Si vota, ma solo per la Camera: elezioni ad personam?
Silvio Berlusconi come Matteo Renzi: i leader del centrosinistra, dice il premier, ripetendo una battuta del sindaco di Firenze, hanno un’età in cui i leader stranieri come Blair ormai scrivono le loro memorie: i nostri «professionisti della politica» possono aspirare a Palazzo Chigi «solo attraverso decisioni di palazzo, agendo come se la gente non esistesse», dice Berlusconi intervenendo alla convention “Dalla parte del Cavaliere”, in cui annuncia il suo piano: fiducia al Senato, ed eventuali elezioni solo per la Camera se il governo non dovesse reggere al voto dei deputati. Coro di fischi tra gli avversari, da Fini a Bersani: tocca al Quirinale decidere, quello del premier è «un escamotage preoccupante». Siamo arrivati alle “elezioni ad personam”?
Il Pd ricorda che anche Prodi nel 2008 venne sfiduciato da una sola Camera (il Senato, in quel caso), ma si sciolse comunque tutto il Parlamento. «Secondo me Berlusconi vuole andare al voto», sostiene Bossi, mentre Pd e Udc chiedono che la Finanziaria venga approvata in tempi rapidi dal Senato e i democratici avvertono che tocca al capo dello Stato decidere cosa fare, cioè quando aprire la crisi. Votare solo per un ramo del Parlamento? L’idea non ha precedenti ed è «decisamente lunare», scrive Marco Bracconi nel suo blog sul sito di “Repubblica”: «Il Cavaliere non fa altro che muoversi nel solco che il suo aratro ha ampiamente tracciato. Dopo le leggi ad personam, è dunque il momento delle elezioni ad personam. Che si facciano pure, ma solo dove lui parte – ed è comunque tutto da vedere – in vantaggio».
Berlusconi, aggiunge Bracconi, è il primo a sapere che difficilmente Napolitano scioglierà una sola Camera, e ormai ogni sua mossa «va letta nell’ottica propagandistica di chi vuole affrontare la sfida finale nei panni della vittima». Stretto nell’angolo, «cercherà ogni giorno e in ogni modo di confondere le acque, moltiplicando i “falsi” nemici per esorcizzare i tanti avversari veri». Dopo i giornali e la Rai, che Cicchitto accusa di «faziosità forsennata» riferendosi in particolare a “Vieni via con me”, la trasmissione di Fazio e Saviano con Fini e Bersani tra gli invitati, secondo Bracconi nella lista nera del premier figurano i “traditori” di Gianfranco Fini e domani magari anche il Quirinale, se si renderà «colpevole di non aver accolto i suoi desiderata». La vera battaglia che sta per cominciare, conclude Bracconi, «è tra un uomo disposto a tutto e le istituzioni democratiche. E il pareggio non è previsto».
Data la posta in gioco, non è neppure escluso – sulla carta – che Fini e Bersani possano addirittura decidere di “correre insieme”, in caso di elezioni anticipate. Lo ipotizza Carlo Bertini su “La Stampa”: premesso che si tratta di una soluzione «difficile», è lo stesso Bersani che «fa capire come in questa fase nella plancia di comando del Pd non si esclude nulla, neanche un’alleanza da Fini a Vendola, insomma con tutti quelli del nascituro Terzo Polo che non vogliono rischiare di veder tornare al governo Berlusconi e Bossi». Un’alleanza improbabile, “eretica” e non prevista, dato che lo stesso Casini «sembra intenzionato in caso di voto ad andare da solo dentro il terzo polo insieme a Fini».
La prima opzione sul campo resta quella di un governo di transizione, senza Pdl e Lega, che cambi la legge elettorale e vari due misure su fisco e occupazione, per poi tornare a votare. «Ma se le cose andassero diversamente – aggiunge Bertini – il Pd potrebbe uscire allo scoperto e caldeggiare quella “Santa alleanza” invisa a Veltroni ma evocata da Dario Franceschini». Un’alleanza con tutti dentro, da Fini a Vendola? «Beh sì, bisogna lanciare pure quei messaggi lì… Certo sarebbe difficile. Però attenzione, bisogna vedere cosa fa Berlusconi». Ovvero: «Bisogna pure valutare questa cosa», cioè il patto trasversale, se il premier «rilancia sui temi costituzionali», avverte Bersani. Se Berlusconi scatena «un clima da guerra civile in caso di governo tecnico», aggiunge un dirigente Pd, «diventerà più credibile un’alleanza di emergenza per evitare che lui vinca».
Idea “eretica” sulla quale, scrive sempre “La Stampa”, Bersani è tornato anche dall’assemblea romana di Pietralata: il segretario Pd punta su «un’alternativa basata sulle forze di centrosinistra che si prendono una responsabilità seria di governo». Un’alternativa «che si rivolge anche alle forze di opposizione che si dichiarano di centro», cioè il terzo polo di Fini, Casini e Rutelli. L’hanno capito pure i “compagni” della sezione di Pietralata, scrive Bertini: i militanti Pd non fanno tante distinzioni tra governo tecnico e alleanza elettorale. «Annamo con Fini? Ma vaffa…!», si fa scappare un’anziana comunista tra scoppi di risate, soffocate da un giovane compagno che le tappa la boccca con la mano prima che esca la parolaccia: «Stai bona, che famo diventà comunista pure lui!».