Grillo, la paura paralizza la Tv che l’ha sempre oscurato
Cacciato dalla televisione lottizzata e poi oscurato per anni, silenziato da una censura bulgara all’epoca delle denunce sui crac Cirio e Parmalat, e ancora ignorato ora che è a capo del “Movimento 5 Stelle”. Non pago, il mainstream arriva ad accusare Grillo di rifiutare un passaggio pre-elettorale in televisione. Una “fuga” dalla tivù, nel 2013 – dopo decenni di esilio – e magari per paura delle domande dei formidabili giornalisti italiani? «Che risate!», si sfoga Debora Billi: «Perché, a voi è mai capitato di ascoltare domande scomode durante le interviste ai leader politici? Avete per caso sentito Lilli Gruber crocifiggere Mario Monti sulla sua appartenenza a Bilderberg e Trilaterali, o Floris mettere in seria difficoltà Bersani pressandolo sul Monte dei Paschi, o Vespa chiudere all’angolo Berlusconi sul conflitto di interessi?». Grillo che “non va più in tivù”? Ma Grillo chi, scusate? Quello di cui vi siete sempre rifiutati di parlare? «Un po’ come se titolassero: “La Juventus eliminata dalla finale”. Quale finale, di cosa? Non si sa, si erano scordati di annunciarla».
Commenti a iosa, poi, su Grillo che “proibisce ai suoi di andare in Tv e poi lui fa come vuole”, scrive la Billi su “Crisis”. «Come se andare in televisione fosse un premio, una fortuna a cui anelare, che il capo riserva a se stesso e proibisce invece ai poveri sottoposti privati di una tale magica opportunità». Molto divertenti, infine, quelli che si affannano a sostenere che Grillo “scappa dalla Tv perché ha paura delle domande”. Andiamo, «proprio non c’è alcun tremendissimo rischio nell’andare a rispondere alle domande all’idrolitina dei telegiornalisti nostrani». A meno che, appunto, «tali penne al veleno non escano fuori solo con gli outsider», e che «l’animo spietato del reporter non si risvegli solo davanti a chi potente non è», nel caso cioè in cui «l’esercizio della nobile professione giornalistica non si applichi solo verso chi non ha potere di vita e di morte su stipendi e carriere».
Insomma, “rispondere alle domande scomode” è «una via crucis riservata solo ai fuoricasta, come nella migliore tradizione» che prescrive di essere forti coi deboli e deboli coi forti. «Non volercisi sottoporre non solo è legittimo – conclude Debora Billi – ma è anche un bel dispettuccio a tutti coloro che cercavano un’occasione per fingersi finalmente reporter d’assalto». Quelli veri – come Paolo Barnard – la televisione di Stato l’hanno dovuta salutare: persino un programma come “Report”, sotto la minaccia della Rai, non osò mandare in onda servizi imbarazzanti. Per non parlare dei celeberrimi epurati, accusati di “uso criminoso” del mezzo televisivo, a cominciare da Enzo Biagi. A Grillo non perdonarono le battute sui socialisti, che lo stesso Biagi definiva “i più svelti”. Ora, di fronte alle elezioni, i maggiori media hanno paura: forse, tivù e grandi giornali sentono il vuoto attorno, ben sapendo che alle loro spalle non c’è un solo editore puro, ma soltanto gruppi industriali e finanziari, monopolisti interessati della verità ufficiale.
Dal canto loro, i cosiddetti leader mostrano di non temere il ridicolo: Berlusconi pretende un duello televisivo con il solo Bersani, e forse lo si può capire. Non altrettanto il professor Monti: è un peso-piuma, sondaggi elettorali alla mano, eppure vorrebbe imporre un confronto a tre, con solo Berlusconi e Bersani, il quale ha buon gioco a ribellarsi: o tutti o nessuno, manda a dire, dopo aver fatto riapparire a Milano – dall’oltretomba dell’euro, nell’Italia in ginocchio – nientemeno che il fantasma di Romano Prodi, alle prese con penosi tentativi di ironia su Giaguari e “smacchiatori”. Un teatro sconcio e cadente, di rottami politici e narrazioni ridotte a stanche menzogne, dunque perfetto per invadere i media al posto di Beppe Grillo: lo sanno benissimo, i solerti cantori dell’establishment, che potrebbe avvicinarsi l’ora della verità, se un giullare come l’ex comico dovesse riuscire – senza il loro aiuto e, anzi, nonostante la loro strenua opposizione – a spedire a Roma una pattuglia di senatori e deputati con un mandato chiaro, «aprire il Parlamento come una scatola di sardine».