Fofi: anni ‘80, eclissi delle utopie e ferocia quotidiana
Ci sarà chi, come fecero Veltroni e Minà per gli anni sessanta, oserà provar nostalgia anche per gli anni ottanta? Tutto è possibile, dimostra un recente saggio di Emiliano Morreale sulla “fabbrica della nostalgia”. Un libro che tutti i lettori di questo giornale dovrebbero leggere, invece delle tante sciocchezze che il mercato editoriale produce per intrattenerci e distrarci, è l’agile sunto di storia italiana dal 1945 a oggi scritto da Guido Crainz per Donzelli, “Autobiografia di una Repubblica” ovvero “Le radici dell’Italia attuale”. Serve a capire chi siamo, e come è andata. A capire, anche, le responsabilità di tutti in questo declino (anche quelle del ’68, di cui Crainz evidenzia la novità ma anche i limiti e le mancanze). Il capitolo che dovrebbe farci pensare di più è appunto quello sui “lunghi anni ottanta”, perché essi sono stati gli anni della vera Grande Mutazione (certamente “globale”, non solo nazionale), ben maggiore di quella già travolgente degli anni del boom.
Un altro libro racconta quegli anni, mettendoli anzi al centro del suo interesse, “Riportando tutto a casa” di Nicola Lagioia (Einaudi). È un romanzo, un vero romanzo, e in esso Lagioia, che è oggi nei suoi trent’anni, racconta l’ingresso nella vita di tre adolescenti baresi dentro quel decennio. Lo fa da romanziere ma con forte e benvenuta coscienza storica, legando le vicende dei tre giovani a quelle delle loro famiglie e della loro città e della loro nazione, e al loro arricchimento, all’ambiguità di questo arricchimento dentro un contesto in cui hanno pari peso la “nuova economia” che in quel decennio si affermava nel mondo, e i rapporti, non poi così oscuri, con l’illecito. Mentre mai, dico mai, nelle vite credibilissime dei tanti personaggi del libro compare qualcosa che si possa dire «sinistra», e anche questo dice qualcosa.
Assente dal romanzo e dall’esperienza di questi credibilissimi giovani è, oltre alla sinistra, anche la chiesa. Non ci sono. E non contarono molto, evidentemente, di fronte a quel che accadeva, alla trasformazione rapidissima nei modi di vivere e di sentire provocati dal consumo, dalla “capacità d’acquisto”, dal denaro. Mettere a confronto la precisa ricostruzione “pubblica” di quel decennio italiano fatta da Crainz con la appassionata e dolente ricostruzione “privata” che ne fa Lagioia è estremamente istruttivo. Non mancano in Lagioia accenni ai modi in cui gli avvenimenti più vistosi del decennio, per esempio Chernobyl, furono vissuti da una “base” molto incosciente, e il quadro finisce sempre per tornare, ma il romanzo permette di vedere da vicino e da dentro le reazioni di adulti e giovani, mentre il saggio elenca, mette in rapporto, giudica. E arriva a conclusioni non meno sconsolate di quelle del romanzo.
Alla fine, il pugno di cenere – di chiasso e di solitudine, di drogato istupidimento degli uni o di furbesco conformismo degli altri – non riguarda più le generazioni, riguarda in tutti i due libri il Paese. Ma questo è il presente, il risultato, mentre è opportuno fermarsi proprio agli anni ottanta, su cosa sono stati e cosa hanno significato per tutti. Di fatto: la pacificazione sociale dopo gli anni dei movimenti e la loro deriva, negli anni di piombo, il trionfo della finanza e della new economy, del craxismo e della risposta speculare di Mani Pulite (segnali entrambi della fine della politica), e verso la fine del decennio, con la caduta dell’impero sovietico, l’unificazione del pianeta sotto un pensiero unico, il capitale, e padroni unici, gli avventurieri del denaro e i loro complici politici.
Di fatto: la sconfitta secca dei movimenti e delle utopie, la «fine della storia», la post-modernità, il dominio dei media favorito dalla diffusione della ricchezza e dalla fine di classi sociali fondamentali nei conflitti precedenti, la cetomedizzazione del proletariato e della borghesia, l’incanaglimento di tutti…
Con gli anni ottanta la “terza guerra mondiale” che ha sconvolto dal ’68 il pianeta, i movimenti e le rivoluzioni l’hanno perduta: una perdita secca e senza speranze. Ed ecco il ripiegamento nella “cultura del narcisismo”, il “pensiero debole”, il new age, e la chiacchiera che sostituisce il pensiero, l’esibizione che sostituisce la rivolta. Fino ai nostri anni, e più che alle passioni tristi, alla tristissime assenze di ogni passione non volgare. Resta ben poco, da cui ripartire, su cui ricostruire qualcosa di non fragile, che possa crescere…
Forse il miglior narratore italiano del nostro perverso presente è Walter Siti, ma c’è da essere grati a Lagioia per aiutarci a comprendere com’è cresciuta la sua generazione, quella che tra l’altro sta producendo i nuovi padroncini dell’economia della politica della cultura dopo la crisi (apparente?) della generazione degli arricchiti sul virtuale, e a Crainz per aver mostrato le radici del presente, per costringerci a pensare a tutti i nostri errori di tutti i nostri ieri.
(Goffredo Fofi, “I lunghi anni ottanta”, l’Unità, 18 ottobre 2009 – www.unita.it).