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Brandi: macché “nuovo” Draghi. Ci sta facendo a pezzi
Mario Draghi ha sempre fatto degli sfaceli: ha agito come un traditore della patria. Io non prendo nemmeno lontanamente in considerazione l’ipotesi di un Draghi che torna sui suoi passi; basta vedere qual è stata la sua azione nel momento in cui è arrivato a Palazzo Chigi. Aveva le mani legate? I partiti si sono stesi ai suoi piedi in maniera vergognosa. E i media lo hanno divinizzato, come già fecero con Monti. Un premier che anche solo accarezzi l’idea di cambiare, rispetto alla deriva neoliberista e anti-patriottica di Draghi, non avrebbe mai firmato una robaccia come il Pnrr. Non ci avrebbe mai legato a una robaccia come il Recovery Fund. Non avrebbe mai firmato il Trattato del Quirinale. Non avrebbe mai difeso il Green Pass (che, dati alla mano, sta distruggendo la nostra economia). Nell’azione di Draghi, purtroppo, io vedo un’enorme coerenza con quello che ha fatto, fino a questo momento.Che poi lui di notte sia tormentato dagli incubi, su quello che sta facendo, mi può interessare fino a un certo punto; io devo basarmi su quello che vedo. E quello che vedo è un premier che, ancora una volta, sta facendo quello che gli è riuscito meglio in tutta la vita, cioè: liquidare. E’ un liquidatore, ed è quello che sta accandendo. A seguito dell’azione di Draghi, la nostra economia (non che prima se la passasse meglio) ha subito l’ennesima mazzata: come certificato dai dati di Confcommercio, il Green Pass ha causato un crollo dei consumi interni: cosa che per un keynesiano sarebbe un problema immenso, perché un keynesiano punterebbe soprattutto sul mercato interno e al ritorno dello Stato come centro dell’economia, non come ente vessatorio e burocratico, pronto a imporre le tasse. Al contrario, un keynesiano dovrebbe concepire uno Stato che aiuta famiglie e imprese con la spesa pubblica: ma non è quello che abbiamo visto, in questi mesi.Anzi: abbiamo visto un ulteriore indebitamento di famiglie e imprese. E il Pnrr, che ci viene spacciato come piano nazionale di resilienza e ripresa (“per il culo”, io aggiungo), è un piano di smantellamento e di suicidio assistito per la nostra economia. Addirittura, ormai, lo dicono i grandi sovranisti del “Sole 24 Ore”, che qualche giorno fa si sono accorti che, dentro il Pnrr, ci sono delle clausole di ammodernamento e conversione “green” che saranno letali, per le nostre piccole e medie imprese (ma non lo saranno per il comparto industriale tedesco, che guardacaso è già pronto per questa conversione). Noi siamo il paese delle piccole e medie imprese: che non verranno aiutate, in questa conversione, perché devono essere distrutte (come direbbe Draghi, con la “creative destruction”). Nella visione che secondo me Draghi ha ancora, le piccole imprese devono essere spazzate via; sono le grandi imprese, che devono andare avanti, i grandi conglomerati industriali, le grandi multinazionali. Ma se tu fai fuori le piccole e medie imprese, tu distruggi il 95-97% del tessuto industriale italiano: tu fai fuori l’Italia.Stessa cosa per quanto riguarda il Recovery Fund. Non se ne può parlare come dei “soldi che ci dà l’Europa”: sono pochi soldi, a strozzo, in ritardo, a rate, legati a delle condizionalità suicide. Ne vogliamo citare una a caso? Dobbiamo mantenere un “avanzo primario” vergognoso, che poi peraltro abbiamo fatto per trent’anni: quindi lo Stato deve tassarci più di quanto spende per famiglie, pensioni e servizi. Non solo: anche nel Recovery ci sono delle clausole “green” che ci impediscono di fare determinate scelte. Non solo: c’è una conversione forzata verso il digitale e c’è la lotta al contante, verso cui io e tanti altri siamo contrarissimi, perché è una questione di controllo: se tutto passa attraverso il pagamento telematico, dall’altra parte basta un “click” e tu non ti muovi e non vivi più, se non hai più il denaro contante.Aggiungo che c’è un’accelerazione del processo di esproprio, da parte delle banche, degli immobili in mano a imprese che sono indebitate. Un indebitamento scellerato, aggravato negli ultimi due anni: prima il lockdown, poi il Green Pass. Immaginate cosa ci sta per cascare addosso. In più, aggiungo che Valdis Dombrovskis (commissario europeo per il commercio, ndr) ha detto chiaramente che tra un anno, un anno e mezzo, tornerà il maledetto Patto di Stabilità. E purtroppo, questa gente non scherza quasi mai, quando parla. L’Italia, ci dicono, è il primo “beneficiario” del Recovery Fund. Attenti: per metà sono soldi in prestito, che dobbiamo restituire; per l’altra metà sono soldi, tra virgolette, a fondo perduto, ma in realtà basati sul bilancio comune europeo: che ci vedrà solo leggermente come percettori netti. Infatti, sempre il “Sole 24 Ore” ha ammesso che finora siamo stati contributori netti: abbiamo dato più soldi di quelli che ci sono tornati indietro.Alla fine di tutto questo, quindi, noi ci ritroveremo più indebitati, dal punto di vista dello Stato e da quello delle famiglie e delle imprese. E tornerà il maledetto Patto di Stabilità, che la prima cosa che considera è il tuo debito pubblico. Se a questo aggiungiamo che il Pil non sarà cresciuto come ci dicono (perché la crescita del 6% dopo un crollo del 10% è ridicola, è il cosiddetto “rimbalzo del gatto morto”), la differenza tra debito e Pil – che è quella che ci interessa, e che deriva dai famigerati trattati europei, Maastricht in primis – sarà la prima ad essere vista, da coloro che non aspettano altro per dirci: visto? E’ aumentato il differenziale debito-Pil. E quindi: austerità. Perché quello che ci aspetta è questo, purtroppo. E’ un circolo vizioso. E quindi cosa avrebbe dovuto fare, Draghi, se davvero si fosse risvegliato con un afflato keynesiano o patriottico?Avrebbe dovuto mettere in discussione tutti i trattati europei. Non avrebbe mai dovuto implementare una robaccia come il Green Pass, perché era certo – da subito – che avrebbe distrutto l’economia italiana. E vedrete tra qualche mese, quando arriverà la stangata delle bollette, a causa del rincaro delle materie prime: altra cosa su cui Draghi non ha fatto niente. Lui ha grande voce, in Europa, e l’Unione Europea non ha fatto alcuna vera politica di strategia industriale: stiamo ancora dietro alle cavolate “gretine”, che non hanno nulla a che vedere con la tutela dell’ambiente (che invece è assolutamente nobile) e ci hanno esposto a una crisi di inflazione delle materie prime che si abbatterà, guardacaso, sui cittadini qualsiasi: su cui, però, non sta cadendo alcuna pioggia di miliardi. Ora, tutto questo non si sposa nemmeno lontanamente con la speranza che Draghi stia cambiando.Io vedo, purtroppo, un Draghi maledettamente coerente con le sue posizioni di sempre. L’aspetto legato alle logge massoniche? Non metto in dubbio che vi siano degli scontri, all’interno di queste logge, di questi gruppi sovranazionali che vanno al di là delle bandiere e dei grandi partiti. E’ un problema che ha questo periodo storico: pian piano, il potere viene spostato sempre di più verso il sovranazionale: per questo le democrazie sono esautorate del loro potere e della loro rappresentanza. Ma questo non toglie il fatto che quello che abbiamo visto finora, purtroppo, è un Draghi totalmente in linea con quello che abbiamo visto dal ‘92 in poi: un liquidatore al servizio dell’alta finanza. E alla fine del suo mandato (che terminerà chissà quando) noi ci ritroveremo con un’economia a pezzi, con piccole e medie imprese acquistate da grandi conglomerati stranieri. Ed è quello che Draghi fa: quello che ha fatto per tutta la vita.(Matteo Brandi, dichiarazioni rilasciate su YouTube nella trasmissione “Il Gladiatore”, di “Border Nights”, con Gioele Magaldi e Fabio Frabetti, il 3 febbraio 2022. Autore e blogger, brillante polemista, Brandi è l’animatore di un neonato soggetto politico, “Pro Italia”).Mario Draghi ha sempre fatto degli sfaceli: ha agito come un traditore della patria. Io non prendo nemmeno lontanamente in considerazione l’ipotesi di un Draghi che torna sui suoi passi; basta vedere qual è stata la sua azione nel momento in cui è arrivato a Palazzo Chigi. Aveva le mani legate? Ma dove? I partiti si sono stesi ai suoi piedi in maniera vergognosa. E i media lo hanno divinizzato, come già fecero con Monti. Un premier che anche solo accarezzi l’idea di cambiare, rispetto alla deriva neoliberista e anti-patriottica di Draghi, non avrebbe mai firmato una robaccia come il Pnrr. Non ci avrebbe mai legato a una robaccia come il Recovery Fund. Non avrebbe mai firmato il Trattato del Quirinale. Non avrebbe mai difeso il Green Pass (che, dati alla mano, sta distruggendo la nostra economia). Nell’azione di Draghi, purtroppo, io vedo un’enorme coerenza con quello che ha fatto, fino a questo momento.
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Bizzi e Martini: l’Italia è in trappola, come ne usciremo?
«A questo punto, considero realistico che si possa verificare lo scenario peggiore: e cioè che l’attuale “stato d’assedio” si protragga per il tutto il 2022, visto che l’élite di Davos punta essenzialmente sull’Europa, dove può contare su governi “amici” per condurre a termine i suoi piani». Previsione pessimistica firmata da Matt Martini, co-autore con Nicola Bizzi del bestseller “Operazione Corona”. Lo stesso Super Green Pass non lascerebbe molte speranze: «Andranno avanti per questa strada e per molti mesi: tutto sembra lasciarlo presagire». Nella trasmissione “L’Orizzonte degli Eventi”, condotta insieme a Tom Bosco e allo stesso Bizzi, Martini insiste: «E’ evidente che sono caduti dei diaframmi, che fino a ieri tenevano in piedi la possibilità di un progressivo abbandono della narrazione pandemica: qualcosa è cambiato, a quanto pare, vista l’improvvisa accelerazione degli eventi». Meno disperante l’analisi di Bizzi, secondo cui sarebbe ormai imminente l’approvazione, da parte dell’Ema, dei farmaci monoclonali: cosa che farebbe decadere l’attuale campagna “vaccinale”, basata su farmaci ancora formalmente “sperimentali” fino a tutto il 2023, quindi scartabili non appena emergesse un’alternativa terapeutica ufficiale.Beninteso, Bizzi non risparmia critiche feroci all’establishment nazionale. «Ai miei occhi – scandisce lo storico, editore di Aurora Boreale – lo Stato italiano ha perso ogni legittimità: è ormai in guerra contro una parte consistente dei propri cittadini, in spregio a qualsiasi diritto costituzionale, a qualsiasi legge, a qualsiasi normativa civile». Rincara la dose Bizzi: «Li considero criminali: chi segrega milioni di cittadini in maniera nazista, distopico-orwelliana, non merita più alcuna legittimazione». Un appello ai cittadini: «Quand’è che vi deciderete ad aprire gli occhi? Vi stanno prendendo il giro da due anni, ormai». Lo stesso Bizzi, all’inizio della scorsa primavera, aveva anticipato una previsione: in base a un accordo riservato, si sarebbe verificata una graduale de-escalation dell’emergenza a partire da metà aprile. Evento puntualmente confermato dagli allentamenti attuati a cominciare dalla Gran Bretagna. «Poi evidentemente l’accordo si è rotto, qualcuno non è stato ai patti». Possibile motivo? «Al terrore del Covid non sono riusciti a sostituire in modo altrettanto efficace l’altro terrore emergenziale, quello climatico».Per Bizzi, infatti, siamo ai “tempi supplementari” della narrazione-1. Ribadisce l’analista: tutto sarebbe dovuto finire il 31 dicembre 2021. «E il piano era stato svelato con largo anticipo agli ambienti della politica che conta, cioè ai segretari dei partiti». Insieme a loro, aggiunge Bizzi, erano stati informati «i dirigenti dei sindacati e i direttori dei grandi media, ma anche i responsabili delle grosse catene di supermercati, i dirigenti delle Poste, i vertici di Confindustria, Confcommercio e Confesercenti». Tutti “sapevano” che l’emergenza “pandemica” sarebbe stata sgonfiata, gradualmente, in questi mesi. «A loro, fin dall’inizio, avevano detto che tutta questa pagliacciata, in Italia, sarebbe dovuta finire entro il 2021. Già da settembre – avevano detto – le mascherine sarebbero state eliminate anche dai luoghi al chiuso, mentre la campagna “vaccinale” si sarebbe esaurita già entro il mese di agosto». Non è andata così, come s’è visto, se siamo davvero arrivati ai “tempi supplementari” della storia politico-mediatica inaugurata all’inizio del 2020 dal primissimo lockdown, quello di Wuhan.«Se siamo ancora nei guai – dice Bizzi – è perché non riescono a sostituire, in maniera soft, la narrazione-1 (il Covid) con la narrazione-2, cioè l’emergenza climatico-ambientale. E sono nel panico: perché c’è una buona metà del mondo che si sta rifiutando di innescare un’emergenza permanente motivata da ragioni climatico-ambientali». Verissimo: vi si oppongono larga parte degli Stati americani, senza contare grandi potenze come l’India, il Brasile e tanti altri player mondiali, inclusa la Russia. «I gestori dell’emergenza sono con le spalle al muro», aggiunge Bizzi: «Per quanto mi riguarda, hanno già perso. E infatti, per continuare la narrazione-1, hanno fatto pressioni stratosferiche per rimandare all’infinito – da settembre a ottobre, poi da ottobre a novembre, e oltre – l’uscita delle terapie basate sugli anticorpi monoclonali. Farmaci finora approvati solo dalla Gran Bretagna e dalla Svizzera, che però sono fuori dall’Ue». Ma attenzione: «Se un singolo paese dell’Unione Europea – uno solo – li approvasse, costringerebbe tutti i paesi Ue ad archiviare definitivamente la campagna sperimentale in corso», quella basata sui “non-vaccini” genici.«Lo sanno molto bene, ed è per questo che sono andati avanti con i “tempi supplementari”. Ma non potranno andare oltre l’inizio del 2022 – puntualizza sempre Bizzi – perché l’Ema ormai è prossima all’approvazione di quei farmaci, nell’area Ue. E Stati come la Germania e la Spagna (probabilmente anche la Polonia) sono in dirittura d’arrivo per l’approvazione. La stessa Francia, come anche la Germania, ne sta già acquistando enormi quantitativi». Per contro, Matt Martini si sforza di mettere a fuoco lo scenario peggiore: quello che, per ora, si sta manifestando in tutta la sua devastante virulenza. Sta infatti ripartendo – in quasi tutta l’Europa, in particolare l’Eurozona – il vecchio refrain del 2020 (quello dei lockdowm) con in più le imposizioni “vaccinali” cui viene condizionata la residua possibilità di circolazione delle persone. Esistono eccezioni importanti come la Spagna e la Danimarca, oltre alla Svezia, ma il trend sembra preoccupante: e allinea anche paesi come Israele e Sudafrica.Dell’Italia, sottoposta alla Premiata Macelleria Draghi, non è nemmeno il caso di parlare. «A proposito: se si fosse creduto convintamente nella possibilità del referendum per abrogare il Green Pass, per il quale andava presentato mezzo milione di firme entro il 30 ottobre, non credo che oggi ci ritroveremmo in una situazione così buia». Secondo Martini, «il governo non avrebbe osato premere sull’acceleratore». Se lo ha fatto – è la tesi – è anche perché non è stato fronteggiato, sul piano politico, da una massa visibile di cittadini. Cosa aspettarsi per l’immediato futuro? Niente di buono, purtroppo, secondo la previsione più pessimistica. «Come da copione, ora il mainstream racconta che le “varianti”, in sostanza, “bucano” i vaccini attualmente disponibili. Il primo a lasciar capire come sarebbe potuta andare a finire, questa storia, è stato Bill Gates: disse che, per chiudere il capitolo Covid, avremmo avuto bisogno di “vaccini di nuova generazione”. Non mi stupirei se fossero in arrivo: vorrebbe dire tornare al piano iniziale della gestione “pandemica”, quello che allarma chi teme che l’operazione comprenda anche il proposito di “depopolare” parte del pianeta».«A questo punto, considero realistico che si possa verificare lo scenario peggiore: e cioè che l’attuale “stato d’assedio” si protragga per tutto il 2022, visto che l’élite di Davos punta essenzialmente sull’Europa, dove può contare su governi “amici” per condurre a termine i suoi piani». Previsione pessimistica firmata da Matt Martini, co-autore con Nicola Bizzi del bestseller “Operazione Corona”. Lo stesso Super Green Pass non lascerebbe molte speranze: «Andranno avanti per questa strada e per molti mesi: tutto sembra lasciarlo presagire». Nella trasmissione “L’Orizzonte degli Eventi”, condotta insieme a Tom Bosco e allo stesso Bizzi, Martini insiste: «E’ evidente che sono caduti dei diaframmi, che fino a ieri tenevano in piedi la possibilità di un progressivo abbandono della narrazione pandemica: qualcosa è cambiato, a quanto pare, vista l’improvvisa accelerazione degli eventi». Meno disperante l’analisi di Bizzi, secondo cui sarebbe ormai imminente l’approvazione, da parte dell’Ema, dei farmaci monoclonali: cosa che farebbe decadere l’attuale campagna “vaccinale”, basata su farmaci ancora formalmente “sperimentali” fino a tutto il 2023, quindi scartabili non appena emergesse un’alternativa terapeutica ufficiale.
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Epidemia di paura: l’incapace Conte sta suicidando l’Italia
Giuseppe Conte ha deciso di suicidare l’Italia: dopo l’inutile lockdown di 80 giorni e le altrettanto inutili misure di distanziamento, il “coprifuoco” di novembre minaccia la sopravvivenza di almeno 270.000 aziende, che secondo Confcommercio non riapriranno più. La stessa Cgil teme la perdita secca di un milione di posti di lavoro, non appena sarà inevitabilmente rimosso il divieto di licenziamento. Si annuncia la fine del sistema-paese, ormai prossimo al collasso, a causa di una sconcertante epidemia di paura? Il terrore – unica risposta psicologica finora offerta, di fronte all’insidia di un virus influenzale – sta rischiando di mettere ko gli ospedali, presi d’assalto da persone risultate positive al tampone, pressoché asintomatiche ma spaventate a morte dalla disinformazione uffuciale di questi mesi. Scambiando i contagiati per malati, il governo giallorosso – con il contributo determinante e criminoso dei grandi media italiani – ha sostanzialmente organizzato il più grande disastro della storia nazionale, dalla fine della Seconda Guerra Mondiale: a radere al suolo l’Italia non è il coronaviurs, ma l’epidemia di paura diffusa da Conte e dai suoi tecnici, dal ministro Speranza, dal Comitato Tecnico-Scientifico, da virologi “televisivi” e in generale da tutti i supporter del governo sorretto da Pd e 5 Stelle, non contrastato dall’opposizione.Una follia collettiva, fotografata alla perfezione dalla corsa ai tamponi (come se poi non si potesse contrarre l’infezione un minuto dopo aver ottenuto l’esito negativo). Alcuni medici alzano la testa, e qualcuno riesce persino a perforare il muro del pensiero unico, palesemente farlocco, smerciato da giornali e televisioni. La realtà si sta facendo largo a spintoni, meglio tardi che mai: e urla che le misure di distanziamento non servono a fermare il contagio, ma solo a distruggere il paese, con il pretesto di un virus che non è l’Ebola o la peste nera, e per il quale ormai esistono diagnosi sicure e terapie affidabili per una ragionevole guarigione, al netto di una quota purtroppo non eliminabile di criticità (pazienti fragili, anziani e gravemente malati). Ora è ufficiale: ad ammazzare l’Italia non è coronaviurs, ma le pazzesche, inutili e disastrose misure adottate per tentare di fermarlo, anche scavalcando la Costituzione. E mentre una quota rilevante di italiani ancora non vede la verità dei fatti, lasciandosi spaventare dallo spettro del Covid, milioni di cittadini scorgono benissimo quello che sta succedendo: sono costretti a perdere il lavoro. Tutto questo ha un’unica conseguenza catastrofica: il crollo dell’economia, e quindi della società. Chi finora è rimasto a casa nell’illusione di scampare alla tempesta, magari perché pensionato o dipendente pubblico, fra qualche settimana sarà obbligato ad aprire gli occhi: sarà la realtà stessa a franargli addosso.I primi tumulti scoppiati in alcune città, come Napoli e Roma, sono solo l’antipasto di quello che potrebbe accadere nei prossimi giorni. A nessuno è sfuggito il fatto che Sergio Mattarella abbia convocato il Consiglio Supremo di Difesa il 27 ottobre, cioè all’esordio del “coprifuoco” autunnale disposto da Conte e alla vigilia delle presidenziali negli Stati Uniti, dove è in gioco probabilmente il nostro stesso destino, se è vero che Donald Trump rappresenta oggi in Occidente l’unico possibile antidoto alla micidiale “epidemia di paura” diffusa su scala mondiale. Per la prima volta nella storia, negli Usa si annunciano elezioni “militarizzate”, con la polizia che dichiara apertamente di temere lo scoppio di rivolte, già a urne aperte e poi soprattutto all’indomani del voto, nel caso in cui il verdetto popolare non dovesse essere accettato dallo sconfitto. Se esplodessero pericolosi disordini negli Stati Uniti, l’Europa e l’Italia ne verrebbero investite, in modo indiretto ma pesantissimo. Anche per questo, forse, il Quirinale decide di consultare proprio adesso anche i militari? Saranno valutate tutte le opzioni possibili? L’Italia avrebbe un disperato bisogno di fiducia, verso il ritorno alla normalità. Il governo invece ha deciso di spaventare, colpevolizzare ed esasperare la popolazione, votandola alla catastrofe socio-economica: una responsabilità che potrebbe consegnare Conte alla storia, come l’uomo capace di azzerare il paese, gettando milioni persone nella paura, nella fame e nel caos.Giuseppe Conte ha deciso di suicidare l’Italia: dopo l’inutile lockdown di 80 giorni e le altrettanto inutili misure di distanziamento, il “coprifuoco” di novembre minaccia la sopravvivenza di almeno 270.000 aziende, che secondo Confcommercio non riapriranno più. La stessa Cgil teme la perdita secca di un milione di posti di lavoro, non appena sarà inevitabilmente rimosso il divieto di licenziamento. Si annuncia la fine del sistema-paese, ormai prossimo al collasso, a causa di una sconcertante epidemia di paura? Il terrore – unica risposta psicologica finora offerta, di fronte all’insidia di un virus influenzale – sta rischiando di mettere ko gli ospedali, presi d’assalto da persone risultate positive al tampone, pressoché asintomatiche ma spaventate a morte dalla martellante disinformazione ufficiale di questi mesi. Scambiando i contagiati per malati, il governo giallorosso – con il contributo determinante e criminoso dei grandi media italiani – ha sostanzialmente organizzato il più grande disastro della storia nazionale, dalla fine della Seconda Guerra Mondiale: a radere al suolo l’Italia non è il coronaviurs, ma l’epidemia di paura diffusa da Conte e dai suoi tecnici, dal ministro Speranza, dal Comitato Tecnico-Scientifico, da virologi “televisivi” e in generale da tutti i supporter del governo sorretto da Pd e 5 Stelle, non contrastato dall’opposizione.
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A rischio 5 milioni di posti di lavoro, 4 mini-aziende su 10
«Sull’economia italiana si sta per abbattere uno tsunami di proporzioni non immaginabili», a causa della drammatica flessione del Pil in seguito al lockdown, evento non compensato da adeguati aiuti europei. Effetti: sono a rischio chiusura 4 piccole aziende su 10, con conseguenze devastanti sulla disoccupazione e quindi sulle entrate statali. Secondo “Proiezioni di Borsa”, newsmagazine finanziario, i segnali sono inequivocabili: «L’arrivo di uno tsunami si manifesta prima con delle onde anomale. Poi arriva l’onda enorme, che spazza e travolge tutto quello che trova sulla sua strada. E quando si ritira lascia solo danni e devastazione. E’ ciò che sta per accadere alla economia italiana». Lo conferma Carlo Sangalli, presidente della Confcommercio. Secondo l’ufficio studi dell’associazione nazionale commercianti, i consumi in Italia oggi sono ai livelli più bassi degli ultimi 25 anni. «Significa che oggi gli italiani spendono, in consumi di prodotti e servizi, come 25 anni fa». Sono indicativi alcuni dettagli: «Oggi gli italiani spendono più in alimentari che in servizi, fenomeno che non si verificava dal 2007. Inoltre si registra una forte contrazione degli acquisti per automobili, scarpe e vestiti».Il commercio e la domanda interna sono una parte rilevante del Pil italiano. «Una riduzione della domanda interna di beni e servizi – scrive “Proiezioni di Borsa” – può mandare in crisi decine di migliaia di attività commerciali e di piccole e piccolissime imprese. Una loro chiusura farà aumentare la disoccupazione in Italia». Il fenomeno per ora è attutito grazie alle misure-tampone del governo. Con il Decreto Agosto, l’esecutivo ha prolungato la cassa integrazione e i termini del divieto di licenziamento, anche se con dei “paletti”. «Ma cosa accadrà quando anche queste misure cadranno?». Secondo uno studio Istat, su aziende con almeno 3 dipendenti, sono a rischio chiusura il 40% delle microimprese, mentre potrebbe chiudere i battenti il 19% delle grandi imprese. «Nella ristorazione e nell’ambito dei servizi turistici, oltre 6 alberghi e ristoranti su 10 sono in pericolo chiusura». In termini occupazionali, per l’Istat sono in pericolo 3,6 milioni di posti di lavoro nelle imprese, a cui si aggiungono 800.000 addetti nella ristorazione e nell’accoglienza turistica. «A questi si sommano altri 700.000 addetti del settore dello sport, cultura e intrattenimento».Se facciamo la somma, conclude “Proiezioni di Borsa”, nei prossimi mesi circa 5 milioni di persone rischiano di perdere il lavoro. «Non è uno tsunami, è una ecatombe. Se anche solo la metà di questi lavoratori perdesse il posto, per l’economia nazionale sarebbe un colpo terribile». E attenzione, stiamo parlando di una indagine su aziende con almeno 3 dipendenti. E le partite Iva? E le aziende familiari con due componenti? Sempre secondo l’Istat, a giugno il tasso di disoccupazione in Italia è salito all’8,8% (ad aprile il dato era al 6,3%). Drammatico il dato per i giovani, il cui tasso di disoccupazione a giugno è al 27,6% contro poco più del 20% di aprile. «Ma il dato più indicativo, e se volete drammatico, è il forte aumento delle persone in cerca di lavoro, pari al 7,9%. Rispetto a maggio 2020, a giugno quasi 150.000 persone si sono messe in cerca di occupazione». Attezione: «Meno occupazione significa meno reddito, quindi meno domanda da consumi, quindi meno produzione, quindi meno lavoro. Andiamo verso un periodo in cui ci sarà un incremento della disoccupazione che non si vede come possa essere riassorbita».Un’azienda che chiude non porta danni solo per l’economia, ma anche allo Stato (meno entrate fiscali). E per ogni azienda che rimane in piedi, ma vede ridursi il suo giro d’affari, le entrate tributarie si riducono. Se per quest’anno Bankitalia prevede un calo del Pil tra il 9,2% al 13,1%, significa che le entrate tributarie diminuiranno del 10% circa. «Infatti, nel periodo gennaio-maggio 2020 lo Stato ha accusato mancate entrate per 15 miliardi (dati del Mef). In percentuale è una cifra pari al 9,3% in meno rispetto allo stesso periodo del 2019». Per i prossimi mesi e per buona parte del prossimo anno, continua “Proiezioni di Borsa”, lo Stato incasserà meno tasse ma dovrà fronteggiare maggiori spese: dovrà fare fronte a tutte le misure di sostegno varate a deficit con i 4 decreti, cui si aggiunge l’indennità di disoccupazione (Naspi) che inevitabilmente lieviterà, senza contare le spese ordinarie per mandare avanti la macchina statale. «Ma supponiamo che i costi sociali, previdenziali, sanitari, non aumentassero e rimanessero uguali. Comunque lo Stato avrebbe a disposizione decine di miliardi in meno per fare fronte alle spese fisse della macchina statale. Come vi farà fronte?».«Sull’economia italiana si sta per abbattere uno tsunami di proporzioni non immaginabili», a causa della drammatica flessione del Pil in seguito al lockdown, evento non compensato da adeguati aiuti europei. Effetti: sono a rischio chiusura 4 piccole aziende su 10, con conseguenze devastanti sulla disoccupazione e quindi sulle entrate statali. Secondo “Proiezioni di Borsa“, newsmagazine finanziario, i segnali sono inequivocabili: «L’arrivo di uno tsunami si manifesta prima con delle onde anomale. Poi arriva l’onda enorme, che spazza e travolge tutto quello che trova sulla sua strada. E quando si ritira lascia solo danni e devastazione. E’ ciò che sta per accadere alla economia italiana». Lo conferma Carlo Sangalli, presidente della Confcommercio. Secondo l’ufficio studi dell’associazione nazionale commercianti, i consumi in Italia oggi sono ai livelli più bassi degli ultimi 25 anni. «Significa che oggi gli italiani spendono, in consumi di prodotti e servizi, come 25 anni fa». Sono indicativi alcuni dettagli: «Oggi gli italiani spendono più in alimentari che in servizi, fenomeno che non si verificava dal 2007. Inoltre si registra una forte contrazione degli acquisti per automobili, scarpe e vestiti».
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Altro che Torino-Lione, c’è da salvare un’Italia a pezzi
Quando un viadotto autostradale si sbriciola in un secondo seppellendo morti e feriti, tutte le parole sono inutili. Ma quelle di chi incolpa la pioggia, il fulmine, il cedimento strutturale, la tragica fatalità imprevedibile, il destino più cinico e più baro della “costante manutenzione”, sono offensive. Se l’ennesima catastrofe da cemento disarmato si potesse prevedere, lo accerteranno i tecnici e i giudici. Ma che si potesse prevenire già lo sappiamo, visto che il ponte Morandi aveva due gemelli italiani, di cui uno già a pezzi e l’altro in manutenzione: per tenere sotto osservazione il terzo non occorreva uno scienziato, bastava il proverbio “non c’è il 2 senza il 3”. Se “il monitoraggio era costante”, allora faceva schifo. Se non c’erano “avvisaglie”, è perché non erano state rilevate. Ora, come dopo ogni terremoto o alluvione di media entità e di enorme tragicità, rieccoci a far la conta dei morti e dei danni, mentre le “autorità” giocano allo scaricabarile. E i palazzinari e i macroeconomisti si fregano le mani per gli affari e gli effetti sul Pil della ricostruzione.Se il “governo del cambiamento” vuole cambiare qualcosa, deve partire proprio di qui. Cioè da zero. Con scelte di drastica discontinuità col passato: rivedere le concessioni ai privati che lucrano sui continui aumenti delle tariffe in cambio di manutenzioni finte o deficitarie; e annullare le grandi opere inutili, dal Tav Torino-Lione in giù, per dirottare le enormi risorse (anche ridiscutendone la destinazione con l’Ue) su piccole e medie opere di manutenzione, prevenzione e ammodernamento delle infrastrutture esistenti (finora ignorate perché la grandezza dei lavori e delle spese è direttamente proporzionale a quella delle mazzette). Da quando i partiti che hanno sgovernato finora hanno perso le elezioni e il potere, non fanno che esortare i successori a non disperdere il grande patrimonio ereditato. Invece proprio questo un “governo del cambiamento” deve fare: buttare a mare la pseudocultura dello “sviluppo” gigantista e della “crescita” faraonica; e invertire la scala dei valori e delle priorità.Il crollo di ieri ci dice che un ponte pericolante, figlio di un sistema marcio e corrotto, fa più danni di tutti i terroristi islamici, i migranti clandestini, le epidemie di morbillo e le altre “emergenze” farlocche o gonfiate che occupano l’agenda industrial-politico-mediatica. Se vuole cambiare seriamente, il governo si occupi di cose serie con politiche serie. Confindustria, Confcommercio, Confquesta, Confquellaltra e i loro giornaloni si metteranno a strillare? Buon segno: è a furia di dar retta a lorsignori che siamo finiti tutti sotto quel ponte.(Marco Travaglio, estratto dall’editoriale “Sotto i ponti” pubblicato dal “Fatto Quotidiano” il 15 agosto 2018 e ripreso da “Il Bene Comune Newsletter”).Quando un viadotto autostradale si sbriciola in un secondo seppellendo morti e feriti, tutte le parole sono inutili. Ma quelle di chi incolpa la pioggia, il fulmine, il cedimento strutturale, la tragica fatalità imprevedibile, il destino più cinico e più baro della “costante manutenzione”, sono offensive. Se l’ennesima catastrofe da cemento disarmato si potesse prevedere, lo accerteranno i tecnici e i giudici. Ma che si potesse prevenire già lo sappiamo, visto che il ponte Morandi aveva due gemelli italiani, di cui uno già a pezzi e l’altro in manutenzione: per tenere sotto osservazione il terzo non occorreva uno scienziato, bastava il proverbio “non c’è il 2 senza il 3”. Se “il monitoraggio era costante”, allora faceva schifo. Se non c’erano “avvisaglie”, è perché non erano state rilevate. Ora, come dopo ogni terremoto o alluvione di media entità e di enorme tragicità, rieccoci a far la conta dei morti e dei danni, mentre le “autorità” giocano allo scaricabarile. E i palazzinari e i macroeconomisti si fregano le mani per gli affari e gli effetti sul Pil della ricostruzione.
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Kultura italiana in Italia, benvenuti nel chiasso del nulla
Kultura italiana in Italia = ultimo modello di smartphpone; ultimo modello di tablet; ultimo modello di app; ultimo modello di televisore; ultimo modello di auto; lavare l’auto col detersivo nel cortile di casa; squadra di calcio, comprensiva di allenatore, presidente e bilancio; Tg1; Tg5; la cronaca nera; Renzusconi; il Bunga Bunga; l’evasione fiscale; le escort; le veline; la moglie trofeo; la fidanzata trofeo; l’accompagnatrice trofeo; la segretaria trofeo; la presentatrice trofeo; le ministre trofeo; Maria De Filippi; Antonella Clerici; Carlo Conti; il film di Natale; il Papa santo; il presidente della Repubblica santo; tutti i santi metropolitani e regionali; la messa della domenica mattina; le bestemmie; il presidente del Consiglio cantastorie; Matteo Salvini; le brave persone che seguono Matteo Salvini; il famoso presentatore televisivo scrittore; il famoso politico scrittore; il famoso attore scrittore; il famoso calciatore scrittore; il famoso cuoco scrittore; il famoso giornalista scrittore; il famoso scrittore scrittore;Dolce & Gabbana; la parrucchiera; l’estetista; fare footing parlando al alta voce; i Tq; il festival di Sanremo; Sky; i giochi on-line; i telequiz; Luciano Ligabue; Laura Pausini; Andrea Bocelli; Giovanni Allevi; Fabio Volo; Il Volo; l’aperitivo; tutto ciò che è mangereccio, preferibilmente a base di salumi, vino bianco e fritti; Carlo Cracco; il nouveau ragu à l’italienne: col cioccolato, il cotechino fritto nell’Amaretto di Saronno, la marmellata fritta nello strutto, la salsiccia fritta nel miele, l’aglio fritto nel patchouli; la Confindustria; la Confcommercio; la Confagricoltura; l’Asppi; l’Uppi; l’Abi; la Confapi; gli affitti in nero; il lavoro nero; il commercio in nero; la Mafia; i tatuaggi; i telefilm americani; i film americani; gli attori americani; i cantanti americani; gli atleti americani; i poliziotti americani; i soldati americani; i serial killer americani; gli adolescenti americani; i wasp americani; i negri americani;i bambini canterini in televisione; i bambini in pubblicità; i bambini nei telefilm; i bambini nella fame nel mondo; i pianti in televisione; gli abbandoni in televisione; le confessioni in televisione; gli amori in televisione; i giuramenti in televisione; i contratti in televisione; gli insulti in televisione; gli insulti alle donne; gli insulti; i gesti osceni mentre si guida l’auto; la polizia; i carabinieri; i due marò; parcheggiare sulle strisce pedonali; parcheggiare sul marciapiede; parcheggiare sulla pista ciclabile; andare con la moto sulla pista ciclabile; andare con la moto nel parco pubblico; gli abusi edilizi; gli abusi finanziari; le discariche abusive di rifiuti; i condoni; le deroghe; l’emergenza; la crisi; la crescita; che cazzo menefregaammé; la Spending Review.Kultura italiana in Italia 2 = gli annunci patacca. E’ costume consolidato da parte dei centri di potere lanciare annunci forti, spettacolari, e reiterarli per un tempo sufficiente a farli entrare a forza nell’Archetipo dell’inconscio collettivo. In questo, il “Presidente del Consiglio” attuale è un maestro assoluto, e ha fatto scuola. Gli annunci vanno ripetuti, con scansioni variabili a seconda delle dinamiche (variabili) a cui si riferiscono. Se sono diretti, cioè recitati dal “ministro” di turno, o addirittura dal “Presidente del Consiglio” in persona, vanno accompagnati da una mimica al contempo rassicurante e autorevole, di chi non è sfiorato dal dubbio, e deve sottendere un agire positivo, “giovane”, energico, e soprattutto liberista, che è una delle grandi passioni della kultura italiana in Italia.Uno degli ultimi, e uno dei più patacca di tutti i pataccari, è stato quello secondo il quale le variazioni catastali conseguenti a interventi edilizi di unità immobiliari siano “tempestivamente inoltrate” direttamente dai comuni all’Agenzia del Territorio (cioè il Catasto), con la fine lavori della pratica edilizia. E’ uno degli articoli del cosiddetto Decreto Sblocca Italia (133/2014), sul quale il “governo” ha puntato molte carte mediatiche: “semplificazione”, lotta alla burocrazia, il fare, il non pagare ecc. Così, i Comuni sono stati inondati da tecnici e da cittadini che chiedevano l’applicazione di questa norma. L’avevano sentito e visto in Tv e in radio, santo cielo! Non si paga, ed è tutto più semplice! “Ci pensa il Comune”. E’ stata una bufala, una norma inapplicabile e inapplicata. A parte problemi molto seri di personale, che i Comuni scontano in seguito ai tagli delle risorse, tra i due enti non esiste un linguaggio informatico condivisibile: l’Agenzia del Territorio usa una piattaforma e una banca dati indisponibili ai comuni. E’ un linguaggio che va costruito, con un grande investimento di tempo e di denaro. Ma cosa interessa ai professionisti degli annunci?Nulla! L’importante è sostituire la realtà con l’annuncio, nutrire certi rancori della popolazione, reiterarlo fino a che è possibile, poi abbandonarlo e sostituirlo con un altro, altrettanto “forte”, enfatico, “giovane” e positivo. Funziona. Il cittadino si accorge che quello precedente si è rivelato una patacca, ma c’è già quello nuovo a riempire gli spazi, a stimolare aspettative. Così lo dimentica presto, mentre resta quel brivido liberista, come traccia, come “segno mondano”, come l’avrebbe definito Deleuze, il segno del vuoto, del nulla, dell’ingannevole, dell’effimero, il segno che passa e va, mentre quello nuovo si fa strada e genera altro vuoto, altri inganni. Così si tira avanti con questa straordinaria complicità tra ingannatori e ingannati, che si basa sul complesso e al tempo stesso primordiale sistema dei segni mondani, il codice non tanto segreto che costituisce il vero, solido e palpitante organo vitale della kultura italiana in Italia.(Mauro Baldrati, “Kultura italian in Italia”, da “Carmilla online” del 21 maggio 2015).Kultura italiana in Italia = ultimo modello di smartphpone; ultimo modello di tablet; ultimo modello di app; ultimo modello di televisore; ultimo modello di auto; lavare l’auto col detersivo nel cortile di casa; squadra di calcio, comprensiva di allenatore, presidente e bilancio; Tg1; Tg5; la cronaca nera; Renzusconi; il Bunga Bunga; l’evasione fiscale; le escort; le veline; la moglie trofeo; la fidanzata trofeo; l’accompagnatrice trofeo; la segretaria trofeo; la presentatrice trofeo; le ministre trofeo; Maria De Filippi; Antonella Clerici; Carlo Conti; il film di Natale; il Papa santo; il presidente della Repubblica santo; tutti i santi metropolitani e regionali; la messa della domenica mattina; le bestemmie; il presidente del Consiglio cantastorie; Matteo Salvini; le brave persone che seguono Matteo Salvini; il famoso presentatore televisivo scrittore; il famoso politico scrittore; il famoso attore scrittore; il famoso calciatore scrittore; il famoso cuoco scrittore; il famoso giornalista scrittore; il famoso scrittore scrittore;
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Quella serenità di trent’anni fa, quando non c’era paura
Fa un certo effetto pensare a 30 anni addietro. Perché di 30 addietro ho memoria storica personale e ricordi vividi. Quando leggo di serie storiche, di anni Cinquanta e Sessanta, posso solo studiarne i dati e immaginare. Ma il comunicato di Confcommercio della settimana scorsa non lascia scampo: «I redditi delle famiglie sono tornati indietro di 30 anni». Io quei tempi me li ricordo. Io c’ero. I redditi di mio padre e di mia madre me li ricordo eccome. E mi ricordo come vivevamo proprio dal punto di vista economico. Giornalista mio padre, impiegata mia madre, io decenne e mio fratello poco più piccolo in casa e altri due figli di una vita precedente di mio padre che però non vivevano con noi. Il reddito di allora. Il reddito dei miei. Il nostro “tenore di vita” (economico) e quello etico e morale. E me: cosa facevo? Cosa consumavo? Cosa mi mancava? Impossibile non fare confronti con oggi. Oggi che siamo quarantenni noi come allora lo erano i nostri genitori.Oggi, quasi all’indomani dell’apertura della scatola nera dei ricordi e degli oggetti svuotati dalla casa avita ormai disabitata per la morte dei miei e per la necessità ereditaria di doverla vendere. Giravano solo cari fantasmi ormai in quelle stanze e in quei corridoi, in quei disimpegni spariti dalle case moderne eppure così utili, così intimi, così indispensabili, così importanti. Fantasmi dei miei genitori e di me e mio fratello piccoli, di mia nonna, del nostro cane. E quei ricordi di come vivevamo allora di cui quasi sento ancora gli odori, i rumori, i ritmi e le consuetudini. Con il reddito dei miei di allora avevamo un appartamento a Roma, in un quartiere ancora vivibile, dove i negozianti ci conoscevano ad uno ad uno. Dove andavo “da Remo” ogni pomeriggio, tornando da scuola da solo, e prendevo un pezzo di pizza che poi mia madre passava a pagare. Dove ci portavano ancora il vino a casa con le damigiane e dove Taraddei, il pizzicarolo dietro l’angolo, un giorno mi accompagnò sin dietro la porta di casa, sul pianerottolo, per riconsegnarmi a mia madre dopo che mi ero acceso come un fiammifero strusciando sull’asfalto in seguito a una curva ardita sulla mia bicicletta rossa.Ora i palazzi di quel quartiere hanno appartamenti con dei confortevoli affacci vista traffico, smog e rumore h24. Roba da cui scappare, dunque. Ma allora era diverso. Torniamo ai consumi e imponiamoci di non divagare oltre. Una famiglia, dunque, un appartamento al quale poi si sarebbe aggiunto un piccolo villino fuori Roma, sul Lago di Bracciano per trascorrervi i mesi estivi – i mesi estivi, non i quindici giorni comandati di oggi – una Renault 4 bianca che ho detestato fino al compimento dei 18 anni e poi invece adorata per tanti motivi… Ma soprattutto una cosa: la certezza, nei miei genitori e dunque fatalmente trasferita inconsciamente anche a noi figli, di una vita serena. Limitata all’interno del possibile e dell’impossibile di quella condizione di allora, ma senza alcuna paura di precipitare. I nostri genitori allora riuscivano anche a risparmiare. Io allora e negli anni seguenti, e almeno sino ai vent’anni, non ho mai sentito la pesantezza di qualche mancanza grave. Poi il consumo della società prese a salire vertiginosamente. Per quasi tutti. E chi non si adeguava, in qualche modo, si sentiva automaticamente lasciato indietro. E dunque qualche azzardo personale, a rate. E dunque qualche preoccupazione. Qualche capitombolo. Qualche notte non proprio serena.Per tornare a quello stato di serenità provato anni prima, di consapevolezza di non aver bisogno d’altro, di non sentirne proprio l’esigenza, e dopo essere passati per le forche caudine degli orribili anni Ottanta e Novanta, quelli del consumo folle, c’è voluto almeno un altro decennio e qualche migliaio di libri letti. Una crisi economica colta e aspettata sin da prima che iniziasse sul serio e la volontà di abbracciare la decrescita fatale che ne è scaturita con la consapevolezza della maturità raggiunta, delle convinzioni acquisite. Un processo lungo, dunque. E in continuo aggiornamento. A ogni rinuncia, a ogni step di decrescita, un ulteriore passo verso la serenità. Ma che fatica, soprattutto all’inizio. Fatica del cambiamento. Malgrado aver interiorizzato il tutto, la trasformazione ha richiesto – e richiede – impegno. Una lotta senza quartiere contro le abitudini incrostateci addosso.Voglio dire: in realtà oggi abbiamo infinitamente meno di allora, di 30 anni fa. Non di oggetti, naturalmente, di cui siamo pieni. Ma di speranze per il futuro.La privazione di allora era per qualche capriccio che non potevamo permetterci – e che a casa mia ci negavamo sino al momento in cui non vi fossero effettivamente stati i denari necessari per eventualmente acquistarlo. La privazione di oggi è in quella serenità che ci è stata sottratta. Allora dovevamo combattere per convincerci a rinunciare a qualche cosa, e magari risparmiare per continuare ad avere quella certezza di riuscire a vivere senza affanni all’interno di quei limiti ben precisi. Oggi si deve lavorare su se stessi per attraversare il guado che la nostra generazione ha davanti, dal mondo come era indirizzato negli ultimi vent’anni a quello che sarà. Per sopportare queste incertezze che abbiamo davanti. Insomma: con il reddito di allora ho la netta sensazione si vivesse meglio, nel senso più ampio della parola, rispetto a come si viveva con il reddito di una decina d’anni fa, nel periodo pre-crisi, per intenderci.Certo oggi, con un reddito come quello di trenta anni addietro, si vive molto peggio, perché ciò che allora era assicurato, con quel reddito, è ora invece avvicinabile solo con affanno, visto che i servizi dello Stato sono meno e i beni primari costano molto di più. Ma è negli anni prima del 2008 che si è compiuto il dramma. Perché in quella moltiplicazione di beni e servizi in vendita in comode rate è cambiata la nostra capacità di resilienza alla vita. È cambiata la nostra capacità di capire cosa serve e cosa no, cosa è più importante e cosa lo è meno. La sfida personale di oggi – oltre alle battaglie che è necessario combattere contro i titani della finanza e della speculazione – risiede dunque nel ritrovare gli equilibri interni che ci consentano di riprendere contatto con la realtà di cosa ci serve sul serio. Di ciò di cui possiamo fare tranquillamente – tranquillamente! – a meno, e che dunque non vale un solo minuto della nostra serenità perduta onde poterlo raggiungere. E di ciò che invece, certo, ci è sul serio indispensabile.Ma per trovare quella serenità interiore di trenta anni addietro serve un lavoro mostruoso su se stessi, che è possibile iniziare, peraltro, solo dopo il momento in cui ci si convince intimamente che quel mondo non tornerà. Che è meglio sia così. E che ci si deve iniziare a inventare “come vivere” in un mondo completamente differente. Chi aspetta unicamente che le cose tornino a girare come prima non solo è un ingenuo, perché va incontro immancabilmente a una delusione feroce, ma è spacciato, perché non riuscirà mai più a trovare un vero equilibrio. La nostra generazione deve abbracciare questo cambiamento e deve imparare ad apprezzarlo, sin quasi ad amarlo, per plasmare un nuovo modo di vivere che sia degno di essere vissuto. Fare altrimenti è condannarsi alle delusioni, alle paranoie, alle ansie. È condannarsi a non voler più vivere.(Valerio Lo Monaco, “Quella serenità di 30 anni fa”, da “Il Ribelle” del 17 settembre 2014).Fa un certo effetto pensare a 30 anni addietro. Perché di 30 addietro ho memoria storica personale e ricordi vividi. Quando leggo di serie storiche, di anni Cinquanta e Sessanta, posso solo studiarne i dati e immaginare. Ma il comunicato di Confcommercio della settimana scorsa non lascia scampo: «I redditi delle famiglie sono tornati indietro di 30 anni». Io quei tempi me li ricordo. Io c’ero. I redditi di mio padre e di mia madre me li ricordo eccome. E mi ricordo come vivevamo proprio dal punto di vista economico. Giornalista mio padre, impiegata mia madre, io decenne e mio fratello poco più piccolo in casa e altri due figli di una vita precedente di mio padre che però non vivevano con noi. Il reddito di allora. Il reddito dei miei. Il nostro “tenore di vita” (economico) e quello etico e morale. E me: cosa facevo? Cosa consumavo? Cosa mi mancava? Impossibile non fare confronti con oggi. Oggi che siamo quarantenni noi come allora lo erano i nostri genitori.