Bin Laden, morte fantasma: «Quella foto è un falso»
Scritto il 02/5/11 • nella Categoria:
segnalazioni
Attenti: quella foto è un trucco realizzato con Photoshop. Lo scetticismo dilaga sul web, anche in Italia grazie a “PeaceReporter”: «L’immagine di Bin Laden morto è un banale fotomontaggio». Morte-fantasma, dopo una vita-fantasma? Peggio: il corpo del leader di Al Qaeda sarà (o è già stato) sepolto in mare. Lo “sceicco del terrore”, a suo tempo reclutato dalla Cia per combattere in Afghanistan contro i sovietici, rischia così di sparire dalla scena senza lasciare tracce. Alimentando nuovi sospetti, anche se difficilmente il decesso sarà smentito da un video: per gli Usa, dove le folle festeggiano in strada, sarebbe una catastrofe. Le domande però restano: Osama Bin Laden è davvero morto? Dov’è il suo corpo? E’ proprio autentica la foto presentata come quella del suo cadavere?
Vittorio Zucconi, su “Repubblica”, sposa la tesi annunciata da Obama a reti unificate: «Osama Bin Laden è morto, ucciso in un’operazione lampo delle forze speciali americane nel cuore di una città pakistana», Abbottabad, nel compound fortificato che aveva fatto costruire nel 2005 e da dove comunicava col resto del mondo «con “corrieri” che portavano i suoi “pizzini”, come un boss mafioso latitante, senza telefoni, televisioni, radio o internet». Osama è morto, ma non il terrorismo di cui ha rappresentato l’anima: «Ora la domanda diventa: come reagirà il mondo arabo e musulmano? E’ stato ucciso, ai loro occhi, un martire della fede o, come ai nostri occhi, un fanatico criminale? Ho il forte sospetto che il terrorismo non finirà con lui», chiosa Zucconi. «I suoi resti saranno mostrati al mondo, o il fatto che sia stato colpito alla testa nello scontro a fuoco, renderà impossibile farlo vedere? Quali esplosioni di dietrologia, o appelli alla vendetta, sgorgheranno da questa morte?».
Le prime conferme ai timori di Zucconi arrivano in queste ore dal Waziristan, l’area pachistana controllata da “clan tribali”: «Il comando di Al Qaeda sarà assegnato a un gruppo di nuovi leader che sono stati scelti ancor prima dell’uccisione di Osama Bin Laden». Lo scrive il quotidiano “Asia Times”, spiegando che diversi incontri si sarebbero svolti nella città di Mir Ali per formulare la nuova strategia del cartello terroristico. «Negli incontri è emersa l’intenzione di una immediata e dura rappresaglia contro il Pakistan e la fine del cessate il fuoco di fatto che vigeva finora con le forze armate del Paese». Dal Pakistan all’Afghanistan: dopo la morte di Osama Bin Laden è necessario porre fine «all’occupazione americana in Afghanistan, per non dare una motivazione al moltiplicarsi dell’idea della jihad e della lotta contro l’occupante», afferma uno dei portavoce dei Fratelli Musulmani, Ali Abdel Fatah, secondo il quale non c’è da cantar vittoria, perché «le idee non muoiono con le persone».
E mentre l’Occidente alza il livello di guardia ammettendo il rischio di clamorose rappresaglie terroristiche, continua il mistero sulla morte di Bin Laden: ucciso davvero in un conflitto a fuoco con forze speciali – che lo avevano localizzato già dall’agosto 2010 a 70 chilometri da Islamabad – o invece disintegrato da un missile? Questo renderebbe più plausibile la mancanza di foto del cadavere, se davvero quella mostrata risultasse non autentica. Ad accrescere i sospetti, il ventilato annuncio di «seppellire in mare» il corpo del fondatore di Al Qaeda, dato «il rifiuto di accoglierlo, sia da parte del Pakistan che da parte del paese d’origine, l’Arabia Saudita», per il timore di innescare un pericoloso pellegrinaggio funebre. Basterebbe «seppellirlo nella terra senza mettere nessuna indicazione sulla sua tomba», dice Mahmoud Ashour dall’accademia islamica di Al Azhar, il più prestigioso centro sunnita, secondo cui abbandonando un cadavere in mare «si commette peccato».
Per Guido Olimpio del “Corriere della Sera”, non è una sorpresa “scoprire” che Bin Laden si nascondesse in Pakistan. Tutti i principali esponenti di Al Qaeda catturati dopo l’11 settembre 2001 sono stati arrestati in località pachistane, città importanti come Karachi e Rawalpindi: i posti migliori per “fondersi” con l’ambiente e trovare eventuali appoggi in fazioni islamiste e in quegli ambienti pachistani – compresa una parte degli 007 – che hanno simpatizzato con l’azione di Osama. «Secondo la ricostruzione del presidente Obama, la Cia lo stava “filando” dal mese di agosto. E quando ha avuto la sicurezza di poterlo finire lo ha fatto, chiudendo la trappola nella cittadina di Abbottabad». L’operazione sarebbe stata affidata all’intelligence allo Joint Special Operations Command, il centro che coordina le unità speciali che affiancano gli 007 nelle missioni difficili.
«Non si trattava solo di scoprire il nascondiglio ma di catturare o uccidere Osama. Quindi impossessarsi del corpo per dimostrare che era quello del capo terrorista». Già, appunto: il corpo. Quello che potrebbe già esser stato fatto sparire per sempre, «in mare» o altrove, sempre ammesso – come suggeriscono i più scettici – che Bin Laden sia stato ucciso per davvero. Di tutte le opzioni, quella meno probabile (o meglio: impossibile) era che il terrorista più ricercato del mondo venisse semplicemente catturato: «Prenderlo vivo – ammette Olimpio – avrebbe avuto un altro impatto simbolico ma, nello stesso tempo, avrebbe creato problemi». Non si era sbagliato il segretario alla Giustizia americano, Eric Holder, quando annunciò: «È difficile che lo vedremo in un’aula di tribunale».
Le strane circostanze della morte di Bin Laden scatenano ora chi non ha mai creduto alla reale minaccia di Al Qaeda, sospettando una colossale montatura – da Bin Laden in giù – per organizzare una sorta di “strategia della tensione” a livello planetario, come pretesto per la militarizzazione delle aree strategiche del mondo. Dietro c’è sempre la mano della Cia, che in Afghanistan fu la prima a organizzare i “mujaheddin”, ai quali si aggregò lo sceicco saudita, creando il network di Al Qaeda, in una zona grigia a metà strada fra Talebani e servizi segreti, pachistani e occidentali. Sempre in Afghanistan, rivela Michel Chossudovsky, a metà degli anni ’90 lo stratega inglese Norman Benotman fondò il Gruppo Islamico Combattente Libico, creato a tavolino – reclutando combattenti anche afghani – per dare il vita ad un «ramo libico della rete di Al Qaeda» destinato a destabilizzare il regime di Gheddafi.
«Il vecchio “asset” dei creatori della Guerra Infinita è morto», scrive ora il direttore di “Megachip”, Pino Cabras. «La notizia dell’uccisione di Osama Bin Laden passa per il Pakistan, il Paese in cui c’è una tale compartecipazione tra servizi segreti e gruppi islamisti che la contiguità è così forte da rendere sempre difficile capire chi muove le proprie pedine». In un simile contesto, aggiunge Cabras, «ogni notizia diviene ambigua» e perfino ripetuta: «Quante volte in questi dieci anni dall’11 Settembre giungevano notizie dal Pakistan sulla morte del grande spauracchio e della sua improvvisa ricomparsa, in barba e turbante?». Idem in Iraq: Abu Omar al-Baghdadi, un altro inafferrabile superterrorista, «veniva ucciso e ricatturato per i media svariate volte».
Il sistema dell’oblio televisivo, scrive il direttore di “Megachip”, era sufficientemente rodato da consentire «la farsa» senza danno. «L’immagine attuale del cadavere sfregiato di Osama, oro colato per i media, richiederebbe invece analisi per verificarne l’attendibilità. “PeaceReporter” l’ha fatto, e ha scoperto subito che l’immagine è un grossolano fotomontaggio. Non sarà l’unica rivelazione su questa operazione, possiamo starne certi». Mentre ora esplode l’isteria nelle piazze americane in favore di Obama che accoppa Osama, continua Cabras, «preferiamo ricordare un concetto: “Al Qaeda è morta”, ormai da molti anni». Lo dice anche Alain Chouet, «l’uomo che ha plasmato l’antiterrorismo francese ai vertici dei servizi segreti di Parigi esattamente negli anni in cui Washington e Londra fabbricavano invece i miti e gli spettri che venivano periodicamente richiamati per giustificare la Guerra Infinita».
«Milioni di morti dopo», conclude Cabras, la macabra rappresentazione «sarà utilizzata per puntellare il traballante potere imperiale: il premio Nobel della pace viene acclamato come uno sceriffo texano, e i media non avranno l’imbarazzo di trasmettere funerali di bambini in Libia, morti sotto le bombe del Nobel, perché saranno oscurati dalla notizia del Male estirpato». E se ora non sopraggiungeranno prove certe, insieme a documentazioni fotografiche attendibili, la fine presunta di Osama Bin Laden sarà destinata a restare nella stessa zona grigia, inquinata dalla manipolazione, nella quale si è consumata la sua carriera di “pericolo pubblico”, a cominciare dalla vicenda – clamorosa e tutt’altro che chiarita – dall’attentato alle Torri Gemelle, l’inizio di tutto.
Articoli collegati
- Giallo Bin Laden, caccia alle streghe e «asini che volano»
- Bin Laden: niente foto, mistero anche sull'ultimo atto
- Foa: e ora addio per sempre alla verità sull'11 Settembre
- Chi era davvero il Frankenstein creato e allevato dalla Cia
- Giulietto Chiesa: la vera fine di Osama, morto da anni
- Obama: abbiamo scovato e giustiziato Bin Laden
- Terroristi islamici made in Usa: il nostro agente a Tripoli
- Giudice svizzero: dalla Cia l'atomica agli Stati-canaglia
- Scandalo Afghanistan, l'ombra della Cia sul terrorismo
- Droga, bugie e petrolio: il Vietnam afghano di Obama