Sicilia, l’euro-zoo politico spaventato da Grillo e Berlusconi
Non ha votato nemmeno un siciliano su due. Questo il primo, grande verdetto delle regionali 2012, salutate dalla lotteria degli exit poll che regalano l’altra possibile notizia: Beppe Grillo che fa volare il suo “Movimento 5 Stelle”, beffando le ex “corazzate” del centrodestra e del centrosinistra, all’indomani della clamorosa sortita dell’anziano Berlusconi che sconfessa Monti, Napolitano e la pericolosa sudditanza rispetto alla Merkel e all’Europa non-democratica della Bce, con risultati pratici che gli italiani cominciano a toccare con mano. Recessione nera, aziende in rosso, credito bancario inaccessibile, posti di lavoro che saltano. E per le famiglie tasse e rincari, tagli sanguinosi ai servizi, ticket sanitari alle stelle. La spending review è cieca e falcia anche l’Italia che funziona. «E’ la crisi», si difende Monti, sorretto da Bersani, Casini e Fini, nonché – sin qui – dai parlamentari Pdl.
Vendola è a disagio, ma intanto corre – nelle primarie – coi sostenitori di Monti, incluso l’ultras neoliberista Renzi. E mentre Grillo – stando ai pronostici – spopola a Palermo, “La Repubblica” di Eugenio Scalfari ed Ezio Mauro richiama in servizio persino Piero Ottone per fischiare in anticipo l’eventuale ritorno del Caimano, che – va da sé – farebbe “impazzire i mercati” e tornerebbe a precipitare l’Italia sotto l’incubo immediato dello spread. Non una parola sulla fine della sovranità nazionale italiana e sulle cause dell’inaudita vulnerabilità che tutti giustamente temono: come se l’obiettivo del governo non fosse amministrare la democrazia, ma torturare i cittadini per placare i fantomatici “mercati”, cioè gli speculatori internazionali a cui è affidato il debito pubblico nazionale. Dall’epoca dello storico divorzio fra Tesoro e Banca d’Italia, osservano molti economisti indipendenti, il debito pubblico – cioè il “mestiere” dello Stato, l’unica vera leva fisiologica di cui un governo dispone per finanziare servizi, scuole e ospedali – è diventato la tragedia di oggi, aggravata dalla camicia di forza dell’euro: prima è stato “privatizzato” il debito, poi anche la moneta – ovvero lo strumento fondamentale dello Stato sovrano per garantire il benessere dei cittadini, in base alla Costituzione, gestendo ovviamente anche il deficit.
L’agenda politica nazionale si consuma sprecando un vocabolario che sarebbe comico se la situazione socio-economica non fosse così drammatica: sui giornali e in televisione, lo spettacolo quotidiano propone confronti-fantasma tra “moderati” e “riformisti”, terrorizzati da quella che chiamano “antipolitica” e, di recente, anche dallo spettro del “populismo”, destinato inevitabilmente a sfociare nell’“antieuropeismo”. Peccato che il popolo resti a casa – almeno un cittadino su due ben deciso a non votare – e che abbia perfettamente capito come giudicare l’attuale risultato del mitico europeismo celebrato in Italia dai Prodi, dai Padoa Schioppa, dai Ciampi. Un clan di potenti, anonimi e temibili: una élite che diffida della democrazia e, da Bruxelles, decide le sorti del resto del continente, cioè l’ex libera Europa ora degradata a semplice Eurozona, nella quale i governi – tranne quello inglese, non a caso – sono costretti a “comprare” dalla banca centrale la moneta corrente, indispensabile per finanziare i servizi per i cittadini.
Se il vecchio Berlusconi rimprovera ad Alfano di “non capire la pancia del paese”, l’avvertimento siciliano vale per tutti: mentre la “pancia” è soprattutto Beppe Grillo – che il malumore non l’ha solo intercettato, ma anche canalizzato in modo nonviolento verso una proposta politica di taglio territoriale, basata su buongoverno e trasparenza – le attuali convulsioni della decrepita offerta politica italiana non lasciano spazio, per il momento, ad alcuna riflessione davvero prospettica, con la sola eccezione di forze ancora isolate che contestano la legittimità democratica di Mario Monti e l’iniquità dell’esazione di massa del debito pubblico “drogato” dalla finanza e aggravato dall’euro, premesse nefaste per una politica antisociale che mina l’economia e terremota la società, demolendo tutte le certezze costruite dalla civiltà del welfare, protagonista – quella sì – di lunghi decenni di pace. Il Nobel invece l’hanno conferito a Bruxelles, l’oscuro Palazzo che detesta i referendum, ricatta i partner e invalida, di fatto, le elezioni libere, imponendo le sue condizioni neo-feudali senza la minima legittimazione democratica.
«E ora di dire la verità alla gente», ammette l’economia Giulio Sapelli su RaiDue: «Possiamo votare solo il Parlamento Europeo, che non ha nessun potere». Decide tutto la Commissione, dominata da poteri fortissimi: il Bilderberg, la Trilaterale, le grandi banche d’affari come la Goldman Sachs, entità “invisibili” e pressoché onnipotenti, anche se spaventate dal crollo dell’economia reale che minaccia di avviare l’Occidente verso un declino pieno di incognite. All’Eurozona, intanto, proprio quei super-poteri hanno imposto il Fiscal Compact, che in Italia si traduce in una maxi-stangata da 50 miliardi di euro all’anno. Significa, in concreto: la fine del nostro attuale tenore di vita. Un tunnel, in fondo al quale nessuno vede la luce. E mentre il bazar autistico della politica indugia ancora nella sua zoologia fantastica (moderati, riformisti) l’unico a salire al centro del ring mediatico per esprimere concetti comprensibili a chiunque e accusare pubblicamente i responsabili dell’euro-disastro non è Beppe Grillo né un giovane outsider, ma l’incredibile Silvio Berlusconi.