Raid Nato in Libia per stroncare la resistenza di Gheddafi?
Scritto il 25/2/11 • nella Categoria:
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La Nato si prepara a intervenire in Libia per dare manforte ai ribelli anti-Gheddafi che stanno liberando il paese. Missione militare umanitaria: questa la formula dell’intervento armato che sembra si stia preparando in tutta fretta. Forse anche un raid aereo sui bunker di Tripoli per liquidare il Colonnello e stroncarne la sanguinosa resistenza a oltranza. La notizia trapela il 25 febbraio, di prima mattina: il segretario generale dell’Alleanza Altantica, Anders Fogh Rasmussen, ha convocato una riunione d’emergenza. In prima linea, inglesi e francesi: il premier britannico Cameron si è detto pronto anche all’impiego di forze speciali: per una possibile missione “chirurgica”?
In attesa che giungano le necessarie conferme, nell’inevitabile concitazione delle ore più tragiche della storia libica, l’Occidente sembra orientato a scendere in campo direttamente, per metter fine alla mattanza di civili e di ribelli disposta dal tiranno assediato, e per schierarsi nettamente dalla parte della “nuova Libia”, che ha preso le armi contro Gheddafi sfoderando le antiche bandiere monarchiche, senza però che sia finora emersa una leadership politica in grado di dire qualcosa di preciso sul possibile futuro di uno dei maggiori produttori mondiali di petrolio. Questo spiegherebbe la determinazione con cui – al di là della laconica prudenza delle dichiarazioni ufficiali – Barack Obama e i suoi alleati potrebbero “sbarcare” in Libia, magari sotto copertura Onu e col “pretesto giustificato” dell’assistenza umanitaria.
Decisivo, per l’evoluzione internazionale della crisi, il diario militare del 24 febbraio: l’esercito libico ribellatosi al dittatore – si racconta che solo 5.000 uomini su 45.000 sarebbero rimasti fedeli al raìs – ha resistito alle pesantissime controffensive scatenate su Misurata, una delle più importanti città costiere della Libia, e su Al-Zawiya, grosso centro ad appena 50 chilometri dalla capitale. Nonostante il massiccio impiego di mezzi aerei, i reparti dell’esercito regolare – che rispecchiano i delicati equilibri tribali su cui si regge il potere libico – avrebbero resistito al contrattacco. Le forze lealiste si sono rassegnate ad abbandonare ai ribelli le due città contese, e ora gli insorti si preparano a marciare su Tripoli per l’ultimo atto della tragedia.
Dal suo bunker, Gheddafi ha lanciato l’ultimo surreale appello alla concordia nazionale promettendo riforme e concessioni sociali ed economiche, mentre il figlio Saif – esponente “moderato” del regime morente – ha chiamato Tony Blair per una estrema mediazione. Tutto questo, mentre la Libia brucia: Gheddafi controllerebbe ormai soltanto due centri, la capitale e Sirte. Mentre la Cirenaica ribelle – da Tobruk a Bengasi – ha istituito organismi di autogoverno popolare, dilaga l’emergenza umanitaria: scarseggiano acqua, cibo e medicinali, gli ospedali traboccano di feriti. Impossibile un bilancio preciso delle vittime: almeno 10.000 morti secondo le reti satellitari arabe Al Jazeera e Al Arabiya, mentre secondo Angelo Del Boca, storico del colonialismo italiano in Libia ferocemente critico con la politica degli accordi stipulati col Colonnello, parla di un migliaio di caduti, «comunque un massacro».
Proprio l’entità della tragedia – con gli aeroporti ingolfati di migliaia di stranieri in preda al panico e la paura di un esodo via mare che potrebbe spingere 300.000 profughi verso le coste dell’Italia, che invoca invano l’assistenza dell’Unione Europea – sembra ora determinare la svolta, anche militare, da parte della Nato. L’Occidente prenota una nuova sessione straordinaria del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, per chiedere l’autorizzazione Onu per una missione basata sull’assistenza umanitaria per il rimpatrio degli stranieri e l’assistenza dei libici. Ma l’iniziativa è anche un atto di aperta ostilità nei confronti del regime di Gheddafi: dalle invocate “sanzioni sulle armi” all’istituzione di una “no fly zone”, come in Iraq, per impedire al Colonnello di impiegare aerei ed elicotteri contro i reparti militari schieratisi con gli insorti.
Secondo diverse fonti, la portaerei Enterprise sta facendo rotta verso la Libia: l’iniziativa militare potrebbe essere assunta da inglesi e francesi «nel giro di 48 ore», secondo esperti di strategia: tanto basterebbe alle forze Nato per organizzare quantomeno una interdizione decisiva, che consentirebbe alle colonne corazzate dell’esercito libico di marciare alla conquista di Tripoli senza temere attacchi aerei da parte dei miliziani del regime, che secondo diverse fonti hanno scatenato il terrore fra la popolazione della capitale. L’ingresso dei primi giornalisti anche italiani a Tripoli, dove un inviato del “Corriere della Sera” è stato brutalmente malmenato, aiuterà nelle prossime ore a dare una percezione più precisa della situazione.
Sgombrato comunque il campo dal fantasma del fondamentalismo, evocato sia da Gheddafi che da Berlusconi. In Cirenaica, la prima grande regione liberata, non c’è traccia di radicalismo islamico: i combattenti libici non sono collegati a organizzazioni estremistiche, tantomeno terroristiche: si tratta di soldati disertori, ma anche avvocati, insegnanti, medici. In 42 anni di dittatura, Gheddafi ha fatto il vuoto. Caduto il regime, l’unica struttura organizzata rimasta in Libia è quella tribale: sono stati i clan a decretare la fine del regime dando inizio alla rivolta, ed è proprio con i gruppi tribali che l’intelligence occidentale starebbe trattando le modalità dell’intervento armato con cui la Nato intende prenotare la sua “amicizia” con la Libia petrolifera del dopo-Gheddafi.
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