Così Obama disonora la memoria di Martin Luther King
Scritto il 30/8/13 • nella Categoria:
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Le differenze tra Martin Luther King e Barack Obama non potrebbero essere più evidenti: «L’unica cosa che hanno in comune è il colore della pelle», sentenzia Tony Cartalucci, anche se «i canali d’informazione occidentali sono riusciti a tracciare delle linee di congiunzione tra queste due figure diametralmente opposte». Con la sua apparizione al Memoriale di Lincoln, secondo l’Associated Press l’attuale presidente Usa «era certo di rappresentare la realizzazione del sogno di centinaia di migliaia di persone che manifestarono lì nel lontano 1963», perché Obama «incarna il sogno e la lotta di King». Solo perché è nero, obietta Cartalucci, «o perché interpreta davvero quegli ideali di giustizia, uguaglianza e pace per cui Martin Luther King Jr. si è battuto durante tutta la sua vita e per i quali è morto?». Risposta: «Non esiste modo peggiore di offendere la memoria di Martin Luther King di quello di paragonarlo al presidente Obama, servo di un meccanismo che produce le più gravi disuguaglianze e ingiustizie sulla Terra, alimentato proprio da quegli “interessi corporativi” tanto avversati da King in tutta la sua vita e a causa dei quali probabilmente fu ucciso».
Infatti, «nonostante quella parvenza democratica che ostenta pubblicamente», l’esecutivo guidato da Obama – scrive il blogger in un post su “Land Destroyer” ripreso da “Come Don Chisciotte” – non è altro che «un concentrato di interessi finanziari, corporativi, di guerrafondai criminali ed elitari che promuovono esclusivamente un’agenda di tipo fascista-imprenditoriale, abilmente celata dietro belle cause pseudo-liberali». Cartalucci fornisce un elenco impietoso degli “uomini del presidente” e dei super-poteri per conto dei quali evidentemente agiscono. A cominciare da Timothy Geithner, già segretario del Tesoro ma anche membro del famigerato “Gruppo dei 30” insieme a Mario Draghi, nonché del Consiglio delle Relazioni Estere e della Federal Reserve. Poi il procuratore generale Eric Holder, informalmente anche “portavoce” della Covington & Burling nonché lobbysta per Merck e rappresentante legale di Chiquita International Brands nelle cause dei parenti delle persone uccise dal terrorismo in Colombia.
La lista è lunga e impegnativa: si va da Eric Shinseki, segretario per gli affari dei veterani di guerra e al tempo stesso dirigente di aziende dell’apparato militare industriale come Honeywell e Ducommun, fino ll’ex capo di gabinetto Rahm Emanuel, collegato a Freddie Mac. William Daley, già capo di stato maggiore delle forze Usa, era anche membro della commissione esecutiva di Jp Morgan, la super-banca che considera “superate e dannose per il business” le Costituzioni europee, democratiche e antifasciste, piene di attenzioni per i diritti dei lavoratori. Un altro esponente del vertice militare, Jacob “Jack” Lew, oltre a figurare nel Consiglio per le relazioni estere ha a che fare con la Brookings Institution, come la stessa Susan Rice, ambasciatrice all’Onu ed “emissaria” di McKinsey and Company, così come l’ex direttore del Bilancio, Peter Orszag, ha un ruolo nella super-banca Citigroup.
Nomi di primissimo piano, come quello di Paul Volcker, presente in sedi potentissime: Consiglio per le Relazioni Estere, Federal Reserve e Gruppo dei 30. Uno come Ronald Kirk, rappresentante del Commercio Usa, Cartalucci lo presenta come «lobbista, membro della partnership tra Goldman Sachs, Kohlberg, Kravis, Roberts e di Texas Pacific Group per l’acquisizione di Energy Future Holdings». Il termine italiano “faccendiere” è comicamente inadeguato: perché le “faccende” di cui si occupano queste pedine fondamentali dell’élite planetaria hanno un peso difficilmente commensurabile, così come la visibilità della loro effettiva azione quotidiana. Chiude la galleria della “Obama’s List” il direttore del Consiglio per l’Economia Nazionale, Lawrence Summers, che al tempo stesso è impegnato nella World Bank, nel Consiglio per le Relazioni Estere e nella Brookings Institution.
«Ovviamente – annota Cartalucci – la rappresentanza del Consiglio per le Relazioni Estere e della Brookings Institution dovrebbe lasciare molto perplesso chiunque si consideri un autentico liberale democratico: questi sono dei think-tank creati da e a favore di grandi interessi imprenditoriali». La Brookings Institution, in particolare, «annovera al suo interno quegli stessi architetti delle miriadi di “guerre-Bush” e delle guerre attualmente condotte dall’amministrazione guidata dal “primo presidente nero”. «In realtà, non solo la politica di Obama si basa sugli stessi identici interessi finanziari-corporativi dell’amministrazione Bush, ma a scrivere l’attuale politica estera verso la Libia, la Siria e l’Iran – scrive Cartalucci – sono alcune delle stesse persone di allora, quelle stesse persone dietro alle guerre in Iraq e in Afganistan di cui ancora soffriamo le conseguenze». E’ quella che possiamo definire una “continuità di agenda”: per cui, «le false inclinazioni politiche sia di Bush sia di Obama non sono che messinscene abilmente orchestrate per dividere e distrarre l’opinione pubblica, mentre è una sola l’Agenda che passa da un’amministrazione all’altra e attraversa le linee della politica nazionale», scavalcando il “volere degli elettori”.
«Nell’anniversario del suo famoso discorso “I have a dream” – continua Cartalucci – se solo appartenesse ancora a questo mondo, Martin Luther King di certo salirebbe sul palco e si dichiarerebbe contrario all’ultimissima guerra degli Usa e dei loro “amici” contro la Siria. Di certo condannerebbe la guerra globale che Obama ha intrapreso dal Mali alla Libia, dalla Siria all’Afganistan e ai confini del Pakistan, dallo Yemen alla Somalia, fino all’Uganda e oltre». Basta rileggere il discorso che il reverendo King tenne il 4 aprile del 1967 a New York, contro il Vietnam e la guerra in generale. «Una reale rivoluzione dei valori dovrebbe imporre le mani sull’ordine mondiale e dire, a proposito della guerra: questo modo di risolvere le divergenze non è una cosa giusta. Bruciare gli uomini con il napalm, riempire la nazione di orfani e vedove, iniettare il veleno dell’odio nelle vene degli esseri umani, rispedire alle loro case uomini fisicamente handicappati e mentalmente distrutti, dopo aver vissuto per mesi su campi di battaglia oscuri e sanguinosi, sono cose che non si conciliano con la saggezza, la giustizia e l’amore».
E ancora: «Una nazione che continua, anno dopo anno, a spendere il proprio denaro in difesa militare invece che in programmi di sviluppo e promozione sociale, è destinata alla morte spirituale». Niente, concluse, «ci deve fermare dal continuare a rimodellare con le nostre mani questo status quo fino a trasformarlo in una fratellanza». Gli Usa che oggi si preparano ad attaccare la Siria, in base a un piano sviluppato già nel 2007 e basato sulla catastrofe umanitaria architettata allo scopo di dividere e distruggere Damasco e i suoi alleati di Teheran, di certo non è una “cosa giusta”, commenta Cartalucci. E non lo è «correre verso una nuova guerra, e nascondendosi ancora una volta dietro a menzogne», senza esitare ad «eludere le leggi internazionali portando avanti una guerra di egemonia, mascherandola da intervento umanitario».
L’America non ha mai cambiato rotta, insiste il blogger: «Ha sempre continuato spedita lungo lo stesso oscuro sentiero, quel sentiero contro il quale King ci aveva messo in guardia nel 1967». Indice puntato contro il super-clan delle lobby alla corte di Barack Obama: «L’uomo che ci “guida”, o meglio, l’uomo di facciata di quegli interessi finanziari e corporativi che tracciano il destino dell’America, può anche continuare a onorare la memoria di King con parole contrite e apparizioni pubbliche ben orchestrate, ma nella realtà dei fatti e delle azioni Obama e l’elite finanziario-corporativa che lo tiene al guinzaglio stanno disonorando in modo indegno e inimmaginabile la memoria di King: se davvero si vuole onorare King e il suo impegno di una vita, onoriamolo mettendo in pratica le parole che ha pronunciato quando era in vita, e non scendendo a patti con quel sistema che lui stesso ha contrastato fino alla morte».
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