Archivio del Tag ‘benessere’
-
Putin, l’alieno e il terrorismo “democratico” dell’Occidente
Tutti a parlare di Russia e Ucraina, naturalmente: senza mai ricordare, però, che l’Occidente “democratico” ha sempre disatteso gli accordi con Mosca, cioè essenzialmente la promessa di non estendere la Nato verso Est. Basterebbe questo, a chiudere la questione: e invece si procede con la solita nebbia di guerra, criminalizzando Putin, proprio mentre il succitato Occidente “democratico” – dopo due anni di follia Covid – ora provvede a massacrare i suoi civili, in questa guerra asimmetrica, anche con lo schianto dell’economia planetaria, già visibile a partire dall’impazzimento dei prezzi. Tutti esperti di Ucraina, oggi – come se a qualcuno importasse qualcosa, dei popoli ucraini – senza vedere che l’orrendo copione dei bombardamenti non è che il sequel dei tanti che l’hanno preceduto: come il terrorismo “islamico” (dall’11 Settembre all’Isis), il terrorismo finanziario (dalla morte civile della Grecia al golpe bianco in Italia), il terrorismo climatico “gretino” e ovviamente il recentissimo terrorismo sanitario. Identici gli obiettivi: generare panico, creare insicurezza sociale, revocare diritti e libertà, impoverire e quindi indebolire la popolazione, ottenere obbedienza e sottomissione.I media nostrani oggi si esercitano nel tiro al bersaglio contro l’autocrate che da oltre vent’anni è a capo della “democratura” russa, leader del grande paese che – unico – in questi decenni si è regolarmente opposto, come ha potuto, alla marea dilagante del terrorismo occidentale, sorretto in modo orwelliano da giornali e televisioni che hanno semplicemente smesso di fare informazione. La Russia è rimasta estranea al terrorismo militare in Medio Oriente, scatenato dall’Occidente “democratico” in modo diretto o attraverso manovalanza jihadista; è infine intervenuta in modo risoluto in Siria, contro l’Isis, per salvare il regime alleato di Damasco e impedire che i tagliagole raggiungessero rapidamente il Caucaso. Aggredito dal neoliberismo occidentale dopo il collasso dell’Urss, il sistema russo – conformatosi allo standard economico globale – non ha però esposto i suoi cittadini agli spaventosi stress inflitti alla popolazione europea e statunitense; al contrario: lo storico consenso tributato a Putin si spiega anche con il fatto di aver risollevato l’economia nazionale, decuplicando il reddito medio e sottraendo alla povertà milioni di russi, dopo il disastro delle turbo-privatizzazioni occidentali risalenti all’epoca di Eltsin.Il personaggio oggi dipinto come tirannico dittatore, scontatamente sanguinario già in quanto slavo e probabilmente anche impazzito, è lo statista che – al mondo – si è maggiormente impegnato nel fare argine contro il terrorismo “islamico” teleguidato dalle capitali occidentali. E’ l’uomo che – con il veto opposto dalla Russia – ha appena impedito all’Onu di varare una risoluzione folle, che avrebbe elevato il cambiamento climatico al rango di “minaccia per la sicurezza nazionale” degli Stati. Uno snodo burocratico, l’avallo delle Nazioni Unite, che avrebbe probabilmente accelerato l’autoritarismo tecnocratico che, in nome della tutela dell’ambiente (ma usando il clima, come se fosse davvero l’umanità a determinarne le variazioni), punta a imporre nuove regole, non negoziabili, a tutti gli abitanti – non del pianeta intero, ovviamente: i fortunati siamo sempre noi, cittadini dell’Occidente “democratico”. La Russia è riuscita a distinguersi e brillare, agendo cioè senza diventare nostra complice, anche riguardo all’ultima stagione terroristica, quella sanitaria: ha rifiutato la “dittatura” dei lockdown, non ha imposto nessun ricatto e nessun Tso alla popolazione. E ha offerto al mondo, a tempo di record e gratuitamente, il primo preparato vaccinale anti-Covid.Queste sono le ultime, storiche mosse del regime che oggi viene presentato come una oscura dittatura. Un establishment ibrido, che avrebbe voluto essere più europeo che eurasiatico, contro il quale l’Occidente sta scatenando tutte le sue armi: lo spettro missilistico della Nato in Est Europa, i neonazisti ucraini schierati sul terreno e, soprattutto, la spaventosa guerra economica decretata per volere dei poteri che nel 2020 hanno insediato alla Casa Bianca nientemeno che l’oligarca Joe Biden, in mezzo alla fanghiglia della scandalosa frode elettorale ai danni di Donal Trump. Se una certa élite ha sempre mirato a schiacciare i sudditi, mal sopportando i rari lampi di democrazia reale (fioriti soprattutto nel Novecento, quando al capitalismo occidentale occorreva ancora una classe media prospera e ottimista), viene da domandarsi quale sia la ragione della devastante, vorticosa accelerazione degli ultimi due decenni. Una progressione letteralmente esplosa nella primavera 2020 con l’operazione “psico-pandemica”, che ora è stata sostituita dalla guerra classica, regionale, amplificata però dalla ferocia economica del globalismo senza frontiere.Chi non disdegna di inoltrarsi nella cosiddetta “esopolitica”, cioè l’ipotetica interferenza aliena nelle faccende terrestri (niente di diverso, peraltro, dallo scenario raffigurato dalle letterature antiche, con le “divinità” impegnate a disputarsi territori e popoli), oggi si domanda se tutta questa fretta – all’improvviso – non sia dovuta anche al timore di eventuali “sbarchi”, sul nostro pianeta, che secondo alcune fonti sarebbero attesi a partire dal 2024. A raggiungere la Terra – questa la teoria – sarebbero forze ostili a quelle, non terrestri, che attualmente deterrebbero il controllo occulto delle superpotenze. Il tema è vasto e, ovviamente, più che controverso. Semplici suggestioni? Forse non più, o comunque non del tutto, da quando – a partire dal 2019 – lo stesso apparato militare occidentale ha avviato una sorta di “disclosure”, ammettendo ufficialmente l’esistenza degli Ufo. C’è chi si è spinto oltre: per il generale israeliano Haim Eshed, l’Occidente farebbe parte – da almeno trent’anni – di una Federazione Galattica, dotata di basi condivise (sulla Terra, sulla Luna, su Marte e su altri corpi del Sistema Solare). In parallelo, sono pervenute dichiarazioni precise da parte di fonti massoniche, che hanno riferito di accordi con alieni dalla seconda metà del secolo scorso.Tutto questo può sembrare surreale, in un 2022 letteralmente sventrato dall’esplosione della guerra in Ucraina, con il suo infame corollario di sofferenze. Ma non si può fare a meno di metterle in fila, le notizie: la catena di comando che ha provocato la Russia al punto da spingerla all’invasione è la stessa che aveva orchestrato il terrorismo sanitario, e prima ancora il terrorismo “islamico”, il terrorismo finanziario e il terrorismo climatico, sdoganando nel frattempo – prima attraverso la fantascienza, poi con le ammissioni ufficiali del Pentagono – l’esistenza del “problema” extraterrestre, che forse è davvero il grande segreto sul quale, a breve, non si potrà più tacere. E’ per questo, dunque, che qualcuno – lassù – ha deciso di gettare l’umanità, in modo sempre più rapido, in una spirale di panico che sembra destinata a non avere fine? Sono semplici domande, queste, che però è la stessa cronaca recente, ormai, ad autorizzare. L’inaudita “schiavizzazione” delle popolazioni, specie quelle residenti in aree ancora formalmente democratiche, serve forse a ridurne il potenziale reattivo, in vista di eventi che nessun politico attuale sarebbe in grado, domattina, di presentare ad alta voce?Certo, oggi nessuno potrebbe sbilanciarsi in argomentazioni di questo tenore: sarebbe preso per matto da chiunque, tranne che dagli ufologi o dagli studiosi di religioni antiche. Ma, se proprio l’Occidente “democratico” sta dando ancora una volta il peggio di sé, mentendo innanzitutto alla sua popolazione, non si può che prendere nota delle miserevoli condizioni in cui versa il sistema-Italia, con il suo governo fantoccio (fellone, ma ultra-autoritario) e la sua politica ormai clinicamente morta. I missili e le cannonate nelle pianure ucraine irrompono nelle case di famiglie piegate dal ricatto, tra persone rassegnate a lavorare, viaggiare e vivere solo a patto di avere in tasca il lasciapassare digitale. Uno strumento di dominio, che di sanitario non ha proprio nulla, imposto in perfetto stile cinese e con il pretesto di una patologia curabilissima. Malattia per la quale, però, le terapie sono state prima negate e poi ostacolate, umiliando la scienza e tradendo nel modo più vile il patto di lealtà che, in un paese democratico, avrebbe dovuto vincolare i governanti ai governati.Il primo dovere, infatti, non dovrebbe essere quello di proteggere la popolazione? In alcuni Stati degli Usa, in Australia e Nuova Zelanda, in Europa – ma in Italia in particolare – è avvenuto esattamente il contrario: la popolazione è stata esposta a grandi pericoli, è stata fuoriviata dalla disinformazione, è stata ipnotizzata e terrorizzata per due anni. E ora, svanita anche l’ultima parvenza di pseudo-emergenza, viene mantenuta sotto la pressione coercitiva, forse permanente, del lasciapassare, che poi sarebbe solo il preambolo – secondo i piani – per l’eliminazione del contante e l’adozione esclusiva della moneta digitale, cioè del controllo definitivo sull’economia delle famiglie. Che cosa sarà, dell’Italia, ora che l’intera Europa sarà travolta dal massacro socio-economico delle sanzioni comminate alla Russia? Il nostro è l’unico paese che, a quanto pare, non riesce a eleggere un presidente della Repubblica diverso dal precedente. Poi ci sono i politici: Salvini spernacchiato in Polonia, Di Maio che dà dell’“animale” a Putin. E c’è l’inqualificabile Draghi, che riesce a farsi giustamente canzonare persino dall’orrido Zelensky.«Per riuscire a parlare con Draghi vedrò di spostare l’agenda della guerra», ha twittato l’ucraino, dopo che il primo ministro italiano aveva snobbato un appuntamento telefonico, perdendo così anche l’ultimo treno per assurgere al ruolo di possibile mediatore (ruolo che, fino a ieri, non sarebbe stato affatto sgradito a Putin). E invece si sono bruciati i ponti, in ossequio al padrone americano. Ormai siamo oltre: l’Italia – il paese delle mascherine e del Green Pass Rafforzato – ha appena inviato armamenti all’Ucraina, paese belligerante. Così, dall’8 marzo 2022 – per la prima volta nella storia, probabilmente – la Russia ha inserito anche noi nella lista nera dei “paesi ostili”. Mario Draghi pare stia quindi per firmare il più disastroso suicidio nazionale (si spera solo economico) degli ultimi decenni. Ma niente paura: ci resta sempre il campionato di calcio, insieme al cabaret dei talkshow in cui sono sempre i famosi virologi di ieri a spiegare al popolo bue come vanno le cose, in Ucraina. Effetti collaterali: e se la guerra di Putin finisse – anche – per cambiare il mondo, mettendo fine all’ipocrisia dei tanti terrorismi domestici? Nessuno può prevedere gli eventi: c’è solo da augurarsi che le armi tacciano al più presto. Certo però che, dal radar del futuro, questa Italia sembra davvero sparita: un paese fantasma, finito, affollato di sudditi imbrogliati, derubati e inebetiti.(Giorgio Cattaneo, 9 marzo 2022).Tutti a parlare di Russia e Ucraina, naturalmente: senza mai ricordare, però, che l’Occidente “democratico” ha sempre disatteso gli accordi con Mosca, cioè essenzialmente la promessa di non estendere la Nato verso Est. Basterebbe questo, a chiudere la questione: e invece si procede con la solita nebbia di guerra, criminalizzando Putin, proprio mentre il succitato Occidente “democratico” – dopo due anni di follia Covid – ora provvede a massacrare i suoi civili, in questa guerra asimmetrica, anche con lo schianto dell’economia planetaria, già visibile a partire dall’impazzimento dei prezzi. Tutti esperti di Ucraina, oggi – come se a qualcuno importasse qualcosa, dei popoli ucraini – senza vedere che l’orrendo copione dei bombardamenti non è che il sequel dei tanti che l’hanno preceduto: come il terrorismo “islamico” (dall’11 Settembre all’Isis), il terrorismo finanziario (dalla morte civile della Grecia al golpe bianco in Italia), il terrorismo climatico “gretino” e ovviamente il recentissimo terrorismo sanitario. Identici gli obiettivi: generare panico, creare insicurezza sociale, revocare diritti e libertà, impoverire e quindi indebolire la popolazione, da cui esigere timorosa obbedienza e piena sottomissione.
-
Il solito, ipocrita Occidente terrorista: Putin “aggressore”
«Ora tutti danno del matto scriteriato a Vladimir Putin, ma i veri folli siamo noi, che ci stiamo bevendo la narrazione patetica che dalla sala ovale della Casa Bianca ci è piombata in testa come verità assoluta: quella dell’Occidente e in primis dell’America come paladina dei diritti inderogabili delle nazioni». Così “Libero”, in un editoriale che commenta la reazione militare russa alle reiterate provocazioni atlantiche in Ucraina, paese “prenotato” ufficialmente per l’ingresso nella Nato in violazione di ogni precedente accordo. Traduzione pratica nei nostri media: Putin avrebbe violato il diritto internazionale, calpestato la sovranità di uno Stato tutelato dall’Onu, riconosciuto ufficialmente e sostenuto militarmente due territori del Donbass (Est dell’Ucraina) che si sono proclamati repubbliche indipendenti. “Libero” punta il dito contro il vizietto storico dell’Occidente: l’interferenza “umanitaria”. «Se osservatori non sempre disinteressati colgono in una certa zona del mondo il prevalere di un tiranno crudele, allora è concesso mandare truppe, rimpiazzare i presidenti, commissariare un paese. È successo in Somalia nel 1993, in Bosnia-Erzegovina fino al 1996».Il decantato diritto internazionale? Regolarmente ritoccato «a misura del più forte, che non sempre è quello buono». In Kosovo, «senza neppure il minimo cenno di approvazione dell’Onu», nel 1999 la Nato attaccò la Serbia, «accusata di crimini orrendi nella provincia già autonoma di Pristina a maggioranza albanese-musulmana», ma in realtà «i report erano falsi come quelli di Giuda». Non solo: «Noi italiani bombardammo Belgrado per ragioni umanitarie, persino un ospedale. Poi garantimmo una resa onorevole a Milosevic, il presidente comunista di Belgrado, invano difeso dalla Russia e da scrittori come Solzenicyn, spergiurando che il Kosovo sarebbe rimasto sacro suolo della Serbia». In quel caso «la Nato intervenne, inventando panzane, per costituire uno stato mafioso-islamico nel cuore dell’Europa: fu un’operazione condotta da Bill Clinton e Joe Biden». E vogliamo parlare dell’Iraq? Nel 2003, con l’aiuto di servizi segreti europei, «gli Stati Uniti costruirono false prove del possesso, da parte di Saddam Hussein, di armi di distruzione di massa. Guerra di liberazione? È servita a insediare l’Isis».Altro capitolo, la Libia: «La Nato ha deciso che Gheddafi era cattivo e i jihadisti di Allah buoni». In pratica, sempre secondo “Libero”, «sostenemmo i tagliagola tagliando la gola a noi stessi (per gola qui si intendono i rifornimenti energetici) e consegnando il nostro paese a essere meta di migranti usati come armi di destabilizzazione». Dopo la Libia toccò alla Siria, e via così. Oggi, «Putin ha applicato il medesimo criterio dei precedenti punti “americani”: in particolare, il riferimento è all’Iraq e al Kosovo». L’adesione dell’Ucraina alla Nato? Più che prevedibile, nonostante fosse stata osteggiata già nel 2008 sia da Prodi che dalla Merkel. Ma ora, «il dispiegamento di forze e missili occidentali con basi in Romania, Polonia e Paesi Baltici è un bigliettino di inimicizia sfacciato». Quanto alla popolazione russofona del Donbass e di Odessa: «C’è qualcuno che osi negare sia vessata, ridotta a “dilly”, cittadini di serie B, dall’attuale regime sponsorizzato dall’Occidente per essere una spina nel fianco della Russia?».Il quotidiano di Sallusti parla di «un secondo livello di ipocrisia», e spiega: «Putin in questi giorni ha reso semplicemente ufficiale ciò che era già reale dal 2014». Ovvero: «Sin dall’invasione e annessione della Crimea, il Donbass è sotto sovranità russa: non c’è servizio segreto occidentale che non lo sappia. Persino le forze militari con divisa ucraina lì servono Mosca. Ci sono stati referendum, in Donbass, dove plebiscitariamente la popolazione ha optato – secondo il principio di autodeterminazione – per l’indipendenza da Kiev». E dunque: «Il principio di autodeterminazione vale solo quando lo decidono gli americani? Anche loro, in fin dei conti, alcuni secoli fa, si dichiararono indipendenti dalla Gran Bretagna, o ci sbagliamo?». Osserva “Libero”: «La storia si muove. Il diritto internazionale si modella in una lotta impari tra puri ideali e sporca forza. Di solito vince la forza». E Putin si è mosso ora «non perché impazzito», ma per ragioni di politica interna («individuare un’aggressione esterna raggruma il popolo intorno al capo») e anche «per mostrare agli europei chi è davvero Biden.L’uomo della Casa Bianca? «Se ne frega degli interessi e del benessere dei popoli alleati, e fa di tutto per creare le condizioni – esasperando il conflitto diplomatico, muovendo l’esercito – per inimicare la Russia e gli Stati europei». In altre parole: «Che importa a Biden se la bolletta della luce triplica a Bari e a Torino, se i forni di Mestre si spengono e non sciolgono più il vetro perché il gas è troppo caro?». “Libero” cita una riflessione di Jeffrey Sachs, della Columbia University, pubblicata in queste ore sul “Financial Times”. «Gli Stati Uniti – scrive Sachs – dovrebbero garantire alla Russia che l’Ucraina non entrerà mai nella Nato, chiedendo in cambio il completo ritiro delle forze russe dalla regione del Donbass e l’annullamento del riconoscimento dell’indipendenza delle due repubbliche separatiste, oltre alla smobilitazione delle truppe al confine con l’Ucraina, insieme a garanzie sul riconoscimento della sovranità di Kiev». Aggiunge l’analista: «Se gli Usa non proporranno questo accordo, dovrebbero farlo Germania e Francia». Sempre che non sia troppo tardi, ormai, vista la portata dell’offensiva militare russa scatenata contro l’Ucraina.«Ora tutti danno del matto scriteriato a Vladimir Putin, ma i veri folli siamo noi, che ci stiamo bevendo la narrazione patetica che dalla sala ovale della Casa Bianca ci è piombata in testa come verità assoluta: quella dell’Occidente e in primis dell’America come paladina dei diritti inderogabili delle nazioni». Così “Libero”, in un editoriale che commenta la reazione militare russa alle reiterate provocazioni atlantiche in Ucraina, paese “prenotato” ufficialmente per l’ingresso nella Nato in violazione di ogni precedente accordo. Traduzione pratica nei nostri media: Putin avrebbe violato il diritto internazionale, calpestato la sovranità di uno Stato tutelato dall’Onu, riconosciuto ufficialmente e sostenuto militarmente due territori del Donbass (Est dell’Ucraina) che si sono proclamati repubbliche indipendenti. “Libero” punta il dito contro il vizietto storico dell’Occidente: l’interferenza “umanitaria”. «Se osservatori non sempre disinteressati colgono in una certa zona del mondo il prevalere di un tiranno crudele, allora è concesso mandare truppe, rimpiazzare i presidenti, commissariare un paese. È successo in Somalia nel 1993, in Bosnia-Erzegovina fino al 1996».
-
Ora sei un’App, senza una vita e con la data di scadenza
Quand’ero adolescente, come figlio e nipote di operai Fiat, sapevo che il mio destino era segnato: sarei stato un operaio Fiat, un privilegio. Poi, anni dopo, se meritevole, avrei potuto diventare “impiegato Fiat” (“travet”, in piemontese). A parità di salario, non avrei più respirato gli odori degli olii esausti, dei trucioli di ferro del mio tornio, del sudore acido dei colleghi. Sarei stato parcheggiato in un non luogo, come lo erano i cosiddetti “uffici della palazzina”. Qua, al posto della tuta blu, avrei indossato un abito Gft, stante il prezzo, già liso all’acquisto; avrei fatto un lavoro idiota e guardato gli operai dall’alto in basso, pur essendo uno di loro. Alcuni travet, per sottolineare la loro differenza di status, si facevano crescere l’unghia del mignolo sinistro in modo abnorme. Era un Green Pass ante litteram che ti certificava, al contempo, “travet doc” e idiota in purezza.Però il lavoro, allora, aveva una sua autentica dignità sociale, ed era ben retribuito. Un operaio Fiat guadagnava molto più di un impiegato comunale, e in società (al Circolo delle Bocce, of course) aveva uno status appena sotto quello dei negozianti e dei piccoli professionisti. Il miracolo economico, le scelte strategiche e sociali di Vittorio Valletta permisero agli operai Fiat di avere un welfare privato di prim’ordine, di far studiare i figli, di comprarsi, oltre alla 600, il classico “camera, tinello, cucinino” nella periferia estrema e, ai più risparmiosi, uno identico a Borghetto Santo Spirito. Neppure pensabile per un operaio o un travet di oggi, costui è un miserabile che non va oltre l’acquisto a rate di un frullatore a immersione o di un iPhone nel Black Friday.Settant’anni dopo, nell’era del Ceo Capitalism imperante, il lavoro ha perso dignità, il salario è diventato un contributo di sussistenza, per non parlare dell’ascensore sociale, in disuso da anni. Nessuno, dotato di un minimo di intelligenza e di consapevolezza, crede alla frase mito del Presidente-Nobel: «Se ti impegni puoi farcela». “Puoi farcela”, sì, ma per fare cosa? Il rider? Il “pacchista Amazon”? Il driver Uber? Le famiglie medio-povere hanno accettato, dando fondo ai loro risparmi e sbagliando clamorosamente, di allevare i figli permettendo loro di “consumare senza lavorare”. Se cominci a consumare prima di produrre sei destinato alla povertà definitiva, così come se non hai il sogno di migliorarti, di combattere per avere un futuro diverso dal presente. Nulla di tutto questo può avvenire nel mitico mondo del Ceo Capitalism, che ha trasformato il futuro in presente, proiettando la vita lavorativa direttamente verso il divano di cittadinanza.Tutto è già pianificato, la tua vita è già scritta, a te spetta solo di fingere di viverla; mai potrai entrare nel merito della modalità ammesse o vietate, devi semplicemente attenerti al protocollo che ti è stato dato. Sarà una vita senza sorprese, non ti succederà mai niente, perché tu sei una App; hai sì un Pass, ma non hai una vita. Mamma e papà mi dicevano: «La felicità non ti viene incontro, devi essere tu a inseguirla». Oggi questa grande verità è del tutto superata. Molti non sanno cosa sia la felicità e, intellettualmente abbruttiti come sono, neppure interessati a saperlo. Se sei un “loser” della globalizzazione la felicità non è prevista nel tuo protocollo di vita, se sei un “winner” (lo sai che sono quattro gatti?) la felicità fa già parte del tuo patrimonio genetico. Così la morte.Per tutta la vita ti hanno venduto che eri a-mortale, che dovevi pensare positivo, che dovevi essere resiliente (non facevi in tempo a cadere che già dovevi rimbalzare in piedi, come le ginnaste dell’Est), così ti eri convinto di allontanare la morte dai tuoi pensieri. Come? Ogni sera, un tempo rivolgevi la tua preghiera a Gesù, ora non più; i tuoi dèi erano la Tecnologia, la Scienza. Incremato di prodotti anti-age fisici e mentali, prima di dormire ascolti rapito in tv lo “Scienziato”, il “Politico”, il “Giornalista” che ti “somministrano”, come da protocollo, fake truth. Poi, un giorno, improvvisamente, ti scopri vecchio, sul display è comparsa la tua “data di scadenza”. Tu ti senti ancora vivo, ma l’algoritmo ha deciso che sei vecchio, devi andartene, e pure in punta di piedi, per non disturbare i manovratori. Buon Natale!(Riccardo Ruggeri, “Sei una App, hai un pass ma non una vita. Finchè arriverà la tua data di scadenza e dovrai andartene. Ma in punta di piedi”; editoriale pubblicato da “Zafferano.news” e ripreso su Facebook da “Linea Italia Piemonte” il 7 dicembre 2021. Operaio Fiat per 40 anni e poi Ceo di New Hollande, Ruggeri è stato manager e imprenditore, ora attivo come giornalista, editore e scrittore).Quand’ero adolescente, come figlio e nipote di operai Fiat, sapevo che il mio destino era segnato: sarei stato un operaio Fiat, un privilegio. Poi, anni dopo, se meritevole, avrei potuto diventare “impiegato Fiat” (“travet”, in piemontese). A parità di salario, non avrei più respirato gli odori degli olii esausti, dei trucioli di ferro del mio tornio, del sudore acido dei colleghi. Sarei stato parcheggiato in un non luogo, come lo erano i cosiddetti “uffici della palazzina”. Qua, al posto della tuta blu, avrei indossato un abito Gft, stante il prezzo, già liso all’acquisto; avrei fatto un lavoro idiota e guardato gli operai dall’alto in basso, pur essendo uno di loro. Alcuni travet, per sottolineare la loro differenza di status, si facevano crescere l’unghia del mignolo sinistro in modo abnorme. Era un Green Pass ante litteram che ti certificava, al contempo, “travet doc” e idiota in purezza.
-
Covid e clima, Galloni: chi inventa le emergenze, e perché
Il pianeta è sempre stato sottoposto a cambiamenti climatici anche molto radicali: in certi periodi erano abitabili solo le zone equatoriali, in altri erano abitabili anche i Poli (sono stati trovati resti di fauna tropicale in Antartide). Il grande errore del nostro tempo – errore di cui ci chiederanno conto le generazioni future – è l’idea di fermare i cambiamenti climatici, invece di affrontarli. A differenza del passato, infatti, oggi possediamo tecnologie straordinarie: se messe al servizio del bene dell’umanità, aiuterebbero a unire i popoli per affrontare questi cambiamenti climatici. L’emergenza che stiamo vivendo è il rapporto fra l’emergenza climatica e quella sanitaria. L’emergenza climatica è stata proclamata intorno al 2019 sull’onda alla meteora Greta Thunberg. Poi, siccome non era sufficienti, si è arrivati all’emergenza sanitaria. E adesso pare che si debba ritornare ad un’altra emergenza, di carattere climatico-ambientale.Perché l’emergenza? Perché non si riesce più a dare una risposta ai grandi cambiamenti dell’economia e della società, il cui primo (e fondamentale) è l’abbandono della moneta a debito. Cioè: noi oggi abbiamo la possibilità di introdurre monete di altra natura. E lo dobbiamo fare: perché, mentre nei comparti di produzione dei beni materiali la tecnologia è andata talmente avanti che sempre meno addetti saranno necessari ad approntare tutto ciò di cui abbiamo bisogno, nell’ambito invece dei beni immateriali (soprattutto i servizi di cura delle persone, dell’ambiente, del patrimonio esistente) il fatturato si può rivelare più basso del costo. Quindi, questi servizi non possono essere gestiti in termini capitalistici, cioè di profitto. Ecco il grande interrogativo; la soluzione c’è (l’immissione di moneta non a debito), ma ha un “piccolo” difetto: spiazzerebbe le grandi banche, le grandi entità finanziarie del pianeta, che hanno governato il mondo per secoli – o per millenni: prima con l’oro e poi con la moneta creata dal nulla.E’ chiaro che, non potendo dare soluzioni, l’emergenza “serve” per evitare nel merito delle questioni: questo è il nesso che lega l’emergenza climatica a quella sanitaria. E come siamo arrivati, a questo? Dagli anni Settanta in poi abbiamo sperimentato a diversi modelli di capitalismo. Il primo è quello del capitalismo espansivo, in realtà iniziato già nel 1944 dopo Bretton Woods. E’ durato fino al G7 di Tokyo del 1979 e, secondo me, da noi fino al divorzio fra Tesoro e Banca d’Italia. In quel periodo, l’obiettivo delle imprese era la massimizzazione delle vendite: quindi c’era spazio per l’aumento dei profitti, dei salari, dell’occupazione. Quindi abbiamo avuto la trasformazione della classe operaia in classe media. Insomma, stavamo tutti meglio: la classe politica voleva arricchire la popolazione attraverso i disavanzi pubblici, finanziati a bassi tassi d’interesse.Se i titoli pubblici non li acquistava nessuno, li comprava la Banca d’Italia stampando moneta: al passivo metteva l’emissione monetaria e all’attivo i titoli. E’ così che siamo diventati la quinta potenza mondiale, la quarta potenza manifatturiera del pianeta. E abbiamo cominciato a dare fastidio un po’ a tutti, nel Mediterraneo: ai francesi, agli inglesi, agli israeliani, agli americani e ai russi. Così spiego anche la vicenda Moro: in termini di conflitto tra lui e Kissinger. Il problema esplose in un incontro fondamentale del 1976, in cui Kissinger disse a Moro: «Non potete continuare a far crescere l’economia italiana del 3-4% ogni anno, perché state diventando più importanti di quello che noi possiamo sopportare. Io ti ammazzo». Parole testuali di Kissinger. Tornato a casa, Moro lo disse alla moglie e a mio padre: erano le uniche due persone di cui lui si fidasse. La moglie gli consigliò di rititarsi dalla politica. E non si sa – quella mattina del 16 marzo 1978, quando fu sequestrato – che cosa avrebbe detto, in Parlamento.Ora, il capitalismo espansivo, keynesiano (l’economia mista), non poteva essere ufficialmente attaccato, perché funzionava. E tra l’altro, ci proteggeva nella competività, se così si può dire, coi regimi comunisti. E allora ecco che nasce tutta la teoria ambientalista del Club di Roma (Aurelio Peccei) che, fondamentalmente, sostiene una dottrina neo-malthusiana. Cosa aveva detto, Malthus? Aveva espresso una teoria che poi si era rivelata sbagliata. Aveva detto: siccome la popolazione cresce ad un ritmo superiore a quello in cui noi possiamo far crescere la produzione, incluse le derrate alimentari, a un certo punto la società collassa. In realtà non fu così, perché poi gli umani – proprio perché crescevano da un punto di vista demografico – cominciarono a produrre di più e meglio. Tant’è vero che oggi, di cibo, ne abbiamo fin troppo. Ovviamente ci sono i poveracci che non mangiano, perché è il sistema capitalistico che induce a produrre solamente quello che si può rivendere con un adeguato profitto.Se uno non ha i soldi per comprarla, la merce viene buttata. Noi infatti distruggiamo una gran parte di quello che produciamo. Ma la soluzione non è quella esposta da Papa Francesco (mangiamo di meno noi, per dare ai poveri). No: è il modello economico, che è sbagliato. Si deve tornare un po’ all’antico: noi oggi possiamo produrre come una volta, disinquinando e stando tutti meglio. Oltretutto, la qualità dei prodotti alimentari pesa: bastano poche quantità, per essere soddisfatti (e sani). Il cibo di McDonald’s invece non sazia mai e procura le famose malattie del benessere-malessere. Tornando a Malthus, i neo-malthusiani ieri dicevano: se la popolazione mondiale è di 6 miliardi di individui, di cui un miliardo e mezzo ha tutto (auto, elettrodomestici), crescerà tutta l’economia e ci saranno 5 miliardi di privilegiati; ma le risorse sono limitate, e quindi lo sviluppo non può essere illimitato.In realtà, è lo stesso errore di Malthus: pretendere che il rapporto fra sviluppo economico e inquinamento sia reso da un’equazione lineare. Cioè: se io produco 100 e consumo 70 (come risorse del pianeta), se produrrò 200 consumerò 140, in termini di risorse. Ma non funziona così, l’economia industriale. Al crescere delle quantità, man mano che l’umanità va avanti, la quantità di agenti inquinanti e di risorse utilizzate (per unità di prodotto) diminuisce. In pratica: se oggi producessimo con le tecnologie di cent’anni fa tutto quello che attualmente produciamo, saremmo tutti morti. In realtà le tecnologie si sono evolute: oltre un certo punto, c’è quindi una equazione differenziale, con derivate parziali, che ci dà la possibilità di capire che sì, dobbiamo “darci una regolata” per l’inquinamento da sviluppo, ma senza però regredire, perché in quel modo condanniamo i poveri a restare poveri, e noi a morire delle malattie del benessere (che non sono quelle batteriche o virali, storicamente sconfitte nei paesi ricchi, ma sono quelle degenerative – cancro, diabete, cardiopatie – che derivano dai cattivi stili di vita).Negli anni ‘80, dopo il divorzio fra Tesoro e Banca d’Italia, si fecero aumentare in modo erratico i tassi d’interesse sul debito pubblico: quindi il debito crebbe a dismisura e superò il Pil. Da allora abbiamo questo problema, un alto debito pubblico. Fino a prima del divorzio, avvenuto nel 1981, il debito pubblico italiano non raggiungeva il 60% del Pil. E là saremmo rimasti, se non avessimo introdotto l’aumento dei tassi d’interesse per dare al “mercato” il potere di “regolarci”, quando si sapeva benissimo che il mercato è uno sregolatore. Quindi, il ministero del Tesoro abbandonò il potere di decidere i tassi d’interesse e lo lasciò al mercato, cioè alle banche. Il risultato è stato disastroso. Quel modello – anni ‘80 – è crollato miseramente, perché distruggeva la solidarietà, che è il principale collante dell’economia, e venne sostituito con un terzo modello, il capitalismo finanziario (già sperimentato fino alla crisi del 1929).Siamo quindi tornati al capitalismo finanziario: grandi boom delle Borse, ma già nel 2001 la crisi delle Borse stesse. Quindi siamo approdati a un quarto tipo di capitalismo, che io chiamo ultra-finanziario. Cioè: mentre nel capitalismo di Borsa bisogna massimizzare il rendimento dei titoli azionari (e questo lo si ottiene spesso riducendo in modo devastante l’investimento nell’economia reale, nell’occupazione e nei salari), nell’ultimissimo capitalismo ultra-finanziario, quello dei derivati e dei titoli tossici, all’economia non si pensa neppure più. Non è più un capitalismo di mercato: tutto è regolato da algoritmi matematici. E quindi nelle banche, nelle aziende e nei centri finanziari entrano i matematici e gli informatici. Questo capitalismo ultra-finanziario ha come obiettivo non la massimizzazione del valore dei titoli, ma la massimizzazione del numero delle operazioni, quindi è una follia.Siamo arrivati a 4 milioni di miliardi di dollari di debiti, cioè di derivati e “swap”. Cioè: 54 Pil mondiali. Noi ci stracciamo le vesti perché il debito pubblico dell’Italia si avvicina ad essere una volta e mezzo il Pil nazionale, ma non diciamo niente sul fatto che il debito del pianeta è 54 volte il Pil terrestre. Importantissima la svolta sopraggiunta nel 2008: le banche centrali hanno iniziato a immettere moneta illimitatamente, per far fronte alle esigenze di liquidità (emerse con la crisi della Lehman Brothers, rimasta a secco: l’unico modo per far fallire la finanza è proprio la mancanza di liquidità). Ma voi capite che, per gestire 4 milioni di miliardi di dollari (54 Pil mondiali), occorre almeno un 3-4% di liquidi: e non c’erano. Ed ecco la soluzione delle banche centrali: emettere moneta, soprattutto elettronica, in modo illimitato. Di qui la mia previsione, purtroppo rivelatasi esatta: il sistema crollerà quando verrà il crampo al dito del governatore della banca centrale.Qual è la caratteristica di questo capitalismo ultra-finanziario e collateralizzato? Non deve arrivare, tutta questa moneta, all’economia reale. L’economia finanziaria va benissimo, perché va bene anche quando va male: pompano moneta a corso legale, e quindi si pagano interessi e cedole, si allungano i tempi dei titoli tossici, eccetera. E quindi, paradossalmente, la finanza funziona sempre. A patto che, appunto, all’economia reale non arrivi niente. Di qui sostengo la nascita delle piattaforme finanziarie alternative, delle monete complementari, delle cryptovalute, del credito “fai da te” e di tante altre cose, che per certi versi rappresentano il futuro della nostra economia, perché sono le eredi delle antiche cambiali (alla base del “miracolo economico” italiano). E anche le cambiali sono saltate per aria, con l’aumento dei tassi d’interesse: non era più conveniente, accettare una cambiale, perché lo sconto che ti facevano in banca era salito al 20% (prima era solo del 3-4%). Da allora, abbiamo vissuto un delirio, un declino ininterrotto. E il conto l’hanno pagato soprattutto i giovani: questa è la prima generazione che ha meno opportunità, rispetto a quelle di cui avevano beneficiato i loro genitori.(Nino Galloni, dichiarazioni rilasciate in una conferenza di “FlipItaly” ripresa su YouTube il 1° dicembre 2021. Economista e saggista, Galloni è figlio di Giovanni Galloni, già ministro, vicepresidente del Csm e autorevole dirigente della Dc, vicinissimo ad Aldo Moro).Il pianeta è sempre stato sottoposto a cambiamenti climatici anche molto radicali: in certi periodi erano abitabili solo le zone equatoriali, in altri erano abitabili anche i Poli (sono stati trovati resti di fauna tropicale in Antartide). Il grande errore del nostro tempo – errore di cui ci chiederanno conto le generazioni future – è l’idea di fermare i cambiamenti climatici, invece di affrontarli. A differenza del passato, infatti, oggi possediamo tecnologie straordinarie: se messe al servizio del bene dell’umanità, aiuterebbero a unire i popoli per affrontare questi cambiamenti climatici. L’emergenza che stiamo vivendo è il rapporto fra l’emergenza climatica e quella sanitaria. L’emergenza climatica è stata proclamata intorno al 2019 sull’onda alla meteora Greta Thunberg. Poi, siccome non era sufficiente, si è arrivati all’emergenza sanitaria. E adesso pare che si debba ritornare all’altra emergenza, di carattere climatico-ambientale.
-
Fabian Society e pandemia: come arrivare alla dittatura
Primo nemico, invariabilmente: il popolo (o forse l’essere umano, in quanto tale?). Pericolosamente anarchico, anche gioioso. In una parola: ingovernabile. Come rimediare? Ingannandolo, sostanzialmente. Nella fattispecie, ispirandosi all’arte militare di Quinto Fabio Massimo, il Temporeggiatore: saper attendere il momento propizio, per poi colpire. Come la tartaruga totemica della congrega di cui tratta Davide Rossi, nel suo saggio. Il trucco: saper aspettare, anche cent’anni. E’ il marchio di fabbrica della Fabian Society, elusiva struttura la cui ideologia (e non solo quella) sembra ispirare tanta parte delle infamie oggi inflitte all’umanità, nella cosiddetta Era Pandemica. I fabiani, eredi dei proto-socialisti all’occorrenza anche “eugenetici”, li si riconosce dall’atteggiamento politico sfuggente, per non dire subdolo: proprio come il “lupo travestito da agnello” che è l’icona storica di quell’illustre, ambivalente sodalizio nato da un certo “socialismo liberale” ottocentesco, in salsa laburista.Un’istituzione politico-culturale sorta con l’intento dichiarato di realizzare uno statalismo “zootecnico” dall’aria soft, senza cioè gli spargimenti di sangue del leninismo e dello stalinismo. Nel libro “La Fabian Society e la pandemia” (ovvero, “come si arriva alla dittaura”, edito da Arianna), l’autore va in cerca del possibile filo rosso che sembra collegare l’esoterista Annie Besant al nostro Massimo D’Alema, passando per George Bernard Shaw e lo stesso Orwell, il grande Bertrand Russell, autori come Aldous Huxley e figure recenti come quelle di Tony Blair e Gordon Brown, allievi della “terza via” – tra capitalismo e socialismo – annunciata dal sociologo fabiano Anthony Giddens. La premessa: esiste un’élite, “di sinistra”, fermamente convinta che il popolo, semplicemente, non sia in grado di governarsi da solo, cioè in modo democratico. Ergo: serve la guida illuminata di un potere paternalistico e onniveggente, che ne limiti la libertà.Per questa strada, ovviamente, si può arrivare lontanissimo: fino all’attuale regime di Pechino, non a caso adottato nel 2020 come modello – dall’Italia di Conte (e di Bergoglio) – per fronteggiare la terribile, inattesa pandemia. Davvero imprevedibile? Fate voi, dice Rossi: ve lo ricordate, lo strano “suicidio politico” di Salvini nell’agosto del 2019? Davvero pensate che sarebbe stato possibile imporre lockdown e coprifuoco con al Viminale un tizio come Salvini, demonizzato alla stregua di un brutale fascistoide? Ovvero: e se il leader della Lega fosse “impazzito ad arte”, sulla spiaggia del Papeete, proprio perché – lassù – si aveva sentore della catastrofe in arrivo? Tu chiamala, se vuoi, fantapolitica. «Jung le avrebbe definite “coincidenze significative”», chiosa Rossi, guardando all’Italia di oggi: il fabiano Speranza è ancora insediato al ministero della salute, come se Mario Draghi – impeccabile esecutore dei piani del massimo potere – avesse dovuto concedere uno spazio preciso, alla Fabian Society.L’allievo di D’Alema, scrive Rossi, è notoriamente membro della Fabian: seguace di Blair, da studente Speranza fu anche formato dalla London School of Economics, l’università fabiana. Il loro stile è inconfondibile: nessuno scrupolo nell’esercitare il peggior autoritarismo, dopo aver pazientemente atteso che maturassero le condizioni per il più ferreo controllo sociale. Non è una novità – aggiunge Rossi – neppure il fatto che alla sinistra post-comunista venga affidato il lavoro sporco. Il Green Pass imposto da Draghi, peraltro, non lascia adito a dubbi sulle intenzioni dell’élite che punta a colpire l’Italia per arrivare a sottomettere l’intero Occidente. Dove si finisce, di questo passo? Semplice, risponde Rossi: si arriva esattamente dove voleva fin dall’inizio l’ideologia fabiana, cioè a un regime fondato sulla sorveglianza. Il Green Pass? E’ solo il primo step per la nuova normalità: benessere e libertà di movimento, ma in cambio dell’obbedienza (naturalmente, “per il nostro bene”).Il loro sogno? Un mondo senza più l’intralcio della piccola proprietà privata, quella che rende le persone autonome finanziariamente, come nel caso delle Pmi che restano il nerbo dell’economia italiana. Meglio che tutto appartenga a uno Stato-padrone, disposto ad elargire concessioni solo a chi si mostra sottomesso: concessioni ovviamente revocabili in qualsiasi momento, al primo segno di insubordinazione. A meno che – dice ancora Davide Rossi – non si riescano a inceppare, dal basso, gli ingranaggi di questo meccanismo infernale, con atti di diserzione individuale. I segnali non mancano, osserva l’autore: la maggioranza degli italiani è contraria all’obbligo del Green Pass come requisito indispensabile per poter continuare a lavorare, e il 40% di essi ritiene che il “lasciapassare” non abbia alcun significato, sul piano sanitario, in termini di contenimento del famigerato virus. Tutto è evidente, ormai: il gioco è scoperto. Saranno davvero i nipotini della Fabian Society ad avere l’ultima parola?(Il libro: Davide Rossi, “La Fabian Society e la pandemia. Come si arriva alla dittatura”, Arianna Editrice, euro 14,50).Primo nemico, invariabilmente: il popolo (o forse l’essere umano, in quanto tale?). Pericolosamente anarchico, anche gioioso. In una parola: ingovernabile. Come rimediare? Ingannandolo, sostanzialmente. Nella fattispecie, ispirandosi all’arte militare di Quinto Fabio Massimo, il Temporeggiatore: saper attendere il momento propizio, per poi colpire. Come la tartaruga totemica della congrega di cui tratta Davide Rossi, nel suo saggio. Il trucco: saper aspettare, anche cent’anni. E’ il marchio di fabbrica della Fabian Society, elusiva struttura la cui ideologia (e non solo quella) sembra ispirare tanta parte delle infamie oggi inflitte all’umanità occidentale, nella cosiddetta Era Pandemica. I fabiani, eredi dei proto-socialisti all’occorrenza anche “eugenetici”, li si riconosce dall’atteggiamento politico sfuggente, per non dire subdolo: proprio come il “lupo travestito da agnello” che è l’icona storica di quell’illustre, ambivalente sodalizio nato da un certo “socialismo liberale” ottocentesco, in salsa laburista.
-
Tanto a pochi, agli altri le briciole: riecco l’antico Draghi
«Il governo Draghi, voluto per la salvezza del paese, con questa prima manovra di bilancio fa il suo compitino tecnocratico». Ovvero: «Comincerà ad attuare i progetti del Recovery, ma la visione di un mondo post-pandemico non c’è». Così Mario Barbati, su “Micromega”, boccia l’aspetto socio-economico dell’attesissimo avvento dell’ex Super-Mario a Palazzo Chigi. La sintesi: «Aumentano il Pil come paradossalmente povertà e lavoro precario. Degli oltre 830.000 nuovi posti di lavoro creati nell’ultimo anno, il 90% sono a termine: solo l’1% dura più di un anno. Tolto il salario minimo legale dal Pnrr, smantellato il ‘decreto dignità’ che limitava i contratti a termine, vengono messi in discussione i redditi di sostegno e le pensioni». Inoltre, si omette di contrastare 203 miliardi di economia sommersa, «che sarebbero decisivi se davvero si volesse attuare una redistribuzione della ricchezza». Rinviata ancora la “plastic tax”, alla faccia della “transizione ecologica”. La legge di bilancio? Una manovra da 30 miliardi, che Draghi definisce «espansiva». Si alleggerisce la pressione fiscale con 12 miliardi, di cui 8 per il taglio delle tasse su società e persone, ma senza ripartizioni (che saranno «definite insieme al Parlamento» nelle prossime settimane).Rinviata la riforma delle pensioni: “Quota 102” è solo un compromesso – scrive Barbati – che «non risolve una questione che dura da anni» e in più «alimenta una narrazione, peraltro falsa, che il lavoro per i giovani si crei innalzando l’età di pensionamento, mettendo lavoratori di diverse generazioni contro». Unica nota positiva: l’aumento delle protezioni sociali per i senza lavoro. Il nodo vero? «Il Pil sale, i salari scendono». Si domanda l’analista: «Ha senso, un sistema in cui aumentano il Pil (oltre il 6% quest’anno, come dichiarato dal premier) e al tempo stesso la povertà, ormai anche tra molti lavoratori? E per quanto tempo può reggere, dopo quasi due anni di pandemia? Superare l’austerità se non si leniscono le profonde disuguaglianze degli ultimi decenni, che anzi sono accresciute con la pandemia, se non si affrontano la questione salariale e la precarietà, non ha senso». In Italia, annota Barbati, più di 5 milioni di lavoratori dipendenti hanno un reddito inferiore ai 10.000 euro annui, determinando il fenomeno della povertà che si diffonde tra chi lavora. «Rappresentazione plastica di un modello sociale da ribaltare».Una delle poche ma significative modifiche del Pnrr targato Draghi (nella versione Conte-Gualtieri c’era) è stata l’eliminazione dell’introduzione del salario orario minimo, cioè di una legge che fissi una soglia di base sotto la quale il datore di lavoro non può scendere. La misura è in vigore in 21 Stati dell’Unione Europea su 27 (comprese Germania, Francia, Spagna) e sarebbe indispensabile – scrive sempre Barbati – in un paese in cui non solo esistono una miriade di contratti collettivi nazionali diversi (900) ma anche milioni di lavoratori fuori dalla contrattazione collettiva, sfruttati con stipendi da fame e zero diritti. In Italia (e non solo) il neoliberismo «si è tradotto con offerte di lavoro, richiesta di manodopera, delle risorse intellettuali al massimo ribasso: trasformando il lavoro in una merce, anche abbastanza scadente». Ma il Belpaese «non poteva che distinguersi tra gli altri». L’Italia è infatti «l’unico Stato in Europa – dati Ocse alla mano – in cui dal 1990 ad oggi gli stipendi sono diminuiti invece che aumentare. E se negli ultimi trent’anni la ricchezza è invece aumentata, se ne deduce facilmente che sia finita in pochissime mani».Con l’aumento del costo delle materie prime dopo i blocchi pandemici (e quindi i rincari di carburante, energia, gas) quella dei salari «dovrebbe essere la priorità di un paese che si vuole rilanciare». In Germania, «l’Spd di Scholz ha vinto le elezioni con la proposta di alzare il salario minino a 12 euro all’ora». La nostra Costituzione prevede che “il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa” (articolo 36). «È la Costituzione che andrebbe applicata, ribaltando il concetto della crescita slegata dal benessere e dal lavoro delle persone, cominciando dal salario minimo orario, lasciando la contrattazione collettiva ma fissando una soglia di dignità per tutti». Riassume Barbati: «Oggi 3,5 milioni di dipendenti privati, 600.000 lavoratori domestici, 370.000 operai agricoli non raggiungono i 9 euro lordi all’ora».Vero, dall’inizio del 2021 sono stati creati oltre 830.000 posti di lavoro (in aumento, rispetto agli anni precedenti). Ma quasi il 90% di questi nuovi lavori creati «è stato attivato con un contratto a termine». Modeste – e inferiori al 2020 – le posizioni a tempo indeterminato. «Da luglio, l’eliminazione del vincolo ha prodotto 10.000 licenziamenti». In che modo, si domanda l’analista di “Micromega”, questi dati sono coerenti con le dichiarazioni che Draghi ha dedicato ai giovani? «Il mio impegno – ha detto – è seguire le vostre ambizioni, dopo anni in cui l’Italia si è dimenticata di voi». La promessa: «Fare in modo che questa ripresa sia duratura e sostenibile». La retorica del “niente sarà più come prima”, del “ne usciremo tutti migliori” che ci ha allegramente accompagnato durante la pandemia – scrive Barbati – deve ora fare i conti con una realtà dura a morire, perché frutto di politiche durate decenni. «La pandemia, che ha squadernato un paese in cui pochi hanno tanto e molti hanno poco, rischia di finire esattamente come era iniziata. Senza un cambio di direzione verso una giustizia distributiva e sociale».L’applicazione della Costituzione, continua Barbati, dovrebbe essere la stella polare per le riforme e gli investimenti del Recovery Plan. Invece il Pnrr (230 miliardi di euro di risorse insperate) «rischia di andare a favore dell’alta economia e di cambiare poco o niente nella vita comune di cittadini, studenti, lavoratori e imprese». In effetti, «già prima della pandemia globale, l’Italia era contrassegnata da forti disuguaglianze, gap e divari generazionali, di genere, territoriali e sociali». E ora «il Recovery, che è il più grande piano d’investimenti pubblici della storia repubblicana, rischia di vedere il mercato e non la politica come principale regolatore dell’economia». Non solo. «Concretamente, il Piano rischia di essere una sommatoria di progetti, al momento senza un coordinamento visibile, con misure eterogenee che mancano di un progetto-paese in grado di creare un modello di sviluppo sostenibile non a favore di alta finanza e poche grandi imprese – come avvenuto negli ultimi 30 anni – ma a vantaggio della vita delle persone in armonia con l’ambiente».Per Barbati, «manca un riscontro sulla ricaduta nella creazione di lavoro, nella rigenerazione urbana, nella riconversione ambientale». Il portale che il governo ha dedicato al Recovery Plan (“Italia Domani”) prevede la condivisione sugli esiti dei singoli progetti, ma senza informazioni su ogni fase del processo attuativo, come tra l’altro chiesto dall’Europa. «Sul piatto della transizione ecologica ci sono 70 miliardi, ma nei documenti inviati a Bruxelles mancano impegni chiari sulla sostituzione graduale del carbone e del gas naturale». La mobilità sostenibile? Vale 31 miliardi in nuove infrastrutture: ma «privilegia i treni Av anziché il trasporto locale, regionale e cittadino». C’è anche il rischio di aumentare, anziché diminuire, «il divario tra nord e sud, tra aree ricche e povere». E questo «perché ci saranno enti locali in grado di sfruttare i bandi e altri incapaci di farlo». La quarta missione (istruzione e ricerca) stanzia complessivamente 33 miliardi, di cui quasi 12 per la ricerca. «Sparisce il piano Amaldi, che proponeva un aumento dei fondi per la ricerca pubblica nella misura di 15 miliardi in 5 anni, per far sì che l’Italia passasse dallo 0,5% del Pil in ricerca pubblica allo 0,7% francese».Se Barbati approva (almeno sulla carta) il piano per l’edilizia scolastica e gli asili nido, punta il dito sul tema della concorrenza: la soluzione è davvero aprire ai mercati, in tutti i settori, «in nome dell’ideologia neoliberista superata dai fatti e dalla storia»? Nel Piano si impone agli enti pubblici «una motivazione anticipata e rafforzata che dia conto del mancato ricorso al mercato». Soluzione che in alcuni casi potrebbe essere utile – dice Barbati – per spezzare le rendite, i monopoli troppo garantiti, i legami clientelari con la politica; in altri casi, però, «potrebbe essere deleteria, perché in passato le “liberalizzazioni” hanno riguardato servizi di interesse generale, come i monopoli naturali attraverso concessioni esclusive ai privati». Esempi? «Il caso Autostrade: 11 miliardi di utili per Benetton & soci, continui aumenti delle tariffe, risparmi e negligenza assassina sugli investimenti in sicurezza. La storia recente dimostra che le “public utilities” (il trasporto pubblico, i servizi idrici, le reti ad alta velocità) non dovrebbero più dipendere dal dominio di logiche di profitto, perché sono servizi di interesse generale». Conclude Barbati: non si capisce come il Pnrr possa contrastare la precarietà. «Istruzione, sanità, welfare universale rischiano ancora una volta di essere sacrificate sull’altare delle grandi opere e degli affari per pochi».«Il governo Draghi, voluto per la salvezza del paese, con questa prima manovra di bilancio fa il suo compitino tecnocratico». Ovvero: «Comincerà ad attuare i progetti del Recovery, ma la visione di un mondo post-pandemico non c’è». Così Mario Barbati, su “Micromega”, boccia l’aspetto socio-economico dell’attesissimo avvento dell’ex Super-Mario a Palazzo Chigi. La sintesi: «Aumentano il Pil come paradossalmente povertà e lavoro precario. Degli oltre 830.000 nuovi posti di lavoro creati nell’ultimo anno, il 90% sono a termine: solo l’1% dura più di un anno. Tolto il salario minimo legale dal Pnrr, smantellato il ‘decreto dignità’ che limitava i contratti a termine, vengono messi in discussione i redditi di sostegno e le pensioni». Inoltre, si omette di contrastare 203 miliardi di economia sommersa, «che sarebbero decisivi se davvero si volesse attuare una redistribuzione della ricchezza». Rinviata ancora la “plastic tax”, alla faccia della “transizione ecologica”. La legge di bilancio? Una manovra da 30 miliardi, che Draghi definisce «espansiva». Si alleggerisce la pressione fiscale con 12 miliardi, di cui 8 per il taglio delle tasse su società e persone, ma senza ripartizioni (che saranno «definite insieme al Parlamento» nelle prossime settimane).
-
Harari: ora l’élite dell’Uomo-Dio rottamerà il liberalismo?
I grandiosi progetti umani del XX Secolo si prefiggevano l’obiettivo di salvaguardare una norma universale di agiatezza, salute e pace per ciascuno, senza eccezione. Anche i nuovi progetti del XXI Secolo – ottenere l’immortalità, la felicità eterna e uno status divino – sperano di servire all’intero genere umano. D’altro canto, poiché questi progetti puntano al superamento (anziché al raggiungimento) di una condizione standard, potranno piuttosto creare una nuova casta di super-uomini, che potrebbe disfarsi delle sue radici liberali e trattare i normali uomini non meglio di come gli europei del XIX Secolo trattavano gli africani. E’ probabile che Homo Sapiens migliorerà se stesso passo dopo passo, mescolandosi nel processo con robot e computer, finché i nostri discendenti si guarderanno indietro e si accorgeranno che non sono più quel genere di animale che ha descritto la Bibbia.Questo non accadrà in un giorno o in un anno; in realtà si sta già verificando proprio adesso, attraverso un’innumerevole quantità di azioni abituali. Se le scoperte scientifiche e gli sviluppi tecnologici divideranno l’umanità in una massa di uomini inutili e in una piccola élite di super-uomini potenziati, o se l’autorità sarà trasferita dagli esseri umani agli algoritmi dotati di un’intelligenza superiore, allora il liberalismo collasserà. Sono in molti a ritenere che i nuovi programmi dell’umanità, alla fine, si riducano a un unico progetto, con tante diramazioni: acquisire la condizione di esseri divini. Se questo può suonare scarsamente scientifico o decisamente bizzarro, è perché la gente spesso non ha chiaro il significato di divinità. Non si tratta di una vaga qualità metafisica. E non coincide neppure con l’onnipotenza. Quando parliamo di elevare gli uomini agli dèi, pensiamo a qualcosa di prossimo agli dèi greci o ai Deva indù, piuttosto che all’onnipotente Padre nei cieli, di biblica memoria.I nostri discendenti avranno le stesse fisime, perversioni e limiti, proprio come Zeus e Indra hanno i loro. Ma essi potranno amare, odiare, creare e distruggere su una scala molto più grande della nostra. Un tempo si credeva infatti che gli dèi non fossero onnipotenti, ma piuttosto che possedessero alcune specifiche super-abilità, come quella di progettare e creare esseri viventi, di trasformare i loro stessi corpi, di controllare l’ambiente e il tempo atmosferico, di leggere nelle menti e di comunicare a distanza, di viaggiare ad altissime velocità e, senza dubbio, di sfuggire alla morte vivendo per un tempo indefinito. Nelle antiche società agricole, molte religioni erano sorprendentemente caratterizzate da uno scarso interesse per le questioni metafisiche e quelle relative all’aldilà. Le loro maggiori preoccupazioni ruotavano intorno al tema, molto prosaico, di come incrementare i raccolti. Questo spiega perché il dio dell’Antico Testamento non prometta mai alcuna ricompensa o punizione dopo la morte, e al popolo di Israele prometta solo e sempre conseguenze terrene.(Yuval Noah Harari, dal bestseller “Homo Deus. Breve storia del futuro”, edito in Italia da Bompiani nel 2018 e citato da Mauro Biglino nel video la “Bibbia avrà ragione”. Eminente storico israeliano apprezzato in tutto il mondo, attualmente Harari insegna “World History e processi macrostorici” all’Università Ebraica di Gerusalemme).I grandiosi progetti umani del XX Secolo si prefiggevano l’obiettivo di salvaguardare una norma universale di agiatezza, salute e pace per ciascuno, senza eccezione. Anche i nuovi progetti del XXI Secolo – ottenere l’immortalità, la felicità eterna e uno status divino – sperano di servire all’intero genere umano. D’altro canto, poiché questi progetti puntano al superamento (anziché al raggiungimento) di una condizione standard, potranno piuttosto creare una nuova casta di super-uomini, che potrebbe disfarsi delle sue radici liberali e trattare i normali uomini non meglio di come gli europei del XIX Secolo trattavano gli africani. E’ probabile che Homo Sapiens migliorerà se stesso passo dopo passo, mescolandosi nel processo con robot e computer, finché i nostri discendenti si guarderanno indietro e si accorgeranno che non sono più quel genere di animale che ha descritto la Bibbia.
-
Sangue sul Chianti: anatomia di un’Italia in emergenza
“Scarabeo”, “La loggia degli innocenti”, “Le rose nere di Firenze”: quello che non ha potuto dire apertamente, come investigatore, il commissario Michele Giuttari lo ha scritto – usando nomi di fantasia – nei suoi fortunatissimi romanzi polizieschi. Lo afferma l’avvocato Paolo Franceschetti, indagatore dell’ombra: quella da cui nascono alcuni fra i più atroci incubi italiani, tra cui i cosiddetti omicidi rituali. Spaventosi gialli in parte ancora irrisolti, come quelli attribuiti alla banda chiamata Mostro di Firenze. A un passo dalla svolta definitiva arrivò proprio lui, Giuttari, insieme al procuratore perugino Giuliano Mignini, quando i Compagni di Merende allusero al “dottore di Perugia” come possibile mandante: le acque del Lago Trasimeno restituirono un corpo, frettolosamente attribuito a quel giovane medico. Non annegato, si seppe poi, ma strangolato. Una volta riesumato e messo a confronto con le foto del cadavere ripescato, si scoprì che si trattava di due persone diverse. Il morto del lago (mai scoperto chi fosse) doveva solo servire a convincere tutti che il povero medico fosse davvero caduto in acqua, trovandovi la morte.Il colpo di genio? Far rilevare le impronte digitali alla salma, nel dubbio che fosse stato proprio lui – il dottore – a sfidare il pool di Firenze, spedendo ai magistrati alcuni macabri frammenti dei cadaveri straziati delle coppiette uccise. Bingo: quando il super-detective corse a frugare nell’archivio super-blindato dei reperti, scoprì che era stato appena saccheggiato. Le lettere-chiave, sparite. Altro avvertimento: nel cortile della questura, le gomme dell’auto del commissario erano state tagliate. Poco dopo, Michele Giuttari lasciò la polizia. E insieme al magistrato di Perugia, fu perseguitato con accuse giudiziarie pretestuose (poi sgonfiatesi, ma solo dopo aver allontanato lui e il giudice dal vero Mostro di Firenze). Oggi, Michele Giuttari è un autore di bestseller tradotti e venduti in tutto il mondo, in oltre cento paesi diversi. Un prodigioso macinatore di trame mozzafiato e di parole asciutte, esatte, precise come le indagini che ne avevano fatto un campione della polizia italiana.Un implacabile cacciatore di mafiosi, Giuttari. Criminali di primo livello, come i killer di Cosa Nostra che avevano fatto scoppiare le bombe stragistiche di Milano, Firenze e Roma, all’inzio degli anni ‘90, quando l’Italia – caduto il Muro di Berlino – “doveva” finire in pasto ai poteri finanziari che controllano l’Ue, e andare incontro alla buia morsa dell’austerity. Poteri che utilizzarono largamente tutto il marcio su cui aveva galleggiato la mitica Prima Repubblica, prospera e corrotta. Analisti e politologi, negli ultimi anni, hanno ricostruito il quadro: la demolizione dei vecchi partiti, ormai inutili e spesso impresentabili, non sarebbe mai potuta avvenire se la magistratura di Milano non si fosse “accorta”, di colpo, del dilagare del pubblico malaffare. Gli inafferrabili mafiosi? I capi storici sarebbero stati arrestati, anche quelli, ma solo dopo aver “sistemato” Falcone e Borsellino, che si erano spinti oltre, seguendo la pista dei soldi che probabilmente collegava Brooklyn e Bruxelles, magari passando anche per il vecchio Ior e gli affari di Calvi e Sindona, altri due personaggi (di taglia ben diversa) messi a tacere a tempo debito.Oggi è di moda parlare di Deep State: il punto di saldatura tra super-tecnocrati “collaborazionisti”, colletti bianchi della nuova mafia e mercenari dell’establishment al soldo di un potere apolide, quello del denaro, insieme a precisi segmenti dell’apparato statale, le “barbe finte”, gli 007 senza bandiera incaricati delle operazioni più inconfessabili. Un sottobosco che, pian piano, emerge anche dalle pagine di “Sangue sul Chianti”, ultima fatica letteraria di Michele Giuttari, che opera sul campo attraverso il suo alter ego cartaceo, il commissario Ferrara. Non un giallo politico, beninteso: trattasi di noir puro, composto – con un’orchestrazione perfetta, cronometrica e implacabile – per la gioia degli amanti di questo genere narrativo che, secondo la francese Fred Vargas, viene ormai utilizzato sempre più spesso, dagli scrittori, per “rifugiarsi” nel pretesto di una trama poliziesca. Un luogo protetto, da cui dire la loro su come va il mondo, per davvero, anche portando allo scoperto i fili invisibili che legano un assassino ai suoi insospettabili, illustri mandanti.E così, anche “Sangue sul Chianti” – un libro che letteralmente si lascia divorare, alla velocità della luce – mette in scena un teatro d’ombre in cui finiscono per muoversi affaristi di provincia e piccoli drogati, brutali spacciatori stranieri ma anche clan mafiosi con libero accesso a paradisi fiscali. Tutti retroscena perfettamente noti ai soliti apparati, quelli d’intelligence, che – lungi dall’intervenire – sfruttano la situazione: e se proprio si mette male, se cioè spunta qualche “sbirro” troppo sveglio, sono anche pronti a far scorrere il sangue, sul Chianti e non solo, magari per occultare tracce che renderebbero evidente la reale natura del gioco, non presentabile al cittadino comune che si ciba di cronaca, magari nera. Ed è quella, infatti, a dominare il libro, che sa offrire benissimo la percezione della crescente insicurezza sociale, nella Firenze del 2005, mentre l’Italia sta scivolando giorno per giorno verso l’inesorabile crisi economica che, di lì a non molto, la porterà a genuflettersi davanti alle nuove, o forse antiche divinità bancarie dell’Unione Europea.Nel fondamentale memoir “Confesso che ho indagato”, titolo che rifà il verso alla strepitosa autobiografia di Pablo Neruda, Giuttari insiste su un punto cardine: guai a delegare alla sola tecnologia il compito di risolvere le indagini, perché niente potrà mai sostituire il lampo dell’intelligenza (non artificiale) che nasce dalla sensibilità – umanissima – del poliziotto che scava nel buio, nel dolore dei parenti delle vittime e tra le pieghe della scena del crimine, attingendo anche al talento naturale da cui nascono le migliori intuizioni. Certo, occorre essere maestri nell’arte dell’interrogatorio, prima che intervenga – in modo magari maldestro e ingombrante – il protagonismo della magistratura inquirente (non altrettanto dotata, nella specialità in cui eccellono gli “sbirri” purosangue, che sanno fiutare la preda). Così, anche stavolta, gli appassionati del legal thriller e del poliziesco classico troveranno pane per i loro denti, osservando in azione gli uomini del commissario Ferrara: riconosceranno il piglio inconfondibile di indagini condotte a misura d’uomo, inclusi gli inevitabili errori, lontanissimo dagli effetti speciali di tante, recenti polizie televisive.Puntare l’uomo, marcarlo stretto, indovinargli l’anima: sapendo che la possibile cantonata è sempre dietro l’angolo, e che l’assassino potrebbe anche essere la persona di cui, da sempre, ti fidi di più. “Sangue sul Chianti” mostra, in modo esemplare, di che pasta erano fatti gli investigatori italiani della vecchia guardia, come i segugi che – in Sicilia – finirono spesso nel tragico cimitero dell’antimafia, durissima trincea dalla quale proveniva lo stesso Giuttari, messinese d’origine. Il suo ultimo noir punta in alto: lo sporco si annida proprio lassù, nel vertice della piramide, in tutte le sue declinazioni (pubbliche e private). Brillano diamanti e sfavilla il lusso, nel paradiso dorato del “Chiantishire”, che d’un tratto può colorarsi di rosso come il Sangiovese. Ma il male ha sempre bisogno di collaborazione, anche da parte della gente minuta: le debolezze umane sono in agguato ovunque, a poco prezzo. E fanno parte, anche loro, di una trama formidabile, che tiene insieme cacciatori e lepri, vivi e morti, guardie e ladri. Il piccolo delinquente, l’uomo comune che cede alla tentazione solo per una volta, nella vita. E il più pericoloso criminale tuttora a piede libero: il potere.Sbaglierebbe, chi vedesse nell’autore Michele Giuttari una specie di anarchico travestito da ex poliziotto: la severità del suo sguardo politico è la stessa di chi ha creduto, in modo incrollabile, nelle istituzioni di un’Italia risorta dalle macerie dell’ultima guerra mondiale. In tutt’altra maniera, ne dà prova anche uno scrittore come Giuseppe Genna nel thriller “Nel nome di Ishmael”, che lambisce il dramma della sparizione dei bambini: lo fa in una pagina memorabile, dedicata al “sacrificio” di Enrico Mattei come eroico edificatore civile dell’Italia democratica del dopoguerra. Se oggi – 2021, anno secondo dell’Era Covid – il paese è diventato letteralmente irriconoscibile, in fondo anche le pagine di “Sangue sul Chianti” sembrano suggerire che forse non tutto è perduto, se a far tardi la notte (anche rischiando la pelle) ci sono uomini come quelli della Squadra Mobile del commissario Ferrara.(Il libro: Michele Giuttari, “Sangue sul Chianti”, Fratelli Frilli Editore, 467 pagine, euro 18,90).“Scarabeo”, “La loggia degli innocenti”, “Le rose nere di Firenze”: quello che non ha potuto dire apertamente, come investigatore, il commissario Michele Giuttari lo ha scritto – usando nomi di fantasia – nei suoi fortunatissimi romanzi polizieschi. Lo afferma l’avvocato Paolo Franceschetti, indagatore dell’ombra: quella da cui nascono alcuni fra i più atroci incubi italiani, tra cui i cosiddetti omicidi rituali. Spaventosi gialli in parte ancora irrisolti, come quelli attribuiti alla banda chiamata Mostro di Firenze. A un passo dalla svolta definitiva arrivò proprio lui, Giuttari, insieme al procuratore perugino Giuliano Mignini, quando i Compagni di Merende allusero al “dottore di Perugia” come possibile mandante: le acque del Lago Trasimeno restituirono un corpo, frettolosamente attribuito a quel giovane medico. Non annegato, si seppe poi, ma strangolato. Una volta riesumato e messo a confronto con le foto del cadavere ripescato, si scoprì che si trattava di due persone diverse. Il morto del lago (mai scoperto chi fosse) doveva solo servire a convincere tutti che il povero medico fosse davvero caduto in acqua, trovandovi la morte.
-
Rumor: restiamo uomini, non subiamo questa dittatura
Negli ultimi decenni, l’Europa è stata effettivamente unita, anche se non sul piano politico. Cos’è avvenuto, dagli anni ‘70 in poi? Il piano europeista iniziale, sia quello dei fondatori nascosti (occulti), sia quello dei realizzatori ufficiali, è stato considerevolmente modificato. Lo stesso politologo Giorgio Galli, che ha scritto insieme a me e a Loris Bagnara il libro “L’altra Europa”, ha offerto una serie di opinioni per interpretare le variazioni di percorso, svolte da quella “struttura interna” dell’Unione, negli ultimi tratti del secolo scorso e nei primi di quello attuale. Io stesso non ho mai smesso di pormi domande, ben sapendo che ci troviamo a che fare con qualcosa di molto elusivo, e a mio parere anche pericoloso, per la civiltà odierna. Sintetizzo: il piano politico di riorganizzazione dell’Occidente, che è la parte centrale della Struttura descritta da Maurice Schumann, sembra aver subito uno spostamento. Vi sono molti motivi per ritenere che quel piano sia stato revisionato, dopo che ha prevalso, nella Struttura, quel cosiddetto Contingente Americano. Il riferimento non è alla nazione statunitense, ma ai fautori dei liberismo.Il liberismo proviene da una certa mentalità anglosassone: è piuttosto aggressivo, pervasivo. Questo ha ampliato e anche trasformato il progetto originario, realizzandone uno più vasto, che chiamerei “l’occidentalizzazione del mondo”. Un obiettivo raggiunto utilizzando il fattore dell’accentramento economico. Il progetto unionista autentico, che mirava solo all’area del Mediterraneo e voleva riprodurre una situazione arcaica, ha fatto un salto di livello: ha abbandonato l’Unione a se stessa. Attualmente non si rivolge più alle nazioni o alla politica: le scavalca, facendo leva espressamente sugli organismi finanziari globali. Il traguardo finale sembra essere una sorta di dittatura planetaria, condotta anche mediante computer “intelligenti”. In questa visione, gli Stati perdono influenza, e ne acquistano invece i super-Stati trasversali, ossia le alleanze capitalistiche mondiali. E’ quel processo che è stato chiamato Quarta Rivoluzione Industriale: consiste nel ridimensionamento della vita politica e sociale, nella centralizzazione del controllo del potere, nello svuotamento della mediazione politica e dei partiti.Il considetto Contingente Americano, nella Struttura segreta di cui Maurice Schumann parlò a mio padre (un network che deterrebbe il potere in modo ininterrotto, da qualcosa come 12.500 anni), ha realizzato l’occidentalizzazione del mondo, ha utilizzato l’accentramento economico. L’ultimo obiettivo sarà realizzare un nuovo modello tecnologico centralizzato. Questa rivoluzione è realmente in corso, da decenni. Di fatto, la personalità di noi uomini è stata ampiamente limitata, negli ultimi decenni: dalla robotica e dall’accettazione passiva che ha livellato sia la conoscenza, sia l’espressione in termini umani. La globalizzazione economica sta ridisegnando il pianeta, e sta prendendo le redini della civiltà. E’ da temere una profonda disumanizzazione, contraria all’etica sociale per com’era uscita dalle Costituzioni moderne, che avevano come scopo l’umanesimo. Questa globalizzazione potrebbe consegnarci una società disgregata e una mera parvenza di democrazia, al servizio del grande capitale che governa il mondo, e non certo dell’uomo comune, dell’espressione umana.Questo è veramente il più grave pericolo che l’umanità abbia incontrato. Ed è ancora più subdolo, perché si presenta con la parvenza del benessere e della sicurezza. E’ un momento di passaggio, in cui le persone dovrebbero stare attente. Sta succedendo qualcosa, dietro le nostre spalle, che non ci piacerà, domani. A me non piace neanche adesso. L’unica cosa che abbiamo è la mente, la nostra intelligenza: non buttiamola via. Ragioniamo con la nostra mente, e seguiamo l’istinto profondo che la natura ci ha dato: quello di capire ciò che accade, e interrogarci. Noi siamo uomini perché ci interroghiamo, perché siamo curiosi di capire. Se la massa perde questa facoltà, per correre dietro allo stipendio, siamo veramente finiti. Se invece rimaniamo attivi, con la nostra intelligenza, non potremo rimproverarci, domani, di essere stati lì a subire passivamente. Siamo uomini proprio perché non subiamo.(Paolo Rumor, dichiarazioni rilasciate il 16 luglio 2021 nella trasmissione “L’altra Europa: organizzazioni segrete antiche”, con Loris Bagnara, sul canale YouTube “Facciamo Finta Che”, di Gianluca Lamberti).Negli ultimi decenni, l’Europa è stata effettivamente unita, anche se non sul piano politico. Cos’è avvenuto, dagli anni ‘70 in poi? Il piano europeista iniziale, sia quello dei fondatori nascosti (occulti), sia quello dei realizzatori ufficiali, è stato considerevolmente modificato. Lo stesso politologo Giorgio Galli, che ha scritto insieme a me e a Loris Bagnara il libro “L’altra Europa”, ha offerto una serie di opinioni per interpretare le variazioni di percorso, svolte da quella “struttura interna” dell’Unione, negli ultimi tratti del secolo scorso e nei primi di quello attuale. Io stesso non ho mai smesso di pormi domande, ben sapendo che ci troviamo a che fare con qualcosa di molto elusivo, e a mio parere anche pericoloso, per la civiltà odierna. Sintetizzo: il piano politico di riorganizzazione dell’Occidente, che è la parte centrale della Struttura descritta da Maurice Schumann, sembra aver subito uno spostamento. Vi sono molti motivi per ritenere che quel piano sia stato revisionato, dopo che ha prevalso, nella Struttura, quel cosiddetto Contingente Americano. Il riferimento non è alla nazione statunitense, ma ai fautori dei liberismo.
-
Draghi: resta la farsa-Covid, ma in cambio stop al rigore
La follia quotidiana nella quale il pianeta sembra precipitato, da un anno e mezzo, la si può misurare anche dall’ipocrisia con cui politica e media chiamano ancora “vaccini” i preparati genici sperimentali, che vaccini non sono. Ma il carattere paradossale dei giorni che stiamo vivendo è confermato anche dall’inaudita imposizione (italiana) di questi non-vaccini al personale sanitario, e dall’ignobile ostinazione (non solo italiana) con cui si continuano a ignorare le efficaci terapie domiciliari anti-Covid, come se non esistessero nemmeno. L’espediente serve ad assegnare ai non-vaccini il ruolo di farmaco unico e totemico, perfetto contrappeso simbolico alla psico-montatura mondiale chiamata Covid. Ovvero: la più grande pandemia di asintomatici che la storia ricordi, gonfiata da numeri improbabili e da tamponi Pcr palesemente manipolati, oltre che da cure negate, ritardate o addirittura drammaticamente errate.Ed è in questo disastro, a quanto pare, che sta maturando il vero braccio di ferro tra i massimi poteri mondiali: da una parte i fautori dell’oligarchia più reazionaria, con pulsioni apertamente totalitarie, e dall’altra un’élite antagonista che vorrebbe riscrivere a modo suo il Grande Reset, comunque ineludibile, entrando in un futuro svincolato dal ricatto della schiaviù finanziaria di ieri, grande protagonista del Nuovo Ordine Mondiale neoliberista fabbricato con i golpe, il terrorismo e le crisi pilotate degli spread. Nel caos italiano, tra partiti ridicoli e ridotti a fantasmi, Mario Draghi archivia il mediocre piazzista Giuseppe Conte e ostenta senza difficoltà il suo spessore incamerando gli applausi dell’Ue per il Recovery, riproiettando l’Italia nel Mediterraneo e ottenendo anche di inserire la questione-migranti nell’agenda ufficiale di Bruxelles.E’ come se di colpo (a parte l’indecente politica sul Covid) l’Italia si fosse riaffacciata sulla scena europea e mondiale nel segno della sovranità relativa, sia pure formalmente coniugata con l’Unione Europea e con il gruppo che ha insediato alla Casa Bianca l’anziano Joe Biden. Messo fuori gioco Donald Trump, quella odierna di Washington si presenta come un’élite dal curriculum opaco, proveniente da elezioni presidenziali più che incresciose. Un gruppo che oggi si mostra comunque deciso a fermare l’insidioso espansionismo cinese, per decenni strumento del peggior neoliberismo atlantico. Per buon peso, la nuova leadership statunitense intende anche ridimensionare il ruolo di Mosca, fastidiosa potenza mondiale: fu messa al bando, la Russia, quando Vladimir Putin mise fine alla politica di sottomissione atlantista varata da Boris Eltsin e dai suoi oligarchi, al soldo del peggior capitalismo finanziario razziatore e, all’occorrenza, anche terrorista.E’ evidente che l’élite che fa capo alla Casa Bianca punta molte delle sue carte proprio sull’Italia, affidando al “nuovo” Draghi (non più guardiano dell’austeriy) il ruolo di ariete in doppiopetto, per rompere gli aspetti peggiori della gabbia eurocratica che ha finora impedito la nascita di una vera Unione Europea. Spariti gli inglesi con la Brexit, il “gigante” Draghi ha davanti a sé un traballante Macron, mentre Angela Merkel sta per lasciare il trono da cui ha contribuito in modo decisivo a paralizzare lo sviluppo europeo, tenendo il continente in balia di una crisi infinita. Gli osservatori più attenti, anche sui grandi media, non possono fare a meno di notare i passaggi-chiave del nuovo corso italiano: è lo stesso Draghi a ripetere che l’incubo del Patto di Stabilità (il freno imposto al benessere economico) è da considerarsi storicamente archiviato. A quale prezzo?Se qualcuno aveva legittimamente sperato che l’approccio al Covid (finalmente la verità, dopo un anno di menzogne) potesse essere la cartina di tornasole della “rivolzione democratica” dietro al cambio della guardia a Palazzo Chigi, si è sbagliato di grosso: evidentemente, la perdurante ipocrisia sulla gestione allarmistica della “crisi pandemica” è una moneta di scambio, nazionale e non solo: si lascia sostanzialmente inalterato il paradigma sanitario, per poter ribaltare completamente l’altro paradigma, quello economico-finanziario, secondo traiettorie disegnate però nell’alto dei cieli, fuori dalla portata dai Parlamenti. Il panorama politico italiano, poi, è ridotto a una platea di comparse del calibro di Enrico Letta, accanto a piccoli leader un tempo pugnaci ma oggi quasi ammutoliti, da Salvini alla Meloni, per non parlare di Di Maio.Tra parentesi: nessuno dei capi-partito (ma proprio nessuno) ha mai imposto in modo netto l’introduzione delle terapie anti-Covid, boicottate anche in sede giudiziaria dal bis-ministro Speranza. Quanto alle strategie per il futuro, tra Green Card e “varianti” paventate all’infinito, non è dato sapere dove si arriverà, né se il “partito cinese” (quello dei lockdown di Conte, approvati da Bergoglio) rialzerà la testa, o se invece sarà definitivamente sconfitto, e a quali condizioni. L’alternativa pare rappresentata da un’élite altantista che maneggia parole come libertà (tenendo in carcere Julian Assange e mantenendo in funzione Guantanamo) e come democrazia, dopo aver “vinto” le elezioni negli Stati Uniti nel modo che si è visto. Alla fine, lo spettacolo più sorprendente è proprio quello che sta offrendo l’Italia, con Mario Draghi impegnato a demolire, giorno per giorno, tutti i dogmi difesi per decenni a mano armata dall’altro Mario Draghi, quello di ieri.La follia quotidiana nella quale il pianeta sembra precipitato, da un anno e mezzo, la si può misurare anche dall’ipocrisia con cui politica e media chiamano ancora “vaccini” i preparati genici sperimentali, che vaccini non sono. Ma il carattere paradossale dei giorni che stiamo vivendo è confermato anche dall’inaudita imposizione (italiana) di questi non-vaccini al personale sanitario, e dall’ignobile ostinazione (non solo italiana) con cui si continuano a ignorare le efficaci terapie domiciliari anti-Covid, come se non esistessero nemmeno. L’espediente serve ad assegnare ai non-vaccini il ruolo di farmaco unico e totemico, perfetto contrappeso simbolico alla psico-montatura mondiale chiamata Covid. Ovvero: la più grande pandemia di asintomatici che la storia ricordi, gonfiata da numeri improbabili e da tamponi Pcr palesemente manipolati, oltre che da cure negate, ritardate o addirittura drammaticamente errate.
-
Il Serpente-Arconte: chi erano gli antenati di Fauci
Anthony Fauci, il padrone della sanità e della farmaceutica americana, non è certo un piccolo fiammiferaio, “figlio prodigio” di oscuri emigrati italiani. A colpire è la sua linea materna. La madre, artistocratica dal nome tedesco, si chiamava Eugenia Abys. Il suo blasone nobiliare è il dragone coronato che ha in bocca un bambino: immagine simile a quella della famiglia Visconti di Milano. Il serpente in questo caso ha sul dorso un’asta, un giogo che regge due secchi, descritti come pieni di oro: riferimento all’attività mineraria della famiglia, originaria della Svizzera (Cantone dei Grigioni) e della Valtellina. La voce Abys compare già nel XII secolo come nome di una famiglia scozzese, avente però un’arma araldica diversa. Nel 1609, la famiglia si attestò tra i Grigioni e la Valtellina, ora italiana. Una famiglia molto importante: nel 1874 un suo membro fu tra i firmatari della Costituzione federale elvetica. Avevano importanti proprietà minerarie: nel 1682, a causa dell’eccessivo sfruttamento, una loro miniera di talco crollò, causando la morte di 2.600 persone. Nel XVII secolo gli Abys avrebbero anche acquistato proprietà minerarie nel Kirghizistan.Nemmeno Bill Gates è nato così, per caso: non è certo “un nerd che ce l’ha fatta”. Il nonno, William Gates, era avvocato e braccio destro di David Rockefeller, capostipite della famosa dinastia. Gates e Rockefeller sono gemellati, e fu proprio il nonno di Bill Gates a inventare la struttura della filatropia: consigliò a Rockefeller di aprire una fondazione non solo per pagare meno tasse, ma anche per avviare certe operazioni di ingegneria sociale. Insomma: le linee di sangue sono molto importanti. Noi pensiamo che organizzazioni segrete e think-tanks siano i veri burattinai, e invece sono semplicemente dei contenutori storici, temporanei. A possedere veramente le leve del potere, da secoli, sono sempre le linee di sangue: certe famiglie. Restando all’attualità di oggi e alla situazione che stiamo vivendo, c’è chi sostiene che anche Klaus Schwab (patron del World Economic Forum di Davos) abbia un rapporto di parentela con la famiglia Abys, ma credo che in questo caso si tratti di una semplice illazione; sappiamo solo che i parenti di Schwab ebbero interessi economici in comune con l’amministrazione nazista.Tornando al blasone degli Abys, la serpe coronata che “mangia il bambino” è un riferimento a possibili sacrifici umani, del resto ben presenti nella stessa Bibbia (con il sacrificio dei neonati primogeniti, ndr). Sappiamo che le tradizioni occulte di certe stirpi non è che siano luminose: esiste infatti anche il fronte della contro-iniziazione, che usa determinate conoscenze – di tipo magico-esoterico – per scopi di potere, non esattamente finalizzati al benessere del genere umano. In un contesto “espolitico”, David Icke parla di “rettiliani” e interpreta simboli di questo tipo proprio in quella chiave, alludendo cioè a un potere “rettiloide”. Questa storia però non nasce con Icke: la stessa Elena Blavatsky parlava del “ciclo lemuriano”, precedente alla civiltà “atlantidea”, popolato proprio di entità “rettiolidi”. La mia opinione è che non si debba pensare a esseri mutanti, come quelli che abbiamo visto nei “Visitors”. Penso piuttosto a qualcosa che appartenga al livello “sottile”: ovvero forze ed entità (di natura “sottile” appunto) che si sarebbero manifestate in certe linee di sangue. Secondo questa interpretazione, alcune stirpi nobiliari rappresentano un certo potere, che ha un significato piuttosto oscuro.Il simbolo del serpente è presente nelle “gemme gnostiche” (magiche, in realtà) risalenti al periodo alessandrino. Ricorre la serpe “leontocefala”, coronata: è esattamente lo stesso simbolo, sia pure in una sua variante (testa di leone coronata, su corpo di serpente). A volte il simbolo si declina in tre serpenti, cioè tre S stilizzate: lo vediamo sia in epoca tardo-antica, sia in un’effigie della famiglia Abys di Chur, nei Grigioni (quella, appunto, del ramo materno di Fauci). In area anglofona, Abys fa pensare al termine “abbazia”, mentre in area svizzera (germanofona) richiama il termine “abisso”. In ogni caso, spicca la totale corrispondenza con certi simboli magici del periodo alessandrino. Il serpente “leontocefalo” potrebbe essere il capo degli arconti, il “demiurgo nero” di molti sistemi gnostici: capo di tutte le forze arcontiche, e quindi estremanente ostile agli esseri umani.E’ difficile ricostruire come la famiglia Abys abbia inserito quella figura nel proprio blasone. Però è evidente che c’è una strana, forte corrispondenza con quei simboli antichi. I famosi rettiliani? Entità non umane? Quello di David Icke è un modo un po’ semplice, di esprimersi. Però è vero che troviamo esseri come i Naga, nella civiltà indiana: entità ibride, a metà strada tra gli umani e i rettili. Diciamo che non vanno presi alla lettera; però sono una costante, in molti cicli di civiltà. Quel serpente ha l’aria di essere il simbolo di un potere anti-umano, virtualmente anche antropofago (o meglio: capace di nutritrsi di energie umane, a livello “sottile”). Secondo me c’è da riflettere su cosa potrebbe rappresentare, questa corrispondenza simbolica, visto anche che la famiglia Abys – nella sua storia – un po’ di danni li ha fatti, ben prima della comparsa di Anthony Fauci.(Matt Martini, analisi formulata nella trasmissione “L’Orizzonte degli Eventi”, in diretta il 13 maggio 2021 sul canale YouTube di “Border Nights”. Chimico farmaceutico e appassionato studioso di esoterismo, Martini è co-autore del libro-denuncia “Operazione Corona, colpo di Stato globale”, pubblicato dalle Edizioni Aurora Boreale).Anthony Fauci, il padrone della sanità e della farmaceutica americana, non è certo un piccolo fiammiferaio, “figlio prodigio” di oscuri emigrati italiani. A colpire è la sua linea materna. La madre, aristocratica dal nome tedesco, si chiamava Eugenia Abys. Il suo blasone nobiliare è il dragone coronato che ha in bocca un bambino: immagine simile a quella della famiglia Visconti di Milano. Il serpente in questo caso ha sul dorso un’asta, un giogo che regge due secchi, descritti come pieni di oro: riferimento all’attività mineraria della famiglia, originaria della Svizzera (Cantone dei Grigioni) e della Valtellina. La voce Abys compare già nel XII secolo come nome di una famiglia scozzese, avente però un’arma araldica diversa. Nel 1609, la famiglia si attestò tra i Grigioni e la Valtellina, ora italiana. Una famiglia molto importante: nel 1874 un suo membro fu tra i firmatari della Costituzione federale elvetica. Avevano importanti proprietà minerarie: nel 1682, a causa dell’eccessivo sfruttamento, una loro miniera di talco crollò, causando la morte di 2.600 persone. Nel XVII secolo gli Abys avrebbero anche acquistato proprietà minerarie nel Kirghizistan.
-
Torino-Lione: la Corazzata Potëmkin sopravvive a tutto
In questa Italia ormai incommentabile, sembra inverosimile che nel 2013 l’ottimo Luca Rastello (compianto giornalista di “Repubblica”) abbia potuto scrivere, con Andrea De Benedetti, l’esemplare saggio “Binario morto”, sul castello di bufale degli inesistenti treni veloci europei. Massima supercazzola, irraggiungibile: l’alta velocità per le merci, che non esiste al mondo. Logico, quindi, che sul Binario Morto in cui è parcheggiato il Belpaese si spillino ancora, nel 2021, gli ultimi fantastiliardi per la madre di tutte le idiozie, la linea Tav Torino-Lione: una creatura favolosa, capace di rivaleggiare con il Liocorno e l’Araba Fenice. Mitologia ferroviaria per veri cialtroni e fuoriclasse dell’imbroglio, in un habitat socio-mentale in cui non c’è più niente che non sia solo mitologico, dal Male Irrimediabile alla Salvezza Universale. Davvero, non ci si crede: eppure, la Corazzata Potëmkin del terzo millennio non è ancora affondata. Anzi: è pronta a fare danni, ancora, bombardando quel che resta dell’intelligenza nazionale.E’ davvero incredibile, la storia infame della grande opera più inutile del secolo, presentata come avveniristico segmento del magico corridoio Kiev-Lisbona quando ancora il Portogallo non aveva bocciato l’alta velocità, la capitale ucraina non era ancora diventata l’epicentro della nuova guerra fredda e la stessa Cina – con la sua suadente, prodiana e dalemiana Via della Seta – sembrava ancora la possibile, nuova patria esotica di un futuro velocissimo, di benessere low-cost a portata di mano. Poi è successo di tutto: il crollo della Borsa e gli strilli di Occupy Wall Street, il giro di vite nazistoide dell’austerity europea con il martirio della Grecia, l’esplosione degli spread e del precariato, la disoccupazione a livelli storici, lo schianto dell’Unione Europea come rottame inservibile. L’italico museo degli orrori ha esibito Monti e Napolitano, poi Letta, quindi il populismo di Renzi, Grillo e Salvini, infine l’avvocato del Vaticano e ora la sfinge della Bce. Di tutto è passato, sotto i ponti: dal malaugurio di Greta a quello di Bill Gates, dal Grande Reset di Davos a quello delle zone rosse. Ma niente, la Corazzata Potëmkin è ancora ormeggiata in valle di Susa.Le ultime cronache nauseabonde riportano i soliti sciagurati scontri tra la polizia e i manifestanti, irritati dai preparativi per l’ennesimo cantiere: si tratterebbe si spostare a valle l’attuale autoporto di Susa, per fare spazio – finalmente – al cantiere vero, quello del tunnel ferroviario lungo 54 chilometri. Forse, prima dell’Anno Tremila vedrà la luce, giusto per entrare nel Guiness dei Primati e battere il record del mondo, quello dell’infrastruttura più costosamente inutile della storia terrestre. Lo spiegava Luca Rastello nel suo libro, sulla scorta di centinaia di pagine di studi tecnici: quella ferrovia (doppione di quella già esistente, che collega Torino a Lione tramite il traforo valsusino del Fréjus) non servirà mai a null’altro che ad ingrassare i suoi fortunati costruttori, una gran bella filiera di aziende (cantieristiche e finanziarie) strettamemte collegate alla politica. Nel 2005, quando la valle di Susa insorse per opporvisi, raccontavano che la super-ferrovia sarebbe servita a trasportare passeggeri. Smentiti, i proponenti hanno dovuto cambiare le carte in tavola: ora dicono che servirebbe a veicolare le merci, a velocità elevata.Tutti gli specialisti del mondo (tutti quelli non pagati dalla cordata Tav) ribadiscono, fino alla nausea, che il problema della logistica è la puntualità, non la rapidità. Dal professor Marco Ponti in giù, inclusi i massimi esperti europei, ripetono che della Torino-Lione non c’è nessun bisogno, e che la linea attuale (la Torino-Modane) è letteralmente deserta, per l’assenza di merci (che non ci sono, e secondo ogni previsione non ci saranno mai). E dunque, che fare? Ovvio: insistere con la Torino-Lione, anche se svariate autorità francesi – inclusa la Corte dei Conti di Parigi – l’hanno reputata troppo costosa, rispetto agli scarsissimi, eventuali benefici che comporterebbe, nel caso ci fosse un improbabilissimo boom del trasporto merci lungo l’attuale Binario Morto così ben documentato da Luca Rastello. C’è anche il Covid, oggi: il paese è disastrato dalle restrizioni, in un anno ha perso oltre mezzo milione di aziende. C’è fame di lavoro e cantieri intelligenti, di infrastrutture utili. I folli gestori dell’emergenza – che hanno imposto distanziamento, lockdown e coprifuoco – non hanno pensato di raddoppiare bus e treni: si ancora viaggia stipati, come prima. Ma la Corazzata Potëmkin, quella no: guai a toccarla, è sacra.In questa Italia ormai incommentabile, sembra inverosimile che nel 2013 l’ottimo Luca Rastello (compianto giornalista di “Repubblica”) abbia potuto scrivere, con Andrea De Benedetti, l’esemplare saggio “Binario morto”, sul castello di bufale dei leggendari treni veloci europei. Massima supercazzola, irraggiungibile: l’alta velocità per le merci, che non esiste al mondo. Logico, quindi, che sul Binario Morto in cui è parcheggiato il Belpaese si spillino ancora, nel 2021, gli ultimi fantastiliardi per la madre di tutte le idiozie, la linea Tav Torino-Lione: una creatura favolosa, capace di rivaleggiare con il Liocorno e l’Araba Fenice. Mitologia ferroviaria per veri cialtroni e fuoriclasse dell’imbroglio, in un habitat socio-mentale in cui non c’è più niente che non sia solo mitologico, dal Male Irrimediabile alla Salvezza Universale. Davvero, non ci si crede: eppure, la Corazzata Potëmkin del terzo millennio non è ancora affondata. Anzi: è pronta a fare danni, ancora, bombardando quel che resta dell’intelligenza nazionale.