Venite a visitare il mare di gioia che non riuscite a vedere
E’ difficile raccontare il mare senza mai staccarsi da terra. Può succedere solo se il mare ce l’hai dentro di te, senza neppure saperlo: e allora i prati in fiore diventano fondali rigogliosi, i cieli scogliere ventose, i rami degli alberi trame intricate di corallo. E’ un mare di stagioni, quello dipinto dai ragazzi che dipingono sulla riva del grande fiume, proprio là dove il fiume si rassegna a salutare gli argini erbosi e ad entrare nella prigione di cemento della città. La città è Torino e la riva dei pittori coraggiosi, poeti del mare, si chiama Moncalieri: i ragazzi arrivano puntuali ogni mattina, si fanno compagnia, pranzano insieme. E poi, si mettono in ascolto: fanno silenzio, e lasciano scrosciare tutto il mare che hanno dentro. E’ un mare segreto, incontaminato. E loro lo dipingono, sfiorando un viaggio che i comuni mortali, semplificando, a volte chiamano con un nome misterioso: felicità.
Quelli che per secoli abbiamo comodamente definito “matti”, ha detto lo psichiatra Antonio Cañedo, sono soltanto bambini puri, incorrotti, che non sanno accettare le orrende regole del mondo, le rifiutano: possiamo dargli torto? Ti raccontano, semplicemente, il loro mare: e se lavori nei servizi sociali e il tuo mestiere consiste essenzialmente nell’ascolto, dice un altro psichiatra, Franco Geda, alla fine fai fatica a distinguere il confine fra te e loro, perché senti che la loro voce è sincera, onesta, completamente disarmata. Diciamo: vedono quello che non c’è. O magari: scorgono, in modo acuto e infallibile, quello che noi non siamo più capaci di vedere, da quando abbiamo smesso di essere innocenti. Per questo, come ha raccontato lo scrittore Nicolai Lilin, la credenza popolare siberiana li venerava chiamandoli “voluti da Dio”, attribuendo loro una particolare sensibilità veggente, segno di una predestinazione non causale: miti ambasciatori dell’invisibile.
Un altro scrittore, Claudio Ughetto, nel romanzo “Una falciola di terra” costruisce l’intera narrazione sul delirio di Potus, un alcolista terminale che – alla fine dei suoi giorni – evade con la fantasia dall’ospedale dov’è rinchiuso, scrivendo pagine ipnotiche e struggenti, profumate di libertà come le sterminate praterie del mare. Un incontro differito: nel suo mestiere di operatore sociale, proprio lì a Moncalieri, sulle rive del grande fiume di Torino, Claudio s’è messo in ascolto insieme ai suoi ragazzi, li ha presi per mano, li ha portati fuori a vedere il mare. O meglio: la campagna, i prati, i fiori, le stagioni, la musica lenta della terra e la sua luce cangiante. Poi, li ha forniti di pennelli, matite, pennarelli. E loro, pian piano, hanno cominciato a cantare: un canto antico, fatto di colori e forme che sono diventati prima abbozzi e poi quadri, ora raggruppati in grandi pannelli – suddivisi per stagioni – e visibili al pubblico grazie alla mostra organizzata dalla biblioteca comunale.
Ci sono voluti tre anni di lavoro per arrivare all’esposizione pubblica, battezzata “Raccontandoci”: un esperimento promosso dal direttore dell’area-handicap del centro socioassistenziale, il dottor Franco Corallini. Claudio Ughetto ha coordinato il progetto, supportato dall’équipe del “centro diurno” di Villa Franel, insieme a educatrici come Mariangela Ortolan, Angela Gontero, Cinzia Quarantotto, Ines Moreschi, nonché Cristina Pirano della cooperativa Valdocco di Torino e la studentessa Laleh Fatemi, tirocinante dell’associazione Art Therapy. Ma attenzione, nessuna terapia di tipo medico: «Nella sua etimologia greca – spiega Claudio – la parola “terapia” significa semplicemente “stare con”. Ed è esattamente quello che abbiamo fatto: siamo “stati con” Guido, Lucia, Rosaria, Paola, Alda, Giuseppe, Irene, Laura e gli altri ragazzi del centro, in tutto una ventina, ascoltandoli e cercando di trasformare, insieme a loro, le idee in immagini».
Il risultato è stupefacente: ci si può leggere il cromatismo plastico di Gauguin, la leggerezza sognante di Chagall, il leggendario fuoco lancinante di Van Gogh. Il tutto, pasticciando con tempere e gessi, tovaglioli e colla. E poi terre, foglie, cemento, stoffa, polveri e pigmenti. «I ragazzi con minori capacità – racconta Claudio – hanno soprattutto lavorato di sensazioni, realizzando gli sfondi con le dita, abbozzando il fogliame e gli eventi atmosferici, mentre altri si sono dedicati alla realizzazione dei particolari». Così sono nati i primi due album, presentati già nel 2010. L’anno seguente, il team ha lavorato su quattro grandi pannelli, uno per stagione: gli sfondi realizzati stratificando tovaglioli di carta colorata immersi nella colla, a cui si è aggiunto un uso sempre più abbondante di materiali solidi, come le spighe di grano. Esiti mozzafiato, al limite della grande pittura informale di artisti come Burri e Vedova.
Il metodo di lavoro si è via via evoluto: prima i ragazzi uscivano per scattare foto, le stampavano, le ricalcavano su lucidi e le rivedevano proiettate su lavagna luminosa, per cogliere le linee essenziali del paesaggio prima ancora di metter mano ai colori. Così sono “nate” le prime due stagioni, autunno e inverno. «In seguito – continua Claudio – abbiamo fatto a meno di proiettare e ricalcare, privilegiando l’improvvisazione». Gli “artisti dell’invisibile” hanno sempre operato in totale sinergia con gli operatori. Un’esperienza maieutica: «Abbiamo cercato di condurre il setting e di mantenere l’attenzione dei ragazzi sul processo, fungendo da tramite tra loro e l’opera, stimolandoli a dare forma alle “loro” stagioni». La risposta dei pittori-sperimentatori? «Ottima: sia dal punto di vista “cognitivo” che da quello emotivo. I ragazzi hanno sempre atteso con partecipazione i due appuntamenti settimanali con la creazione, e ognuno di loro è riuscito ad esprimere una parte di sé nelle immagini della stagione. Soprattutto la relazione tra di loro è stata buona: siamo passati dall’ansia di prestazione tipica delle attività artistiche al piacere di lavorare insieme».
Si tratta di ragazzi “poco percepiti”, relegati ai margini: se ne vedono quasi solo i limiti, si tende a sottovalutarne le capacità di archeologici del cuore, di sismografi del sentimento. Gli stessi genitori sono sbalorditi: non sapevano che tanta energia poetica potesse finire su carta. E ora, la mostra propone di condividere questa sensazionale scoperta con un pubblico più vasto. Davanti a quei pannelli, anche solo per un attimo, chiunque potrà rischiare un felice naufragio emotivo, in mezzo a tanta bellezza. E’ il segreto del mare: il mare insospettabile di Moncalieri. Una lezione: troppo spesso, l’handicap non trova il giusto spazio divulgativo: «Si resta convinti che “educare” significhi “insegnare la buona educazione”». Già, ma quale? «Gli adulti vogliono educare i giovani e chi vive in modo subalterno, ma sono i primi a non attenersi ad alcun precetto culturale educativo». Per Claudio, «educare è soprattutto relazione e confronto, sapere che le regole sono frutto del vivere insieme e del percepirsi reciprocamente: in “Raccontandoci”, personalmente, credo di avere imparato dai ragazzi più di quanto loro abbiano imparato da me».
(Giorgio Cattaneo, Libre).
La mostra “Raccontandoci – immagini in movimento”, organizzata dal consorzio Cissa di Moncalieri (Torino) è aperta dal 6 al 29 marzo 2012 alla biblioteca Arduino, grazie alla collaborazione del Comune di Moncalieri, della cooperativa Valdocco di Torino e dell’associazione Art Therapy Italiana.