile? Certamente si tratta di un’affermazione discutibile, dal momento che l’archeologia classica fa risalire l’inizio della civiltà umana a diverse migliaia di anni fa, non milioni. Eppure, Koltypin si dice convinto che sul nostro pianeta esistono numerosi siti archeologici dove è possibile riscontrare indizi che avvalerebbero l’esistenza di civiltà vissute milioni di anni fa. Koltypin è un appassionato sostenitore di questa teoria, tanto da aver denominato il suo sito web ‘Earth before the flood: Disappared Continents and Civilizations‘ (La Terra prima del Diluvio: Continenti e Civiltà scomparse).È proprio dal suo sito che il ricercatore russo afferma che le tracce riscontrate nel sito spagnolo di Castellar de Meca, nella provincia di Valencia, risalirebbero al Miocene medio e tardo (tra i 12 e i 14 milioni di anni fa circa). Il villaggio di Castellar de Meca è un sito archeologico unico nel suo genere. Le rovine mostrano un insediamento fortificato praticamente scavato nella roccia. Gli archeologi ‘ortodossi’ fanno risalire i primi insediamenti umani all’età del bronzo. Koltypin si riferisce all’unico accesso alla cittadella fortificata chiamato “Camino Hondo” sul cui fondo sono impresse le tracce parallele. La spiegazione ufficiale è che si tratta di solchi lasciati dal passaggio di carri trainati da animali. Ma Koltypin non è soddisfatto: «Io non accetto queste spiegazioni», scrive il ricercatore. «I solchi sono troppo profondi per essere stati lasciati da mezzi così leggeri. Dobbiamo pensare a veicoli notevolmente più pesanti».All’epoca il terreno doveva essere umido e morbido, come argilla malleabile. Muovendosi su di esso, un veicolo di grandi dimensioni sarebbe affondato facilmente nel fango, lasciando la doppia traccia di pneumatico. Secondo Koltypin, questi ipotetici veicoli presentavano dimensioni simili ai fuoristrada moderni, ma con pneumatici larghi 23 centimetri. Con il passare degli eoni, il fango si sarebbe pietrificato, lasciando impresse le caratteristiche tracce per i milioni di anni a venire. Lo studio condotto dal ricercatore russo sui depositi minerali che rivestono le tracce e la loro erosione, mostrerebbero la loro incredibile antichità. Sebbene la pietrificazione possa avvenire in poche centinaia di anni, o addirittura pochi mesi, Koltypin sostiene che in questo caso non ci sarebbero dubbi a far risalire le tracce al Miocene. Koltypin ha condotto numerosi studi sul campo in varie località, con diverse pubblicazioni su riviste di geologia. Il ricercatore ipotizza che oltre 12 milioni di anni fa esistesse una rete di strade diffusa in tutto il Mediterraneo.Solchi di ruote pietrificati con caratteristiche simili sono state riscontrate a Malta, in Turchia, Italia, Kazakistan e Francia. A suo avviso, queste strade sarebbero state utilizzate dalle stesse persone che hanno costruito città sotterranee come Derinkuyu, in Cappadocia. Secondo l’archeologia ufficiale, le tracce pietrificate sarebbero state lasciate da diverse civiltà in diversi periodi di tempo. Koltypin, invece, ritiene che esse vadano attribuite ad un’unica civiltà diffusa su tutto il pianeta esistita in un’epoca estremamente remota. Il nostro pianeta ha circa 4,5 miliardi di anni e un passato geologicamente turbolento. Koltypin spiega che eventi geologicamente distruttivi come tsunami, eruzioni vulcaniche, movimenti tettonici e impatti meteoritici possano aver spazzato via gran parte dei resti di queste antichissime civiltà. «Senza significativi ulteriori studi da parte dei grandi gruppi di archeologi, geologi ed antropologi, rimane impossibile rispondere alle domande su queste civiltà dimenticate», conclude Koltypin. «Lo ricorderò sempre a me stesso… molti altri abitanti del nostro pianeta sono stati cancellati dalla nostra storia».(“Geologo russo: in Spagna ci sono tracce di pneumatici antiche 12 milioni di anni”, dal blog “Il Navigatore Curioso”).Fa un certo effetto ascoltare la dichiarazione del dottor Alexander Koltypin, se non altro per il fatto che si tratta di un geologo e direttore del Natural Science Research Center presso l’Università Internazionale Indipendente di Ecologia e Politologia di Mosca. Secondo il ricercatore russo, in diverse località del pianeta è possibile osservare solchi di pneumatici lasciati nel terreno da veicoli pesanti che si possono far risalire a circa 12 milioni di anni fa. Come è possibile? Certamente si tratta di un’affermazione discutibile, dal momento che l’archeologia classica fa risalire l’inizio della civiltà umana a diverse migliaia di anni fa, non milioni. Eppure, Koltypin si dice convinto che sul nostro pianeta esistono numerosi siti archeologici dove è possibile riscontrare indizi che avvalerebbero l’esistenza di civiltà vissute milioni di anni fa. Koltypin è un appassionato sostenitore di questa teoria, tanto da aver denominato il suo sito web ‘Earth before the flood: Disappared Continents and Civilizations‘ (La Terra prima del Diluvio: Continenti e Civiltà scomparse).
-
L’overdose da Fentanyl stermina 91 americani ogni giorno
E’ ormai la prima causa di morte per gli americani sotto i 50 anni, quindi in età produttiva: 91 americani muoiono ogni giorno per overdose da Fentanyl, un oppioide sintetico, antidolorifico, che crea forte dipendenza. La chiamano “opioid epidemic”: 52.000 morti nel 2015, 59.000 nel 2016 (più 19%), già oltre 60.000 ad agosto 2017; saranno almeno 65.000 a fine anno. Aumenti spaventosi. Gli Stati Uniti sono il paese con più morti per overdose del mondo per milione di abitante e lo sono per un differenziale enorme: 245,8 morti ogni milione all’anno contro i 26,4 per milione in Europa, dati del 2015, quindi 10 volte di più. A morire per overdose non sono tanto i neri o gli ispanici, sono soprattutto i bianchi, e soprattutto i maschi bianchi. Un coroner della Pennsylvania occidentale lamenta: ogni notte mi arrivano anche 13 corpi, non so più dove metterli; è come una peste. In vari Stati i poliziotti sono stati forniti di Naloxone, un farmaco d’emergenza: se trovano un morente per overdose, l’iniezione può salvarlo, ma ovviamente non fa nulla per ridurre il tasso di dipendenza. Lo Stato dell’Ohio ha querelato cinque farmaceutiche che fabbricano e producono il Fentanyl, per “favoreggiamento dell’epidemia”.Incredibilmente, il Fentanyl viene prescritto dai medici, appunto come antidolorifico – almeno all’inizio. Poi i pazienti cominciano a comprarlo illegalmente. Ci sarebbe anzitutto da chiedere: per quali mai dolori gli americani si rivolgono al medico, se il medico trova normale prescrivere un “antidolorifico” oppioide sintetico «che è 50 volte più forte dell’eroina e 100 volte più potente della morfina»? Quali dolori – se non quelli incoercibili del cancro terminale – richiedono un tale palliativo? Oppure si tratta della necessità di “funzionare” sul lavoro anche se si soffre per un qualunque dolore perché non ci si può assentare? E poi: sono dolori fisici, quelli che gli americani maschi bianchi vogliono soffocare con la prescrizione, o dolori spirituali a cui non sanno dare un nome? Anche il male sociale è stato privatizzato. Te lo curi da te. Il sito “Governing.com”, notiziario di tutti gli enti locali, osa un’altra diagnosi: «Non è come le passate crisi per droga, come quelle del crack o delle meta-anfetamine, non è la comparsa di una nuova classe di droghe che creano dipendenza a far morire ogni giorno 91 americani. Questa crisi degli oppiacei è una crisi del lavoro; è una crisi di affitti accessibili per le case. Le stesse forze che hanno rimodellato l’economia nel decennio scorso, hanno lasciato il vuoto riempito, in certe zone, dagli oppioidi».E aggiunge: «Uno studio dell’Università di Pennsylvania dopo le elezioni presidenziali dello scorso novembre ha scoperto che il presidente Trump ha preso enormemente più voti del previsto in quelle province (contee) che registrano il più alto tasso di “morti da disperazione”, ossia suicidi, overdosi di droga o da alcolismo. Ciò mostra che molti americani si sentono lasciati indietro dall’economia che cambia, e non credono più che il quadro politico attuale li sta aiutando». Dunque sono i bianchi maschi, in età da lavoro, che devono “funzionare” anche se malati per non essere licenziati; gente che votava democratico, spesso, che invece ha votato l’uomo nuovo che ha promesso, o anche solo dato l’impressione, di avere a cuore la loro tragedia? Forse i dolori che accusano questi bianchi non vengono dal corpo, né propriamente dallo spirito – ma vengono da una malattia sociale cui non sono più abituati a dare il senso giusto: ossia politico e collettivo, e che reinterpretano come un dolore privato, da “superare” e da “ingoiare”?Ho già accennato – troppo in breve – a un altro studio di due università, la Boston University – Department of Political Science – e la University of Minnesota Law School, sul rovesciamento del voto in circoscrizioni tradizionalmente democratiche, che hanno rifiutato Hillary Clinton e votato invece per Trump: sono quelle dove un numero maggiore di soldati, giovani che avevano “servito la patria” nei 15 anni di guerre americane, sono tornati nelle bare, o vivi e mutilati, o invalidi psichici. Per lo studio, tre Stati chiave per la vittoria di Donald (Pennsylvania, Michigan e Wisconsin) avrebbero dato la vittoria a Hillary se i vicini non avessero visto tante famiglie in lutto o con un invalido di guerra in casa. «Trump ha parlato a questa parte dimenticata dell’America». L’America dimenticata che sta elevando una silenziosa protesta per il costo umano che sta subendo per sostenere i 15 anni di guerre insensate non solo politicamente, ma eticamente (sono infatti, sappiamo, “guerre per Israele”). Il tasso immane di suicidi fra i soldati americani, da otto anni in crescita, è leggibile come l’estrema protesta silenziosa e impotente di un popolo per quello che lo costringono a fare?Nella fanteria, la più colpita, si toccano 29,9 suicidi per 100.000 persone, oltre il doppio della popolazione generale (12,6 per 100.000). Punte di un suicidio ogni 2,2 giorni. Si uccidono molto gli appena arruolati, anche prima di essere dispiegati in territorio nemico; ma moltissimo i congedati: «Venti reduci ogni giorno muoiono per suicidio», dice un rapporto ufficiale della Veteran Authority del 2016. Sulle cause, silenzio. Jason Roncoroni, un tenente colonnello che ha fondato una associazione di prevenzione del suicidio, tocca l’argomento tabù: «Attribuisce il tasso fra i militari al sentimento, fra loro, che le guerre americane non finiranno mai, e l’aspettativa di missioni future senza fine. Abbiamo sfumato la linea tra il tempo di guerra e il tempo di pace». Già: il tasso di suicidi s’è alzato dai primi anni 2000, inizio delle guerre “al terrorismo” (11 Settembre 2001), e non è mai calato. Anche, qui, sono i maschi bianchi a suicidarsi di più: i bianchi compongono poco più della metà dei soldati in servizio, ma i suicidi fra loro sono 7 su 10.Si piega sotto il fardello dell’uomo bianco, l’americano qualunque; l’uomo bianco che deve “funzionare”, e proprio per questo l’hanno caricato con un fardello che ormai lo schiaccia. E lui, sotto, incapace di sollevarlo, ci si uccide. Fatto istruttivo, solo l’armata israeliana ha tassi di suicidi paragonabili. Aggiungiamoci i 500 omicidi l’anno nella sola città di Chicago, in cui sono coinvolti soprattutto negri, quasi due al giorno, e in continuo aumento. Nell’insieme è l’immagine di una popolazione che si autodistrugge, che si devasta. O che viene devastata dalla “economia che cambia” e “li lascia indietro”, con paghe sempre minori ed affitti da pagare, e la coscienza della propria inutilità. E’ il capitalismo terminale, quello che fa profitti non più producendo merci ma producendo bolle finanziarie, che nella sua perfezione ideologica applicata persegue la massima efficienza come la intende: pagare il meno possibile il lavoro, precarizzarlo, sostituirlo con robot a tappe forzate, per retribuire al massimo il capitale finanziario.Tale “efficienza” porta l’effetto paradossale e opposto, che le imprese industriali rimaste in Usa fanno fatica a trovare lavoratori qualificati che non siano resi inservibili dall’oppioide. L’allarme è stato lanciato non da organizzazioni sociali, ma dalla stessa Federal Reserve. Le Fed di St. Louis ha denunciato l’introvabilità di lavoratori non drogati, e quindi improduttivi, in un “Libro Beige” diffuso il 12 luglio. La stessa Janet Yellen, la governatrice della Federal Reserve, ha spiegato in un’audizione al Senato che «gli oppioidi erano una delle cause del crollo della forza-lavoro», insieme beninteso ai robot e alle delocalizzazioni. Un crollo inaudito dalla «partecipazione alla forza lavoro», ossia delle persone che si offrono di lavorare. «Oggi, il 15% degli uomini fra i 25 e i 54 sono inspiegabilmente spariti dalla forza-lavoro – ossia uno ogni sette – nonostante il tasso di disoccupazione sia calato». Sono drogati che non riescono più a “funzionare”. La Yellen ha aggiunto di non capire e non sapere se «un così diffuso abuso di oppiacei sia la causa, o invece il sintomo di “malattie di lunga durata” di questi lavoratori».(Maurizio Blondet, estratto dal post “Usa, la nuova peste stermina l’uomo bianco, ormai superfluo”, pubblicato sul blog di Blondet il 16 agosto 2017).E’ ormai la prima causa di morte per gli americani sotto i 50 anni, quindi in età produttiva: 91 americani muoiono ogni giorno per overdose da Fentanyl, un oppioide sintetico, antidolorifico, che crea forte dipendenza. La chiamano “opioid epidemic”: 52.000 morti nel 2015, 59.000 nel 2016 (più 19%), già oltre 60.000 ad agosto 2017; saranno almeno 65.000 a fine anno. Aumenti spaventosi. Gli Stati Uniti sono il paese con più morti per overdose del mondo per milione di abitante e lo sono per un differenziale enorme: 245,8 morti ogni milione all’anno contro i 26,4 per milione in Europa, dati del 2015, quindi 10 volte di più. A morire per overdose non sono tanto i neri o gli ispanici, sono soprattutto i bianchi, e soprattutto i maschi bianchi. Un coroner della Pennsylvania occidentale lamenta: ogni notte mi arrivano anche 13 corpi, non so più dove metterli; è come una peste. In vari Stati i poliziotti sono stati forniti di Naloxone, un farmaco d’emergenza: se trovano un morente per overdose, l’iniezione può salvarlo, ma ovviamente non fa nulla per ridurre il tasso di dipendenza. Lo Stato dell’Ohio ha querelato cinque farmaceutiche che fabbricano e producono il Fentanyl, per “favoreggiamento dell’epidemia”.
-
Solange Manfredi: papà, uomo di potere, viveva nel terrore
Paolo (Franceschetti) in questo blog ha scritto alcuni articoli su alcune associazioni esoteriche che hanno fatto sorgere tra i lettori confronti, a volte, anche accesi. Diverse persone hanno commentato gli articoli scrivendo le proprie esperienze, e non solo. Altri sono intervenuti per mettere in guardia dal “fascino” che dette associazioni possono avere su alcune persone. In ultimo, ieri, un’amica di Paolo, letto il suo ultimo articolo sulla Rosa Rossa, gli ha detto che leggerlo fa venir voglia di iscriversi, più che di combattere il fenomeno… fa venire voglia di dire “voglio anche io avere conoscenze superiori, voglio anche io avere potere”. Ed ecco il perché del mio intervento. Ho avuto la straordinaria (nel senso letterale del termine, ovvero fuori dall’ordinario) possibilità di vivere in una famiglia che tale potere aveva, inserita ai massimi livelli italiani. Per tale motivo ritengo opportuno dare la mia testimonianza sull’altra faccia di questo potere che tante persone può affascinare. Questo tipo di potere ha un costo enorme ed è quello della vita e della libertà tua e della tua famiglia. Certo, la mia famiglia aveva potere e denaro, ma a che prezzo cercherò di spiegarvelo nel modo più semplice.Non ho mai visto, un solo giorno, mio padre senza la paura negli occhi. Non l’ho mai visto veramente sereno e sorridente. Era un bravissimo attore e, in società, era considerato un uomo bello, intelligente, simpatico, ironico, tollerante, comprensivo e disponibile. A casa era un uomo chiuso, sospettoso, iroso, intollerante e cinico. Era un uomo spaventato. Perché quando accetti di far parte di questo mondo, o di queste organizzazioni, il prezzo da pagare è questo. Non hai la possibilità di difendere né te stesso, né la tua famiglia. Tutto è loro concesso e tu non puoi rifiutare ai gradi pari, o superiori, nulla. Sei, sostanzialmente, al loro servizio. Cosa vuol dire questo? Vuol dire che ti viene tolta la dignità e la libertà. Diventi, niente di più e niente di meno, che uno schiavo strapagato. Uno schiavo che deve essere sempre pronto ad esaudire i desideri dell’organizzazione, qualunque essi siano, legali o no.Uno schiavo che non ha la possibilità di difendere neanche la sua famiglia, perché anche quella appartiene all’organizzazione. Uno schiavo che potrà chiedere grandi vantaggi anche per la sua famiglia, certo, ma che se attaccata dall’organizzazione non avrà la possibilità di difenderla. Anzi, se chiesta, sarà lui a doverla concedere. Sarai a conoscenza, quando addirittura non complice od esecutore, di reati che servono sia agli scopi dell’organizzazione sia per renderti uomo ricattabile. Dovrai scattare ad ogni loro richiamo. Dovrai sottostare a qualsiasi loro richiesta. Vivrai nel terrore di sbagliare, sapendo che la pena per tale errore è la più atroce. Ogni giorno vivrai con l’ansia che il telefono squilli, o che qualcuno arrivi nel tuo studio a farti l’ennesima richiesta oscena a cui tu dovrai obbedire; perché hai potere, certo, ma c’è sempre qualcuno sopra di te. Perché magari un giorno, se ti verrà chiesto, dovrai dare l’ordine di uccidere un uomo onesto, solo perché, svolgendo il suo lavoro, si è avvicinato pericolosamente a scoprire l’organizzazione di cui fai parte.E sarà difficile prendere sonno quella notte. Ma lo sarà ancora di più la notte seguente all’attentato che hai ordinato di fare, quando saprai che l’autobomba imbottita di tritolo ha ucciso anche una madre con i suoi due figli, colpevoli soltanto di trovarsi nel posto sbagliato nel momento sbagliato. Sarà difficile quella sera rientrare a casa e vederti correre incontro tua figlia, che ha più o meno la stessa età dei bambini morti nell’attentato che hai ordinato, per un abbraccio. Sarà difficile, quasi impossibile, ricevere quell’abbraccio, perché quel contatto potrebbe farti pensare a quei bambini, i cui corpi sono stati ritrovati a decine di metri di distanza, spiaccicati sulla facciata di un palazzo, e farti crollare emotivamente. E allora, probabilmente, allontanerai con rabbia tua figlia, le impedirai qualsiasi contatto, lasciandola delusa e confusa. O forse passerai settimane intere tornando a casa tardi la sera, per essere sicuro che già dorma, per poi svegliarti la mattina quando è già uscita per andare a scuola.Negli anni questo stato ti porterà a chiuderti dentro una corazza, che ogni giorno si farà più stretta, fino a soffocarti. Perché denaro e potere non riescono a cancellare il fatto che ti hanno annullato come uomo, privandoti di dignità e libertà. E anche quando qualcuno dell’organizzazione causerà un danno alla tua famiglia e questa ti chiederà tutela, il non poterla dare, il non poter loro spiegare che quel danno, o quel reato, non può essere denunciato, sarà difficile. Perché tra voi non vi potete denunciare, in quanto considerate i tribunali dello Stato “tribunali profani”, indegni di giudicarvi. Cercherai scuse per non agire e, se la tua famiglia cercherà di tutelarsi da sola, arriverai perfino a rubare da casa i documenti che comprovano il reato per impedire la denuncia. E allora per la tua famiglia diventerai, nella migliore delle ipotesi, un uomo che causa sofferenza e incomprensioni.Sarà difficile reggere tutto ciò. Perché sarà difficile da reggere la recita in pubblico, sempre in tensione ad ogni persona che ti si avvicina e ti dice: “Sono un amico di….le posso parlare?”. Con una “corte” attorno a te di uomini che ti adulano, certo, ma che – tu sai perfettamente – aspettano solo un momento di tua debolezza per pugnalarti alle spalle e prendere il tuo posto, e il relativo potere, nell’organizzazione. E sarà difficile reggere le incomprensioni che il tuo atteggiamento ha causato in casa. Certo, cercherai disperatamente di compensare quelle incomprensioni con quel denaro tanto facile e immeritato che a fiumi ti viene fatto scorrere nelle tasche. Ma può capitare che alla tua famiglia non interessi tanto denaro, interessi avere un padre ed un uomo, ovvero quello che tu non sei più. E allora ogni giorno sarà una sofferenza per te e per chi ti sta accanto.Il momento peggiore, poi, sarà quando non riuscirai più a sopportare tutto ciò e cercherai un modo per uscirne, per trovare una scusa all’ennesima indecente richiesta. Sarà proprio allora che ti verrà ricordato che non sei libero di scegliere, e te lo ricorderanno nei modi peggiori. Magari faranno avvicinare tua figlia da qualcuno che le farà un discorso strano, che lei non sarà in grado di capire, ma che le verrà chiesto di riferirti, perché tu, invece, ne comprenderai perfettamente il significato. E allora inizierà il panico. Un panico incontrollato. E inizierai a tremare ogni qualvolta tua figlia uscirà di casa, ogni volta che ti racconterà di aver conosciuto un ragazzo. Reagirai con la tipica rabbia dettata dalla paura chiedendole di non vedere mai più quella persona, adducendo scuse a tale richiesta, scuse banali e per tua figlia incomprensibili. Questo allontanerà ancora di più tua figlia che, per vivere, inizierà a mentirti e a nasconderti la propria vita. Tutto ciò aumenterà ancora di più la tua paura e la tua sensazione di impotenza.Così avanzerai verso di lei pretese sempre più assurde, cercando di controllare ogni sua amicizia, ogni suo spostamento e, quando tua figlia ti chiederà spiegazioni per questo tuo comportamento, non saprai cosa dire. Perché probabilmente non avrai la forza di spiegarle che rischia la vita, che è pericoloso uscire con un ragazzo incontrato in discoteca, perché lei è usata come strumento di pressione e di ricatto perché tu obbedisca. Perché non potrai spiegarle che quella persona con cui lei ti dice aver passato una bella serata e che, conoscendoti, ti manda i suoi saluti, in realtà voleva farti sapere che è stato così vicino a tua figlia da poterla uccidere con una sola mano. Non potrai. Né potrai spiegarle che vive questa situazione perché tu hai scelto anni prima di avere potere e denaro per poter avere una bella casa, per poter avere incarichi che non meritavi, per non rispondere giudizialmente di eventuali errori nella tua professione, per poter fare le vacanze nei posti più esclusivi, per poter ottenere con facilità cose che non ti spettavano, ecc..Non potrai spiegarle che la sua vita appartiene ad altri perché tu volevi il potere. E non potrai spiegarlo perché, anche se tu trovassi la forza di farlo, sapresti perfettamente che non servirebbe a nulla, se non a far vivere nel panico anche i tuoi cari. E’ a questo punto che ti accorgerai di quanto ti sia costato quel potere, ma non potrai più tornare indietro. Non potrai più porre rimedio a quella scelta fatta per l’ambizione di arrivare dove altrimenti non saresti mai arrivato. Non avrai più via di scampo, come non ce l’avrà la tua famiglia, che vivrà in un incubo senza sapere perché. Nessun rapporto, solo recite in pubblico per la società, che tu obbligherai la tua famiglia a recitare con la paura e il ricatto, i soli strumenti che ti saranno rimasti avendo perso il loro amore, la loro stima e la loro fiducia. E neanche la tua morte salderà il conto, perché la tua famiglia sarà costretta a scegliere: se entrerà nell’organizzazione manterrà ciò che ha, se rifiuterà le verrà tolto tutto.Sì, perché le strutture che tu hai messo in piedi, siano aziende o studi professionali, sono strutture dell’organizzazione, e tu eri solo lo schiavo strapagato che le portava avanti, la cosiddetta testa di legno. Così, se la tua famiglia rifiuterà, le verrà tolto tutto. Se cercherà di ottenere ciò che ritiene suo, e che la legge dice esserlo, verrà massacrata (morte civile, calunnie, minacce, denunce pretestuose, ecc). Se poi un componente della tua famiglia, magari tua figlia, sceglierà di aiutare le persone che cadono vittime della tua organizzazione (e sono tante) perché, grazie alla sua esperienza di vita, vi conosce e riconosce, o cercherà di informare sul meccanismo del vostro potere, saprà che sarà un progetto che non potrà pianificare. Saprà che, probabilmente, una sera ci sarà qualcuno che, come tante volte hai fatto tu in passato, darà l’ordine di eliminare il problema. E l’esecutore, con rapidità ed efficienza, entrerà in azione assicurandosi che il decesso venga archiviato come incidente o suicidio. Questo è il prezzo del potere. Alle singole persone scegliere se vale la pena pagarlo. Io, ho scelto la libertà per poter, come ebbe a dire Paolo Borsellino: «sentire la bellezza del fresco profumo di libertà che si oppone al puzzo del compromesso morale, dell’indifferenza, della contiguità, e quindi della complicità».(Solange Manfredi, “Il prezzo del potere”, dal blog di Paolo Franceschetti del 20 novembre 2008).Paolo (Franceschetti) in questo blog ha scritto alcuni articoli su alcune associazioni esoteriche che hanno fatto sorgere tra i lettori confronti, a volte, anche accesi. Diverse persone hanno commentato gli articoli scrivendo le proprie esperienze, e non solo. Altri sono intervenuti per mettere in guardia dal “fascino” che dette associazioni possono avere su alcune persone. In ultimo, ieri, un’amica di Paolo, letto il suo ultimo articolo sulla Rosa Rossa, gli ha detto che leggerlo fa venir voglia di iscriversi, più che di combattere il fenomeno… fa venire voglia di dire “voglio anche io avere conoscenze superiori, voglio anche io avere potere”. Ed ecco il perché del mio intervento. Ho avuto la straordinaria (nel senso letterale del termine, ovvero fuori dall’ordinario) possibilità di vivere in una famiglia che tale potere aveva, inserita ai massimi livelli italiani. Per tale motivo ritengo opportuno dare la mia testimonianza sull’altra faccia di questo potere che tante persone può affascinare. Questo tipo di potere ha un costo enorme ed è quello della vita e della libertà tua e della tua famiglia. Certo, la mia famiglia aveva potere e denaro, ma a che prezzo cercherò di spiegarvelo nel modo più semplice.