Francia e Italia fanno sbandare la coalizione anti-Gheddafi
«Sono addolorato per Gheddafi», dice Berlusconi da Torino la sera del terzo giorno di “guerra umanitaria” in Libia, mentre il ministro Frattini gela l’attivismo bellico del collega La Russa, minacciosamente criticato da Bossi: l’Italia è pronta a revocare l’uso delle proprie basi se la Francia non si rassegna a sottostare al comando unificato della Nato. In mezzo al guado Barack Obama, mentre la Norvegia diserta dalla coalizione (troppo franco-inglese) e la Turchia, fino a ieri sulla linea tedesca dell’astensione, si esprime a favore della guida atlantica, che invece secondo i francesi spaventerebbe la Lega Araba già traballante nel suo appoggio. In quattro giorni, la coalizione anti-Gheddafi rischia la crisi. E il dittatore, riferiscono le agenzie, ne approfitta per massacrare Misurata.
La guida francese dell’intervento armato avrebbe oltrepassato il mandato Onu per la “no-fly zone”, colpendo ovunque le forze di Gheddafi e suscitando la reazione della Russia, con Putin che evoca le crociate e Medvedev che rilancia una proposta di mediazione, subito stoppata dai ribelli di Bengasi: «Con Gheddafi, dopo quello che ha fatto, non tratteremo mai». Nel frattempo, sotto la pressione della Lega Nord, il governo italiano frena: forse sperando proprio in una mediazione guidata da Mosca. «I nostri aerei non spareranno», dice Berlusconi, mentre in Sicilia i Tornado decollano carichi di missili e gli insorti anti-Gheddafi si battono disperatamente contro le truppe del dittatore, inferocito dai bombardamenti.
Non è un caso, ammette il 21 marzo a Rai Radio Due il generale Fabio Mini, che a spingere di più sulla guerra a Gheddafi sia la Francia, che rimase fuori dalla guerra in Iraq contro Saddam: «Purtroppo vale sempre la stessa legge: chi più distrugge, più affari farà nella ricostruzione». Massimo Cacciari, intervistato da Corradino Mineo su Rai News 24, è sgomento: mai vista una campagna bellica così improvvisata, con l’Europa ridotta a zero e priva dell’apporto fondamentale della Germania. Tuttavia, replica a distanza il dissidente libico Farid Adly a “L’Infedele” su La7, meglio la discutibile campagna “Osyssey Dawn” che i tagliagole del Colonnello: la novità è che, dopo 42 anni, il popolo libico è uscito dalla schiavitù del terrore. E si aspetta che l’Occidente lo aiuti, nonostante i trascorsi così ingombranti col regime di Tripoli.
Le parole “guerra” e “umanitaria” non possono essere mai declinabili insieme, tuona Gino Strada: secondo il medico fondatore di Emergency, siamo arrivati a questo anche in Libia perché gli Stati hanno fatto sempre e solo accordi di potere, scambiandosi petrolio e armi, senza mai uno straccio di cooperazione vera fra i popoli. Fa eco il professor Franco Cardini: «Sarebbe ora che i paesi membri dell’Unione Europea, dopo aver dato tante e tanto squallide prove di sé, cominciassero ad agire di comune accordo fra loro – e senza aspettare il placet americano o farsi travolgere dei fulmini di guerra degli emuli del Bonaparte – e a tracciare insieme un abbozzo di comune politica di difesa».
Ma il peggiore in campo, scrive Cardini su “Megachip”, resta purtroppo l’Italia: prima protagonista di una colonizzazione brutale, poi imbarazzante alleata, socia e fornitrice del dittatore. A crisi scoppiata, l’Italia prima si allinea con la coalizione anti-Gheddafi, e ora frena. «L’Italia – sostiene Cardini – avrebbe avuto tutti i titoli storici e geopolitici per avanzare una seria ed energica proposta mediatrice tra Gheddafi e gli insorti: avrebbe dovuto farlo energicamente e tempestivamente, e a tal fine avrebbe dovuto chiedere con forza un mandato internazionale. Ma, per fare cose come queste, ci vuole un governo. Non una “loggia coperta”, o un’organizzazione volta a organizzare profitti e festini, o un’organizzazione a delinquere».