Conoscere la verità, ecco la grande rivoluzione che faremo
Scritto il 05/4/15 • nella Categoria:
idee
Che altro deve succedere perché la mia generazione scenda in piazza e faccia una rivoluzione? E pure basta guardare a tassazione, disoccupazione (in particolare quella giovanile), precariato, il deficit democratico delle istituzioni europee, la violenta politica imperialista dei paesi Nato (Yugoslavia, Afghanistan, Iraq, Libia, Siria, e Ucraina sono le medaglie insanguinate che portiamo al petto) per rendersi conto che la società sta regredendo e l’Europa ha preso una svolta di tipo autoritario sia pure nascosta dagli specchi di istituzioni internazionali paramassoniche al servizio di forze reazionarie; la gente non lo capisce o se ne frega? Spesso sento dire che in Italia non faremo mai una rivoluzione perché siamo un paese di vecchi o perché il 70% degli italiani ha una casa di proprietà o anche perché ci basta guardare il calcio in televisione mangiare un piatto di pasta e fumarci una sigaretta con il caffè. La verità che è che il malcontento può portare la gente in piazza ma questo non basta a fare una rivoluzione, per quello ci vuole un’organizzazione pronta a succedere all’amministrazione uscente e tanti soldi, come ci ha mostrato il Dipartimento di Stato Americano, fabbrica di tutte le ultime rivoluzioni in giro per il mondo (il Venezuela o l’Ucraina sono esempi perfetti).
La verità è che una rivoluzione la possiamo fare anche senza scendere per strada informandoci e informando chi ci circonda. Il sistema informazione in Italia è sotto lo stretto controllo di gruppi (lobby, massonerie, servizi segreti, gruppi bancari e multinazionali) filo-atlantici come voluto nel piano di rinascita democratica della P2; lo stesso succede negli altri paesi occidentali ed infatti questi sistemi sono coordinatissimi quando si tratta di argomenti sensibili come guerre e rivoluzioni, Unione Europea. E’ risaputo che prima di intervenire militarmente le oligarchie occidentali devono vendere la guerra all’opinione pubblica il controllo totale dei mezzi di informazione è cruciale alla raggiungimento di tale obbiettivo. Vi basterà osservare come prima di un intervento militare i telegiornali riportino notizie di odiose violenze contro donne e bambini, servono esattamente a vendervi la guerra. Se pensate che quello che è successo in Iraq o in Libia, dove sono morte centinaia di migliaia di persone, sia il risultato di una guerra ‘giusta’, non è perché siete cretini ma semplicemente vivete in un contesto di precarietà lavorativa, distratti dall’industria dell’intrattenimento e sovraesposti ad una propaganda bellica contro la quale non avete ne voglia ne tempo di assumere un ruolo critico.
Ci confondono con il teatro della politica dove la dialettica destra e sinistra è solo intrattenimento che persegue un pensiero unico trasversale sintesi di interessi privati, aziendali, finanziari, militari, massonici e criminali. Mi rendo conto che potrei scrivere pagine e pagine per argomentare alcuni temi toccati ma preferisco suggerire al lettore un modo pratico per cominciare la propria rivoluzione… culturale. In un mondo dove l’informazione è un prodotto come un altro e l’acquirente sono i grossi gruppi di potere che governano il mondo, il sistema produce l’informazione commissionata selezionando in modo darwiniano i compiacenti giornalisti allineati. Negli ultimi tempi c’e’ un grande sforzo di creare raccoglitori di news da parte di giganti come Yahoo o Google per poter controllare quello che la gente legge. Spezzate le catene con il mainstrean e cominciate a leggere anche le news di fonti alternative. Il modo migliore e scaricare un’app che si chiama feedly o anche semplicemente salvare queste fonti nel folder del vostro browser.
(Ludovico Nobile, “Impariamo a informarci in tempi moderni”, da “Conflitti e strategie” del 29 marzo 2015).
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Mi sento di consigliare a tutti la serie “1992″ su Sky: un pezzo importante della nostra storia ben scritto e ben recitato!
L’articolo è molto condivisibile , mette a fuoco la reale situazione in cui siamo e da dove si è partiti per arrivare qui. Io vorrei solo fare un appunto riguardo il concetto ( anch’esso condivisibile) di ricercare informazioni alternative ed evolvere sotto questo aspetto.
Non credo che una rivoluzione possa avvenire attraverso questo passaggio , in primis perchè internet ha origini militari e la sua diffusione successiva in ambito civile rimane con questo peccato originale : in sostanza è uno strumento per controllarci e sfrutta la subdola condizione di inondare le persone di un turbinio incontrollato di informazioni per disorientarle . Così che in questa enorme pentola si inseriscono tutti gli ingredienti possibili , dai social network dove ci si immerge in una realtà virtuale ai siti “alternativi” che racchiudono tutto e il contrario di tutto aumentando la confusione. E’ esattamente quello che vogliono : confonderci e disorientarci ; un passo avanti nel controllo di massa.
Perchè dobbiamo sempre tenere presente che l’evoluzione è prima di tutto soggettiva , il primo cambiamento deve avvenire in noi stessi , non sono le notizie che devono esserci fornite ma noi che dobbiamo andarle a cercare e daremo il giusto valore alle informazioni solo quando saremo riusciti ad uscire da questa matrix in cui siamo immersi.
Ludovico Nobile scrive :«Conoscere la verità, ecco la grande rivoluzione che faremo».
Già…ma cos’è e dove sta la verità, posto che potrebbe essere assimilata ad una gemma preziosa che il tiranno di turno ha frantumato in mille pezzi onde evitare che gli oppressi ne entrino in possesso?
Nel XX° secolo, Arnold Joseph Toynbee (autorevole membro della “Fabian Society” nonché docente di Storia Internazionale presso la “London School of Economics” e la “University of London”) ammise con candida e sfrontata arroganza:
«Stiamo attualmente lavorando con discrezione, ma con tutte le nostre forze, per strappare questa “forza misteriosa chiamata sovranità” dalle grinfie degli Stati nazionali di tutto il mondo. E mentre operiamo in silenzio, neghiamo con le labbra ciò che stiamo facendo con le nostre mani “» .
È forse questa la grande verità che ci vogliono occultare anche nel XXI° secolo?
Certo che lo è. In-con-tro-ver-ti-bil-men-te!
Nel giugno 2014, Zbigniew Brzezinski – in un discorso tenuto al “Woodrow Wilson Center” – esordì, sillabando:
«La Russia non ha né il diritto di proteggere i propri interessi nazionali…» .
E Brzezinski non è il 2 di picche ma è uno dei geo strateghi più influenti dell’establishment neoconservatore che propugna la perpetuazione dell’egemonia dell’élite anglosassone sul pianeta.
Va altresì detto che quello neoconservatore non è il solo establishment che avversa lo Stato nazionale.
Ne sono infatti nemici acerrimi (sino a voler distruggere persino la memoria storica di Nazione) anche gli altri tre principali establishments: ” Liberal” – “Zionist”- “Vatican Paneuropa network” .
Perché?
Perché lo Stato nazionale è l’estremo baluardo che ogni Popolo ha eretto a difesa dei propri interessi, libertà, identità, terrritorio.
Se dovesse crollare, alcun ostacolo si frapporrebbe più al disegno elitario di monopolizzare ogni risorsa (privatizzando financo l’acqua e l’aria che respiriamo) sino a ridurci a servi della gleba senza speranza e senza futuro.
Il lato beffardo del dramma che stiamo vivendo è che il concetto di Stato nazionale ebbe origine da un fatale errore delle élites del XVII° secolo, accecate dall’avidità e dalla bramosia delle ricchezze delle Indie orientali.
Ne ricostruisco le vicende, a cominciare dalla genesi dell’élite anglosassone.
Dopo la caduta dell’Impero romano d’Occidente, l’odierna Gran Bretagna venne invasa dai popoli germanici Angli, Sassoni e Juti che si insediarono in massa nel sud-est britannico, corrispondente all’attuale Inghilterra (costringendo i nativi a rifugiarsi nelle zone interne, soprattutto nel Galles). Successivamente essi furono sottomessi da quei Vichinghi (originari della Scandinavia) denominati poi Normanni perché provenienti dal regno di Normandia, da essi fondato in Francia.
Col tempo germanici e normanni si fusero, accomunati da usi, tradizioni e dalla lingua “old english”, ceppo primordiale dell’inglese moderno. Inoltre, la loro nobiltà si imparentò con mercanti e banchieri ebrei e veneziani (quivi migrati tra il 1066 ed il 1700), dando luogo ad una classe predominante denominata élite anglo-sassone .
Tale élite (che è legata a sua volta – attraverso vincoli di sangue, di parentela o di interesse – a dinastie europee potenti per titoli nobiliari o per censo) stabilì (sin dal 1189 e per concessione del monarca inglese) il proprio quartier generale nella “City of London Corporation”, che è un vero e proprio stato sovrano esteso per un miglio quadrato nel cuore di Londra.
La “City of London Corporation” non tardò ad imporsi come prima piazza finanziaria mondiale impiegando come forza pervasiva la preminenza conseguita sull’oro e sulle monete-denaro pregiate nonché come forza militare gli eserciti dei governi subalterni (in quanto da essa dipendenti per la loro cronica fame di finanziamenti), che le consentirono di estendere la supremazia sulle ricchezze di un vastissimo impero coloniale.
Donde il nascere dell’assioma: “Dietro l’alternarsi di guerra e pace vi è sempre la mano invisibile di un’entità sovranazionale che persegue il proprio interesse pascendosi sia della vanagloria e del sangue dei vincitori sia delle rovine e del sangue dei vinti”.
Così è stato – ad esempio – per la Guerra dei Trentanni, culminata nel trattato di Westfalia (firmato tra il 1644 ed il 1648) .
Ufficialmente scatenata da conflitti religiosi, tale guerra fu in realtà promossa dall’élite anglosassone per liquidare il possente Impero Asburgico (erede del Sacro Romano Impero d’Occidente) in maniera da strappare ai mercanti tedeschi della Lega Anseatica (e dell’Europa settentrionale e centrale) il monopolio dei trasporti e delle ambitissime vie marittime verso le Indie orientali .
Il disegno riuscì e i cambiavalute anglo-sassoni (=the money changers) la fecero infine da padroni destinando gli avanzi agli olandesi, spagnoli, portoghesi e francesi. Tuttavia, il timore del risorgere della Germania (che, non a caso, venne smembrata in 350 Stati spesso minuscoli) indusse tali burattinai a compiere un passo falso, destinato a rivelarsi fatale per i loro successori globalisti.
E, cioè, l’errore di immettere nel trattato di Westfalia le seguenti norme imperative:
1)- Il principio della sovranità assoluta di uno Stato e il divieto di ingerenza straniera nei suoi affari interni.
2)- L’uguaglianza giuridica tra gli Stati per cui il più piccolo Stato ha i medesimi diritti di quello più grande, a prescindere dai rapporti di forza o debolezza, di ricchezza o povertà.
3)- L’inserimento delle suddette norme in un originario nucleo di diritto pubblico internazionale, a cui tutte le potenze europee si dichiararono obbligate.
Tali principi ebbero effetti dirompenti nei secoli a venire, aprendo le coscienze delle generazioni future al loro diritto fondamentale di autodeterminazione politica così da forgiarne l’identità unitaria in uno Stato nazionale sovrano.
Fortunatamente, i predatori di quell’epoca – accecati dalla supponenza e dalla frenesia di spartirsi il pingue bottino delle Indie orientali – tutto furono, fuorché preveggenti.
Dopo il trattato di Westfalia, l’élite anglo-sassone si rafforzò gradualmente ma inesorabilmente sino a divenire (vari secoli dopo) l’incontrastato ed occulto “dominus” del potere reale su Imperi e Stati (imponendo la “Pax Britannica” prima e la “Pax Americana” dipoi) e a progettare un nuovo ordine internazionale che statuisse il proprio dominio su scala globale.
La “madre” di tutte le occasioni le fu fornita dalla medesima Inghilterra (sua ospite) che – trovandosi alla fine del XVII secolo in pieno disastro finanziario dopo mezzo secolo di guerre sostenute contro Francia ed Olanda – le rivolse un disperato appello per ottenere finanziamenti.
I finanziamenti furono accordati ma il corrispettivo pagato rimase storicamente indelebile dato che consistette nell’istituzione nel 1694 della Banca d’Inghilterra, seconda Banca Centrale privata del mondo occidentale (la prima fu la Banca di Amsterdam, fondata nel 1609) che poté emettere legalmente moneta dal nulla, divenendo creditrice di un debito pubblico impossibile da rimborsare.
Su Agon Channel tutti i giorni alle 13 c’è “Quello che le donne non dicono”, talk show al femminile condotto da Monica Setta: ogni giorno ci sono 2 ospiti che si confrontano.